Il nostro viaggio

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IL NOSTRO VIAGGIO

Dramma in tre atti

Di GHERARDO GHERARDI

PERSONAGGI

BARBERINA

ANIA

CLARK

MARTINA

ENEA

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

La scena rappresenta un'ampia cucina di una casa di campagna dell'Italia centrale, dove la cucina è a un tempo stanza di soggiorno, anticamera, sa­lotto, camera da pranzo. L'arredamento rivela i diversi scopi della stanza e, se a destra v'è il fo­colare solenne, a sinistra, accanto alla dispensa v'è il canterano della biancheria e, in fondo, il mobile delle stoviglie. In mezzo, la tavola. Davanti, un paio di seggioloni e un tavolinetto, a poca distanza da un apparecchio radio sostenuto da uno stipo. Una sca­letta porta a un ballatoio dove sono due usci. Un altro uscio è a destra, in fondo, dietro il focolare. Una porta al fondo, a sesto intero, che dà nell'orto e dall'orto alla strada. Un uscio a sinistra. Un lume a petrolio non volgare, pende dal soffitto. Due o tre libri, abbandonati qua e là, indicano che chi abita questa casa non è un analfabeta. Sul tavolinetto, accanto ai seggioloni a braccioli, un panierino per lavori femminili.

(Si alza la tela. Dalla porta di fondo entra un raggio di luna. La lampada centrale è accesa. Ac­canto alla radio una giovane donna, Ania, magnifica ragazza, che un vestito semplice e scuro non riesce a rendere meno affascinante: in lei, viso e persona esprimono una contenuta giovinezza, un rigoglio controllato di sentimenti e di istinti, una passionalità mortificata da ignote forze inibi­torie, che agiscono dal di dentro prepotentemente. Ania ascolta una musica orchestrale, trasmessa dalla radio a bassissimo tono, appena percettibile. Ascolta e guarda nel vuoto, senza espressione; ascolta e pensa, i gomiti appoggiati alle ginocchia il viso appoggiato al palmo della mano. Accanto alla tavola centrale, sotto) il cono di luce gialla del lume, la signora Barberina sta sfogliando delle lettere che va scegliendo da un mazzetto, stretto fra le mani. E' una donna di circa cinquant’anni, vestita d'un semplice se non volgare abito nero accollatissimo, i capelli grigi sollevati dietro ?a nuca in una stretta acconciatura all'antica, non priva di grazia, la figura macerata da un dolore, le mani lunghe e Manche. Legge, servendosi di un « lorgnè » di finta tartaruga. Al collo, un medaglione d'argento. Dopo un attimo Barberina parla: ha una voce pacata, rassegnata, quasi afona).

Barberina                         - Senti che cosa diceva il 15 gennaio dell'anno scorso? « Mamma, ho lavorato dodici ore sotto una pioggia continua e non avevo nulla per ripararmi. Abbiamo dovuto fare una strada in fret­ta, perché qualche cosa deve accadere. I sassi mi pungono la carne. Non sento più nelle mani il mar­tello. Mi sono schiacciato tre dita e non ho potuto farmi curare. Affido questa lettera a un amico. Spero che ti arrivi... Mamma, soffro terribilmen­te... ». (Prende un'altra lettera).

AistriA                            - Non legga più, signora, non legga più. Quante volte le ha lette quelle povere lettere?

Barberina                         - «Cara mamma mia, se non fosse per te e per la mia cara Ania... ».

Anta                                - (terminando il periodo) « ... mi lascierei morire... ».

Barberina                         - Oh, se avessi la tua memoria, Ania... Io non riesco ad impararle...

Ania                                 - (alzandosi e andando a portar via amore­volmente quelle lettere a Barberina) Via, ora basta. Lei si stanca...

Barberina                         - (difendendo, come può, le lettere) No, no... Lasciami quelle lettere... Non mi portar via quelle lettere... (Piagnucolosa carne una bam­bina) Sei cattiva... Bada che ti mando via, sai? Ti mando a casa tua. Io voglio quelle lettere...

Ania                                 - Domani, signora... domattina gliele porto in camera io stessa...

Barberina                         - Che dispetti! Che cosa faccio qui, adesso? A me non piace quella tua stupida musi­ca... Non voglio musica!

Ania                                 - (paziente, dopo aver riposto le lettere in un cassetto del comò) Ora chiudo la radio...

Barberina                         - (dispettosa, bisbetica) Sì... Chiudi: la musica è una buona scusa per i cervelli oziosi... Tu sei un cervello ozioso e una ragazza presuntuo­sa e dispettosa... Dammi quelle lettere.

Ania                                 - (chiudendo la radio) Domattina, signo­ra...

Barberina                         - Domattina il postino mi porterà una lettera nuova. Me lo sento. Sì, sì... me lo sen­to. (La guarda e vedendo che Ania si è rimessa nell'atteggiamento di prima si indispettisce) Io non posso sopportare quell'aria da piccola vedova che ti dai! Civetterie, sempre civetterie... Non è morto. Chi lo ha detto a te che è morto? Quel vil­lanzone di Enea, che con la scusa di essermi affe­zionato da vecchio scolaro, ha fatto dodici miglia a piedi per venire a raccontarmi che un tale lo aveva veduto agonizzare non so dove... Ma perché quell'individuo cammina sempre di qua e di là, come un postino, da tutte le parti? E tu, come puoi credere alle panzane che racconta? Fin da quando veniva a scuola da ime, venticinque anni fa, era un bugiardo matricolato e lo so io, quante volte ho dovuto punirlo! E poi, non senti che parla sempre di squartare, di ammazzare? Deve essere una spe­cie di malattia mentale. Ai nostri giorni ve ne sono molti come lui. Non basta sapere quel che Giovanni patisce veramente, quel che, soffre? Quando l'hanno arrestato, quando l'hanno tortu­rato per fargli dire quello che non sapeva, quando l'hanno portato in Germania in un. carro, che hanno spiombato soltanto dopo trentasette ore, quando l'hanno mandato in Polonia e poi in Bel­gio a spaccare le pietre delle strade, quando vole­vano fucilarlo...

Ania                                 - (con un grido) Basta! Signora!

Barberina                         - Sicuro. Basta. Basta, per noi, po­vere donne! Ma ora aspettiamolo, per compensarlo di tutto. Se no, perché sarei scappata qui a ripa­rarmi dai bombardamenti? Perché ti avrei voluto vicino a me? Tanto valeva, allora, aspettare che ci mandassero una bomba sulla testa, che l'avrem­mo finita prima, questa nostra povera vita senza ragione...

Ania                                 - Sì, signora, sì...

Barberina                         - Oh... (Poi riprendendosi) Ma tu ogni tanto mi dici: sì, sì... Anche quindici giorni fa mi davi ragione, ma se non arrivavo a tempo stavi facendo dire una messa... in suffragio dell'anima sua... Oh... Amia, io ti voglio tanto bene e so che sei una cara ragazza... piena di cuore... Ma hai troppa fantasia e qualche volta mi verrebbe la voglia di prenderti a schiaffi...

Ania                                 - Una messa non poteva far male a nes­suno...

Barberina                         - Non dico che faccia male. Dico che è una perdita di .tempo, quando è per un vivo. An­che il Signore Iddio va disturbato quando non se ne può fare a meno. E tutto perché un imbecille, complicato dalle sbornie...

Anta                                - Sì, mamma... Però c'era anche un'altra

lettera...

Barberina                         - Quella del figlio del farmacista di Sant'Anselmo? Oh... si direbbe proprio che tu hai una gran voglia che sia morto... Che diceva quella lettera?

Ania                                 - Che l'avevano visto in un mucchio di cad... (Si copre il volto con le mani) Basta, basta!... Non ne posso più!... (Si alza e si mette a girare, in preda a una violenta crisi di nervi, intorno alla scena).

Barberina                         - Ecco, ecco, ora si arrabbia... Dice­va così, ma diceva: « Credo, credo »... Non era si­curo.

Ania                                 - (dominandosi) Non c'era la parola « credo »...

Barberina                         - Sì che c'era... Me lo ricordo benis­simo... «Credo d'avere veduto anche Giovanni di Landò... ».

Ania                                 - (si getta ai ginocchi dì Barberina, singhioz­zando) Oh!... signora... signora mia... Giovanni non c'è più... non c'è più... non c'è più...

Barberina                         - (accarezzandole i capelli) Benedet­ta figliola, ecco quello che si (guadagna a uccidere la speranza. Bisogna invece alimentarla, cara... Sof­fiare con tutta la nostra forza nei piccoli foche-relli, che l'istinto accende dentro di noi. Vedete come siete deboli voi altri giovani? Perché date troppa importanza alle notizie... alle circostanze... alla logica delle cose... Che non c'è, cara, non esi­ste. H mondo è... così... una fantasia... La grande fantasia di Dio, che è poi fatta anche delle fan­tasie nostre. Perciò, tante volte, ci troviamo di fronte a fatti assurdi, impossibili, ma veri. Io non credo che Giovanni sia morto. Per crederlo, devo «vederlo morto». E, fino a quel momento, io lo aiuto a vivere, a forza di speranza... Bisogna aiu­tarlo, il Signore, a fare i miracoli... Lui solo, non basta.

Ania                                 - (placata, si alza. Si passa una mano sulla fronte e va al focolare, dove, sullo sporto del cami­no, sono dei candelieri: accende una candela e la porta sulla tavola).

Barberina                         - Mi mandi a letto, adesso? Che ora è?

Ania                                 - Le nove. E' già tardi per lei.

Barberina                         - Non si poteva restare un poco an­cora, qui, a parlare di lui? Ne ha bisogno, sai? Dovunque sia, egli sente che parliamo di lui e una serenità improvvisa gli entra nel cuore... e allora sopporta meglio ogni cosa.

Ania                                 - Ma è un martirio, signora...

Barberina                         - Oh, che brutta cosa dici. Mi fai pensare che tu senta il bisogno di liberarti di lui.

Ania                                 - Signora, cerchi di capirmi. Io lo amavo...

Barberina                         - Stupida! Devi dire «lo amo»...

Ania                                 - Lo amo. E questi discorsi mi svuotano, mi angosciano. Vorrei poter dormire, per tanto, tanto tempo...

Martina                            - (la cameriera, affacciandosi) Ma co­me? Ancora alzata?

Barberina                         - (prendendo meccanicamente in mano il suo candeliere) Ecco quest'altra, ora.

Martina                            - (viene innanzi: è una donna di quarant'anni, brutta ed energica) Così poi le viene l'affanno... e il medico dice che io non potrò mai fare l'infermiera, per mancanza di autorità. E, invece, io intendo fargli vedere...

Barberina                         - (alzandosi) Ma sì, vado, vado. Po­tessi almeno avere quelle lettere da rileggere a letto!

Anta                                - Non insista, signora. Non è un capric­cio mio. Non dovrei lasciargliele per le mani, mai... H dottore dice che il suo stato si aggrava.

Barberina                         - Lasciatelo dire. Tanto la mia ma­lattia non me la può levare nessuno... Uno soltan­to... (E' già sulla scala e sale)

Martina                            - Fra poco salgo a darle la pozione.

Barberina                         - Brava. E' dolce... mi piace. A do­mattina, Ania.

Anta                                - (avvicinandosi alla scala) Signora, di­menticavo di dirle che domattina avrei occasione di una vettura che mi porterebbe a casa. Credo che anche papà mi desideri, almeno per qualche giorno...

Barberina                         - Cosa? Te ne vuoi andare? Ah, be­ne! Si vede che non hai troppa fretta di vederlo.

Anta                                - Oh!... qualche giorno, qualche giorno sol­tanto. Non credo che arrivi domani.

Barberina                         - (bisbetica) Non credi? Martina, come si chiama quel ragazzo?... H figlio della la­vandaia...

Martina                            - Riccardo. Quello che è tornato dalla Germania... !

Barberina                         - Quando è ritornato?

Martina                            - Ieri.

Barberina                         - (a Ania) Ieri... stasera... domani... Ma se vuoi andare a casa, vai... Io non ti posso trattenere. Io aspetterò sola. Buona notte. (Fa alcuni gradini).

Ania                                 - No, signora... non vado. Stia... tranquil­la... e dorma bene.

Barberina                         - (con gaiezza) Non vai, vero? Bra­va. Credo che tu faccia bene, perché stasera ho nel cuore un focherello così  allegro.., così allegro... (Entra nella sua stanza. Rimasta sola, Ania si sie­de accanto alla tavola e, sfinita, appoggia la testa al gomito: non piange, ma l'atteggiamento del suo corpo indica una grande stanchezza).

Martina                            - Non si abbatta così, signorina... Dopo tutto, chi sa che non abbia ragione lei...

Ania                                 - Ma è una pazzia, Martina, una pazzia.

Martina                            - S'è visto di peggio, signorina. Lo sa di quello che, dopo l'altra guerra, ritornò dalla Russia dopo sette anni, con cinque figli? Non dico che il suo fidanzato debba tornare con dei figli, si capisce...

Ania                                 - Martina... Chiudi la porta e vai a letto anche tu.

 Martina                           - Sì, signorina. (Martina fa per chiu­dere la porta: ne ha chiuso un battente quando si ode fuori la voce di un uomo che saluta).

Voce maschile                 - Buona sera!

Martina                            - Chi va là?...

Voce maschile                 - Amici... Sono Enea Frontini.

Martina                            - Siete voi ammazzasette? Badate, che, se la signora vi sente, vi manda via!

Enea                                - (mostrandosi sulla porta: è un uomo sui quarantacinque anni con stivali e giacca alla cac­ciatora) Ce l'ha con me?

Martina                            - Non entrate! Gufo, barbagianni, uc­cellacelo...

Anta                                - Martina! Lascia entrare...

Enea                                - Buona sera, signorina. Come va la vita? (E' allegro).

Anta                                - Siete allegro?

Enea                                - E' andata a letto la signora maestra?

Ania                                 - Sì. Parlate piano.

Enea                                - Meglio. Perché così, quello che si deve dire, si può combinare insieme...

Ania                                 - Cosa?...

Martina                            - Ha qualche altra cattiva notizia, non c'è dubbio.

Enea                                - Vattene a letto, servacela...

Martina                            - Io non ricevo ordini da un villan­zone come voi.

Enea                                - Signorina Ania, datele ordine di andare a letto. Debbo parlare a quattr'occhi.

Ania                                 - Martina, via!

Martina                            - (fa un versaccio ad Enea ed esce di scena, a destra).

Enea                                - Non è una cattiva notizia, ve lo idico1 su­bito. Anzi... è peggio. E' una buona notizia. E da quella volta che dissi a mio zio, che aveva vinto al lotto e lui morì di colpo, io, buone notizie, non ne porto più. Non èra poi nemmeno vero.

Ania                                 - Che cosa?

Enea                                - Che avesse vinto al lotto. Dunque, sta­temi bene a sentire e non mi interrompete. Ieri sera mi trovavo a Martinazzo. C'è stato l'allarme. un castigo di Dio. E' morto anche il curato. Io me la sono cavata. Dopo, sono andato all'osteria a rin­francarmi un poco con un buon bicchiere. Intorno a me, la gente che affollava l'osteria bisbigliava parlando male della guerra, dei tedeschi e di un'al­tra cosa, aspettate.., ah, del governo... Scusate, signorina, io devo dire tutto. M'era venuta un po' di sonnolenza e così, cullato dalla noia dei soliti discorsi e dalla gioia d'essere ancora vivo, dopo quell'inferno, dormicchiavo. A un tratto sento che si fa un gran silenzio e mi sveglio. Erano entrate le SS tedesche per vedere i nostri documenti. Mi faccio mentalmente il segno della croce e metto le mani alla tasca. Accanto a me un giovanotto, vestito d'una strana divisa, che poi non era nem­meno una divisa... chi ci capisce più niente?..., fa lo stesso movimento e ci sorridiamo come a dire: « Se va, va... ».

Ania                                 - Perché? Non avevate i documenti in regola?

Enea                                - (sorridendo) Come no?... Regola perfetta. Soltanto in questi casi si sta sempre in pena... In­somma le SS sono uscite soddisfatte della loro vi­sita e noi soddisfatti della loro partenza abbiamo ricominciato a bere. Mentre il mio compagno! ri­metteva le sue carte in tasca sono riuscito, sbir­ciando, a leggere il suo nome. Si chiamava... (Si ferma a guardare Ania).

Ania                                 - Si chiamava?

Enea                                - Giovanni...

Ania                                 - (ansiosa) Giovanni?

Enea                                - Giovanni di Landò... figlio del fu Luigi e della Barberina Gorri...

Ania                                 - (si alza in piedi di scatto) Ma che diavolo dite? Voi sapete meglio di me che è morto... La no­tizia l'avete portata voi stesso... Una omonimia certo, se pure avete letto bene, perché temo che non sappiate nemmeno leggere...

Enea                                - Oh, signorina... Io so leggere benissimo. Domandatelo alla signora, che mi ha insegnato. Del resto, dopo, gli ho parlato. Gli ho detto: « Se siete il figlio della maestra di Sant'Anselmo, quello che fu portato via dai tedeschi, badate che vostra ma­dre non è più là. E' andata a Colle per via dei bombardamenti ».

Ania                                 - E... e lui?

Enea                                - E lui: « Voglio proprio andare a Colle ». E siccome io avevo occasione di un barroccino che mi portava da queste parti, l'ho preso con me.

Ania                                 - E dov'è?

Enea                                - Per prudenza, l'ho lasciato ad aspettare nell'orto. Se volete...

Anta                                - (prima che Enea abbia effettuato il propo­sito di chiamare colui che aspetta nell'orto, è corsa verso la porta, chiamando con voce abbastanza forte da essere udita da Barberina) Giovanni!... (Poi, con voce più bassa sulla soglia verso l'esterno) Gio­vanni... Dove sei?

Barberina                         - (compare sulla porta della sua stanza; dall'interno esce una luce gialla, che circonfonde dì irrealtà la figura della donna) Giovanni? E' ar­rivato Giovanni?... Oh, il Signore! il Signore!... (Non sa finire la frase, agita le mani e fa per discendere, ma evidentemente non si regge).

Enea                                - Ve l'ho portato io, signora... Io ve lo avevo ammazzato. Era giusto' che ve lo risuscitassi... (Vedendo che la donna scende a fatica) Mano, si­gnoria, piano. (Sale ad aiutarla).

Barberina                         - (scendendo) Giovanni mio... Gio­vanni mio... Io lo sapevo. Io lo dicevo sempre... (Sul vano della porta appare un giovanotto, di fronte al Quale Ania ha un moto di sorpresa; fa un passo indietro).

Ania                                 - Ma voi chi siete?

Barberina                         - (che è già arrivata al basso della scala, si libera di Enea e si getta sul petto del giovane) Oh!... caro... Giovanni mio...

Il Giovanotto                   - (sostiene la donna che gli si è but­tata sul petto piangendo e guarda stupefatto Ania ed Enea ai quali vorrebbe chiedere consiglio; ha nella mano destra una strana valigetta).

 Barberina                        - Lo sapevo... il cuore me lo diceva. Non era vero nulla. Soltanto il nostro dolore era vero... Ma adesso, caro... caro... (Sono giunti al centro della stanza e Barberina si siede pesantemen­te, sempre sorretta dal giovanotto) Lascia che ti guardi. Come sei bello! Lo vedete? Lo vedete? Non pare nemmeno che sia tornato dall'inferno! Guar­date com'è forte. Ha resistito a tutto. Ha vinto tutto.

Enea                                - Perché, ve l'ho detto, no? Fui io che portai la notizia della vostra morte... E invece siete vivo! Bravo. Meglio così.

Ania                                 - (che da quando il giovanotto è entrato è rimasta al fondo, immobile e gelida come una sta­tua, incomincia a muoversi piano piano verso il centro della stanza).

Il Giovanotto                   - (ha un accenno verso di lei, come se volesse parlare).

Barberina                         - No, caro, non parlare. Avremo tanto tempo di ricordare le nostre sofferenze, ma ora bisogna lasciare al cuore il suo minuto di gioia. Ania, scusami se me lo tengo io, ma è per un momento soltanto...

Ania                                 - (a Enea) Credo che fareste bene ad andar via, adesso.

Enea                                - E' proprio quello che stavo pensando... Bene... Siamo tutti contenti. Vi saluto, giovanotto E complimenti... Poi continueremo a suo tempo il discorso cominciato... Volete?

Il Giovanotto                   - (fa un cenno di sì col capo).

Barberina                         - Che discorso? Che discorso? Bada, Giovanni, non ti fidare di quell'uomo... E' una te-staccia sventata...

Enea                                - Non ditele nulla. Discorsi di uomini. Le donne non c'entrano. Buona notte a tutti e siate felici fino alla fine della guerra, che, dopo, sarà quel che Dio vuole.

Barberina                         - Non pensiamo a nulla. Né al passa­to, né all'avvenire. Quando il presente è bello vale un'eternità... (Enea esce) Sì, cara. (Ad Ania) Sì, cara... Ecco. Te lo cedo per un po'. Abbracciato an­che tu. (Al giovane) Ma tu devi dirle che il suo cuore di innamorata non è stato forte quanto il mio di madre. Diglielo. Non voleva più credere al tuo ri­torno, sai? S'era lasciata cadere sotto il peso delle chiacchiere... delle notizie false... Il mondo è pieno di notizie false. Tutti lo sanno. E lei ci crede. Ec­cola, invece, la verità... E' tornato. Abbracciala, caro. Ha tanto pianto anche lei... (Vedendo che i due si guardano senza la minima intenzione di ab­bracciarsi, Barberina si incollerisce) Ma via! E que­sto il modo di essere felici? (Si alza energicamente e tenendo per mano il giovanotto lo conduce verso Ania, che ha un lieve moto di ripulsa) Ma che hai? Lo guardi e hai l'aria di non vederlo.

Ania                                 - Ma, signora... E' tanto mutato..

Barberina                         - Eh, lo vedo bene che è mutato. Ma credi che un uomo possa passare da un mondo a un altro conservandosi com'era? Non sono forse mutata io? Eppure io non ho sentito che delle mac­chine rombare sulla mia testa e qualche scoppio lontano. Lui ha sentito scoppiare il suo cuore... Amia... Giovanni... Voi due siete molto strani. Porse anche tu trovi mutata lei?

Il Giovanotto                   - (guarda Ania, guarda la vecchia e e ha un cenno negativo appena percettibile).

Barberina                         - E allora via... Non abbiate pudore per una vecchia madre. (.Subitamente incollerita per la immobilità dei due) E va bene. Non volete darvi un bacio? Questa è una cosa che vi riguarda.

Ania                                 - Ma sì, signora, sì... (Porge la guancia al soldato, che la bacia delicatamente e subito si ri­trae sospirando).

Barberina                         - (che il bacio non ha soddisfatto) Bene. Penso che tu sia stanco e voglia mangiare e riposare. Al mangiare penso io. So quel che ti piace... No, forse non lo so più. E' vero che hai sofferto la fame?

Il Giovanotto                   - (ha un cenno vago).

Barberina                         - E' vero che vi siete nutriti delle cose più immonde che si possano immaginare?

Il Giovanotto                   - Così... (Come dire fino a un certo punto).

Barberina                         - E allora, bisogna che tu stia attento. Non ti buttar subito a mangiare fino alla sazietà. Può farti male. Ti occorrono, in principio, cibi sem­plici e leggeri. Faccio io, faccio io...

Ania                                 - Se vuole, signora... posso anch'io. E poi Martina non si deve ancora essere coricata.

Barberina                         - Mi meraviglio! Tocca a me, stasera... (Fa per avviarsi verso il secchiaio) Vado a vedere quel che c'è... (Ma fatti due passi ha un capogiro e minaccia di cadere).

Il Giovanotto                   - (è pronto a sostenerla).

Barberina                         - (sorridendogli radiosamente) Come è bello sentirsi mancare così... Giurami, caro, che ora non te ne andrai più lontano da me. Ho resi­stito tre anni, tre anni ti ho aspettato. Ma, adesso, sento che non resisterei più, nemmeno per un giorno. Mi giuri?

Il Giovanotto                   - Ma...

Barberina                         - No, no... Devi giurare. Devi giurare. Se vuoi che io mi riposi, finalmente!

Il Giovanotto                   - (guardando Ania che ha un lieve moto di incoraggiamento) Sì... Giuro...

Barberina                         - Oh... Grazie... La sofferenza ti ha dato una voce più calda... (Accarezzandogli il collo tocca gualche cosa che la fa fremere; ha un piccolo grido di gioia) Guarda... guarda... L'ha conservata. (Mostra una medaglietta attaccata a una catenina d'oro che cinge il collo del giovane) La sua catenina, guarda... Il nostro dono... Ti ricordi, Giovanni? La medaglietta è mia... Ecco la parola incisa: «Mam­ma ». E la catena è sua. (Ride) Naturalmente... Non ridi?

Ania                                 - (curiosa, emozionata, si avvicina e guarda la catena) Sì, sì... E' la nostra catena! (Guarda ancora più curiosamente quell'uomo che non trova il coraggio di parlare).

Barberina                         - Ma io sto qui a chiacchierare e tu, poveretto, hai fame. Intanto ditevi tutto... Ho l'impressione che tra voi ci sia qualche screzio... Che sciocchi! (Esce in fretta. Un attimo di incertezza fra ì due che si guardano: lui con imbarazzo, Ania con curiosità spasmodica: avrebbe mille domande da fare tutte in una volta, ma non riesce a parlane).

Clark                                - (rompendo il silenzio) Scusatemi... Io non ne ho proprio colpa... Le circostanze...

Ania                                 - Aspettate. (Va a sorvegliare la porticina del secchiaio per timore che la madre compaia, poi ritornando a lui) Dunque... chi siete?

Clark                                - Io? A voi... a voi sola... Credo di poterlo dire. Io sono il sergente paracadutista Clark Miliari, della quinta armata americana.

Ania                                 - (con viva sorpresa) Oh... Ma allora? (Guarda istintivamente la valigetta che è sulla ta­vola).

Clark                                - (mettendo la valigetta a terra con gesto sollecito) Che cosa?

Ania                                 - Quella catena... quella medaglia...

Clark                                - (levandosi dalla tasca un portafogli) Questo portafogli...

Ania                                 - (afferrando con mano tremante il porta­fogli e aprendolo religiosamente) Suo... suo... (Stringendo al seno la reliquia, guarda ancora il giovane che sta davanti a lei) Ma come... come si spiega... (Riguarda il portafogli) Una lettera... per la madre... Che vuol dire? Che significa?

Barberina                         - (rientra con un recipiente contenente del latte, che porta al fuoco del focolare) Ora faccio presto, sai? Un momento solo... Metto a bol­lire un po' di latte... Intanto, ti farò delle fettine di carne sottili sottili, come piacciono a te. Però, te lo dico prima, niente peperoni... Voglio prima essere ben sicura che non ti possono far male... Gli piacevano troppo... (Esce).

Ania                                 - E allora?

Clark                                - Ecco... Una storia come tante altre... Quando ero nell'artiglieria, col colonnello Byrnes, l'anno scorso, in Belgio... Ecco... Durante un'avan­zata verso la Saar... Ma non vorrei...

Ania                                 - Farmi male? Oh, non temete... Ho con­sumato tutto, in un anno. Non mi pare nemmeno di soffrire...

Clark                                - Sì? Io non sono troppo pratico di que­ste cose. Insomma; abbiamo camminato per tutto un giorno in mezzo ai morti. Di qua e di là dalla strada, operai di retrovia, travolti dalla rottura del fronte... A me i morti non fanno nessuna impres­sione, ma i moribondi... Ecco perché, vedendo un tale che muoveva un braccio, non ho potuto fare a meno di fermare l'autoblinda sulla quale viag­giavo e sono disceso... L'uomo stava male. L'ho sol­levato. Gli ho dato un sorso di cognac. Allora ha cominciato a parlare in fretta in fretta, come se avesse troppe cose da dire per il poco tempo che gli restava. Io parlo l'italiano perché in casa mia qualche volta... La madre idi mia madre era di qui... Ma lui parlava così in fretta!... Dico: «Slowly please... più lento, per piacere». Dice: «Mamma... Bacia la mamma». E mi ha baciato qui... E dice: « Portale questa lettera ». Poi dice qualche altra cosa che non capisco. Ora, sentendo il vostro nome penso che si trattasse proprio di questo... Ma non aveva più fiato... E' spirato qui. (Si indica una spalla. Pausa) Ho preso quel che m'aveva detto di prendere... e me ne sono andato... Quando fui de­stinato al corpo d'invasione d'Italia, ho pensato: «Il Padreterno vuole che porti quella lettera». (.Ride) Scusate. Ecco perché ho commesso questa sciocchezza di farmi accompagnare da Enea e di lasciargli credere... Tanto dicevo, quando sarò là mi vedranno, no?... "Voi m'avete visto subito. Ma lei... poveretta... Ha i capelli come mia madre... così: pepe e sale, un po' ricciuti alla nuca. (Resta a pensare silenziosamente).

Ania                                 - (si avvicina al giovane e gli mette una mano sulla spalla dove egli ha indicato, quando ha par­lato della morte di Giovanni).

Barberina                         - (si mostra sulla soglia dell'uscio di destra, con una tazza dentro la quale sbatte un uovo) Oh! bravi. Avete fatto la pace! Così va bene. Ania, figlia mia cara... stai attenta al latte. (Esce).

Anta                                - (si è staccata rapidamente dal giovane per obbedire; va in fretta al focolare).

Clark                                - Adesso credo che sarebbe bene me ne andassi subito, no?

Ania                                 - Siete pazzo?

Clark                                - E come volete che resti?

Ania                                 - Lo avete giurato...

Clark                                - Perché ho capito che si trattava di una povera...

Ania                                 - Non è pazza! Soltanto un po' logorata dalle allucinazioni... "Vive di allucinazioni! Speranze, dice.,. Focherelli... Non potete andar via così... Aspettate... (Un orologio a cucii batte le ore).

Clark                                - (con lieta sorpresa) Oh!... Questa è bella! Anche a casa mia nei Tennessee, c'è un oro­logio così... Ma non è là... è là... Però il tempo passa lo stesso, tale e quale... (Ride) Molte volte ho pen­sato: «Che differenza c'è, se il tempo passa lo stesso? » (Ride) Scusate... (Si rifa serio).

Ania                                 - (soffia sul latte che esce, lo prende dal focolare e Io porta verso l'uscio di destra) Ecco, signora... il latte... (Via per un attimo).

Clark                                - (intanto si è seduto e ha notato la presenza della radio, che guarda con interesse; poi ad Ania che ritorna) La radio...

Ania                                 - Sì...

Clark                                - (si leva la giacca e la butta, via malamente con l'intenzione evidente di occuparsi della radio).

Ania                                 - (raccoglie la giubba con devozione).

Clark                                - Non è sua. Non so nemmeno se è ita­liana... L'ho presa nel nostro magazzino.

Ania                                 - (esaminando la giacca) Chi la portava è stato colpito al cuore. Guardate... Sul cuore un forellino...

Clark                                - Già. Come è piccola la morte... vero?

 Ania                                - E... luì?... Dove?...

Clark                                - (la guarda) Qui... (Indica la nuca) Ne ho visti parecchi...

Anta                                - (contiene un fremito di orrore).

Clark                                - Scusate. (Pausa) Non bisogna dirlo a lei... Già... non crederebbe... Quando m'è passata per la testa la pazza idea di venire qui... vi confesso che ero trascinato dal fascino delle conseguenze... Fino in fondo... E poi mi pareva che mi avrebbe por­tato fortuna, iniziare così il mio servizio in Italia... (Si pente di quel che ha detto, tanto più che Ania ha avuto un movimento di sorpresa, scoprendo fi­nalmente un'altra realtà, non ancora considerata) Voglio dire...

Anta                                - Ho capito quel che volevate dire...

Clark                                - Sì... che così è meglio. Sarebbe stato terribile per me, dare queste cose proprio a lei. Avrebbe pianto. Mi avrebbe domandato tante cose. Invece, così...

Ania                                 - perché io... io che non piango... io, niente.. non sono niente...

Clark                                - Oh, voi!... Voi siete così giovane... così bella! Scusate. In ogni modo pare che prima dei quarant'anni non ci sia nulla di definitivo.

Ania                                 - Nemmeno una mutilazione? Nemmeno uno sfregio?

Clark                                - (la guarda) Già... Però...

Anta                                - Però che cosa?

Clark                                - (intimidito) Niente. (Si alza e va alla radio che apre: ne esce un suono di orchestrina; chiude subito) A quest'ora a casa mia nel Tennes­see, sono tutti intorno alla radio... ecco perché...

Anta                                - Se volete aprire, potete... Per me, non ha importanza.

Clark                                - No... Meglio no. Meglio che me ne vada.

Ania                                 - Dove?

Clark                                - Questo poi...

Ania                                 - Non potete, adesso...

Clark                                - Capisco. Ma io non mi aspettavo di trovarmi di fronte a una donna che mi abbraccia e mi dice, piangendo, che sono suo figlio e ha i ca­pelli come mia madre. E questa casa che somiglia terribilmente... no... non somiglia... ma è la stessa. Anche l'orologio,., e... Cercate idi capire che è meglio che me rie vada. Non mi sento tranquillo.

Ania                                 - Perché?

Clark                                - Perché... qui dentro bisogna avere i nervi a posto. Se no c'è il pericolo di fare la fine di quella povera signora e di credere a quello che non è e allora... addio... (Si rimette la giacca) Scusatemi... Dispiace anche a me andarmene, ma...

Ania                                 - Fermatevi. Non vi lascio uscire.

Clark                                - Signorina, che vi prende? Io non ho più nulla da darvi. Tutto quello che avevo è là. (Indica gli oggetti consegnati) Il resto è mio. Non appartiene che a me.

Anta                                - Badate! A cento metri di qui è un corpo di guardia tedesco. Io li chiamo e vi consegno.

Clark                                - (impressionato ma non spaventato) Ah... Così?... Ma allora non è vero. Non è vero che voi italiani ci amate. Tutte bubbole della propaganda.

Ania                                 - Può darsi.

Clark                                - E sareste capate di fare arrestare me... dopo che vi ho portato...

Ania                                 - Appunto! Voi avete portato qui dentro un'illusione. E non potete riportarcela via. Lo sa­pete che io stavo per impazzire davvero con quella povera donna?

Clark                                - Mi dispiace. Ma di questo passo io dovrei dare le dimissioni dall'esercito. Non mi pare il mo­mento. Via, signorina, lo sono piombato in mezzo alle allucinazioni e alle angosce, ma devo tenere la mia testa a posto. E non voglio star qui a recitare la parte del buon figliolo che non ha la chiave di casa!

Ania                                 - Vi ho detto quello che faccio se voi ten­tate di uscire. Io non. ho nessuna voglia di scher­zare.

Clark                                - Ho capito. Con la scusa della signora... voi avete intenzione di impedirmi... Ho capito. Ma non c'è nei miei regolamenti che una donna possa mettere il bastone sulle spalle di un sergente. Io non accetto di essere vostro prigioniero. Lasciatemi andare e non fatemi pentire di avere fatto il mio dovere di uomo. Più del mio dovere di uomo. (Ania a braccia conserte non gii risponde più: è decisa) Non volete? (Il giovarne sospira evidentemente mol­to imbarazzato) Non crediate che abbia paura delle vostre minacce. Ma prima di agire io ho il dovere di pensare seriamente quale sia in questo caso il vero eroismo. Posso infischiarmene di voi e di tutto e andar via a costo di rimetterci la pelle, tra un quarto d'ora. Ma posso anche... (meditando sì siede) dato che non è urgente.,.

Ania                                 - Bravo. E' preferibile così.

Clark                                - (irritato dal contegno di Ania) Siete detestabile, scusate se ve lo dico. Non è il modo di fare. Afa, sapete che faccio? Benissimo! Io dico tutto alla signora... Ora, quando entra, le dico che non è vero niente, che non sono suo figlio, che sono un soldato mandato qui a vendicare i vostri morti! E lei mi lascerà andare. Volete scommettere? (Chia­mando) Signora!...

Barberina                         - (entra col vassoio delle vivande) Chi è che mi chiama, signora. (E si prepara a ridere).

Clark                                - Io... Guardatemi bene...

Ania                                 - Giovanni!

Barberina                         - (ridendo) Pazzo!... Vuol scherzare... Ma adesso vedrai che te ne va via la voglia. Guarda qui... guarda che buona roba ti ho preparato...

Clark                                - (non può far a meno di considerare l'im­portanza del pasto).

Barberina                         - Ecco, Giovanni... Siediti e mangia. Tutta roba leggera che non ti può far male... Ecco una bella tazza di latte coll'uovo frullato, marmel­lata, biscotti... E intanto che tu cominci, io ti passo al burro queste fettine di vitello... Siedi, caro, siedi... Poi sono subito da te... (Corre al focolare con le fettine di vitello che distende in un tegame).

 Clark                               - (si siede, sedotto, poi incontrando gli occhi di Anta si indispettisce) Grazie.

Anta                                - Non hai fame, Giovanni?

Clark                                - (con una occhiata da incenerire Ania) Molta... E mangio... Mangio tutto. Ma questo non significa nulla.

Barberina                         - (al focolare) E che deve significare? Che matto! (Ride del suo riso infantile e stridulo).

Clark                                - (facendo alle spalle di Barberina un cenno di minaccia a Ania, come se dicesse: faremo i conti, si mette a mangiare; Ania gli versa del vino da una bottiglia; Clark nervoso, agitato, ma anche af­famato, mangia e beve) Poi si chiacchiera un poco, vero? (Questa frase ha un accento minac­cioso).

Barberina                         - Dici a me? Certo. Voglio parlare tanto con te... perché, sai, io ho perduto l'abitudine di dormire...

Ania                                 - Credo invece che sarebbe bene tornasse subito a letto...

Barberina                         - (portando il tegame verso la tavola e versando la carne in un piatto) Lasciala parlare quella forontolona! Beco fatto. Ci metti un po' di limone... un po' d'olio... Vedi quanta grazia di Dio? Mi -dirai: « Come mai mammina, in un paese af­famato dai tedeschi, hai tanta grazia di Dio? » Perché io ho sempre pensato che tu saresti arrivato e ho - (sottovoce) come si dice? occultato generi ali­mentari razionati... Un delitto, sai? (Ride) Un de­litto... Latte condensato... Biscotti... Marmellata... Senza dire che ho dieci bottiglie di vino buono come questo in serbo per te... Noi abbiamo sempre bevuto acqua, vero Ania? Sempre acqua... Mangia caro, mangia.

Clark                                - (gettando via la forchetta e allontanando da sé il bicchiere di vino) No... Io non posso. Ho una fame da lupo, ma non posso né mangiare né bere...

Ania                                 - Giovanni!

Clark                                - Ma che Giovanni! La verità è che...

Barberina                         - La verità è che hai lo stomaco illan­guidito dal troppo digiunare! E ti sei messo a man­giare con tanta fretta!... Mangia adagio, caro. Mangia adagio. Hai bevuto un bicchiere di vino tutto in una volta... Ti pare educazione? (Ride) No, scherzo, Giovanni... Questa sera tu puoi fare e dire tatto quello che vuoi... Qui dentro, nella tua casa, sei il re...

Clark                                - Signora, guardatemi dunque...

Barberina                         - (ridendo) Caro... Anche voi guarda­temi! Avete mai veduto una mamma felice come me su tutta la terra?

Clark                                - (la guarda soggiogato).

Barberina                         - (appoggiandogli la testa sulla spalla) Ecco, vedi? Mi prende il sonno... (Reagendo) Non voglio dormire... Non voglio! Non è una contraddi­zione, che quando uno è infelice debba centellinare l'amaro di tutte le ore della notte e quando è fe­lice debba lasciarsi rubare la felicità dal sonno? Mangia, caro... Mangia.

Clark                                - Insomma... Io non ho la coscienza tran­quilla... Io devo risolvere il mio problema.

Barberina                         - Tu ti fai scrupolo di mangiare tante buone cose delle quali noi ci siamo private, non è vero?... Ebbene, non ci pensare. Se tu sapessi che gioia è la nostra d'avere potuto offrirti un'ora di bene, dopo tante privazioni...

Clark                                - (ingolla un secondo bicchiere di vino e energicamente ricomincia a mangiare).

Barberina                         - Sapete che mi è venuta una preoc­cupazione?... M'è venuta in mente di là, mentre sbattevo l'uovo... Non vorrei che quell'imbecille di Enea fosse andato in giro a dire che Giovanni è arrivato. Nessuno lo conosce qui, perché non siamo del paese, ma oramai io sono diventata popolare. Dimmi la verità: tu sei tornato con il permesso dei superiori o sei scappato?...

Clark                                - Sono scappato...

Barberina                         - Lo vedi? Ora bisogna tenerlo na­scosto... ben tappato... che nessuno lo veda... Anzi, Ania, se mai qualche cosa fosse trapelato per quella mala lingua di Enea... poveraccio! Ora gli voglio bene, bisogna dire che, sì, era tornato, ma poi se ne è andato...

Clark                                - Ecco. Io me ne vado.

Barberina                         - Ma niente affatto... Non aver paura, caro. Oramai ho imparato qualche cosa della vita. Non vedi? Ho nascosto generi alimentari. Posso anche nascondere il mio bene... Eh, questa volta non ti lascerei. Verrei con te, per morire con te. Ma non ti prenderanno!

Ania                                 - (versa da bere a Clark che beve in conti­nuazione).

Clark t                             - Non mi prenderanno! (Ad Ania) Ecco una bella notizia, no? (Alla madre) Tu non vor­resti che i tedeschi mi riprendessero, vero? Tu non vorresti?

Barberina                         - Che discorsi...

Clark                                - E non vorresti nemmeno che qualunque altro uomo della terra fosse acciuffato da quella gente e dovesse rifare la via che ha percorso tuo figlio...

Barberina                         - No, davvero. Mi pare che tutti siano miei figli, in questo momento.

Clark                                - (ad Ania) Vedi? Ecco che cosa signi­fica: cuore, gratitudine... E lei non sa nulla.

Barberina                         - E che debbo sapere?

Ania                                 - Vuol dire che lei non sa quel che ha sofferto...

Barberina                         - Più di quello che hai scritto nelle tue lettere? E sei ancora vivo? (Piange).

Clark                                - Nelle mie lettere? Su, non piangere, se no mi va via l'appetito.

Barberina                         - Ecco, non piango più.

Clark                                - (beve un altro bicchiere e si mette a fu­mare) Adesso lo so quello che devo fare...

Ania                                 - Che cosa?

Clark                                - (ride) Basta! Sono stato ingenuo una volta...

 Barberina                        - Hai ragione... Oh, Ania, che sven­tata! Prima di addormentarmi... bisogna che gli dia il suo pigiama... Il letto è pronto di là (indica la porta a sinistra) ma il pigiama... (Si alza e va al comò).

Ania                                 - Signora... Per questa sera il pigiama non è necessario. Che vuole che se ne faccia di un pi­giama? E' abituato in altro modo. Vero, Giovanni? Giovanni... Giovanni...

Clark                                - (non risponde, intento a mangiare. Ania va a toccargli la spalla) Ah... Giovanni? Già... (Evidentemente è un po' brillo) Cosa c'è?

Barberina                         - Dice che non ti serve il pigiama?... Che sei abituato in altro modo...

Clark                                - Non è vero. Io sono abituato al pigiama.

Barberina                         - Lo vedi? (Va al comò e lo apre).

Clark                                - (le va dietro e guarda dentro il cassetto) Il mio cassetto... tutto in ordine... (Grida) Casa mia!... (Si guarda intorno) Casa mia! Casa mia!... Voglio che l'orologio suoni le ore... (Il cucù si fa sentire. Clark ride forte) Casa mia! (Beve un bic­chiere di vino, e comincia a cantare una canzone americana in perfetto americano) « Home, home... my sweet home... »

Ania                                 - Giovanni!... che strana musica...

Barberina                         - (andandogli vicino) E lascialo can­tare. L'ha imparata piangendo in paesi lontani... lascialo cantare! (Reclina il capo sulla tavola. Clark smette di cantare a poco a poco).

Clark                                - Dorme... (Le accarezza la testa legger­mente) Avete sentito? Una mamma felice... Doman­do io, come si fa...

Ania                                 - Grazie, Clark... Giov...

Clark                                - E' lo stesso. Oramai, capisco... (Sempre accarezzando la testa dì sua madre) E poi i sogni di Giovanni sono i sogni di Clark... Chi sa se potrò mai più cantare la ninna nanna a mia madre, come stasera... (Guardando innanzi a sé) Ho fatto di corsa il viale alberato, che reca alla mia casa, tuf­fata nei fiori, piccola e bianca come un giocattolo da bambini... col fiato grosso ho sospinto il bat­tente della porta e un odore indefinibile di cose ordinate e pulite m'è venuto incontro... Una voce tremante ha gridato il mio nome., il cuore m'è sal­tato nel petto.,. Mia casa... mia dolce casa silen­ziosa, tiepida, t'ho riveduto e... (Si sveglia dal sogno e scoppia in una risata guardando Ania, che, com­mossa, lo guarda; ma la risata gli si spegne in petto, come per timore di svegliare la donna che dorme; Clark si china religiosamente a baciarle la testa).

Ania                                 - Bisogna svegliarla. Non può dormire lì...

Clark                                - Zt! Dove è la sua camera?

Ania                                 - (indicando una porta sul ballatoio) Quella.

Clark                                - (prende in braccio la donna che dorme, ma pur nel sonno istintivamente lo abbraccia, e si avvia verso la scala, cantando sommessamente) Home, home, my sweet home...

Ania                                 - (esausta dallo sforzo cade pesantemente sulla sedia accanto alla tavola).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

La stessa scena al crepuscolo

(Quando si alza il sipario, Clark sta accomodando la radio, di cui esamina gli organismi interni. Una campana lontana suona l'« Ave ». Un fischio lon­tano di locomotiva).

Clark                                - (lavorando canticchia una canzonetta ita­liana).

Enea                                - (entra dal fondo) Oh... Siete solo?

Clark                                - Solo, con un mistero...

Enea                                - Che mistero?

Clark                                - Questa radio, che si rompe sempre. In quindici giorni, sei volte. Par fatto apposta...

Enea                                - Le signore dove sono?

Clark                                - Sono chinate sui fiori con gli innaffiatoi. Non le avete viste?

Enea                                - No. Saranno dietro la casa... Be'? che avete deciso?

Clark                                - Io? Di accomodare questa radio.

Enea                                - Sentite, amico... A me piace la gente che parla franco e risponde a tono. Se quel che vi ho detto cinque o sei giorni fa, quando' passai di qui, non entra nelle vostre idee, ditemelo pure franca­mente. Ma non fatemi perdere fiato.

Clark                                - Io... se devo dirvi la verità, non ricordo nemmeno bene...

Enea                                - (soffiando e guardando Clark con impazien­za) Non vi ricordate?

Clark                                - Ah... ecco il guasto. Guardate... Questo filo è stato tagliato apposta. Io vorrei sapere chi si prende questo divertimento...

Enea                                - Ho capito. Voi siete di quelli che sal­vano il paese ascoltando le chiacchiere di radio Londra... Staremmo freschi, se tutti fossero come voi...

Clark                                - Perché voi non le ascoltate?

Enea                                - Io ascolto soltanto quel che mi serve. (Con fretta) Che ora è?

Clark                                - Il cucù ha suonato le otto da pochi minuti.

Enea                                - Volete che vi dica la mia impressione?

Clark                                - Se ci tenete.

Enea                                - (leggermente provocatorio) Ci tengo. Voi non ricordate quello che vi ho detto e per di più non volete nemmeno che io vi rinfreschi la me­moria. E' così?

Clark                                - (spinge la radio accomodata contro il mu­ro) Ecco fatto.

Enea                                - Ebbene i casi sono due: o siete amico di questi... Ma non può essere dopo quel che avete pa­tito... Oppure, mi dispiace di dirvelo, vi hanno ro­vinato. Non so come siate partito di qui. Certo siete ritornato pieno' di « fifa ».

Clark                                - (seccato e raccogliendo la provocazione) Io?

Enea                                - (contento di averlo attaccato) Sì... Voi... preferite restar qui ad accomodare la radio e a gingillarvi tra le sottane della mamma, piuttosto che esporre la vostra pellaccia faticosamente sal­vata... Siete diventato un poveruomo.

Clark                                - (andandogli sotto) Ripetete !

Enea                                - Ohi, giovanotto... Credi di farmi paura?

Clark                                - Ripetete e vi faccio saltare tutti i denti.

Ania                                 - (entrando con l'innaffiatoio) Che cosa c'è?

Enea                                - (rispondendo a Clark) Tu non mi fai saltare nemmeno i bottoni della giacca...

Ania                                 - (giunta tra i due) Enea... come vi per­mettete?

Enea                                - Scusatemi, signorina. A me certe cose danno ai nervi. Mi dica che la pensa diversamente. Buona notte... Affare suo. Ma questo fingere di non capire, di non ricordare... così, per fare il pesce in barile...

Ania                                 - Ma che significa?

Enea                                - Non lo so... Io vi giuro che non lo so. Perdio! Avessi sofferto quello che ha sofferto lui...

Ania                                 - Ma che vorreste che facesse?

Enea                                - L'ho detto a lui... e del resto non è diffi­cile da capire.

Ania                                 - E vi siete arrabbiato per questo?

Enea                                - Mi sono arrabbiato perché non dà con­fidenza... Io mi ero aperto con lui... gli avevo detto tutto, come si fa con un amico... Oh! niente di grave, perché tutti sanno come la penso e anche la polizia non ha più nulla da imparare sul mio conto... Però, poteva dirmi qualche cosa anche lui. No. Accomoda la radio. Parla d'altro. Smemorato... Va bene. Non importa. Io gli ho detto quel che mi sentivo, perché mi pareva stupido che un giovanottone come lui stesse qui a perdere tempo, quando c'è tanto da fare...

Ania                                 - Vi posso assicurare che Giovanni conosce il suo dovere. E quanto' ai suoi sentimenti credo di potervi dire che sono come i vostri... naturalmente...

Enea                                - Ma allora?... Be', lasciamo andare. Se volete dire alla signora che sono qui... avrei un po' fretta...

Ania                                 - Volete parlare con lei?

Enea                                - E' lei che vuol parlare con me. Ha man­dato Martina a cercarmi!

Ania                                 - Strano. Che vorrà?... Aspettate. (Fa per uscire).

Enea                                - Un momento. Prima devo dirvi una cosa... per scrupolo di coscienza... E' delicato, ma infine, si tratta di quella povera donna, che mi ha inse­gnato a leggere e a scrivere... Potete sentire anche voi, Giovanni... Dicevo: state attenti ai messaggi speciali di Londra. Se sentite: « L'alba non spunta ancora», squagliatevi...

Clark                                - (ha un moto di attenzione verso Enea, su­bito dominato).

Enea                                - Portate la signora lontano idi qui...

Ania                                 - (impressionata) Deve succedere qualche cosa?

Ene a                               - Dovrebbe... Dico dovrebbe perché con gli alleati non c"è mai da stare sicuri. Dicono una cosa, poi la disdicono all'ultimo momento... E a quanto pare stanno mettendo le radici... Ma infine noi abbiamo ricevuto degli ordini e dobbiamo a quel segnale fare una certa cosa, ma prima deve suc­cedere qualche altra cosa che dovrebbero fare loro, non so se con gli aeroplani o coi paracadutisti. Pare che ne abbiano lanciati parecchi in questi giorni.

Ania                                 - (guarda Clark di sfuggita) Ma... dove vo­lete che andiamo?

Enea                                - Oh, non c'è da scappare tanto lontano... Entrate per qualche ora in una casa meno vicina di questa alla ferrovia...

Ania                                 - Mi spaventate.

Enea                                - Niente paura. Si sta un po' alla larga. E non è nemmeno detto che ci sia pericolo. Io ho parlato per scrupolo... Del resto avete un uomo in casa? Volete che non sappia provvedere alla sal­vezza di sua madre, una volta avvertito? Almeno questo... (Ania e Clark si guardano).

Barberina                         - (entra) Mentre io innaffiavo i fiori, le stelle innaffiavano me. Sono tutta umida di rugia­da, ma adesso non importa più nemmeno dei dolori reumatici. Non m'importa più di nulla. (Il suo aspetto non è gaio come alla fine del primo atto: si direbbe proprio che abbia i nervi scossi da una pena segreta, da una inquietudine, da un pensiero fisso) Chi è qui? Oh... Enea... Che strano! Come mai sei qui? Ti credevo' chi sa dove... E' vero che sei uno di quelli che fanno il diavolo a quattro sulle monta­gne? Chi me l'ha detto? Qualcuno deve avermelo detto... Ah!... Il curato. Dice: «Vedrete che quello finisce fucilato...».

Enea                                - Alla grazia!...

Barberina                         - Ma che strano... Tutti potevo pen­sare di vedere stasera, all'infuori di te... Sei forse venuto a portarmi via il mio figliolo?... Non te lo permetto mica, sai? E' mio prigioniero.

Enea                                - Ma no, signora... Stia tranquilla che il suo figliolo le vuol troppo bene... tanto bene che non. la lascerà di sicuro... Io passavo di qui per caso e allora... ho voluto salutarla... Ecco tutto.

Barberina                         - Bravo... Siediti... Non ti posso of­frire un bicchier di vino, perché tutto il vino che ho è già prenotato da lui... Deve rifarsi di tanta acqua sporca, che gli hanno fatto bere...

Enea                                - Non fa niente, signora.

Barberina                         - Oh... Ania... Te ne prego... Vai a dare un'occhiata a Martina che sta preparando un dolce per domani... non vorrei che dimenticasse il burro...

Enea                                - Anche il dolce?... Beato lui!

Barberina                         - Beato adesso. Ma prima?... E in­tanto, Ania, conta con molta diligenza i bicchieri, piatti, piattini... Quella me ne deve avere rotti otto o dieci almeno... Come li ricompro? (Ania esce. A Clark) E tu, caro, profitta della bella serata e vai a prendere un po' d'aria. Se no, sempre chiuso qui in casa, finirai per ammalarti davvero...

Clark                                - Ma io...

Barberina                         - Vai, caro, vai... Fammi stare in pace con la coscienza. (Clark esce. A Enea) Scusami, sai, ima ho fatto un po' di commedia, perché loro non lo sanno che ti ho mandato a chiamare.

Enea                                - Non lo debbono sapere?

Barberina                         - No... Figurati, mi tratterebbero da maniaca. Hai detto qualche cosa, forse?

Enea                                - Io? Io no. Le pare? Io non parlo mai, signora. Io mi ricordo sempre dei suoi insegna­menti, sulla prudenza...

Barberina                         - Davvero? Che gioia per me vedere come fiorisce quel che ho seminato! Del resto, io non sono donna di grandi segreti. A forza di farmi piccina piccina, per insegnare l'abaco, la mia mente non dà più importanza che alle cose infinitesimali... Per questo ti ho chiamato. Vedi... Giovanni è tor­nato con un carattere molto cambiato. Era triste, è tornato allegro.... Ma era espansivo, e ora, in so­stanza, è chiuso come un... ecco è proprio come un armadio di cui io abbia smarrito la chiave... E in­vece vorrei sapere tante, tante cose... Possibile che uno. tomi a casa da un'avventura così dolorosa senza avere nulla da dire? Lo sai che per otto giorni, quando gli facevo qualche domanda pareva che non ricordasse nemmeno quello che m'aveva scritto nel suo diario, nelle sue lettere?... Ora no... Ora qualche ricordo affiora. Guarisce, forse. Ma a poco a poco... Invece io ho tanta fretta, tanto bi­sogno di sapere.

Enea                                - Ma io, signora, che vuole che sappia io di lui?

Barberina                         - Lo crederesti se ti dico che non mi ha mai parlato nemmeno (del modo come era arri­vato a Martinazzo... come ti aveva incontrato' e cosa vi eravate detto? Eppure avrete parlato... Vi sarete detto qualche cosa...

Enea                                - Ma... veramente, ora che ci penso, non mi ha detto niente... Ha sempre lasciato par­lare me...

Barberina                         - Sfido! E' difficile non lasciar parlare te! Dovevi star zitto qualche momento. E poi forse non era ancora sicuro delle tue opinioni. Per questo ho raccontato del parroco a proposito di quello che stai facendo tu, adesso... Per metterlo tran­quillo sul tuo conto. Tuttavia qualche cosa deve aver detto... Pensaci bene. Cerca di ricordare tutte le sue parole e tutti i suoi gesti. Non ti dimenticare nulla... anche se a te sembrano senza significato. Una madre trova significato in tutto. E io non mi interesso d'altro, a questo mondo. Per me, questi sono i grandi fatti della storia.

Enea                                - Le dico, signora... Non ha parlato... Pro­prio. Ah, sì... più volte mi ha domandato per dove passa la ferrovia.

Barberina                         - Oh... era pazzo per la ferrovia, anche da bambino. Sapeva a memoria le ore del passaggio di tutti i treni, anche di quelli della notte...

Enea                                - Perciò non la finiva mai con questa fer­rovia.

 Barberina                        - Ma dì me, ha detto nulla?

Enea                                - No...

Barberina                         - Non era impaziente di vedermi?

Enea                                - Sì, certo, come no? Volete che non fosse impaziente? Ma non me lo ha detto. Stava muto a guardarsi intorno... Domandava nomi di paesi, di monti...

Barberina                         - Anche la geografia gli piaceva tanto. Ma nemmeno quando all'osteria di Martinazzo gli hai detto... Come gli hai detto, precisamente?

Enea                                - Gli ho detto: «Se siete il figlio della maestra di Sant'Anselmo, badate che vostra madre non abita più là, perché è sfollata a Colle, per via dei bombardamenti»...

Barberina                         - E lui? E lui? Si è commosso, ha detto «mamma mia»? Che cosa ha detto?

Enea                                - Signora... lei non pensa che mezz'ora prima c'era stato un inferno di bombe. E' difficile commuoversi subito' dopo quell'emozione!

Barberina                         - Ho capito...

Enea                                - Ha detto soltanto: « Voglio proprio an­dare a Colle ». E basta. Dopo ci siamo messi d'ac­cordo per il viaggio... Niente altro.

Barberina                         - (sospirando) Niente altro.

Enea                                - Non so... Quando siamo passati dal bivio dei Cavalieri gli ho mostrato la strada di Sant'An­selmo e gli ho chiesto: « Ricordate la vostra stra­da? ». Egli l'ha guardata a lungo. Mi è parso che se ne ricordasse...

Barberina                         - Non ha notato che la sua Madon­nina del bivio è rimasta al suo posto?

Enea                                - No... Non ha detto nulla.

Barberina                         - Deve essere vero che le sofferenze possono far perdere la memoria delle cose...

Enea                                - Come no? Ne ho viste, io, di persone svanite dai dispiaceri... Ma proprio svanite, sa?

Barberina                         - (lo guarda sospettosamente e si alza) Va bene.

Enea                                - Mi dispiace di non poterle dire di più... ma...

Barberina                         - Hai detto abbastanza... Credimi: hai detto abbastanza... (Si avvia verso la porta di fondo).

Enea                                - Ma lei sapeva tutto...

Barberina                         - (voltandosi verso di luì) Io? Io sa­pevo tutto? Sì... forse sapevo tutto. (Sono giunti al fondo e si soffermano a guardare verso l'esterno) Enea... Vedo male o ci sono veramente due ombre là fuori? Chi c'è con Giovanni?

Enea                                - La signorina Ania.

Barberina                         - (leggermente emozionata) Che cosa fanno?

Enea                                - Lui è in piedi appoggiato all'albero... Lei è seduta a tre passi da lui. Forse parlano, ma non si sente. Però se aspettiamo un poco, io scommetto che un bacio lo vediamo... Con questa luna!

Barberina                         - (in fretta) Ma non era andata a sorvegliare Martina?

Enea                                - Sarà uscita dalla porta dell'orto. Tutte le strade sono buone per condurre all'amore... (Rìde).

 Barberina                        - Giovanni... Ania... Salutate Enea che se ne va.

Enea                                - Buona notte, signora. (Esce).

Barberina                         - Buona notte. (Mentre di fuori si odono le voci di saluto di Enea ai due giovani che gli rispondono, Barberina a capo chino si avvia verso la scala; giunta al principio dei gradini si ferma un attimo, come affannata) Ora sì... ora sì, figlio mio caro... non posso più aspettarti... Che debbo fare? Dimmi tu... consigliami, tu che sei ora più vecchio di me... (Comincia a salire le scale, poi come se udisse una voce si ferma) Che dici? Sì... sì... anche lui è figlio... e c'è una madre lontana... una madre... (Saie le scale, entra nella sua camera).

Clark                                - (poco dopo entra in scena. Cerca qualche cosa).

Ania                                 - (entrando) Che cosa cercate?

Clark                                - Quelle lettere... Le ho date a voi?

Ania                                 - Voi le dimenticate da per tutto... Una volta, o l'altra la signora si accorgerà che le state studiando... (Le prende da uno stipo) Eccole...

Clark                                - Grazie... Un momento solo... Volevo ri­passarmi la descrizione... di quella... (Si siede, sfo­glia le lettere, trova quella che gli interessa e, leg­gendola, mormora inintelligibilmente, come fanno i ragazzi quando studiano) Oh... Ma è orribile... Che sia vero?

Ania                                 - Potete dubitarne?

Clark                                - Mi sembra di leggere il racconto di un pazzo... o di un allucinato... Più leggo queste lettere e più mi sento come affondato in un brutto sogno... (Poi, guardando Ania) Oh... No, non muovetevi. Sotto quella luce gialla siete tanto bella, ed è pro­prio quello che ci vuole per ristabilire il mio equi­librio.

Ania                                 - (come sentendo un rumore) Badate, la signora rientra... Mettete via... (Clark intasca le lettere e finge di occuparsi della radio).

Barberina                         - (entra) Che chiacchierone quell'Enea... Non mi lasciava più. (A Clark) Ti occorre nulla, caro, prima che io vada a letto?... Ma lascia stare quella radio... Tanto, lo sai che non va più...

Clark                                - L'ho accomodata.

Barberina                         - (con poca convinzione) Oh, che bravo... Ania, domattina voglio andare alla messa... E' un terribile anniversario...

Ania                                 - Perché?

Barberina                         - Una volta sapevi a memoria tutte le sue lettere e adesso caschi dalle nuvole alle cose più risapute... Domanda a lui, che cosa gli accadde proprio un anno fa.

Clark -------------------- - A me?... Ah... Già... Aspettate. (Si mette a pensare con una mano sugli occhi) Un uomo con la barba incolta mi costringe a camminare davanti a lui... Non riesco a correre tanto veloce quanto egli desidera... Cado a terra sfinito... Rotolo in un fosso... L'uomo si mette a chiamare ad alta voce e subito accorrono altri tre o quattro diavoli come lui e cominciano a punzecchiarmi con la punta delle loro baionette. Vedo il mio sangue correre a fili nell'acqua del rigagnolo... Mi tirano su e vogliono che stia in piedi e io non ci riesco... Mi mettono in mezzo e mi costringono a reggermi a forza di pun­zecchiarmi... per un poco... poi cado di nuovo e svengo. Mi sveglio. Mi sento legato a qualcuno... qualcuno che ha i vestiti come me... Sento nella pelle una strana sensazione di freddo... Apro gli occhi... Sono legato a un cadavere. (Clark abbassa la mano e si guarda intorno; poi tra l'angoscia e l'incollerito) No... Basta! (E sale in fretta la scala che porta alle stanze scomparendo' subito, mentre le due donne lo seguono mortificate e stupite).

Barberina                         - (dopo una pausa) Ho fatto male a costringerlo...

Ania                                 - Sì, signora. Bisogna invece aiutarlo a di­menticare,

Barberina                         - (fissando lo sguardo a terra) Sì, sì... Faccio male... « Potrebbe » essere una grande in­famia...

Ania                                 - (stupita) Perché   - « potrebbe» essere?

Barberina                         - Non so. Potrebbe anche non essere... Ania... Io... io mi sento tanto male da qualche giorno... Come se sognassi. Ecco, io dormo... mi sono addormentata pensando a lui... a lui che non è più di questa terra. E mi pare che sia tornato. Lo guardo bene e quasi nulla mi ricorda il suo volto, la sua figura, i suoi modi... Quasi nulla. Eppure io lo amo. Lo stringo al petto teneramente e mi domando nello stesso tempo: « Perché abbraccio questo giovane sconosciuto e lo chiamo Giovanni? ». Ti è mai capitato di sognare e di sapere che sogni? Capita a tutti. Ebbene, a volte, prego Dio di sve­gliarmi, perché ogni giorno più mi pesa qui una pena assurda... Non so: come se Giovanni non fosse Giovanni e io stessa non fossi io, ma un'altra ma­dre, che non conosco. Ma poi mi convinco che sono sveglia... e allora ridivento allegra... ma di una allegria dolorosa... Oh, Ania, credi che si possa impazzire di gioia?

Ania                                 - Ma no...

Barberina                         - Di dubbio?...

Ania                                 - Signora, credo che lei farebbe bene a dare ascolto ai consigli del medico...

Barberina                         - (arrabbiata) Smettila, Ania! Io non so come si possa, volontariamente, rendere tanto meschini i nostri problemi... La salute... La salute! Se una persona sana è come ebbra di buon sangue e non sente più nulla di ciò che le viene dal di dentro, allora io, te lo dico francamente, non voglio essere sana...

Ania                                 - Ma come può venirle in mente che Gio­vanni non sia Giovanni?

Barberina                         - Tu non ci hai mai pensato?...

Ania                                 - Dovremmo essere tutti pazzi...

Barberina                         - Due soli. Io e te. Per il troppo bene... Anche tu gli vuoi bene a quel' figliolo, non è vero?

Ania                                 - (turbata) A chi? A Giovanni? Può dubi­tarne?

Barberina                         - A volte mi domando: Che cosa può essere per Ania quel figliolo?

Ania                                 - Che cosa può essere? Tutto. Quando spengo il lume, aspettando il sonno, mi par di vedere il suo viso nell'inquadratura della finestra... I suoi occhi che mi guardano... le sue labbra che sorridono... Per un attimo, sono felice!

Barberina                         - Lo vedi? Anche tu lo trovi diverso... E te lo ricordi come era prima.

Ania                                 - (più guardinga)   - Sì... un po' diverso. Ora è più allegro.

Barberina                         - E... (guardandola di sfuggita) più bello... forse. No?

Ania                                 - (con affettata incertezza) Sì... in certo senso...

Barberina                         - Ma beve... beve assai più di prima. Non te ne sei accorta?

Ania                                 - No.

Barberina                         - Strano... Avrebbe dovuto essere più espansivo... Di solito gli uomini... quando hanno be­vuto... No?

Ania                                 - No. Mi guarda... pare sempre che stia per dire qualche cosa, ma poi si mette a fischiet­tare... Non capisco più i suoi sentimenti...

Barberina                         - E... non gli hai chiesto nulla?... Non hai tentato di indurlo alla confidenza?

Anta                                - Oh, no davvero... Faccia quello che vuole...

Barberina                         - Non te ne importa più? Non ti pia­ce più?

Ania                                 - Non dico questo, signora... (Con involon­tario entusiasmo) Mi piace... mi piace tanto. I suoi occhi sono diventati così trasparenti... e le sue mani così forti...

Barberina                         - (pausa) Ania... Scusa se ti dico una cosa. Non vorrei avere l'aria... Ma, proprio ieri sera pensavo: non sta bene che due fidanzati vivano sotto lo stesso tetto... E' immorale... Il parroco, che pure è un uomo di manica larga, mi ha detto pro­prio oggi: «Certo è pericoloso»... Capisci? E' peri­coloso...

Ania                                 - (come liberata da un incubo) Oh, grazie, signora... grazie... Non osavo dirle che anch'io mi sentivo a 'disagio...

Barberina                         - Lo vedi? Certo... E' un sacrifìcio che bisogna fare... Ma, se ti dispiace troppo...

Ania                                 - Oh, no... Signora. Le giuro che me ne vado volontieri... Tanto volontieri. Sono tanto stan­ca... E poi, anche i miei cominceranno a doman­darsi perché io resti... oramai...

Barberina                         - Già... Oramai... Ma non c'è fretta, cara...

Ania                                 - Se si deve fare... Preparo subito la mia valigetta e domattina... Grazie, signora... Grazie. (L'abbraccia).

Barberina                         - Cara... Ti benedico! Io ti compren­do, sai? Sei un angelo. Ora vado a confortare quel poverino. Lo vedi come è diventato nervoso? A ri­cordare il suo martirio si esalta, si commuove scappa.

Ania                                 - Sfido...

Barberina                         - Capisco. E dire che per distaccarlo dai suoi pensieri m'ero data perfino la pena di gua­stare la radio. Ma lui l'aggiusta sempre...

Ania                                 - Ah, era lei?

Barberina                         - Io non so che mania gli abbia preso con quella radio. Una volta non l'apriva mai. E adesso, che avrebbe bisogno di star tranquillo...

Ania                                 - A proposito, signora. Sarà bene che non la guasti più, in ogni modo. E' molto utile conoscere un certo segnale... L'ha detto Enea.

Barberina                         - Davvero? Oh, Signore... Perché?

Ania                                 - Non si spaventi. Si bratta soltanto di un po' di prudenza...

Barberina                         - Oh, per me... (Pausa) Sì.... Sì... bi­sogna che non gli parli più del passato. (Va verso la scala e salendo) Ma come faccio a parlargli dell'avvenire? Che cosa è l'avvenire? Io proprio non so più rispondere. Forse questo significa che debbo morire presto... o che non ho più nulla da sperare...

Ania                                 - (andando a prendere la sua valigetta) Ma che cosa dice, signora!

Barberina                         - (salendo la scala) Pino a qualche tempo fa l'avvenire voleva dire Giovanni. Ma ades­so Giovanni è là, l'avvenire non ha più senso... (Scompare).

Ania                                 - (andando all'uscio del secchiata) Marti­na, Martina...

Martina                            - (entra) Signorina... (Vede la valigia) Ma che fa? Parte o scappa?

Ania                                 - Corri in camera mia a prendere quel po' che c'è... Presto.

Martina                            - Allora scappa?... Perché scappa?

Ania                                 - Non far domande. Sbrigati.

Martina                            - (correndo per la scala) Ah... Ho ca­pito. Parte per andare a fare le carte del matri­monio.... Evviva gli sposi... evviva gli sposi... (Scom­pare. Ania per un momento resta sola a lavorare: rombo di aeroplani nell'aria).

Martina                            - (ricompare subito con una camicia da notte nella quale ha avvoltolato altri indumenti) Io credo che sarete la più bella coppia che si sia mai vista da prima della guerra. Ecco, signorina...

Ania                                 - Grazie... (Mette dentro la roba che le ha portato Martina e chiude la valigia).

Martina                            - Chi sa come è contento il signorino!

Ania                                 - Certo. (Mette la valigia in un angolo).

Martina                            - E il matrimonio lo fate alla nostra chiesa?

Ania                                 - Non lo so.

Clark                                - (compare sul pianerottolo e comincia len­tamente a discendere).

Ania                                 - (verso Martina per impedirle di parlare) Via... Vai a letto... Buona notte.

Martina                            - (credendo di capire che si desidera la solitudine) Sì, sì... vado, capisco. Buona notte. (Esce).

Clark                                - (consegna le lettere ad Ania) Mettetele via. E non ridatemele più. Mi fanno ammalare. (Ania le prende e le ripone nel comò).

Ania                                 - Di che malattia?

Clark                                - Direi: di degradazione. C'è differenza, no, fra un soldato e un cacciatore di jene? Si perde l'orgoglio della guerra... se pure c'era. In ogni modo è sempre mèglio stimarlo, il nemico... se no... Mi dispiace per la mamma che si deve essere impressionata. L'ho sentita entrare in camera mia. Evi­dentemente voleva dirmi qualche cosa per quel mio scatto. Povera donna! Ma io ho Anto di dormire. Non avrei saputo che cosa dirle, che non avesse l'aria di un rimprovero. Allora mi ha fatto il se­gno della croce ed è andata via in punta di piedi. Le ho gettato un bacio alle spalle. (Nota la valigia) Che cosa vuol dire questa valigia? Qualcuno parte?

Ania                                 - (evidentemente delusa di dovere affrontare l'addio) Sì.

Clark                                - Chi?

Ania                                 - Io.

Clark                                - Partite? E... perché?

Ania                                 - Io ero qui unicamente per attendere Gio­vanni... E Giovanni...

Clark                                - E' tornato.

Ania                                 - Non torna più. In ogni modo io qui non posso più restare.

Clark                                - Ma... così... Tanta fretta? Non potreste rimandare di qualche giorno... Non potreste aspet­tare?...

Ania                                 - Che cosa?

Clark                                - Che Giovanni tornasse davvero... anche per voi.

Ania                                 - Non capisco quel che volete dire.

Clark                                - Voglio dire che... mi piacerebbe di met­tere in tutta questa fantasia un po' di realtà... Questa storia della guerra finirà un giorno... E invece le nostre vite potrebbero anche continuare. Non pensate mai a quello che sarà di noi, « dopo » ?

Ania                                 - Non ci voglio pensare. Vorrei che la guerra durasse eternamente. Fin che dura la guer­ra noi abbiamo il diritto di aspettare i nostri morti.

Clark                                - Ma la guerra finirà...

Ania                                 - E allora saranno morti davvero.

Clark                                - Ma io non posso aspettare fino a quel giorno... Fin che dura la guerra io sono un mori­bondo... Ho i minuti contati. E adesso mi accorgo di avere aspettato anche troppo... ed è un vero miracolo che la sorte mi abbia concesso una pro­roga!

Ania                                 - Non vi capisco.

Clark                                - Ho bisogno di pensare al « dopo ». E' il pensiero di tutti. Allora saremo vivi davvero. « Do­po » io tornerò al mio paese. Questo si intende. Ma forse non troverò più a casa mia il Clark di una volta. Forse, per trovare il vero Clark dovrò rifare la strada fin. qui, dove sono Giovanni. Come mai, in due settimane, questa sia diventata la mia casa, questa la mia famiglia, questo il mio focolare e voi la donna che amo, non lo so. E' certo però che ho la sensazione esatta di essere già tornato. Io sono già un reduce. Senza fanfare... senza vittoria... ma un reduce. Provate a spiegarmi perché. Io sono già al « dopo ». Come se, dentro di me, la faccenda fosse già risolta... Perché la sento conclusa... liqui­data... Forse fanno male a lasciare che i soldati entrino nelle case di gente d'altri paesi... perché l'eroismo può nascere soltanto nel cuore di un uomo che non ha di fronte a sé nessuno... tranne i fantasmi evocati dalla sua bandiera... Io non ci penso più. Non me ne importa più nulla d'essere un eroe. Mi capite? Mi sono terribilmente sdop­piato. Io sono partito dal Tennessee, come per una passeggiata sportiva, su un piroscafo americano e, per uno strano miracolo, contemporaneamente so­no stato sballottato sui treni piombati d'Europa; ho combattuto sulle autotolinide Ford e ho lavorato nello stesso momento sulle fortificazioni del Reno; sono stato buttato giù da una superfortezza volante e sono morto idi ferite vigliacche, sul petto di un soldato americano mai visto. Adesso basta. Adesso ho capito tutto e non posso pensare che alla mia vita. La guerra non c'è più... (Il cucii batte le nove. Clark guarda lontano e mormora) Good night, mother... God biess you. Ecco la pace.

Ania                                 - (riscossa dal suono dell'orologio va alla ra­dio: cercai una stazione. Dalla radio aperta escono rapidi suoni di diverse stazioni man marno che esse sono captate dall'ago che corre sul quadrante: frasi in tedesco, francese, rumori di telegrammi, frasi in inglese, in tedesco, in russo, in jugoslavo, in ungherese; un accavallarsi di parole che danno l'idea di un improvviso accapigliarsi, di una rissa violenta che entra nella stanza, rompendo il clima di pace che vi regna).

Clark                                - (scatta verso la radio e la chiude) Ba­sta! Che fate?

Ania                                 - (dopo una pausa) Non ricordate l'av­vertimento di Enea? Potrebbe essere questa sera.

Clark                                - Non importa... Fin che io sono qui... E poi c'è tempo. (Riapre la radio e mette a punto l'ago di ricezione) Ecco... Per farvi stare tranquil­la... I messaggi passano tra un quarto d'ora. Non c'è che da aspettare... (Una pausa) Ania... Che cosa era Giovanni per voi?

Ania                                 - Perché volete Che parliamo di lui?

Clark                                - Dal momento che non volete ancora parlare di me...

Ania                                 - Era la speranza...

Clark                                - Soltanto?

Ania                                 - Accanto a lui avrei potuto sopportare qualunque dolore... Senza di lui ogni cosa mi fa soffrire, anche la vista delle donne che vanno al lavoro, dagli uomini che passano per la strada coi loro pensieri in fronte... dei bambini che gio­cano per" le strade e si fanno del male ridendo... Adesso vedo ione siamo tutti infelici... Mi sono tro­vata improvvisamente immersa in una moltitudine che grida di dolore, mentre prima credevo d'essere sola... in un mondo armonioso e felice... Mi difen­deva lui, dall'assalto di tante angosce...

Clark                                - E non potrebbe difendervi un altro?

Ania                                 - Credo che oggi nemmeno lui potrebbe...

Clark                                - Voi siete ancora sotto il colpo di un dolore troppo grande.

Ania                                 - Non fosse che dolore! Il dolore è nell'ordine delle cose... nel destino umano; è accetta­bile, perché ha una logica. Il mio male è l'inquie­tudine insopportabile che producono gli assurdi... quello che provano le bestie quando sta per arrivare l'eclisse, o il terremoto... Come si può vivere 'in un perenne stato di cataclisma?...

Clark                                - E... siete stata felice con lui?

Ania                                 - (sospettosa) Che cosa volete dire?

Clark                                - Se siete stata... completamente felice con lui...

Ania                                 - (dopo una pausa) No.

Clark                                - Perché?

Ania                                 - Per... tante ragioni...

Clark                                - Pregiudizi?

Ania                                 - Anche...

Clark                                - E così... resterete perennemente legata a un cadav...

Ania                                 - Clark! Che cosa dite?

Clark                                - Non è così?

Ania                                 - Volete spaventarmi con una immagine macabra... Non ci riuscirete mai. Io so dominare le mie sensazioni. Io penso a quel che mi accade nel cuore... e so bene la mia sorte, Clark. La so anche troppo ed è per questo che non ho nemmeno il co­raggio di tentare di fingere con me stessa e con gli altri... La verità è che sono stata gelata da un amore non compiuto. Non vi sono dei fiori che per­dono il ritmo della stagione e non fioriscono che a metà? Giovanni non ritorna... Giovanni non c'è più... è morto... morto... (Piange).

Clark                                - Non piangete, Ania, per l'amor di Dio. Le vostre lacrime mi fanno impazzire... (Con de­cisione) Ania, io voglio liberarvi...

Ania                                 - E ohi ve lo chiede?

Clark                                - Voi... Voi me lo avete chiesto cento volte, in questi giorni...

Ania                                 - Non è vero. Come potete dirlo?

Clark                                - Non lo so. Ma sento che posso dirlo... Non è poi necessario parlare, per intenderci. E in questi giorni... bastava che io restassi un poco accanto a voi, perché io sentissi, dentro di me, la vostra commozione... una specie di attesa... non so dire... una promessa...

Ania                                 - Siete pazzo! Che cosa volete da me?

Clark                                - Voglio offrirvi la vita. Dovete diven­tare mia moglie... Voglio dei bambini... da voi... una famiglia nostra... una casa, come questa... no­stra... E vi voglio bene... e vi voglio salvare.

Ania                                 - No, Clark... Non continuate. E' meglio che mi lasciate partire. Potrete assai più facil­mente dimenticare voi me, di quel che io non possa dimenticare Giovanni...

Clark                                - Ma si può vivere soltanto di questo?

Ania                                 - (con volontà) Non so se si può... Io « voglio » !

Clark                                - Eppure sento che se in questo mo­mento vi prendessi fra le mie braccia e vi strin­gessi forte e vi baciassi... voi, ne sono sicuro...

Ania                                 - (incalzando) E vi basterebbe? No, Clark, lasciatemi andare... E' meglio per tutti e due, per me che ho bisogno di pace e per voi che avete bisogno di una donna con tutta la sua vita... Ad­dio, Clark... Da buoni amici... (Gli tende le mani, ma Clark ne profitta per attirarla a se).

Clark                                - (l'abbraccia, la tiene ferma, mentre lei, nell'intenzione di fuggire gli ha volto le spalle, così che Clark la tiene alle spalle, forte contro di se) No... tu non devi partire. Io ti voglio tanto bene e ti voglio salvare... Stammi a sentire. Starami a sentire. Anche Giovanni se fosse ritor­nato non avrebbe più ritrovato se stesso. E nem­meno tu l'avresti riconosciuto. Tutto quello che puoi ancora avere del tuo Giovanni l'ho portato con me... l'ho con me... perché è morto sulla mia spalla e mi ha baciato, forse per sua madre e forse anche per te. E allora tu mi ami... un poco mi ami... (La costringe a rivolgersi verso di lui; ella lo guarda affascinata) Ania... Io ti voglio liberare... E non m'importa se mi chiami... (Dopo una sospen­sione, con altro tono, deciso) Vuoi chiamarmi Gio­vanni?

Ania                                 - (liberandosi energicamente) Oh... Sa­rebbe mostruoso!... (Fugge da luì verso la scala, dove si ferma).

Clark                                - (si avvicina alla radio) La mia casa... la mia pace... allucinazioni... Aspettiamo la realtà... (Segnale a tamburo di radio Londra. Ania interessata ridiscende ì pochi gradini della scala, che aveva salito, poi si ferma ad ascoltare).

La voce di Londra           - Qui, la voce di Londra. Trasmettiamo alcuni messaggi speciali particolar­mente urgenti. « Il gatto miagola - Il Monviso è bello - Anna dorme - La raganella non canta -Il fuoco è sotto la cenere - L'alba non spunta ancora»-... (E' interrotta).

Clark                                - (ha chiuso il bottone della radio e senza far mostra di vedere Ania, va nella sua stanza. Aeroplani nell'aria. Clima di attesa. Clark ritorna con la strana valigetta e con essa si avvia verso l'uscita. Ania segue attentamente tutti i suoi mo­vimenti. Quando Clark è quasi alla porta e sta per aprirla, Ania rapidamente lo raggiunge e senza una parola lo abbraccia e gli offre la bocca. Un rumore non avvertito dal pubblico fa voltare le due teste verso il sommo della scala, come se do­vesse ricomparire Barberina, ma essa non com­pare) No... Niente. E' un rumore di fuori. (Ripone la sua valigetta in un angolo, poi torna ad Ania che intanto è scesa verso il proscenio; Clark prende una mano di Ania, che, diventata docile, si lascia condurre alla tavola dove si siede accanto a lui).

Ania                                 - (difendendosi da un nuovo tentativo' di bacio da parte di Clark) No... Clark. Abbi pietà di me. Tu capisci bene, non è vero? Tu puoi com­patirmi, non è vero? E allora lasciami andare... Lasciami partire senza parlare, senza toccarmi... (Con disperazione) Per carità, non toccarmi! (Im­plorando) Ho bisogno di restare sola, adesso.

Clark                                - (senza lasciarle la mano) Sei più bella che mai... Più bella di quando ti guardavo sotto quella lampada, in queste sere di pace...

Ania                                 - Te ne prego, Clark. Sii generoso in que­sto momento... Se vuoi che io non debba odiarti, domani.

 Clark                               - No, tu mi amerai, ne sono sicuro. Dob­biamo decidere... Perché la nostra vita vera comin­cia adesso.. E, dinanzi a noi vediamo la nostra strada. Non .sarà comoda, ma, infine, avremo la forza di percorrerla insieme...

Ania                                 - Tu vedi davanti a te?

Clark                                - Sì... Io non sono un eroe. E perciò vedo chiaro davanti a me. Di qui non mi muovo... Come sono belli i tuoi occhi! Quando li tieni bassi e un'ombra li vela... e come sono profondi quando li chiudi! Tu devi essere mia moglie...

Ania                                 - Clark... Un mondo crollato... Non devi nemmeno parlarne... Capisci? Nemmeno parlarne!

Clark                                - Andremo insieme. Ci fermeremo in qualche luogo... Non importa dove. Io non sono più americano, italiano, francese, russo... Sono un cittadino del mondo. E dovunque può essere fon­data la mia casa. Accenderemo il fuoco e non si spegnerà più... Ecco tutto. Ma ora vediamo: devi proprio partire domani?

Ania                                 - Clark... Di che cosa parli? Ti racconti favole impossibili.

Clark                                - Perché se tu devi partire non fa nulla. Vai dove devi... Io ti raggiungerò qualche volta, di notte... Non importa se sarò costretto a fare magari il bandito per qualche tempo...

Ania                                 - Clark... Tu sogni. Io non sarò tua mo­glie... Non sarò niente per te... Nemmeno quello che un momento fa... No... Il momento è passato. (Alzandosi, mentre Clark le tiene forte la mano) Dio, ti ringrazio...

Clark                                - (senza nemmeno rispondere, la costringe amorevolmente a sedere di nuovo) Che importa? Bandito, o no... credo che dopo la guerra tutto sarà lo stesso... Ci sarà da per tutto una grande confusione... E in, questa confusione noi trove­remo il nostro angolo tranquillo, dove finalmente comprenderemo la vita.

Ania                                 - Clark, ti prego di ascoltarmi... M'ascolti?

Clark                                - Sì.

Ania                                 - Io non ti amo.

Clark                                - (la prende, la bacia e di nuovo Ania si abbandona. Barberina questa volta appare dav­vero sulla soglia della sua stanza. I due si allon­tanano. Barberina li vede dal ballatoio).

Barberina                         - Che cosa fate lì?... Non siete a riposare?

Clark                                - (è balzato come un colpevole verso la radio e finge di occuparsene molto).

Ania                                 - Ho appena finito di fare la valigia.

Clark                                - Vorrei sapere chi è che guasta sempre la radio... (L'ha aperta).

Barberina                         - Ania... Vieni a dormire.

Ania                                 - Sì, signora. (Sale la scala in fretta e scompare con Barberina. In questo momento dalla radio esce l'inno americano: Clark non dà segno di emozione, ma ascolta immobile qualche battuta, poi richiude; quindi, deciso, riprende la sua vali­gia e va alla porta, l'apre in fretta e, lasciandola aperta, scompare nella notte. Un attimo dopo Ania, inquieta, ricompare sul ballatoio, guarda intorno, si avvede che la porta, è aperta e, volgendosi verso l'interno delle camere, grida) :

Ania                                 - Signora... signora... (Poi scende in fretta e va alla porta a guardar fuori e a chiamare) Giovanni! Giovanni!

Barberina                         - (scende a sua volta la scala) Che cosa c'è? Che cosa accade? Ania... Perché la porta è aperta?

Ania                                 - Signora... signora... Bisogna andar via. Si prenda uno scialle. Qualche cosa da coprirsi le spalle... Presto...

Barberina                         - Ma che ti prende, figliola? Che ti prende?

Ania                                 - Bisogna che andiamo via di qui... Enea dice che c'è qualche pericolo...

Barberina                         - E che importa? Ho constatato che rifugiarsi in tempo di 'guerra è peggio... Si evita la sola cosa bella che la guerra sa dare. Ma che hai? Sembri una bestiola. Spavento... Angoscia... Che hai? Guardami... (Le alza il volto e la scruta, ma Ania cerca di evitare lo sguardo di Barberina) Che cosa c'è? Perché non mi guardi?

Ama                                 - Non ha veduto, signora? E' uscito... E' andato via...

Barberina                         - Giovanni? E che male c'è? Dove vuoi che sia andato? Credi che sia andato a rag­giungere le bande?... Ha fatto bene. Io mi rim­proveravo il mio egoismo e dicevo: che figura fac­cio fare a mio figlio tenendolo così legato a me? Dicevo: se almeno scappasse! Ecco, è scappato... Ha fatto bene.

Ania                                 - E se non torna più?

Barberina                         - Una madre soltanto può dire: non torna più. Perché un figlio morto non rinasce.

Ania                                 - E voi credete che possa rinascere un amore perduto?

Barberina                         - Non me ne intendo, cara... Ma mi pare di sì.

Anta                                - No! Quando non si è bestie!

Barberina                         - Lo si è sempre, un poco!... Se tu sapessi che fatica faccio a non maledire gli uomini e la natura... la patria e le bandiere. E se vuoi essere sincera, chi sa quante volte, anche tu, hai fatto tanta fatica a non maledire la fedeltà, la dignità, l'amore... Presto, presto... Preghiamo Id­dio che ci liberi di queste miserie... Preghiamo an­che per lui... Che ci salvi. Noi non possiamo più fermarlo, con le nostre menzogne.

Ania                                 - Signora... Che cosa dice?

Barberina                         - Non badare a quello che dico. In nomine patris et filii et spiritus sancti...

Ania                                 - Posso pregare anch'io... per lui?

Barberina                         - Ma sì, che puoi, povera figlia... (China il capo, un silenzio, un fischio lontano di locomotiva e poi un rombo crescente che fa tre­mare i vetri della casa).

Ania                                 - (gridando) Clark!

Barberina                         - (quasi impassibile, guarda Ania, poi si fa il segno della croce).

 

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

La stessa scena. Notte

 (Quando si alza la tela sono in scena Ania, che sta sulla. porta aperta guardando verso l'esterno, immobile e Barberina, seduta sulla pietra del fo­colare, con il capo tra le mani. Si odono lontano dei colpi di cannone, rumori di battaglia, ma quasi insensibili).

Barberina                         - Si vede niente?

Ania                                 - Niente. Dei lampeggiamenti verso la valle...

Barberina                         - Non fanno che sparare... Da tutte le parti. Perché?

Ania                                 - Non lo so.

Barberina                         - Quante ore sono passate?

Anta                                - Molte.

Barberina                         - Come dieci notti senza giorno...

Ania                                 - L'alba è ancora lontana.

Barberina                         - Quale?

Ania                                 - Oh, vorrei che Martina avesse le ali! Quante ore ci vogliono per andare e tornare dal paese?

Barberina                         - Un uomo allegro può metterci mezz'ora. Ma chi sa che cosa è il tempo per una povera serva affannata...

Ania                                 - Eccola! Sì... sì è lei... No...

Barberina                         - Chi è?

Anta                                - Qualcuno passa sulla strada... Vado a vedere !

Barberina                         - Aspetta. Bisogna prima essere si­curi che non si tratta di un fantasma. Ne passano tanti ogni notte...

Ania                                 - (si mette addosso uno scialle e corre fuori).

Barberina                         - E' uscita... Tu che ne dici? (Pare che essa parli a qualcuno che nessuno vede, tranne lei) Non nasconderti in quell'angolo buio... non tenere il capo chino... Perché non alzi mai la faccia e non ti lasci guardare negli occhi? Tu vedi tutto, no? Sei morto, e puoi vedere tutto. Che cosa è accaduto? (Come ripetendo delle parole che lei sola può udire) Ha fatto saltare la galleria... sì... anche il treno carico di dinamite è saltato... sì... Tanti morti... Sì... sempre morti. Ora fugge... non vuol cadere nelle loro mani... si nasconde come una belva saltando di tosso in fosso, d'i macchia in mac­chia... Sbaglia strada? Non va verso la montagna dove l'aspettano! Dove va? Non v'è un punto dell'orizzonte che non sia armato contro di lui. Come può scappare? Sì... la sua logica è chiusa... Ha fatto tutto. Non ha più nulla da fare. Deve... Che hai? Non sei calmo... Si direbbe che ti porti nel cuore le schiavitù della terra, e si direbbe che ti porti in cuore dell'iodio,.. Si può odiare anche dopo?... Perché non mi rispondi? L'odio non è soltanto nostro? Oh... Io ti vorrei sentire placato...

Ania                                 - (rientra e va verso Barberina) Stanno perlustrando tutta la campagna, palmo a palmo. Hanno chiamato anche dei rinforzi che sono giunti poco fa. Per un uomo solo! (Torcendosi le mani) Un uomo solo. Ci pensa? Oh, lei, lei... oramai non ha nessuna ragione di preoccuparsi... Se fosse Gio­vanni... inseguito, circondato, braccato... (Piangen­do) Come farà a salvarsi?

Barberina                         - Giovanni non è in pericolo.

Ania                                 - (guarda Barberina) Ha ragione, signo­ra... lei ha ragione... Mi scusi. Ma io sento una voglia assurda di chiamare aiuto... di urlare...

Barberina                         - Se Giovanni non corre pericolo, calmati anche tu.

Ania                                 - Mi comprende, vero, signora? Mi può comprendere?... E' venuto qui come Giovanni... ha portato qui il suo ultimo saluto, la sua ultima pre­ghiera... Mi comprende?

Barberina                         - Certo, figliola. Pur che tu veda chiaro in te stessa... Vedi chiaro?

Ania                                 - (dopo una pausa) Sì. Io amo Giovanni... e il pensiero di lui non mi lascia un momento...

Barberina                         - Ecco...

Ania                                 - (coti un grido) Ma è lui che vedo fug­gire!... Signora... io non ricordo nemmeno come sia il viso idi Clark... Io non vedo che Giovanni. Giovanni che fugge, Giovanni che ha sete... che è stanco e sanguina... Sente? Sparano, sparano ancora... a casaccio, per farlo gridare come una bel­va ferita e scoprirsi... Non gridare! Non gridare!

Martina                            - (entra affannata) Oh, signora... Ec­comi qua... (Si getta a sedere su una sedia; Ania si avventa su di lei, mentre Barberina non si muove dalla sua positura).

Ania                                 - Martina... dimmi...

Martina                            - Una confusione d'inferno...

Ania                                 - L'hanno preso? Dimmi! L'hanno preso?

Martina                            - No... Ma se sapesse!

Ania                                 - Che cosa?

Martina ;                          - Sono arrivate tante guardie con le motociclette. Le ho viste. Sulle motociclette hanno un cannone... piccolo... ma fa paura. E davanti, sulla mota hanno un. faro. Se giarda laggiù adesso, vedrà dei lampi... dei fasci di luce che ta­gliano i fianchi della montagna. Soltanto un mi­racolo potrà salvarlo...

Ania                                 - Ma non l'hanno ancora preso. E allora che vai dicendo? Va via... Signora... Io non posso più restare qui immobile ad aspettare... Le ore passano. Ogni minuto può essere il suo...

Barberina                         - . Pur che tu veda chiaro in te stessa...

Ania                                 - (.paralizzata da queste parole, si ferma).

Martina                            - E dove vuole andare? Se non lo tro­vano le guardie con tutti quei fari, vuol trovarlo lei al buio?

Barberina                         - Taci, Martina...

Martina                            - Sì, signora. Dicevo così, perché mi pa­reva... Ma poi faccia come vuole. Quando c'è l'amo­re, nessuno può impedirci di fare le cose più strane...

Ania                                 - Sta zitta, ti dico... e vai a letto.

Martina                            - Sì... ma non dormirò, perché tutti questi spari mi fanno paura... Mi butterò sul letto... Se ha bisogno di me, signora... mi chiami quando vuole. (Martina va verso il secchiaio ma è arre­stata dinanzi alla porta dove è comparso, trafelato e dolorante, Enea, che si tiene un braccio ferito e sotto l'ascella un fucile).

Enea                                - Scusate... Vorreste darmi un po' d'al­cool?

Ania                                 - (aiutando Enea a mettersi a sedere, mentre Martina pure lo aiuta) Che è accaduto, Enea?

Barberina                         - Siediti... Fammi vedere (Esamina la ferita).

Enea                                - Non deve essere niente di grave... un proiettile randagio... ma bisogna stagnare il san­gue... Ahi... Queste ferite stupide sono le più rab­biose... Dice che quando si piglia quella che ri­solve tutto, non si sente quasi nulla... (Martina ritorna con l'alcool e il cotone idrofilo).

Barberina                         - Qui... faccio io... Ania, un po' di garza. (Ania va al canterano a prendere della garza).

Enea                                - Grazie... E... come sta suo figlio, signora?

Barberina                         - Spero che stia bene...

Enea                                - Potrei salutarlo?... Ahi...

Barberina                         - Non è in casa.

Enea                                - Non è in casa, vero? L'avrei giurato... E si può sapere dove è?

Barberina                         - Nessuno può dirlo.

Enea                                - Si capisce. Nessuno deve dirlo. Ma io lo so.

Anta                                - Che cosa sapete?

Enea                                - L'ho veduto.

Ania                                 - No!

Barberina                         - Quando?

Ania                                 - Dove?

Enea                                - Non m'ero sbagliato. Complimenti, si­gnora. Vostro figlio è un eroe. Mi dispiace di averlo maltrattato stamattina... Un vero eroe e io sono un testone. Dovevo ben capire... Piano, signora! Do­vevo ben capire che in tutto il suo contegno era qualche cosa di straordinariamente misterioso. Ec­cezionale! Ha fatto tutto da solo. Si è fatto calare dagli aeroplani... è venuto a casa... Perdio... Ora che ci ripenso mi viene in mente lo strano tono col quale mi disse: «Voglio proprio andare a Colle». Sfido io che voleva andare a Colle! Bravo! Bravo davvero... ma sono imprese difficili, signora... se ne esce difficilmente...

Ania                                 - Insomma, Enea, se sapete qualche cosa...

Barberina                         - Calma, figliola, calma... Non vedi che il nostro Enea va prendendo il tono di un sindaco che porta le condoglianze ufficiali alla fa­miglia di una gloria cittadina?

Ania                                 - Morto?

Enea                                - Sindaco?... Oh, bella! Io parlavo, così... per ammirazione.

Ania                                 - Avete detto d'averlo veduto.

Enea                                - Un attimo. Questa notte noi avremmo dovuto proteggere e trarre in salvo i paracadutisti dopo l'operazione. A noi toccava lui. Ma, natural­mente, avremmo dovuto metterci d'accordo prima. Invece non si è degnato di darci confidenza. Bravo davvero... Però adesso che possiamo fare? Più che dar la caccia a quelli che danno la caccia a lui... Abbiamo fatto anche delle segnalazioni per indi­cargli le nostre posizioni, ma o non le ha viste, o non ha potuto servirsene. Il fatto è che mentre vi parlo, non è ancora riuscito a forzare il cerchio dei tedeschi... Stavamo in agguato dietro un gruppo di alberi, quando, al chiarore della luna... sapete quel monticello dove c'è una sorgente così detta minerale? Bene... Lì vicino il terreno s'avvalla in un prato senza alberi, che poi risale verso il bosco Beco... A un tratto vediamo un uomo che attra­versa quel prato scoperto, correndo come una le­pre... Dire d'averlo riconosciuto, sarebbe troppo. Ma, infine, appena ho veduto quell'ombra, m'è ve­nuto un pensiero: Giovanni!

Barberina                         - Non bisogna chiamarlo Giovanni...

Enea                                - Naturalmente. Ma qui siamo soli, no?

Anta                                - Ma, come voi, l'avranno veduto tutti?

Enea                                - Sicuro che hanno veduto. E' successo un finimondo di spari. Ma niente paura. Quando sparano così, vuol dire che han perduto la testa. E quando un tiratore perde la testa, non coglie il bersaglio.

Anta                                - Avranno veduto dove si dirigeva, dove si nascondeva...

Enea                                - Questo sì... (A Barberina) Grazie, signo­ra, mi sento meglio... (Ad Anta) Ma non temete: è evidente che sapeva quel che faceva. Un uomo non si espone a un pericolo simile e non si scopre così senza una ragione... (Si odono fuori delle voci lontane, come di gente affannata dalla fretta: sono incitazioni e richiami frettolosi) Che cosa succede?

Ania                                 - Enea, andate, voi che potete, andate subito. Ritornate il più presto possibile... (Esce. Una lunga pausa. Ania è andata alla parta a guardare verso l'esterno).

Barberina                         - (dopo avere dato un'occhiata rapida ad Ania, si volta dall'altra, parte) Tu che dici? Io sono molto stanca idi queste miserie terrestri. Bisogna liberarsene. Se potessi vorrei dimenticare anche il mio nome. Mamma soltanto. Tienimi per mano e non guardare da quella parte... Sorridi? Ecco... Sono contenta... (Esce).

Ania                                 - (immobile sta sempre sulla soglia; a un tratto fa un salto indietro come se avesse veduto qualche cosa che le faccia spavento e attende con le mani al volto che avvenga qualche cosa che de­sidera e teme).

Clark                                - (dopo un attimo entra di corsa trafelato, ansante, lacero, il volto sporco di fango e anche le mani: appena dentro è come uno che si senta sicuro e respira largo) Ecco... chiudi...

Ania                                 - (chiude la porta, mentre Clark barcollando come un ebbro per la emozione e la stanchezza, va a sedersi pesantemente in una delle sedie accanto alla tavola).

Clark                                - Per piacere... acqua... Ho sete.

Ania                                 - (gli serve subito silenziosamente un bicchier d'acqua, prendendolo dalla dispensa).

Clark                                - Grazie...

Ania                                 - (ansiosa) Sei inseguito? T'hanno visto?

Clark                                - No... Mi stanno cercando sul greto... (Sospira) Un attimo di pace...

 Ania                                - Clark!...

Clark                                - Dov'è la mamma?...

Ania                                 - Era qui poco fa. Sarà andata a coricarsi.

Clark                                - Chiamala. Io sono tornato per lei.

Ania                                 - Per lei? Clark...

Clark                                - (coglie il tono di rimprovero della voce di Ania, le prende una mano e le sorride) Ania... E' troppo tardi... Non ho più davanti a me la vita che vorrei avere, per fare quel che m'ero ripro­messo di fare, con te. Alla mamma basta un addio, un bacio. E tutto è concluso. Per conquistare il tuo amore, non basta un bacio... quel bacio...

Ania                                 - Ho contato le ore e gli attimi. Ti ho at­teso con ansia... Ho seguito con l'immaginazione le fasi della tua fuga... Come se ti amassi...

Clark                                - Come se mi amassi.

Anta                                - Ho tremato' per la tua vita.

Clark                                - Come se mi amassi.

Ania                                 - Da quel momento... da quel bacio... non ho fatto che pensare a te...

Clark                                - Come se mi amassi. E invece... No, Ania, non c'è più tempo. Non puoi dire a un moribondo: incomincia a costruirti 'una casa da vivo. E' già terribile che si sia detto a qualcuno: scavati la fossa.

Ania                                 - Ti sento così lontano da me, che stento a credere che tu mi abbia veramente amata.

Clark                                - Non dirlo. Ania. Se sapessi quante volte, pensando a te, i miei occhi hanno perduto la loro chiarezza, che pure m'era tanto necessaria, per non smarrire le vie di scampo e non cadere in agguati.

Ania                                 - Piangevi!

Clark                                - Oh, che disperazione doverti conside­rare come un bene possibile e perduto

Anta                                - E' la stessa disperazione che provo io, in questo momento, guardando le tue mani, i tuoi occhi... (con un soffio) e la tua bocca...

Clark                                - (con leggero rimprovero) Ania!

Ania                                 - (con trasporto) M'avevi fatto nascere nel cuore delle speranze e dei pensieri perversi...

Clark                                - Perversi?

Ania                                 - Il pensiero di ucciderlo... E invece reste­rò fra te e lui, morta.

Clark                                - Non è colpa mia, Ania... Io avevo detto: sono un cittadino del mondo e avevo preso una decisione libera e felice. E invece no. E' bastato che sentissi nell'aria una certa musichetta, perché scat­tassi come un burattino e facessi eroicamente quello che avevo ben deciso di non fare. Ti prego di far sapere al governo del Tennessee, che io non ci tengo alla lapide commemorativa, n fatto è che, a questo mondo, siamo in troppi, per essere felici. Ci sono gli altri che hanno diritto di essere felici della no­stra infelicità e liberi della nostra schiavitù. Addio « uomo ». Tra qualche secolo nascerà con la testa fatta a ruota dentata e l'umanità non sarà che una grande officina, per la fabbricazione di qualche cosa che non deve servire a nessuno. Insomma... Non è colpa mia.

Ania                                 - E non mi ami più.

Clark                                - Dovrò partire, Ania... Tra un'ora... due... all'alba certo...

Ania                                 - Verrò con te.

Clark                                - (la guarda con meraviglia).

Anta                                - Oh, Clark, io non so dirti la confusione che ho dentro. Non posso pensare a un domani senza di te. Da quando ho il sentimento del tuo pe­ricolo, ho preso una decisione... seguirti dovunque... come se ti amassi... come se fossi tua moglie... Come se avessimo vissuto insieme e avessimo costruito un amore... e il destino ci chiamasse insieme...

Clark                                - Ma che vai pensando, povera Ania? Sei bella... giovane... non mi ami...

Ania                                 - Voglio che tu mi prenda con te... Io sono tua moglie, come mi hai chiesto... Io sono già tua moglie... In queste ore di ansia ti ho pensato così intensamente... con tanto desiderio, tanto abbando­no... che è come se m'avessi presa e salvata... e Gio­vanni non è più che un ricordo... (Sono vicini: le due bocche stanno per congiungersi; il desiderio li domina) E se tu dovessi essere preso e ucciso, io sarò presa e uccisa con te... (Si baciano. Poi Ania si risolleva) Ma bisogna difendersi, bisogna guadagnarsi la vita... Ti nasconderemo... ti proteggeremo... Nessuno ti troverà... Vedi? Adesso ho una tale vo­lontà di vita e di felicità, che mi pare che Iddio debba compiere il miracolo...

Clark                                - Mi ami, Ania? Mi ami?

Ania                                 - Baciami ancora... (Si baciano. La luce si spegne sul loro bacio; quando si riaccende, vale a dire dopo pochi secondi, l'alba imbianca le tendine della finestrella, la scena è vuota. Si ode, lontano, una campana che suona a, mattutino. Si ode bus­sare alla porta. La scena è vuota e nessuno ri­sponde. Si bussa ancora. Martina esce dalla porta del secchiaio, ancora vestita).

Martina                            - Chi è?

Enea                                - Sono io, Enea...

Martina                            - (apre la porta).

Enea                                - (entra col suo fucile) Dite un po'... Non è mica ritornato a casa Giovanni?

Martina                            - No, perché? Temete che...

Enea                                - (entra, col suo fucile) Dite un po'... Non vorrei che avesse avuto la cattiva idea di tornare a casa...

Martina                            - No, no. Non s'è visto. Almeno credo... Volete che svegli la signorina?

Enea                                - Non importa. Credo che se fosse tornato voi ne sapreste qualche cosa.

Martina                            - Ho vegliato tutta la notte, figura­tevi!...

Enea                                - Meglio così. Perché finiranno per venire a cercarlo anche qui. Sarebbe in trappola. Vi saluto. Dite alla signora che tornerò a farmi vedere stanotte e Dio voglia che abbia delle buone notizie. (Esce).

Barberina                         - (compare alla porta della sua stanza) Che c'è, Martina?

Martina                            - (chiudendo la porta) Zitta, signora, zitta... Vengono a cercarlo da questa parte... Enea temeva che fosse tornato. Dice che se tornasse sa­rebbe in trappola... Ma perché, signora, non resta nella sua camera? Anche buttata sul letto, riposa... Capisco che, per lei, la sua creatura, la carne della sua carne... il figlio suo...

Barberina                         - (che intanto è discesa) Martina, sta zitta... Non voglio rubarti delle lacrime che non merito. Io sono tranquillissima...

Martina                            - Anche per lui?

Barberina                         - Specialmente per lui...

Martina                            - Però lei non riesce a dormire.

Barberina                         - A dormire vacci tu. E subito. Buona notte.

Martina                            - Buona notte... (Ma non esce: cari­tatevolmente veglia sulla povera madre).

Barberina                         - (parlando all'ombra) E' fortunato... in fondo... Tu sei stato rapito, sei stato chiuso come un bue esportato in un vagone che andava chi sa dove... sei stato piegato a forza di percosse ad un lavoro degradante, hai sofferto la fame e la sete... e sei stato lasciato sul ciglio della strada a subire il pericolo senza difesa possibile e sei morto... sei morto di disperazione tra chi fuggiva e chi inse­guiva, senza fuggire nessuno, senza inseguire nes­suno...

Martina                            - (che ha seguito il discorso di Barberina e l'ha scambiato per un pericoloso vaneggiamento, lentamente raggiunge la porta di Ania e vi bussa discretamente, poi attende).

Ania                                 - (in vestaglia, esce quasi subito, agitata) Che c'è?

Martina                            - (indica con un cenno Barberina).

Anta                                - (discende sollecita verso Barberina) Che c'è, signora? Come mai alzata?

Barberina                         - Ho sentito parlottare... credevo si trattasse di lui... Invece era Enea che., vero, Mar­tina? Che cosa ha detto Enea?

Martina                            - Aveva paura che il signorino fosse ritornato a casa.

Ania                                 - Perché paura?

Martina                            - Perché lo prenderebbero sicuramente.

Ania                                 - Ha detto così?

Martina                            - Oh, signore... Vedrete che avremo battaglia intorno alla casa...

Barberina                         - Ania... Lo vedi bene che è meglio che tu parta...

Martina                            - E io?... E lei?

Barberina                         - Oh... Io non ho paura. Nessuno mi può far del male.

Martina                            - Una signora sola...

Barberina                         - Non sono sola.

Anta                                - (con agitazione) Non posso partire, si­gnora... (Imponendosi un contegno) Date le circo­stanze... Tanto più che se quel che dice Enea è vero... Non avrei pace... Da un momento all'altro... (Si ode bussare alla porta. Le tre donne tratten­gono il respiro).

Martina                            - Non bisogna aprire...

Barberina                         - Credi che non saprebbero! sfondare la porta?

Ania                                 - Silenzio... Aspettiamo.

Barberina                         - E se fosse lui... che torna?

Martina                            - E' vero... Allora bisogna aprire subito...

Ama                                 - (rapida) Ma no! (Si pente e si dà un contegno, ma Barberina, ha notato la sua sicurezza) Si può vedere, in ogni modo. (Va alla finestrella a guardare fuori) E' un venditore di ortaggi, che si allontana.

Martina                            - Ringraziamo Iddio... Però, venire a quest'ora...

Barberina                         - Martina, vai di là. Se avremo bi­sogno, ti chiameremo...

Martina                            - (esce).

Barberina                         - (ad Ania che intanto è ritornata verso di lei, ina senza guardarla in viso) Ania... lui è qui, vero?... E' tornato... (Ania non risponde) Non dici nulla? (Si alza, la prende per le braccia e la volta verso di lei) Guardami... E' tornato, vero?

Anta                                - (ha un moto di assentimento timido, ver­gognoso).

Barberina                         - (si siede silenziosamente, poi guardan­do nel vuoto) Tu che dici? (Pausa).

Ania                                 - (commossa, scoppiando in pianto e gettan­dosi ai piedi di Barberina) Oh... signora, si­gnora... (Intanto Clark è uscito dalla camera di Ania senza farsi udire da Barberina, che guarda sempre dinanzi a se).

Barberina                         - Ho capito... sì... ho capito tutto... (Ad Ania, accarezzandole la testa) Si può com­prendere tutto. Io avrei preferito... ma non im­porta... la vita non si ferma... Non ci possiamo nulla. Non siamo nulla. Nemmeno di fronte al do­lore. Io piango... ma mangio e bevo e dormo... Come ci si vergogna di mettere alla bocca del cibo quando si crede di essere morti di dolore! Come ci si ver­gogna di camminare, di riposare, di fare tante cose abituali... di dire a qualcuno: «Buon giorno». E di andare dal medico... (Ride) Sì, si va anche dal medico, perché si ,ha paura di morire... di fare la stessa strada che una persona cara ha già percorso fino a Dio... Capisco... Alzati e asciugati gli occhi...

Clark                                - (inginocchiandosi dall'altra parte ai pie­di di Barberina) E puoi perdonare, mamma?

Barberina                         - Sei qui. Bravo. Ecco questo volevo fare... Essere « tra voi »... Stare « tra voi »... non di­staccarmi mai da voi... Essere sempre presente a tutti gli atti della vostra vita.

Clark                                - Sì... Certo. E' questo che vogliamo an­che noi. Se mi salvo sposerò Ania e ramerò con due cuori, se posso esprimermi così, con due vite. E tu sarai con noi.

Barberina                         - (correggendo) «Tra voi»... come una sentinella. Questo io devo fare...

Clark                                - (attento) Che cosa vuoi dire?

Ania                                 - (si alza).

Barberina                         - Figlio, non si ricomincia mai nulla da capo a questo mondo. Qualunque cosa tu faccia, devi rassegnarti a costruire i tuoi castelli servendoti delle pietre di altri castelli distrutti: lacrime ed amarezze di povera gente, passata prima di te su questa terra... Io sono una pietra perduta...

Clark                                - Vuoi dire che avrei fatto meglio a non mettere mai il piede in questa casa? Che anche oggi sarebbe meglio che me ne andassi? Porse saresti più felice, senza di me?

 Ania                                - Signora...

Barberina                         - No. A pensarci bene... no... a che servirebbero le vecchie pietre?... No... Non andar­tene, figliolo. Io starò fra voi. Piuttosto, pare che tu abbia commesso una grave imprudenza tornan­do a casa. E bisognerà pensare subito a come na­sconderti... Qui non è possibile. Non ci sono né cantine, né ripostigli... E' una casa fatta in fretta e furia... con troppa economia...

Ania                                 - Si potrebbe domandare ai nostri vicini che hanno una casa grande... con dei sotterranei...

Barberina                         - Certo... Questa notte, lo accompa­gnerai là... (A Clark) Spero che tu possa trovare il modo di viverci... Mangerai poco, perché non sarà sempre possibile portartene...

Clark                                - Non importa, mamma, non importa...

Barberina                         - Sarai come in prigione... sempre chiuso...

Clark                                - Non importa, ,non importa.

Barberina                         - Ti sembrerà forse a volte d'essere chiuso dentro un vagone di bestie, che cammina verso ohi sa dove...

Clark                                - Verso la vita, mamma!

Barberina                         - (al vuoto) E' più fortunato, non è vero?

Clark                                - Si tratta di aspettare che passi questa bufera del diavolo... Questa notte andrò in quella casa e, costi quel che costi, io voglio vivere, voglio essere felice, andare per le strade cantando... Voglio essere allegro...

Martina                            - (entra di corsa affannata, trafelata) Signora, signora... Sono qui... Vengono... (Emozione di tutti).

Barberina                         - Via, via... nasconditi in qualche modo. Cercheremo di persuaderli...

Ania                                 - (che è corsa atta finestra) Ma dove so­no? Io non vedo nulla.

Martina                            - (dal basso) Li ho veduti io... Ero uscita per distendere della roba... li ho veduti sa­lire per i campi...

Clark                                - Voglio vedere... (Sale la scala e entra nella camera di Barberina).

Barberina                         - E' chiusa bene la porta? Spranga­la... sprangala... (Martina obbedisce mettendo la spranga alla porta).

Ania                                 - (in piedi in mezzo alla stanza paralizzata dall'emozione, non sa che partito prendere e piange).

Clark                                - (rientra in fretta) Sì... vengono da tutte le parti... C'è una radura... Nemmeno un albero... Uscire adesso, è impossibile... Vediamo da questa parte. (Va dalla parte del secchiaio).

Barberina                         - E tu non stare lì... non perdere il controllo di te stessa. Un attimo di smarrimento, può perderlo.

Ania                                 - Che devo fare? Che devo fare?...

Clark                                - (ritorna) Non si può uscire. Bisogna che li aspetti qui... E va bene... (Leva dì tasca la rivoltella e la posa sulla lavala, sedendosi poi su una sedia) E io li aspetto.

Barberina                         - Che vuoi fare? Combattere?

Clark                                - Sarebbe inutile e anche troppo peri­coloso, per voi. No. Semplicemente, io non voglio cadere nelle loro mani. Ho paura.

Barberina                         - Paura? Tu Che hai esposto la vita...

Clark                                - Non si tratta soltanto della vita, adesso. Si tratta della dignità... Ma te lo immagini quel che farebbero di me, per punirmi, per tormentarmi, per farmi parlare? E io non voglio dire nulla... nemme­no quello che non so! (Esaltandosi) Non voglio ca­dere nelle loro mani! Non voglio! (Calmandosi) Se volete pregare per me... io non posso...

Ama                                 - Nemmeno io... Io aspetto.

Barberina                         - Che cosa?

Ania                                 - Gli ho promesso di morire con lui.

Barberina                         - Tu hai fatto questo?

Ania                                 - Sì... Devo riscattarmi. Mi perdoni, signo­ra... Può perdonarmi? Da quel che ha detto mi pare dì poterlo sperare... In ogni modo, io non ci posso più far nulla... Siamo tutti dei disgraziati che fanno sempre il contrario di quel che vorrebbero...

Barberina                         - Tu hai fatto questo?

Martina                            - (che è andata a spiare alla finestrella) Eccoli, mamma mia!... (Fugge. Lunga pausa. Alla fine della pausa, tre Colpi ritmati alla porta. Poiché nessuno dei tre risponde, i tre colpi si ripe­tono e si odono due voci).

Una Voce                        - (in italiano pessimo) Aprite! Aprite subito!

Seconda Voce                 - (in tedesco) Non facciamo del male a nessuno, soltanto vogliamo perquisire la casa

Clark                                - (lentamente, in punta dì piedi, va verso la finestrella e guarda).

Una Voce                        - (impaziente) Oh... non c'è nessuno?

Altra Voce                       - Volete che sfondiamo la porta? (Altra pausa).

Clark                                - (fa cenno alle donne che i tedeschi se ne vanno. Scende dopo un attimo) Si sono allon­tanati... Fanno il giro della casa. Porse vorranno entrare dalla parte dell'orto.

Ania                                 - (alla finestrella) No... pare che discen­dano... Fanno cenni verso il basso...

Clark                                - Chiameranno qualcuno... vorranno or­dini. (Fa qualche passo a traverso la stanza: Bar­berina sì è seduta alla pietra del focolare. Improv­visamente Clark perde il controllo dei suoi nervi e comincia ad esaltarsi). Ma io, che sto qui a fare? Che cosa aspetto? Sto lesinando gli ultimi cinque minuti... col rischio di perdere il coraggio di fare quel che debbo fare... Clark... O adesso, o mai più... (Si fa il segno della croce) Good bye... mother... (Fa per prendere la rivoltella).

Barberina                         - (con uno slancio arriva alla rivoltella prima di lui e la prende) No... questo no!...

Clark                                - Mother... you cannot... Non puoi, non puoi impedirmi di salvarmi... Mother...

Barberina                         - Non posso permetterti di dannarti l'anima per l'eternità. Dio non vuole.

Clark                                - E perché? Forse costoro sono strumenti di Dio? Sono forse guidati dalla Sua volontà? Anche Dio ha un nemico! Non trova pace nemmeno lui...

 Barberina                        - Io non voglio che tu ti uccida! Una madre non può volere. Per chi sopravvive, questa è la morte assurda. E non se ne guarisce più...

Clark                                - Tu parli per te, allora... non per me!

Barberina                         - Oltre il limite delle sofferenze pos­sibili, una madre ha il suo diritto all'egoismo!

Clark                                - Ania, e tu? Nemmeno tu mi aiuti? Tu mi hai promesso... (Cerca Ania con gli occhi, ma Ania, sfinita di dolore e di paura, si è lasciata ca­dere ai piedi della scala, come una cosa morta. Una pausa di apparente calma: Clark cerca di domi­narsi e di dominare la situazione. Rivolgendosi a. Barberina) Va bene. E allora... uccidimi tu!

Barberina                         - Cosa?

Clark                                - Sì... non puoi fare diversamente... non c'è altro da fare per te. Guarda... Guarda... (Va allo stipite e ne trae il mazzo di lettere di Giovan­ni) Guarda... (Le sfoglia a una a una e via via le getta all'aria ed esse, come farfalle, pesanti, cadono intorno ai piedi di Barberina) Fame... lavoro for­zato... dolore... fatica... sangue... lavoro forzato... fango... miseria... ingiuria... lavoro forzato... tor­tura... (Esultandosi) La senti, la senti la voce di tuo figlio? La senti? (Si bussa dì nuovo).

Voce                                - (in tedesco) Abbiamo l'ordine di sfonda­re la porta se non aprite. Contiamo fino a tre. Ein!

Clark                                - (inginocchiandosi ai piedi di Barberina) Io sono Giovanni e tra poco se non mi salvi... io dovrò ricominciare questo viaggio... questo terribile viaggio a traverso la terra. E non ho alcuna spe­ranza di scampo... Vedi bene, nessuna. Se non in. te... mamma... che m'hai dovuto dare questa vita! Mamma! Io sono Giovanni! (Ania si alza lenta­mente. Barberina è immobile e guarda nel vuoto)..

Voce                                - (in tedesco) Zwei!

Clark                                - Non hai che un minuto per salvarmi... Un minuto soltanto! Devi decidere della mia sorte... Mamma, mamma! Come devo dirti? Non vuoi? E' allora vado a consegnarmi... (Si avvia verso la porta).

Ania                                 - (andandogli accanto e prendendolo al brac­cio) Eccomi. Ti amo, Clark!

Barberina                         - (guardando nel vuoto, con un grido) Giovanni! (Con voce bassa) Tu che dici? (Al primo grido Clark si è voltato e attende).

Voce                                - Drei! (La porta incomincia ad essere-violentemente scossa da coloro che tentano di ab­batterla).

Barberina                         - (si volta a Clark e spara. Clark cade a terra dì schianto; un grido di Ania, che si curva su di lui).

Clark                                - (morendo) Thank you... mother... (Cala rapidamente la tela).

FINE