Il mondo della luna

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IL MONDO DELLA LUNA

Carlo Goldoni

Dramma giocoso per musica di Polisseno Fegejo Pastor Arcade, da rappresentarsi nel Teatro Giustinian di S. Moisè il Carnovale dell'Anno .


PERSONAGGI ECCLITICO finto astrologo.

Il Signor Alessandro Renda. BONAFEDE

Il Signor Francesco Baglioni. FLAMINIA figlia di Bonafede.

La Signora Dionisia Lepri. LISETTA cameriera.

La Signora Costanza Rossignuoli. CLARICE altra figlia di Bonafede.

La Signora Serafina Penni. CECCO servitore di

Il Signor Francesco Carrattoli. ERNESTO

La Signora Berenice Fermi Quattro Scolari di Ecclitico

Quattro Paggi lunari

}       cantano nei cori.


MUTAZIONI DI SCENE

ATTO PRIMO

Terrazzo sopra la casa di Ecclitico con torre nel mezzo, o sia specula, ed un gran canocchiale su due cavalletti. Notte con luna e cielo stellato; e quattro fanali che illuminano il terrazzo. Camera in casa di Bonafede con loggia aperta, tavolino con Lumi, e sedie.

ATTO SECONDO

Giardino delizioso in casa di Ecclitico raffigurato nel Mondo della Luna, ove si rappresentano alcune stravaganze ordinate dall'Astro, logo per deludere Bonafede. In fondo al giardino evvi un ponte levatore, che unisce il giardino al cortile, da cui a suo tempo viene un carro trionfale, indi una macchinetta, e lateralmente il trono.

ATTO TERZO

Camera in casa di Ecclitico con tre sedie.

Sala in casa di Ecclitico con piccolo tempio in prospetto illuminato.

colla statua di Diana e trono da un lato.

Le Scene sono d'invenzione e direzione del Sig. Gerolamo Mauro.


ATTO PRIMO

SCENA PRIMA

Notte con luna e cielo stellato. Terrazzo sopra la casa di Ecclitico con torre nel mezzo, o sia specula, ed un gran canocchiale su due cavalletti. Quattro fanali che illuminano il terrazzo.

Ecclitico e quattro Scolari.

TUTTI                               O Luna lucente,

Di Febo sorella, Che candida e bella Risplendi lassù, Deh, fa che i nostri occhi S'accostino ai tuoi, E scopriti a noi Che cosa sei tu.

ECCL.                   Basta, basta, discepoli,

Alla triforme dea le voci giunsero;

Esauditi sarete in breve termine.

Su via, tosto sugli omeri

Prendete l'arcimassimo

Mio canocchial novissimo.

Drizzatel su la specula,

Perpendicolarmente in ver l'ecclitica.

Vuò veder se avvicinasi

De' due pianeti il sinodo,

Idest, quando la Luna al Sol congiungesi,

Che dal mondo volgare ecclissi appellasi.

Andate, andate subito,

Pria che Cinzia ritorni al suo decubito.

SCOL.                               Prendiamo, fratelli,

Il gran telescopio, O sia microscopio, O sia canocchial. Vedrem della Luna Se il tondo sereno Sia un mondo ripieno Di gente mortal. (Prendono il canocchiale, e lo portano dentro alla specula, vedendosi spuntar fuori dalla sommità della medesima.)

ECCL.                   Oh le gran belle cose


Che a intendere si danno

A quei che poco sanno per natura!

Oh che gran bel mestier ch'è l'impostura!

Chi finge di saper accrescer l'oro,

Chi cavar un tesoro,

Chi dispensa segreti,

Chi parla dei pianeti,

Chi vende mercanzia

Di falsa ipocrisia;

Chi finge nome, titolo e figura:

Oh che gran bel mestier è l'impostura!

Io fo la parte mia

Con finta astrologia,

Ingannando egualmente i sciocchi e i dotti,

Ché un bravo cacciator trova i merlotti.

Eccone uno: ecco quel buon cervello

Del signor Bonafede.

Da lui che tutto crede,

Con una macchinetta,

Inventata dal mio sottile ingegno,

Far un colpo galante ora m'impegno.

SCENA SECONDA Bonafede e detti.

BON.                     Si puol entrar?

ECCL.                                         Sì, venga, mi fa grazia.

BON.                     Servo, signor Ecclitico:

In che cosa si sta lei divertendo?

ECCL.                   Nella speculazion di varie stelle.

Stav'or considerando L'analogia che unisce Alle fisse l'erranti, Al capo di Medusa il Can celeste, Al cuore del Leon la Spiga d'oro, Ed all'Orsa maggior l'occhio del Toro.

BON.                     Oh bellissime cose!

Anch'io d'astrologia son dilettante; Ma quel che mi dà pena È il non saper trovar dottrina alcuna Che mai sappia spiegar cos'è la Luna.

ECCL.                   La Luna è un corpo diafano

Che dai raggi del sol è illuminato; Ma in quel bel corpo luminoso e tondo, Che credete vi sia? V'è un altro mondo.

BON.                     Oh che cosa mi dite?

Colà v'è un altro mondo?


Ma cosa son quei segni

Che si vedon nel corpo della Luna?

So che un giorno mia nonna,

La qual non era sciocca,

Mi disse ch'ella avea gli occhi e la bocca.
ECCL.                   Scioccherie, scioccherie.

Le macchie oscure

Son del Mondo Lunar colline e monti.

Non già monti sassosi

Come da noi veggiam, ma son formati

D'una tenue materia,

La qual s'arrende e cede

Alla pression del piede;

Indi s'alza bel bello e non si spacca,

Onde l'uomo cammina e non si stracca.
BON.                     Oh che bel mondo! Ma ditemi, amico,

Come siete arrivato

A scoprir cosa tale?
ECCL.                   Ho fatto un canocchiale

Che arriva a penetrar cotanto in dentro

Che veder fa la superficie e il centro.

Individua non solo

I regni e le provincie,

Ma le case, le piazze e le persone.

Col mio canocchialone

Posso veder lassù, per mio diletto,

Spogliar le donne quando vanno a letto.
BON.                     Oh bellissima cosa!

Ma dite, non potrei,

Caro Ecclitico mio,

Col vostro canocchial veder anch'io?
ECCL.                   Perché no? Benché io sia

Solo inventor della mirabil arte,

Voglio che ancora voi ne siate a parte.
BON.                     Obbligato vi sono, e vi sarò.

Vederete per voi cosa farò.
ECCL.                   Nella specula entrate;

Nel canocchial mirate.

Cose belle vedrete,

Cose rare, per cui voi stupirete.
BON.                     Vado, e provar io voglio,

Se con quel canocchial sì lungo e tondo

Alla Luna poss'io veder il fondo.

Ma chi son quei signori,

Che dove io deggio entrar, vengono fuori?
ECCL.                   Sono scolari miei,

Amanti della Luna come lei.


SCENA TERZA Gli Scolari escono dalla specula, e s'inchinano a Bonafede

BON.

Servitor obbligato.

SCOL.

Felice e fortunato

Chi è amico della Luna;

Per voi sì gran fortuna

Il ciel riserberà.

BON.

Il cielo mi conceda

Sì gran felicità.

SCOL.

La vostra bella mente,

Che più d'ogn'altra sa,

La Luna facilmente

Conoscere potrà. (partono)

BON.

Il cielo mi conceda

Sì gran felicità. (entra nella specula)

ECCL.

(Farò che tutto creda

La sua semplicità).

Olà, Claudio, Pasquino, (vengono due Servi)

La macchina movete,

Fate ch'ella s'appressi al canocchiale;

Onde mirando in quella

Il signor Bonafede

Movere le figure ad una ad una,

Creda mirar nel Mondo della Luna. (partono i Servi)

Quanti sciocchi mortali

Con falsi canocchiali

Credono di veder la verità,

E non sanno scoprir la falsità.

Quanti van scrutinando

Quello che gli altri fanno,

E se stessi conoscere non sanno.

(Si vede accostarsi alla cima del canocchiale una macchina illuminata,

dentro la quale si muovono alcune figure)

Il signor Bonafede

Ora di veder crede

Le lunatiche donne sol lassù,

E lunatiche sono ancor quaggiù.

(Bonafede esce dalla specula ridendo)
BON.                     Ho veduto, ho veduto.

ECCL.                                                     E cosa mai?

BON.                     Ho veduto una cosa bella assai.

Ho veduto una ragazza

Far carezze ad un vecchietto.

Oh che gusto, oh che diletto Che quel vecchio proverà!

Oh che mondo benedetto,


Oh che gran felicità! (torna nella specula)

ECCL.                   Se una ragazza fa carezze a un vecchio,

Non la sprona l'amor, ma l'interesse: Lo vezzeggia, lo adora. Ma che crepi il meschin non vede l'ora. (Bonafede esce dalla specula)

BON.

Ho veduto, ho veduto.

ECCL.

E che, signore?

BON.

Una cosa per cui rido di cuore.

Ho veduto un buon marito

Bastonar la propria moglie

Per correggere il prorito

D'una certa infedeltà.

Oh che mondo ben compito,

Oh che gusto che mi dà! (torna nella specula)

ECCL.

Volesse il ciel che quanto

Fintamente ha mirato

Fosse nel nostro mondo praticato.

Se gli uomini di garbo

Alle cattive mogli

Desser di bastonate un precipizio,

Avrebbero le donne più giudizio.

(Bonafede torna a uscir dalla specula)

BON.

Oh questa assai mi piace!

ECCL.

Che vuol dire?

BON.

Ho veduto il contrario

Di quello che fra noi si suol usare,

Da un uomo e da una donna praticato.

Ho veduto dall'amante

Per il naso esser menata

Certa donna innamorata

Che chiedeva invan pietà!

Oh che usanza prelibata!

Oh si usasse ancora qua!

ECCL.

E qui ancor si useria,

Se gli uomin non patisser la pazzia.

BON.

Caro signor Ecclitico,

Ho veduto gran cose;

E per farvi veder che son contento,

Questa borsa tenete.

ECCL.

Oh, meraviglio!

BON.

Eh prendetela, via, che io così vuò.

ECCL.

Se volete così, la prenderò.

BON.

Diman ritornerò.

ECCL.

Siete padrone.

BON.

Certo quel canocchiale è assai ben fatto.


Tutto, tutto si vede. Ho un gusto matto.

La ragazza col vecchione:

Uh carina, bel piacere!

Il marito col bastone:

Bravo, bravo, oh bel vedere!

Una donna per il naso:

Che bel colpo! Che bel caso!

Oh che mondo benedetto!

Oh che gran felicità!

Che piacere, che diletto,

Oh che gusto che mi dà. (parte)

SCENA QUARTA

Ecclitico, poi Ernesto e Ce

ECCL.

Io la caccia non fo alle sue monete;

Ma vorrei, se potessi,

La sua figlia Clarice,

Custodita con tanta gelosia,

Torla dalle sue mani e farla mia.

ERN.

Amico, vi son schiavo.

ECCL.

Servo, signor Ernesto.

CEC.

Riverisco

Il signor segretario della Luna.

ECCL.

Sei pazzo, e tal morrai.

ERN.

Veduto uscire

Ho dalla vostra casa

Il signor Bonafede. È vostro amico?

ECCL.

Amico ed amicone

Della mia strepitosa professione.

ERN.

Egli ha una bella figlia.

ECCL.

Anzi n'ha due.

CEC.

Anzi rassembra a me

Che colla cameriera n'abbia tre.

ERN.

Son di Flaminia amante.

ECCL.

Ed io Clarice adoro.

CEC.

Per Lisetta ancor io spasimo e moro.

ERN.

L'ho chiesta a Bonafede,

Ed ei me l'ha negata.

ECCL.

Spera di maritar le proprie figlie

Con principi d'altezza.

CEC.

E così spera

A un conte maritar la cameriera.

ECCL.

Corrisponde Flaminia all'amor vostro?

ERN.

Mi ama con tutto il cor.

CEC.

La mia Lisetta


Per le bellezze mie par impazzita.
ECCL.                   E Clarice è di me pur invaghita.

Ditemi, vogliam noi

Rapirle a questo pazzo?
ERN.                                                            Il ciel volesse!

ECCL.                   Secondatemi dunque, e non temete.

CEC.                      Un ottimo mezzan so che voi siete.

ECCL.                   Di denar come state?

ERN.                                                       Quando occorra,

Io voterò l'erario.
CEC.                      Io sacrificherò tutto il salario.

ECCL.                   Andiamo; ho un macchinista

Che prodigi sa far. Con il mio ingegno

Oggi di far m'impegno

Che il signor Bonafede, o sia baggiano,

Le tre donne ci dia colla sua mano.
CEC.                      Oh bravo!

ERN.                                      E come mai?

ECCL.                                                       Tutto saprete.

Preparate monete;

Preparate di far quel che dirò,

E la parola mia vi manterrò.

Un poco di denaro E un poco di giudizio Vi vuol per quel servizio: Voi m'intendete già.

Contento voi sarete, Ma prima riflettete Che il stolido e l'avaro Mai nulla ottenirà. (parte)

SCENA QUINTA

Ernesto e Cecco

CEC.                      Costui dovrebbe al certo

Esser ricco sfondato.
ERN.                                                       E a che motivo?

CEC.                      Perché a far il mezzano

Egli non ha difficoltade alcuna;

Ed è questo un mestier che fa fortuna.
ERN.                      Tu dici male; Ecclitico è sagace,

E se in ciò noi compiace,

Il fa perché Clarice ei spera ed ama.
CEC.                      Ho inteso, ho inteso. Ei brama

Render contenti i desideri suoi,

E vuol far il piacer pagar a noi.


ERN.                     Orsù, taci e rammenta

Chi son io, chi sei tu.

CEC.                      Per cent'anni, padron, non parlo più.

ERN.                     Vado in questo momento

Denaro a provveder. Tu va, m'attendi D'Ecclitico all'albergo, ove domani, Mercé il di lui talento, Spero che l'amor mio sarà contento.

Begli occhi vezzosi Dell'idolo amato, Brillate amorosi, Sperate che il fato Cangiar si dovrà.

Bei labbri ridenti Del viso che adoro, Sarete contenti Che il nostro ristoro Lontan non sarà. (parte)

SCENA SESTA

Cecco solo.

Qualche volta il padron mi fa da ridere.

Ei segue il mondo stolido:

Cambia alle cose il termine,

E il nome cambia bene spesso agli uomini.

Per esempio, a un ipocrita

Si dice uom divotissimo,

All'avaro si dice un bravo economo,

E generoso vien chiamato il prodigo.

Così appella talun bella la femmina,

Perché sul volto suo la biacca semina.

Mi fanno ridere

Quelli che credono

Che quel che vedono

Sia verità. Non sanno i semplici

Che tutti fingono:

Che il vero tingono

Di falsità. (parte)

SCENA SETTIMA


Camera in casa di Bonafede con loggia aperta, tavolino con lumi, e sedie.

Flaminia e Clarice

CLAR.

Eh venite, germana:

Andiam su quella loggia

A goder della notte il bel sereno.

FLAM.

Se il genitor austero

Ci ritrova colà, misere noi!

CLAR.

Che badi a' fatti suoi.

Ci vuol tener rinchiuse

E dall'aria difese,

Come fossimo noi tele di ragno

FLAM.

Finché noi siam soggette

Al nostro genitor, convien soffrire

CLAR.

Ma io, per vero dire,

Stanca di questa soggezion noiosa,

Non veggo l'ora d'essere la sposa.

FLAM.

E quando sarem spose,

Avrem di soggezion finiti i guai?

Anzi sarem soggette più che mai.

CLAR.

Eh sorella, i mariti

Non son più tanto austeri:

Aman la libertade al par di noi,

Ed abbada ciascuno ai fatti suoi.

FLAM.

Felici noi, se ci toccasse in sorte

Un marito alla moda. Ah sventurate,

Se un geloso ci tocca!

CLAR.

In pochi giorni,

O ch'io lo guarirei,

O che al mondo di là lo manderei!

FLAM.

Vorreste forse avvelenarlo?

CLAR.

Oibò!

Ma il segreto io so,

Con cui questi gelosi

Dalle donne si fan morir rabbiosi.

FLAM.

Se l'accordasse il padre,

Spererei con Ernesto esser felice.

CLAR.

Lo spererei anch'io

Con Ecclitico mio.

FLAM.

Quell'Ecclitico vostro

È un uom ch'altro non pensa

Che a contemplar or l'una or l'altra stella.

CLAR.

Questo è quello, sorella,

Che in lui mi piace più.

Finché ei pensa alla Luna, ovvero al Sole,

La sua moglie farà quello che vuole.

FLAM.

Ma il genitore io temo

Non vorrà soddisfarci.

CLAR.

Evvi in tal caso


Un ottimo espediente:
Maritarci da noi senza dir niente.
FLAM.                  Ciò so che non conviene a onesta figlia,

Ma se amor mi consiglia, E il padre a me si oppone, Io temo che all'amor ceda ragione.

Ragion nell'alma siede Regina dei pensieri, Ma si disarma e cede Se la combatte amor.

E amor, se occupa il trono, Di re si fa tiranno, E sia tributo o dono, Vuol tutto il nostro cor. (parte)

SCENA OTTAVA Clarice, poi Bonafede

BON.                     Brava, signora figlia!

V'ho detto tante volte Che non uscite dalla vostra stanza

CLAR.                   Ed io tant'altre volte

Mi sono dichiarata Che non posso soffrir di star serrata.

BON.                     E ben, bene, fraschetta,

So io quel che farò.

CLAR.                                                  Sì, castigatemi;

Cacciatemi di casa e maritatemi.

BON.                     Se io ti maritassi,

Non castigherei te, ma tuo marito: Né castigo maggior dar gli potrei, Quanto una donna pazza qual tu sei.

CLAR.                   Io pazza? V'ingannate.

Pazza sarei qualora Mi lasciassi un po' troppo intimorire, E avessi per rispetto a intisichire.

Son fanciulla da marito, E lo voglio, già il sapete; E se voi non mel darete, Da me stessa il prenderò.

Ritrovatemi un partito Che sia proprio al genio mio; O lasciate, farò io: Se lo cerco, il troverò. (parte)


SCENA NONA Bonafede, poi Lisetta

BON.                     Se mandarla potessi

Nel Mondo della Luna, avrei speranza

Castigata veder la sua baldanza.
LIS.                       Serva, signor padrone.

BON.                                                         Addio, Lisetta.

LIS.                       Vuol cenare?

BON.                                         E anco presto, aspetta un poco.

LIS.                       Ho posta già la panatella al foco.

BON.                     Brava, brava. Lisetta, oh se sapessi

Le belle cose che ho vedute!
LIS.                                                                     E cosa

Ha veduto di bello?
BON.                     Ho avuto la fortuna

Di mirar dentro al tondo della Luna.
LIS.                       (Ecco la sua pazzia).

BON.                                                    Senti, può darsi...

Sai che ti voglio ben. Può darsi ancora,

Se tu mi sei fedel, se non ricusi

Di darmi un po' d'aiuto,

Ch'io ti faccia veder quel che ho veduto.
LIS.                       Sapete pur ch'io sono

Vostra serva fedele, e se mi lice,

Vostra tenera amante.

(Invaghita però sol del contante).
BON.                     Quand'è così, mia cara,

Della ventura mia ti voglio a parte.

Vedrai d'un uomo l'arte

Quanto può, quanto vale;

Le prodezze vedrai d'un canocchiale.
LIS.                       Vorrei che un canocchial si desse al mondo

Con cui vedeste il fondo

Del mio povero cor, che sol per voi

Arde d'amore e fede.

(Egli è pazzo davver se me lo crede).
BON.                     Per rimirar là dentro

In quel tuo cor sincero,

Serve di canocchial il mio pensiero.

Vedo che mi vuoi bene,

Vedo che tu sei mia.
LIS.                       (Ma non vede che questa è una pazzia).

BON.                     Doman ti vuò menar dal bravo Astrologo;

Vedrai quel che si pratica lassù

Dalle donne da ben come sei tu.


LIS.

Una donna come me

Non vi fu, né vi sarà;

Io son tutta amore e fé,

Io son tutta carità.

Domandate a chi lo sa.

«Sì ch'è vero», ognun dirà.

Io malizia in sen non ho:

Sono stata ognor così.

Poche volte dico no;

Quando posso, dico sì.

Ma lo dico, già si sa,

Salva sempre l'onestà. (parte)

SCENA DECIMA

Bonafede, poi Ecclitico. Poi Clarice e L

BON.

È poi la mia Lisetta

Una buona ragazza.

Non è di quelle serve impertinenti

Che, quando hanno le grazie del padrone,

Vogliono in casa far le braghessone.

ECCL.

Ehi, signor Bonafede, (di dentro)

Si puol entrar?

BON.

Oh cappari, chi è qui?

Venite, signor sì;

Cos'è sta novità?

Qualche cosa di grande vi sarà.

ECCL.

Compatite s'io vengo

In quest'ora importuna a disturbarvi:

Un segno d'amicizia io vengo a darvi.

BON.

Oh, che buona ventura a me vi guida?

ECCL.

V'è nissun che ci ascolti?

BON.

No, siam soli.

Parlate pur con libertà.

ECCL.

Voi siete

L'unico galantuom ch'io stimo ed amo:

Onde vi vengo a usar per puro affetto

Un atto d'amicizia e di rispetto.

BON.

Obbligato vi son. Ma che intendete

Voler dire con ciò?

ECCL.

Vengo da voi

Per sempre a licenziarmi.

BON.

Oh dei! per sempre?

Ditemi, cosa fu?

ECCL.

Amico, addio. Non ci vedrem mai più.

BON.

Voi mi fate morir. Ma perché mai?

ECCL.

Tutto confido a voi. Sappiate, amico,


Che il grande imperatore

Del bel Mondo Lunar con lui mi vuole.

    fra pochi momenti
Sarò insensibilmente
Trasportato lassù per mio destino,
E sarò della Luna cittadino.

BON.                     Come? È vero? Oh gran caso! Oh me infelice,

Se resto senza voi! Ma in qual maniera

La voce di lassù poté arrivare?
ECCL.                   Là nel Mondo Lunare

Un astrologo v'è, come son io,

Che ha fatto un canocchial simile al mio.

Congiunti nella cima i canocchiali,

E levato il cristallo, o sia la lente,

Facilissimamente

Sento quel che si dice in l'altro mondo,

E col metodo stesso anch'io rispondo.
BON.                     Oh prodigio! oh prodigio!

Ed in che modo

Sperate andar tant'alto?

Dalla terra alla Luna vi è un gran salto.
ECCL.                   Tutto vuò confidarvi.

Dal canocchiale istesso

    grande imperatore

Mi ha fatto schizzettar certo licore

Che, quando il beverò,

Leggermente alla Luna io volerò.
BON.                     Amico, ah, se voleste,

Aiutar mi potreste.
ECCL.                                                E come mai?

BON.                     Schizzettatemi un po' di quel licore

Che v'ha mandato il vostro imperatore.
ECCL.                   (Eccolo nella rete).

BON.                                                     E poi anch'io

Verrò lassù con voi.
ECCL.                                                Ma non vorrei

Che se ne avesse a mal sua maestà.
BON.                     È un signor di buon cor, non parlerà.

ECCL.                   Orsù, mi siete amico;

Vi voglio soddisfar. Quest'è il licore.

Giacché non v'è nessuno,

Vuò che ce lo beviam metà per uno.
BON.                     E poi come faremo?

ECCL.                   E poi ci sentiremo

Sottilizzar le membra in forma tale

Che andremo insù come se avessim l'ale.
BON.                     Beverei, ma non so...

Sono fra il sì ed il no...
ECCL.                   Compiacervi credevo;

Se pentito già siete, io solo bevo. (finge di bere)


BON.

Non lo bevete tutto,

Per carità.

ECCL.

Tenetemi, che ormai

Mi sembra di volare. Oh me felice!

Oh singolar fortuna!

Or or sarò nel Mondo della Luna. (straluna gli occhi)

BON.

Cos'avete negli occhi?

Parete ispiritato.

ECCL.

Dallo spirto lunar son invasato.

Addio. Vado.

BON.

Fermate.

Voglio venir anch'io.

ECCL.

Ecco: tenete

Il resto del licor dunque, e bevete.

BON.

Ma le figliuole mie? Ma la mia serva?

ECCL.

Quando sarete là,

Grazia per esse ancor s'impetrerà.

Vado, vado.

BON.

Son qui, bevo; aspettate. (beve)

ECCL.

(Bevi, buon pro ti faccia.

Io bevuto non ho. Fra pochi istanti

Dal sonnifero oppresso e addormentato,

Crederà nella Luna esser portato).

BON.

Ecco bevuto ho anch'io.

Mondo, mondaccio rio,

Per sempre t'abbandono.

Uomo sopralunar fatto già sono.

Oimè! sento un gran foco.

ECCL.

Soffrite. A poco a poco

Tramutar sentirete

Tutte le vostre membra, e goderete.

BON.

Par che mi venga sonno.

ECCL.

Ecco l'effetto

Che fa il licor perfetto.

BON.

Non posso star in piedi.

ECCL.

Accomodatevi. (lo fa sedere)

State pronto a salire, e consolatevi

BON.

Mi sembra di volar.

ECCL.

Lo credo anch'io.

BON.

Caro Ecclitico mio,

Ditemi dove sono. In terra, o in aria?

ECCL.

Vi andate a poco a poco sollevando.

BON.

Mi vo sottilizzando.

Ma come uscir potrem... da questa stanza?

ECCL.

Abbiamo in vicinanza

Un ampio fenestrone.

BON.

Vado, vado senz'altro.

ECCL.

(Oh che babbione!)

BON.

Vado, vado; volo, volo.


ECCL.

Bravo, bravo, mi consolo.

BON.

Dove siete?

ECCL.

Volo anch'io.

BON. ECCL.

} a due

Addio mondo, mondo addio. (escono Clarice e Lisetta)

CLAR.

Caro padre, cosa c'è?

LIS.

Padron mio, che cos'è?

BON.

Vado, vado; volo, volo.

CLAR. LIS.

} a due

Dove, dove?

ECCL.

Oh che fortuna!

BON.

Vo nel Mondo della Luna.

CLAR. LIS.

} a due

Muore, muore, oimè che muore!

BON.

Oh che gusto, oh che diletto!

ECCL.

Viva, viva, oh che fortuna!

CLAR. LIS.

} a due

Muore, muore.

BON.

Cara Luna, Vengo, vengo, vengo a te. (s'addormenta)

CLAR. LIS.

Muore, muore, presto, presto.

} a due

Qualche spirto troverò.

Presto presto tornerò. (partono)

ECCL.

Il buon sonnifero

Gli offusca il cerebro.

Portar dagli uomini

Via lo farò.

Fabrizio, Prospero, (vengono due Servi)

Su via, prendetelo,

E là portatelo

Nel mio giardin. (portano via Bonafede) Le donne tornano

E si disperano,

Perché già credono

Morto il meschin. (tornano Clarice e Lisetta)

CLAR.

Povero padre, ahi che morì!

LIS.

Ahi, che di vivere tosto finì!

ECCL.

No, non piangete, non è così.

CLAR.

} a due

Ahi, che di vivere tosto finì!

LIS.

Ahi che tormento, ahi che morì!

ECCL.

Fe' testamento: eccolo qui.

CLAR. LIS.

} a due

Ahi che tormento, ahi che morì!

ECCL.

Lascio a Clarice sei mille scudi Se di sposarsi risolverà.

CLAR.

Era mortale, questo si sa.

ECCL.

Lascio a Lisetta cento ducati Quando il marito ritroverà.


LIS. ECCL. CLAR. LIS. ECCL. LIS. CLAR. a tre


} a due } a due


Era assai vecchio, questo si sa. Povero vecchio, più nol vedrete!

Ahi che tormento che voi mi date!

Pronta è la dote, se la volete. Mi fate ridere, mi consolate.

Viva chi vive. Chi è morto, è morto.

Dolce conforto

La dote sarà.


Segue il Ballo, nel quale si rappresenta il Mondo della Luna in un globo trasparente, con l'Astrologo ed il credulo che fanno le loro osservazioni, derisi dalle Donne che attendono l'effetto dell'impostura. S'apre il

globo ed escono da quello due Uomini e Due Donne Lunari, che si figurano esser quelli veduti già da Bonafede col canocchiale, e descritti nelle sue canzonette; dopo di che s'uniscono, ed intrecciano le loro

danze.


ATTO SECONDO SCENA PRIMA

Giardino delizioso in casa di Ecclitico, raffigurato nel Mondo della Luna, ove si rappresentano alcune stravaganze ordinate dall'Astrologo per deludere Bonafede.

Bonafede che dorme sopra un letto di fiori. Ecclitico travestito con abito capriccioso. Ernesto ne' suoi abiti.

ECCL.                   Ecco qui Bonafede

Nel Mondo della Luna. Egli ancor dorme;

E quando sia destato,

Esser non crederà nel mio giardino,

Ma nel Mondo Lunare,

Fra le delizie peregrine e rare.
ERN.                      Ma Flaminia e Clarice

Son del tutto avvisate?
ECCL.                                                       Il tutto sanno,

E a ogni nostro disegno aderiranno.

Lisetta nulla sa, ma non importa;

Con un'altra invenzione

Farò ch'ella si creda

Nel Mondo della Luna trasportata.

Ella è da Cecco amata,

E Cecco la desia;

E acciocch'egli aderisca alle mie voglie,

Gli ho promesso che lei sarà sua moglie.
ERN.                      Flaminia sarà mia.

ECCL.                   E mia sarà Clarice.

Oggi ciascun di noi sarà felice.

Le macchine son pronte;

Son pronti i giuochi, i suoni, i balli e i canti,

Cose che pareran prodigi o incanti.
ERN.                      Ed io, per esser pronto

A sostener la mia caricatura,

Vado tosto a cambiar spoglie e figura. (parte)

SCENA SECONDA

Ecclitico e Bonafede che dorme.

ECCL.                   Bonafede ancor dorme:

Tempo è di risvegliarlo. Con questo sal volatile,


Sciogliendo i spirti che fissati ha l'oppio,

In sé ritornerà. (gli pone un vasetto sotto le narici)

BON.

Flaminia...

ECCL.

Ei chiama

La figliola fra il sonno e la vigilia.

BON.

Ehi, Clarice... Lisetta...

ECCL.

Ora si va svegliando.

BON.

Eh! dove sono? (si alza bel bello)

ECCL.

Amico.

BON.

Olà, chi siete?

ECCL.

Che? non mi conoscete?

Non ravvisate Ecclitico?

BON.

Voi quello?

ECCL.

Sì; quel son io.

BON.

Ma dove,

Dove, amico, siam noi?

ECCL.

Dove la sorte tutti i beni aduna,

Nel bellissimo Mondo della Luna.

BON.

Eh! mi burlate?

ECCL.

E non ve ne accorgete

Dello splendor che fa più bello il giorno?

Dell'aria salutar che spira intorno?

BON.

È vero. Oh che bel giorno!

Oh che aria dolcissima e soave!

ECCL.

Mirate a' vostri piedi

Dal bel terren fecondo

Nascer le rose e i gigli. (si vedono spuntar i fiori)

BON.

Oh che bel mondo!

ECCL.

Udite il dolce canto

Degli augelli canori. (s'odono a cantar i rusignoli)

BON.

Oh che contento!

Son fuor di me, non so dove mi sia.

ECCL.

Udite l'armonia

Ch'esce dagli arboscelli,

Agitati dai dolci venticelli.

(Odesi un concertino principiato dai violini ed oboè in

risposte de' corni da caccia e fagotti dentro la scena)

BON.

Bravi, bravissimi!

Gli alberi in questo mondo

Suonan meglio dei nostri sonatori.

ECCL.

Or vedrete ballar ninfe e pastori.

(Escono Ballerini, quali intrecciano una bella danza)

BON.

Oh che ninfe gentili! Oh che fortuna!

Oh benedetto il Mondo della Luna!

Ma sa l'imperatore

Ch'io qui son arrivato?

ECCL.

E di tutto informato.

BON.

Andiamlo a ritrovar.

ECCL.

Non è permesso

Con quell'abito andar innanzi a lui,


orchestra, colle



BON.


S'egli non ve manda uno de' sui. Ma ecco i cavalieri Con i paggi e i staffieri. Il gran monarca Vi manda da vestir.

Oh che bel mondo!


SCENA TERZA

Quattro Cavalieri con Paggi e Staffieri, che portano abiti da travestire Bonafede, e detti. Intanto che i Cavalieri cantano il coro, i Paggi levano le sue vesti a Bonafede, e lo vestono con gli abiti

capricciosi da loro portati.

 CAVALIERI

Uomo felice,

Cui goder lice

Di questo mondo

L'alta beltà,

L'imperatore,

Per farvi onore,

Prove vi manda

Di sua bontà.

Il ciel lo guardi

BON.

Sempre d'affanni; } a due

Viva mill'anni

ECCL.

Con sanità

 CAVALIERI

Or che vestito

Siete, e pulito,

Andar potrete

Da sua maestà.

TUTTI

Il ciel lo guardi

Sempre d'affanni;

Viva mill'anni

Con sanità. (partono i Cavalieri, Paggi e Staffieri)

BON.

Come avrò a contenermi?

Quante gran riverenze avrò da fare?

ECCL.

Il nostro buon monarca

Non vuol adulatori. Egli è un signore

Ch'è tagliato alla buona, e di buon core.

BON.

Andiam, non vedo l'ora di vederlo.

Ma quanto in anticamera

Aspettar ci farà?

ECCL.

Qui in anticamera

Sospirar non si sente, o bestemmiare. Ognuno puol entrare, Ognuno puol andar dal suo sovrano, E può baciargli il piè, nonché la mano. Ma restate, che or io


Anderò ad avvisarlo;

Egli ha tanta bontà,

Che per farvi piacer qui venirà.
BON.                     E la mia cameriera, e le mie figlie,

Non verranno con noi?
ECCL.                   Sì, sì, verranno poi;

Anzi le nostre donne

Han jus particolare a questo impero,

Perché va con la Luna il lor pensiero.

Voi lo sapete

Come son fatte:

Ora vezzose,

Tutte amorose;

Ora ostinate,

Fiere arrabbiate.

Che? Non è vero?

Sono lunatiche,

Oh signor sì. Mutan figura,

Mutan pensiere;

Son per natura

Poco sincere.

Certo, credetemi,

Che l'è così. (parte)

SCENA QUARTA

Bonafede solo.

Parmi che dica il vero; anzi Lisetta

Ora è meco amorosa, or sdegnosetta.

Ma s'ella qui verrà,

Forse si cangerà. Ben mi ricordo

Del bellissimo caso

Della donna menata per il naso. (parte)

SCENA QUINTA

Si alza il ponte levatore, e vedesi in fondo della Scena un carro trionfale, tirato da sei Uomini

bizzarramente vestiti, con sopra il carro Cecco, vestito da Imperatore, e a' piedi del medesimo

Ernesto, vestito all'eroica, con una stella in fronte. Bonafede osserva con meraviglia.

A suono di sinfonia s'avanza il carro, e giunto alla metà della scena, lo fermano; Ernesto scende ed aiuta a

scender Cecco con affettata sommissione.


BON.

Umilmente m'inchino

A vostra maestà.

CEC.

Chi siete voi,

Che indrizza i suoi saluti

Alla maestà nostra, e non a noi?

BON.

Perdoni; io fo all'usanza

Del mondo sublunar dove son nato.

CEC.

Sì, Sì, son informato

Che là nel vostro mondo

Trionfa l'albagia,

Né di titoli mai v'è carestia.

BON.

Dice ben... Ma che vedo!

Quivi il signor Ernesto?

ERN.

V'ingannate.

Io stella sono, ed Espero m'appello;

E quando il cielo imbruna,

Esco primiero a vagheggiar la Luna.

Sortito avrà l'influsso,

Quel ch'Ernesto s'appella,

Dalla costellazion della mia stella.

BON.

Io non so che mi dir; voi tutto Ernesto

Certo rassomigliate.

CEC.

Non vi meravigliate,

Ché nella nostra Corte abbiamo noi

Un buffon che somiglia tutto a voi.

BON.

Grazie a vostra bontà del paragone;

Ma io, per dirla a lei, non son buffone.

CEC.

Eppur nel vostro mondo

Chi sa far il buffon è fortunato.

BON.

Cappari! egli è informato.

CEC.

Or che vi pare?

Vi piace il nostro mondo?

BON.

In fede mia,

A chi un mondo sì bel non piaceria?

Ma per esser contento,

Una grazia, signor, ancor vi chiedo.

CEC.

Chiedete pur, ch'io tutto vi concedo.

BON.

Ho due figlie e una serva,

Vorrei...

CEC.

V'ho già capito,

Le vorreste con voi.

Andrà, per consolarle,

Una stella cometa ad invitarle.

BON.

Ma le stelle comete

Portan cattivo augurio.

CEC.

Oh, gente pazza

Del mondo sublunar! poiché le stelle

Conoscer pretendete,

E voi stessi laggiù non conoscete.

BON.

Ha ragion, ha ragion, non so che dire.


CEC.                      Io le farò venire,

Ma però con un patto,

Che vuò, senza recarvi pregiudizio,

La vostra cameriera al mio servizio.

BON.                     Ma, signor...

CEC.                                         Già lo so

Che siete innamorato In quei begli occhi suoi, Ma questa volta la vogliam per noi.

BON.                     Dunque lei l'ha veduta?

CEC.                                                          Signor sì.

Una macchina abbiamo, Da cui spesso vediamo Quel che si fa laggiù nel basso mondo; E il piacer più giocondo Che aver possano i nostri occhi lunari, È il mirar le pazzie dei vostri pari.

Un avaro suda e pena, E poi crepa e se ne va. Un superbo senza cena Vuol rispetto, e pan non ha. Un geloso è tormentato, Un corrente è criticato. Quasi tutti al vostro mondo Siete pazzi in verità.

Chi sospira per amore, Chi delira per furore, Chi sta bene e vuol star male, Chi ha gran fumo e poco sale; Al rovescio tutto va. Siete pazzi in verità. (Sale nel suo carro, e parte col seguito)

SCENA SESTA

Bonafede ed Ernesto

ERN.                     Voi avete due figlie?

BON.                                                       Signor sì.

ERN.                     Fanciulle, o maritate?

BON.                                                       Son ragazze,

E non ho ancora lor dato marito,

Perché non ho trovato un buon partito.
ERN.                     Avete fatto ben. Nel vostro mondo

Due cattivi mezzani

Soglion far qualche volta i matrimoni;

Uno è il capriccio, e l'altro è l'interesse.


Dal primo ne provien la sazietà,

Dal secondo la nera infedeltà.
BON.                     Vussignoria favella

Come appunto parlar deve una stella.
ERN.                     Qui non v'è alcun che dica

Di morir per l'amata;

Non v'è alcun che sia fido ad un'ingrata.

Non vedrete chi voglia

Nella tasca portar ampolle o astucci

Con balsami o ingredienti,

Utili delle donne ai svenimenti.
BON.                     Ma se svien una donna,

Come la soccorrete?
ERN.                                                       Accostumiamo

Una corda portare, e quando fanno

Tali caricature,

Le faccian rinvenir con battiture.
BON.                     Questo, per vero dire,

È un perfetto elisire.
ERN.                     È un elisir che giova;

E credetelo a me che il so per prova.

Qualche volta non fa male Il contrasto ed il rigore. Sempre pace, sempre amore, Fa languire anco il piacer.

Quando poi cessa lo sdegno, Sente il cor maggior diletto; Più vigor prende l'affetto, E moltiplica il goder. (parte)

SCENA SETTIMA

BoNAFEDE solo, e varie persone di dentro che forman l'Eco.

BON.                     Io resto stupefatto:

Questo è un mondo assai bello, assai ben fatto.

Cantan sì ben gli augelli;

Suonano gli arboscelli;

Ognun balla, ognun gode;

Ognun vive giocondo.

Oh che mondo felice! oh che bel mondo!

Me lo voglio goder.

Vuò andar girando

Per questa ch'esser credo

La principal città.

Non so s'abbia d'andar di là, o di qua.

(L'Eco risponde da varie parti)


ECO

Di qua, di qua, di qua.

BON.

Oh questa sì ch'è bella!

Ognuno a sé mi appella,

E mi sento a chiamar di qua e di là.

ECO

Di là, di là, di là.

BON.

E siam sempre da capo.

Vorrei venire e non vorrei venire:

Sono fra il sì ed il no.

ECO

No, no, no, no, no, no.

BON.

No di qua, no di là.

Dunque resterò qui,

Sempre fermo così.

ECO

Sì, sì, sì, sì, sì, sì.

BON.

Ah, ah, v'ho conosciuto,

Signor eco garbato.

Oh che piacer giocondo!

Oh che spasso, oh che spasso! oh che bel mondo!

Che mondo amabile,

Che impareggiabile

Felicità!

Gli alberi suonano,

Gli augelli cantano,

Le ninfe ballano,

Gli echi rispondono,

Tutto è godibile,

Tutto è beltà.

Che mondo amabile,

Che impareggiabile

Felicità! (parte)

SCENA OTTAVA Ecclitico e LISETTA condotta da due, con gli occhi bendati.

LIS.

Dove mi conducete?

Siete sbirri, sicari, o ladri siete?

ECCL.

Levategli la benda,

Or che la fortunata

A questo nostro mondo è già arrivata. (gli levano la benda)

LIS.

Oimè, respiro un poco.

ECCL.

Bella ragazza, io gioco

Che adesso dove siate

Voi non v'immaginate.

LIS.

E che volete,

Caro signor Ecclitico, ch'io sappia?

Dormivo ancor nel letto,

Allorché son venuti


Quei marioli cornuti:

M'hanno bendati gli occhi,

M'hanno condotta via,

E adesso non so dir dove mi sia.
ECCL.                   Lisetta, avete avuta la fortuna

D'esser passata al Mondo della Luna.
LIS.                       Ah, ah, mi fate ridere;

Non sono una bambina

Da credere a sì fatte scioccherie.
ECCL.                   Delle parole mie

Voi la prova vedrete

Quando sposa sarete

Del nostro imperatore,

Che pel vostro bel viso arde d'amore.
LIS.                       La favola va lunga.

Il padrone dov'è?
ECCL.                                                Morto si finse,

Ma nel Mondo Lunare egli è passato,

E anch'io dopo di lui sono arrivato.
LIS.                       Caro signor lunatico,

Non mi fate adirar. Per qual cagione,

Ditemi, uscir di casa mi faceste?
ECCL.                   Di casa uscir credeste;

Ma dal balcon passata,

Foste qui da una nuvola portata.
LIS.                       Orsù, tali pazzie soffrir non voglio;

Vuò saper dove tende quest'imbroglio.
ECCL.                   Ecco il vostro padrone:

Domandatelo a lui, che lo saprà.

Io vado a ritrovar sua maestà. (parte)

SCENA NONA Lisetta, poi Bonafede

LIS.                       Quello è il padrone? È lui.

Non capisco la sua caricatura.

Oh che moda graziosa! oh che figura!
BON.                     Lisetta, oh ben venuta.

Tu ancor sei qui con noi?

Fortunata davver chiamar ti puoi.
LIS.                       Ma dove siam?

BON.                                             Nel Mondo della Luna.

LIS.                       Mi volete ingannar?

BON.                                                    No, te lo giuro:

Questo è il Mondo Lunar, te l'assicuro.
LIS.                       Adunque sarà vero

Che una nuvola qui m'avrà portata.


BON.

Sei stata fortunata.

Perch'io ti porto amore,

Sei venuta a goder sì grande onore.

LIS.

Ma qui che far dovrò?

BON.

Quello che devi far, t'insegnerò.

Tu devi voler bene al tuo padrone.

LIS.

E non altro?

BON.

Tu devi

Fargli qualche carezza!

LIS.

Lo sapete, signor, non sono avvezza.

BON.

Credi forse che qui

Si faccian le carezze

Con la malizia che si fan da noi?

Qui ognuno si vuol ben con innocenza,

E sbandita è quassù la maldicenza.

LIS.

Oh, se fosse così, saria pur bello

Questo Mondo Lunar!

BON.

Credilo, è tale.

LIS.

Questo mi piace assai.

BON.

Vien qua, Lisetta,

Dammi la tua manina.

LIS.

Oh signor no!

BON.

Perché?

LIS.

Perché non so

Se nel vostro operar vi sia tristizia.

BON.

Eh, qui tutto si fa senza malizia.

LIS.

Quand'è così, prendete.

BON.

Oh cara mano! (la stringe)

LIS.

Piano, signore, piano.

Voi me l'avete stretta sì furioso,

Che mi parete alquanto malizioso.

BON.

Io sono innocentino,

Credi, Lisetta mia, come un bambino.

LIS.

(Che caro bambinello!

Egli è tanto innocente quanto è bello).

BON.

Che dite? ch'io son bello?

LIS.

Signor sì.

BON.

Quando lo dite voi, sarà così.

LIS.

(È pazzo più che mai).

BON.

Via, Lisettina,

Datemi un abbraccino...

LIS.

Oh questo no.

BON.

Senza malizia già v'abbraccerò.

LIS.

Quando fosse così...

BON.

Così sarà.

LIS.

Non mi fido.

BON.

Pietà.

LIS.

Se pietà mi chiedete,

Malizioso voi siete.

BON.

Ah, malizia non ho.


LIS.

Ma cos'è quel sospiro?

BON.

Non lo so.

Non aver di me sospetto,

Malizioso io non ho il core.

LIS.

Vi conosco, bel furbetto,

Malizioso è il vostro amore.

BON.

Non è ver.

LIS.

Non me ne fido.

BON.

Son pupillo.

LIS.

Io me ne rido.

BON.

Via, carina, - una manina.

LIS.

No, non voglio.

BON.

Oh crudeltà!

Come fo alla mia cagnina,

Le carezze io ti farò.

LIS.

Ed io qual da una gattina,

Le carezze accetterò.

BON.

Vieni, o cara barboncina.

LIS.

Vieni, o bella piccinina.

BON.

Vien da me, non abbaiar.

LIS.

Frusta via, mi vuoi graffiar.

SCENA DECIMA

Cecco nell'abito di finto Imperatore, con seguito; poi Bonafede e Lisetta

CEC.                      Olà, presto, fermate Bonafede e Lisetta.

Dite che il loro imperator li aspetta. (Partono due Servi)

Vuò procurar, fin che la sorte è amica,

Il premio conseguir di mia fatica.
BON.                     Eccomi a' cenni vostri.

LIS.                                                            Oh! cosa vedo?

Cecco è l'imperator?
CEC.                                                        Lisetta, addio.

LIS.                       Ti saluto: buon dì, Cecchino mio.

BON.                     Sei pazza? Cosa dici

Al nostro imperatore?
LIS.                       Pazzo sarete voi:

Ci conosciamo bene fra di noi.
CEC.                      Bella, Cecco non son, ma vostro sono.

Olà, s'innalzi il trono.

Lisetta, vezzosetta e graziosina,

Ti voglio far lunatica regina.

(Dalla parte laterale esce un trono per due persone)
BON.                     (Io non vorrei che il nostro imperatore

Mi facesse l'onore

Di rapirmi Lisetta).


CEC.

E ben, che dite?

Ecco il trono per voi, se l'aggradite.

LIS.

Il trono? Oimè, non so;

Sono fra il sì ed il no.

Cotante cose stravaganti io vedo,

Che dubito di tutto, e nulla credo.

CEC.

Eh via, venite in trono,

Se vi piace il mio volto.

Sia Cecco, o non sia Cecco,

Che cosa importa a voi?

Dopo ci aggiusteremo fra di noi.

LIS.

È questa una ragion che non mi spiace.

Vengo. (s'incammina verso il trono)

BON.

Dove, Lisetta?

LIS.

A ricever le grazie

Del nostro imperatore,

Giacch'egli mi vuol far sì bell'onore.

BON.

Come! non ti vergogni?

Non hai timore della sua tristizia?

LIS.

Eh, qui tutto si fa senza malizia.

BON.

Lisetta, bada bene.

LIS.

È innocentino

Il nostro imperator, come un bambino.

CEC.

Aspettar più non voglio.

Presto, venite al soglio.

LIS.

Dunque lei...

CEC.

Sì, mia cara, son vostro, se volete.

LIS.

Lei è mio... Ma se poi... ma s'io non sono...

Non so quel che mi dica.

CEC.

Al trono, al trono.

LIS.

Se lo comanda, sì, venirò.

Signor padrone, cosa sarà?

Imperatrice dunque sarò?

Oh fosse almeno la verità!

Sento nel core certo vapore

Che m'empie tutta di nobiltà. Che bella cosa l'esser signora,

Farsi servire, farsi stimar!

Ma non la credo, ma temo ancora:

Ah, mi volete tutti burlar!

Voglio provarmi, cosa sarà?

Ah, fosse almeno la verità! (Cecco dà braccio a Lisetta, e frattanto che si fa il ritornello dell'aria, la conduce in trono)

BON.                     Eccelso imperator, la fortunata

Solo Lisetta è stata. Le povere mie figlie Ancor non hanno avuta la fortuna


Di venire nel Mondo della Luna.
CEC.                      Un araldo lunare ha già recato

Che in viaggio sono, e che saran fra poco

Ancor esse discese in questo loco.
BON.                     Perché dite discese, e non ascese?

Per venire dal nostro a questo mondo,

Signor, si sale in su.

Or perché dite voi: scendono in giù?
CEC.                      Voi poco ne sapete. Il nostro mondo,

Come un pallon rotondo,

Dal cielo è circondato;

E da qualunque lato

Che l'uom verso la Luna il cammin prenda,

Convien dir che discende, e non ascenda.
BON.                     Son ignorante, è ver, ma mi consolo,

Che se tale son io, non sarò solo.
CEC.                      Allegri, o Bonafede,

Che la coppia gentil scender si vede.

SCENA UNDICESIMA

A suono di sinfonia vengono in macchina Flaminia e Clarice. Bonafede le aiuta a scendere; Cecco e Lisetta restano in trono, e frattanto sopraggiungono Ernesto ed Ecclitico

BON.

Figlie, mie care figlie,

Siate le benvenute. Ah, che ne dite?

Bella fortuna aver un genitore

Dello spirito mio,

Ch'abbia fatto per voi quel ch'ho fatt'io!

Lunatiche ora siete;

Un mondo goderete

Pieno di cose belle;

Splenderete quaggiù come due stelle.

FLAM.

Molto vi devo, o padre.

Un uom saggio voi siete;

Di politica assai voi ne sapete.

CLAR.

Si vede certamente

Che avete una gran mente.

Siete un uom virtuoso senza pari;

Cedon gli uomini a voi famosi e chiari.

BON.

Inchinatevi tosto

Al nostro imperatore;

Grazie rendete a lui di tanto onore.

FLAM.

Ma colei è Lisetta.

BON.

Che volete ch'io dica?

Colei è la felice

Del Mondo della Luna imperatrice.

CLAR.

Oh fortunata invero!


Mentre quel della Luna è un grande impero.
FLAM.                  Monarca, a voi m'inchino.

CEC.                      Manco male che voi

Vi siete ricordata alfin di noi.
FLAM.                  Perdon io vi dimando,

E alla vostra bontà mi raccomando.
CEC.                      Olà, Espero, udite: (ad Ernesto)

Questa bella servite.

Conducetela tosto alla sue stanze,

E insegnatele voi le nostre usanze.
ERN.                     Obbedito sarete.

BON.                                                Ehi ehi, fermate.

Signor, le figlie mie

Con gli uomini non van da solo a sola.
CEC.                      In questo nostro mondo

Le femmine ci van pubblicamente,

E non lo fanno mai secretamente.
BON.                     È ver, non parlo più.

FLAM.                                                    Contenta io vado,

Giacché il mio genitor non se ne lagna,

Con Espero gentil che m'accompagna.

Se la mia stella Si fa mia guida, Scorta più fida Sperar non so. Al suo pianeta Contrasta invano Quel labbro insano Che dice no. (parte, servita da Ernesto)

SCENA DODICESIMA Cecco e Lisetta in trono; Bonafede, Ecclitico e Clarice

CLAR.                   Mia sorella sta bene,

Ed io cosa farò?

La mia stella ancor io non troverò?
CEC.                      Ecclitico, che siete

Del mio trono lunar cerimoniere,

Con Clarice gentil fate il bracciere.
ECCL.                   Prontamente obbedisco.

BON.                     Eh no, non voglio

Che mia figlia da un uom sia accompagnata.
CEC.                      L'usanza è praticata

Ancor nel vostro mondo,

Ma si serve da noi sol per rispetto,

E non lo fanno qui con altr'oggetto.


BON.                     Taccio, non so che dir.

CLAR.                                                       Vado contenta

A contemplar d'appresso Le lunatiche sfere Col lunatico mio cerimoniere.

Quanta gente che sospira

Di veder cos'è la Luna,

Ma non hanno la fortuna

Di poterla contemplar. Chi non vede,

Il falso crede;

Ciaschedun saper pretende.

Più che studia, manco intende,

E si lascia corbellar. (parte, servita da Ecclitico)

SCENA TREDICESIMA Bonafede; Cecco e Lisetta in trono.

LIS.                       Ed io son stata qui

Con poca conclusione,

Come una imperatrice di cartone.

CEC.                      Mia bella, eccomi a voi. (si alza)

Vi voglio incoronare, E nello stesso tempo anco sposare.

LIS.                       Ringrazierò la vostra cortesia.

BON.                     (E pur sento un tantin di gelosia).

CEC.                      Olà, vengano tosto

Le insegne imperiali,

E si facciano i gran cerimoniali.

SCENA QUATTORDICESIMA

Ecclitico con Cavalieri e Servi che portano scettro e corona per incoronare Lisetta; e detti.

ECCL.                   Ecco già preparato

Per la pompa real l'alto apparato.

(La orchestra suona il ritornello del quartetto, e intanto Cecco fa la

incoronazione di Lisetta; poi scendono dal trono)

CEC.                               Mia principessa,

Mia monarchessa,

Tutto vi dono

Lo scettro e il cor.
LIS.                                 Grazie vi rendo


Del vostro favor.
ECCL.                             Di cor mi consolo

Con vostra maestà.
LIS.                                 Vi sono obbligata

Di tanta bontà.
BON.                              Anch'io mi rallegro,

Signora maestà.
LIS.                                 Vi sono obbligata

Di tanta bontà.
ECCL.                             Deh lasci che almeno... (gli vogliono baciar la mano)

BON.                              Mi dia permissione...

LIS.

Prendete, tenete,

Son tutta bontà. (dà loro la mano)

BON.

Evviva mill'anni ECCL.       } a tre

La nostra maestà. CEC.

CEC.

Cara, v'abbraccio.

LIS.

Senza malizia. (abbraccia Cecco)

BON.

Ed a me niente?

LIS.

Senza malizia. (abbraccia Bonafede)

ECCL.

Sono innocente.

LIS.

Senza malizia. (abbraccia Ecclitico)

TUTTI

Oh che bel mondo!

Bella innocenza!

Viver giocondo!

Caro piacer!

ECC.

Sposa diletta.

LIS.

Caro mio sposo.

ECCL.

Oh benedetta!

LIS.

Siete grazioso.

BON.

Ed a me niente?

LIS.

Sì, buona gente:

Tutta di tutti,

Senza malizia,

Sempre sarò.

TUTTI

Senza malizia,

Senza tristizia,

Sempre amerò.

Bello è l'amare

Senza bramare

Quello che avere

Già non si può.

Senza malizia,

Senza tristizia,

Sempre amerò.

Segue il Ballo, nel quale ad imitazione dell'incoronazione seguita dell'Imperatrice della Luna, si fa l'incoronazione di Diana, sposata da Endimione, col seguito di Ninfe e di Pastori del Mondo Lunare, da' quali per allegrezza della loro Sovrana si formano varie graziose danze.


ATTO TERZO

SCENA PRIMA

Camera in casa di Ecclitico con tre sedie.

Lisetta con Paggi.

LIS.                        Olà paggi, staffieri,

Camerieri, braccieri, Datemi da sedere. Arricordatevi Ch'io son la monarchessa. Voglio esser obbedita e rispettata, E se farete ben, vi sarò grata. Sopra tutto avvertite Di nulla riportarmi Di quel che fa il mio sposo, E nulla a lui mai riportar di me, Mentre ognuno di noi pensa per sé. Avete a dormir poco, Avete a mangiar freddo; E nell'ore dell'ozio Vuò che l'astrologia tutti studiate, Acciò saper possiate Quello che far vi tocca, Senza che a comandarvi apra la bocca. Se qualchedun sospira Per le bellezze mie, ditelo in modo Di non farmi arrossir. Se la fortuna Aiutar vi vorrà con delle mancie, Un occhio serrerò, Né la vostra fortuna impedirò. Ma che vedo? Son qui le mie padrone? Che padrone? son io la maestà: Mi metterò in contegno e gravità.

SCENA SECONDA

Flaminia, Clarice e detta.

FLAM.                  (Divertiamoci un poco). (a Clarice)

CLAR.                                                         (È tanto sciocca


Che il sognato piacer si gode in pace).

FLAM.

(Facilmente si crede a quel che piace).

LIS.

(Che dicono? che fanno?

All'uso femminil, mormoreranno).

FLAM.

Signora, mi consolo

Della vostra fortuna.

LIS.

Vi ringrazio.

CLAR.

Me ne consolo anch'io.

Viva vostra maestà.

LIS.

Ragazze, addio.

FLAM.

Si ricorda, signora,

Quand'era nostra serva?

LIS.

State zitta:

Del nostro primo mondo mi scordai,

Come se non ci fossi stata mai.

CLAR.

Quest'è l'uso comune;

Chi sorte ha migliorato,

Non si ricorda più del primo stato.

LIS.

Come vi piace il Mondo della Luna?

FLAM.

È bello, è bello assai.

LIS.

Sediamo un poco.

CLAR.

Lei ci fa troppo onore.

LIS.

Sì, sì, vi voglio far questo favore.

FLAM.

(È ridicola invero).

CLAR.

(Io me la godo).

Mi favorisca lei.

È provveduta ancor di cicisbei?

LIS.

Oh, che diamine dite?

Oggi ho preso marito.

CLAR.

In questo mondo,

Per quel che m'hanno detto,

Insegna della Luna il galateo

Essere posto in uso il cicisbeo.

FLAM.

Quest'è comune usanza;

E saria il non averlo una increanza.

LIS.

Ma il marito?

CLAR.

Il marito,

Fra i lunatici umori il più corrente,

Tacerà, soffrirà, non dirà niente.

FLAM.

Il lunar cicisbeo,

Pria che siate levata,

Verrà a bever da voi la cioccolata.

LIS.

E il marito?

CLAR.

E il marito

Col medesimo gioco

Andrà a beverla anch'egli in altro loco.

LIS.

Ma io che son novella,

Trovarmi non saprei

Di questi cicisbei.

CLAR.

Fate così:


Ditelo al vostro sposo.

Un marito amoroso

Alla moglie prudente

Trova egli stesso il cavalier servente.

Un parigin che serva

Per mera civiltà,

Col suo servir conserva

Le leggi d'onestà. Guardatevi da quelli

Che voglion comandar.

Già so che m'intendete,

Né voglio mormorar. Vi basti un solo laccio,

Che è quel del vostro sposo;

Fuggite il duro impaccio

D'un cicisbeo geloso. Se docile è il servente,

Si puole sopportar;

Ma quando è impertinente,

Si manda a far squartar. (parte)

SCENA TERZA

Flaminia e Lisetta

FLAM.                   Possibile, o Lisetta,

Che ti lasci acciecar dall'ambizione?

E non vedi che questa è una illusione?
LIS.                        Olà, come parlate? (si alza)

FLAM.                   Si fan delle risate

A causa della tua sciocca credenza.
LIS.                        Cos'è questa insolenza?

Lo so che per invidia voi parlate.

Io sono imperatrice, e voi crepate.
FLAM.                   Tu sei pazza...

LIS.                                              Tacete.

FLAM.                   Lo vedrai...

LIS.                                           Non v'ascolto.

FLAM.                   Cecco è l'imperator.

LIS.                                                       No, non è vero.

FLAM.                   Il lunatico impero

Terminerà in fischiate.
LIS.                        Io sono imperatrice, e voi crepate.

FLAM.                              Ah pur troppo il nostro core,

Che mal regge i propri affetti, Ingannar da falsi oggetti


Sempre mai si lascierà. Or la gioia, or il dolore Forsennato in sé comprende, Ma né l'un né l'altra intende, E scoprire il ver non sa. (parte)

SCENA QUARTA

Lisetta sola.

Oh guardate, garbata signorina!

Con me che son regina e monarchessa

Voler venir a far la dottoressa?

Ma pur troppo è così. Quando si dona

A certa gente bassa

Un po' di confidenza,

Convien sempre temer qualche insolenza:

E poi, e poi l'invidia

È il vizio che a costoro il cor martella;

Or di questa, or di quella

Si mormora da loro a più non posso,

E si taglian agli altri i panni addosso.

Quando si trovano

Le basse femmine,

Dicono, parlano

Sempre così:

«Ehi, non sapete?

Nina l'ha fatta».

«Che cosa dite?»

«Lilla fuggì».

Le triste femmine

Sono così. Ma di quel numero

Io non voglio essere.

Son fatta nobile,

E il basso spirito

Da me svanì. (parte)

SCENA QUINTA

Sala in casa di Ecclitico con piccolo tempio in prospetto, illuminato, colla statua di Diana e trono da un lato.

Ecclitico, Bonafede, Cecco da imperatore, Ernesto, e seguito di Cavalieri e Servi.


CEC.                      O uomo sublunare,

In questo nostro mondo

Le figlie, quando sono da marito,

Si maritano tosto, e non si aspetta,

Come talor nel vostro mondo usate,

Che le femmine sian quasi invecchiate.
BON.                     Eh signor, le mie figlie

Son pure ed innocenti.
CEC.                                                          E pur si dice

Che le femmine vostre

Nascon laggiù colla malizia in corpo.
ECCL.                   È vero, dite bene:

Appena una ragazza sa parlare,

Principia a ricercare

Cosa vuol dir sta cosa, e poi quest'altra,

E con il praticar diventa scaltra.

Le fanciulle alla moda

Sanno dove che il diavolo ha la coda.
BON.                     Ma Flaminia non sa, non sa Clarice

Distinguer dalla rapa la radice.
CEC.                      Orsù, se queste figlie

Hanno da star quassù,

Maritarle conviene,

Altrimenti così non stanno bene.
BON.                     Io mi rimetto a quello che farà

Vostra più che lunare maestà.
ECCL.                   Ecco, viene Flaminia, ecco Clarice,

Corteggiando la nostra imperatrice.

SCENA ULTIMA TUTTI

LIS.                       Brave, brave ragazze, mi piacete.

Se voi mi servirete,

La mancia vi darò,

E quanto prima vi mariterò.
CEC.                      Sposa, venite in trono:

Se vostro sposo io sono,

Vuò che siam promotori e testimoni

Di due altri felici matrimoni. (va in trono con Lisetta)

Espero, a voi destino (ad Ernesto)

Flaminia per consorte.

La prenderete voi?
ERN.                                                   Sì, mio signore,

Lieto la sposerò con tutto il core.
CEC.                      E voi, Flaminia bella,

Siete di ciò contenta?


FLAM.

Contentissima.

ERN.

Sposa mia dilettissima.

FLAM.

Adorato consorte.

a due

Oh felice momento! oh lieta sorte!

ERN.

Cara, ti stringo al seno.

FLAM.

Caro, già tu sei mio.

a due

Oh che contento, oh Dio!

Ah che mi balza in petto

Tutto brillante il cor!

BON.

Oh figlia, oh sangue mio,

Nel vederti gioir, giubilo anch'io.

CEC.

Ecclitico, a voi tocca

Render lieta e felice

Con i vostri sponsali anco Clarice.

ECCL.

Eccomi, pronto io sono,

E della destra sua sospiro il dono.

CEC.

Clarice, il prenderete?

CLAR.

E perché no?

Anzi con tutto il cor lo prenderò.

ECCL.

Ecco la mano.

CLAR.

E con la mano il core.

a due

Oh felice fortuna! oh lieto amore!

ECCL.

Sposina mia cara.

CLAR.

Sposino diletto.

ECCL.

Mi sento nel petto

Il core balzar.

CLAR.

La gioia, l'affetto

Mi fan giubilar.

a due

Oimè, che contento!

Oimè, cosa sento?

Non posso più star.

BON.

Cara la mia figliola,

Il vederti contenta mi consola.

CEC.

Bonafede, che dite?

Siete di ciò contento?

BON.

Anzi ho piacere

Che sian le mie figliole maritate.

CEC.

Voi stesso l'approvate?

BON.

Signor sì...

CEC.

Quando dunque è così,

Per maggior sussistenza

Del loro matrimonio,

Acciò non si rendesse un giorno vano,

Congiungetele voi di vostra mano.

BON.

Sì, signor, dite bene:

Questa funzione al genitor conviene.


Qua la mano, qua la mano. (a Flaminia ed Ernesto)

Io v'unisco in matrimonio.

Stia lontano quel demonio

Che si chiama gelosia.

Lunga vita il ciel vi dia,

E figlioli in quantità. Qua la mano, qua la mano. (ad Ecclitico e Clarice)

Vi congiungo, e sposi siete.

State uniti, se potete;

Fra voi altri non gridate,

E al dovere non mancate

Della vostra fedeltà.

CEC.                      Orsù, tutto è finito. (s'alza)

Son fatti i matrimoni.

Bonafede è contento,

Voi siete soddisfatti.

Ognun vada a goder la sua fortuna,

E bisogno non v'è più d'altra Luna.
ECCL.                   Sì, sì, voi dite bene.

Or che siam maritati,

Or ch'è ognuno di noi lieto e giocondo,

Tornar tutti possiam al nostro mondo.
ERN.                     Al mondo ritorniamo,

E grazie a Bonafede noi rendiamo.
BON.                     Come? che cosa dite?

Intendervi non so.
CEC.                      Meglio dunque con voi mi spiegherò.

Bonafede tondo tondo

Come il cerchio della Luna,

Ritornate all'altro mondo

A cercar miglior fortuna.
ECCL.                             E le vostre donne belle

Resteranno qui con noi,

Maritate con tre stelle

Che son furbe più di voi.
ERN.                               Signor suocero garbato,

Non son stella qual credete:

Benché in stella trasformato,

So che voi mi conoscete.
BON.                              Ah bricconi, v'ho capito,

Son da tutti assassinato;

Ma tu sei che m'ha tradito, (ad Ecclitico)

Canocchiale disgraziato.
LIS.                                 È finito tutto il chiasso

Per me, povera meschina.

Lascio il trono e vengo a basso,

Che mi attende la cucina.


TUTTI                             Questo è quello che succede

A chi vuol cambiar fortuna: Tutto spera, e tutto crede Nelle stelle e nella Luna; Ma alla fin si pentirà Chi lunatico sarà.

Fine del Dramma.