Il padiglione delle meraviglie

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IL PADIGLIONE

DELLE MERAVIGLIE

Atto unico (1924)

di  Ettore Petrolini

da Petrolini – Il teatro

a c. di Giovanni Antonucci

Newton Compton Editori s.r.l – Roma - 1993

Personaggi

Tiberio, imbonitore

Lalli, impresario

Zenaide, sua moglie

Elvira, «La Sirena»

Il Tigre, lottatore

Calligola, lottatore

Evelina, del tiro a segno

Amalù, il selvaggio

Arturo

Titina

Bistecca

Una donna

Uno spettatore

Un ragazzo

Pubblico vario

Sulla piazza dei pubblici spettacoli di una grande città.

Messo in scena per la prima volta al Teatro Verdi di Vicenza il 30 novembre 1924.


ATTO UNICO

Un angolo della vecchia piazza Guglielmo Pepe a Roma. A sinistra baracca del tiro a segno. Nel centro del palcoscenico un cartello con la scritta: «Padiglione delle Meraviglie». Sul praticabile del baraccone gran cassa, tamburo, tan tan, campana, ecc. A destra il di dietro di una carovana con un finestrino chiuso da un'inferriata attraverso la quale si scorge «Amalù», il selvaggio. Tiberio parla ai curiosi che si trovano dinanzi al baraccone.

QUADRO PRIMO

Tiberio:    Rispettabile pubblico: le più grandi scoperte, l'erudizione del genio moderno possono osservare in questo padiglione. Venghino a constatare di persona poiché il divertimento è grande, la spesa è minima. Abbiamo la donna-magnetica che con un solo sguardo vi penetra nelle viscere, la donna-sirena che qualunque cosa voi le mettete in mano le rimane attaccata. Ma questa non è che una delle tante specializzazioni di cui è ricco il nostro padiglione. Abbiamo nell'interno le meraviglie del secolo, del mondo acquatico e terroso (indicando il finestrino del selvaggio) l'uomo che mangia manichi di scopa, salvatacchi, mozze di sigaro, lumi a petrolio e chiodi senza la capocchia. Ha sempre l'intestino imbolletato e quando si purga adopera le tenaglie. Amalù, il terribile selvaggio catturato nelle fo­reste del Mazzabubbù, sulle rive del Peloponneso. Venghino a vedere il terribile mostro.

(Va all'inferriata e tira una catena che fa sdrucciolare sulla lama di una spada, Calligola gli porge una gallina,  la mostra al selvaggio che urla facendo spaventevoli boccacce.)

Questo è il suo pasto preferito. Venite ad ammirare questo spaventoso mostro che con la sola lingua piega una verga di ferro infuocato. Ai biglietti signori, al padiglione delle meraviglie.

(Va a suonare la cassa. Entrano due persone.)

Lalli:        Venghino ad osservare questo spettacolo eccezionale. Non pagano che la tenue moneta di una lira ai primi posti e cinquanta centesimi ai secondi. Tutti comodamente seduti. Militari e ragazzi di bassa forza metà prezzo. Non vi lasciate sfuggir l'occasione di vedere da vicino le bestie più vere e più antropofaghe del mondo.

(Fa un cenno verso l'interno per chiamare gli attori in parata. Esce la Sirena, Tigre, Calligola e Bistecca. Entra un'altra persona.)

Tiberio:    Lesti ai buoni posti. Il padiglione è vasto, ma non si garantisce il sedere. (Entra un'altra persona.) Noi abbiamo l'abitudine di promettere poco e far vedere molto (indicando i due lottatori) il signor Paolo Bulla detto «Il Tigre», campione mondiale, il signor Calligola detto «Bagarino», campione toscano, faranno parte della grandiosa rappresentazione che comincerà fra qualche istante.

Tigre:       Tregua alle buffonate. (Tiberio si ritira da una parte.) Rispettabile pubblico ora basta con le pagliacciate. Quello che abbiamo fatto finora è stato per attirare l'attenzione di un pubblico più numeroso. Questa sera programma eccezionale. L'antropofago del Mazzabubbù, la Sirena nei suoi meravigliosi esperimenti presentata dal signor Lalli, lotta greco-romana col campione Calligola, ed infine il vostro umilissimo servitore, io, senza l'intenzione di provocare o di offendere chicchessia accetto qualunque sfida di lotta dagli amatori.

Lalli         (mostrando il danaro): Cinquecento lire di premio a chi avrà l'onore di fargli toccare le spalle in terra. Se fra voi vi sono amatori della lotta non perdino l'occasione.

Tigre:       Tutti possono sfidarmi: uomini forti, lottatori di professione, militari, borghesi. Accetto qualunque sfida da qualunque persona. Un ultimo segnale e si va a cominciare.

(Suona la cassa. Parecchie persone pagano all'entrata mentre la Sirena e Tigre, appoggiati l'uno all'altro entrano.)

Tiberio:    Lesti, non perdino tempo. Due ore di orologio alla mano di vero godimento. Una lira ai primi posti e cinquanta centesimi ai secondi.

(Entrano altre persone e Tiberio rimane solo.)

Titina       (ad Arturo col quale entra): Arturo, vediamo ancora qualche cosa.

Arturo:    Ma se già hai visto tutto. Il carosello, il serraglio, le montagne russe, il tiro al pupazzo. Cosa vuoi ancora vedere?

Titina:      Qualunque cosa, basta che vedo. Mi sento una gran voglia di vedere tutto. Arturo fammi vedere tutto.

Tiberio:    Si accomodi signora, le facciamo vedere tutto. C'è anche il gabinetto per adulti.

Titina:      Oh, quello l'ho già visto.

Arturo:    È già cominciato lo spettacolo?

Tiberio:    In questo momento.

Arturo:    Non ci potrebbe fare una riduzione?

Tiberio:    Ce vo ridure pegio de così?!... Una lira e mezza lira. Beh, lei prenda i secondi posti: li farò accomodare ai primi.

Arturo:    Grazie tanto. Capirà sono cose viste e riviste (paga ed en­trano).

Evelina:   Accidenti che clientela!

Tiberio:    Hai visto che roba! Quella lì è la gente fina! Tutti quelli poveracci che staveno qua davanti hanno pagato e queli lì vestiti da signori hanno dimannato l'elemosina, pe' poi venicce a deride.

Tigre        (che faceva capolino dalla tenda dei secondi posti): Sì, ma adesso nun te scordà de mette li sordi dentro ar cassetto.

Tiberio:    Ah, stavi de guardia! Ma nun avé paura che io nu' le fo 'ste cose co' tutto che sarebbe meno vergognoso de pijasse 'na lira che a fa quello che fai tu.

Tigre:       'Mbè che vorresti dì?

Tiberio:    Ah, gnente! Dico che si nun me sbajo me pare che fai la spia.

Tigre:       Senti, adesso te lascio perde perché nun ciò tempo ma dopo n'ariparlamo. Mo famme annà dentro: è er momento der nummero mio. Quanno avrò finito te farò poi vedé io, chi è er Tigre. (Entra.)

Tiberio:    Tigre, leone, pantera, sciacallo! Poi esse quello che te pare che nu' me metti paura. Ce so nato fra le bestie feroce. (Ad Evelina:)  Ho domato le tigre vere, figurete si ho paura de quello lì ch'è n'a tigre impajata.

Evelina:   Dà retta a me Tiberio. Quello lì lasselo perde. L'animali so' cattivi assai quanno vanno in amore.

(Un ragazzino entra, e dà a Tiberio dieci soldi. Tiberio gli indica l'entrata dei secondi posti.)

Tiberio:    No, nu' la pianto. E nun te crede, ciò ancora la pelle che è de cottura difficile.

Evelina:   Sentime, Tiberio te lo dico per bene' tuo, perché nun te ne vai? Er primo der mese a Viterbo, c'è la fiera de cavalli, c'è pure er circo equestre, lì troverai quarche cosa da fare... Tanto ormai hai visto che co' la Sirena nun c'è più gnente da sperà. Hai visto che imbriacatura che ha preso per campione mondiale?

Tiberio:    Quello è un campione senza valore.

Evelina:   Fa come te pare, ma sta in gamba. Quelli s' du' marfidi! Che c'è poco da fidasse!

Tiberio:    Nun fa gnente. Dà tempo ar tempo.

Titina       (uscendo con Arturo) : Dio! Che puzzo insopportabile!

Arturo:    Dio! Che fetorume!

Tiberio:    Ma che se credevano de entrà da Bertelli[1]?

Arturo:    Sì, ma è un vero furto!

Tiberio:    Che le hanno rubato il portafoglio?

Arturo:    No.

Tiberio:    E allora che se lamenta, n'accidente! Co' mezza lira mo nun se pija manco er tranve! Che voleva vede, er ballo Siebba? Guarda che cervelli!

Arturo:    Sì, ma è una vergogna!

Tiberio:    È più vergogna pe' voiantri a lamentavve... Ma tiè, nun piagne, aripìjete la lira e vattece a magnà na minestra che fai mejo! Io campo lo stesso. (Va a guardare ed entra.)

Titina       (ad Arturo che è rimasto con la lira in mano): Ma sì, cosa vuoi preoccuparti per quel saltimbanco?! Hai fatto benissimo a riprenderla.  Ci andremo alla pesca reale. (Si avviano a destra: involontariamente Titina si sofferma sotto l'inferriata del selvaggio.) lo mi diverto un mondo in questi baracconi... sono davvero interessanti, eh? (Distrattamente tocca la catena che penzola dall'inferriata, il selvaggio ghermisce il cappello di Titina che si allontana spaventata.)

Arturo:    Vieni via! Maledette le gambe che ci hanno portato in questo luogo.

Amalù       (minaccia con delle occhiate terribili facendo tentennare la ferrata).

Evelina:   Ma lassatelo in pace. Povero Amalù, che te fanno?

Tiberio:    Ma che ancora stanno qui, questi! Annamo, la facciano finita. J'ho restituito puro la lira! Che vanno cercando adesso? Lascino tranquillo l'antropofago che poi, si fa qualche guaio, non so mica responsabile.

Arturo:    Sarebbe possibile riavere il cappello della signora?

Tiberio:    Uh! Sarà difficile. Quando prende cappelli è terribile! (Batte alla ferrata chiamando:) Amalù, bono Amalù... Dammi il cappello!...  (Amalù non si presenta.) Se lo starà mangiando. Basta, se non se l'è mangiato procurerò de levaglielo. Se poi se l'è mangiato ripassate domani. Adesso è meglio lasciallo tranquillo perché se s'inferocisce sfascia la gabbia e ve se divora. (Da dentro il baraccone  si sente un applauso. Tiberio va alla tenda ad osservare ed entra.)

Arturo     (battendo col bastoncino al finestrino di Amalù): Allora torneremo signor Selvaggio.

Amalù       (ruggendo tenta di prendere il bastoncino).

Arturo:    Ma che ti vuoi mangiare anche il bastoncino?

Amalù       (c.s.).

Arturo:    Scusi, non si alteri. Non le ho detto mica cotiga? Le ho detto che torneremo. La prego, stia buonino, signor Selvaggio! Non si affanni. Le togliamo il disturbo.

(Si avviano a destra.)

Titina:      È maleducato, ma è interessante.

Evelina:   Sì, ma co' quello lì non c'è gnente da fà.

Titina:      Eh, lo credo bene. Andiamo, Arturo. Meno male che l'abbiamo scampata a buon mercato.

Arturo:    A buon mercato? No, perché il cappello costava centocinquanta lire. Accidenti al selvaggio e a chi lo tiene in gabbia. (Via.)

Evelina:   Accidenti a voialtri e a chi ve tiè liberi!

Una Donna(a Evelina, affannatissima): Scusateme tanto a quella donna... avete visto gnente entrà un regazzino?

Evelina:   Eh, de ragazzini se ne vedono tanti!

Donna:      Un regazzino arto così, co' un beretto da marinaro. Madonna mia, come faccio! Indove sarà ito? È uscito da casa che so tre ore. J'avevo dato 'na lira pe' compramme un pezzo de sapone e nun s'è più visto. (Tiberio esce.) A quell'uomo l'avete visto voi?

Tiberio:    Chi?

Donna:      Un regazzino arto così co' un berretto da marinaro... Dove sarà ito? Che je sia successa quarche disgrazia?! Io nun ciò er coraggio de ritornà a casa. A quest'ora er padre sarà venuto. Ah, poveretta me! Sant'Antonio mio aiutateme voi!

Tiberio:    M'bè nun ve disperate... Vado a dà 'na guardata dentro. Aspettate un momento. (Entra.)

Donna:      Volesse Sant'Antonio che ce fosse! Sinnò che je dico ar padre? Chi ce combatte? (Va sotto all'inferriata del selvaggio che sta tranquillissimo.) Scusi tanto signore, ha visto gnente passà de qui un regazzino arto così, co' un beretto da marinaro? Sant'Antonio benedetto fate che se ritrovi!...

Tiberio     (uscendo dal baraccone): A sora sposa! Quello lì nun è Sant'Antonio: è un antropofago! Lasciatelo tranquillo che si vié fora ce se magna! (Prendendola per la mano.) Guardate: de ragazzini ce ne so diversi... ce n'è uno cor berretto da marinaro... laggiù... che se magna li bruscolini...

Donna       (dopo aver guardato): È proprio lui! Brutto lazzerone! Ma guardatelo come sta tranquillo!... Ce s'è comprato puro lo spassatempo!...  E io che aspettavo er sapone! Ah, mo lo fo diventà carino! (A Tiberio:) Posso entrà un momento?

Tiberio:    Adesso nun se po'. Sta facenno er nummero er campione mondiale.

Donna:      Ma io riesco subbito... Nun avete paura nun disturbo nissuno. Fatemeje mette le grinfie addosso...

(Applauso di dentro.)

Tiberio:    Embè entrate, ma fate presto, senza fa confusione.

Donna:      State tranquillo. (Appena varcata la soglia, d.d.) Ah, te ciò acchiappato brutto mascarzone, eh!... Vié subbito a casa... poi t'arizzollo io... 

(D.d. urli, fischi e proteste.)

Brutto puzzone!...

(Esce trascinando il ragazzo per le orecchie senza risparmiargli qualche scapaccione.)

Mo' stai fresco co' tu' padre. Che ciai fatto co' li sordi che t'ho dato? Te piace de venì a vede 'ste boierie... Cammina,  che mo t'accomodo io... (A Tiberio:) Però 'ste cose nun se dovrebbero permette. Li regazzini s'averebbero da rimannà a casa.

Tiberio:    Che rivolete li sordi puro voi?... N'antra vorta ve l'accompagno a casa!... Piuttosto, si nun volete che vada giranno annatece da voi a comprà er sapone e comprateve puro 'na corda così ve ce strozzate. Questo è er ringraziamento perché v'ho fatto er piacere de favve entrà.

Zenaide    (uscendo irritata): Tiberio, ma che fai? Hai fatto entrà quela donna proprio ner momento che Tigre finiva l'esercizio e la Sirena faceva er giro der piatto. Nun ha scajato manco 'na lira. Ma allora hanno raggione da dì che te sei rimbambito.

Tiberio     (filosoficamente): Avete ragione sora Zenaide. Me sarò rimbambito.

(Via nella piazza.)

Zenaide    (siede alla cassa a fare i conti).

Evelina:   Signora Zenaide, posso fa un boccone da magna a mi' marito? Tanto questa è l'ora che nun c'è nessuno. Ciò puro la creatura oggi che è tanto strana.

Zenaide:   Sì... vai... (Va a vedere alla tenda). È finito il numero de Calligola. Mo c'è la lotta co' un amatore che ha sfidato Tigre... Vedrai che in du' minuti je farà tocca le spalle. (Via.)

Evelina    (via).

Titina       (torna al braccio di Arturo, mangiando delle caramelle, guardando il selvaggio che è al finestrino): Ti farebbero gola, eh? Ma puoi fare tutte le smorfie che vuoi che non te le faccio nemmeno leccare.

Arturo     (al selvaggio): Cosa ne hai fatto del cappello? L'hai digerito?... Non rispondi macaco? Cosa ne hai fatto del cappello? Rispondi faccia da calamaio...

Amalù:      Ma va a morì ammazzato. (E gli butta il cappello.)

Arturo     (meravigliato): Titina, non è un selvaggio. E civilizzato.

Titina:      Volevo ben dire. E proprio un selvaggio civile. (Via.)

Lalli         (che è entrato all'imprecazione di Amalù): Amalù, Amalù, ma che fai? Me sbianchisci[2] li trucchi? Te metti a parla co' la gente? Eh, allora famo belli affari! Ma che perdi er cervello e vòi perde er posto?

Amalù:      Abbiate pazienza, sor Lalli, nu' ne potevo proprio più; m'hanno dato più da lavorà queli due oggi che le du' rappresentazioni.

(Esce la gente dal baraccone, Lalli suona la campana.)

Zenaide:   Se lo spettacolo vi è piaciuto ditelo agli altri. Se non vi è piaciuto non dite niente a nessuno.

Il Pubblico(esce commentando svariatamente).

Uno Spettatore: Ammazzeli! Dice che durava du' ore... e n'è durato manco mezz'ora!

Amalù       (quando il pubblico è sfollato, esce): Che brutta cosa fa er cannibbale tutto l'anno. Ciò 'na fame. Mo ce vorrebbe 'na bistecca. Evelina, è pronto da magnà?

Evelina:   Sì, da magnà! Ce vorà un quarto d'ora. Mo me s'è svejata puro la regazzina; bisogna che la tenghi un po' in braccio. Intanto io preparo.

Amalù:      Eh, ho capito. Ho finito de far er servaggio e mo me tocca a fà la balia. Che bella vita, eh? (Prende la bambina in braccio.) Vié qua, vié qua, cocca de papà tuo... Èsse bona che mo mamma te prepara la pappa. (Entra nel casotto con la bambina in braccio e canticchia:) Ninna, oh... Ninna oh... Ninna oh... che pazienza che ce vo...

Zenaidee Lalli(sono al controllo a contare l'incasso).

Sirena       (uscendo in abito da passeggio): Avete visto si ho raggione de divve che Tiberio è un vijacco?!... Ha fatto entrà quela donna propio mentre facevo er giro der piatto... Pe' causa sua nun ho scajato manco 'na lira. A Tigre j'ha smontato er nummero. Ma nun se la passa liscia.

Lalli:        Esse bona: nu' lo trattà accossì. Nun se lo merita.

Sirena:      Ah, mo mica s'è fatto trovà! S'è squajato: ha paura de Tigre.

Lalli:        No, non ha paura perché sa che un omo vale l'antro. E tu fai male a parlà così.

Sirena:      Perché? Nun ho diritto de scejeme chi me piace?

Lalli:        Me pare che te sei presa er diritto e l'omo, e stai facenno n'antra vorta quello che hai fatto quarche anno fa' per Tiberio. (Esce Tigre.)

Sirena:      Embè che male c'è? Ho cambiato idea...

Tigre:       E poi ancora nun aveva conosciuto a me...

Sirena:      Che m'aveva sposato? Nun ero mica la moje.

Lalli:        Va bene, ma nun m'impedirai de pensà che quello che stai facenno nun è 'na bella cosa.

Sirena:      Bella o nun bella l'ho piantato. Nu' je la facevo più a sopportallo.

Tigre:       Ma poi, dico, ce so tanti ommini più interessanti e più forti de lui che so stati piantati e nun se lamenteno co' nissuno!...

Sirena:      Eh, lo so. Voi mo lo difennete perché sarà venuto a piagne da voi. (Entra Zenaide.)

Lalli:        No: te sbaji!... È quello che vedo che me fa male. E tu non te sei accorta?

Zenaide:   Basta vedello quanno te guarda pe' capì quanto soffre.

Tigre:       Eh, me ne so accorto!... Però è mejo che nun se fidi tanto sinnò un giorno o l'antro lo macino!

Zenaide:   Tu ce farai er piacere de nun macinà nessuno. (Alla Sirena:) E tu non te vergogni de parlà accosì? Si te guadagni la vita e si hai imparato a fa quarche cosa nu' lo devi a lui? Che corpa cià si nun po' più lavorà? Po' capita a tutti. Senti, io nun vojo esse de cattivo augurio, ma sta cosa nun po' finì bene. E adesso me ne vado perché certi discorsi nu' li posso sentì. (A Lalli:) Lasselo sbrigà a loro 'st'affare. Quanno voi venì, da magnà è pronto.

Lalli:        Grazie, mo vengo. Eh, Zenaide ha raggione!

Sirena:      Sì, nu' lo nego. Ho avuto 'na passione pe' lui. Me piaceva. Piaceva ar pubbrico... Faceva successo! So' scappata da casa pe' lui! Che vo' de più? Che fa adesso? Chi lo guarda? E io me dovrebbe consuma la gioventù mia co' un uomo che nu' lo guarda nessuno... Una vorta... ciò fatto la lotta e l'ho battuto! J'ho fatto toccà le spalle in du' minuti. Embè da quer giorno m'ha disgustato. Ce so stata ancora un po' insieme pe' compassione. E poi... vidi Tigre...

Tigre:       A la Montagnola de Bologna! Lavoravo ar Busc...

Sirena:      Eh, nu' lo nego... Quanno lo vidi pensai: ecco l'omo che fa pe' me... e Tiberio fu liquidato... (A Lalli:) Nun trovate che Tigre è mejo? Solamente la forza! Solleverebbe 'na montagna.

Lalli:        Mah! Questione de gusti... C'è pure chi preferisce l'omo senza forza. (Accende una sigaretta.)

Sirena:      Sì,lo so, ma quella è gente che nun sa quello che vor dì avecce un omo: un vero omo. A quelle je lasso Tiberio.

Tigre:       Adesso basta, me pare che je damo troppa importanza a parlanne tanto. Noi annamo a spizzicà quarche cosa: si ce volete fa compagnia e si ce permettete de offrirvi un bicchier de vino per noi sarà un onore.

Lalli:        No, grazie... Me finisco 'sta sigaretta e poi vado pure io a magnà un boccone, ma fate presto che fra poco aricominciamo.

Tigre:       Sì,famo presto. (Abbracciando la Sirena:) Annamo gallinella mia. (Via con Sirena.)

Tiberio     (spunta dalla parte opposta e segue coll'occhio la Sirena e Tigre. Lunga pausa): Hanno parlato di me?

Lalli         (fa cenno di sì).

Tiberio:    Lei è proprio innamorata?

Lalli:        Ma che voi che ne sappia de 'ste cose?! Che me n'importa?!...

Tiberio:    Ma lo so io però. Li spio sempre, vedo tutto quello che fanno... Tutto!... Nun me so risparmiato gnente. L'ho visti quanno s'abbracceno... quanno se baceno: nun dico gnente... sto anniscosto e me diverto a soffrì. Questa è la vita che fo da quindici giorni.

Lalli:        Tuhai perso er cervello.

Tiberio:    Sì, po' esse... Vedi, questa è l'ora più infame: quanno lei se ne va, pe' me è uno spasimo... Perché armeno quanno se lavora lei sta qui... la vedo... la sento... Nun me rivorge mai uno sguardo che nun sia un insurto... Ma io so contento: mejo così che si nun me guardasse.

Lalli:        M'immaginavo quarche cosa de simile, ma nun pensavo che eri arivato a sto' punto. Certo è una brutta situazione.

Tiberio:    Eh, lo so. E te dirò pure quello che nun hai coraggio de dimme tu.

Lalli:        Che cosa?

Tiberio:    Che io, qui, te rubo la paga. Nun avevi bisogno dell'imbunitore. Te serviva n'antro numero.

Lalli:        Ah, no, per Dio: te sbaji! Io pe' te nun so er padrone: so 'n'amico... Farai quello che poi... M'hai detto 'na cosa che offenne a me e a Zenaide. La paga nu' la rubi perché fai l'imbunitore e lo fai bene.

Tiberio:    Grazie, Lalli. Vedrai che farò l'obbrigo mio.

Lalli:        E cerca da levatte da la testa quela donna.

Tiberio:    Magari potessi! Ma ormai ce l'ho dentro al sangue, 'n de la pelle. Du' cose m'hanno fatto vive fino adesso: lei e er mestiere mio de sartimbanco. Lei m'ha buttato fuori dar core... Mo ciamanca che tu me butti fori de la baracca.

Lalli:        Embè, mo ricominci...

Tiberio:    Hai ragione, scusa... Tu lo sai: lei è stata tutto pe' me... Riassumeva tutto quello che c'è de bello ar monno.

Lalli:        Ionun me posso spiegà com'è che 'sta cosa sia ita a finì così...

Tiberio:    Eh, te lo dico io. La malattia... la troppa fiducia... nun se sentiva più fiera de la forza e der trionfo mio e s'allontanò da me. Finirono le carezze, cominciaromo le parolaccie, l'offese... poi passò 'na notte fora de casa e quanno rivenne invece d'ammazzalla me misi a piagne e feci pace.

Lalli:        E quello fu er torto tuo. Adesso è troppo tardi. Lei è più forte di te.

Tiberio:    Eh, lo so: quanno la leonessa ha ferito er domatore nun c'è più rimedio.

Lalli:        Va bè, ma mo che pensi de fa?

Tiberio:    Gnente! Vado avanti come posso. Quanno poi nun je la farò più quarcuno pagherà pe' tutti.

Lalli: Eh, t'ho capito: ma te sbaji! Io nun voio drammi eh... Qui è proprio er caso de dì: pensamo a mannà avanti la baracca. Tigre, sarà mejo che lo lassi perde. Tu d'artra parte devi capì che si lo manno via me se ne va puro lei... E allora? Poi ne converrai che in questo momento è lui che fa l'interesse de 'sta baracca. A litigacce me pare che nun te torni conto. Allenato e innamorato com'è, quello te stritola.

Tiberio:    No, te sbaji. Lei è più forte de me, ma io so più forte de lui.

Lalli:        Questi nun so' discorsi... (Guarda l'orologio.) Basta... mo so' quasi le otto e mezza: fra poco cominciamo la seconda.

Zenaide    (d.d.): Annamo Lalli viè a magnà che è pronto.

Lalli:        Vengo.

Sirena:      (d.d. Canta una canzonetta. Si sente avvicinare. Tiberio ascolta estasiato e fa un gesto di disgusto, sentendo la voce di Tigre).

Lalli:        Adesso vattene a magnà che è mejo. Fra 'na mezz'ora cominciamo.

Tiberio:    No, nu' me mannà via adesso. Nu' me fa esse più vijacco. Crédeme sarebbe peggio! Ce so' abbituvato.

Tigre        (entra con la Sirena e rivolgendosi a Tiberio in tono provocante): Ah, ce sei puro tu! Eh?!... Prima t'ho cercato. Hai fatto una bella prodezza!

Tiberio:    Le prodezze me pare che le fai tu.

Sirena       (seccatissima): Abbiamo mangiato adesso, vuoi guastarci la digestione?

Tiberio:    Che c'entri tu?!... Chi l'ha co' te? Che t'ho detto?... Che t'ho fatto de male? Sei tu che ce l'hai co' me... e nun capisco la ragione. Nun voi nemmeno che rimanemo boni amici?!...

Sirena:      No, t'aringrazio. N'ho abbastanza dell'amicizia tua.

Tigre        (ironico): Ma sì, mo faje puro l'amica!... Eh, ce vo la pazienza mia co' sto purcinella. Vò fa puro er grazioso, eh? Ma nu' lo vedi che nun t'aregghi in piedi?

Tiberio:    Senti, dalla tua signora io accetto tutto, qualunque umiliazione: 'no schiaffo, 'na cortellata, la morte... E io nun me movo; ma si a te te venisse in mente de metterne 'na mano addosso t'assicuro io che te porta sfortuna... Te lo giuro sur bene che ho voluto alla tua signora.

Lalli         (energico): Basta, per Dio! Questa è casa mia. 'Ste bullate annatele a fa fora de qui.

Tigre:       È giusto. Hai sentito che ha detto er direttore? Ha raggione. Questa è casa sua... e pe' lui me sto zitto adesso. Sinnò te pijavo delicatamente fra er pollice e l'indice e te buttavo giù de sotto.

Lalli         (c.s.): Ho detto basta.

Tiberio:    Carogna!

(E fa per slanciarsi contro Tigre, esce Zenaide che si mette davanti a Tiberio cercando di calmarlo.)

Tigre:       Bada che te stritolo... (e si slancia anche lui trattenuto da Lalli).

Tiberio:    A chi?

Lalli:        Basta, ho detto. Famola finita... (Prende per il braccio la Sirena e la spinge nell'interno.) E tu vatte a vestì!... Qui ce se vié pe' lavorà... Apposta ve pago.

Zenaide    (riferendosi alla Sirena): È la pietra de lo scandalo! ...

Lalli         (a Tiberio): Tu aricordete de quello che t'ho detto! Fa l'obbligo tuo. E tu vattene dentro. (Chiama:) Amalù, Calligola, Bistecca, annamo: tutti in parata! ... Ognuno ar posto suo, s'aricomincia! ...

Tiberio:    Al Padiglione delle Meraviglie!... Spettacolo divertente, morale, educativo... Venghino ad ammirare le più grandi novità...

T e l a


QUADRO SECONDO

Interno del baraccone. Nel mezzo in fondo un palchetto collocato dietro l'entrata. Tende ai lati, panche e sedie laterali. Un tappeto in terra nel centro con sopra pesi ed attrezzi per i giuochi atletici. A destra la carovana con la piccola porta a scaletta. A sinistra una gabbia con dentro una gallina. Ai lati del palchetto due pali con sopra applicati due lumi ad acetilene. A destra la tenda ha uno spacco che mette nel luogo dove si vestono gli artisti. Il baraccone si vede a rovescio in modo che il principalone del primo atto, rovesciato indietro, funzioni da fondale.

Bistecca:      Sbrighete Amalù che se n'annamo, mo sortono. (Indicando a destra.) Li nummeri der centro, sarà mejo che nun s'incontramo con loro. La Sirena oggi è nervosa, e Tigre è geloso.

Amalù:      Ionu' je la guardo davero. Prima de tutto ciò moje e fiji. E poi lei fa la sirena come io fo l'antropofago. Po' esse sirena quanto je pare: a me nun m'incanta.

Bistecca:      E qui ha incantato tutti. Tiberio s'è rimbambito. Lalli nun ce sputerebbe sopra. Calligola l'odia perché nun ce po' arivà, io ce scherzo perché non posso far sur serio e Tigre se la gode.

Amalù:      Mo te dico perché lei oggi è nervosa... (Sospettoso:) Sai che ho saputo?... Che Tigre cià moje!...

Bistecca:      Mejo me sento! E chi te l'ha detto?

Amalù       (c.s.): Ieri doppo l'urtima infornata Tigre parlava co' un facchino de la stazione che conosco puro io. M'avvicinai... lui cambiò subito discorso. Io feci finta de gnente, la Sirena lo chiamò e io rimasi co' quell'antro...

Bistecca:      Che t'ha cantato tutto.

Amalù:      Proprio così. La moje fa la lavannara... abita a Porta Trionfale. Se crede che er marito lavori in un circo equestre a Civitavecchia. Hai capito che robba?

Bistecca:      E la Sirena, Tiberio, Lalli, lo sanno?

Amalù:      E io credo che già je arrivata la notizia, stamattina l'ho riccontato a mi' moje. Mi moje l'avrà detto a Zenaide... Zenaide de sicuro jà dato la puncicata...

Bistecca:      Ah! Mo ho capito perché è nervosa... allora oggi se divertimo!...

Lalli         (uscendo dalla carovana): Annamo ragazzi, si avete da uscì fate presto s'aricomincia subito. (Via nella carovana.)

Bisteccae Amalù: Va bene!

(Entrano Tigre, Calligola e Sirena.)

Tigre        (a Calligola): Annamo, Calligola ciavemo appena er tempo de fasse un bicchier de vino e poi ricominciamo 'sto strazio de spettacolo.

Calligola: Me metto er paletò e vengo. (Indossa cappello e paletò.)

Sirena:      Te ne vai?   

Tigre        (seccato): Sì, un momento e rivengo.

Sirena:      Che sei arrabbiato co' me?

Tigre:       Iono.

Sirena:      Calligola, permetti che dico du' parole a solo a Tigre?

Calligola: Ma te pare... fai er comodo tuo...  (A Tigre:) t'aspetto all'osteria... (Via.)

Tigre:       'Mbè, che so ste mosse?!

Sirena:      Senti, io me so accorta che da jeri a oggi hai fatto un gran cambiamento.

Tigre:       Te parerà a te, io so' sempre lo stesso.

Sirena:      Nun è vero, tutt'oggi m'hai sempre sfuggito, come si avessi paura de restà solo co' me.

Tigre:       Ma no te sbaji, e poi piantala co' sta paura... io nun ho paura de nissuno...

Sirena       (ironica): Nemmeno de tu moje?

Tigre:       Che c'entra mi moje? Chi t'ha detto che ciò moje?

Sirena:      È la favola de tutta la piazza. Lo sapeveno tutti meno che io.

Tigre:       Embè, sì, va bene... ciò moje... ma tu che ciai arimesso! è un disonore pe' te? Anzi si ciò moje e sto co' te è la prova più evidente che me piaci, e che te vojo bene...

Sirena:      E allora perché te sei stato zitto? Io adesso nun te credo più perché quanno se vò bene se dice tutto... m'hai ingannata, m'hai truffata, hai avuto paura di dimme 'na cosa che già sapeveno tutti.

Tigre:       Ma no nun è paura cocca bella, nun t'ho detto gnente perché nun volevo avvelenà st'amore nostro che annava tanto bene e mo rovini tutto.

Sirena:      Ah! Io rovino tutto?

Tigre:       E me pare! La fai tanto lunga...

Sirena:      Una vorta nun m'avessi risposto così...

Tigre:       Senti... de ste cose parlamone n'antra vorta adesso nun me va, voi venì a beve 'n goccio de vino?

Sirena:      No, er vino nun me va, m'annerebbe de parlà, ma me so accorta che t'annojo, vacce solo.

Tigre:       Brava, così me ne bevo un bicchiere de più, ce fa bene a tutte e due, addio, gallinella mia...

Sirena       (rimane sconvolta).

Lalli:        Com'è nun c'è Tigre?

Sirena:      Mo viè, è uscito un momento co' Calligola.

Lalli:        Ma che hai? Che t'è successo? C'è quarche cosa de novo?

(Zenaide guarda dalla porticina della carovana.)

Sirena:      Sì... 'na cosa che nun m'aspettavo...

Lalli:        E che d'è sta cosa? Se po' sapé?

Zenaide:   Che te sei messo a fa' er confessore?

Lalli:        Zenaide, te sbaj. E poi nu' me le fa' ste parte. Nu' me le merito.

Sirena:      Ve giuro signora Zenaide che nun me diceva gnente de male.

Lalli:        Zitta. Nun vojo difensori. Nun è gnente. E stato un malinteso. Anzi, t'aringrazio che m'hai favorito l'occasione de famme fa 'na scena de gelosia da mi' moje. Na vorta ogni tanto, pe vive tranquilli 'na scena de gelosia non ce sta male. Basta, me ne vado a pijà un caffè e quanno arivengo cominciamo. (Via.)

Zenaide:   Senti io te parlo francamente. Mi' marito è un bonomo ma io non me fido de nessuno. De te poi, figuramoce, co' que li vortafaccia che sai fa!

Sirena:      Ma che v'ho fatto a voi?!...

Zenaide:   A me, gnente! Ma me basta de vedé quello ch'hai fatto all'antro per conoscete bene e sapé come la pensi. (Chiude la porticina e va via.)

Sirena:      Oh, questa è bella! Che s'è messa in testa questa, che je seduco er marito!

(Entra Tiberio. Appena visto, la Sirena fa per uscire dalla porta a sinistra.)

Tiberio     (le chiude il passo): Senti, nun te n'annà! Fammete di' due parole.

Sirena:      Ma che l'avete tutti co' me? Ma lassateme un po' tranquilla!

Tiberio:    Hai raggione, hai proprio raggione, fino a qui ce arrivo puro io, senza esse un filosofo, perché infatti nun se sa bene se sei tu che non lasci tranquilli l'altri o se so l'altri che nun lasciano tranquilla a te.

Sirena       (ironica) : Accidenti, come parli bene, non me lo credevo!

Tiberio:    Nemmeno io. E forse si parlo bene lo devo a te. Senti: a li passeri sai che je fanno? Je cécheno l'occhi pe' falli cantà più bene. E io adesso so come un uccelletto, e canto più bene perché l'occhi me l'hai cecati tu. Sei contenta?

Sirena       (lunga pausa): No.

Tiberio:    Grazie... Quella camera sta ancora come l'hai lasciata tu e t'aspetta sempre.

Sirena:      Ma che pensi? Che io potrebbe rivenì dentro a que la cammera odiosa, senza luce... senza respiro... Pensi che io potrebbe ancora sta' insieme co' te che...

Tiberio:    Nun m'areggo in piedi... Dimmelo... nun avé paura... Già, quando uno sta male nun ha diritto all'amore, è vero... L'amore è fatto pe' li prepotenti, pe' l'audaci... A una donna come te, je ce vonno le spalle quadre, lo so..., hai bisogno d'esse amata co le convulsioni, ma vedi... Tigre non è quer tipo de forte lì... È tutta apparenza... La forza sua sei tu.

Sirena:      Beh, annamo, che voi conclude?

Tiberio:    Tigre parte.

Sirena:      Sìlo so, parto puro io.

Tiberio:    No, tu nun devi, tu nun poi partì... perché...

Sirena:      Perché cià moje? È questo che me volevi dì? Quanto l'hai tirata alla lunga.

Tiberio:    No. Nun te l'avrebbe detto. So vendette magre. E tu lo sai che nun te l'avrebbe detto, e tu lo sai de di' la bucìa...

Sirena:      Comunque sia io parto con lui. La vita mia è con lui. L'aria, la salute mia è lui... E inutile, non posso restà... Bisogna che je vado appresso.

Tiberio:    E io rimano qui solo.

Sirena:      Ma nun sei già solo?

Tiberio:    Co' chi parlo adesso, co' la disgrazia mia... no... Perché te vedo ancora. La cattiveria tua è mejo de la solitudine. Me so' abituato alla mancanza delle carezze, delle parole tue... de li baci. Ma tu non me devi mancà...

Sirena:      Con che diritto?

Tiberio:    Quello che m'hai fatto soffrì me darebbe tanti diritti e fra li tanti quelli de levatte dar mondo... (movimento della Sirena.) No... non avé paura, non succede più... te vojo troppo bene e tu lo sai. M'hai trascinato come un fagotto de stracci in mezzo a un pantano e nun me so ribellato e tu sai pure che io nun so un vijacco... Nun esse più cattiva, nun partì... Tu nu lo voi confessà, ma co' Tigre hai già provato qualche disillusione... Nun vale tutte quele soddisfazione che jai dato. Sèntime a me, tu nun partirai... Io me scorderò de sta vita de miseria che m'hai imposto, che m'ha fatto diventà cattivo e vijacco, ricominceremo da capo e se mi dai retta... e m'aiuti diventeremo più boni e più degni de noi stessi... come 'na vorta, te ne ricordi quanno se piagneva e se rideva assieme? Senti Ervira, sì, Ervira, er vero nome tuo: Sirena m'ha portato sfortuna. Abbi pietà de sta rovina che m'è capitata... nun te n'annà... nun partì... Te perdono tutto, e se tu me dai 'na speranza io stasera starò meglio... e domani sarò guarito... risponneme, esse bona.

Sirena:      È tutto vero quello che me dichi?

Tiberio:    Dimme che devo fa' per dimostrartelo.

Sirena:      Umija Tigre si t'abbasta l'anima. Fammelo vede giù, fa quello che voi: sfidelo, insurtelo, basta che io veda che lui de fronte a te sia una carogna, e poi farai de me quello che voi.

Tiberio:    Accetto.

Zenaide    (li guarda e ironicamente): Si ricomincia la rappresentazione. Al padiglione delle meraviglie.

(Sirena confusa entra nella tenda. Tiberio nell'entrata di sinistra e Zenaide a destra.)

Tigre        (entra con Calligola): Credeme che a lavorà qua dentro ce perdo de decoro.

Calligola: Iome so meravijato quanno ho visto che t'adattavi a fa la parata.

Tigre:       È stato pe' levamme un capriccio. Ma adesso ho magnato lo stufato.

Calligola: Sarà contento Tiberio?

Tigre:       Ma vattene. Pe' lui è lo stesso, perché vedrai che la Sirena me vierà appresso.

Calligola: Sì, ma tu moje?

Tigre:       A mi' moje io credo che quarche buon amico jà fatto sapé che io lavoro qui e così pe' nun sentì storie. (Si guarda attorno.) M'ariccomanno a te, resta fra noi... Stanotte me squaio... co' la Sirena o senza, bisogna che io parta. M'è capitato un contratto come nummero importante in un circo tedesco... Questa nun è robba pe' me. Qui se va avanti a forza de trucchi, e tutti sbianchiti.

Lalli:        Annamo, semo pronti? Io dò er primo segnale. (Amalù attraversa ed entra nella carovana, di fuori si sente la musica.)

Tiberio     (d. d.): Al padiglione delle meraviglie. Questa sera grande sfida di lotta greco-romana col campione mondiale Tigre. Gli amatori possono prenotarsi.

Lalli         (d .d.): Cinquecento lire di premio a chi gli farà toccare le spalle.

Zenaide    (d. d.): Lesti, ai buoni posti.

(Entrano tre o quattro spettatori che seggono alla panche.)

Bistecca(attraversa ed esce).

Tiberio     (d. d.): Il padiglione è già pieno. Ancora pochissimi posti liberi. Approfittino! Alle meraviglie del secolo.. (Entrano altri tre o quattro spettatori.) Il professor Lalli avrà l'onore di presentare esperimenti scientifici di alto interesse. La misteriosa soppressione di parte del corpo umano...

Zenaide    (d. d.): Un ultimo segnale e si va a cominciare. (Musica. Dal di fuori entra altra gente.)

Lalli         (scendendo nell'interno del baraccone): Rispettabile pubblico. L'esperimento che ho l'onore di presentarvi è il risultato di molti studi fatti sulla natura della donna, prego di fare molta attenzione all'esperimento illusionistico, fantastico, occulto e spiritistico onde rendervi conto esatto dei misteri dell'abracadabra.

(Due degli artisti depongono sul palchetto la Sirena che eseguisce il trucco del mezzo busto. Lalli le toglie un velo che ha sul capo.)

Sirena:      Buona sera signori, buona sera signor Lalli.

Lalli:        Avete dormito bene, signorina?

Sirena:      Sissignore.

Lalli:        Tutti possono fare delle domande alla Sirena. Se c'è qualcuno che desidera farsi predire l'avvenire non deve che domandarlo.

Spettatore(fa un cenno).

Lalli         (indicando alla Sirena lo spettatore): Sirena, esaudite il signore.

Sirena       (rivolgendosi allo spettatore) : La vostra stella non è tanto rifulgente. Siete troppo buono e fate male a dichiarare a tutti il vostro pensiero. Guardatevi da chi vi avvicina... (Lo spettatore si guarda intorno tastandosi il portafoglio.) e state di buon animo che la fortuna vi ha preparato una sorpresa. (Si rompe la panca o la sedia e lo spettatore cade.)

Spettatore(rialzandosi indolenzito): Accidenti alla fortuna!

Lalli:        Non ci faccia caso: la fortuna vi ha voluto provare che chi vuol mangiare il dolce deve... provare l'amaro. Ed ora, Sirena, ringraziate e salutate i signori...

Sirena       (stende la mano allo spettatore che al contatto simula di prendere la scossa elettrica e grida contorcendosi).

Lalli         (tocca con la bacchetta lo spettatore e questi si calma. I due artisti riportano via la Sirena).

Bistecca:      Continueremo lo spettacolo con il campione mondiale Tigre ed infine, passando da questa parte (mostra lo spacco della tenda a sinistra) potranno osservare da vicino il terribile selvaggio del Mazzabubbù.

Lalli:        Prima però la ragazza (entra la Sirena con una guantiera) si permette di fare un piccolo giro fra questi gentili signori. Obbligo non ce n'è perché tutti hanno pagato alla porta, ma coloro che vogliono mettere qualche soldo nella guantiera andrà a beneficio della ragazza che non è pagata dalla compagnia

(Tigre alza il peso).

Sirena       (girando intorno con la guantiera): Da bravi signori. (Ad uno spettatore che ha messo due soldi:) Grazie...

Bistecca:      Grazie a lui... (Ad un altro spettatore che mette anche lui due soldi:) Grazie a lei... (Anche la Sirena ringrazia gli spettatori che mettono qualche soldo.) Grasso lui... magra lei... si accettano anche le monete da dieci lire... Da bravi signori... Si lavora tutti per il circondario dell'appetito... Un soldo e due soldi non sono la rovina di nessuno... la ragazza non è pagata dalla compagnia... (Via la Sirena.)

Lalli:        Ora, se fra questi signori vi è qualche amatore della lotta grecoromana che vuole misurarsi con il celebre campione mondiale Tigre alzi una mano. Cinquecento lire di premio. C'è nessuno? Avanti signori, non perdino tempo: in mancanza di amatori la sfida di lotta avrà luogo col signor Calligola.

Tigre:       Non c'è proprio nessuno?... Non ci sono amatori? No? Meglio per voialtri.

Tiberio:    Si nun dispiace al signor Lalli potrebbe lottà io.

Tigre:       Tu?

Tiberio:    Sì! Io, te dispiace?

Tigre:       Anzi, me fai un piacere... fatico de meno.

Lalli         (a Tiberio): Ma che c'entri tu?

Tiberio:    Niente. Lo fo perché vojo provà a allenamme. Me pare de sta un po' mejo. Tanto a Tigre nun je dispiace. Pe' lui buttà n'antro o buttà me è lo stesso.

Tigre:       Se capisce. Ma dimme un po', giacché hai detto che te senti un po' mejo, perché te voj guastà la salute? La convalescenza poi sarà lunga.

Tiberio:    Nun te n'incaricà Tigre... Fai er dottore? (Esce la Sirena.)

Tigre        (alla Sirena): Ma lo senti? Vo fa la lotta co' me!

Tiberio:    Ma sì: te pare tanto strano? Dio come la fai lunga! (Si toglie la giacca.)

Sirena:      Me pare che hai più paura tu che lui...

Tigre:       Ma che dichi! È perché me fa compassione! Lalli acconsentite?

Lalli:        Mah! Si vo' lui! Nun ce trovo gnente de straordinario! Er pubblico se divertirà de più.

Sirena       (a Tigre, a parte): Ma sì, sbattelo 'na vorta pe' sempre per terra, così la famo finita.

Tiberio:    Io so pronto.

Tigre:       Puro io.

(Si guardano, si danno la mano e cominciano. Tiberio si mette in guardia. Tigre tenta un primo assalto che Tiberio ripara con agilità. Tigre si accorge finalmente che Tiberio è deciso a tutto, e gli mormora, fissandolo, in un testa a testa:) Ma che fai sul serio?

Tiberio:    Io fo sur serio. Poi lo vedrai!

(La lotta seguita accanita. Lalli la segue attentamente perché la vede grave. Tigre cerca di prendere Tiberio per la cintura ma questi si svincola agilmente. Il pubblico sembra che abbia capito che la lotta è veramente sul serio. Tigre prende in braccio Tiberio sollevandolo  per gettarlo in terra e sembra proprio che il colpo sia definitivo, ma Tiberio stringendogli il collo lo obbliga a cedere. Cadono entrambi. Tigre cerca di farsi lasciare il collo, ma Tiberio ormai inferocito stringe ancora finché il Tigre cede e cade con le spalle sul terreno. Tiberio si alza solo. Tigre è rimasto steso con le mani nel collo, respirando affannosamente.)

Lalli        (energico, per imporre al pubblico): Voi siete testimoni o signori che la lotta è stata leale. Un colpo sfortunato. Speriamo che non sia nulla di grave. Ma voi testimonierete della regolarità degli assalti.

Calligola(cercando di sollevare Tigre): Portiamolo alla guardia medica. Io credo che nun sia gnente.

Zenaide:   Lalli, a me me pare che respiri male.

(Calligola, Amalù truccato e Lalli sollevano Tigre e lo portano fuori. Il pubblico sfolla lentamente commentando. Rimane in iscena Tiberio e la Sirena che lo guarda inebetita.)

Tiberio     (porgendole una chiave): Questa è la chiave de quela cammera odiosa senza luce e senza respiro. Sbrìghete, va'... E fammete trovà come na vorta. Va', fa presto, perché sarà l'ultima...

Sirena       (umile, domata, prendendo la chiave): Sì, Tiberio... (si avvia verso la porta del baraccone guardando atterrita Tiberio che la domina con lo sguardo).

Tiberio     (siede su una panca, si vede che l'ultimo sforzo lo ha esaurito).

Cala la tela


[1] Industria di cosmetici.

[2] Scopri.