IL
MUTUO
di
GIORGIO CASINI
Commedia (si fa per dire) in due atti
Personaggi
ARTEMIA vecchia, abbastanza sorda
ALEARDO suo marito, sordo pure lui
ULIANA loro figlia
GOFFREDO loro figlio
REGINA moglie di Goffredo
GIGINO figlio di Goffredo e Regina
VOLFANGO banchiere, uomo distinto
TAMARA passeggiatrice
Di questi tempi, in casa d'Aleardo…
Scommesse, discussioni, idee… strane
La commedia è ambientata a Pisa, i personaggi parlano con qualche
"toscanismo". L'azione può essere trasportata in qualsiasi altra
zona, adattando i nomi delle località menzionate.
PRIMO ATTO
Stanza di soggiorno: tavolo al centro, con sedie, mobiletti vari. Arredamento
modesto.
SCENA 1 - ALEARDO, ARTEMIA
Vecchietti, piuttosto sordi. Aleardo legge un giornale, tenendolo rovesciato,
Artemia spazza
ARTEMIA- (Con la scopa va ad urtare i piedi di Aleardo). Aleardo, alza i piedi,
ho da spazzare. (Immerso nella lettura, non risponde). Aleardo! Scànsati! (Lo
urta con la scopa)
ALEARDO- Stai un po' attentina con quella scopa! Se mi spazzi i piedi, poi non
trovo più moglie! (Resta seduto)
ARTEMIA- Scànsati! Ho da pulire!.
ALEARDO- Lo diceva sempre la mia nonna; era un proverbio dei suoi tempi. E i
proverbi, si sa, sono la saggezza dei popoli!
ARTEMIA- Se non ci pensassi io, a pulire qui dentro… (osserva meglio).Aleardo,
come lo leggi il giornale: alla rovescia? (Mimica adeguata per farsi capire).
ALEARDO- Eh? Cosa? Il giornale?… non lo leggevo mica, guardavo le figure. (Si
alza). Ti ho detto di stare attenta: se mi spazzi i piedi, non trovo più
moglie.
ARTEMIA- Eh? Le doglie? C'è qualcuno sopra parto? Chi è?
ALEARDO- Io!
ARTEMIA- Tée?! Non farmi ridere! Alla tua età!
ALEARDO- Io!… Cos'hai capito? Moglie, dicevo, moglie!
ARTEMIA- Moglie! Sì, hai ragione: per mettere al mondo un figliolo, è meglio
essere sposati. Te sei sposato… con me ma oramai sei vecchio! E poi siei un
uomo! Già, ora che mi ci fai ripensare: i mariti non li fanno mica i figlioli…
Aleardo, dimmi tutto: cos'è successo?
ALEARDO- Ma quale cesso! Qui! I piedi! O Artemia, ma non capisci mai! Va bene
che sei un po' sorda, ma stai attenta. La radio non ce l'hai più? (Mimica per
indicare un apparecchio acustico)
ARTEMIA- No, la radio non ce l'ho: ha le pile scariche. Tanto, fra noi, ci si
capisce a gesti, vero Abelardo?
ALEARDO- Hai ragione: fa caldo; comincia a darmi noia. Bei tempi quando eravamo
giovani: non si sentiva né il caldo né il freddo… si sentiva soltanto quel
languorino… dentro. Te ne ricordi, Artemia, del languorino?
ARTEMIA- Il sudorino… a sfaccendare si suda. Se non ci fossi io chissà cosa
diventerebbe questa casa! La tua figliola Uliana, oramai è diventata una
signorina e non c'è da fargli fare niente. Regina: tua nuora, la moglie del tuo
figliolo, lei sì che non muove foglia: una spolveratina a malapena in camera sua,
e chi s'è visto s'è visto. Come ci siamo ridotti!
ALEARDO- (Ha seguito appassionatamente la battuta, credendo che la moglie
ricordasse i tempi della gioventù). Te lo ricordi il languorino, eh? Era un
mucchio bello: te lo sentivi venire su piano piano, e poi, e poi… e poi cosa
succedeva? Non me lo ricordo mica più… anche se mi strizzo il cervello, non mi
vuole tornare nella memoria. Beata te, che ricordi tutto… io invece…
ARTEMIA - Dammi una mano a ripulire, invece di fare chiacchiere sulla gente che
mette al mondo i figlioli. A dirla giusta, però, non ho ancora capito tanto
bene chi è che deve partorire.
ALEARDO- Partire? Sarebbe bello fare un bel viaggio… è tanto che non ci si
muove di casa. Artemia, dove ti piacerebbe andare: a Uliveto… o a San Giuliano…
o sennò a Bagni di Casciana!
SCENA 2 - REGINA, ALEARDO, ARTEMIA
REGINA- (Entra sulle ultime parole). La piglia ariosa! Vuole andare alle terme,
il signorino! Aleardo, non si vergogna punto: alla sua età sta sempre a
bighellonare, a ragionare di partire, andare a giro… con le donne! Che poi,
vero, non si ricorda nemmeno più come si fa. (Artemia la osserva come se
dicesse cose gentili)
ARTEMIA- Guà, Regina, sei venuta a darmi una mano? Brava! Credi cominciava a
dolermi la schiena a stare chinata a spazzare.
REGINA- Oh, senta eh! Io ho già pulito in camera mia, ora basta! Non sono mica
la serva in questa casa! Se è vecchia vada all'ospizio; o si faccia aiutare
dalla sua figliola! Ma anche lei trova sempre tutte le scuse per sgattaiolare e
non fare un bel niente: una volta, deve andare dalla pettinatrice, poi a
ballare, quando da una parte, quando dall'altra; un minuto in casa non ci sta
mai, per aiutare sua madre!
ARTEMIA- Di chi discorri, della mia Uliana? Ti garba, eh, quella ragazza?
Brava, per bene, è tanto buona, seria, lavoratrice. Ci credi, certe volte, mi
tocca dirle: smetti un po' d'affaticarti… vai fuori a prendere un po' d'aria… a
cercare di trovare un marito. Oh, ce ne sono tanti bravi ragazzi nel mondo…
senza volerlo, due s'incontrano… un colpo di fulmine può sempre succedere.
REGINA- Altro che fulmine! Ci vorrebbe il terremoto, per innamorarsi della sua
figliola! Ma del dodicesimo grado! Ci vorrebbe un'inondazione, la bomba
atomica! Gli uomini, si sono fatti furbi… e poi, vero, non è mica più una
ragazzina. Qualche annetto comincia a portarselo, sulle spalle.
ARTEMIA- (Continua a spazzare). In fondo, non ci sarebbe nemmeno bisogno di
trovarne uno tanto benestante… basterebbe che avesse il suo stipendio… vero
Aleardo? (Aleardo continua a leggere il giornale). Abelardo! Cosa dici: la
bimba, lo troverà un fidanzato?
ALEARDO- È scappato? Chi? Dove? Il giornale non dice nulla.
ARTEMIA- La bimba! Uliana!
ALEARDO- Ah, Uliana… era qui or ora… (Ci ripensa. Allarmato). Cosa? È scappata?
Con chi, dove, quando?… (Calmo). Ma tanto ritorna; chi la prende, quella lì.
REGINA- Senti lì che lavori! No, non è possibile, non è possibile continuare
così! Due vecchi rimbambiti che non capiscono nulla. Sordi! Gli domandi a
cuori, ti rispondono a picche! Io non ce la faccio più!
ARTEMIA- Dicevi del mio Aleardo, eh? Poverino, bisogna compatirlo: è vecchio,
ma è tanto buono.
REGINA- (Fra se). Fallo essere anche cattivo…
ARTEMIA- Avresti dovuto vederlo quando lo conobbi; bel giovane: con la divisa,
faceva il suo effetto. Lavorava in quell'impresa di pompe funebri, portava via
i morti. Io, mi ricordo, stavo fissa al cimitero per vederlo passare. Ma lui
non mi degnava: appena finito il funerale, andava di corsa a bersi un poncino,
per rimettersi dall'emozione diceva lui. I bar sulla via del camposanto, lo
conoscevano tutti. Misericordia, lo chiamavano!
REGINA- Che conquiste! S'era innamorata della divisa! O del carro? Come si
dice: il fascino dell'uniforme; mettici anche la vettura…
ARTEMIA- Era bravo: i suoi clienti non si sono mai lamentati.
REGINA- Vorrei vedere!
ARTEMIA- Certe volte, la capatina al bar ce la faceva anche all'andata. Fermava
il carro e diceva ai parenti che piangevano: in questo locale, ci hanno un vino
che fa risuscitare i morti. Si prova? Non si sa mai…
REGINA- Voleva ubriacare anche il morto!… Dove son venuta a finire! Pensare che
da ragazza ero piena d'ambizioni: al paese stavo bene, c'erano tanti giovanotti
che mi facevan la ròta. Oh. La mia famiglia era piuttosto altolocata, si aveva
un pezzo di terra, la casa; mio babbo era conosciuto da tutti. Avrei potuto
andare alle scuole… addottorarmi. A babbo sarebbe garbato…
ARTEMIA- Anche i funerali, non son più come quelli d'una volta: i cavalli coi
pennacchi, tutti bardati di nero, un bel carro colle lanterne, le corone… Ora
invece ti ficcano il morto dentro un'automobilina, una requiescantinpaceammen e
arrivederci a portainferi.
REGINA- Lei ha i morti nel capo! Dicevo del mio paese, di mio padre!
ARTEMIA- Ah, tuo padre. Sì, me lo ricordo: faceva il contadino.
REGINA- Ci aveva un pezzo di terra… la lavorava.
ARTEMIA- Sì… quell'orto… dietro la casa… che l'avevi un po' riaggiustata perché
prima era una stalla, mi pare… in mezzo a quel campo, che non ci cresceva quasi
nulla, era tutto sassi e cespugli. Che te, il più delle volte non andavi
nemmeno a scuola perché era troppo lontana… E difatti, un po' zuccona, sei
venuta su.
REGINA- Ma forse lei, non se lo ricorda…
ARTEMIA- Poverina, anche te: hai patito tanto. Meno male trovasti Goffredo… il
mio bimbo… insomma, hai visto: ti sei sistemata anche te.
REGINA- Il suo bimbo? Buono quello! Sta fisso alla sala corse a giocare sui
cavalli. Ci finisce tutti i quattrini che guadagna! Che poi, vero, non è che
siano un gran che: lavora in quell'impresa di pulizie che i più giorni stanno a
casa perché non hanno lavoro.
ARTEMIA- Il mio Goffredo. Va a lavare le scale, gli uffici, le banche. Certi
pavimenti lustri sembrano specchi! "Scivola e Rimbalza", è il nome
della ditta.
REGINA- Ma tanto lui, il capo non se lo rompe mai, non c'è pericolo! Come
l'avete allevato male! Fra lui e la sua sorella avete tirato fuori due
esemplari da Luna Park Da baraccone delle paure!… E ora, con Gigino vorreste
fare lo stesso. Meno male che ci sono io! Il mio figliolo l'allevo da me! Come
mi pare!
SCENA 3 - GOFFREDO, REGINA, ARTEMIA, ALEARDO
ARTEMIA- (A Goffredo che entra). Guà, Goffredo, sei arrivato. Aspettami qui
bellino, ti faccio un bello zabaione! Poverino, (A Regina) è stanco, lo vedi.
REGINA- Stanco di fare nulla! Guardalo lì com'è patito: gli ci vuole lo
zabaione. Glielo faccia con un bell'uovo di struzzo, è più grosso!
GOFFREDO- Allora? Avete finito? Ma si può sentire! Uno sta tutto il giorno a
lavorare, fatica per portare quei due soldini a casa, e cosa deve sentire!
ARTEMIA- Non ti agitare, mettiti a sedere. Ti ci metto anche un po' di marsala
nello zabaione, se non l'ha finita tuo padre… Abelardo… Abelardo! La smetti un
po' di leggere quel giornale, tanto non ci capisci nulla. Stai a sentire me.
ALEARDO- (Posa il giornale).Cosa c'è, Artemia? Mi volevi? È successo qualcosa?
ARTEMIA- La marsala! Ce n'è rimasta punta?
ALEARDO- Di cosa?
ARTEMIA- Mar - sa - la!
ALEARDO- Mar… che mare?
ARTEMIA- Sa - la!
ALEARDO- Che sala! Non l'abbiamo mica la sala! Ci si fece la camerina del
bimbo.
ARTEMIA- Il bombo, sì: proprio quello! L'hai bevuta tutta! Ora cosa gli ci
metto nello zabaione? A raffidarsi a te ci sarebbe da morire tisici! Vieni di
là con me, andiamo: qualcosa si studia! (Escono)
SCENA 4 - REGINA, GOFFREDO
REGINA- Io non ce la faccio più! Goffredo, te lo dico chiaro e tondo: non li
sopporto più! Mi dispiace dire così dei tuoi genitori ma ne devi convenire
anche te, che in questa casa non ci possiamo più stare. Uno più sordo
dell'altro, non si capiscono nemmeno tra di loro. Se poi, ho da dirgli qualcosa,
non mi ci provo nemmeno e faccio come mi pare.
GOFFREDO- O Regina, bisogna avere un po' di pazienza. Si sa, quando
s'invecchia, qualche malanno capita a tutti.
REGINA- Fosse il male che sono sordi e basta, passi: sui difetti di natura non
bisogna riderci su, il guaio è che sono quasi analfabetichi! Se, per
combinazione, mi riesce di farmi intendere, chissà cosa mi rispondono… non
hanno istruzione, non hanno cultura. Tuo padre, a malapena legge il giornale,
anzi, guarda le figure; tua mamma, nemmeno quello!
GOFFREDO- Cosa ci vuoi fare, sono così: ai loro tempi non usava mica andare a
scuola. Quando uno sapeva un po' leggere e un po' scrivere, era già tanto.
REGINA- O bimbino, i tempi in questa casa, non è che siano tanto cambiati,
perché anche te e la tua sorella, in quanto a istruzione siete… piuttosto
arretrati!
GOFFREDO- Te, invece ci hai la laurea! A malapena riuscisti a finire le
elementari. Perché facevi compassione alla maestra, a quanto ho sentito dire.
REGINA- Cosa c'entra? Le avverse circostanze della vita…
GOFFREDO- Cosa?… O dove l'hai letto?
REGINA- Se le circostanze m'impedirono di poter andare alle scuole, mi sono
alletterata per conto mio: sono autodidattica.
GOFFREDO- Auto… cosa? O Regina, non vorrai mica comprare l'automobile? Non hai
nemmeno la patente. E poi i quattrini chi ce li dà?
REGINA- Povero Goffredo: come sei ignorante. Autodidattica vuole dire una che
si istruisce per conto suo. Io leggo, guardo la televisione…
GOFFREDO- Leggi? O che i giornalini a fotoromanzo, fanno diventare alletterati?
E i quiz di Bongiorno, ti levano le ragnatele dal cervello? Senti lì: non lo
sapevo mica!
REGINA- Quanto sei spiritoso! Te sei buono soltanto a finire tutti i soldi alla
sala corse, a giocarli sui cavalli! Ma ora bisogna cambiare! Anche nell'interesse
del tuo figliolo che, poverino, a campare qui dentro, come viene su? E invece
sarebbe un ragazzino sveglio, intelligente, volenteroso…
GOFFREDO- (Ironico). Tutto sua madre!
REGINA- Lo puoi dire bello forte! Dalla tua parte ha preso pochino pochino.
GOFFREDO- E allora, come intenderesti di fare? Si pigliano le nostre
carabattole e si va a dormire in Piazza del Duomo? Per me, ora che si va nella
bella stagione, mi sta anche bene… finché non ci arrestano.
REGINA- Bisogna comprarci una casa per conto nostro!
GOFFREDO- Vai al supermercato. Ci potrebbe essere l'offerta: compri tre stanze,
ne paghi due! E un pezzetto di giardino, è capace lo vinci coi punti premio.
REGINA- Come siei divertente! Uno spirito quasi alcolico! Bravo!
GOFFREDO- Io? Sarei spiritoso io? Te, piuttosto! Tanto, comprare una casa è
come andare dal fruttivendolo a prendere una palla di cavolo? Ci vuole una
balla di quattrini! Chi te li dà?
REGINA- La banca! Ci facciamo dare un muto, come fanno tanti… si paga su su…
GOFFREDO- Eh, già… su su… o giù giù… Credi che le banche ti diano i milioni
così, come noccioline! Ci vogliono delle garanzie.
REGINA- Certo, te che finisci tutti i soldi sui cavalli, tante garanzie, non ne
puoi dare certamente.
GOFFREDO- C'è lo stipendio.
REGINA- Ci fai tanto!… Magari, non ci sarebbe nemmeno da pretendere di farci
una gran casa: la nostra camera, quella per il bimbo, la cucina, una bella
sala, un terrazzo per stendere i panni… col termosifone, il bagno… magari due!
Quando c'entrate, fra te e Gigino, non ci sortite più!
GOFFREDO- O Regina: forse ci si fa!
REGINA- Nel bagno? Di certo, mi sembra il posto più adatto!
GOFFREDO- No, dicevo: ci si fa a farci la casa.
REGINA- Lo fanno tanti, perché non si potrebbe farlo anche noi?
GOFFREDO- Mi è venuto in mente, così soprappensiero, che fra i clienti
dell'impresa delle pulizie dove lavoro, c'è anche una banca.
REGINA- Li conosci?
GOFFREDO- Sì.
REGINA- E loro conoscono te?
GOFFREDO- Abbastanza.
REGINA- Allora non ti danno nulla!
GOFFREDO- C'è un impiegato, un pezzo grosso, ha un ufficio tutto suo… proprio
l'ufficio dove danno i mutui, è un signore parecchio distinto, anziano… si
chiama Volfango, dice ci aveva gli antenati che si chiamavano così.
REGINA- Volfango? Dev'esser nobile. Dal nome…
GOFFREDO- Spesso mi ci fermo a parlare. Sta da solo, non è sposato…
REGINA- Se lo conosci bene, chiediglielo. Se ha le mani in pasta, non dovrebbe
essere tanto difficile… Caso mai, poi s'invita a cena, quando s'inaugura la
casa. Non ha moglie, vero?
GOFFREDO- No, è scapolo ma le donne gli garbano, spesso entra nell'argomento.
REGINA- (Fra sé). Ora magari, fino a metterlo a tavola per offrirgli una cena,
ci posso arrivare… ma poi…
GOFFREDO- Ascolta: vado a fare un giro dalle parti della banca, lui sarà ancora
in ufficio. Così ci parlo e cerco di stacciare subito la cosa.
REGINA- Vai. Parlaci ammodo. Sii gentile… ma fatti intendere.
GOFFREDO- Lascia fare a me. Allora vado e ritorno il più presto possibile.
(Esce. Regina, rimasta sola, fa mimica come a dire: speriamo bene!)
SCENA5 - REGINA, ULIANA, GIGINO
ULIANA- (Ragazza piuttosto robusta, mancante di istruzione, ha poco di
femminile. Entra trascinando Gigino per un orecchio. È già più che adolescente.
Le soverchie attenzioni della madre, lo hanno reso un po' ottuso). Vieni vieni!
(A Regina). Ti ho riportato il figliolo: non è andato a scuola! Ha marinato
un'altra volta! Vorrei un po' sapere cosa vorrai fare da grande! Lavorare non
se ne parla: poverino, è delicato, tanta fatica non la sopporta.
GIGINO- (Va a rifugiarsi dalla mamma). Io ci potrei anche andare a lavorare ma
voi non mi ci mandate.
ULIANA- Come, non ti ci mandiamo! E tanto, ci hai provato una volta a lavorare?
Da Piallino, il falegname - che t'aveva preso per addirizzare i chiodi, siccome
è vecchio, non ci vede più tanto bene e gni vanno tutti torti - ti sbucciasti
tutte le dita ma i chiodi eran più contorti di prima.
GIGINO- Per forza: mi diede un martello che non andava diritto.
REGINA- Del resto, ci si provò: mica tutti possiamo nascere falegnami!
ULIANA- Lo mandasti dal sor Agapito, quello che ha la polleria, gli s'era
guastata la macchina per pelare i polli, gli ci voleva qualcuno che glieli
pelasse a mano.
REGINA- Difatti ci andò.
GIGINO- Ci stetti quasi due giorni. Te ne ricordi, zia?
REGINA- Poi, di tutte quelle penne non sapevano cosa farne e la cosa finì lì.
GIGINO- Io le volevo vendere a Pisolino, quello che ha messo su una
fabbrichetta di guanciali.
ULIANA- Il guaio fu che gli volevi vendere le penne coi polli attaccati!
REGINA- Non è vero! A codeste cose il bimbo non ci pensa nemmeno! Fu che
accomodarono la macchina… e a Gigino gli troncarono l'avvenire.
ULIANA- Bell'avvenire davvero! Se continua così, cosa farà da grande! Che poi,
vero, non è mica più tanto piccino. Sarebbe l'ora che principiasse a fare
qualcosa!
REGINA- Va a scuola: studia! È lì che si farà la sua strada.
ULIANA- Se continua così, invece della strada, si farà un viottolo!
REGINA- E invece, fra te e tuo fratello, voglio dire, vi siete fatti
un'autostrada! Per non parlare di tuo padre e di tua madre. Fra tutti non fate
neanche una stradina di campagna! E mi ci avete tirato dentro anche me! E ora,
anche il bimbo, lo fate diventare come voi!
ULIANA- Ascolta me, cosina: se intendi discorrere della mia famiglia, prima
sciacquati la bocca, perché in confronto a te, siamo dei premi Nobel!
GIGINO- O zia, cos'è il premio nobel? Si vince colle figurine, o coi punti
della spesa?
REGINA- (A Uliana). Lo senti? Lo senti in che condizioni me l'avete ridotto?
Gigino, andiamo di là in camera nostra! Noi non ne bisogno di premi: né di
quelli Nobel né di quelli delle figurine!
GIGINO- L'altro giorno, nel sacchetto delle patatine, ci trovai una pallina
piccina così, che a scuola, l'ho barattata con una fotografia.
ULIANA- Di chi?
GIGINO- C'è una donna… bella… che le si vede… un po' le puppe.
ULIANA- Senti lì! Anche le donne nude! Qui bisogna trovare un rimedio!
REGINA- Il rimedio glielo trovo io! Fammi trovare questa fotografia, te la
strappo!… Le donne nude!… Tutto il suo babbo! (Esce)
SCENA 6 - ULIANA, GIGINO, ARTEMIA
ULIANA- Ha ragione mamma! Alla tua età, pensare a quelle cose! Devi pensare a
alla scuola, a studiare: siei già grandicello, dovresti principiare a mettere
il capo a partito. E invece stai sempre a giro: a scuola non ci vai mai, come
potrai essere promosso?
GIGINO- O zia, quello che insegnano alle scuole lo so già… cosa ci vado a fare?
ULIANA- Sentilo! Lo sa già! (Ironica). Sor professore… vorrei sapere cosa fari
da grande: senza la licenza delle scuole, da lavorare non lo trovi… e a volte,
non basta nemmeno quella.
GIGINO- Un lavoro lo trovo, anche senza studiare tanto.
ARTEMIA- (Entra). Guà, Gigino, siei già tornato dalla scuola? Bravo! Lo vuoi un
bello zabaione? L'avevo fatto per tuo nonno, per cercare di rinforzarlo un po',
ma me n'è venuto troppo… sennò gli viene troppa energia… oddìo, c'è poco da
sperarci, vero. Te invece sei giovane, devi studiare…
GIGINO- Grazie, nonna: lo zabaione non mi piace.
ARTEMIA- Bravo! Allora te ne faccio un altro po', vedrai come ti fa bene.
ULIANA- (Ironica) Dagli lo zabaione! Dagli anche le vitamine! Ha bisogno di
rinforzarsi… per non fare nulla!
ARTEMIA- A scuola, vai benino, vero? T'hanno interrogato? (A Uliana). Lo sai
cosa faccio? Lo zabaione, lo do a lui… tanto, a tuo padre oramai… dice s'è
dimenticato le cose. Ma, a dirla tutta, è sempre stato di memoria corta!
GIGINO- O nonna, cosa s'è scordato tuo marito?
ULIANA- Non te ne interessare: sono cose che non ti riguardano.
GIGINO- Io non mi devo mai interessare di nulla, vorrei sapere come farò!
ULIANA- A fare cosa?
GIGINO- Quelle cose lì… che nonno, se l'è dimenticate.
ARTEMIA- Bravo, il bimbo! Ha tanta voglia d'imparare le cose. Bravo: vai a
scuola e studia. Poi ti faccio un bello zabaione!
ULIANA- O mamma, Gigino non vuole mica imparare le cose della scuola. Lui si
vorrebbe istruire… su quell'altre cose… (Alza la voce per farsi capire).
Gigino, c'è qualche materia che non l'ha capita tanto bene!
ARTEMIA- A scuola? Gigino? Va bene? (Diniego di Uliana). Noo?… Facciamogli dare
qualche ripetizione.
GIGINO- Brava nonna! Mi garberebbe pigliare le ripetizioni. O, la maestra chi
dovrebbe essere?
ULIANA- Quale maestra?
GIGINO- Non mi vorrete mica far prendere certe ripetizioni da un uomo?!
ARTEMIA- Ha ragione il bimbo: un uovo! Un bell'uovo da bere: non c'è altra
cosa!
ULIANA- Gigino, ascolta me: è possibile che certe cose… sei già grandicello… Ma
insomma, al giorno d'oggi, con quello che si vede alla televisione, sui
giornali…
ARTEMIA- (Prende Uliana in disparte).Uliana, ma il bimbo ci ha la dama? Perché
con tutti quelli zabaioni… sennò a cosa gli servirebbero? Vedrai che è
addamato. Anche tuo padre, mi ricordo, sul primo che s'era messo con me,
beveva… anche dopo ha seguitato. Ma lui beveva poncini: belli carichi, che poi
s'addormentava e chi s'era visto s'era visto!
GIGINO- (Ha ascoltato di soppiatto). Nonna: mi ci vogliono le ripetizioni!
ARTEMIA- Eh? Gli strizzoni? (A Uliana). Te l'ho detto: i sintomi sono questi.
Anche tuo padre, me lo ricordo…no, lui i poncini li buttava giù come versarli
nell'acquaio!
GIGINO- Nonna, a me gli strizzoni non mi pigliano. Le ripetizioni, mi ci
vogliano. Ri-pe-ti-zio-ni! Da una bella maestra! Ma-e-stra! Capito?!
ULIANA- Sì sì, s'è capito. Ora vai di là a fare la lezione. Vai vai.(Lo spinge
fuori)
GIGINO- (Uscendo). La maestra. Inteso? Non un'uomo. Una maestra!
SCENA 7 - ALEARDO, ULIANA, ARTEMIA
ARTEMIA- O cos'è che non capisce, il bimbo? La matematica la sa: quando suo
nonno gli dà due soldini, tu vedessi come li conta! Dunque… Le poesie: me ne
lesse una l'altro giorno, ci credi mi ci fece piangere
ULIANA- (Parlerà in modo da farsi capire). Cos'era? La poesia!
ARTEMIA- Non me lo rammento. So che ci piansi tanto… pareva la novella di
Biancaneve.
ULIANA- E quelle dei Tre Porcellini! Al bimbo bisogna insegnargli… quell'altre
cose.
ARTEMIA- Che cose? La geografia? Gli si regalò un mappamondo a Natale.
ULIANA- Con la lucina dentro che fa lippe lappe! L'ha messo sul comodino! No,
il bimbo è un po' scadente in quelle materie… che non si studiano nelle scuole…
ARTEMIA- Sì, alle scuole: s'era detto che andava benino. O dell'applicazioni
tecniche, l'ha portata la pagella?
ULIANA- Ecco, appunto: le applicazioni! Ma non quelle tecniche, quelle ten…
ses… sessale… sessologiche! Principia a essere già grandino… e guarda le donne
nude, sulle cartoline!
ARTEMIA- Gigino? (Uliana annuisce).Tutto il suo nonno!! Ma fui buona a
levargliele dal capo! Gliele schiantai tutte! E nel cassetto gli ci feci
trovare una fotografia mia in costume da bagno! Com'usavano a quei tempi: colla
gonnellina e le gale sul davanti. Me la feci a Marina una volta che, da
giovanetta, c'ero andata colla gita del prete.
ULIANA- Chiamalo un po', babbo. È bene che anche lui partecipi ai problemi
familiari. Chiamalo.
ARTEMIA- (Chiama in quinta). Aleardo!… Abelardo! Vieni di qua Abelardo! (A
Uliana). Avrà capito?
ALEARDO- (Entra). L'hai trovata te, Artemia? Brava! Dammela, dove ce l'hai?
ARTEMIA- Cosa?
ALEARDO- La pipa, è un'ora che la cerco, non mi vuole venire a mente dove l'ho
ficcata. E sai, ho rovistato tutti i cassetti ma non c'è stato verso! Allora ho
pensato: vedrai l'ha rintracciata la mi' Artemia; ora la chiamo e me la faccio
ridare. Come difatti me l'hai trovata: brava, avevo proprio voglia di fammi una
bella pipata.
ARTEMIA- Sentilo! Ha da pensare alle pipate, il signorino! Ci sono ben altri
problemi!
ALEARDO- Una pipatina prima d'andare a mangiare.
ULIANA- Babbo, non è il momento di pensare alla pipa! Ci sono altre cose!
Mamma, diglielo te… io mi vergogno.
ARTEMIA- Sì, glielo dico io. (Importante). Il tuo nipote Gigino, ci ha le
cartoline delle donne nude!
ALEARDO- (Ha capito perfettamente). Donne nude? Gigino? (Complice). Dove le
tiene… si sa?
ARTEMIA- Abelardo, non t'ingazzurrire tanto! Questa è una cosa seria.
ULIANA- Bisogna trovare il sistema di fargli imparare… certe cose. Per non
creargli nel futuro, delle alterazioni traumatiche della psiche con possibili
deviazioni sessuali che potrebbero ripercuotersi nelle caratteristiche
comportamentali… e cromosomiche.
ALEARDO- Boia!! O cosa vuol dire?
ARTEMIA- O Abelardo, io ho sentito tutto ma non ho inteso nulla.
ULIANA- Lo dicevano alla televisione: quella trasmissione della medicina. Voi
non le seguite le trasmissioni scientifiche, vi confondete con gli indovinelli
di Amadeus.
ALEARDO- No, dicevo; al bimbo, quelle cartoline, sarà il caso di levargliele?
ULIANA- Ci pensa sua madre, non aver paura. Bisogna trovare qualcuno… che gli
dia qualche lezione…
ALEARDO- Lezione… di quelle cose lì? N'avrei bisogno anch'io: a volte la
memoria mi fa cilecca.
ARTEMIA- Mica soltanto la memoria!… Allora cerchiamo qualcuno che gli dia
queste ripetizioni. Deve essere una donna, l'ha detto Gigino: dev'essere una
maestra.
ALEARDO- Fa bene! Dovrebbe venire qui in casa?
ARTEMIA- In casa? La maestra? Di certo! Ma noi due andiamo fuori… una bella
girata!
ULIANA- Chi ci potrebbe essere per queste lezioni?
ARTEMIA- Le lezioni… ci vorrebbe qualcuno…Aleardo, te conosci nessuno?
ALEARDO- Di là, ci ho sempre un po' di tabacco. Se te mi dai la pipa, si può
fare questa benedetta pipata.
ULIANA- Ce l'ho! L'ho trovata!
ALEARDO- La pipa? O 'un ce l'aveva la tua mamma? Giocate a passarvela di
sottomano? Giù, dammela e non se na chiacchiera più.
ULIANA- Giù, lì all'angolo, davanti ar bar del Tredici, verso sera, ci capita
una ragazza tanto ammodino, seria, gentile, educata. Ogni tanto qualche automobile
si ferma, probabilmente per chiedergli la strada, e lei, poverina, gli dà tutte
le indicazioni e a volte, pensate come è gentile, monta sulla macchina per
accompagnarli. L'incontro spesso, ci si saluta… si chiama Tamara.
ARTEMIA- No, amara no. Povero Gigino! Ma tanto, dopo gli faccio un bello
zabaione, gli ci metto un paio d'etti di zucchero!
ULIANA- A me sembra che quella ragazza sia proprio adatta. Lo sapete cosa
faccio: vado a chiamarla! Cosa ne dite? (Forte). Siete d'accordo?
ALEARDO- Sì sì, son d'accordo sì. Di cosa?
ARTEMIA- Pare che lì al barrino del Tredici ci si fermino tutte l'automobili
per bere l'aranciata. Ma ce l'hanno amara.
ALEARDO- Allora no. Se è cara è meglio andare a prenderla da un'altra parte. Se
poi, alla Uliana va bene così, affari suoi.
ULIANA- Allora vado. La rintraccio, mi ci metto d'accordo e torno a dirvi le
cose. Voi aspettatemi qui, faccio presto. (Esce)
ALEARDO- È andata via. O la pipa? Artemia, mi spieghi un po' ammodo, tutte le
cose. Dunque: Gigino ci ha le donne nude, e questo l'ho inteso bene.
ARTEMIA- E allora cosa vuoi intendere?
ALEARDO- Quella ragazza che dovrà venire qui: chi sarebbe, cosa ci viene a
fare?
ARTEMIA- Viene a insegnare al tuo nipote.
ALEARDO- Non ci va più a scuola? O che ora, fanno venire le maestre a casa?
ARTEMIA- Certe materie, non le possono insegnare nelle scuole.
ALEARDO- Io, ai miei tempi, ho imparato tutto da me!(Occhiata di scherno di
Artemia). Devi dire che a me mi frega la memoria. Mi scordo le cose di qui a
lì.
ARTEMIA- O Abelardo, non ti ricordi proprio più nulla nulla?
ALEARDO- Mi pare… ma se ora viene la maestra…
ARTEMIA- No! Te, la maestra non la vedi nemmeno! Ti ficco in camera e ti ci
rinchiudo a sette mandate! E la chiave me la metto in seno; non ci viene
nessuno a rufolare!
ALEARDO- Non aver paura…
SCENA 8 - GOFFREDO, ARTEMIA, ALEARDO, REGINA, GIGINO
GOFFREDO- (Entra molto agitato). Gente, ce l'abbiamo fatta! Babbo, mamma, dove
sono gli altri? Ho da darvi la notizia: ci s'è fatta, la cosa è andata!
ALEARDO- Una pipata! Allora ce l'hai te la pipa? O quanto gira? Artemia, l'hai
visto: ce l'ha lui la pipa.
GOFFREDO- Ma che pipa! Dicevo della casa, ce l'ho fatta! Ho trovato quello
della banca: il sor Volfango!
ARTEMIA- Col fango bisogna stare attenti! Con questa stagionaccia è tutt'un
pantano per terra. Te li sei puliti i piedi sullo stoino? Sennò tua moglie
litiga! E avrebbe ragione!
GOFFREDO- Ma che stagionaccia! O mamma, c'è un sole spacca le pietre! Ma non
c'è nessuno in casa? (Chiama). Regina… Regina, vieni: ci sono novità!
REGINA- (Entra con Gigino). Cosa c'è?
ALEARDO- (A Goffredo). Ma allora ce l'ha lei la pipa? Ma me lo fate apposta? Io
non mi ci raccapezzo mica più. Va a finire che, invece della pipata, mi fumo un
bel sigaro! Ci ho sempre un mezzo toscano nel cassetto, che me lo serbavo come
le cose sante, alle volte capita un'occasione… Me lo volevo tritare nella pipa.
Pazienza, vuol dire che lo fumerò tutto intero.
REGINA- M'avete chiamato per sentir ragionare dei sigari… e delle pipate?
Gigino vai di là!
GOFFREDO- No, non dargli retta: mio padre, lo dovresti conoscere. Dicevo: ho
visto quel funzionario della banca, quello che t'avevo detto.
REGINA- Ah sì… quello… come si chiama… Volfango!
ARTEMIA- I piedi se l'è puliti sullo stoino; non ha portato nulla in casa: è
preciso il mio bimbo.
GIGINO- Mio padre che si rivolta nel fango! Mi garberebbe vederlo.
ALEARDO- O Gigino, hai mica visto la mia pipa? Non si sa mai.
GOFFREDO- Ascolta me, Regina. È una cosa importante: questo Volf… questo
funzionario.
ARTEMIA- Sul binario? O cosa ci sei andato a fare alla stazione? Parti? Vai
via?
REGINA- Di cervello! A star qui dentro c'è da partire proprio di cervello!
GOFFREDO- Stai calma, Regina. Fra poco si va via. Quel… coso… m'ha promesso che
mi da il mutuo!
ALEARDO- (Alla moglie). Chi è che è diventato muto?
ARTEMIA- Non l'ho capito tanto bene: ora si sente. (Si mettono in posizione di
ascolto, guardando e seguendo chi parla. Gigino li imita, divertendosi un
mondo).
GOFFREDO- Insomma, sono arrivato fino alla banca. Proprio sull'uscio t'ho
intoppato il sor Volfango che usciva. L'ho accompagnato fino alla macchina e
gli ho spiegato tutto.
REGINA- Anche delle litigate?
GOFFREDO- No, non mi sembrava il caso.
REGINA Glielo dovevi dire! Perché, qui dentro, qualche vorta va a finir male!
Almeno era già preparato a vedere il sangue! (Controscena dei tre)
GOFFREDO- Non la fare tanto tragica! È tutto passato. Ha detto che il mutuo c'è
già, bell'e pronto: deve solo firmare il foglio.
REGINA- Ma quanti soldi vogliono? Ci si farà a pagarli?
GOFFREDO- Questo è il bello: gli interessi, praticamente, non ci sono! C'è da
rendere i soldi che ci danno e basta. In vent'anni, al mese ci viene a costare
una bischerata.
REGINA- O come mai?
GOFFREDO- Devi sapere che il governo… la regione, non mi ricordo tanto bene;
insomma hanno stanziato (sguardo interrogativo di Regina) si dice così... Hanno
dato… si vede ora che siamo vicini all'elezioni, hanno destinato una barca di
miliardi per costruire le case per i terremotati. dovrebbero principiare a
tirarle su proprio in questi giorni.
REGINA- E una di queste case la danno a noi?
GOFFREDO- Questo Volfango, sai com'è, ha le mani in pasta e può decidere.
REGINA- Goffredo, ma noi non siamo mica terremotati.
GOFFREDO- Cosa te ne frega? L'importante è entrare in casa.
REGINA- Per quanto; a stare con tuo padre, tua madre e la tua sorella… altro
che terremotati! Si può essere tutto: terremotati, alluvionati, bombardati!
Tutto!(Reazione di Aleardo e Artemia che tentano di aggredirla. Gigino si erge
a difensore della genitrice)
GOFFREDO- Ma ora bisogna organizzarsi: fra poco verrà qui, in casa, a portarci
il foglio.
REGINA- Quii? A casa? Non alla banca? O cosa fa il sor Volfango: il
selfeservice?
GOFFREDO- Devi capire che, in qualche maniera, mi dovevo sdebitare: è stato
tanto gentile. Allora, siccome è un signore un po' anziano, scapolo, che gli
garbano le donne… donne d'un certo rango: eleganti, belle, affascinanti…
REGINA- Non avrai mica pensato… Io no, eh!… Elegante sono, se mi metto un po'
in ghingheri, bella, affascinante… nel mio piccolo. Ma quelle cose lì no, eh!
Per chi m'hai preso? Eppoi sono tua moglie!… è un tipo distinto, serio,
intellettuale?… Beh, se è per la casa…
GOFFREDO- Oh! Ma cos'hai capito? Figurati se va a confondersi con un tipo come
te! Per lui ci vuole una donna di classe, istruita… in un ambiente raffinato,
di un certo stile…
REGINA- E qui, in casa, ci sono tutte codeste cose?
GOFFREDO- A dire il vero, io lo volevo portare in uno di quei circoli… night
club, come li chiamano… dove una persona raffinata, ci può passare una serata
molto shic.
REGINA- E dove esistono codesti luoghi?
GOFFREDO- Per esistere, esistono. Ma affittarli per una sera, ci vuole un
vagone di quattrini. Mi toccherebbe fare un altro mutuo.
REGINA- E allora?
GOFFREDO- Allora ho pensato che si potrebbe far finta che questa sia una di
quelle case lì. Lui non lo sa mica che noi abitiamo qui; se ce lo porto e gli
dico che è un night club, lui ci crede.
REGINA- Io non me ne intendo di certe cose, ma mi sembra che non sia un posto…
nait… come si chiama.
GOFFREDO- Bisogna fare qualche trasformazione: un bel tappeto sul tavolino,
qualche vaso di fiori, dei soprammobili, lucine un po' fioche… Ci vorrà anche
un cameriere…
REGINA- Per cosa fare?
GOFFREDO- Per portare da bere. Prima bevono e poi… Gigino!
GIGINO- Presente! Cosa c'è da fare, babbo?
GOFFREDO- Il cameriere! Ti occorrerà un vestito adatto: quello della comunione!
GIGINO- Non mi sta più! Ci sarebbe quella camicia bianca col fiocchino, che mi
comprai l'anno scorso per andare alla festa della Luigina.
REGINA- Così me la insudici tutta!
GOFFREDO- Si lava!… Te, babbo, potresti fare…
ALEARDO- Una pipata!
ARTEMIA- La smetti un po'! sempre a ragionare di quelle cose!
GOFFREDO- Ti faccio fare il maitre! (Pronuncia francese).
ARTEMIA- Un metro? Lui? Di cervello sarà, al massimo, dieci centimetri!
GOFFREDO- Sarebbe come dire, il direttore. Anche a te, occorrerà un vestito.
ARTEMIA- Vestito? Certo! Non vorrai mica che vada fuori nudo! Te lo immagini
che figura.
REGINA- Dimmi una cosa: ci vorrà anche una donna, hai detto. E chi dovrebbe
essere? Non vorrai mica cercare… una di quelle?
GOFFREDO- No! Una di quell'altre!… Ti pare che mi metta a organizzare una cosa
di quel genere lì? C'è da andare 'n galera, senza contare che mi ci vorrebbe
una balla di soldi.
REGINA- E allora, come si rimedia?
GIGINO- Babbo, davvero viene in casa una donna?
REGINA- Te chetati, moccioso!
GOFFREDO- No, lascialo dire. Ha ragione, ci vuole una donna. (Reazioni degli
altri). Ma no, una donna donna… ci vuole una donna… che sia una donna… ma che
non sia una donna!
ARTEMIA- Anche a non essere sordi, non ci si capirebbe nulla lo stesso!
GIGINO- Ma viene o non viene?
GOFFREDO- Sì: bisogna trovarla… lasciatemi pensare…
SCENA 9 - ULIANA, GOFFREDO, REGINA, GIGINO, ARTEMIA, ALEARDO
ULIANA- (Entra). Mamma, babbo. L'ho trovata!
ARTEMIA- Chi?
ULIANA- Quella che si era detto… per quelle lezioni…
REGINA- Quali lezioni? Chi è che deve imparare? Cosa?
ALEARDO- M'hai ritrovato la pipa? Brava! Brava la mia bimba! Tutta suo padre!
GOFFREDO- Fermi tutti! Ho trovato!
ULIANA- Cosa?
GOFFREDO- La donna! Te!
ULIANA- Ioo? Cosa c'entro? O mamma, o cosa vuole? (Si rifugia da Artemia)
ARTEMIA- (Protettiva). La bimba. Piccinina… cosa ti vuole fare quell'omaccio?
GOFFREDO- Uliana è una donna, noo?
ARTEMIA- Quando fu che la sgusciai, al Comune la segnarono così. (A Uliana).
Non sei mica cambiata?
ULIANA- Non mi pare. Perché? Cosa dovrei fare?
GIGINO- Zia, deve venire un uomo, che gli ci vuole una donna per farsi dare un
foglio che ci vuole per poter murare la casa: è un uomo un po' vecchio, con
tanti soldi, che gli garbano le donne… Zia, datti da fare… poi si sta bene
tutti.
REGINA- Cosa cosa? Che po' po' d'intrigo! Io non avevo capito nulla, e invece
il bimbo… l'innocenza! Ecco cosa succede quando nelle case si chiacchiera
troppo! Vai di là, bellino, vai a finir di studiare.
GIGINO- Voglio vedere la zia Uliana mentre fa quelle cose!
REGINA- Vai in camera tua! (Gigino scappa, Regina lo rincorre)
ULIANA- Ma insomma, mi volete spiegare per bene cosa sta per succedere!
GOFFREDO- Vieni con me di là, te lo spiego ammodo. Tanto per principiare, ti
dovrai cambiare il nome. Uliana non è un nome adatto per una donna di classe,
elegante… Ti chiamerai… Radiana! Sì, è meglio: Radiana!
ALEARDO- (Ala moglie). Tatiana? Una volta la conoscevo una Tatiana: faceva la
ballerina nelle compagnie che venivano a recitare al Pidocchietto, quel
cinematografo che poi lo buttarono giù.
ARTEMIA- Le ballerine? Abelardo, dimmi che non è vero nulla, dimmi che te lo
sei inventato, sennò t'agguanto e ci faccio le salsicce! Ti stritolo! Ti faccio
diventare un cencio da spolverare!
GOFFREDO- Ecco, giusto: c'è da ripulire, dare una sistemata. Babbo, mamma:
forza, datevi da fare! E anche te, Regina e te Gigino, trovate qualche
ammennicolo per abbellire! Uliana, vieni di là con me, ti spiego tutto. (Tutti
cominciano a pulire, sistemare, spostare i mobili, mettere qualche ninnolo).
ULIANA- Io, con un uomo vecchio non ci vado!
GOFFREDO- Non è tanto vecchio… è distinto. Mi pare l'hanno fatto anche
commendatore! Ha l'animo aperto, giovanile… non ci devi mica fare nulla. ti fai
dare il foglio della casa. Appena te l'ha dato usciamo fuori noi e, con una
scusa lo facciamo andare via.
ULIANA- Io non ci vado!
GOFFREDO- Ora vieni di là con me: ti pettini un po' ammodo, ti trucchi, ti
metti un vestito appariscente…
ULIANA- Ma uno un po' più giovane non c'era?
GOFFREDO- No, quei posti lì, li danno a quelli che sono alla fine della
carriera… Vieni.
ULIANA- No, non ci vado, non insistere. Non ci vado. Non ci vado… (Esce con Goffredo
mentre gli altri continuano a sistemare la scena).
SECONDO ATTO
La stessa scena del primo atto
SCENA 1 - REGINA, GIGINO, ARTEMIA, ALEARDO
REGINA- (Entra con Gigino, vestito da cameriere). Allora, Gigino, siamo
d'accordo, eh? Se ti chiedono le cose, tu gliele porti.
GIGINO- Sì, mamma: se mi chiedono da bere, gli porto un biccher d'acqua… e se
mi chiedono qualcosa da mangiare?
REGINA- Non gli porti nulla! Non abbiano nulla in casa. Dici… che vai in cucina
a ordinare. E nel bicchiere dell'acqua, mettici un ditino di vino rosso, così
diventa rosa e somiglia a qualche liquore.
GIGINO- Sei sicura?
REGINA- Certo. Tutti i giorni ne buttan fuori uno, di beveraggi nuovi.
ARTEMIA- (Entra con Aleardo. Ha indossato un vestito "d'epoca" con
fronzoli e merletti). Gnamo, Aleardo, fatti vedere. Sì: codesto vestito di
quando portavi via i morti, ti sta proprio bene. Meno male che non lo buttammo
via.
ALEARDO- (Si pavoneggia. Indossa una giacca scura con bottoni dorati). Cosa
dici, Artemia: la faccio la figura del maitre?
ARTEMIA- Eh?
ALEARDO- Maitre!
ARTEMIA- O cosa ci vuoi fare col metro? Non devi misurare nulla. Te devi fare
il maitre, quello che comanda nell'albergo. Io devo fare la cliente, che arriva
vestita bene, per mangiare. Te, devi ricevermi sulla porta e mi devi fare un
bell'inchino. Fai vedere. (Aleardo non capisce). Inchinati!!
ALEARDO- A chi?… Ma si può sapere chi sei? Me lo spiegate per bene: non ho
ancora capito nulla.
ARTEMIA- Fammi vedere. Ti ricordi di quando andammo a fare il viaggio di nozze…
che c'era quell'omino… che ci voleva portare le valige … e invece noi si aveva
soltanto una borsina… Per una notte era anche troppo. In quell'albergo, era…
era… a Pontedera!
ALEARDO- Una pera? O se non ti sono mai piaciute. Al massimo te mangi un
arancio… un mandarino.
ARTEMIA- Un bell'inchino, sì. Te l'ho detto. Magari proprio fino a terra no,
sennò mi ci rimani piegato in due e non ti addirizzi più
ALEARDO- Diritto! Sì, sto sempre diritto, come quando facevo il soldato:
sull'attenti. Devo fare anche il saluto?… Ma il fucile non me lo danno, vero?
REGINA- Bimbo, gli ci manca solo il fucile a tuo nonno… O Aleardo, ma dove si
crede d'andare? La guerra non è ancora scoppiata. Lei deve star qui, a ricevere
quel signore, e basta. Anzi, se era per me, non si faceva nemmen vedere!
ALEARDO- Cosa dite: me la darà la mancia, quel cliente?
GIGINO- O mamma, c'è da guadagnare qualche mancia? Mi farebbero comodo due
soldini.
REGINA- Perché? Cosa ci vorresti fare? Non ti bastano quelli che ti do?
GIGINO- O se non mi date mai nulla.
REGINA- Appunto! Così non hai il problema di studiare come spenderli!
ARTEMIA- Cosa dice il bimbo? Gli garba fare il cameriere, vero? Bisogna esserci
nati! Anche il mio Abelardo, sulle prime che eravamo addamati, gli sarebbe
garbato fargli fare il cameriere. Lo mandai un paio di mesi da Meo, il vinaio:
ritornava a casa sempre ubriaco com'un tegolo, ci imparava tutte le parolacce e
non guadagnava nemmeno due lire… A me sarebbe garbato averci accanto una
persona fine, vestita benino, che mi sapesse fare l'inchino… Invece, m'è
toccato questo po' po' di bestione da Giardino zoologico! Quando si nasce
disgraziati!
GIGINO- Nonno. (Gli parla in un orecchio, per farsi capire). Nonno, se ti danno
qualche mancia, si fa a mèzzo, eh?
ALEARDO- No no: né a mézzo… né all'asciutto! Servono a me i soldi!
GIGINO- O di cosa te ne fai? Riscuoti la tua pensione!
ALEARDO- Sss… non farti sentire da tua nonna. Quelli della pensione li ho già
spesi tutti.
GIGINO- (Accompagnandosi con la mimica, per farsi capire anche da un sordo).
L'hai spesi? Dove? Cosa ci hai fatto?
ALEARDO- Lì… dalla… ci ho fatto… non me lo ricordo mica più!
REGINA- Oh, voi uomini, preparatevi che fra poco arriva, coso lì… come si
chiama… Volfango. Mah, speriamo che vada a finir tutto bene. Ma io ci credo poco!
Artemia. andiamo di là, si va a vedere se Radiana è pronta.
ARTEMIA- Chi?
REGINA- Radiana!
ARTEMIA- O chi è?
REGINA- La sua figliola!
ARTEMIA- La mia cosa? O non si chiama Uliana?
REGINA- Sì, ma si era detto di farla chiamare Radiana: per quel signore. È un
nome più da sciantose, da donnine… proprio come garbano al sor Volfango.
ARTEMIA- Non ci capisco mica nulla… Cosa dici: me la bacerà la mano?
REGINA- Mah… non si sa mai… Ci son tanti bischeri nel mondo! Mi raccomando a
voi uomini: fate bene la parte! Venga, Artemia, si va di là. (Trascina fuori
Artemia che è rimasta con gli occhi chiusi e la mano protesa per farsela
baciare)
SCENA 2 - VOLFANGO, GOFFREDO, ALEARDO, GIGINO
GIGINO- Allora, nonno, siamo d'accordo, eh? Fifty fifty!
ALEARDO- Fischi? Te li fanno sì i fischi se reciti male! Mi ricordo da
giovanetto recitai nel teatrino del prete: mi fecero far la parte d'un soldato
che ritorna dalla guerra e riabbraccia la moglie… Dovevi sentire che battimani,
la gente! Perché io, abbraccia le donne… c'ero portato: passavo un braccio
così, un altro… Eh? Cosa? Hai detto qualcosa?
GIGINO- No. Io no.
ALEARDO- Mi pareva che tu avessi detto… Quell'altro braccio… Eppoi quell'altro…
GIGINO- O quante braccia avevi, nonno?
ALEARDO- No, era sempre il solito… Allora s'era detto: un braccio così, poi
l'altro… O dove lo mettevo… non me lo ricordo mica più.
GOFFREDO- (Di dentro). Venga, venga signor Volfango. Stia attento, c'è un altro
scalino. (Entra precedendo Volfango). Eccoci, siamo arrivati. Si accomodi, non
faccia complimenti… Le piace la casa? Non che sia proprio un castello ma ci
sono tutte le comodità… è tutto pulito…
VOLFANGO- (Anziano, distinto. Ha osservato tutto). Sì, sì: l'ambiente non è
male. È chiaro che non si può eccedere in sfarzosità, per non dare nell'occhio…
i vicini, si sa, sono sempre un po' linguacciuti… E, questi due giovanotti,
rappresentano il personale di servizio? (Si avvicina ai due)
ALEARDO- Tanto piacere, sor coso. Io sarei il mètre.
VOLFANGO- (Scandalizzato, a Goffredo). Chi dice di essere, costui?
GOFFREDO- Dice d'essere il maitre, quello che dirige tutto il personale.
VOLFANGO- Maitre (Pronuncia francese). Mètr: maestro: maggiordomo… I bei tempi,
da ragazzo ebbi ben tre maggiordomi! Poi, la vita… Tout passe, tout lasse, tout
casse… francese, vero.
ALEARDO- O Goffredo, è questo quel tale… che sarebbe venuto… o dove l'hai
trovato? (Goffredo, alle spalle di Volfango gli fa cenno di tacere).
VOLFANGO- Mi pare che lo tratti con molta confidenza.
GOFFFREDO- Vede, sor Volfango, anch'io ogni tanto faccio una capatina, sa
com'è: qualche partitina: a briscola, scopa..
VOLFANGO- Già, capisco. La fortuna va tentata: un poker, uno chemin de fer, un
baccarat..
GIGINO- No, il baccalà è finito! Ci sarebbero du' acciughine marinate… (A
Goffredo). Mamma m'aveva detto che per il mangiare…
GOFFREDO- Sarà meglio andare di là, a chiamare Radiana. Forza bimbi: lasciamoli
soli. (Aleardo e Gigino escono). Sor Volfango, un minutino solo e poi entrerà
Radiana. Quando la vedrà… non crederà ai suoi occhi.
VOLFANGO- È bella? È bella?
GOFFREDO- Un fiore!
VOLFANGO- Una gardenia? Un'orchidea selvaggia, una camelia, una rosa tea?
GOFFREDO- (Che non conosce questi fiori). L'ha presenti quei fiori di campo,
che si colgono e il giorno doppo son tutti appassiti?… Siamo lì… è di là: ora
gliela mando. Con permesso… Un minuto…
VOLFANGO- Rimango in trepida attesa. (Goffredo esce. Volfango si aggiusta la
cravatta. Si rassetta la giacchetta, estrae un flaconcino con il quale si
spruzza il profumo)
SCENA 3 - VOLFANGO, ULIANA, GIGINO
ULIANA- (Entra spinta da Goffredo e sua moglie. Ha i capelli sugli occhi, che
ogni tanto deve alzare a mo' di tendine. Cerca di evitare Volfango; quando se
lo trova davanti, fa un imbarazzato sorriso).
VOLFANGO- (Gira intorno ad Uliana scrutandola con sguardo concupiscente.
Sfodera la sua classe di antico gentiluomo, che si dà arie da playboy).
Mademoiselle... Madame... (Uliana si guarda intorno) Mylady.
ULIANA- (Si alza i capelli dagli occhi) Dice a mee?
VOLFANGO- Ma cherie... Lei parla italiano?
ULIANA- Un pochino, ma discorro quasi sempre in dialetto. Lei, lo capisce il
dialetto? (Stupore di Volfango) Non capire?... Come si chiacchiera fra
noialtri... in questi lòghi! Capire lòghi? No lòghi per dire... lòghi: que'
lòghi dove ci si va la sera prima d'andare a letto e la mattina appena ci si
leva... Insomma, dicevo: no que' lòghi lì, i lòghi qui; il casamento, la
bottega; deve sentire Alvaro il macellaro: certi moccoli a volte non li capisco
nemmeno io! Eppure io nel lògo ci sono nata; ma no nel lògo lògo... nel lògo
lògo. Gli capàcita.
VOLFANGO- Allora, se ho ben capito, lei discende forse da una di quelle antiche
tribù caucasiche che hanno dato i natali alle più belle donne del mondo.
ULIANA- No, no: io non discendo propio da nulla perché non ci son mai montata.
E in quanto ai Natali, lasciamoli perdere perché tanto lo so come va a finire:
dopo Natale c'è la Befana e io, guà, eccomi qui.
VOLFANGO- Effettivamente qualcosa di orientale c'è nella tua figura, nel tuo
portamento... sì sì: un'odalisca
ULIANA- Guardi che io, non sarò alletterata ma chiacchiero bene: senza la
lisca.
VOLFANGO- E dimmi: fai anche la danza del ventre?
ULIANA- Secondo cosa mangio.
VOLFANGO- Oh oh... Anche faceta! Hai anche dello spirito... Scusa, ti sto dando
del tu. Che vuoi, io con le donne vado per le spicce... Ah, les femmes!...
Allora, tutoyons?
ULIANA- No no. Se ci sorprende mia madre, sto lustra!
VOLFANGO- Scioccherellina! Tutoyons è francese; significa: diamoci del tu, Cosa
avevi capito?
ULIANA- Scusa se la mia ignoranza non arriva alla tua… Stammi a sentire,
coso...
VOLFANGO- Volfango.
ULIANA- Chi lo vuole?
VOLFANGO- Cosa?
ULIANA- Il fango... Oh, l'hai detto te: vuole il fango! Di cosa se ne faranno,
poi. Mah. tutti i gusti son gusti
VOLFANGO- È il mio nome: Volfango. Un mio bisnonno si chiamava così; era
cancelliere dell'imperatore Ottone D'Asburgo.
ULIANA- Un cancello d'ottone? Ce l'aveva tuo nonno? Lo prestava all'imperatore,
eh? Chissà che fatica a portarselo sempre dietro.
VOLFANGO- Sei esilarante, cara.. a proposito, come ti chiami?
ULIANA- (Si volge alla quinta dalla quale Goffredo le suggerisce). Ros... Ra...
Radiana.
VOLFANGO- Che bel nome! Splendente, gioioso, incantatore, luminoso,
affascinante. Radiana: le tue grazie mi hanno conquistato. Ora chiamo il
garçon, ci facciamo portare qualcosa da bere, dobbiamo brindare alla neonata
amicizia. Anzi, voglio sperare qualcosa di più (Cerca di baciarle la mano).
ULIANA- O cosa mordi!? Hai la rosica!? Come i bambini lattanti?! Eppure
dovresti essere già spuppato!
VOLFANGO- Che delizioso linguaggio! Il linguaggio del cuore. Anche se, a dire
il vero, non ci ho capito gran ché.
ULIANA- Allora sei duro! O giù, non te la prendere: te lo spiego in italiano.
(Pronuncia ricercata e ben marcata; mimica appropriata). Donque: le mano mi ci
vogliono per fare tutte le mie cose. Se mi ci dài i morsi, mi ci rimane la
rosellina; sai quella patacca viola coi segni dei denti un po' più rimarcati,
che buttano anche uno zinzino di sangue. Ibbò, vero! Quando incontro le amiche,
quando vado in società: dal fruttivendolo, all'alimentari... dalla coiffeuse,
insomma la gente che vede quello scempio dice: che po' po' di morso hanno dato
a leilì!!
VOLFANGO- Giammai, giammai! Era solo un modesto omaggio alla squisita
femminilità.
ULIANA- Mamma mia come chiacchieri bene!... Ma... s'era detto che avevi da
darmi qualcosa...
VOLFANGO- Tutto, tutto ti do! Radiana, chiedi: gioielli, pellicce, vacanze alle
Bahamas...
ULIANA- Via... Sor Fango...
VOLFANGO- Sulla Costa Azzurra... Viareggio... il Calambrone...
ULIANA- Nel padule di Vecchiano... Stai a sentire... Motriglia... Motoso,
Fangoso, come ti chiami...
VOLFANGO- Volfango, come il mio bisnonno.
ULIANA- Già, quello che faceva i cancelli. Dicevo: mi dovevi dare qualcosa? Un
foglio, quello della casa.
VOLFANGO- Sì sì: la concessione del mutuo, sono d'accordo con il signor
Goffredo. L'ho giù in macchina, al momento opportuno andrò a prenderlo. Prima
beviamo qualcosa. (Chiama) Garçon!...
ULIANA- Chi chiami? È un tuo parente?
VOLFANGO- Chi?
ULIANA- Cotesto Carzò. Però che nomi bischeri avete nella tua famiglia, si vede
a tuo nonno, a furia di manovrare il cancello, si era arrugginito un po' il
cervello.
VOLFANGO- Garçon è il cameriere.
ULIANA- Fosse anche il direttore dell'albergo, è sempre un nome tanto
bischero!... Come fa un babbo a mettergli nome Carzò al suo figliolo?!
VOLFANGO- (Chiama). Garçon!
ULIANA. Carzò! Oh, ma è duro forte! Lo sai cosa si fa? Gli si scrive un
biglietto, gli si manda magari per posta aerea, prioritaria, vedrai che il
postino lo rintraccia... Stai a sentire: caro Carzò, virgola, qui è una bella
giornata piena di sole che le cicale fra pochino principiano a cantare, punto e
virgola. Costì ci fa freddo. Copriti che potresti pigliare qualche malanno sui
bronchi che te sei sempre stato delicatino di stomaco. Ti ho cercato per ogni
dove ma non sono stato buono a trovarti. Punto. In che lògo sei? Punto
interrogatorio. Mi struggo di vederti perché devo dirti che ci devi portare da
bere: a me una gazzosina, al mio amico due dita di vino in fondo a un bicchiere,
ma poco perché vedrai gli fa male. Punto esclamatorio. Noialtri di salute si
sta che non c'è male e se non fosse per le scarpe strette che mi fanno vedere
le stelle (a Volfango) son marca telescopio le mie scarpe, sa. Dicevo: se non
fosse per il callo che ho sul dito pomice del piede mancino, starei quasi bene
ma tutto non si può avere nella vita come spero sia di te e di tutta la
famiglia. Punto. Sarà meglio mettercene due? Ce ne metto tre, fa più effetto.
Ti saluta e ti bacia, anche se non se ne giova tanto il tuo cugino Motoso.
VOLFANGO- Quale cugino?
ULIANA- Tuo zio... insomma lui, quello del fango. Punto e basta. Ecco: pigli un
pezzo di carta, una penna, gli scrivi il biglietto, si chiama il cameriere e si
manda a impostarlo.
VOLFANGO- Ma è proprio il cameriere che non riesco a trovare!!
ULIANA- (Chiama). Gigino! Gigino! Vieni un po' qua, luilì ti cerca! (Gigino
entra)
GIGINO- Mi volevi zia Uli... (Uliana lo interrompe) Radiana.
VOLFANGO- Ti ha chiamata zia: è tuo parente?
ULIANA- Luii? Ci mancherebbe altro! E chi lo conosce? (A Gigino). Diglielo al
signore: mi conosci? (Gli fa cenno di rispondere no).
GIGINO- No, zia Ulia...
VOLFANGO- Ma... insiste.
ULIANA- Ah.. no... Vedrai vuol sapere cosa ci deve portare da bere... Sì sì,
ora che mi rammento, lo dicevano l'altra sera alla televisione... Ziaùli è un
liquore nuovo, americano. Sì sì, in americano vuol dire vischi... Te non lo sai
l'americano, vero?
VOLFANGO- Le mie cognizioni linguistiche si limitano al francese: gita
organizzata, quattro giorni tre notti, supplemento per camera singola, Parigi e
dintorni... Ah, Paris, Paris, la ville lumière...
ULIANA- Le lumiere? 'Nelle ville di Parigi? Ce le metteva il tuo nonno, quello
delle cancellate.
VOLFANGO- Vedo che nella tua testolina c'è un po' di confusione (Uliana si
gratta in testa) ma visto che siamo finalmente riusciti a trovare
l'inafferrabile cameriere, facciamoci portare qualcosa da bere. Tanto per
cominciare possiamo prendere un aperitivo, poi mangeremo qualcosa... poca roba,
per non appesantire lo stomaco; i sensi devono essere ben desti... dopo. Giusto
una mezza dozzina di ostriche, petto di pollo in galantina... (A Gigino) Avete
le ostriche, vero?
GIGINO- (Sguardo smarrito, poi un gesto che significa abbondanza) Eeehh...
VOLFANGO- E al dessert, champagne! Francese! (A Uliana) Dolce, secco, brut,
chardonet, champenois... della valle del Rodano o delle pianure dell'Alsazia?
(A Gigino) Avete champagne, vero?
GIGINO- (c. s.) Eeehhh!...
VOLFANGO- Quali marche?
GIGINO- (Imbarazzato). Babbo ha comprato le bustine del Viscì.
VOLFANGO- Che roba è?
ULIANA- Vedrai che chiacchiera in gergo: le bustine... vuol dire le casse. Giù
in cantina c'è una pila così di casse di spumanti.
VOLFANGO- Sì, ma quel nome: Viscì... mai sentito.
ULIANA- Francese è, mussare mussa... non basta?
GIGINO- Allora, se a babbo gli è riuscito di farlo, vi porto una boccia di
Viscì?
VOLFANGO- Che ne dici cara? O vogliamo cominciare con un martini classico? (A
Gigino) Sapete preparare dei martini... eccitanti?
GIGINO- (c. s.) Eeehhh!
ULIANA- A me mi porti un bel bicchiere di vino rosso! (Disgusto di Volfango)
Dici di no? Allora portami una gazzosina. Farò qualche ruttino!
GIGINO- Allora si dice: il vino rosso mescolato alla gazzosina dentro la boccia
del Viscì... Se poi viene fuori un troiaio, lo bevete lo stesso, eh!... Vi devo
portare anche i bicchieri?... Se ne trovo un paio da rigovernare ve li porto
sennò vi passate la boccia (esce)
VOLFANGO- Speriamo in bene. Non mi sembra molto convinto quel cameriere...
Però, il locale è carino, ha una sua personalità... Hanno anche dei separè?
ULIANA- Che sappia io...
VOLFANGO- Delle stanze indipendenti.. delle camere... magari: camere da
letto...
ULIANA- Quelle sì, ci sono. Ma non conviene entrarci. In quella di mio padre e
mia madre c'è sempre un tanfo di vecchiume, cosa vuoi: non aprono mai la
finestra dice hanno freddo, in quella di Regina, non ci spolvera mai, c'è
sempre la polvere alta così...
VOLFANGO- La stanza della regina?! Ma allora questo palazzo è antico ed ha
avuto degli ospiti nobili, regali addirittura. La regina ha passato qui una
notte... da sola?
ULIANA- No no, sempre con suo marito.
VOLFANGO- Volevo ben dire. E, quale regina?... Elisabetta?... Prima?
ULIANA- Prima ci sarà stata anche Elisabetta... Ma mi pare che in quella
famiglia che abitava qui prima di noi c'era un'Opelia e basta.
VOLFANGO- Elena... o magari, la più conosciuta, la più amata: Margherita.
ULIANA- A dire la verità a me mi garba di più la napoletana coi capperi e le
acciughe.
VOLFANGO- Ho capito: la regina di Napoli! I Borboni… Il nonno del mio bisnonno
era ciambellano alla corte dei Borboni.
ULIANA- Ma una persona normale, nella tua famiglia, non c'è? Poteva fare il
pizzaiolo. Le ciambelle con i capperi e le acciughe vengon fuori un troiaio.
VOLFANGO- Era il mio trisavolo.
ULIANA- Anche il cavolo?! Ma allora non sapete mica mangiare: il cavolo è buono
strascicato, fritto... o sennò lesso... a chi piace, vero.
VOLFANGO- Vedo che ti intendi anche di culinaria. Son convinto che tu sappia
cavartela molto bene... in cucina... e altrove. Radiana: vogliamo fare un
piccolo sopralluogo nella camera della regina? Pensa come sarebbe bello
distendersi nell'alcova regale... con il baldacchino.
ULIANA- Te lo dà la mia cognata il baldacchino!
VOLFANGO- Cognata? Ho capito, la cameriera. Peccato, mi sarebbe piaciuto
visitare questa vecchia casa patrizia, dove tutto parla di storia, d'arte... e
d'amore (osserva dei soprammobili). Questi ninnoli, per esempio: pura arte
ottocentesca.
ULIANA- Lo comprai l'anno scorso alla fiera patronale. Nel pacco sorpresa, con
quindicimila lire ci trovai: due lenzuola, sei tovaglie, un tappeto persiano e
un sacchetto di brigidini.
VOLFANGO- Radiana, prendimi per mano, conducimi a esplorare tutti i più
nascosti meandri di questa casa patrizia.
ULIANA- Non la conosco mica.
VOLFANGO- Chi?
ULIANA- Patrizia. Non sta qui... Ammenoché non sia quella sposina arrivata da
poco, lei e il marito, su quell'altra scala. Ma non mi pare si chiami Patrizia.
Eppoi non lo so mica se i suoi meandri li vuole far vedere a tutti.
VOLFANGO- Se non è accessibile il letto della regina, ci sarà un altro luogo
dove appartarci: un salottino, un boudoir.
ULIANA- Bimbo! 'Non inviamo a offendere! Finché vuoi vedere i meandri della
Patrizia, se lei è d'accordo, affari suoi, ma che tu intenda di venire fuori
col budè... bidò... insomma quella roba lì, scordatelo! Eppoi, mi dovevi dare
un foglio? Dammelo e non se ne chiacchiera più!
VOLFANGO- L'ho giù in macchina. Faccio presto. Un salto. Ma prima ti voglio.
Radiana, voglio spengere il fuoco della passione nelle viscere della
femminilità! (Cerca di abbracciarla)
ULIANA- O mamma mi vuole sbuzzare! Gente correte! (Lo sfugge)
VOLFANGO- (La insegue). Brucio, Radiana. Dimmi che anche te ardi! Non lo senti
quel calore che vien su, ti prende dal profondo e ti esplode nel petto, come un
petardo!
ULIANA- O mamma mi vuol bruciare! Col petardo! Via, stai buonino Motoso,
Motriglia... Pozzanghera! Guarda: se stai buono ti chiamo Patrizia. Un
minuto... Stai buono? Aspetti? Stai calmo? (Volfango va per abbracciarla, lei
esce gridando) Aiuto gente! Centotredici! Aiutatemi, sono una povera fanciulla
indifesa...Aiuto...
VOLFANGO- (Rimasto solo, non sa che fare. Origlia dalla parte dalla quale è
uscita Uliana, poi si siede, si rialza, Chiama). Radiana... Radiana... Garçon...
garçon... Cameriere... Ma cosa mi ha combinato quel Goffredo...
SCENA 4 - VOLFANGO, TAMARA
TAMARA- (Entra). È permesso? Scusi, è qui che cercavano una maestra?
VOLFANGO- (Subito conquistato dalla nuova arrivata). Veramente ho già sette
lauree nel cassetto: giurisprudenza, lettere antiche, filosofia, veterinaria,
scienze politiche, matematiche ed elettroniche, ma una licenza elementare la
prenderei volentieri, con una maestra come te.
TAMARA- Mi hanno detto di venir qui a insegnare... delle cose a un ragazzo.
VOLFANGO- Io, nel cuore, son rimasto un ragazzo... Insegnami tutto, erudiscimi.
Dimmi come ti chiami.
TAMARA- Mi chiamano tutti Tamara.
VOLFANGO- La figlia della steppa! Ma allora sei tu che discendi dalle antiche
tribù caucasiche che hanno dato i natali alle più belle donne del mondo.
TAMARA- Guarda che in casa mia, siamo in tanti ma una tribù proprio, non direi.
Eppoi io sto di casa a Badia Pozzeveri, mica nella steppa.
VOLFANGO- Badia... Badia... Sì, ho capito: un paese al limitare della taiga siberiana...
dove soffia il vento degli Urali e la neve impedisce di uscire da casa. Gli
uomini e le donne vivono rinchiusi al caldo della stufa e, a primavera, quando
la neve si scioglie, nascono i bambini... e il pope li battezza.
TAMARA- Guarda che al mio paese, la neve ci casca ogni morte di papa. È vicino
a Altopascio, dopo il padule di Bientina...
VOLFANGO- Effettivamente, mi manca una laurea in geografia. Ma non è mai troppo
tardi. Parliamo di noi: Tamara, erudiscimi.
TAMARA- (Rimane perplessa). Depravato! Io ero venuta su perché m'avevano detto
che c'era da insegnare le cose a un ragazzino. Mi può star bene anche uno con
qualche anno di più sulle spalle... ma quella... eru...eruzione, com'hai
detto... sarà meglio chiacchierarne un pochino.
VOLFANGO- Cos'hai capito! Erudiscimi, insegnami, fammi partecipe della tua
scienza... amourées. Sarai la mia... femme savante e io il tuo petit garçon, il
tuo Volfanguccio.
TAMARA- Il mio cosa?
VOLFANGO- Volfango: il mio nome. Il mio bisnonno si chiamava così: era cancelliere.
TAMARA- Faceva il fabbro? Batteva... sul ferro. Certi mestieri non esistono
più. Al giorno d'oggi ti tocca battere sì, ma in un'altra maniera... A
proposito: sarà bene ragionare un po' anche del conquibus. (Fa il cenno dei
soldi) Quella che è venuta a cercarmi m'ha detto: "Poi ci si trova
d'accordo". Ma fino a ora...
VOLFANGO- Non ti devi preoccupare: l'argent è giù in macchina, l'ho sistemato
dentro una cartella.
TAMARA- Allora è tanta roba.
VOLFANGO- Modestamente... diverse decine di milioni. Ho fatto del mio meglio:
tout mon mieux.
TAMARA- È tutta roba mia?!
VOLFANGO- Tua e della tua famiglia.
TAMARA- Cosa c'incastra la famiglia? Figurati: non lo sanno nemmeno che
faccio...
VOLFANGO- La maestra? Che dài lezioni private? Non avere timore, giù in
macchina ho tutto l'incartamento, il dossier.
TAMARA- Il dossiée? Non sarai, per caso un poliziotto?
VOLFANGO- Cosa te lo fa pensare? Forse il mio aspetto austero? No, sono un
funzionario di banca, anzi un ex funzionario perché sono in pensione ormai già
da due giorni.
TAMARA- Ho capito: hai ritrovato la libertà e ti dài la via. Fai bene! Dopo una
vita passata in una banca, dietro uno sportello, devi riprendere il tempo
perso.
VOLFANGO- Modestamente, non stavo dietro uno sportello, avevo un ufficio tutto per
me: sezione mutui. Ho dato denaro a tanta gente.
TAMARA- Sìi? Perché non t'ho conosciuto prima!
VOLFANGO- Non è mai troppo tardi. Ma dimmi, piuttosto: tu sei stata invitata
qui per... sì, dico... per intrattenere un ospite.
TAMARA- Sì, m'è venuta a chiamare Uliana, la sorella di Goffredo.
VOLFANGO- Allora sei tu! Il signor Goffredo ha fatto le cose seriamente; debbo
rimettergli la stima. Ma allora, chi era quell'altra?
TAMARA- Quale artra? O quanta gente gli ci vuole per istruire un ragazzino...
L'ho sempre detto: in questo mestiere c'è troppa concorrenza!
VOLFANGO- Ma figurati: è entrata una femmina, almeno la suppongo tale, truccata
orrendamente. ha cercato di abbindolarmi con le sue arti di adescatrice. Voleva
farmi mangiare le ostriche con lo champagne, francese credo, addirittura ha
tentato di condurmi di là, nella camera della regina, voleva farmi distendere
sotto il baldacchino! Quel orreur!
TAMARA- Eh, poverino, se ci picchiavi la testa ti ci veniva il coccio... il
corno. Ma tanto, te non sei sposato, vero?
VOLFANGO- Sono solo, libero come l'aria. Conobbi una volta una giovane donna,
impiegata dell'ufficio ipoteche. Tentò: la poverina si era invaghita di me. Ma,
capirai: sezione mutui, ufficio ipoteche, poteva sembrare un matrimonio
d'interesse. Dovette rassegnarsi, la jeune fille. Sposò un collega dell'ufficio
prestiti su pegno.
TAMARA- Che vita interessante. Chissà quante avventure... colle ipoteche, coi
mutui... Impegnavi la roba per avere il prestito. Per venire qui cos'hai
impegnato, la catena dell'orologio?
VOLFANGO- O no. Io non ho bisogno di ricorrere a prestiti. Ho la mia pensione
che è abbastanza sostanziosa, inoltre ho già riscosso la liquidazione e
dispongo quindi di un gruzzoletto piuttosto consistente.
TAMARA- Come mi garbano i gruzzoli... Non per sapere i tuoi interessi, ma tanto
per sapermi regolare: se ti devo dare questa benedetta lezione, sarà bene
stabilire un tanto.
VOLFANGO- Il cachet.
TAMARA- Veramente pensavo a qualcosa di più d'una pasticchina.
VOLFANGO- Charmant! Tu est charmant, ma petite!. Non alludevo all'aspirina ma
al cachet, inteso come il compenso che si dà a un artista. Perché la tua,
possiamo considerarla un'arte, non è vero?
TAMARA- E di quelle più antiche. Non per vantazione ma a rifarsi da Messalina,
giù giù fino a Putifarre, Margherita Gautièr... Ora poi non si saprebbe più da
che parte principiare. Te l'ho già detto: c'è troppa concorrenza, ma che si fa
la burletta!
VOLFANGO- Pazienza, cara. Ora sei con il tuo Volfanghino: ton petit juojuo...
TAMARA- Scusa, non ti potresti chiamare in un altra maniera. Fanghino... mi fa
senso, mi viene da lavarmi le mani… Visto che oramai ci siamo conosciuti,
vediamo di combinare qualcosa? Anch'io ho da fare, non ci posso mica perdere
tutta la giornata.
VOLFANGO- Anche la serata. Più in là, non mettiamo limiti.
TAMARA- Io, verso mezzanotte bisogna che sia a casa. Te l'ho detto: non lo
sanno...
VOLFANGO- Ah già, le lezioni... private. Ottima copertura: un'insegnante... a
domicilio... un ragazzino. Non temere, sarà il nostro segreto; lo porterò con
me fino alla tomba, avec moi, jusque au tombeau!
TAMARA- No, magari basta anche più vicino... a Vicopisano.
VOLFANGO- La tombeau, a Vicopisanó? Ho la cappella di famiglia. La costruì il
mio bisnonno.
TAMARA- Batteva anche sulle tombe!?... Ma non c'è bisogno d'andare al cimitero,
basta stare zitti e non dirlo a nessuno.
VOLFANGO- La lingua del silenzio: la lingua afrodisiaca.
TAMARA- Mi raccomando: che non trapeli nulla.
VOLFANGO- No no: nulla, tra i peli. Cioè, voglio dire: nulla trapelerà. Ma
torniamo a noi. Vogliamo chiamare il garçon per un drink o saltiamo addirittura
i preliminari per arrivare subito al dunque?
TAMARA- Dipende: c'è chi ha bisogno d'un aiutino e chi invece è già...
attrezzato per conto suo. Te, cosa sai?
VOLFANGO- Tutto... e niente... Non si finisce mai di imparare.
TAMARA- Allora, tanto per principiare: facciamo finta che io sono una ragazza
che passa per la strada. (Si alza e passeggia ancheggiando) Te come fai a
agganciarla, cosa dici?
VOLFANGO- Mademoiselle, passavo di qua, l'ho vista, l'ho seguita... eccomi qua.
Vogliamo appartarci un momentino?
TAMARA- Dipende.
VOLFANGO- Da cosa?
TAMARA- Da tante cose. Cosa vuoi fare, dove vuoi andare...
VOLFANGO- Andiamo nella mia gaçonnière.
TAMARA- Nella tua cosa?!
VOLFANGO- La garçonnière, il mio pied à terre.
TAMARA- Un piede per terra? E quell'altro? Bimbo: non farmi l'acrobazie! In
questo mestiere te ne capitano di tutte, ma di dover stare ritta su un piede
solo, non m'era mai successo; è un metodo indiano?
VOLFANGO- Ma quale India; è qui a due passi. Un po' fuori mano... per la gente.
Un appartamentino in un palazzo anonimo ma all'interno dotato di tutti i
comfort, per situazioni... particolari.
TAMARA- Un miniappartamento! Con tutti i tuoi soldi, non te la potresti
permettere una casa normale?
VOLFANGO- Quella è solo una dependence per certe scappatelle. Ma io abito nel
palazzo di famiglia. Lo costruì un mio quadrisavolo, quando era paggio di
camera del visconte Bruto da Montone, nel feudo di Favalanciata.
TAMARA- Che famiglia!!... Mah!... Per tornare al discorso che s'era
principiato: quando ti trovi con una ragazza, gli devi dire che ti garba, che
ha begli occhi, bei capelli... Su: fammi sentire come fai.
VOLFANGO- Signorina, i suoi occhi sono neri, i capelli hanno bisogno di una
messa in piega però sono bellissimi, i suoi... mi vergogno...
TAMARA- Forza, coraggio. Andavi benino. Cosa mi volevi dire?... Insisti,
chiacchiera.
VOLFANGO- Sì. (Perentorio) Tamara!... Senti nella mia voce una eco delle
vibrazioni bronchiali che il tuo nome mi procura?... Anche una piccola
lacerazione pleurica.
TAMARA- Nòo! Alle donne, i polmoni non interessano!... Digli del cuore.
VOLFANGO- Ah, sì. Con il cuore me la cavo meglio... Sono portatore di una
leggera tachicardia, che avverto solo quando salgo almeno due rampe di scale.
TAMARA- Allora, ti puoi innamorare soltanto d'una ragazza che sta a mezzanino.
VOLFANGO- La dolce Eufrasia, la collega dell'ufficio ipoteche; si era invaghita
di me, rammenti? Ebbene: la dolce Eufrasia abitava al sesto piano: superattico
con vista, nelle giornata chiare, fino al mare. Eh, dovetti rinunciare,
poveretta, malgrado il condominio fosse dotato di ascensore.
TAMARA- Ma alle ragazze che passano per la strada,non puoi mica raccontare
dell' Eufrasia; gli importa assai! Devi stringere, devi essere succinto.
VOLFANGO- Va bene, sarò cinto... con il cilicio del penitente... Riproviamo:
mademoiselle, vorrei fare la sua conoscenza... carnale.
TAMARA- Ma come si permette!? Son per bene io!... Ma te sei un bell'uomo... Hai
detto ci avevi una canterata di soldi nell'automobile... O giù! Valli a
prendere... Oh, ma sia ben chiaro: io, con un piede in terra e uno per aria,
non ci sto!
VOLFANGO- Nella mia garçonnière ci sono divanetti, poltrone... e un talamo. Un
letto a due piazze... ancora intatto... mai adoperato...
TAMARA- Come come!? Mi vorresti far credere... che te... non hai mai portato
nessuna su quel letto?
VOLFANGO- Né su quel letto... né altrove... Per me, è la prima volta.
TAMARA- O poverino! A cotest'età!... Ma non ti devi sgomentare: ci sono io a
insegnarti tutte le cosine... C'è la tua Tamarina.
VOLFANGO- Grazie per il tamarindo. Ma sarò all'altezza?
TAMARA- Te, non ti devi sgomentare. Ci sono io, nòo? Basta che tu ci metta
l'entusiasmo... e la canterata di quattrini.
VOLFANGO- In quanto a entusiasmo, devi sapere che un mio antenato, alla prima
crociata, distrusse da solo un fortino arabo! Trapassò a fil di spada più di
cento infedeli e non lasciò che rovine fumanti.
TAMARA- Magari, così è anche un po' troppo.
VOLFANGO- Vado all'automobile, la distruggo, prendo la borsa con il malloppo e
torno qui... sarò tuo... anima e dintorni!
TAMARA- A me bastano i dintorni. Vai, fai alla svelta. Devo tornare a Badia
Pozzeveri.
VOLFANGO- No. Partiremo per un lungo viaggio... Faremo il giro del mondo... io
e te soli...
TAMARA- Poi se ne discorre. Ora vai a prelevare il malloppo.
VOLFANGO- Faccio in un lampo. (Si avvia alla porta) Torno subito. (Dalla
soglia) Anima... e dintorni! (Esce).
TAMARA- (Va alla porta. Grida) Mi raccomando i dintorni! (Torna al centro della
scena. si siede) Ma guarda cosa mi va a capitare... Speriamo almeno che abbia i
dintorni... abbastanza sostanziosi. (Ha caldo, si sventola con il bavero del
vestito. Le fanno male le scarpe: se le toglie. Si toglie la parrucca. È un
uomo. Si asciuga la fronte, accende una sigaretta, estrae un pettine e comincia
a pettinare la parrucca).
SCENA 5 - TAMARA, GIGINO, ALEARDO, ARTEMIA
GIGINO- (Entra. Osserva, chiama sottovoce) Nonni, venite. (Entrano Aleardo,
Artemia) Era qui. Ma ora non c'è più. C'è un altro. (Parlano tutti sottovoce.
Tamara, assorta, non li avverte).
ALEARDO- (Osserva Tamara). No, è sempre lui. S'è vestito da donna. Un po'
bischero mi pareva... Guardalo lì: s'è levato anche le scarpe. O che mistero
abbia a essere?
ARTEMIA- Una donna che s'è pettinata da uomo, coi capelli in mano che ci si fa
i riccioli...
GIGINO- Ganzo! Come in quel film dell'indiani che scotennavano la gente!
ALEARDO- Eh? Come?
GIGINO- Li scotennavano!
ARTEMIA- Ti tentennavano? Poverino, ci hai qualche dente bacato?
GIGINO- (Grida) Nòo! Li scotennavano!
TAMARA- (Realiza la presenza, sussulta) Ohimmei! La cotenna no! O via, fin'a
mettermi con un piede per aria, se proprio insistete, si può vedere
d'arrivarci... ma la cotenna no! Eppoi di cosa ve ne fate? Mamma mia che
famiglia di depravati... Mostri! Vampiri!!
ALEARDO- (Ha osservato Tamara. Alla moglie) Eppure quella lì, una faccia nuova
non mi pare... O dove l'ho vista?
TAMARA- Guà, Aleardo! O te cosa ci fai?... C'è anche Gigino. Vi conoscete?
GIGINO- È mio nonno.
TAMARA- Senti senti... Gigino, o come mai è tanto che non ti vedo?
GIGINO- Aspettavo di levare un po' di soldini a mio nonno. Ma dice in questi
giorni non può perché ha avuto delle spese.
TAMARA- Già, è venuto da me un paio di volte.
GIGINO- Anche lui?! O cosa ci fa?
TAMARA- Mah, dice non se lo ricorda più... La signora invece non l'ho mai
vista. Non è del giro...
GIGINO- È la nonna Artemia.
TAMARA- Tanto piacere signora Artemia... Lei ha un nipote molto bravo... Gli
dovrebbe dare qualche soldino. I giovani, bisogna che si svaghino un pochino;
si devono fare una cultura.
ARTEMIA- Una puntura? (A Aleardo) Ma chi è, un'infermiera? Non siamo mica
malati! Aleardo!... Abelardo!!
ALEARDO- Il lardo? Te l'ho detto tante volte: non mi piace!
ARTEMIA- Devi pigliare le punture? Ti senti male?
ALEARDO- Eh?!
ARTEMIA- (Più forte) Ti senti male?!
ALEARDO- Io? No! Sono un po' sordo ma ci sento bene. Non son mica come te, che
l'altra sera, alla televisione, al festival di San Remo, credevi fosse
l'arcivescovo che cantava la messa
ARTEMIA- Ah, è una dottoressa! (Cerimoniosa, a Tamara) Scusi sa, se lì per lì,
non l'avevo ravvisata. O cosa vuole: in casa mia, di dottori, se ne vedono così
pochi... Mio marito è sempre stato un grèbano. A dirsela fra noialtri, io non
lo volevo prendere, ma siccome son sempre stata un po' dura d'orecchi e siccome
da giovanetta portavo la radio, sa quel cosino che te lo ficcano nel padiglione
der cicciolo auricolare per farti sentire meglio... O cosa vuole: un giorno, il
mio Abelardo mi fa: "Ci mettiamo a fare l'amore?" Io intesi: "Ti
ci va il gelato di more?". Gli dissi di sì, lui m'agguantò, m'aggiaccò
sopra una siepe di pungitopi… nove mesi dopo diedi alla luce la mi' Uliana...
Cosa vuole: quel giorno, alla radio, ci avevo le pile scariche!
ALEARDO- (In disparte, a Gigino) Eppure, mi sbaglierò, ma una faccia nuova non
mi sembra.
GIGINO- O chi ti pare che sia?
ALEARDO- Non me lo ricordo mica.
GIGINO- Te, ti scordi troppe cose, nonno!
ARTEMIA- Insomma, per finirglielo di raccontare, la mi' Uliana... La conosce la
mi' Uliana?
TAMARA- Sì sì, la vedo sempre passare per la via. La conosco, sì.
ARTEMIA- Ah, non la conosce eh? Guardi; non perché è mia figliola, ma è...
bella... intelligente! Si vede che è nata proprio con le pile scariche!... Tutto
al contrario del suo fratello Goffredo. Lo conosce il mi' Goffredo?
TAMARA- Sarebbe il fratello della Uliana? Lo conosco sì: è mio cliente.
ARTEMIA- Non conosce nemmeno lui? Ma allora lei non conosce proprio nessuno! O
di dove viene? Da Luicchio? Comunque a non conoscere il mi' Goffredo non ha
perso nulla. (Confidenziale, dispregiativa) Nel fisico ha preso tutto dal suo
babbo, di cervello ha preso tutto dalla sua moglie, gioca ai cavalli ma non
vince mai una lira... Eppure, quella volta, nella radio, le pile ce l'avevo
belle cariche!
GIGINO- Nonno, è tanto che non mi dài nulla; me li dài due soldini?
ALEARDO- I soldatini?! O che alla tua età ruzzi sempre alla guerra?! Hai a
ruzzare ma... non so... al dottore e all'ammalata... a marito e moglie... ai fidanzati...
GIGINO- O come si fanno codesti giochi?
ALEARDO- Eh?.. Ah... Si fa... Non me lo ricordo mica più.
GIGINO- Lo sapevo! Nonno, mi ci vogliano i soldi. Svanziche, lire italiane,
dollari, euros, mònei! (Accompagna le battute con mimica adeguata per farsi
capire)
ALEARDO- Quattrini?! Non ce l'ho! (Cambia) O Artemia, te che la conosci bene: o
chi è quella lì? Non mi vuole venire a mente.
ARTEMIA- No, Non vende mica le mente. È una dottoressa
ALEARDO- Cosa... dove... come... quando... chi... perché?
ARTEMIA- Eeh!?
ALEARDO- Ce l'ha messa?
ARTEMIA- See... la messa! Non è mica un prete. È una dottoressa; vedrai che è
specializzata in piediatria: accomoda i piedi. Lo vedi s'è levata le scarpe.
TAMARA- Scusate se mi son permessa. Il fatto è che mi bruciano i piedi. A stare
sempre ritta... (Si mette le scarpe).
ALEARDO- No, non ci stia zitta, chiacchieri.
SCENA 6 - TAMARA, ARTEMIA, ALEARDO, GIGINO, GOFFREDO, REGINA, ULIANA
GOFFREDO- (Entra con Regina e Uliana). Sor Volfango... non c'è più.
REGINA- Avrà avuto paura del tuo babbo e della tua mamma. Guardali lì: a
incontrarli di notte ci sarebbe da dargli il portafoglio e scappare... anche se
non te lo chiedono.
ULIANA- O quell'uomo lì vestito da donna, chi è ?... Mi sembra tutto la Tamara.
Ma perché s'è tagliato i capelli?
GOFFREDO- Sì sì, è propio lei... o lui.
TAMARA- (Si mette la parrucca) Son propio io. Goffredo, ci sei anche te?...
Tutta la famiglia! Lo sapete cosa faccio? Mi trasferisco in casa vostra: si fa
più presto.
ALEARDO- Ecco chi era!! Tamara!!
REGINA- Chi sarebbe questa Tamara?
ULIANA- Sarebbe quella che s'era chiamata per fare la lezione al tuo figliolo.
REGINA- Che lezione?
ULIANA- Siccome il bimbo è cresciuto un pochino timido, allora si era detto di
trovargli una maestra che lo istruisse... su certe cose.
TAMARA- Era a lui che dovevo insegnare?! Ma non ne ha mica bisogno di lezioni:
è quasi addottorato per conto suo. (Gigino le fa cenno di tacere) Magari gli
mancano du' soldini.
REGINA- Gigino?! Du' soldini?! Per cosa farne?!... Gigino vai di là!
Delinquente, mascalzone, farabutto, rovinafamiglie, vai di là sennò ti piglio a
nocchini, ti smonto, ti rompo! Ci ho messo nove mesi a farti, ti sfaccio in
cinque minuti! (Lo caccia di scena a scapaccioni) Confondersi con un tipo come
quello!... Tutto suo padre!!
ULIANA- State calmi, non è successo nulla.
ALEARDO- Tamara... ci avevo da vederti perché ti volevo dire... volevo fare...
o cosa volevo fare?...
ARTEMIA- Cosa volevi fare!? Cosa volevi dire!? Non te lo ricordi più, eh!?
(Imperiosa) Vieni di là con me! Ti rinfresco la memoria!
ULIANA- Mamma, cos'hai 'apito! Ti sbagli. Non hai mica sentito bene!
ARTEMIA- Sono sorda ma certe cose si sentono... al tasto, all'odore! Anche
senza la radiolina! Vigliacco! M'hai rovinata nell'onore; prima col gelato di
more e ora con quella spece di... di befana spelacchiata! Vai di là; corri!
Andiamo in camera nostra; ti sistemo! Ti faccio una ripassata generale: dall'a
alla zeta. Si principia dalle siepi di pungitopi e si viene giù giù fino a
Tamara!! Marsc! Fila! Pussa via! (Aleardo esce impaurito. Artemia, sulla porta,
si rivolge agli altri. Calma) Potrebbe darsi, tante volte non si sa mai, che un
lampo gli venga a galleggiare nella memoria. Oh, io ci provo. (Esce)
GOFFREDO- (A Tamara). Ma si può sapere cos'è tutta questa storia della
parrucca... ma chi sei?
TAMARA- Oramai m'avete scoperto. Dovete sapere che io non mi chiamo Tamara...
Sono un uomo.
REGINA- Si fa per dire.
TAMARA- Mi chiamo Francesco Bartolucci, Cecchino per gli amici. Abito a Badia
Pozzeveri, son disoccupato e, per rimediare un po' di soldi, mi sono messo a
fare questo mestiere. Del resto, di questi tempi, i travestiti vanno di moda.
REGINA- E mio marito, a titolo di cronaca, cosa c'incastra con te? Ora devo
badarne due: il figliolo e il marito!
GOFFREDO- Cosa ti vai a mettere nella zucca.
REGINA- Quello che mi metto nella testa, prega il tuo iddio che non m'esca
dalle mani, perché sono nocchini! Son coltellate!!
GOFFREDO- O via, Regina; lo sai che voglio bene a te. Non ho altro nella
testa... levato due cavallini...
REGINA- E le cavalle! Le puledrine!... Oddìo: leilì non è nemmeno una cavalla
da tiro, vero...
GOFFREDO- Regina, te lo giuro: non ci penso nemmeno.
REGINA- Hai perso la memoria anche te? È un vizio di famiglia! Allora guarda di
fartela tornare, e alla svelta! E da qui in avanti, faccio come tua madre: la
lezione te la ripasso io!
TAMARA- O giù, smettetela di litigare. Dovrebbe tornare quel tale, quel
signore: è andato a prendere il malloppo.
GOFFREDO- Cosa? Chi?
TAMARA- Quando sono arrivato c'era un signore, un po' anziano, distinto.
Credevo che fosse a lui che dovevo insegnare le cose.
ULIANA- Il francese? Quello cha fa la reclame dei cancelli? Che gli garba
l'acqua di Viscì? Mamma mia che satrapo!
GOFFREDO- Il sor Volfango. Allora non è scappato.
TAMARA- Deve tornare da un momento all'altro. È andato a pigliare i soldi giù
in macchina. Dice ci ha il dossié.
GOFFRDO- Il mutuo! Ce l'abbiamo fatta! Tamara: il bocconcino ci sarà anche per
te. Ora rimani qui ad aspettarlo, dopo... quando ci avrà dato il foglio, puoi
fare cosa ti pare.
TAMARA- Ha detto mi vuol portare a fare un bel viaggio... il giro del mondo. Ma
io devo ritornare a Badia Pozzeveri.
GOFFREDO- Ora andate di là, voi due. Io rimango qui con Tamara: quando viene
Volfango mi faccio dare il foglio e siamo a posto.
REGINA- Quii?... Solo con lei?...
ULIANA- No! Con lui!
REGINA- Già: lei è lui!... O è lei?! No no; è lui perché se fosse lei, il mio
marito lo dovrei spicinare dalle botte! Farmi le corna con lei! Ma siccome lei
è lui... va a finire che mi toccherà andarci a me, assieme a lui!... No eh! No
eh! Io non lo voglio luilì! Me lo volete appiccicare di legge! Non lo
voglio!... Non lo voglio (Esce gridando) Non lo voglio!!
ULIANA- Vieni qui, Regina. Non è poi tanto brutto... Caso mai si fa a mezzo.
(Esce)
SCENA 7 - GOFFREDO, TAMARA, VOLFANGO
GOFFREDO- Mamma mia che confusione! Menomale ora, col mutuo, si va a stare in
casa nuova, almeno le divido. Mi dovrò sempre sopportare la moglie... ma sarà
una donna sola.
TAMARA- Povero Goffredo, se tu non avessi qualche consolazione... fuorivia…
GOFFREDO- Ma anche te, da tutta questa situazione, devi uscirne bene. Appena
vinco la tris alla sala corse, ti faccio un bel regalo.
TAMARA- Campa cavallo! È propio il caso! Se mi riesce agguantare il tuo amico Volfango,
vedrai ci sorto bene.
GOFFREDO- Già: il giro del mondo... Piglia le ferie?
TAMARA- No, ha detto è in pensione.
GOFFREDO- Da quando?
TAMARA- Da due giorni. Ha già riscosso la liquidazione.
GOFFREDO- L'età della pensione ce la dovrebbe avere. Ti conviene tenertelo
buono.
VOLFANGO- (Entra con una cartella) Eccomi qua, chérie. Ho fatto presto? C'è
anche il signor Goffredo. Bene, così potrò consegnarle direttamente il
documento... e tutto è risolto.
GOFFREDO- La ringrazio, sor Volfango; è stato veramente buono.
VOLFANGO- Per carità: una sciocchezza.
GOFFREDO- No no, grazie di cuore. Ma anch'io... l'ho contraccambiato bene
(indica Tamara) ... Eh? Gli garba?
VOLFANGO- Caro Goffredo, sono emozioni che non si possono dimenticare... Ora le
firmo subito il documento (Apre la cartella, ne estrae un foglio sul quale
scrive con una stilografica che si è tolta di tasca) Allora vediamo: è già
tutto prestampato, ci mettiamo una bella firma... ecco fatto! A lei! (Gli
consegna la carta)
GOFFREDO- Grazie, grazie tante.
VOLFANGO- Sono io che devo ringraziare lei per questo... bocconcino. Io, per
lei, non ho fatto nulla, non mi deve ringraziare... Non ho fatto nulla...
Assolutamente!
GOFFREDO- No no, lei ha fatto. Comunque, ora che è in pensione avrà il tempo
per divertirsi, per godersi la vita.
VOLFANGO- Certo: sono un uomo libero, non ho più vincoli con la banca...
L'unico legame, se mi sarà concesso, sarà una catena fatta di fiori... esotici,
havaiani... Vogliamo andare cara? Le isole del sogno ci aspettano.
TAMARA- Andiamo andiamo... Però tanto lontano sarà meglio di no. Io devo
tornare a casa.
VOLFANGO- Ma sì, cara. Andremo dove vuoi tu: al Polo Nord, al Polo Sud, nelle
isole della Sonda, a Bali... o nelle lontane Americhe... dovunque con te...
(Esce con Tamara)
SCENA 8 - GOFFREDO, ARTEMIA, ALEARDO, ULIANA, REGINA
GOFFREDO- (Esultante, chiama in quinta). O gente, venite qua! Lesti, correte!
REGINA- (Entra con gli altri). Cosa c'è?… Meno male se n'è andata quell'altra!
ARTEMIA- (A Uliana, che l'ha spinta in scena). La smetti un po' di spingermi!
Proprio ora che il tuo babbo principiava a ricordarsi qualcosa… Pochino, vero,
ma qualcosa. Vero, Abelardo, che quarcosa principiava a galleggiarti nella
memoria?
ALEARDO- La storia? A scuola andavo benino; mi ricordo di quando il generale
Diaz inventò il cappottino alla mongomeri perché aveva da fare le guerre
puniche coi pellerossa cartaginesi, che a Romolo e Remo gli davano il
parmalatte della lupa mentre Napoleone buttava la bomba atomica. Ma siccome gli
inglesi avevano gli strizzoni di corpo… fu così che successe la ritirata di
Caporetto.
ARTEMIA-. È un po' stretto?… No! Oramai…
ULIANA- Babbo, mamma: state un po' calmi. Goffredo ci ha chiamati, stiamo a
sentire cosa vuole.
REGINA- Cosa vuoi che voglia quello lì! Ci ha le cavalline nel capo! Ma gli ce
le levo io!
GOFFREDO- Allora?! È una cosa importante: s'è vinto!
ULIANA- La tris? Uh bene! Quant'hai vinto? Una pelliccia mi c'incastra?
GOFFREDO- Ma che tris! La casa! S'è vinto la casa! Ecco il foglio del mutuo: me
l'ha firmato or ora il sor Volfango.
REGINA - Finalmente! Una cosa buona t'è riuscito farla anche a te!
GOFFREDO- Domani vado a sentire il muratore e s'invia subito a murarla, la
casa.
REGINA- Si potrà andare per conto nostro e non aver più fra i piedi certi musi!
Cosa vuoi: quando una nasce un po' altolocata… con certa gente… non ci si
ritrova!
ULIANA- Altolocata?! O se stavi in un sottoscala! Voglio dire, sei nata in un
grattacielo!
ARTEMIA- Cosa gratta? Un melo? O che succhio c'è!… Abelardo, no, eh! Io quelle
cose lì non le voglio fare! Non insistere!
ALEARDO- Un velo?… Mi garberebbe… Perché non ti fai un vestito tutto di velo…
rosa?
ARTEMIA- Cosa?… Noo, sul melo non ci monto!
ALEARDO- Ti garba un mondo? Anche a me… Tutta velata…
ARTEMIA- La serenata… sei stonato, Abelardo. Te lo ricordi, mi cantavi tutto il
canzoniere.
ALEARDO- Macché zanzariere! Un bel vestitino!
REGINA- Senti lì che lavori! Come si fa a sopportarli? Meno male si va via.
GOFFREDO- (Durante queste ultime battute ha letto e riletto il foglio datogli da
Volfango). Regina, mi sa che non ci si può andare.
REGINA- Dove?
GOFFREDO- Nella casa nuova… Il mutuo, questi fogli… quel nato d'un cane m'ha
fatto organizzare tutto. Ho avuto anche delle spese…
ULIANA- Che spese?
GOFFREDO- Coso lì… come si chiama… Tamara. Qualche cosa gli dovrò dare.
REGINA- Te non gli dai proprio nulla, a quella lì! Non cominciamo!
ULIANA- Travestirsi da uomo, per fare quelle cose!
GOFFREDO- Ma lo capite che il mutuo 'non c'è! Non ci danno un centesimo! Questo
foglio non vale nulla!… Po' po' di delinquente!
REGINA- Chi?
GOFFREDO- Il funzionario! Volfango! Ci ha messo la data d'oggi e lui è in
pensione già da due giorni! Con la banca non c'incastra più nulla! Si vede gli
era rimasto qualche foglio nella borsa, e lui se n'è approfittato! Eh, ma se lo
trovo!… Lo becco… ce lo intoppo!
ULIANA- A quest'ora è capace è già sull'Avai… colla gonnellina di fiori… Da una
parte, guà, era meglio se gli davo spago.
GOFFREDO- (Strappa i fogli e fa per uscire). Si vede era destino.
REGINA- Dove vai?
GOFFREDO- Alla sala corse. M'hanno dato un cavallino sicuro.
REGINA- Ecco, bravo. Finisci anche quei pochi che ci sono! Spendili tutti, mi
raccomando! (Goffredo esce). Ha da pensare ai cavalli, lui. E il suo figliolo,
poverino (si commuove) scalzo e nudo… senza una lira per le tasche. (Normale).
Quello magari, è bene; sennò li finisce tutti con Tamara! Tutto suo padre! Che
famiglia!
ULIANA- Sarà una famiglia come tutte l'altre! O te, da dove discendi, dal conte
Bastogi?
REGINA- Io non discendo da nessuno: né conti né marchesi! Ma in casa mia non ci
sono vecchi rimbambiti e sorelle svanite di cervello!
ULIANA- Chi è svanita?!
REGINA- Te!
ULIANA- Ah, allora va bene. (Ci ripensa). Cosa?! Io sarei svanita?! Spariscimi
di davanti sennò ti faccio sparire io! Sparisci! Non ti voglio più vedere!
REGINA- Dalla paura mi trema tutto l'orlo della camicetta. Cosa credi di fare?
REGINA- Le polpette! Ti sfaccio! T'annodo! (Urla) Pussa via! (Regina scappa,
Uliana la insegue)
ALEARDO- (Ha "conversato" con Artemia durante la scena precedente.
Quando il tono è andato aumentando, prestano attenzione). Bene, brave. L'hai
visto come si vogliono bene… è un piacere vedere due cognate così affezionate.
ARTEMIA- No, l'aringhe affumicate no. Per cena t'ho preparato una bella
piattata di fagioli, come li preferisci: lessi o all'uccelletto?
ALEARDO- Sotto il letto? No. Sarebbe meglio sopra… (al pubblico) voi cosa ne
dite?… Non ve lo ricordate più nemmeno voi?
ARTEMIA- Con chi discorri? (Guarda in platea). O tutta quella gente chi è? Sono
amici tuoi?
ALEARDO- (Al pubblico). Allora si fa una cosa: vi si manda tutti a casa, così
vi rinfrescate la memoria.
ARTEMIA- (Al pubblico). Siete suoi amici? O come fate a sopportarlo? Ma ora ve
lo porto via, così potete andare a casa tranquilli. Poverini, o com'avete fatto
a sopportarci?
ALEARDO- (Al pubblico). Se mi riesce portare di là mia moglie, siamo a posto.
ARTEMIA- Andiamo Abelardo, si va di là. (Al pubblico). Buonanotte.
ALEARDO- Vieni di là, Artemia: ho da farti vedere una cosa. (Al pubblico).
Buonanotte.
Escono strattonandosi e, ogni tanto, inchinandosi al pubblico.
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