Il negligente

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IL NEGLIGENTE

Carlo Goldoni

Dramma Comico per Musica da rappresentarsi nel Teatro Giustinian di S. Moisè l'Autunno dell'Anno .

Personaggi

Filiberto benestante, ricco, negligente.

Il Sig. Alessandro Renda. Lisaura sua figlia.

La Sig. Dionisia Lepri. Pasquino servo di Filiberto.

Il Sig. Francesco Baglioni. Porporina serva di Filiberto.

La Sig. Costanza Rossignuoli. Aurelia orfana in casa di Filiberto.

La Sig. Serafina Penni. Cornelio amante di Aurelia.

Il Sig. Francesco Carrattoli. Dorindo amante di Lisaura.

La Sig. Berenice Penni. Un Conte che non parla.

La Musica è del Sig. Vicenzo Ciampi.


ATTO PRIMO

SCENA PRIMA

Camera in casa di Filiberto.

Filiberto a sedere, e Lisaura

FIL.

Possibile che un giorno

Non possa star senza pensare a niente?

Con questo tutto il dì rompermi il capo,

Figlia troppo crudele,

Mi farete morir. Voi lo sapete,

Io bramo la mia pace:

Faticare, pensar, m'annoia e spiace.

LIS.

Ah caro padre, come mai potete

Goder la vostra pace

Con una lite intorno,

Che, se noi la perdiamo,

Miserabili affatto oggi restiamo?

FIL.

E ci ho da pensar io?

Vi pensa il mio causidico,

Egli sa il suo mestiere;

Io lo pago, e non voglio altro pensiere.

LIS.

Quant'è che a ritrovarlo non andate?

FIL.

Stamattina v'andai.

LIS.

Lodato il cielo!

Gli parlaste? Che ha detto?

FIL.

Era uscito di casa.

LIS.

Non la finite mai d'uscir dal letto.

Mai ben le cose vostre andar non ponno.

FIL.

Oh che dolce dormir quando s'ha sonno!

LIS.

Ho a dirvi un'altra cosa.

FIL.

Oimè! non m'annoiate.

LIS.

Voi vi tenete in casa

Quell'impiccio d'Aurelia,

E non si sa perché.

FIL.

Morto è suo padre.

Me l'ha raccomandata.

LIS.

Mi rassembra però sia troppo ingrata.

Eh, mandatela via.

FIL.

Ci penseremo.

LIS.

Un'altra cosa sola,

Se mi date licenza,

Vi dico, e me ne vado.

FIL.

Oh che pazienza!

LIS.

Io cresco nell'età. Son figlia sola.


Voi siete un po' avanzato;

Ed ancor non pensate a darmi stato?
FIL.                       Oh ci è tempo, ci è tempo.

Ci penseremo.
LIS.                                             (A far lo stato mio,

Se non ci pensa lui, ci penso io). (parte)

SCENA SECONDA

Filiberto, poi Porporina

FIL.

Non basta il grande impaccio

Di far nascer le figlie ed allevarle;

Pensar anche bisogna a maritarle.

PORP.

Serva, signor padrone.

FIL.

Oh Porporina,

Come stiamo in cucina?

PORP.

Ho un'ambasciata

Di premura da farvi.

FIL.

Io non ho voglia

Di sentir ambasciate;

Me la farai stassera.

PORP.

Oh non ci è tempo

Da perdere, signor. Sentite...

FIL.

Oibò.

Che noia!

PORP.

Ha qui mandato

Il causidico vostro...

FIL.

Oh nome odioso!

PORP.

A dir che tostamente,

Anzi subitamente,

Vi portiate a Palazzo.

FIL.

Eh, io non son sì pazzo.

Non mi vuò incomodar.

PORP.

Vi fa sapere

Esser la vostra causa in spedizione.

FIL.

Oh che bella ragione!

Si spedisca. La nuova aspetterò.

PORP.

Vi vorrà del denar.

FIL.

Ne manderò.

Senti, ho un po' d'appetito;

Fammi una pietanzina,

Cara mia Porporina.

PORP.

Ma spicciatevi prima il palazzista.

O vestitevi e andate,

O almen qualche risposta a lui mandate.

FIL.

Ehi Pasquino.


SCENA TERZA

Pasquino e detti.

PASQ.

Signor. (di dentro)

FIL.

Vien qui.

PASQ.

Non posso.

FIL.

Perché?

PASQ.

Fo colazione.

FIL.

Poverino, ha ragione.

Finisci, e poi verrai.

PORP.

(Eh, più sciocco padron non vidi mai).

FIL.

Bisogna compatir la servitù.

Tutto il dì s'affatica,

E vuol la carità

Che un'ora gli si dia di libertà.

PASQ.

Eccomi. Ho fatto presto?

FIL.

Cancaro! tu sei lesto.

Sentimi, andar dovrai...

Dove ha detto? (a Porporina)

PORP.

A Palazzo.

FIL.

Anderai a Palazzo,

Cercherai conto di messer Imbroglio.

Portagli questa borsa.

Digli che si ricordi

Di sostenere in punto di ragione

Ch'io son chiamato alla sostituzione.

Digli che il testamento parla chiaro,

Che il testamento io l'ho,

E che, quando bisogni, il cercherò.

Digli...

PASQ.

Basta: ih, ih, che diavol fate?

Tante cose in un fiato?

Voi m'avete imbrogliato.

FIL.

Te lo tornerò a dir. Oh che fatica!

Anderai a Palazzo.

PASQ.

Ben.

FIL

Vedrai

Messer Imbroglio.

PASQ.

Sì.

FIL.

E gli darai

Questa borsa.

PASQ.

Fin qua me ne ricordo.

E poi?

FIL.

E poi, che il testamento io l'ho;

Che non l'ho ancor trovato,

Ma ch'io sono chiamato

Alla sostituzione,


E che sostenga ben la mia ragione

PASQ.

Caro signor padron, fatemi grazia,

Quella prostituzion cosa vuol dire?

FIL.

Sostituzione, ho detto.

PASQ.

Ma se poi tutto tutto

Quel non dicessi che diceste voi?

FIL.

Oh, son stanco! Di' tu che diavol vuoi.

Già te l'ho detto

Cos'hai da fare;

Non mi stancare,

Non m'annoiar.

Via, Porporina,

Vanne in cucina,

La pietanzina

Vammi tu a far.

L'ho detto chiaro, (a Pasquino)

Tu m'hai capito.

Oh che appetito! (a Porporina)

Cara, non farmi

Tanto aspettar. (parte)

SCENA QUARTA

Pasquino e Porporina

PASQ.

Che mi venga la rabbia

Se mi ricordo più cosa m'ha detto.

Basta, a Palazzo andrò;

Qualche cosa dirò. (vuol partire)

PORP.

Ehi, ehi, Pasquino.

PASQ.

Porporina, che vuoi?

PORP.

Così tu parti,

Senza darmi un addio?

Più bene non mi vuoi, Pasquino mio?

PASQ.

Se ti vuò bene? e come!

Ma per non mi scordar la mia lezione,

Io me n'andavo a dire a ser Imbroglio

Del testamento e la prostituzione.

PORP.

Vorrei ti ricordassi

Della tua Porporina.

PASQ.

La sera e la mattina,

Quando mi levo e quando vado a letto,

Penso sempre, mia cara, a quel visetto.

PORP.

Eh tu burli, lo so.

PASQ.

No, ch'io non burlo,

Te lo dico di core.

PORP.

Eh furbacchiotto,


Mi vorresti far giù.

PASQ.

Per te son cotto.

PORP.

Via, via, vanne, Pasquino;

La cosa preme assai.

Vanne, e ritornerai poscia da me.

PASQ.

Se premesse al padron, v'andria da sé.

PORP.

Sai la sua negligenza.

PASQ.

Vado... ma dove? oh bella!

Non mi ricordo più dov'abbia a andare.

PORP.

A Palazzo.

PASQ.

La borsa l'ho da dare...

A chi?

PORP.

A messer Imbroglio.

PASQ.

Messer Imbroglio amato,

Stavolta più di voi sono imbrogliato.

Ho da dir che il testamento...

Ho da dir... non ne so più.

Porporina... dillo tu...

Zitto, zitto, l'ho trovata.

Ho da dir ch'è la ragione

Della sua prostituzione

Che si deve sostener.

Gran memoria tengo io!

Ho da dir che il padron mio

L'ha cercato, l'ha trovato...

Sì, va bene, lo dirò. (parte)

SCENA QUINTA

Porporina, poi Dorindo

PORP.

Io mi vuò maritar. Pasquino, è vero,

È un poco sempliciotto; ma talvolta

Un mezzo scimunito

Suol esser per la donna un buon marito.

DOR.

Quella giovine bella.

PORP.

Oh mio padrone,

Chi dimanda?

DOR.

Trovai la porta aperta.

L'ardir mio condonate.

PORP.

Quando trovate aperto, e voi entrate.

DOR.

Il signor Filiberto

È in casa?

PORP.

È in casa.

DOR.

Si potria vedere?

PORP.

Se avete da parlar di qualche affare,

Difficile sarà.


DOR.

Per dir la verità,

So che siete una giovine prudente;

Di veder lui non me n'importa niente.

Lisaura bramerei...

PORP.

Ah, ah, v'ho inteso.

Garbato signorino,

Non cercate Marforio, ma Pasquino.

DOR.

A voi mi raccomando.

Permettete ch'io possa

Dirle almen due parole.

PORP.

Oh no no, non si puole.

Andate via.

DOR.

Possibile che siate

Tanto crudele?

PORP.

Andate via, vi dico.

DOR.

Vi sarò buon amico.

So il mio dover.

PORP.

Come sarebbe a dire?

DOR.

Io vi regalerò.

PORP.

Questi futuri

Non mi piacciono punto. Andate via.

DOR.

Vi prego in cortesia.

PORP.

No, no, non posso.

DOR.

Ma perché non potete?

Porporina, tenete

Questa picciola borsa

Per caparra di quel ch'io vi darò.

PORP.

Signor no, signor no.

DOR.

Eh via.

PORP.

La non s'incomodi

DOR.

Mi fate torto.

PORP.

Non vorrei...

DOR.

Prendete.

PORP.

Grazie, grazie. Voi siete (prende la borsa)

Veramente garbato.

DOR.

D'un core innamorato

Movetevi a pietà.

PORP.

Sentite: andate là.

Lisaura è sola sola,

Il padre è negligente,

E alla figlia non pensa niente niente.

DOR.

Dunque vado.

PORP.

Sì, andate.

Ma giudizio!

DOR.

No, no, non dubitate;

Abbiam Lisaura ed io

Lo stesso naturale;

Tra lei e me non vi puol esser male.

PORP.

Quand'è così, mi fido;

E poi son di buon core.


Io non posso veder patir nessuno. Spezialmente quand'uno È, come siete voi, gentil così, M'adoprerei per lui la notte e il dì.

Non posso soffrire Vedervi languire; Ho un cor troppo tenero Vi voglio aiutar.

(Perché non è avaro, Non prezza il danaro, Lo vuò consolar).

Ho un cor troppo tenero. Vi voglio aiutar. (parte)

SCENA SESTA

Dorindo solo.

Dice ben Porporina, dice bene:

Chi vuole esser contento,

Vi vuol l'oro e l'argento.

Chi non ha capitale,

Con le donne oggidì la passa male. (parte)

Senza sentir il danno

Dell'amorose pene,

Esser privo d'affanno

In grazia al caro bene,

Non v'è piacer più amabile,

Dical chi amor provò. Misero! non son io

Felice? e chi mel niega?

Che più bramar degg'io,

Più desiar non so. (parte)

SCENA SETTIMA

Altra camera nella stessa casa.

Aurelia e Cornelio

AUR.                     Sì, sì, Cornelio mio,

Amami di buon cor, che t'amo anch'io.
CORN.                  Circa all'amor, mia cara,

Non v'è niente che dir. Siamo felici.


Tu mi vuoi bene a me;

    voglio bene a te. Ma il punto sta
Che tu dote non hai,

Che io poderi non ho, non ho mestiere; E non vorrei che avesse

    gusto dell'amor presto a finire,
E ci avessimo poi, cara, a pentire.

AUR.                     Per questo è, ch'io procuro

Allettar co' miei vezzi

Il signor Filiberto,

Il quale, incatenato

Da quell'arti che a lui poco son note,

Mi vorrà bene, e mi farà la dote.
CORN.                  Io per un'altra strada

Tento la nostra sorte.

Ti è nota quella lite

Che contro Filiberto

Mossa ha il Conte?
AUR.                                                     Lo so.

CORN.                                                           Sappi che siamo

Interessati nella lite in terzo,

    per il primo, il Conte e ser Imbroglio.
AUR.                     Come! ancor ser Imbroglio?

Di Filiberto istesso

    causidico ancora?
CORN.                      Sì, ti pare

Cosa strana? È così.

Siam tre d'accordo

Per mandarlo in rovina.

Il Conte fa la principal figura;

Imbroglio al precipizio apre la strada;

Io vo tenendo Filiberto a bada.
AUR.                     Dunque si può sperar che vada bene.

CORN.                  Si può sperar, ma dubitar conviene.

AUR.                     Voi tre tesa gli avete

Una terribil rete.

Io un altro laccio ho teso:

Dalla rete o dal laccio ei sarà preso.
CORN.                  E noi contenti allora,

Senza che della fame

V'entri il brutto demonio,

Goderem lietamente il matrimonio.

Bel contento è l'esser sposi Senza aver da sospirar. Ma poi tutto si scompiglia Quando grida la famiglia: «Pane, pane, mamma mia». Oh che brutta sinfonia, Quando pane più non c'è.


Dura un giorno, un mese o un anno Il piacer d'amor novello. Da principio tutto è bello, E poi dopo vien l'affanno; Meglio è stare ognun da sé. (parte)

SCENA OTTAVA Aurelia, poi Filiberto

AUR.                     O bene o mal che sia,

Quando a noi altre donne

Ci vien quest'appetito,

Senza filosofar pigliam marito.

Ma ecco che sen viene

Il signor Filiberto.
FIL.                                                     Bene, bene, (verso la scena)

Si farà, si farà, non mi stancate.

Oh Aurelina, che fate?
AUR.                     Benissimo starei,

Se fossi in grazia sua.
FIL.                       La mia grazia, lo sai, che tutta è tua.

AUR.                     S'accomodi un pochino.

Guardate, poverino,

Egli è tutto sudato;

Si sarà affaticato. (lo asciuga col fazzoletto)
FIL.                                                  Se lo dico!

Mi voglion far crepare.

M'hanno fatto cercare

Una scrittura antica.

L'ho cercata mezz'ora. Oh che fatica!
AUR.                     Eh, signor Filiberto,

    so che vi vorrebbe,

Per sollevarvi da cotanti affanni.
FIL.                       Sì, mia cara Aurelina,

Dite, che vi vorrebbe?
AUR.                                                         Una sposina.

FIL.                       Una sposina? Sì; ma il matrimonio

Porta seco de' pesi.

    marito dev'esser uom valente;

Ed io sono avvezzato a non far niente.
AUR.                     Vi vorrebbe una moglie

Che sollevar sapesse Dagli affari il marito; Un'economa esperta Che sapesse di conti e di scrittura; Una che con bravura Da sé sapesse spendere,


Comprar, cambiare e vendere;

Che con i palazzisti

Sapesse favellare a tu per tu,

E sapesse frenar la servitù.

FIL.

Oh il ciel volesse che una donna tale

Ritrovar io potessi!

Non so dire per lei cosa facessi.

AUR.

Per vendere e comprar son nata apposta.

FIL.

Oh brava!

AUR.

So di conti e di scrittura;

Ed ho l'economia già per natura.

FIL.

Come sei tu informata

Di Palazzo e di lite?

AUR.

Oh, che cosa mai dite?

So tutte le malizie

Ch'usano i palazzisti

Per far le cose dritte apparir torte;

E so andar, quando occorre, per le corte.

FIL.

Tu sei una gran donna!

(Davver, che quasi quasi

Io me la piglierei).

AUR.

(Quanto è baggiano!

Spero che il laccio non sia teso invano).

FIL.

Dimmi, Aurelia, inclinata

Sei tu pel matrimonio?

AUR.

Oh signor no.

FIL.

E s'io ti proponessi un buon partito?

AUR.

Quando fosse il marito...

Come sarebbe a dir...

FIL.

Via, parla schietto.

AUR.

Mi vergogno davvero.

FIL.

Qui nessuno ci sente.

AUR.

Quando fosse il marito come voi...

FIL.

Tuo marito sarò, se tu mi vuoi.

AUR.

Ma io povera sono, e non ho dote.

FIL.

Io, io te la farò.

AUR.

E poi... signore... io so

Che graziosa non sono, e non son bella.

FIL.

Cara, tu agli occhi miei sembri una stella.

AUR.

Oimè, cos'è questo

Ch'io provo nel core?

Nemica d'amore

Son stata finor:

Adesso per voi

Mi sento languir.

Mio caro, ma poi,

Di me che sarà?

Son troppo innocente

Nell'arte d'amar.


Oimè, non vorrei

Lasciarmi ingannar.

Di me semplicetta,

Di me poveretta,

Abbiate pietà. (parte)

SCENA NONA

Filiberto, poi Lisaura

FIL.

L'ho sempre detto ch'è una buona figlia

Aurelia, di buon'indole e talento,

E di prenderla in moglie io son contento.

Ma quando? Eh, si farà! Ma mi potrebbe

Fuggire dalle mani. Andiamo subito,

Pria che qualch'altro amor n'occupi il loco.

N'andrò, ma pria vo' riposarmi un poco. (siede)

LIS.

Signor padre, un affar di gran premura

Mi conduce da voi.

FIL.

Di grazia andate, e tornerete poi.

LIS.

Il cielo mi presenta

Una buona fortuna.

FIL.

Me ne rallegro assai.

LIS.

Dorindo, il figlio

Di quel ricco mercante,

Mi si è scoperto amante.

FIL.

Benissimo, e così?

LIS.

Mi brama in moglie.

FIL.

Ne parleremo poi.

LIS.

Volea venir da voi,

Ma per non annoiarvi ei si trattiene.

FIL.

In questo ha fatto bene.

Io non vuò seccature.

LIS.

Aspetta la risposta.

FIL.

Aspetti pure.

LIS.

Dunque, che gli ho da dire?

FIL.

Per or se ne può ire;

Ci penseremo, tornerà.

LIS.

Ma quando?

FIL.

Oh l'è lunga!

LIS.

Io stessa

Da lui ritornerò.

FIL.

Da lui? Signora no.

LIS.

Dunque anderete voi.

FIL.

Non posso, non ne ho voglia.

LIS.

La civiltà lo vuole;

Conosco il dover mio:

Se non ci andate voi, ci anderò io.


Deh non fate ch'io vi chiami

Crudo padre e dispietato;

Del mio core innamorato

Deh, movetevi a pietà.

Lo sapete s'io fui sempre

Rassegnata ed umil figlia;

Ma l'affetto or mi consiglia,

Né so dir quel che sarà. (parte)

SCENA DECIMA

Filiberto, poi Pasquino

FIL.

Cancaro! dall'amante

Risoluta si porta? andar conviene.

Ma se sto tanto bene,

Perché ho da levarmi?

Eh, per ora non voglio incomodarmi.

PASQ.

Son qui, signor padrone.

FIL.

Ecco un altro tormento;

Non mi lasciano in pace un sol momento.

E ben, che cosa ha detto?

PASQ.

Chi?

FIL.

Il causidico mio.

PASQ.

Non l'ho veduto.

FIL.

Perché?

PASQ.

Perché un po' tardi

A Palazzo, signor, sono arrivato,

E il causidico già se n'era andato.

FIL.

Non importa, stassera

L'andrai trovar a casa.

PASQ.

Signor sì.

FIL.

Dammi dunque la borsa.

PASQ.

Eccola qui.

FIL.

Questi pochi denar son risparmiati.

PASQ.

Li volete contar?

FIL.

Li ho già contati.

Li porrò nello scrigno,

Ma incomodar non mi vorrei. Pasquino,

Tieni le chiavi... no... fidarsi troppo

Non istà bene. Adesso. Porporina

SCENA UNDICESIMA

Porporina e detti.


PORP. FIL.

PORP.

PASQ.

PORP.

PASQ.

PORP.

FIL.

PORP.

FIL.

PORP.

FIL.

PORP.

PASQ.

FIL.

PORP. FIL. PORP. FIL.

PASQ.

FIL.

PASQ.

FIL.

PORP.

PASQ.

FIL.

PORP.

PASQ.

FIL.

PORP. PASQ.

FIL. PORP. PASQ. FIL.

PORP. PASQ.

FIL. PORP. PASQ. FIL.


} a due } a due

} a due

} a due

} a due

} a due


Signor.

Il tavolino Porta, e lo scrigno. Aiutala, Pasquino. Subito. (Pesa poco, è ormai finito). (Volea darmi le chiavi, e si è pentito). (Chi non si fida, merta esser gabbato). (Di trappolarlo il modo ho già pensato). Ecco lo scrigno.

Tieni, aprilo tosto. L'ho aperto.

Brava.

Altro da noi comanda? Andate pur; da me mi divertisco. Serva, signor padron. (parte)

La riverisco. (parte)

Scrigno caro, bello, bello,

Te ne vai così pian piano,

Ed ormai non ve n'è più. Ehi, signor, siete chiamato. Chi mi vuole?

Il palazzista. Oh che vita amara e trista!

Vada via, ritornerà. Ehi, signor, siete cercato. Chi mi brama?

È un cavaliere. Vada via, ritornerà.

(Ed ancor non se ne va?) (fra loro)

Scrigno caro, bello, bello ecc.

Sì signor, glielo diremo. (verso la scena)

Con chi dite?

Una parola, (a Filiberto) Una cosa sola sola Vi vuol dire, e se ne va. Oh che pena!

(Se ne va). (fra loro)

Oh che rabbia! (parte)

Se n'è andato, se n'è andato.

E lo scrigno è spalancato. (rubano due borse)

Prendi, prendi, piglia, piglia.

Presto, presto, ch'egli è qua. (Filiberto torna) Cosa fate?

Niente,   niente.   (nascondono   le   borse,   e   Filiberto   se n'accorge) Cos'è questo?



PORP.                                                Nulla, nulla. (Vogliono nasconderle sotto il grembiale o in

} a due PASQ.                             tasca)

FIL.

Vuò vedere.

PORP.

A una fanciulla?

FIL.

Vuò toccare.

PASQ.

Ad un zitello?

FIL.

Birboncello,

L'ho trovato. (trova la borsa)

Disgraziata,

M'hai rubato. (fa lo stesso)

Presto, andate via di qua.

PORP.

Io non sono.

PASQ.

È stata lei.

FIL.

Sei bugiardo.

Ardita sei.

PORP.

} a due          Perdonate, per pietà. PASQ.

FIL.

Presto, andate via di qua.


ATTO SECONDO

SCENA PRIMA

Camera come prima.

Aurelia e Cornelio

AUR.                     Anderà ben, benissimo,

Con quattro paroline io l'ho incantato.

E di me innamorato,

La dote mi farà.
CORN.                                             Come facesti

A tirarlo in la rete?
AUR.                                                  Io? Tu lo sai,

Ho un certo che nel volto,

Ho un certo che nel tratto,

Misto così tra il furbo e il sempliciotto,

Che ogni uno che mi parla, resta cotto.
CORN.                  Non vorrei che allorquando

Moglie mia tu sarai,

Altri si cucinasse al tuo bel foco.
AUR.                     Se geloso sarai, goderai poco.

CORN.                  Basta; ne parleremo. Ma io penso:

Se il signor Filiberto

Ti ha promesso la dote,

Sarà sì generoso

Sol coll'idea di divenir tuo sposo.
AUR.                     Così sarà, ma io

So fare il fatto mio.

Della sua negligenza

Profittarmi saprò.

Forse gli rapirò,

Col pretesto di far la soscrizione

Al contratto nuzial, la donazione.
CORN.                  Oh gran donna! oh gran donna! Io col tuo esempio

Propor vuò a Filiberto

L'aggiustamento della lite. A lui

Chiederò la sua firma

Per chiudere il contratto,

E quand'egli mi creda, il colpo è fatto.
AUR.                     Con ragion ci ha congiunti

Amor sagace e scaltro;

Nati siam veramente uno per l'altro
CORN.                  Ah, ch'io non vedo l'ora,

Cara, che tu sii mia
AUR.                     Tua sarò, ma non voglio gelosia.


CORN.                  Dammi la bella man. Lascia che almeno

Io me la stringa al seno.
AUR.                     Sì, caro, ecco la man, se tu la vuoi;

Del mio core e di me dispor tu puoi.

SCENA SECONDA Filiberto in disparte, e detti.

CORN.

Oh che cosa gustosa (si tengono sempre per mano)

Aver sì bella sposa!

AUR.

Oh che felice sorte,

Aver sì buon consorte!

CORN.

Marito fortunato!

AUR.

Quando, quando verrà quel dì beato?

FIL.

Bravi. Buon pro vi faccia.

CORN.

(Oh maledetto!)

AUR.

Vi giuro e vi prometto, (a Filiberto)

Caro il mio ben, che sempre parlerei

Del nostro matrimonio,

E ne chiamo Cornelio in testimonio.

CORN.

(Oh brava!) Sì, davvero,

Ella vi vuol gran ben.

FIL.

Mi vuol gran bene?

Parmi ch'ella dicesse:

«Oh che felice sorte,

Aver sì buon consorte!» (accennando Cornelio)

AUR.

M'intendevo di voi.

FIL.

E voi diceste poi: (a Cornelio)

«Marito fortunato!»

E lei: «Quando verrà quel dì beato?»

CORN.

Marito fortunato

Filiberto chiamai.

AUR.

Ed io di Filiberto sol parlai.

FIL.

E parlando di me,

Si tenevan le man sì bene unite?

Buona gente, che dite?

CORN.

Io lo facea senza pensare a niente.

AUR.

Era una cerimonia indifferente.

FIL.

Che cerimonia? Andate via di qua.

AUR.

Oimè, mi discacciate?

Più ben non mi volete?

FIL.

Una mendace siete.

CORN.

Credetemi, signor.

FIL.

Non mi parlate.

AUR.

Se voi m'abbandonate,

Morirò disperata.

FIL.

Vostro danno.


AUR.

Ahi che dolor! che affanno!

Chi mi porge ristoro?

Filiberto crudele, io manco, io moro. (finge svenire sopra una sedia)

CORN.

Povera sventurata,

Per voi quasi è spirata.

FIL.

Poverina! davvero?

Ha il naso freddo freddo.

Mi muove a compassione.

CORN.

Aiutatela almeno.

Un qualche spirto vi vorrebbe al naso.

FIL.

Acqua della Regina. Oh che gran caso! (parte)

AUR.

È andato? (s'alza)

CORN.

È andato a prendere

L'acqua della Regina.

AUR.

Oh che bel pazzo!

Per far lieto il cor mio

Vi vuol altro che odori!

CORN.

Il so ancor io.

Eccolo, che ritorna.

AUR.

Alla lezione. (torna in atto di svenuta)

CORN.

(Chi alla femmina crede è un gran minchione).

FIL.

Eccomi, come va? (con boccetta)

CORN.

Misera! fa pietà.

FIL.

Adesso, adesso. (la bagna)

CORN.

Dubito sia morta.

FIL.

E pur non è venuta niente smorta.

Zitto, zitto, rinviene.

AUR.

Ah traditor! (a Filiberto)

FIL.

Mio bene,

Son qui tutto per voi.

AUR.

Mi crederete poi?

FIL.

Sì, sì, vi crederò.

AUR.

Se voi non mi credete, io morirò.

Crudelaccio, crudelaccio.

Non mi fate sospirar.

FIL.

Non mi fate lacrimar.

AUR.

Io son tutta tutta vostra. (tocca per di dietro la mano a Cornelio)

Questa mano è tutta mia,

Quel visetto voglio amar.

FIL.

Voi mi fate giubilar.

AUR.

(Imparate, o donne care.

Che vi pare? non fo bene?

Or si ride ed or si sviene.

Un la mano e l'altro il cor). (parte)

CORN.

(E quel pazzo se lo crede,

Non s'avvede dell'inganno.

Queste donne, affé, ne sanno

Di bugie più d'un dottor)


SCENA TERZA

Filiberto e Cornelio

CORN.

Andate, signor mio,

Aurelia è offesa, e sono offeso anch'io.

FIL.

Io credea... Compatite.

CORN.

Orsù, perché non dite

Ch'io venga in casa vostra a far l'amore,

Io vi son servitore. (vuol partire)

FIL.

No, sentite.

CORN.

Io della vostra lite

Avevo poste ben le cose a segno,

Ma vado adesso a rinunziar l'impegno.

FIL.

Ah per amor del ciel, non vi stancate

Di essermi protettor.

CORN.

Già l'avversario

Si era posto in spavento,

E trattava con me l'aggiustamento.

FIL.

Volesse il ciel che fossimo aggiustati!

Palazzisti, avvocati

Mai più trattar vorrei;

E goder la mia pace anch'io potrei.

CORN.

Andate voi dal Conte

La cosa a terminar.

FIL.

Ma non potreste

Consumare l'affar tra voi e lui?

CORN.

Potrei, ma se mi riesce

Di prenderlo in parola,

L'autorità non tengo

Di stringere il contratto.

Venite meco.

FIL.

No, Cornelio caro,

Non fate che il piacer mi riesca amaro.

Fate voi, fate voi

CORN.

Datemi almanco,

Sottoscritto da voi, un foglio bianco.

FIL.

Fin questo si può fare;

Del resto tutto a voi lascio l'imbroglio.

CORN.

Eccovi il calamar, la penna e il foglio. (tira fuori tutto di tasca)

FIL.

Filiberto Tacconi: (scrive)

Affermo quanto sopra si contiene.

Basta così?

CORN.

Va bene. (prende il foglio)

FIL.

S'io presto non finiva,

Di testa mi veniva un giramento.

CORN.

Davvero?

FIL.

La fatica è un gran tormento.


CORN.                  Or via, siete spicciato;

Domani voi sarete consolato.

Con questo foglio in mano Farò l'aggiustamento. (Ma lo farò per me). Vedrete chi son io; D'un galantuom par mio Non s'ha da dubitar.

La vostra ricca entrata, La vostra sposa bella Difendervi saprò. (Ma presto questa e quella Gli voglio sgraffignar). (parte)

SCENA QUARTA Filiberto, poi Porporina e Pasquino

FIL.                        Manco mal che la sorte mi provede.

Mi ama Aurelia; Cornelio è tutto fede.
PORP.                    (Ecco il padron).

(parlano in disparte fra di loro, non sentiti da Filiberto)
PASQ.                                              (Chiediamogli perdono).

PORP.                    (Se vogliamo ottenerlo,

Fingiam d'esser nemici).
PASQ.                   (E poi in cucina torneremo amici).

FIL.                        Io far l'aggiustamento?

Non lo faccio in due anni. Oh che tormento!
PORP.                    Signor padron.

PASQ.                                         Signor padrone mio.

PORP.                    Io vi chiedo perdono.

PASQ.                   Pietà Pasquin vi chiede.

PORP.                    Io vi bacio la man.

PASQ.                                                Vi bacio il piede.

FIL.                        Temerari, bricconi.

PORP.                    Signore, io non volevo.

È stato lui.
PASQ.                                     È stata lei che ha detto:

Piglia, piglia, Pasquino.
PORP.                    Non è ver, malandrino.

Sei stato tu. Colui è un disgraziato: (a Filiberto)

Mezzo il vin della botte ha tracannato.
PASQ.                   Lei fa l'amor con tutti;

E giù per i balcon cala i presciutti.
PORP.                    Chi ha venduta la legna?

PASQ.                                                          E la farina

Chi l'ha mandata via?


PORP.

Vi vuò scoprir.

PASQ.

Ti voglio far la spia.

FIL.

È bella la canzone,

E si suona alle spalle del padrone.

PORP.

Io sono fidatissima.

PASQ.

Io sono onoratissimo.

PORP.

Caro il mio padroncin.

PASQ.

Padron carissimo.

FIL.

Orsù, per non far torto all'uno o all'altro,

Giacché ha fatto ciascun le parti sue,

Vi licenzio di casa tutti e due.

PASQ.

Senti? per causa tua. (a Porporina)

PORP.

Per te, briccone. (a Pasquino)

(Senta, signor padrone. (piano a Filiberto)

Per sgravio di coscienza,

Il povero Pasquin, sappia, è innocente;

E quel che ho detto, non è vero niente).

FIL.

Buono!

PASQ.

(Signor padrone, una parola. (piano a Filiberto)

Per rabbia ho detto mal di Porporina,

Per altro ella è innocente, poverina).

FIL.

Meglio! Ma io vi credo

Due furbi belli e buoni.

PASQ.

Uh cosa dite!

PORP.

Il ciel ve lo perdoni.

FIL.

Io non mi fido più.

PASQ.

Sarò fedele.

PORP.

Fedel sarò, sull'onor mio lo giuro.

PASQ.

Sulla mia pudicizia io v'assicuro.

FIL.

(Se mando via costoro,

A trovarne altri due sarò impicciato).

Orsù, v'ho perdonato

Per questa volta, ma se un'altra arriva...

PORP.

Oh caro!

PASQ.

Oh benedetto!

(l'accarezzano, e accarezzandolo con caricatura, l'infastidiscono)

a due

Evviva, evviva.

FIL.

Basta, basta, fermi state:

Maledetti, mi stroppiate,

Tocca, tocca, se tu vuoi. (a Porporina)

Va a scherzar co' pari tuoi. (a Pasquino, e parte)

SCENA QUINTA

Porporina e Pasquino

PASQ.

Per questa volta è andata bene.

PORP.

In grazia


Del mio giudizio

PASQ.

Sì, gioia mia bella.

Tu sei una ragazza

Che può star, per dottrina, in paragone

D'Ovidio, Quinto Curzio e Cicerone.

PORP.

Tutto ho fatto per te.

Per altro in vita mia

Io non so d'aver detto una bugia.

PASQ.

Dunque mi porti amore?

PORP.

T'amo con tutto il cuore.

PASQ.

Dunque tu mia sarai?

PORP.

Sì, Pasquin, sarò tua, se mi vorrai.

PASQ.

Se ti vorrò? Cospetto!

Non bramo altri che te.

Per quel tuo bel visino

Lascierei la minestra, il pane e il vino.

PORP.

Ma quando mi darai...

PASQ.

Cosa?

PORP.

La mano?

PASQ.

Eccola, se la vuoi.

PORP.

La prenderei, ma poi...

PASQ.

Ma poi, di che hai paura?

PORP.

Che tu mi dica il ver non son sicura.

PASQ.

Vuoi che ti mostri il cor? dammi un coltello.

Voglio spaccarmi il petto,

Voglio mostrarti il cor.

PORP.

No, poveretto,

Lo so che mi vuoi bene;

Ma un po' di gelosia mi dà martello.

PASQ.

Maledetta disgrazia è l'esser bello!

PORP.

Quei cari e belli occhietti

Saranno tutti miei?

PASQ.

Sì.

PORP.

Quel bocchino

Sarà tutto per me?

PASQ.

Sì.

PORP.

Quel visetto.

È tutto, tutto mio?

PASQ.

Sì, tutto, tutto.

PORP.

Io mi sento morire.

PASQ.

Io son distrutto...

PORP.

Stassera...

PASQ.

Che?

PORP.

Faremo...

PASQ.

Che cosa?

PORP.

Il matrimonio.

PASQ.

Non potressimo...

PORP.

Cosa?

PASQ.

Farlo adesso?...

PORP.

Così non è permesso.


PASQ.                  Ma io non posso più.

PORP.                                                     Ma io già peno.

PASQ.                  Vado tutto in sudore.

PORP.                                                   Io vengo meno.

Oimè, che fuor del petto Mi vien sul labbro il cor; Ma su quel bel labbretto Veggo il tuo core ancor. Dammi il tuo core, oh Dio! Pigliati, o caro, il mio! Piglialo, che tel dono, Dammelo, per pietà.

Cosa farai del mio? Del tuo cosa farò? Perché fedel son io, Il tuo lo serberò. Tu, che pietà non hai, Me lo strapazzerai? No, no, per carità. (parte)

SCENA SESTA

Pasquino e Dorindo, il quale vorrebbe trattenere Porporina che parte.

DOR.                     Ehi! Porporina, udite...

PASQ.                   Signor, cosa comanda

Da Porporina?
DOR.                                           Che vuoi tu sapere?

Va via, brutto villano.
PASQ.                   Cos'è questo villano?

Cos'è questo va via?

Cosa pretende lei?
DOR.                                                  Quel che mi pare. (vuol seguire Porporina)

PASQ.                   Con grazia, padron mio: (lo trattiene)

Lo vuò sapere anch'io.
DOR.                     Tu non devi saper quello che passa

Fra Porporina e me.

(Non vuò ch'ei sappia,

Che qui Lisaura aspetto).
PASQ.                   Porporina dev'esser moglie mia.

Mi meraviglio di vussignoria.
DOR.                     (Mi voglio divertir con questo sciocco).

Porporina tua sposa?

Credimi, l'hai sbagliata;

È la mia innamorata.
PASQ.                                                   Come! oh diavolo!

Non può star, non sarà, nol posso credere.


Mi vuol ben, me l'ha detto, e l'ha giurato.
DOR.                     Di te gioco si prende, ed ha scherzato.

PASQ.                   Ah bugiarda! ah maliarda!

Adesso, adesso intendo

Perché, quando le ho detto

Di far il matrimonio di nascosto,

La furba m'ha risposto:

«Così non è permesso».

Femmine traditore! ingrato sesso!

Dunque è vostra innamorata? (a Dorindo) (Maledetta disgraziata, Crepa, schiatta, va in malora, Aver ben non posso un'ora). Dunque è ver, che vi vuol bene? (parte)

SCENA SETTIMA Dorindo, poi Lisaura

DOR.                     Sentimi, non è ver... Quasi mi spiace

Aver dato al meschin sì gran cordoglio.

So per prova qual sia

Il tormento crudel di gelosia.

Ma ecco la mia bella,

Che a beare mi vien cogli occhi suoi.

LIS.                        Dorindo, eccomi a voi.

DOR.                                                         Cara Lisaura,

Tutti siamo traditi. Ho discoperta Una barbara trama: Di spogliar Filiberto oggi si brama. Cornelio, il Conte e ser Imbroglio uniti, Al vostro genitor fanno la lite. Dimani si farà l'aggiustamento, E il caro negligente A Cornelio cornuto, Ch'è l'impostor più franco, Ha dato un foglio sottoscritto in bianco.

LIS.                        Donde sapeste ciò?

DOR.                                                  Da uno scrivano

Di ser Imbroglio, che a pietà s'è mosso E di voi e di me. Quello che stese La scrittura per noi del matrimonio.

LIS.                        Adunque, che sarà?

DOR.                                                  Già ho rimediato.

Vuò che l'ingannator resti ingannato.

LIS.                        Come mai?

DOR.                                      Sol mi basta


Che al vostro genitore

Sottoscriver facciate questa carta. (cava dalla tasca un foglio)

S'egli, ch'è negligente,

Senza leggerlo prima,

Oggi soscrive il foglio,

Scherniremo Cornelio e ser Imbroglio.
LIS.                       Tutto per voi farò. Già il padre mio

Si contenta che io

Vi prenda per mio sposo.
DOR.                                                            E questo è bene.

Profittarsi conviene

Della sua negligenza.

Ditegli che la carta

Contien di nostre nozze il sol contratto.

Ei vi metta il suo nome, e il colpo è fatto.
LIS.                       Non vorrei d'un inganno

Esser tacciata poi.
DOR.                     Non dubitate.

Questa è l'ultima moda:

L'inganno, se va bene, ancor si loda.

Pria ritornare al fonte

Vedrai torrente altero,

Che all'amor mio sincero,

Che alla mia fé costante,

Tempre vedrai cangiar. Né per ingiurie ed onte

D'avversa iniqua stella,

Questo mio core amante

Della sua fiamma bella

Mai si potrà scordar. (parte)

SCENA OTTAVA

Lisaura sola.

Giusti Dei, v'è nel mondo

Cotanta iniquità? V'è su la terra

Chi temerario ardisce

Rapir l'altrui con esecrando eccesso?

E lo soffrono i Numi? E stride invano

Il folgore di Giove?

Dove si cela, dove,

L'empio che il genitor tradire aspira?

Seco voglio sfogar lo sdegno e l'ira.

Ma no, femmina imbelle

Che dir, che far potrei?

Crudelissimi Dei,


Perché non mi è concesso

Potermi cimentar col viril sesso?

Farei veder ben io

Che ancor nel petto mio si cela un core

Di coraggio ripieno e di valore.

Tremo fra dubbi miei, Pavento i rai del giorno; Anche nel mio soggiorno Mi turbo e mi confondo. L'aure che ascolto intorno,

Mi fanno palpitar. Nascondermi vorrei, Vorrei scoprir l'errore, Né di celarmi ho core, Né core ho di parlar. (parte)

SCENA NONA Aurelia, poi Pasquino

AUR.                     Del cor di Filiberto

Sono quasi sicura, Ma Lisaura, Pasquino e Porporina Non mi ponno vedere. La politica vuole Ch'io me li renda amici, Perché i disegni miei riescan felici. Ecco Pasquin: con questo, Ch'è alquanto baccellone, Incomincio a provar la mia lezione.

PASQ.                   Ingrata Porporina, (verso la scena)

Ladra, cagna, assassina.

AUR.                     Pasquino, e con chi l'hai?

PASQ.                   Oh, non ti avessi conosciuta mai! (come sopra)

AUR.                     T'han fatto qualche insulto?

PASQ.                                                               Sì, m'han fatto

Quello che far usate Voi altre femminacce indiavolate.

AUR.                     Sei forse innamorato?

PASQ.                   Così fossi appiccato!

AUR.                     Forse tradito sei?

PASQ.                   Così il diavol portasse via colei.

AUR.                     Oh povero Pasquino,

Che sei tanto bellino, Se tu volessi un po' di bene a me, Tutto questo mio cor saria per te.


PASQ. AUR.

PASQ.

AUR. PASQ.


Eh, mi burlate.

No, credi, mio caro, Che il mio labbro è sincero. (Se dicesse da vero, Vendicar mi potrei di Porporina). Dammi la tua manina. Se ci vede il padron, cosa dirà?


SCENA DECIMA Filiberto da una parte, Porporina dall'altra, osservano in disparte; e detti.

AUR.                     Non importa, vien qua.

Fra noi s'ha d'aggiustare,

E si vada il padrone a far squartare.
FIL.                       (Obbligato).

PASQ.                                       Sì, sì, vada in malora

Lui, la sua casa, e Porporina ancora.
PORP.                   (Bravissimo).

AUR.                                           È noioso

Il signor Filiberto agli occhi miei.
PASQ.                   Più non posso di cuor mirar colei.

AUR.                     Tu sì, sei graziosetto.

PASQ.                   Sì, quello è un bel visetto.

AUR.                     Se parlassi di cor...

PASQ.                                                   Se vi degnaste...

AUR.                     Sarei per te.

PASQ.                                       Vostro sarei, m'impegno.

FIL.                       (Femmina indiavolata!)

PORP.                                                        (Oh core indegno!)


AUR. PASQ.

PORP. FIL.

AUR. PASQ.

FIL.

PORP.

a due

AUR.

PASQ.

PORP.

AUR.


} a due

} a due } a due

} a due


Allegri e contenti

Ci amiam di buon core. Più dolce è l'amore

Novello nel sen Che voglia mi vien

D'andarli a scannar. E vada il padrone E vada la serva, A farsi squartar Indegna! (ad Aurelia)

Briccone! (a Pasquino) Si tratta così? (Non v'è più rimedio, (a Pasquino)

Già tutto sentì). Con voi, sfacciatella, (ad Aurelia)

Mi voglio sfogar. Con te, birboncella, (a Porporina)



Non voglio gridar.

FIL.                                           Fermate, tacete,

} a due
PASQ.                                         Non state a strillar.

FIL.                                           Indegno, briccone,

Ti vuò bastonar.

PASQ.                                      Non curo il padrone,

Mi vuò vendicar.

AUR.                                        Fermate, tacete,

} a due
()                                        Non state a strillar.

PASQ.

a quattro                                   Che rabbia mi sento!

Che fiero tormento! L'affanno, lo sdegno, Vuol farmi crepar.


()


Così nel testo, ma probabilmente AUR. e PORP. [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



ATTO TERZO

SCENA PRIMA

Camera.

Lisaura e Dorindo

LIS.                       Sì, mio caro Dorindo, eccovi il foglio.

Il padre, che di me non ha sospetto,

Ieri l'ha sottoscritto, e non l'ha letto.
DOR.                     Oh quanto di ciò godo! (prende il foglio)

Vedrete oggi, mia cara,

Quant'opportuno a noi fia questo foglio.

E vedrà ser Imbroglio,

E ser Cornelio, e il Conte, ch'è un baggiano,

Che la biscia ha beccato il ciarlatano.
LIS.                       Ma quando sarà il giorno

Che potrò senza tema

Dir: «Dorindo, sei mio»?
DOR.                     Nulla di più desio.

Oggi, se mi seconda amica sorte,

Spero di divenir a voi consorte.
LIS.                       Lo voglia il ciel.

DOR.                                             Vedrete

Qual sia l'affetto mio.

Oggi ci rivedrem. Lisaura, addio. (parte)

SCENA SECONDA

Lisaura e Aurelia

LIS.                       Amor non dà mai pace.

Quand'un'alma dovrebbe esser contenta,

Timore e gelosia l'alma tormenta.
AUR.                     O signora Lisaura, le son serva.

Ella è sempre più bella e più vezzosa.

Quando mai si fa sposa?
LIS.                       Ch'io sia sposa o fanciulla,

Quest'è un affar che a voi non preme nulla.
AUR.                     Anzi mi preme assai;

Anzi sempre bramai

Che il ciel secondo e amico


Fosse al suo cor. (Non me n'importa un fico).

LIS.

Ed io bramai di core,

Per non dirvi bugia,

Che voi di questa casa andaste via.

AUR.

Grazie alla sua bontà. V'andrò, ma forse

Bramerà il mio ritorno,

E si ricorderà d'Aurelia un giorno.

LIS.

È difficile molto.

AUR.

Oh già si sa,

Che una dama di rango non si degna

Rammentarsi di me vile ed abbietta.

LIS.

Siete, Aurelia mia cara, una fraschetta.

Principiai amar per gioco,

E d'amor il cor m'accesi;

Già m'alletta il dolce foco,

E maggiore ognor si fa.

Fra i piaceri e fra i diletti

Oggi nacque il mio tormento:

Ma d'amare io non mi pento,

Perché spero alfin pietà. (parte)

SCENA TERZA

Aurelia, poi Cornelio

AUR.

Vedrà, vedrà la stolta,

Quale sarà del simular l'effetto.

CORN.

Aurelia, ecco in un foglio

Assicurata alfin la nostra sorte.

AUR.

Adorato consorte,

Voi mi date la vita.

CORN.

Abbiam buscato

Trentamila ducati, e siamo in tre,

Diecimila de' quai toccano a me.

AUR.

Ora, se a me non riesce

Di carpirgli la dote,

Poco v'importerà.

CORN.

Nulla mi preme.

I diecimila li godremo insieme.

AUR.

(Buon per me. Filiberto

Ora meco è sdegnato).

CORN.

Che ne dite?

Son io di buona testa?

AUR.

Ma il denaro

L'avete ancora avuto?

CORN.

No, ma son qui venuto

Per farmelo contare.


AUR.

Fra tanto ci potressimo sposare.

CORN.

Ciò si fa facilmente. Ecco la mano.

AUR.

Accetto il dolce invito:

Tua consorte son io.

CORN.

Son tuo marito.

AUR.

Che bel contento è questo

Sposarsi qui fra noi!

Ma questa sera poi,

Cornelio, come andrà?

Oh che piacer, mio caro,

Oh che felicità!

(Se Filiberto è in collera,

Più non importa a me.

Qualcuno sempre c'è

Che fa la carità). (parte)

SCENA QUARTA

Cornelio, e poi Filiberto

CORN.

Ecco il buon Filiberto.

FIL.

Amico, vi son schiavo.

CORN.

Vuò che mi dite: bravo.

Fatt'ho l'aggiustamento.

Tutto, tutto è finito.

FIL.

Oh che contento!

CORN.

Volete udir gli articoli ed i patti?

FIL.

Oibò!

CORN.

Legger volete

La forma del contratto?

FIL.

Oibò!

CORN.

V'intendo.

Volete solamente

Il denaro contare?

FIL.

Oibò!

CORN.

Ma questo,

Signore, tocca a voi.

FIL.

Eh, lo faremo poi.

CORN.

S'oggi non lo pagate,

Rotto è il contratto, e in lite ritornate.

FIL.

Oggi si pagherà.

CORN.

Saper volete

La somma?

FIL.

Oibò!

CORN.

Ma come si farà?

FIL.

Oggi venite, che si pagherà.

CORN.

Oggi dunque verrò da voi col Conte;


Fate che le monete siano pronte. (parte)

SCENA QUINTA

Filiberto solo.

Articoli, contratti,

Legger scritture e patti,

Oh che cosa noiosa! Palazzisti,

Avvocati, notari,

Che vocaboli amari! - Oh benedetta

La vita negligente!

Oh che gran bella cosa è il non far niente!

Levarsi dopo il sole,

E andar prima di quello

Nel letto a riposar:

Questa si può chiamar

Vita beata.

Chi faticar si suole,

Consuma il suo cervello,

E alfine ha da crepar.

Compiango a lavorar

La gente nata. (parte)

SCENA SESTA

Pasquino, poi Porporina

PASQ.

Oh quanto mi dispiace

Avermi disgustata Porporina!

PORP.

(Oh povera meschina!

Or son senza marito).

PASQ.

(D'averla abbandonata io son pentito).

PORP.

(Eccolo. Traditore,

Con Aurelia attaccarsi!)

PASQ.

(È qui. Crudel, lasciarsi

Far giù da quel zerbino!)

PORP.

(Oh me infelice!)

PASQ.

(Oh povero Pasquino!)

PORP.

(Far la pace vorrei, ma non conviene,

Che la prima io sia).

PASQ.

(Mi vien la fantasia

Di chiamarla, ma temo un qualche oltraggio).

PORP.

(Porporina, fa cor).


PASQ.

(Pasquin, coraggio).

PORP.

Compatisca, signor. (gli passa dinanzi)

PASQ.

La compatisco.

Dove, padrona?

PORP.

Dove mi guida il piè.

PASQ.

È in collera con me?

PORP.

Parmi averne ragione.

PASQ.

Io ho più ragion di lei.

PORP.

Lei badi a' fatti suoi, ch'io bado a' miei.

PASQ.

Bella cosa davvero:

Lasciar per un amante il suo marito!

PORP.

Veramente polito!

Trovarsi un'amorosa,

E abbandonar così la propria sposa!

PASQ.

L'ho fatto per vendetta.

PORP.

Ed io per far servizio alla padrona.

PASQ.

Con Aurelia scherzai, credilo a me.

PORP.

Giuro ch'io non amai altri che te.

PASQ.

Dunque tu mi vuoi ben?

PORP.

Pur troppo, ingrato.

PASQ.

Ed io son di te sola innamorato.

PORP.

Per altro ti ho sentito...

PASQ.

Ti ho veduta frattanto...

PORP.

Mi hai fatto sospirare.

PASQ.

Ho tanto pianto!

PORP.

Briccon, così tradirmi?

PASQ.

Via, facciamo la pace.

PORP.

Signor no.

PASQ.

Signor sì, signor sì.

PORP.

Come la vogliam far?

PASQ.

Facciam così. (s'abbracciano)

Vita mia, mio bel tesoro,

Per te smanio, per te moro.

PORP.

Idol mio, mio dolce amore,

Per te in sen mi brucia il core.

PASQ.

Fammi un vezzo.

PORP.

Io non ne so.

Fallo tu.

PASQ.

T'insegnerò.

Cara, cara.

PORP.

Bello, bello.

a due

Ahi, che amor con un martello

Mi fracassa in petto il cor.

PORP.

Deh, non darmi gelosia.

PASQ.

Pace è fatta, e pace sia.

a due

Ho provato la gran pena!

Ho provato il gran dolor! (partono)


SCENA SETTIMA

Sala.

Filiberto, Cornelio, Lisaura, Aurelia; uno che figura il Conte

FIL.

No, no, madonna Aurelia,

Se tornate a svenir, sarà tutt'uno.

AUR.

Possibile, signor...

FIL.

S'anco vi vedo

Con la spuma alla bocca, io non vi credo.

CORN.

Via, signor Filiberto,

Spicciate il signor Conte.

FIL.

Quanto dice il contratto?

CORN.

Trentamille ducati.

FIL.

Eh, siete matto.

CORN.

Tal è l'aggiustamento

Sottoscritto da voi.

FIL.

Come!

LIS.

Che sento!

CORN.

Convien pagare, o da una nuova lite

Sarete travagliato.

FIL.

Io sono assassinato,

Son mandato in malora.

Ecco lo scrigno con le chiavi ancora.

SCENA ULTIMA

Dorindo e detti; Porporina e Pasquino che restano in disparte.

DOR.

Fermatevi, signor, che nulla tiene

Quel vostro bel contratto.

Ai quanti è stipulato?

CORN.

Stamane fu firmato.

DOR.

Questo è del giorno d'ieri.

CORN.

E che contiene?

DOR.

Un'ampia donazione

Che fa di tutto il suo

Filiberto alla figlia.

Quest'istrumento il giorno d'ieri è fatto;

Onde non va di questo dì il contratto.

CORN.

La lite tornerà...

DOR.

Non ho paura;

So ch'ell'è un'impostura.

Signor, siete ingannato: (a Filiberto)

Cornelio e ser Imbroglio v'han gabbato.

FIL.

Che siate benedetto! e qual mercede


Posso darvi, signor?

DOR.

Di vostra figlia

A me basta la mano; e voi sarete

Padron del vostro, fino che vivete.

FIL.

Io son contento.

LIS.

Ed io felice sono.

DOR.

Donatemi la destra, il cor vi dono.

FIL.

Aurelia, andate tosto

Fuori di casa mia.

AUR.

Poco m'importa;

Di già son maritata.

CORN.

V'ingannate.

Se la roba non v'è, più non vi voglio.

Non val l'obbligazione.

AUR.

Voi mi sposaste senza condizione.

Voglia, o non voglia, alfin vostra son io.

CORN.

Ho fatto un bel guadagno da par mio.

FIL.

Se speraste goder, soffrite il danno:

Sopra l'ingannator cade l'inganno.

PORP.

Pietà, signor padron.

PASQ.

Misericordia.

FIL.

Siete qui, disgraziati?

Ancor per questa volta

Vi siano i vostri falli perdonati.

CORO

Chi lieto giubila,

Chi tristo geme,

Chi piange e freme,

Chi lieto sta.

Dolente è il core

Del traditore,

Ma l'innocente

Godendo va.

Fine del Dramma.