Il mulo sardo lo inganni una volta sola

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Dal libro “trittico dell’obbedienza” Sellerio editore

Il mulo sardo lo inganni una volta sola

di Biancamaria Frabotta

PERSONAGGI

ALDA una psichiatra

ALBA una paziente

scena I

Siamo in uno studio psichiatrico. L'arredo è quello con­sueto: una scrivania, una poltroncina e un divanetto. Alda, una psichiatra di mezza età, è seduta alla sua scriva­nia, immobile e con lo sguardo fisso nel vuoto. La stanza è in penombra. Qualcuno bussa alla porta. Subito dopo si affaccia Alba, una giovane donna vestita molto povera­mente, con una valigia in mano.

albaPermesso? Posso entrare? C'è nessuno? {Entra timidamente, poggia a terra valigia, chiude la porta a chiave e si infila la chiave nella tasca) Ma come è buio qui!

alda(fra sé e senza voltarsi a guardare la nuova pazien­te) Ecco un'altra creatura importuna, priva di tatto e di pazienza. A che le servirà la luce poi? (Ironicamen­te} O dolce lume a cui fidanza i'entro...

alba- Non è questione di tatto. E che al buio le pa­role non si vedono.

alda(a voce più alta, ma sempre con lo sguardo fisso da­vanti a sé} Lei ha un udito molto sensibile. E non sempre un orecchio troppo fine è un vantaggio, come ha appena constatato. In ogni modo le porgo le mie scu­se. Davvero, dico davvero. La scongiuro di perdonar­mi. Le mie parole non erano destinate a lei e non è colpa mia se tutti quelli che entrano qui dentro vogliono subito impossessarsi del territorio. Sa, ci sono pazienti capaci di rubarmi anche le matite sul tavolo, o il posa­cenere. Come si fa al ristorante con la scusa del souve­nir. O ai grandi magazzini. Ci si chiude nello stanzino della prova, una maglietta sopra l'altra e via di corsa, tanto per provare il brivido.

albaIo non sono venuta per rubare. Anzi sono qui per restituirle qualcosa che le appartiene.

alda(si alza, va alla scrivania, aprendo e richiudendo con impazienza tutti i cassetti, come se cercasse qualcosa) Me­glio così. Anche se non riesco proprio a immaginare co­sa. Ha una certa stima di sé, vedo. Ottimamente! E proprio quello che ci vuole per cominciare. E poi non mi fraintenda. Il mio dovere è solo quello di cogliervi con le mani nel sacco. Mi pagate per questo, no? (Continua a cercare} Ma dove diavolo le ho messe? (Fra sé} Stai calma. Le pillole ci sono. Ci devono essere.

alba(si guarda intorno estasiata) Me la immaginavo come una grande scatola vuota questa stanza un ac­quario abitato da una fauna invisibile.  Mi bastava chiu­dere gli occhi, il fruscio delle alghe che vanno avanti e indietro, le briciole di pane che nevicano dall'alto, i pesci che si celano nell’ombra…

aldaGià. Come le mie pillole.

albaE poi le voci, gli echi. Come si può tacere in una stanza come questa?

aldaNon esageri, la prego. Non è decente lasciarsi trasportare dal suono delle parole.  Lei non vorrà cre­derci. Ma molti vengono qui solo per il gusto di ridurmi al silenzio.

albaE la luce! Proprio come l'ho sempre sognata. Una luce meridiana, radente, spietata.

aldaMa se poco fa si lamentava per l'oscurità!

albaPoco fa mi trovavo al di là di quella porta. Non avevo ancora levato l'ancora verso il mare aperto.

alda(finalmente trova le sue pillole, ne estrae una e la ingoia) Bene. L'ho sempre detto io. Essere venerati è meglio di un calcio sulle gengive. Non sono mica tut­ti come lei, sa, quelli che capitano qui dentro. La mag­gior parte dei miei pazienti la prima volta mi guarda con un'aria così contrita. Come per dire, ma guardi dove sono capitato! Da lei! E poi non vogliono mai pagare. Al dunque si inventano sempre qualche trauma oppor­tuno. Opportuno per loro, naturalmente. (Si siede sul­la poltrona, sforzandosi di assumere un tono più profes­sionale) Ma venga avanti. Non se ne stia lì impalata. Si avvicini! (Alba timidamente obbedisce) Ancora!

albaMa se non mi guarda nemmeno.

aldaNon ho bisogno di guardarvi per rilevare le vostre coordinate, o per indovinare quello che state pen­sando. O, meglio ancora, quello che credete di pensa­re. (Alba fa un altro passo, questa volta molto lungo) Alt! Basta cosi. Le ho detto di avvicinarsi, non di scaraventarmisi addosso (Troverà un divano alla sua destra.) Si sieda. Anzi si sdrai.

alba(sbirciando con ostilità il divano) Ero sul punto di rinunciare, sa? Continuavo a ripetermi: Non ce la farai mai, anche se lei è solo a un passo da tè. Poi, di notte, riprendevo coraggio e mi esortavo, al buio, a bassa voce, per non svegliare le altre.

aldaLe altre? Chi sono le altre?

albaLe nemiche. Le scettiche. Le miscredenti. So­no loro a scoraggiarmi. Mi vengono intorno al crepu­scolo, le streghe e mi si arrampicano sulle ginocchia, come su un promontorio abbandonato gli uccelli, quan­do il sole tramonta e, non appena fa buio, mi iniettano dentro il veleno delle loro lunghe insonnie.

aldaHo capito. Lei è come quei gatti che si avven­turano troppo in alto. E poi bisogna chiamare i pom­pieri per riportarli a terra.

ALBA ma io non gli ho mai dato retta a quelle voci di malaugurio. Devi solo attraversare il marciapiede, mi ripetevo. Non è poi così terribile. Anche tu puoi riuscirci.

aldaMa certo, certo. Qua tutto è possibile. (Pau­sa), Lei abita nella mia stessa strada, allora.

albaSì! (con affanno, temendo di essersi tradita} No!Io abito molto lontano di qua. E stato proprio per questo che son dovuta partire così presto questa mattina, con la mia valigia. La mia stanza è al secondo piano. Io odio il secondo piano. Il piano nobile, dicono le al­tre, e invece le tende sono sempre abbassate, dietro, gli iris crescono ogni minuto che passa, dilagano, di­vampano, sembrano così discreti, eleganti e invece so­no solo erbacce invadenti. (Pausa}. Ma lei continua a non guardarmi. Lei non guarda da nessuna parte.

alda- Dia retta a me. Si sdrai. Si sentirà subito meglio.

ALBA (con rancore) Anche gli alberi danno frutti solo alla mano che li cura con amore. Io non sono nata per giacere all'ombra di me stessa.

aldaCi avrei giurato, signorina Gentili. Non le di­spiace che la chiamo solo con il cognome, vero? Io pre­ferisco così. Sa, per mantenere le distanze, che del resto non si capisce come si potrebbero accorciare. Be­ne, signorina Gentili. Lei non vuole sdraiarsi. (Pausa}. Quel divano è come una vecchia barca sgangherata. C'è chi ci si tuffa dentro, chi ci si aggrappa come alla zat­tera della salvezza e dimentica tutto pur di salpare verso la sua isola felice. E poi ci sono quelli come lei che co­noscono solo la paura e l'umiliazione, probabilmente. Si fidi di me. Non è un letto di contenzione. Si lasci andare. (Pausa}. Questo è il nostro primo incontro, ma potrebbe essere anche l'ultimo...

alba Sono venuta qua da sola e lei mi sta già cacciando in un gregge. Se non le dispiace, io resterò in piedi.

aldaSi risparmi le cerimonie. Non ha nessuna im­portanza quello che piace o non piace a me. I miei gu­sti non sono in discussione qui. (Fra sé) Sempre così. Gli dai la buccia e vogliono la polpa. Gli dai la polpa e vogliono il nocciolo. Per risputartelo in faccia. (For­te) Quindi, non rientrano nel prezzo, i miei sentimen­ti. Si dovrà abituare a non metterli in conto, d'ora in poi.

alba(gelida) Su quale conto? Sul mio o sul suo?

aldaLei non vuole stendersi davanti a me, ma se po­tesse, mi spiaccicherebbe il cuore con la punta dei suoi piedini certamente delicati e ben calzati. Non è vero? (Lentamente si gira verso Alba che la luce ora illumina in pieno) Ma io la conosco, signorina Gentili. Io l'ho già vista. Ho la sensazione di averla già incontrata da

qualche parte. Molte volte, anzi... Ma si! Certo. Ora ricordo. Lei è la donna che mi attende tutte le sere, dopo l'ultimo appuntamento. E lei che si nasconde in giardino, tra il portone e il cancello, non appena fa buio. O addirittura nella guardiola del portiere.  E sta lì, senza dire niente. Ma sì. Riconosco i suoi occhi di bestia senza padrone. (Pausa). Lei non è la signorina Gentili.

albaNo. Non sono la signorina Gentili.

aldaCome è entrata qua dentro? Chi l'ha fatta pas­sare? (Si alza e si dirige verso la porta) Vivian! Vivian!

albaLa prego, non mi mandi via. Quando saprà per­ché sono qui non si pentirà di avermi fatto restare. Io sono... io sono il suo angelo custode!

alda(con ira) Ha scelto davvero un bel momento, il mio angelo custode, per venirmi a trovare.

albaIo farò la sua fortuna, se mi lascerà qua, con lei.

aldaE non parli di fortuna. Non voglio nemmeno sentirla pronunciare quella sciagurata parola. (Barcolla come per un improvviso giramento dì testa ed è costretta ad appoggiarsi a uno stipite per non cadere).

albaCos'ha? Si sente male? E troppo presto, io non sono ancora pronta, Alda.

aldaCome sa il mio nome? Chi le ha dato il mio in­dirizzo? (Verso l'esterno) Vivian! Vivian!

albaSmettila di chiamare. Vivian non può sentirti in questo momento.

aldaVivian! Ma perché non risponde? (Prova ad apri­re la porta e finalmente si accorge che è chiusa a chiave}.

albaNon devi preoccuparti. Ci sono io ora qui con tè.

scena  II

alda(con circospezione) Come hai detto che ti chia­mi, tu?

albaNon l'ho ancora detto.

aldaDillo, dunque.

albaMi chiamo Alba.

aldaQuasi come me.

albaSì. C'è solo una lettera che ci divide. Ma basta rovesciarla e allora nessuno potrà più distinguerci. E buffo, vero? I nostri nomi che si guardano allo spec­chio! I nomi sono sempre più astuti di noi. Vedono più lontano.

alda(persuasiva) Alba, ascoltami. Noi non possiamo restare qui, ora, troppo a lungo. Vedi, io aspetto qual­cuno, qualcuno che arriverà presto e si accorgerà di quel­lo che hai fatto. Magari è già arrivato; è di là che at­tende e fra un po' verrà qui, a bussare, a gridare. Che cosa gli dirai tu? Che mi hai preso prigioniera? Che so­no il tuo ostaggio? Cosa pensi di risolvere così? Se tu aprissi la porta...

albaNon c'è nessuno di là.         

aldaCosa hai fatto alla mia segretaria? Dov'è? Per­ché non risponde?

albaNulla. L'ho solo convinta che tu non hai più bisogno di lei.

aldaAscolta. Io aspetto un paziente, un paziente vero.

albaNessuno può essere più paziente di me. Sono giorni che mi sto preparando a questo. Giorni? Ma che dico? Mesi. Anni. Anni di iris, di grembiuli azzurri, di secondo piano. E poi là nell'atrio, o sul marciapiede, fra i garzoni di bottega, i ragazzi delle scuole, cosa cre­di che facessi, se non perdermi dietro ogni tuo passo? Mi piace così tanto spiarti dalla mia tana, guardarti sen­za essere vista. (Pausa). Non parlarmi di pazienza. E la mia unica forza. Non ho altro da offrirti.

alda(conciliante) Va bene. Ti credo. Tè lo giuro. D'o­ra in poi potrai venire tutte le volte che vorrai da me. Senza limiti di tempo o di denaro.

albaII denaro non l'ho mai avuto. E quanto al tem­po, ne ho così tanto, che ne posso fare anche a meno.

ALDA(da un cassetto estrae un grosso orologio, uno di quelli che un tempo i ferrovieri usavano per controllare gli orari dei treni}. Vedi questo? Era di mio nonno. Non ne fanno più di orologi così. Se ti dimentichi di dargli la carica, si ferma. E’ per via di questo orologio che ho scelto questo mestiere. Qua il tempo tu lo puoi bruciare e poi disperdere come si fa con la cenere dei morti. Ma non puoi sequestrarlo. Anche tu hai solo un'ora di tempo, per spiegarti, per giustificare la tua esistenza. Come tutti gli altri. Ma tu sei avida ed egoi­sta. Come tutti gli altri.

albaNon sono egoista. Tu lo sei. Ed anche cieca, se non capisci che io sono qui per tè. Io non sono libe­ra. Gli angeli non lo sono mai. Io sono costretta a pro­teggerti.

aldaSe mi restituisci la chiave cancellerò tutti gli appuntamenti di oggi. Tu sarai l'unica a godere del tempo che mi resta. (Pausa). E ti assicuro che non è molto...

albaLo so. Tè l'ho già detto. Sono qui per questo.

alda(gridando) Ma insomma, cos'è che sai tu? Tu non sai proprio nulla. Sei solo una povera visionaria, una...

albaUna pazza, vuoi dire?

alda(gridando sempre più forte} Sì! Sono i pazzi co­me tè che mi hanno risucchiato la vita, come si svuota un uovo dopo avergli praticato un buco. Qui sulla te­sta. Io non sapevo quello che mi sarebbe capitato. Mi sono fidata delle parole, delle grandi virtù risanatrici della Parola.

albaTelefona a tutti. Uno per uno. Liberati di lo­ro. Liberati di noi.

aldaE troppo tardi.

albaPerché? Se ne hai veramente l'intenzione, non è troppo tardi. (Allungando la mano verso il telefono) Lo farò io se tu non ne hai il coraggio.

aldaFermati! Non toccare quell'aggeggio spavente­vole, sai! Se lo tocchi lui suona. Fra un minuto, un'o­ra, un giorno. Non lo so. Ma si mette subito all'erta, si anima, allunga tutti i suoi tentacoli verso di te, ti zu­fola nell'orecchio le sue parolette seducenti: parla, co­munica, vivi, io ho bisogno di te. E tu vorresti metter­ti in mezzo. Non voglio testimoni io quando quel tele­fono suonerà. Quindi, vattene.

albaAndarmene? Per lasciarti sola qui? Tu e lui? Scordatelo.

alda(prendendosi la testa fra le mani} Ma perché? Per­ché proprio oggi? Oggi che non ho nemmeno la forza di badare a me stessa.

albaIo so molte cose di tè. Conosco così bene il tuo passato che posso anche modificare il tuo futuro. Se tu mi ascoltassi...

aldaIo non posso ascoltarti. Non posso e non vo­glio. Anzi visto che tu possiedi il dono della preveg­genza, come mai questo non lo sai? (Pausa). Io sono ar­rivata al capolinea. Io scendo, mia cara. Il viaggio è fi­nito. E proprio ora che cominciavo a godermi il pae­saggio. Allora? Sei sorpresa? Non tè l'aspettavi, eh? In ogni modo, se proprio insisti, c'è un posticino anche per tè.

albaNon è vero. Nemmeno l'altra volta hai voluto portarmi con tè.

aldaL'altra volta? Ma cosa stai dicendo? Dio mio. Risparmiami i deliri, gli enigmi, gli indovinelli, i rebus, i sogni, i sintomi, i lapsus, gli atti mancati e tutte le assurde specialità con le quali hai voluto distinguere co­storo dal resto del mondo. E avvicinarli a tè. Tu che sei così generoso con i pazzi che ti assomigliano. Quasi invidioso, direi. (Pausa) Vattene angelo! Vattene con i tuoi messaggi sinistri. Tornatene da dove sei venuta. La mia anima è vuota, come una zucca. Che tè ne fai di una zucca vuota?

albaCredevo conoscessi le regole del gioco. E me stessa che salvo, salvando tè. Ma non pensavo che avrei dovuto sprecare tanto tempo prezioso.

alda(ironicamente) Oh, scusami sai. Cercherò di vo­lare alle tue altezze, d'ora in poi. Ma spero che tu non vorrai essere troppo esigente. Capirai. Ho qualcosa qui nella testa che non mi permette di spiccare il volo così facilmente. Ma perché mai poi me la prendo con tè? E la giusta punizione che ho meritato. Non si può can­cellare con un colpo solo il passato dell'umanità. Voi siete il becco dell'uccello, la scaglia del serpente che so­pravvive dietro le nostre buone maniere. Anche tu fai parte della mia preistoria. Non posso fare a meno di tè.

alba Veramente non ne hai molte di buone manie­re, tu? Volevo dire prezioso per tè, naturalmente. Il tem­po. Per me, tè l'ho già detto, non ha un gran valore. E quanto a tutto il resto. Gli uccelli, i serpenti. Non fa niente. Ti ho già perdonato.

aldaMa come sei generosa! Grazie. Tu mi hai per­donato, ovviamente. Perché tu mi ami come tè stessa. Tu sei pazza e solo i pazzi possono realizzare il coman­damento evangelico. Sono solo pochi minuti che ti co­nosco e tu mi hai già innalzato sul piedistallo del tuo smisurato orgoglio. Ma questa volta io non lo soppor­terò. Tu tè ne andrai di qui. E subito anche. (Si avven­ta contro Alba che però riesce a raggiungere il divano e vi si avvinghia come a un salvagente} Sei un diavolo sca­tenato tu. Altro che un angelo. Scendi dal mio divano. Scendi subito, ti ho detto. O... muoio qui, davanti ai tuoi occhi. Ci sarà pure un modo di morire per autodi­fesa, no?

albaTi farai male con me. Non puoi farcela. Io so­no fortissima.

aldaAh! E così, eh? Tu vuoi ridurmi alle corde. E allora goditi lo spettacolo!

scena iii

Alda si getta in un vero e proprio carosello, come una do­matrice del circo alle prese con una fiera e fra le sue grida si odono in monotono ma ostinato controcanto le battute di Alba.

aldaVuoi che esca fuori di me? Non ci vuole mica molto sai? Non è difficile imparare la lezione. Anch'io sono un poeta, in preda alle sue smanie. Sei un angelo?

E allora vola! Su, vola! Voglio vederti in azione.

albaLa follia è l'opera d'arte del creato. Non puoi umiliarla, non puoi annientarla. Puoi solo ascoltarla.

alda(saltando su una sedia) Guardatemi signori e si­gnore! Non mi conoscevate? Eccomi qua. Ecco a voi l'ambivalente regina del labirinto dei pazzi, la vostra diletta domatrice di pulci e di leoni. Hic sunt leones, un po' smunti, in verità, un po' gracili chiusi come so­no nelle gabbiette che erano state costruite per le pul­ci. Ma questi sono i tempi e queste sono le virtù del nostro circo. (Salta giù e comincia a scagliare a terra tut­to quello che le capita fra le mani).

albaCi sono troppi misteri in un'anima sola. O trop­po pochi. E assurdo volerli misurare tutti con lo stesso metro.

aldaPrego avanti, avanti! C'è spazio per tutti. Ma con ordine, per favore. Non spingete, signori. C'è po­sto per tutti. Qua di lato, qua di dietro, qua davanti;

A ognuno la sua personale piccola mania, la sua micro­scopica cosmica dose di eccezionalità. Siamo tutti casi speciali. Ma certo. Non temete. Siamo speciali. Come tutti gli altri.

albaNon credi più nel tuo lavoro. Sei stanca. Pensi di aver dissipato la tua vita.

aldaChe bisogno c'è di spingere in questo modo in­decoroso? Un po' di dignità, per favore. Non vi preoc­cupate. Non toglierò niente a nessuno. A Cesare quel che è di Cesare, ma a Dio, cioè a me, quel che è di Dio.

albaTutte le certezze crollano intorno a tè, le spe­ranze, le utopie. Volevi cambiare il mondo solo con la forza delle parole e invece non hai fatto altro che peg­giorarlo.

aldaMa certo hai ragione tu. Solo nella schiavitù ci si sente veramente liberi. Senza oppressione non c'è gioia, non c'è gusto, non c'è sapore. In fondo c'è sem­pre una ragione. E poi voi siete furbi. Nessuno è più astuto di voi. Nemmeno i commedianti più diabolici ce la fanno con voi. Vi truccate, vi travestite. E il vo­stro inganno supremo il vostro capolavoro è quello di lasciarvi guarire di tanto in tanto.

albaE ora che con le parole hai fatto fiasco, vorre­sti farti sedurre dal silenzio, dalla contemplazione umile e immobile delle cose morte. Ma dal silenzio nascono solo massacri.

aldaVoi parlate... parlate... o state zitti... o dormi­te... o sognate, ma siete sempre voi, voi, voi. Mentre io me ne sto qui a rimuginare, a macinare il mio conto alla rovescia. Ecco quello che capita ad andare sempre indietro, come i gamberi. Si finisce in padella, in una bella fottuta frittura. E allora signori, non favorite? Non vi fidate, eh! Ma via, almeno sul sapore delle vostre budella, una volta che le abbiamo messe qui all'aria a seccare, in bella vista, beh garantisco io. Certo l'odore non è tra i migliori, ma non potrete pretendere di go­dere con tutti e cinque i vostri sensi?

albaTi sei abituata anche tu, ti sei rassegnata, hai cominciato a vivere come tutti gli altri. In libertà vi­gilata.

aldaE che ci volete fare signori miei, se qui il tem­po non avanza. Non è mica colpa mia. Ma niente pau­ra. Non avrete sprecato i soldi del biglietto. E compi­to mio tenervi svegli, dilatarvi le pupille con la luce incessante che acceca una mente malata. Si può morire di freddo anche nella luce più intensa. Non lo sapevate?. Poveri piccoli pazzi capaci di idolatrare solo i vo­stri aguzzini! Non c'è niente di più tirannico della ra­gione che vi cura senza capirvi.

albaQuando eri giovane, anche per tè tutto era ve­ro. Nello stesso tempo e nello stesso modo. Come nel­le fiabe.

aldaQuando ero giovane... (Cerca il vecchio orologio e lo esibisce con orgoglio al suo immaginario pubblico) II mio orologio! Ma, dico, avete considerato la nobiltà di quest'orologio? (Pausa). Gli oggetti non ricordano mai nulla. E siamo costretti a ricordare per loro. Mio non­no faceva il fuochista e muoveva le locomotive riempendo le caldaie di carbone. Era un uomo felice, mio nonno, quando era sui suoi treni. Ma un giorno quella boccac­cia d'inferno gli restituì tutto quello che aveva ingurgi­tato e gli sputò in faccia il suo fetido vapore. Gli si è stampata addosso la forma della felicità. E poi dopo, ogni volta che gli spiavo il petto sotto la camicia, vedevo dan­zare quel ricamo crudele sulla pelle. E ad ogni respiro si animava, ad ogni battito del cuore. Lui diceva che son cose che capitano a un fuochista. E quando Dio ce le manda non c'è niente da fare. Ma l'orologio è rimasto intatto, al suo posto. Tutto quel calore non è riuscito nemmeno a intaccarlo. Solo è successa una cosa strana. Le lancette cominciarono a girare all'indietro. Sì. Nes­suno poté mai capire perché. Ma era proprio così. Le lancette, ogni tanto, tornavano indietro.

albaAllora tutte le strade erano buone, perché non portavano a nulla. E ora invece ogni sentiero è sempre una scappatoia possibile, una verità, prima o ultima che sia, non importa, ma sempre una sola. (Pausa). Una volta, una di quelle col grembiule azzurro, laggiù nello stanzone del secondo piano mi ha detto: il mulo sardo lo inganni una volta sola.

alda(persa nel senso oscuro di questa frase, la ripete più volte fra sé) II mulo sardo lo inganni una volta sola... (Presa da un irrefrenabile furore) Vattene! Non ti voglio più sentire. Ti odio. Odio anche il suono della tua vo­ce, non solo quello che dici. E colpa tua, se mi sono ammalata qui, dentro la testa. E colpa vostra. Voi sguaz­zate nella poltiglia, trescate con le tenebre di giorno e di notte. Se solo avessi capito in tempo... Da venti anni chiusa in questa stanza mi son lasciata colare nel cervello tutti i vostri veleni. Li ho mescolati in un grande intruglio, l'ho setacciati col filtro del mio stupido otti­mismo. Non è vero che per fare il bene basta conoscerlo. Un'ostia bianca, trasparente, questo è quello che ho messo al posto del cuore. E ora che sta per spezzarsi non ho niente con cui rimpiazzarlo. Sono un guscio vuoto, una trafficante di monete false.

scena IV

Estenuata dallo sfogo e dalla fatica, Alda si è lasciata sci­volare a terra. Alba le siede accanto, come un cane che veglia sul padrone. Con molta discrezione le accarezza

i capelli, canticchiando un motivetto infantile, quasi una ninna nanna. Lentamente la luce si abbassa su di loro.

alda(con un filo di voce} Cosa fai? Cosa cerchi an­cora?

albaNiente. Metto ordine nella tua anima. C'è pol­vere dappertutto. E questo nel mio sogno non lo ricordo. E poi non sapevo di discendere da un fuochista. Mi piace. Sono contenta!

aldaTi sei impadronita del presente. Lasciami alme­no il passato.    

alba(volubile additando una piccola felce che langue sulla scrivania) Ma dico. E questo il modo di tenere le piante? E pensare che volevo portartene una oggi. Questa è una pianta che cresce solo attorno ai laghi, ai fiumi e tu la fai seccare in questo deserto di siccità.

aldaHai ragione. Quella felce sta morendo. Andia­mo a prendere un po' d'acqua di là...

albaNon tentare di imbrogliarmi, Alda. Tè ne pen­tiresti.

aldaSei proprio testarda come un mulo. Cos'altro potevo aspettarmi del resto dal mio angelo custode? Un mulo sardo, una pazza, un poeta.. Oh dolce lume a cui fidanza i'entro per lo novo cammin, tu ne conduci. (So­spirando, rassegnata, si rimette in piedi, si rassetta gli abi­ti e ingoia un'altra pillola) è così? A tè non ti si ingan­na due volte. Ascoltami bene. Non mi importa nulla che tu mi abbia, come dire... persuasa... a occuparmi di tè. E chiaro che tu mi scambi con un'altra. La follia non è che una eterna sostituzione, in fin dei conti. E perché poi dovremmo sempre distinguerci, come se le differenze fra di noi ci liberassero da ciò che ci rende sin troppo uguali

albaIo non potrei confonderti con nessun'altra. In tutte quelle lunghe ore di attesa, quando mi acconten­tavo di vederti anche solo per un attimo, la mattina pre­sto, o la sera, quando tè ne andavi camminando da so­la fra la gente, con la gonna spiegazzata, i capelli un po' in disordine, una smagliatura sottile sulla calza di cui solo io mi accorgevo, beh allora io potevo indovi­nare il tuo umore, anche solo dal tuo passo, se era più lento o impaziente di portarti via da me, se sotto la gon­na intravedevo una sottana di seta, o di nylon, se ave­vi scelto di indossare tacchi bassi, o alti, se legavi i ca­pelli dietro la nuca o decidevi di nasconderli sotto un cappello

alda(interrompendola) Tu dici di non essere libera. Io lo sono molto meno di tè. Tu puoi decidere, se re­stare qui o andartene. Anche se ora ti sembra di non poter nemmeno respirare lontano da me, che poi sarei la tua protetta. Ma io mi sono segregata con le mie stesse mani in questo carcere e la chiave l'ho gettata via da tanto di quel tempo. (Pausa). Io non ce l'ho con tè. Anzi ti perdono. Però ti propongo un patto e se tu sei veramente un angelo, come dici, dovrai rispet­tarlo.

albaSono pronta.

aldaQua ognuno ha la sua ora. E non sono previsti tempi supplementari. Noi abbiamo già consumato la me­tà del tempo che ci spetta. E’ come a teatro, sai. Dopo un po' il pubblico sbuffa, si agita sulle sedie, vuole uscire a fumarsi la sua sigaretta.

albaA me non importa nulla dei teatri. Non me ne andrò di qua se non a cose fatte.

aldaII patto che ti propongo è questo. Io aspetto una telefonata. Sarebbe più giusto dire un verdetto. Qualcuno non lontano di qui, un medico per la preci­sione, sta analizzando il mio sangue, che sembra porre qualche problema, da un po' di tempo in qua. E quan­do avrà la risposta userà quel telefono e ho qualche fon­dato motivo di credere che non si farà troppi scrupoli. E uno molto affezionato ai suoi pazienti. Non gli pia­ce tenerli troppo sulla cordai (Pausa). Tu vuoi salvar­mi, sembra. Beh, devi farlo prima dello squillo del te­lefono. Devi convincermi che qualsiasi sia il responso, sia valsa la pena consumare il tempo ad attenderlo. Ma prima dello squillo del telefono. Con tutti i tuoi mez­zi. La tua follia. La tua poesia. Ma prima!

albaE se non riuscirò?

aldaVorrà dire che sei scesa dal cielo solo per di­mostrare la tua forza. E dunque la mia debolezza. E per questo non c'era bisogno di scomodare gli angeli del paradiso, credimi.

albaDue navi che si sfiorano in una notte senza lu­na e con le stelle perse dietro la nebbia possono rischiare la collisione o smarrirsi nel buio, senza che nessuno, sul ponte, abbia il tempo di accorgersi dell'occasione per­duta. (Lunga pausa)Va bene, Accetto. Ma ora tu devi parlare. (La prende per mano e con dolce fermezza la accompagna sul divano destinato ai suoi pazienti} Devi rac­contarmi tutto. Tutto quello che sai e….che non sai.

aldaE così, dunque, che...?

alba{energica, quasi spietata} E così dunque che...

aldaVuoi che io reciti la tua parte. (Si sdraia senza più opporre resistenza).

scena v

aldaDi che devo parlare? Non so che dire. Sono così abituata ad ascoltare. E così sicura che se anche voles­si, lì sulla mia poltrona, nessuno... Potrei raccontarti di quella scalfittura sul muro. Sì, quella, in alto, pro­prio là davanti a noi. C'è sempre stata, sai? Da quando sono entrata qui per la prima volta. Un graffio sul mu­ro non vuoi dire nulla. Può essere! o non essere! e nes­suno se ne accorgerebbe. Ma io invece me ne sono ac­corta subito. E ogni volta che tornavo, dicevo, ecco è sempre lì, è più profondo, è più scuro. Pensavo, potrei far ripulire la stanza. Ma non mi decidevo mai. E quel graffio alla fine era come se ce l'avessi inciso nel cervel­lo. E cominciato tutto da lì. Da quella scalfittura nel­l'intonaco. Prima mi si è abbassata la vista. Poi l'udi­to. Non riuscivo nemmeno più a sentire i miei pazienti. Mi veniva voglia di zittirli. Ma cosa state dicendo? Io non vi capisco più. E poi capire, capire, sempre ca­pire! Ma cos'altro c'è da capire ancora! (Pausa}. Mi vuoi far diventare sentimentale, eh, testarda di un mulo... Cosa vuoi estorcermi? Che io non ho vissuto la mia vi­ta e che adesso che quel telefono sta per suonare non ho da opporgli altro che fantasmi? E nemmeno i miei fantasmi. Questo vuoi farmi confessare? Ma questo non è pane per gli angeli. Questo è intimismo da quattro soldi. Vuoi farmi dire che qua dentro, fra queste pare­ti, non c'è nemmeno l'ombra dell'uomo che non ho sa­puto trattenere vicino a me in anni lontani? Cosa vuoi! Mi sembravano così lenti, noiosi i riti della vita quotidiana. Una giornata paga del suo pigro odore di bestia soddisfatta.. Sì, va bene. Non ne ho mai voluto sapere. E allora? Qualcosa da ridire? (Pausa). Ridire! Come sono stupide le parole. Qualcosa da ridere, magari. O da dirimere. O da diradare. O da radere... Un uomo che si rade la barba, una volta al giorno o due volte al gior­no. Che si cambia la camicia. Che lacera i calzini con le unghie, perché si dimentica di tagliarle. Dio, che or­rore! Non lo senti subito il tanfo dei buoni sentimenti?0rrori crepuscolari. Errori dei presuntuosi che danno importanza anche al rimbombo dei loro rutti. Di' un po', non ti basta? Guarda che io continuo. Ma sì, una volta che si comincia... Solo che dopo un po' non è venuto più nessuno da quello strano luogo dove la vita non vis­suta va a incancrenirsi. Avranno avuto paura della mia distrazione. Anzi no, della mia concentrazione. Trop­pa concentrazione, si sa, evoca subito i campi di concentramento. Non sarò un poeta come tè, ma sui gio­chi di parole ho anch'io il mio piccolo pedigree  (Pausa). Radici servono, per non cedere alla tentazione di dominare il mondo con le parole. E invece intorno a me solo piante caduche, effimere, stagionali...

ALBA  Eppure tu qui non sei sola. Sento tante voci, tante strane presenze, qui intorno.

ALDA Certo. Sono i vostri fantasmi. Anch'io li sen­to, la notte, quando rimango qui, dopo che l'ultimo pa­ziente se ne è andato. E Vivian si affaccia a quella por­ta; mi saluta; corre a prendere l'ultimo tram Allora si fanno vivi, uno per uno. O tutti insieme, come per non andarsene, per trattenermi, per non morire con me. I vostri fantasmi sono tutti uguali. Sono di bocca buona i fantasmi dei pazzi. Non vogliono nulla, le loro richie­ste sono elementari, direi. Vogliono solo restare dove stanno. Vuoti, leggerissimi.

ALBA Anch'io sono vuota dentro, quasi inesistente. Ma io lo sono dalla nascita. E non venirmi a dire che sono uguale a tutti gli altri. Io non sono una copia. So­no un originale io, un originalissimo esempio di vuoto d'amore.

ALDA Alba, perché hai passato il tuo tempo a spiarmi?

ALBA Spiarti? Oh no! Eri tu che mi chiamavi. Che non mi lasciavi mai un attimo di libertà. Quando tornavo laggiù, fra le streghe mi guardavo allo specchio e non riuscivo a veder nulla. Allora dicevo, il mondo è diven­tato così pesante. Mi cadrà addosso e mi schiaccerà.

ALDA Per questo ti son spuntate le ali?

ALBA Sì. Ma non dirlo a nessuno. (Ridendo) Mi crederebbero pazza!

ALDA Io so quando è cominciato tutto, ricordo l'at­timo preciso e anche il luogo. Proprio là, sulla porta, una mattina di giugno, fresca, limpida, nell'ora fra­gile di ogni risveglio Ho sentito come un brivido sul collo, una carezza leggera dietro la nuca e ho pensa­to, ecco, ci siamo, annegherò in un bicchiere d'acqua, ne pieno, ne vuoto e non saprò mai se è stato l'ecces­so di vita ad uccidermi, o la sua povertà, la sua mise­ra tirchieria. Mi sono toccata la fronte, le guance, le labbra e la pelle mi è sembrata così arida, fredda... devo cambiare crema, mi sono detta, ho bisogno di una vita più grassa, più nutriente. E poi quel sogno, ossessivo, sempre lo stesso, quel fiume e io ferma, in piedi, sulla sponda e l'acqua sotto, velocissima, co­me per non lasciarmi nemmeno l'ombra di un dub­bio... un passo, basterebbe solo un passo... un atti­mo di troppo... oppure il vento... un piccolo colpo di vento...

ALBA Ma dietro ci sono io, a terra, in mezzo all'erba. Spuntano come funghi dalla terra le mie mani, i miei piedi. Mi hai avvolto in uno scialle, ma io ho freddo, tremo tutta...

ALDA (alza le mani davanti al viso spaventata, quasi per difendersi da un'aggressione} Anche i sogni, anche i sogni mi rubi...

ALBA Solo ciò che sappiamo si ripete e ci sembra nuovo.

ALDA Perché mi fai parlare allora, se sai già tutto?

ALBA Perché anch'io faccio parte del tuo sogno. Da tanto tempo, sai. Da quando mia madre morì nel fiu­me e io, la sopravvissuta, l'abbandonata, l'inutile te­stimone...

ALDA (alzandosi dal divano) Tua madre. Comincio a capire. Smettiamola con questa recita insensata. È  pe­ricoloso Alba. Non è un gioco per angeli questo.

ALBA .E’ dalla prima volta che ti ho visto, là, dalla finestra del secondo piano. Non ho mai avuto un solo dubbio. Le mani, il modo di camminare, il profilo della nuca, tutto uguale, identico. Sei in piedi, altissima, e io vedo solo le scarpe, le gambe, quella smagliatura nella calza. Nient'altro. Solo te. Solo lei. E il vostro ritorno, quando ormai non vi aspettavo più. (Pausa). E più difficile riconoscersi, dopo. Non te ne faccio una colpa se non mi hai capito subito.

ALDA Un sogno, un altro sogno... Alba, i sogni sono bugiardi.

ALBA I sogni sono il nostro unico pane. E il pane non si spezza invano. Non tè l'hanno insegnato, forse? Co­sa ci sei andata a fare a scuola? A cosa ti sono serviti tutti i tuoi libri?

ALDA Per un attimo ho creduto veramente che la mia vita fosse nelle tue mani.

ALBA Ma lo è, lo è. E tutto in quella valigia. (Indica la valigia dimenticata accanto alla porta) Tieni (Le porge una piccola chiave) Aprila. Quello che contiene ti ap­partiene. Sono venuta a restituirtelo.

SCENA VI

Alda prende la chiave e si avvicina alla valigia come se la vedesse per la prima volta. Le si inginocchia davanti e la apre con circospezione. Lentamente comincia ad estrarne alcuni oggetti. Sono vecchi capi d'abbigliamento, or­mai fuori moda: un paio di sandali; un abituccio di seta a fiorì, molto consumato e di foggia sorpassata; una bor­setta; un cappello di paglia. Alda prende gli oggetti uno per uno, li tiene a lungo in mano, li palpa, li accarezza, poi prende il vestito, se lo avvicina al corpo, quasi per pro­varlo, quasi non riuscisse a resistere al suo mesto richia­mo di cosa smessa.

ALBA Provalo. Forse ti va ancora. E passato tanto tempo, ma le cose durano più di noi e, anche se le abbiamo dimenticate, sono pazienti. Ci aspettano. {Alda esita, poi si spoglia e lentamente, come se da quella stoffa consunta emanasse un fluido speciale, lo indossa, mentre, durante il rito della vestizione, Alba la fissa immobile. Poi con altrettanta devozione solleva le vecchie scarpe e gliele porge) E ora queste. Ma fai attenzione. Sono molto sciupate. Il vestito tè lo togliesti, prima... chissà perché... lo sfi­lasti, lo ripiegasti con cura e lo lasciasti lì sull'erba... ma le scarpe, no... erano troppo belle. Quando le hanno ritrovate, una aveva perso il tacco. (Con orgoglio} Ce l'ho fatto rimettere io qualche anno fa. Prendi. (Alda le obbedisce, evidentemente non può agire diversamente, non sa quello che fa, ne perché lo fa, ma è costretta a pro­cedere nel suo travestimento} E ora il cappello. (Con de­licatezza Alba solleva il grande copricapo di paglia, lo pog­gia sulla testa di Alda, annodandole il nastro sotto il mento} Sì, portavi anche il cappello, quel giorno, eppure non c'era solevo, no, niente sole, niente luce, nessun colore solo una foschia leggera, trasparente e un debole vento, troppo debole per cambiare il corso delle cose. Anche la valigia hanno ritrovato, sotto il salice, vicino al vestito... E la borsetta... Eccola... Non è di pelle, ma è quasi nuova e poi è bene intonata al resto. Hai sempre avuto buon gusto tu per gli accessori. Anch'io ero un accessorio ben intonato... Prendila, è quasi vuota. A ci sono solo un po' di soldi e una mappa della cit­tà. Ma non deve esserti servita a molto, non c'era al­cun bisogno di una mappa per arrivare al fiume... At­traversa tutta la città il fiume.. La notte non era anco­ra finita... E l'erba era così sporca... O forse è il sudo­re della città che la fa sembrare ancora più viscida. (Rab­brividendo} Me lo sento ancora sulle mani, sui polsi... Strano, perché mi avevi con cura infagottata prima… Non mi avevano mica visto, sai? Stavano per gettarmi nella spazzatura... Poi per fortuna si sono accorti della borsa... E una bella borsa... Ma aprila, guarda dentro. (Alda passivamente obbedisce, apre la borsetta e ne estrae una fotografia, la guarda a lungo e ipnotizzata legge in si­lenzio una data).

ALDA Undici giugno...

ALBA Non ti riconosci? Ma come? Non riconosci il vestito, le scarpe, il cappello? Era un gran giorno quel­lo per noi! Qui l'hanno tagliata, la foto... Sulla destra... Ci manca qualcosa... qualcuno... ma tu ridi, hai il ven­to alle spalle, una frezza di capelli ti fa il solletico sugli occhi e ti sei appena tolta gli occhiali da sole... qua sporgi la mano... oltre il niente... dai la mano al niente... a me forse... eh sì, è proprio una bella foto... sarebbe stata  benissimo sulla tua tomba... ma a tè, dopo, non ti hanno più ritrovato... il corpo, dico... perché il resto, il re­sto, vedi bene anche tu.,. Ma come è possibile che tu non ti riconosca? "

ALDA Lo hai detto tu, poco fa. E più difficile riconoscersi, dopo.

ALBA Eppure la volesti tu quella foto. Con tutte le tue forze, prima, prima che...

ALDA (fra sé} Prima che il telefono squillasse...

ALBA (la contempla pienamente soddisfatta) Sei perfetta, ora. Proprio come nel sogno. (Pausa) Io ho fatto la mia parte. Ora tocca a tè decidere. Ma questa volta, ti scon­giuro, non lasciarmi sull'erba, non lasciarmi a guarda­re. Portami con tè fino in fondo, oppure...

ALDA Oppure? (Alba tace come se qualcosa, un peso insopportabile, la trascinasse nel fondo di una memoria piena ricordi) Ma perché proprio io?

ALBA Perché anche tu sei sul ciglio di un fiume e ti guardi. E dall'altra parte la tua immagine riflessa nel­l'acqua potrebbe sciogliere tutti i tuoi legami e liberar­ti, oppure imprigionarti per sempre in quel logoro specchio.

ALDA Dunque, tu vuoi che io ripeta per te tutta la scena?

ALBA Per filo e per segno.

ALDA Ma questo non la potrà far tornare in vita... Ne lei... Ne me... Ne tè... Io non posso resuscitare i morti.

ÀLBA Ma io non voglio questo. Voglio che chi muore  muoia per sempre. E che il tuo volto non riaffiori più dal fiume, per tormentarmi. Voglio che il tuo abito si  dissolva, che le tue scarpe restino impigliate giù, nella melma. E la tua borsa sia trascinata fino al mare. E che io non debba più aprirla e frugarvi dentro un passato che non mi appartiene. (Gridando) insomma, se vuoi morire, muori, ma scompari per sempre! Altrimenti, salvami, insieme con tè!

ALDA (si prepara a entrare nel ruolo, prima esitante, poi sempre più convinta} Tu certo sai perché io mi decisi a quel gesto... sconsiderato. Non eri poi così piccola e hai visto che...

ALBA Io non ho visto che tè, che lei!

ALDA Ma mi devi pur dare un filo, una chiave per en­trare nella sua vita. Nella nostra vita. (Pausa). E va be­ne. Farò tutto da sola. (Prende per mano Alba, la fa sedere a terra accanto a sé, come se dovesse raccontarle una lunga fiaba} C'è aria di festa oggi in città. È un giorno importante per tè. È il tuo compleanno e tu vuoi usci­re a spasso con me, ma non puoi camminare tanto. Sei ancora così piccola. Si contano sulle dita di una mano, i tuoi anni. Eppure un regalo ci vuole... Un regalo che la mia bambina non possa più dimenticare. Cosa posso inventare per tè? E una giornata chiara, molto lumino­sa. Non vedi come è leggero il mio vestito? E i sandali, azzurri come il mare di giugno. Già, forse dovrei por­tarti al mare. Ma l'aria è ancora troppo fresca e la pri­mavera non si decide a prendere il posto dell'inverno. E poi da qualche tempo qualcosa non va dentro di me, mi sento sempre così debole, così stanca... E tuo pa­dre che non c'è mai. Tu nemmeno lo conosci. Non lo hai mai visto. E nemmeno io, quasi. I padri spariscono presto e lui se ne è andato da un'altra parte del mon­do, chissà, forse si è imbarcato per mare, forse ha pre­so il volo, forse fa il fuochista, come mio nonno. Ma a me piace portarti a spasso negli immensi viali albera­ti della nostra città. A casa siamo sempre sole e tu dor­mi tanto, troppo, con le guance rosse e il respiro affan­noso di bestiolina impaurita. {Pausa}. I bambini sono come i morti che stringono il loro segreto nei pugni chiu­si e non li vogliono aprire. Ma oggi è la tua festa e noi andremo nel parco. Cammineremo sull'erba, fra i sedi­li di pietra, i vecchi tavolini di ferro, quelli allegri dei chioschi all'aperto, con tre gambe soltanto, e basta una spinta leggerissima a farli rotolare sulla ghiaia. Sei così piccola che quando ti siedi, il mento ti arriva al vas­soio e i piedini non toccano terra. Ma prima di uscire squilla il telefono. Le analisi sono pronte... Bisogna an­dare, non si può mica rubare troppo tempo al destino... E allora mi vesto di gala per questa grande occasione, attenta a non dimenticare nulla di ciò che serve a un viaggio importante... Un cappello, largo e leggero co­me una vela... Una mappa per orientarci nel labirinto che ci aspetta e... una valigia, una valigia vuota, inuti­le, che non serve a nulla, ne a partire, ne a restare. Per­ché io non ho fretta di arrivare troppo presto. Anzi non vorrei arrivare affatto e così ti trascino per strade e mar­ciapiedi e interminabili portici e a forza di trascinarti mi si rompe un tacco, ma io continuo a correre, così, con un sandalo al piede e un altro nella mano, zoppi­cando, come una bestia ferita che ha perso l'orienta­mento. E tu mi dici, mamma, perché non ci facciamo una fotografia? Così ce lo ricordiamo, questo giorno. E allora entriamo in una di quelle strane scatole dove la gente si mette in posa per pochi soldi. Tre scatti e poi più niente. Per l'eternità. E poi via di nuovo, ma ho la valigia, tè, e ora anche i risultati delle analisi. Vor­rei raggiungere la stazione, ma lo voglio solo con la te­sta, non con le gambe e non riesco ad allontanarmi dal viale che porta al fiume. E stata una primavera molto piovosa, il fiume è gonfio di fango e tu dici, mamma, perché non ci fermiamo un po'? E allora io ti prendo in braccio e tu ti addormenti, la testa sulla mia spalla e io sento che sorridi nel sonno. Chissà che cosa stai sognando. {Pausa}. Dio mio, come sono stanca! E se mi riposassi un po'? Solo un attimo, giù, accanto al fiume. (Pausa). Poggio la valigia a terra, ti adagio sull'er­ba, piano per non svegliarti. Ma tu hai aperto gli occhi e mi fissi muta, immobile, all'ombra di un grande sali­ce. Quando ero bambina, in campagna, raccoglievo una foglia e la portavo alla bocca e ne usciva un suono dol­ce, come di zampogna e sulle labbra rimaneva quello strano sapore verde, d'erba bagnata... E allora... per­ché non fidarsi di quel buon sapore? Perché per una volta non lasciarsi andare alla corrente? (Si lascia cade­re in avanti, come oltre l'argine di un fiume, ma si ode il grido acutissimo di Alba mentre la scena resta al buio}.

SCENA VII

ALBA Alda, dove sei? Mi senti?

ALDA Sono qui. Accanto a tè. (A tastoni nel buio cer­ca una candela e l'accende. Si siedono entrambe per ter­ra, una vicina all'altra. La luce incerta della candela le induce a parlare a voce bassa, quasi non dovessero distur­bare qualcuno, restato ad aleggiare nella stanza).

ALBA E andata via la luce. E ora, che facciamo?

ALDA Aspetteremo che torni.

ALBA E se non dovesse tornare?

ALDA Quando sei entrata qui, era quasi buio. E a tè sembrava che splendesse la luce di mezzogiorno.

ALBA E l'ora peggiore, quella, perché io vorrei cor­rere nel sole, ballare, cantare e invece qualche volta per la disperazione di quell'ora tremenda, mi straccio le vesti e mi squarcio la pelle con le unghie. A tè non capita mai?

ALDA No. A me non capita mai.

ALBA Non ti toglierai più quell'abito, vero?

ALDA No. Non lo toglierò più.

ALBA Nemmeno dopo che io sarò andata via?

ALDA Nemmeno.

ALBA E le scarpe?

ALDA Terrò anche quelle.

ALBA E il cappello?

ALDA Anche.

ALBA Allora posso andarmene? (Si alza e si dirige ver­so la porta che aveva chiuso a chiave e la apre, poi si gira verso Alda, come colpita da un pensiero improvviso) la chiave. Devo restituirti la chiave!

Alba lascia cadere la chiave a terra e, dopo un ultimo sguar­do, se ne va, richiudendo la porta dietro di sé. immedia­tamente dopo, squilla il telefono. Alda rimane seduta a terra a lungo, rivolta verso il pubblico. Mentre il telefono continua a suonare a vuoto si china sulla candela e soffia sulla fiamma.