Il Nerone

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IL NERONE

IL NERONE

di

GIORGIO CASINI 



Parodia goliardica
Tre atti in vernacolo pisano




Personaggi

NERONE lo sfondatore dell’impero
ATTE la su’ bella
PETRONIO cortigiano e consigliere
URSUS detto Debolezza
EGLOGHE cavolaia in S. Ermete
RUFFO senatore in vacanza
VINICIO capo dei pretoriani
LO SPETTATORE uno che ‘un ha pagato



Pretoriani, ancelle, schiavi, popolo
Tutta gente che ‘un si vede ma bisogna sapere che c’è.




PRIMO ATTO

SCENA 1 - NERONE, URSUS, PETRONIO, VINICIO
NERONE- (Entra, si rivolge a Vinicio) Pretoriani!
VINICIO- Dici a me, augusto imperatore?
NERONE- Sïuro, o 'un sei 'r capo de' pretoriani? Mi raccomando: occhio all'uscite, state attenti sull'attenti... e 'un v'ammosciate! E magari rivogategli anche una cantatina, se di voce vi sentite 'n solle... siamo a Pisa e tutto va bene ma stioccativelo bene nella chiorba: per cantà' c'è Nerone e basta! Con un gorgheggio, Nerone ti pole incendià' tutta Roma! Ci siamo capiti! Ora si deve chiaccherà' un po' di pulitïa interna. Usci e mandami Ursus.
VINICIO- Vado Cesare. (Esce)
PETRONIO- (Guarda uscire Vinicio. Sospira. Evidentemente ha gusti sessuali un po' diversi) Sarà, ma per me, quel Vinicio, il capo dei pretoriani non lo sa fare. Anzi, se devo dire la verità, fra tutti i tuoi pretoriani non ce n'è uno degno della divisa. Li guardi mai, quando passi le riviste?
NERONE- Io, a di' la verità, mi garba di più guardà' le ballerine al teatro della subburra.
PETRONIO- Ohibò, Nero! Non dirmi che anche tu opti per quel genere di spettacolo.
NERONE- Opto! Opto!
PETRONIO- I pretoriani: la guardia dell'imperatore! Dovrebbero essere tutti aitanti, virili, belli, con un petto così, un vitino così e con...
NERONE- Arte! Fermati lì! Tanto lo so: a te, a datti spago si finirebbe 'r gomitolo!
PETRONIO- Scusami Nero ma devo dirtelo: sei insensibile al fascino dell'uniforme... e di cosa c'è dentro.
NERONE- Sarà, ma io mi contento così. 
URSUS- (Vecchietto malfermo, un po' balbuziente). Presente... divino.
NERONE- Lascia stare il vino, sennò t'imbrïai... Ma si pòle vedé'. Chiami Ursus, t'aspetti di vedé' rivà' un colosso come quello der Quovadisse e invece t'apparisce questa mezza sega. 
PETRONIO- Hai ragione, Cesarino...
NERONE- (Lo guarda male. A Ursus) Dimmi una cosa: come stanno i leoni?
URSUS- A volé' di' che stanno gran cosa bene sarebbe come profanà' 'r pensiero. Poverini, s'arrabattano. Sono debolini debolini e gli s'attaccano tutte le più peggio malattie.
NERONE- Ma senti cosa ti va a studià' questo po' po' di tamburo... Le più peggio malattie?! Devi di' che 'un gni date da mangià'! Bei mi' leoni! Te li portai dall'Affrïa, una ventina tutti vispi e arzilli che facevan commozione a vedelli. Uno, che era il più fiero di tutti l'altri, mi toccò dallo a quell'amerïano che fa ' firmi... come si 'hiama... ah sì: Metro. Goldimmaie di cognome. che ogni volta che vado al cine lo vedo, mi rïonosce, alle volte mi saluta colla zampina. Mi s'era affezzionato. E ora mi toccherà vedelli morì' di fame più peggio del conte Golino bònanima. Povere bestioline... (Piange)
URSUS- Ovvia Cesare, 'un ce la fa' tanto palloccolosa. Ti volevo fa' capì'...
NERONE- Io 'un capisco nulla...
URSUS- Se lo dici te... ma devi capiì' che colla carne a diecimila sesterzi al chilo, a mantené' una famiglia di leoni, colla mi' pensione, 'un ce la posso fa'... Se invece dei leoni avevi messo su una coppia di cani Pehinesi o Civaua... al massimo un barboncino, era più facile. Per mantené' que' lioni, nati di 'ani, tutte le notti si sorte per vedé' di rimedià' qualche gatto ma, sai come sono le gente: vedi sparì' gatti oggi, vedi sparì' gatti domani, s'enno ammoscati di qualcosa e hanno principiato a facci la ronda coi bastoni. Ieri sera c'aspettavano e c'hanno rincarcato bene bene. Petronio, che ora fa le viste d'un sapenne nulla, ha durato a piscià' sangue dar naso per più d'un ora.
NERONE- Sicchè, l'avete prese.
PETRONIO- Io non le volevo ma, sai com'è: ci hanno messo sotto...
NERONE- E te, è capace eri tutto contento! Insomma v'hanno sgropponati bene bene.
PETRONIO- Io credevo... e invece... Sono degli incompetenti!
NERONE- Popolo ingrato e ‘nsenza un po’ po’ di ‘òre. Io mi sagrifïo per fallo divertì’, gli canto le mi’ canzoni sulla lira… che nemmeno a Sarrèmo… e loro lì, o ‘un ti vanno a stioccà’ le mani a Favarotti. Popolo ignorante e senza còre! Eppoi, la volete sapé’ l’ultima? L’altro giorno c’era una centuria di pretoriani, tutti schierati sull’attenti, gli dissi: mi ci vòle un volontario che vada a fassi sbranà’ da’ lioni.
URSUS- O cosa ti risposero?
NERONE- ‘Un te lo dïo perché c’è Petronio, si scandalizza.
PETRONIO- Io? Mio buon Nèro, lo sai che sono di stomaco robusto.
NERONE- Sì, ma se sentivi le scurregge che mi rivarono, ti sareste travagliato anche te!
PETRONIO- Pazienta, Appio Claudio. Ho studiato un sistema per catturare quei felini infidi e sfuggenti: il Kitekat! Al supermarket di palazzo hanno l’offerta: tre barattoli grossi così, ne paghi solo due. Ne facciamo una buona scorta, mandiamo Ursus a battere le campagne, troviamo tanti di quei gatti da far crepare d’indigestione i tuoi leoni.
NERONE- Proviamo anche questa. Ursusse, vai a batte’!
URSUS- Eh? Io? Son vecchio… mandaci luilì.
NERONE- Petronio, vacci te a batte’! 
PETRONIO- Magari!
NERONE- Ma cos’avete capito? Forza, andate! E se ritornate senza nemmeno un gatto… vi sgargàno!
PETRONIO- (Uscendo, con Ursus). Lo dice sempre ma non lo fa mai. Parolaio!

SCENA 2 – NERONE, ATTE
NERONE- E ora pensiamo all’affari di politica interna. Ci sara andato Vinicio, a piglià’ il vino a Terricciola? (Si avvia alla porta, si imbatte in Atte che entra mimando la canzone “Ti parlerò d’amor”). Guà, ecco Atte. Da quando gliè stata a San Remo, leilì se ‘un canta ‘un pòle sta’. (Al pubblico). Ma ‘un andò mïa al festivàlle, c’andò colla gita de’ tegami che con ventimila lire ti tengan fòri tutto 'r giorno, ti danno mangià’ e be’ e ti regalano una ‘anterata di cucchiai. (A Atte). Ti pare questo il modo d’entrare nel gabinetto dell’imperatore.
ATTE- Quale gabinetto? Ti devo rifà’ l’entrata? L’ho imparato da mi’ madre e lei, d’entrate se ne intendeva, lo sai.
NERONE- L’entrate di tu’ madre! ‘Un me ne ragionà’. Ma ora lasciami solo, c’ho da ragionà’ coi senatori dei problemi dello stato.
ATTE- Mamma mia come sei glebano! Sempre a ragionare coi senatori. Cosa c’abbino a avé’ di più di me, io ‘un l’ho ancora capito. Nero, Nerino, vieni qui, accanto a me, sul sofà… è tanto che ‘un si sta un po’ assieme.
NERONE- Atte, 'un mi sento tanto bene…
ATTE- Cos’hai? Ti duole il capo? O qualche cos’altro? Te lo rimetto a posto io. Vieni qui a sedé’ accanto a me.
NERONE- ‘Un mi ci becchi! Lo so: mettisi a sedé’ accanto a te vòle di’ sta’ ritti… e oggi ‘un posso: la mi’ sciatïa, quando fa tempaccio ‘un mi dice il vero e oggi piove… l’hanno detto alla televisione.
ATTE- Ma io c’ho tutte le frattaglie in convulsione. Sul primo che mi pigliaste ‘un eri mïa così selvatico; mi dicevi sempre: Atte, te sei ‘r più ber bùo del Colosseo! Nèro, perché que’ giorni sono scomparsi via come essiccati da un ventaccio rude?
NERONE- Mettici anco ‘r sole, bellezza mia, sennonò si doventa uccelli di palude e te lo sai, io son di rovo! Beffardi e falsi son gli dei con gl’innamorati…
ATTE- Ho capito, oggi ‘un è giornata: positivo in farmacia dovevano avé’ finito il viagra. Ci si vede Nèro, a dopo. (Esce)

SCENA 3 – VINICIO, NERONE, RUFFO
VINICIO- (Introduce Ruffo). O Nerone, qui fòri c’è un vecchio ti vòle.
NERONE- E chi sarebbe?
VINICIO- Ma, è uno che rimugina di tangenti, appalti, bustarelle…
NERONE- Oggi se n’ha ventisette, il giorno sacro di tutti li statali. Dev’esse’ qualche senatore venuto a portammi la mesata. Fallo passà’.
VINICIO- Avanzati, povero mortale: l’imperatore ti concede udienza. Insomma ti sta a sentì’, procedi. Entra!
RUFFO- Nerone, Claudio, Appio, Cesare, Germanicus… Ce n’hai altri, nomi? Salve! Fammi stioccà’ un po’ a sedé’ perché a venì’ da Roma a qui col bigabusse espresso mi ci son mezzo travagliato.
NERONE- Mettiti a sedé’, bel mi’ Ruffo, sei passato di sulla strada d’Aurelio?
RUFFO- Gliè un patì’: fino a Civitanova, ‘un c’è malaccio ma doppo…
NERONE- Civitanova? Vorrai di’ Civitavecchia.
RUFFO- L’hanno fondata orellanno, è sempre nòva.
NERONE- Già, diventerà Civitavecchia… dopo. Ma, la bigastrada ‘un è ancora finita?
RUFFO- O ccosa vòi: prima ci son messi i Verdi a di’ che si sciupava tutto il paesaggio delle Maremme, poi è sortito fòri Catilina incazzato com’una iena perché gn’eran passati dentro i su’ orti gli hanno sciupato du’ filari di cipolle gaetane.
NERONE- Cosa mi tocca sta’ a sentì’! Oramai fammi finì’ le ferie qui ner pisano, c’ho la prenotazione fino ar quindici, ma appena ritorno a Roma li sistemo io! Ma per divagassi, dimmi du’ pettegolezzi romani, roba di corna per esempio.
RUFFO- Vedi, maestà, io ‘un lo vorrei dire ma… insomma, mentre te sei qui a fa’ le bagnature a Bocca D’Arno colla tu’ ganza Atte, la tu’ moglie Messalina, a Roma, ti rende pan per focaccia.
NERONE- Cosa? Vorreste di’ che sono becco anch’io?
RUFFO- Io ‘un voglio di’ cotesto ma gliè tutt’una voce, dalla suburra fin’al Campidoglio, tu sentisse cosa ti tiran fòri! Eppoi, l’altro mese, Tigellino ha arruolato un reggimento nòvo di pretoriani, tutti nòvi di zecca, belli che nemmeno a Biutifulle, e l’ha messi a fa’ la guardia alle stanze di Messalina. Io ‘un ci credo ma c’è qualcuno che dice che la truppa sii già dimezzata per deperimento organïo de’ membri… del protone.
NERONE- A Messalina gli ci vorrebbe l’assïurazzione sulla vita! Fammi ritornà’ a Roma e una bella porzione di funghi ‘un gnene leva nessuno! Ma ritorniamo alle cose serie: cosa sei venuto a fa’?
RUFFO- A portatti il saluto del Senatus Popolusque Romanorum che m’incarïa di ditti: va a morì ammazzatum!
NERONE- Te e chi ti c’ha mandatum! O quella! Forse il popolo ‘un ha gradito i mi’ gorgheggi davanti a Roma in fiamme? Come sono permalosi! Ovvia, gni farò du’ spettaoli ner circolo. 
RUFFO- Ho paura ‘un basteranno, il popolo si ribella, anche ieri di là c’era un corteo con tutti li striscioni dicevano: abbasso le tasse!
NERONE- Ha ragione! Quando il popolo chiede qualcosa bisogna dagnene. A che piano sono le tasse?
RUFFO- Al terzo.
NERONE- Portagnene al mezzanino! Così fanno più presto a pagalle.
RUFFO- Bravo Nerone! Così parla un imperatore! Ora fammi andà’ un po’ po’ a riposammi perché quel viaggio m’ha mezzo massacrato. Ci si vede, Nèro. (Esce)

SCENA 4- NERONE, PETRONIO, EGLOGHE, ATTE
PETRONIO- C’è una visita per te, divino.
NERONE- Dov’è? Il vino?
PETRONIO- Tu erri, o sublime. Con l’appellativo “divino” mi riferivo a te, divo Appio Claudio Nerone.
NERONE- Per piacere ‘un invià’ a falla tanto palloccolosa. Discorri: cosa mi volevi di’?
PETRONIO- Di là, nell’atrio c’è una giovane creatura che chiede di parlarti. Sembra di sesso femminino, forse la nuova colf inviata dall’assessorato ai lavori pubblici di palazzo.
NERONE- Toh, gli si pòle da’ un’occhiata, le serve, alle volte servano, come diceva quel mi’ amïo. Dimmi un po’ po’ Petronio, com’è? Discreta?
PETRONIO- Non credo si possa propriamente ascriverla nell’olimpo delle dee, ma nel complesso ha una sua grazia, nel porgere, nell’atteggiarsi, nel portamento, occhi vividi e penetranti, fronte spaziosa, sorriso cavallino con dentatura sporgente, treccia bionda…
NERONE- O… a latteria, a latteria come sta?
PETRONIO- Latteria? Ah, ti capisco. Tu vuoi alludere a quella prominenza che le donne portano sul davanti della loro persona e che tanto affascina gli uomini di sesso mascolino… cosa ci troviate poi, non l’ho mai capito… comunque se la cosa ti può interessare, ti dirò che… la protuberanza è ben visibile e sviluppata, se la cosa può farti piacere. In quanto alla parte posteriore, le altre rotondità, a chi piacciono, sono lì al loro posto
NERONE- Lascia perde’, Petronio tanto lo so che te, per certe ‘ose ‘un te ne ‘ntendi, quindi lascia giudicare me che, nel mi’ piccolo, me la son sempre cavata abbastanza bene. Ma siamo proprio sicuri che sia la colfe nòva?
PETRONIO- A dire la verità, carte di presentazione non ne ha. Ho l’impressione che abbia altre mire.
NERONE- Sii? Te credi che gni garberebbe… magari fra me e lei… 
PETRONIO- Non saprei, però mi ha sorriso, con fare invitante. Oibbò!
NERONE- T’ha sorriso? A tee? Allora si contenta di pòo! Senti Petronio: io ora vado un po’ di là a preparammi tutto, mi metto la tunïa nòva mi pettino la barba, m’improfumo eppoi ritorno. Te intanto falla passa’, intrattienila.
PETRONIO- Va bene. Ma, cosa devo fare?
NERONE- Nulla… se avesse freddo… gni fai cardo…
PETRONIO- E se ha caldo?
NERONE- Gni fai freddo, tamburo! Io ritorno tosto! (Esce)
PETRONIO- (Chiama in quinta). Puella! Bambina! Dico a te: avanzati (Entra Egloghe). Cesare ti concede udienza
EGLOGHE- Bella casina. È qui che ci sta Nerone? Saddìo quante stanze ci sono. Ha detto mi vòle vedé? ‘un istarà mïa tanto, vero? Devo andà’ a vedé’ la puntata der teleromanzo. “L’amore ‘mpossibile”. Bello! Te ‘un le guardi le telenovelle?
PETRONIO- Ho altre cose per la testa, io. Domiziano viene subito, intanto devo farti qualche domanda. 
EGLOGHE- Chi è Domiziano?
PETRONIO- Nerone. Il mio padrone: Appio Claudio Catullo Severo Saturno Tarquinio Tito Nubidico.
EGLOGHE- Si chiama con tutti que’ nomi lìi? O quand’è il su’ onomastïo?
PETRONIO- Tutti i giorni. Rispondi alla mia inchiesta. È la prassi. (Prende appunti) Batteriologicamente?
EGLOGHE- Pura… guasi.
PETRONIO- Fisiologicamente?
EGLOGHE- Estravergine, come l’olio di Buti.
PETRONIO- (La guarda dall’alto in basso. Annota). Olio di semi! A Nèro va tutto bene. I tagliandi l’hai già fatti tutti?
EGLOGHE- L’ho fatti colla tu’ sorella! Bimbo vacci pianino perché qui va a finì’ male!
NERONE- (Rientra. Fa cenno a Petronio di andarsene). Bella! Come una ddea! Come t’appelli?
EGLOGHE- (S’inchina). Egloghe, per servitti.
NERONE- Che nome. Pare un gargarismo. Com’esse’ di dove vieni? La tu’ patria dov’è?
EGLOGHE- Gliè laggiù fra l’orti dove stridono, pazze di sole le cicale.
NERONE- Sarebbe a di’?
EGLOGHE- Sarebbe a di’ che son di Sant’Ermete.
NERONE- Sant’Ermete! La campagna pisana! Fra putignano e Riglione! L’Europa unita!… Ma, raccontami di te, dolce bambina.
EGLOGHE- Ero sempre fanciullina, si pòle di’ neanche spuppata, che mi’ padre mi vorse marità’ a un omaccio de’ paraggi, coltivatore diretto di palle di cavolo. Le mandava tutte nel Belgio, che poi le rispedivan qui e le vendevano come cavolini di Brussellesse. La notte, quell’omaccio, invece d’amoreggià’ come tutti ll’omini normali, andava nell’orto a prende’ a pedate le su’ palle perché gonfiassero e la mattina dopo al mercato, pesassero di più. Ma una volta gnene scoppiò una fra le gambe: era una mina! La mattina dopo lo ritroviedero lungo stecchito nel campo de’ baccelli… Ora, vedova viaggio di rione in rione da mane a sera, lanciando il grido che mi fa rïonosce’, un grido straziante che mi viene dal profondo: "ce l’ho le palle belle!!"
NERONE- Il grido dell’amore! Rifammelo, che mi fai ringalluzzì’.
EGLOGHE- Ce l’ho le palle belle!!
NERONE- Sei sublime e mi garbi. Lo sai chi sono io?
EGLOGHE- O ‘un sei Nerone, lo sfondatore dell’impero?
NERONE- Per datti un’idea della mi’ potenza, basti ditti che siccome la Roma aveva perso su rigore, m’incavolai e diedi fòo alla città. Alla luce delle fiamme pigliai la cetra e ci stioccai una cantatina! Ora devo andà’ a preparammi, c’ho da cantà’ all’Arena: tre fa diesisse sopra le righe da fa’ crepà d’invidia il Favarotti. Te rimani qui e fai cosa ti pare: fai conto d’esse’ la padrona. (Chiama). Petronio!
PETRONIO- (Entra indossando un grembiule). Eccomi, Cesare Marco. Scusa l’abbigliamento: ero in cucina a preparare qualcosa da mangiare, giustappunto alla televisione c’è quella trasmissione della gastronomia. Oggi insegnano a fare un piatto delizioso: le fave coi finocchi! Si mettono nel tegame, le fave belle ritte…
NERONE- Va bene. Ma ‘un le strapazzà tanto, sennò vanno a finì male. Questa donna qui, gliè come se fosse la tu’ padrona. Accondiscendila in tutti i su’ desideri… fagni cardo… o fagli freddo… insomma vedi te. (Esce)
PETRONIO- Io devo tornare in cucina, bambina… padrona… o devo chiamarti imperatrice?
EGLOGHE- Te m’hai a chiamà come ti pare. (Lo osserva). Te l’ha mai detto nessuno che sei un bèl giovane?
PETRONIO- Bimba: con me ‘un attacca! Vado a controllare il tegame, non vorrei che le fave si ammosciassero. (Esce)

SCENA 5 – ATTE, EGLOGHE
ATTE- (Entra). Giovane! Quale ufficio è il tuo, in queste sale imperiali? O che al portiere gn’è venuto a noia a sta’ al mondo? Chi t’ha fatto entrà ove più ascoso è ‘r lògo di Nerone?
EGLOGHE- Se credi che gli rubi qualcosa hai dimolto sbagliato. Alle mi’ mani ‘un ci s’attacca nulla.
ATTE- Ah, ho capito: te sei la colfe nòva.
EGLOGHE- La còrfe io? Con tutto il rispetto per la ‘ategoria, io ‘un puzzo mïa di rigovernatura!
ATTE- Ora mi sembra di capì: devi esse’ un altro acquisto di quel manigoldo! Ascoltami, fanciulla: in fin de’ ‘onti te devi esse’ una brava ragazza e voglio salvatti. Ascolta il mi’ conziglio: alza il tacco e ‘un ti fa’ più vedé da queste parti. Ma lo sai, sciagurata, che se a Nerone gni piglia ‘r ghiribizzo, i pezzi più grossi sono i bùi der naso? E con cotesta nappa ti pòi contentà!
EGLOGHE- Lo so: è violento e brutale.
ATTE- E ‘un ti fa spèce?
EGLOGHE- No, a me mi piace fammi strapazzà!
ATTE- Che tipaccio dev’esse’ questa qui, la deve avé’ presa alla ‘Ostanza; ‘un sarà mïa un travestito? Ascorta, bella mi’ operatrice sessuale, ti dïo una cosa sola: lo sai che sopra Nerone ci sta una donna sola?
EGLOGHE- Sì, ma sotto, tante! E chi sarebbe quell’illusa che pretende di comandà Nerone?
ATTE- Io, Atte! Lo volevi sapé?
EGLOGHE- Atte? La ganza imperiale? Se ti becca Messalina… Ma dove l’aveva ll’occhi, Nerone quando ti scelse? Di sïuro n’affogavano nelle cispe! Allora ti dïo che ho intenzione di levatti il grado!
ATTE- Come sarebbe a di’? Osi sfidammi? Ma mi dici un po’ chi siei, che entri con cotesto fare impertinente nella casa di Cesare?
EGLOGHE- Sono Egloghe, la cavolaia di Sant’Ermete! E son liberta!
ATTE- Libertina, devi di’! e ‘un arzà tanto la voce, in casa di Nerone ‘un è il caso e poi, ‘un è eduanza, figlia della gleba”
EGLOGHE- A me, figliola della gleba? Te la insegno io ll’eduazzione, bèr mi’ tegame!
ATTE- A me di quest’offese? Ritira subito la parola!
EGLOGHE- A Pisa, la parola ‘un si ritira mai!
ATTE- Noo? Ora ti sgargano!
EGLOGHE- Cor coltello? Cor curtello è da maiali! Aiuto! Aiuto!

SCENA 6 – TUTTI
NERONE- (Entra con Vinicio, Ursus, Petronio). Silenzio! Zitti tutti! Cos’è questo bordello?
PETRONIO- Su su, pulzelle. Nerone è qui! Il grande Nèro! (A Vinicio). Che modi villani di accogliere l’imperatore. Noi, invece, sappiamo come comportarci… io e te… non credi?
VINICIO- No!
PETRONIO- Vieni di là con me. T’insegnerò le buone maniere.
VINICIO- Cosa mi vòi insegnà? Bimbino, cerca di pensà dimorto per conto tuo! Io, le bòne maniere le so da me!
PETRONIO- Villano! (Esce)
NERONE- Si pòle sapé cosa c’è da letïà?
ATTE- Chiedilo alla tu’ amïa: m’ha insultato!
EGLOGHE- Cosa? Vorreste di’ che la colpa è mia? Vipera!
ATTE- La senti? Bimba, vatti a sciacquà la bocca e fai du’ gargarismi col detersivo, prima di ragionà con me!
EGLOGHE- Te, piuttosto, vatti a sciacquà qualche cos’artro. Bèr mi’ tegame!
ATTE- La senti? La senti? M’ha chiamato tegame!
NERONE- T’ha dato del tuo.
URSUS- O Nerone, con du’ donne in casa ‘un c’è da facci un pasto bòno. Lascia fa’ a me… O Nerone, se ci metto le mani io, te l’assistemo tutt’e due: una ripassatina per uno e te le riporto tutt’e due belle tranquille e soddisfatte.
NERONE- Tee? Ma cosa ti ‘redi di poté’ fa… oramai…
URSUS- O Cesare: io, ner mi’ piccolo, se mi ci metto, son bòno a stiaccià le noci!
NERONE- Sì, col martello! È l’ora di finilla. Vinicio, accompagna Atte di là, nelle sue stanze, rinchiudicela e butta via la chiave.
VINICIO- Subito, Appio Claudio. Ma… se ricalcitra?
NERONE- Er citrato? O se ‘un gn’è mai garbato. In ogni modo, se dovesse escandescende’, t’autorizzo a dagni du’ patte.
VINICIO- Dove?
NERONE- Dove, fin’a ora, ce l’ho date soltanto io! Vanne!
ATTE- Mascalzone, filubustiere! Ma ‘un finisce così! (Vinicio e Ursus la trascinano fuori). No! Luilì no! Ursusse no, ‘un mi garba!
NERONE- E ora, a noi due, bella la mi’ cavolaia! Vieni, dammi un bacio. (La bacia comicamente)
EGLOGHE- Nèro… Neroncino… come sei umido! 
ATTE- (Rientra divincolandosi da Vinicio e Ursus). Vigliacco! Con me sei sempre stato asciutto!
Atte viene trascinata fuori, mentre Egloghe scappa rincorsa da Nerone.



SECONDO ATTO

SCENA 1 – NERONE, EGLOGHE
NERONE- Bada un po' che bella giornata, Egloghe, con questo bèr solicchio mi pài un’attrice del cinematografo. Ti voglio fa’ una foto. Ursusse, porta l’apparecchio! (Entra Ursus con una macchina fotografica a lastra, su treppiede). 
EGLOGHE- Mamma mia, che po’ po’ di catafalco! Ma come funziona?
NERONE- Per intendesi, te fai conto d’esse’ la macchina fotografica, io sono l’obiettivo. Te mi fai vedé la lastra… e io te la impressiono! Ora mettiti in posa e io vado a rimpiattammi sotto la coperta per vedetti rovesciata! (Mette la testa sotto il panno nero)
EGLOGHE- Ma allora mi vanno le sottane in capo e mi vedi tutto!
NERONE- O bimba, a me, un punto nero per mette’ a fòo mi ci vòle!
EGLOGHE- Così va bene?
NERONE- Un po’ più liscivia, sarebbe meglio… Così, bella… ti voglio da’ un bèr bacio!
EGLOGHE- Via, Neroncino, fai l’òmo serio: qui ‘un si pòle, ci potrebbe vedé Aatte.
NERONE- Hai ragione, vieni in giardino: ti faccio vedé la piscina.
EGLOGHE- La piscina? Trivialone!
NERONE- Cos’hai capito? È un bozzo per notacci dentro. Vieni. (Escono)

SCENA 2 – URSUS, ATTE
URSUS- (Entra, guarda verso la piscina). Che po’ po’ di lavori! Egloghe fa i cinquanta sul dorso e Nerone gli nòta sopra a rana!
ATTE- (Entra). Buongiorno, signor Ursus.
URSUS- Buongiorno Atte, la piscina…
ATTE- Poverino! Se a quella ‘un ci pensi da te, per me te la pòi fa’ anche addosso.
URSUS- No! Cos’hai capito? Guarda là.
ATTE- Infame! Egli concubinizza! Ursusse, quella donna a palazzo ci dura poïno!
URSUS- Di certo: Nerone te la sconsuma in un paio di giorni.
ATTE- No! Ci dura pòo perché ne fo concime!
URSUS- ‘Un ti ci devi scardà’ tanto. Nerone invecchia, e male, pieno com’è di fissazioni. Te invece siei sempre bella… a te ti ci vorrebbe un òmo pieno d’attenzioni… che ‘un abbia occhi altro che per te…
ATTE- E dove lo trovo uno così?
URSUS- Io m’arrangerei… Atte, t’ho sempre vorsuto bene. Scappa con me: c’ho una casetta a Orzignano, si vivrebbe d’amore…
ATTE- Ma che discorsi fai? A te, invece dell’amore, ti ci vorrebbe il dottore della mutua! (Esce seguita da Ursus)

SCENA 3 – RUFFO, PETRONIO, NERONE, ATTE
RUFFO- Ci credi, Petronio, da quando sono a palazzo mi sembra d’esse’ briao.
PETRONIO- Ti sembra? Lo sei, mio caro Ruffino! Stanotte avevi una sbornia così maligna che ti sei perfino dimenticato di partire con il bigabus espresso per tornare a Roma. Sentirai Nerone!
RUFFO- Veramente c’era lo sciopero de’ maniscalchi e te lo sai, i cavalli se ‘un gni tagli l’unghie, ‘un vanno… Petronio, lo sai che ti sono amïo… ‘un gli diciamo nulla a Nerone, troviamo un accomodamento.
PETRONIO- Bell’amico! Quando sono passato davanti alla porta della tua stanza, stanotte, non mi hai nemmeno invitato a entrare… russavi come un mantice! E poi, ormai lo sa tutta la corte.
NERONE- (Entra cantando). Doooooo!… Avete sentito? Un do sopra le righe di ventitre passi!
PETRONIO- Una nota presa proprio di petto. Oserei dire: di pancia.
NERONE- Petronio, Già che siei qui: vai a piglià un fiasco di quello bòno. 
PETROLIO- Tosto, divino. (Esce e rientra subito con il fiasco e due bicchieri. Quindi esce)
NERONE- O che marca è? Vino, senza tosto!
RUFFO- O Nerone, abbi pazienza, ieri ‘un potiedi partì: riavevo le vertigini.
NERONE- Che po’ po’ di ghigna dura che c’ha il senato! Vertigini? Sono ma tutti i quartini e mezzi litri che ti sei scolato!
RUFFO- ‘Un avevo nemmeno sete. Si vede lo feci così, senz’accorgimento.
NERONE- Di cosa ti vòi accorge’! Finiscila di scusatti, perlomeno quando sei briao qualche idea bòna ce l’hai…
RUFFO- (Bevendo) Alla salute di Nerone… e di su’ ma’ che era tanto bòna!
NERONE- Mettici anche le tu’ sorelle… se ce n’hai!… Ruffo, che ne dici di questo vinello?
RUFFO- Bòno! Ma per me, sa un po’ di spuntatura.
NERONE- Affogatici! Ma piuttosto, raccontami della situazione nella capitale. Per esempio, la bilancia, come va?
RUFFO- Bene, l’ha aggiustata il meccanïo l’altro giorno.
NERONE- La bilancia della borsa, intesi di’: i prezzi, salgano o ascendano?
RUFFO- Da che mondo è mondo, i prezzi ‘un sono mai scesi! Da quando desti fòo alla città è aumentato tutto, levato che ‘r carbone. Metti l’òva, per esempio: sono andate alle stelle perché le galline si son messe a fa’ concorrenza all’òva di Pasqua e anche loro c’infilano la sorpresa. Invece del rosso ci trovi anellini, gobbettini, collanine… l’altro giorno, ero in trattoria da Pipetta, m’ha portato una frittata di fischi da capostazione. Dice era il piatto del giorno: c’era lo sciopero de’ ferrovieri!
NERONE- Ma le tasse, almeno, l’hanno pagate?
RUFFO- No! Dice che hai gli hai bruciato tutto e loro, tasse, nisba!
NERONE- Gliel’avevi a mette’ sul riscaldamento! E tanto, t’accesi uno svedese…
RUFFO- Insomma, in cassa ‘un c’è nemmeno un sesterzio e ‘un t’ho potuto portà lo stipendio.
NERONE- Giano Bifronte! Dammi le tue bocche che ante e dietro possa morde' questo vecchio! Vulcano, dammi la tua mazza per sfondare il cranio a questo brodo. Tonante Giove, ti chiedo le corna…
RUFFO- Ne vòi un altro paio?… Bevi, Nerone, lo senti come va giù da se questo vinello?
NERONE- A parlà di politïa con te, ‘un c’è sugo! (Entra Atte). Ecco il ciclone!
ATTE- Io piango per te, Nerone! Quando un òmo ‘un sente più il pudore di se stesso, è finita. Ma che sei un imperatore? Sei un brodo! E io ti ‘ompatisco.
NERONE- (Bevendo insieme a Ruffo). Lo sai com’è? Se ‘un ti fa, e te ne vai! Se c’è qualcuno da compatì, quella sei te, perché sei gelosa… e quando a una donna gli s’attacca addosso questo bao, ‘un c’è più niente da fa’! L’hai capito, Otella?
ATTE- Quando s’era giovani, te lo rïordi, venivi a casa mia a fa’ l’amore a seggiola e mi dicevi che a petto a me, la Ferilli faceva ribrezzo a bài. Allora sì, che eri degno de’ tu’ avi!
NERONE- I mi’ avi? Bella roba! Augusto era noioso e fissato sul pallone. Tiberio, un presuntuoso che ha sputtanato tutti i quattrini colle donne. Caligola faceva senatori i cavalli e glierano il pezzo meglio! Claudio… Claudio il mi’ zio, bòno sì ma pieno di ‘orna!
ATTE- O Nerone, se a ogni imperatore gli dai un gotto, avanti di rivà a Guglielmone fai ghinè!
NERONE- La vòi smette’ di contammi i bicchieri!
ATTE- Ma lo vedi che ‘un ti reggi più ritto! Petronio! (Entra Petronio). Portalo a letto e mettigli il pigiama. 
PETRONIO- Subito, bella gioia! (Accompagna fuori Nerone che recalcitra. Ruffo li segue). Andiamo, cocco mio, si va nel tuo lettino, con la copertina rosa.
ATTE- I sacri Lari di questa casa hanno tutti il mal di pancia, da quando c’entrò quella spudorata! Invano io sacrifico alle Parche bianchi bovini, perché sulla cavolaia scaglino un missile. Ma tutto è inutile. Forse sarebbe bene interpellare una veggente: Olga Kiromanova, maga e fattucchiera di Portauova. (Batte la mani, entra Olga). Orga, Orghina, mi devi aiutà. Solo te pòi risorve’ i mi’ problemi. Dammi una mano.

SCENA 4 – ATTE OLGA
OLGA - Prima di tutto fammi posà' la mi' robina! Oimmena come sono stracca: a venì' da Portanòva a qqui mi c'è vorsuto guasi un'ora... Con questo po' po' di fagotto fra le mani... son tutta un sudalizio! Fammii ripiglià' fiato!
ATTE- Potevi prendere un tassì. 
OLGA - A ddire il vero, lo volevo piglià' ma prima di mettimi in viaggio io consulto sempre le stelle; 'un si sa mai, l'incidenti fanno presto a succede': un tamponamento, un deragliamento, un dirottamento. Allora ho guardato dentro la mi' palla: o 'un ti c'ho visto Bossi che letïava con Sgarbi per via di 'vella 'osa dura 'he cianno... Sgarbi ner cervello e Bossi 'un ho capito bene dove... Insomma, per ‘un falla lunga e corta, nella 'onfusione avevo sbagliato a sincronizzà' la palla sul programma specifïo. O cosa vòi: con tutte queste onde in via satellite, c'è la palla a volte mi piglia anche i programmi in lingua originale! Oh, sia ben chiaro: io leggo 'n tutti i tipi di palla, da quella di vetro a quella di cavolo!
ATTE- Quindi, deduco che avrai una palla per ogni circostanza: per i tassì, per i viaggi in automobile...
OLGA - Di certamente! Ce n'ho una piccina così c'è dentro la figurina c'è dentro la figurina di quell'omino che corre su quella vettura rossa: Sciumi, come lo chiama la su' moglie nei momenti d'intimità. 
ATTE Veramente non so se lo chiami proprio così. Non conosco la moglie
ORGA – La Ferrari! Lo dïano sempre alla televisione: Sciumàche sulla Ferrari! Ci ruzzava sempre il mi' bimbo sulla spiaggia a Marina: facevano la pista della formula uno sulla rena e ce la ruzzolava con tutti l'altri bimbetti; vinceva guasi sempre lui. Oh, è nipote della maga!... Ora io quella pallina l'ho legata con un filo alla parabola del satellite e di lì ci vedo tutte le stelle che mi dïano se mi posso mette' in viaggio. Perellappunto dianzi ho visto quel sudicio di Giove che s'era rindoppato dietro l'anello di Saturno per fa' franella con Venere, che dice per quelle cose lì è tanto brava... le voci... Nettuno 'un s'era mïa accorto di nulla e faceva la 'orte alla Vergine... diceva lei... ma alla vicerincontraria era entrato nella costellazione del Caprïorno... così Marte, tutt'arrabbiato, voleva fa' la guerra!!... S'è alleato co' sette satelliti di Giove ma Mercurio, che c'ha sempre la febbre alta e gliè anco un po' po' fumino, s'è alleato coll'Ariete e col Toro per mette' un turo all'entrata della Via Lattea... I Gemelli, che 'un sapevan più dove andà' a puppà' s'enno risentiti e col Sagittario hanno principiato a tirà' le frecce; una è andata a finì' nell'Acquaio dove c'erano i Pesci che loro 'un t'aprano bocca nemmeno se l'infili... e sicché lo Scorpione, quella bestiaccia, quando l'ha visti è sortito fòri e io allora nel vedé' tutto questo putiferio cos'ho detto?... Vieni vieni: sarà meglio andà' a piedi!... Ma ti c'ho vorsuto fa' anco la riprova, così ho lasciato la pallina ciondoloni e son'andata a vedé perinfino nel portamonete... 'un c'avevo punti quarini e così ho deciso: vado a piedi! Alle stelle si sa, bisogna dagni retta! Ma ‘un istiamo a perde’ tempo. Sputa fòri cos’è che ‘un ti sfagiola.
ATTE- Da un pezzo in qua, Nerone ‘un mi sfagiola.
OLGA- Lo so.
ATTE- M’ha portato in casa una cavolaia.
OLGA – Lo so.
ATTE- ‘Un ci si fa più vita e si rivolta.
OLGA- Lo so.
ATTE- Allora se sai già tutto, me ne posso andà.
OLGA- Allora bisogna fa’ un po’ di cartomanzia. (Dispone le carte). Vedo… vedo… qualcosa che ‘un funziona. Dimmi: la notte t’alzi per urinare?
ATTE- Una volta o due.
OLGA- Di corpo come vai? La fai bene?… La fai palloccolosa?
ATTE- Duro un poïno di fatïa.
OLGA- Te, se la fai una volta la settimana, è tutto l’oro del mondo! Qui ci leggo Stitïa! Per prima cosa devi fa una bella pulizia dell’intestino perché la circolazione ‘un è che ti vada tanto bene. Inzomma: te, questa Egloghe ‘un la pòi patì! E ti sei piccata di levattela di torno.
ATTE- Brava, l’hai indovinata! E allora?
OLGA- Nerone c’è innamorato fradicio… quant’anni ha questa Egloghe?
ATTE- Venti… e lui sessanta! Insomma: bisogna che tu mi dcaa come posso fa' per levammela di torno.
OLGA- Hai provato a sparargli?
ATTE- No… darebbero la colpa a me.
OLGA- Allora piglia questa porverina: è cianuro! Lo devi mette' nel bicchiere di Egloghe per falla stiantà. Ma perché facci il su’ effetto devi anche andà a letto con Ursus!
ATTE- Ursusse? O se ‘un regge nemmeno una ‘arezza contropelo! Ma sei sïura?
OLGA- O che dici! Oooh, ma cosa ti credi! Sono una maga, una veggente... io, ci veggio! Sono Orga Kiromanova la Maga di Portanòva, 'un sono mïa Anastasia Karomarone la chiromante del Portone!! (Al pubblico). Rïordativelo e stioccativelo tutti bene nella 'hiorba: volete spezzà' le 'atene dell'amore? Volete fa' venì' un coccolone ar capufficio per piglià' 'r su' posto?... Ci sono io: Orga Kiromanova!! Amori, affari, famiglia, destino... pidocchi, puci, mal di pancia... 'un vi sgomentate. Chiamatemi, chiamate Orga Kiromanova, la Maga di Portanòva!!! (Esce).

SCENA 5 – ATTE, URSUS, EGLOGHE, NERONE
ATTE- Venere, agguantami te e tienimi bella strinta!
URSUS- (Entra). Divina Atte, mi mandaste a cercà?
ATTE- Non mossi fiato. (Al pubblico). Se è venuto da se, vòr di’ che l’incantamento ha funzionato.
URSUS- (Fra se). Quando una donna discorre da se sola, ‘un si sa mai quel che può succede’. (A Atte). Deccomi al tu’ servizio.
ATTE- Dimmi: è vero o son bugie che te sei un eroe delle lenzòla?
URSUS- M’arrangio. Quando ho fatto la leva, ero trombettiere sotto coperta. (Cerca di abbracciarla)
ATTE- Stai bòno e ‘un t’imbenzinà tanto… Senti Ursusse, te la voglio di’ tutta: Nerone oramai è rincorbellito e doventa sempre di più ignorante. Sessualmente parlando, ‘un è più bòno neanche a sbuccià du’ lupini…
URSUS- Bimba, scappa con me, ti darò tutto il mi’ amore. Te, hai bisogno d’un surrogato. Vieni con me! Vedrai cosa ti faccio! Io, devi sapé che c’ho il gasse nelle vene!
ATTE- Allora fatti aggiustà il contatore, perché dev’esse’ un po’ po’ rotto! Ma te pensi che io m’accontenti di tradì' Nerone e basta? Mi voglio vendïà' sul serio! Voglio fa’ cascà' l’impero!
URSUS- L’hai detto la giunta di Fauglia! O come pensi di fa’?
ATTE- Oramai il popolo ‘un ne pòle più delle tasse, de’ parcheggi a pagamento, de’ purman che ‘un passano mai… insomma, ti devi mette’ d’accordo con Vinicio e co’ su’ pretoriani per fregà Nerone quando meno se l’aspetta.
URSUS- Figurati: Nerone ha già messo du’ pretoriani in cassa integrazione! Ma come vorreste fa’?
ATTE- Ora te lo esplicito. (Gli parla all’orecchio). Hai capito? Ora vai a fa’ ‘r tu’ dovere.
URSUS- Eh no, ora il tu’ dovere lo devi fa’ te! Damosi un bèr bacio per consacrà l’accordo!
ATTE- Lazzerone! Stai attento a ‘un ti fa’ scappà la dentiera. (Si baciano).
EGLOGHE- (Li sorprende). Bravi! 
ATTE- ‘Un si faceva nulla di male! S’eramo incontrati e ci si salutava.
EGLOGHE- Un bèl modo di salutassi!
URSUS- Arrivedegliele… io vado a fa’ un po’ di polmone d’acciaio. (Esce)
EGLOGHE- Era flanella! L’ho visto luilì colla gambettina alzata.
ATTE- Stai zitta, donna del popolo, che nel tu’ albero ginecologico ‘un c’hai altro che fave e baccelli!
EGLOGHE- Invece te siei una signorona! Sei ma una pillaccherona!
NERONE- (Entra). Cosa succede?
ATTE- Cesare, arrivi a proposito: o fòri di casa lei o fòri di casa io!
NERONE- Stai zitta, te che sei il più grande tegame dell’impero!
ATTE- Ma è sempre lei che attacca!
EGLOGHE- Non è vero!
NERONE- Silenzio! Andate a preparavvi che fra poïno si va a cena! (Escono. Rivolto al pubblico). Due sole. Figuramosi il sultano, poveraccio, che guerre in famiglia!



TERZO ATTO

SCENA 1 – NERONE, RUFFO, PETRONIO
NERONE- Vieni Ruffo, ‘un ti perità. Perché c’hai ‘r fiatone?
RUFFO- Avevo preso il bigabusse per ritornà a Roma… verso Grosseto ho inviato a vedé un movimento che ‘un mi garbava punto.
NERONE- Come sarebbe a di’, mio senatore?
RUFFO- M’ero affacciato al finestrino per piglià una boccata d’aria, quando t’ho visto il popolo imbestialito contro di te che stava a marcià verso Pisa per venitti a bastonà. Sono furibondi perché dice che hai dato fòo alla capitale e ora te la vogliano fa’ pagà!
NERONE- E cosa vorrebbano fa’?
RUFFO- Vogliano che tu ti dimetta, sennò ti fanno la festa. Io ho appena fatto a tempo a piglià il treno all’incontrario per ritornà a Pisa e avvisatti… c’è qualcuno diceva di tiratti il collo! Cesare: dimettiti, finché sei a tempo!
NERONE- O Ruffo, ‘un di’ corbellerie: l’hai mai visto uno che sta bene a sedé’ in poltrona e si dimette?
RUFFO- Nerone: si sono messi in testa di fa’ la repubbrïa!
NERONE- Cosa? Vorreste di’ che ora gli garba la demograzia e sono stufi del’imperatore? Popolo ingrato e anche un po’ ignorante. E io che gni facevo le cantatine sulla lira!… Lo sai cosa faccio? Vado incontro al popolo e proclamo la repubbrïa! Il popolo bisogna sempre accontentallo! Vorrà di’ che invece di fammi chiamà imperatore, mi farò chiamà presidente… anzi: guasi guasi, sòna meglio, ti pare?
RUFFO- Ma cosa dirà il popolo a vedé che si comanda sempre noi?
NERONE- ‘Un ti preoccupà, io il popolo lo ‘onosco: dopo qualche sciopero, du’ comizi e un corteo di protesta, ci s’abituano… Fra pòo principia il campionato del fubàlle, le settimane bianche, le ferie alle Maldive… cosa gnene viene se mi chiamano imperatore o presidente. Se poi ‘un gni basta, gni do una doppia razione di spaghetti olio aglio e peperoncino, vedrai che colla bocca piena, la smettano di mugugnà!
RUFFO- A proposito di spaghetti: quando si mangia?
NERONE- Hai ragione, è digià tardino. (Chiama). Petronio!
PETRONIO- Mi desideri, Appio Claudio Marco Tullio Domiziano Publio Augusto Cesare Divino?
RUFFO- Da piccino s’enno scordati di battezzatti?
PETRONIO- Cosa volevi, mio imperatore?
NERONE- S’è messo su la repubbrïa e d’ora in poi mi devi chiamà presidente, no imperatore.
PETRONIO- Va bene, presidente… divino.
NERONE- Er vino lasciamolo perde. Ora guarda di mette' qualcosa sul fòo sennò va a finì che stasera, se si vòr mangià qualcosa di cardo, bisogna ingollà una scatola di fiammiferi.
PETRONIO- I pretoriani cucinieri hanno già preparato la pastasciutta all’arrabbiata. Un sughino. Un odore…
NERONE- ‘Un fa tanto il poeta e chiama le donne: principiamo subito.
PETRONIO- Le femmine? Oibbò! Si sono litigate fino ad ora! Che gente, le femmine…
NERONE- Ecco, gni si dà la pastasciutta all’arrabbiata. Falle venì.
PETRONIO- Va bene, Augusto, ma se permetti un consiglio: fra uomini sarebbe molto meglio.
RUFFO- O ‘un t’ha detto di chiamà le donne! Sbrigati!
PETRONIO- Omaccio!… (Chiama). Venite, Cesare vuol cenare.








SCENA 2 – TUTTI
VINICIO- (Entra assieme agli altri, con una pentola). Tutti a tavola! La pasta è pronta! Rigatoni fatti in casa! Specialità della casa!
NERONE- Deccole le mi’ bimbe! Belline! Ma perché vi state sempre a letià?
EGLOGHE- M’ha detto che c’ho le gambe storte!
NERONE- Ha fatto male, perché su’ difetti della natura ‘un bisogna coglionassi.
EGLOGHE- Difetti? Io le gambe, ce l’ho dimorto diritte! (Solleva le sottane per mostrarle)
URSUS- Mamma mia ‘he binari!
NERONE- E questo ‘un è nulla! Devi vedé’ lo scambio!
PETRONIO- Ci mettiamo a mangiare? Io non so cosa ci possiate trovare di tanto interessante in simili argomenti!
ATTE- Te, Egloghe, avrai anche le gambe diritte, ma guardati lì che ghigna ’he ti ritrovi!
NERONE- Smettetela! Forza, assaggiate ‘vesti rigatoni! (Versa la pasta a tutti). 
PETRONIO- Prima le signore!
NERONE- Chetati, tegame! Ruffo, l’hai sentita come gliè bòna?
RUFFO- Bòna davvero! Ce n’è avanzata punta?
PETRONIO- O Nerone, lo fai smettere Ursus: mi ruba l’unto dal piatto!
NERONE- Bimbi! State bòni!… Atte, ‘un mangi? È troppo pepata?
ATTE- Hai a di’ cosa ti pare ma questo ‘un è un piatto scicche per i mi’ gusti.
EGLOGHE- A casa tua cosa mangiavi: le pallette co’ pioppini?
ATTE- I pioppini crescano ner capo a te, che speri di godetti ‘r tu’ Nerone!
EGLOGHE- Bimba, se vòi fa’ la saccente, falla cor tu’ ganzo nòvo: Ursusse.
NERONE- Ursusse?
URSUS- Io sono puro e candido come un puro di menta.
NERONE- Te siei un brodo! Ecco cosa siei!
ATTE- Se permetti, io vado un po’ di là; questi rigatoni enno troppo grebani per i mi’ stomaino delïato. Vado in cucina a preparammi una cosina leggera. (Esce)
NERONE- E te, Ursusse, vagni dreto, oramai fate la ‘oppia, noo? (Esce Ursus). E mi gostate una cèa fra tutti; io dïo per mantenevvi, mi toccherà vende’ la torre a’ giapponesi.
EGLOGHE- Io invece m’accontento di meno. Io campo d’amore, pane, mortadella e du’ fìi secchi. 
PETRONIO- Ah, le donne! Quanti grattacapi! Io, da parte mia, non mi ci voglio proprio impelagare! (Esce)
NERONE- Vai vai, ber cosino… Non pensiamo più alle ‘ose tristi e facciamo un bèr brindisi!
RUFFO- O Nerone, fatelo voi ‘r brindisi, io devo andà un po’ in quer posto… me s’è sciorto ‘r còrpo. (esce. Nerone e Egloghe bevono)
NERONE- Ruffo gliè tanto bòno ma alle vorte gliè un po’ apprensivo. Questa storia della repubbrïa lo deve avé’ un po’ rimescolato. (Egloghe sviene). Egloghe! Egloghe! T’è andato di traverso un rigatone?
EGLOGHE- Addio Nerino mio, io mòio. Venitimi a trovà, vi tengo ‘r posto. Fammi sotterrà in piazza delle vettovaglie sotto ‘r mi’ banco di palle… Non fiori ma ponci. Nerone, stianto (Muore)
NERONE- Gliè stiappata per davvero!
RUFFO- (Rientra). Cosa è successo? Egloghe! Mamma mia com’è morta male: tutta di traverso. O cosa gliè intravvenuto? E sì che du’ menuti prima di morì gliera sempre viva.
NERONE- Ruffo, annusa un po’ vesto bicchiere; lo senti che puzzo? Questo gliè veleno! Atte ce l’ha messo! (Chiama). Vinicio! Vinicio! (Vinicio entra). La vòi sapè’ l’urtima? Atte ha fatto fòri Egloghe cor veleno! Agguantatela e portatela ‘vì dovunque si trovi! (Vinicio esce). Una donna sempre giovane, usata pòo, si pòle di’ guasi nòva… mi tocca buttalla via così…
Rientra Vinicio con pretoriani e Atte, Petronio, Ursus
VINICIO- Forza, pretoriani: arrestate questo brodo! (I pretoriani catturano Nerone, uno minaccia Ruffo caduto a terra, con la spada)
NERONE- Ragazzi! Cosa fate? Avevo detto di catturare Atte! Vinicio, Ursusse cosa vi siete messi a fa’? petronio, o te, stai costì senza fa’ nulla?
PETRONIO- Scusami divino, questi pretoriani hanno certi argomenti…
ATTE- Eccolo ‘r pesce nella rete!
NERONE- Ah, v’ho capito: vi siete messi d’accordo per fammi la festa
VINICIO- (A Ruffo). Maledetto vecchio bavoso e corrotto! T’estirperemo ciò che hai di più caro!
RUFFO- No! Le mi’ viti ner piano, no! La mi’ uva, er mi’ vino!
URSUS- Lascialo perde’, luilì ‘un ha mai fatto male a una mosca. Ha sempre pensato a be’ e ‘mbriaàssi. E poi, ora ‘he si fa la repubbrïa nòva, qualche senatore usato da riciclare ci fa comodo.
NERONE- Ma cosa vi siete messi ‘n testa?
ATTE- Nerone, noi s’è fatto ‘r meno. Er popolo è in subbuglio perché gli avevi promesso ‘r mare e ‘un gli hai dato nemmeno un bozzo. Ora è sceso in piazza e sta dando l’assarto ar palazzo!
PETRONIO- Ormai è tardi, nerone! La plebe ha già sfondato i portoni”
RUFFO- Allora, scusate, me ne vado. Fra poïno qui si noterà ner sangue e io… ‘un so notà! (Esce)
EGLOGHE- (Si alza improvvisamente). È meglio che me ne vada anch’io: qui cìè da toccanne. (Esce)
NERONE- Nemmeno i morti voglian restà con me, povero Cesare! Solo e abbandonato nell’ora del pericolo!
ATTE- Mi dispiace, Nèro ma ‘r popolo vòle la tu’ testa.
NERONE- Allora ‘un c’è proprio scampo? Cosa devo fa per salvà la buccia?
PETRONIO- Ma come, Divino, non hai studiato la storia? Eppure, sei stato studente pure tu, a scuola ci sarai andato.
NERONE- Sono passati tanti mai d’anni! ‘Un mi rïordo più nulla. Dimmelo te, Petronio, cosa successe?
PETRONIO- Quando il popolo si sollevò, Nerone pensò prima di tutto a scappare, poi si fece coraggio e decise di suicidarsi con un coltello.
NERONE- Po’ po’ di citrullo! E poi?
PETRONIO- Siccome non se la sentiva di affondarsi il coltello nella gola, chiamò lo schiavo epafrodito perché glielo spingesse fino al manico.
NERONE- Sudiciume! Portatimelo qui, lo sfaccio e poi lo rifaccio bello nòvo.
PETRONIO- Ma è la storia.
NERONE- Allora, se insistete, mi sacrificherò per la storia! Però gliè tigna: dovessi ammazzà colle su’ mane. Senza avenne voglia, per via della storia. Ci stavo così bene a comandà… beh, coraggio. Pretoriano, portami la spada.
VINICIO- Deccola qui, bell’e pronta.
NERONE- Te gni devi volé un bene a Cesare!… Chiamatemi quer tizio, come si chiama… quello che deve spinge’
VINICIO- Epafrodito.
NERONE- Ma guarda te che destino infame: fassi ammazzà da uno che si chiama epafrodito… e poi, dev’esse’ anche finocchio.
VINICIO- (Che era uscito. Ora rientra). ‘Un pòr venì, ha detto che gliè in ferie.
NERONE- Va bene, allora si rimanda tutto. Quando ritorna dategli artri trenta giorni da passà a’ Bagni di S: Giuliano, sperando che affoghi.
ATTE- In questi casi, dice la legge, che si deve sostituì ‘r boia.
NERONE- Le sa tutte leilì! Volete ‘r morto? E morto sia… O te, spingi pianino, essi delïato. Ci siei?
VINICIO- Ti buo?
NERONE- Fermeti! ‘Un è mïa rugginosa? Per via dell’infezzione.
VINICIO- Era sotto vòto, stai tranquillo.
NERONE- Ora, se ‘un era per quer troiano della storia, o ‘un t’ammazzavo te?
VINICIO- Mamma mia quanto ce la fai lunga. Essi bonino, ora ti sgargano.
URSUS- Dagnene bella soda! O Nerone, devi morì come dice la storia, lhai capita?
NERONE- No, prima di tutto perché ‘un mi torna e poi, se devo morì, lo voglio fa da imperatore. Ursusse, vammi a piglià una bomba atomïa!
URSUS- Ma a’ nostri tempi ‘un c’era. La ‘nventeranno doppo, quando i popoli saranno più civili.
SUGGERITORE- La fate finita! Qui c’è scritto che Nerone deve morì d’una curtellata.
NERONE- Ecco, se ‘un era per luilì, noialtri o ‘un si faceva come ci pareva. Comunque, se propio si deve finì in tragedia, Atte vieni qui che ti voglio da’ l’urtimo saluto.
ATTE- Deccomi Nero.
NERONE- Toh! (La uccide). E voi vi credivate che ‘un ero bòno a inciccià la gente! 
Te che puppaste ‘r latte
Di Venere e d’Apollo
Te che moristi Atte
Guasi come un pollo
(Ursus cerca di interromperlo). 
Lo vedi ‘osa faccio
Canto la morte d’Atte
Di vesto tegamaccio.
URSUS- Ma cosa vòi cantà! Gliè tempo di falla finita!
NERONE- Quale artista perisce in me!
Ursus mio bello
Aitami un po’ tu
Portami un bèr martello
Sennò ‘un m’ammazzo più.
(Ursus gli da un martello)
e ner morì ber bello
ner mezzo a questa valle
t’agguanterò un martello
e mi stiaccerò…
URSUS- Nerone!
NERONE- Ar suono der timballe
Fra mezzanotte e ‘r tocco
Mi stiaccerò…
VINICIO- Nerone!
NERONE- … e sentirai che stiocco!
SPETTATORE- (Dalla platea). 
Fra discorsi e martelli
È tre ore che aspetto
Ti levi da’ ‘orbelli
Si vòle andà a letto!
(Spara a Nerone)
NERONE- Destino birbaccione
M’avete fatto ammazzà
Da un brodo der loggione. (Muore)
ATTE- (Si rialza). Alla sverta alla sverta
Vigliacco l’hai ammazzato
Però una ‘osa è certa:
l’ingresso ‘un l’hai pagato.
NERONE- Noo? Allor mi ci rimetto
Bèr mi’ ‘ollo torto.
Nerone per dispetto
Ti ‘anta anco da morto.
Tutti in ribalta per cantare l’inno goliardico.