Il paese della cuccagna

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IL PAESE DELLA CUCCAGNA

Titolo originale: “La foire d’empoigne”

Commedia in un atto

di JEAN ANOUILH

Traduzione di Sandro Bajini

PERSONAGGI

NAPOLEONE

LUIGI XVIII

FOUCHÉ

D'ANOUVILLE

 IL DUCA DI BLACAS.

IL MARESCIALLO.

LA SENTINELLA FRANCESE.

IL SERGENTE FRANCESE.

LA SENTINELLA INGLESE.

IL SERGENTE INGLESE.

L'UFFICIALE INGLESE.

L'USCIERE, della Camera del Re.

ROUSTAN.

L'UOMO DEL PALAZZO.

Commedia formattata da

 Il palazzo delle Tuileries. È un siparietto. Una porta in un cortile. In scena una sentinella in berretto di pelo. Tutti i personaggi hanno i tratti un poco ingrossati e ventri esagerati come nelle caricature inglesi dell'epoca.

Si sente un rumore di carrozza. La Sentinella si irrigi­disce, presenta le armi e grida:

La sentinella                  - Viva il Re!

Il sergente                     - (entrando) Troppo tardi. La carrozza di Sua Maestà Luigi XVIII irrompe dalla porta della Villet­te verso le Fiandre.

La sentinella                  - Allora, viva l'Imperatore! Lo sapete sergente: in Francia siamo abituati.

Il sergente                     - Troppo presto. La carrozza di Sua Mae­stà l'Imperatore sta appena sbucando dalla rue Saint-Honoré, con lo stesso concorso delirante di popolo che acclamava la famiglia reale, or sono sei mesi.

La sentinella                  - Allora, viva la Repubblica! Io me ne frego. Papà ha servito tutti.

Il sergente                     - (severo) Non si tratta di questo. Farete quattro giorni di consegna. Mi avete l'aria di essere un cattivo soggetto, voi. Diciamo pure che vi tengo d'occhio. (Esce. Entrano Fouché e D'Anouville)

D'Anouville                  - Quanto gli concedete, signor duca di Otranto?

Fouché                          - Cento giorni esatti.

D'Anouville                  - (ironico) Credete di conoscere i segreti della storia?

Fouché                          - (strizza l'occhio) Un po'. (Aggiunge, motteg­giando) La faccio.

D'Anouville                  - E divertente?

Fouché                          - Sarebbe divertente se ci fosse l'imprevisto. Ma quando si conosce l'equilibrio delle forze in gioco, il pesante spostarsi del destino sull'uno o sull'altro piatto della bilancia è una sorpresa solo per gli imbecilli.

D'Anouville                  - (toccato) Sono uno di loro. Vi confesso che questo ritorno dell'Imperatore...

Fouché                          - Pensavate che un attore simile potesse finire all'isola d'Elba come un comandante di battaglione in ri­tirata coi suoi mille uomini? Voi non conoscete il teatro. Egli sa di essere perduto ma viene a concedersi una bel­la uscita. La prima volta l'aveva sbagliata.

D'Anouville                  - E tuttavia gli addii di Fontainebleau... Io c'ero. Ho pianto.

Fouché                          - (sorride leggermente) C'erano tutte le ra­gioni, per un giovanotto! La scena era buona, anche se un po' prevedibile, per i miei gusti. Mi piace un teatro più sottile. Lo abbiamo avuto poco dopo l'ultima replica, di fronte al pubblico, fuori scena. La fuga tra i fischi, attraverso la Provenza ostile, la coda fra le gambe, vestito da ufficiale russo. Un uomo tanto preoccupato del proprio personaggio non poteva fermarsi li. Ritorna per conce­derci un'altro finale, possibilmente sanguinoso, o, in ogni caso, più nobilmente segnato dal destino. Nel gusto della tragedia classica ch'egli aveva appreso quando andava da Talma a imparare la dizione. State pur certo che ritor­na solo per questo.

D'Anouville                  - Credete che non speri... veramente?

Fouché                          - Si possono dire molte cose su di lui ma non che sia stupido. Conosce perfettamente le sue possibilità. Disgrazia vuole che per la sua uscita abbia bisogno di comparse. Ha sempre realizzato spettacoli di massa. La Francia aveva ottenuto dagli Alleati condizioni insperate, grazie a un amabile inghippo che ci aveva presentati, quanti siamo, come vittime del tiranno... Le frontiere del '92 - com'erano graziose nel canestro della monarchia! Dopo tre mesi gli Alleati erano tornati da vincitori e la Francia li aveva accolti ancora una volta come una sartina che si butta fra le braccia di un ruffiano: addio, amabile finzione. Lasciatemi dire che le condizioni, que­sta volta, saranno atroci. Saremo occupati, smembrati, dissanguati, violentati... Parlo delle signore.

D'Anouville                  - Credete che non abbia pensato a tutto questo?

Fouché                          - Probabilmente sì, ma se ne frega. La Francia non è mai stata affar suo. Lui lavora per la casa Bonaparte.

D'Anouville                  - (ferito) Siete cattivo.

Fouché                          - (sorride) E voi troppo buono, mio caro luogo­tenente. Questo spiega la vostra presenza qui. Non avete avuto il tempo di conoscerlo.

D'Anouville                  - (aggressivo) E la vostra?

Fouché                          - La mia che?

D'Anouville                  - La vostra presenza qui, come la spie­gate?

Fouché                          - (con dolcezza) È una storia non adatta alla vostra età. Non voglio rovinare prima del tempo le vostre buone disposizioni. Mi piace che la gioventù abbia idee generose; come tutti gli uomini di Stato, del resto. Sen­za gente come voi, non ci seguirebbe più nessuno... Tutte le nostre belle decisioni cadrebbero nel vuoto! Sarebbe doloroso.

D'Anouville                  - (sprezzante) Seguirvi in tutte le dire­zioni?

Fouché                          - No. In una sola direzione per volta. E quan­do si cambia, si trova un'altra gioventù ugualmente in­vaghita d'assoluto. Di un altro assoluto. Ce ne sono molti. Ma entriamo nel palazzo a togliere i gigli dai vasi. Quel profumo rischierebbe di dargli fastidio... Voi mi siete molto simpatico. E ho amato la Signora vostra madre che d'altra parte non ha mai ricambiato...

D'Anouville                  - Permettete che mi feliciti con voi, si­gnor Fouché.

Fouché                          - (sorride) È una vecchia faccenda... Ero an­cora oratoriano. Ma è cosi, potete insultarmi. Mi piace che la gioventù mi insulti. Questo mi assicura del mio senso politico. Servite l'Imperatore, mio piccolo cheru­bino. Fra due mesi, due mesi e mezzo forse, vi farò un cenno. Per tempo.

D'Anouville                  - Spero di dispensarvi da questa incom­benza, signor Duca. L'Europa ci sta rovinando addosso a dieci contro uno. Fra due mesi, due mesi e mezzo, ci sono molte probabilità che io sia morto. Nel vero senso.

Fouché                          - Che parola grossa per una cosa tanto brut­ta! Non bisogna morire, giovanotto. Bisogna perdurare. È molto più originale. Soprattutto in un paese come il nostro... Dopo ogni catastrofe politica, in Francia, c'è sempre qualcosa di ameno da osservare nel comporta­mento degli uomini. (Sono entrati nel Palazzo. La Sen­tinella si rialza, presenta le armi. Entra Napoleone, se­guito da Roustan e dal Maresciallo, sgargiante)

La sentinella                  - (grida dopo una impercettibile esitazione) Viva l'Imperatore!

Napoleone                     - Bene, mio valoroso. Il tuo grido è scatu­rito spontaneamente dal cuore, proprio come a me piace. Sei la mia prima sentinella parigina. Chi ti ha messo di guardia qui?

La sentinella                  - Il capitano delle Guardie del Corpo di Sua Maestà, Maestà. Il Signor Duca di Duras.

Napoleone                     - Non lo conosco. In ogni caso hai avuto un ottimo riflesso. Come ti chiami?

La sentinella                  - Dupont.

Napoleone                     - Ho conosciuto un Dupont a Eylau. Un va­loroso. Gli ho pizzicato l'orecchio sul campo di battaglia. Come vedi ho buona memoria. Riconosco sempre i vec­chi amici.

La sentinella                  - Doveva essere l'orecchio di mio padre, Maestà. O di uno zio. Sono del '13.

Napoleone                     - (contrariato) È la stessa cosa. Ti promuo­vo caporale. Maresciallo, prendete nota del suo nome. Puoi prepararti.

La sentinella                  - Chi prende il mio posto?

Napoleone                     - Nessuno. Io torno come un padre fra i suoi bambini. Non ho più bisogno di guardia. (La Sen­tinella presenta le armi ed esce. Il Maresciallo è assorto davanti alle sue tavolette)

Il maresciallo                 - Abbiamo dimenticato di chiedergli il nome di battesimo. Ho già annotato 113 Dupont dopo Gre­noble. Senza contare i Durand. Sarà una promozione un po' complicata e forzatamente un po' lenta... o saranno tutti caporali. (Napoleone ha fatto un cenno a Roustan che piega il suo sgabello da campo in cuoio)

Napoleone                     - La Francia è paziente, Maresciallo.

Il maresciallo                 - Voi non entrate, Sire?

Napoleone                     - Non subito. Bivacco. Aspetto che faccia­no pulizia. Sembra che Luigi XVIII occupasse la mia ca­mera... Poiché se n'è andato un po' precipitosamente, non ci tengo a vedermi davanti le sue vecchie pantofole coi gigli... Che mancanza di tatto per un uomo di tale educazione! Dormire nel mio letto fin dalla prima sera!

Il maresciallo                 - Quel letto era stato in precedenza il letto di suo fratello, Maestà.

Napoleone                     - Errore. Io detestavo lo stile Luigi XVI. L'ho fatto cambiare: era un letto firmato Fontaine e Percier. Un letto Impero. Con le sfingi. Si saranno stu­pite non poco nel vedere quel buonuomo obeso che si ar­rampicava al mio posto.

Il maresciallo                 - Ci vuole ben altro per stupire le sfin­gi, Maestà. Ne hanno viste di peggio da allora.

Napoleone                     - (lo guarda dal disotto) Non sì ha più di­scernimento, a quanto pare! Rimpiangete forse di non a-vermi arrestato, come avevate promesso a Luigi XVIII?

Il maresciallo                 - Non rimpiango mai niente, Sire. Guar­do avanti. A caso, d'altronde.

Napoleone                     - Mi sono presentato ai vostri uomini; ho gridato loro: «Tirate sul vostro Imperatore» aprendo la mia redingote (con gesto superfluo, ne convengo). Biso­gnava comandare : « Fuoco ! »

Il maresciallo                 - I miei uomini non avrebbero sparato. Sapevano che avevate fatto lo stesso gesto a Lione. Non volevano strafare di fronte ai loro camerati. E poi non era più possibile ormai. Vi avevo rivisto.

Napoleone                     - (sì alza con passione, grida immediatamen­te) Parlate di me come se fossi una donna! Non mi piace tenere in pugno la Francia col solo fascino dello sguardo. Non posso comparire e pizzicare l'orecchio a tut­ti per piacere come una puttana. (Grida) E l'Imperatrice Reggente? E mio figlio re di Roma? E la missione del Senato conservatore? Nessuno ci ha pensato in mia as­senza! Eppure era chiaro!

Il maresciallo                 - Non c'eravate più voi.

Napoleone                     - (contempla repentinamente le Tuileries con odio, mormora) A lui è bastato apparire dieci me­si fa, obeso com'è, dimenticato da diciannove anni, sen­za avere mai vinto una sola battaglia; e senza essersi data la pena di suscitare il più piccolo movimento di en­tusiasmo popolare. Vecchia razza! Avete ragione, Mare­sciallo. È il suo palazzo. E ci ritorno come uno scassina­tore, per la seconda volta. Entriamo. (Entra rapidamente alle Tuileries, seguito dal Maresciallo e da Roustan. Il muro si solleva, ci si trova nella camera di Luigi XVIII dove l'aspettava Fouché. Una persona di servizio termi­na di spazzare in un angolo un mucchio di immondizia. Napoleone cammina avanti e indietro impaziente, Fouché attende)

Napoleone                     - Cosa spazza quell'uomo?

Fouché"                         - (negligentemente) Le vecchie carte confiden­ziali della corona, Sire. È possibile che all'ultimo momen­to, nella fretta, non si siano trovati i fiammiferi.

Napoleone                     - Le avete lette?

Fouché                          - Certamente.

Napoleone                     - (sorride) Che domanda stupida. Ai miei tempi, quando rientravo inopinatamente, vi trovavo sem­pre seduto per terra davanti al cestino.

Fouché                          - (sorride anche lui) Una volta sola, Sire, e mi è servita di lezione. Mi avete scacciato a calci.

Napoleone                     - E vorreste farmi credere che non avete più ricominciato?

Fouché                          - No, Sire. Non tenterei mai di farvi credere una cosa simile, perdereste tutta la confidenza che avete in me. Frugare nei cestini era il mio mestiere, in quanto ministro della Polizia. Dopo quella bravata, ho preso mag­giori precauzioni, ecco tutto.

Napoleone                     - (guardando l'uomo che esce spazzando il mucchio di cartaccia) Niente di interessante là dentro? Ne siete sicuro?

Fouché                          - Tutto ciò che era interessante ce l'ho in ta­sca. Per il servizio di Vostra Maestà.

Napoleone                     - (quando l'uomo è uscito) Fate vedere.

Fouché                          - (estrae delle carte da una tasca, poi si ricrede) No. Non questa! Scusate.

Napoleone                     - (lo afferra al polso, brutalmente) Si! Pro­prio questa, signor duca d'Otranto! È la tasca del vostro servizio. Quella del mio mi interessa molto meno, è certo.

Fouché                          - (lagnoso, il polso distorto) Maestà! questi gio­chi brutali son fuori posto. Non sono più adatti alla no­stra età! Io non ho forza fisica. E ve ne approfittate.

Napoleone                     - Certamente! Ho dovuto approfittare di tut­to nella mia vita. Non sono nato sul trono, io!

Fouché                          - (abbandonando le sue carte, con astio) Ah! Luigi XVIII non si sarebbe comportato cosi! Si ha un bel dire ma la legittimità...

Napoleone                     - (sarcastico) È vero. Ma noi siamo fra pezzenti, caro signor duca. Già lo rimpiangete, il vostro re? Eppure avete fatto ghigliottinare il precedente, se ben mi ricordo.

Fouché                          - (grattandosi il polso, contrariato) Vi faccio notare che con un uomo come me voi non saprete mai se ho finto di sbagliare tasca per trarvi in inganno.

Napoleone                     - (che è andato tranquillamente a sedersi per leggere le carte) State tranquillo. Lo saprò. Le frughe­rò entrambe, mi conoscete. (Ha un'esclamazione) Ma è interessantissimo, Fouché! Venite a vedere.

Fouché                          - (avvicinandosi, col broncio) L'ho già letto. Quale tasca?

Napoleone                     - Quella giusta, sicuramente!

Fouché                          - (leggendo sopra la spalla, in tono lamentoso) Si, era quella giusta.

Napoleone                     - (leggendo) Un elenco delle persone sospette, con la data di tre settimane fa! La duchessa di Saint-Leu, Madame Hamelin, Carnot, Regnault de Saint-Jean-d'Angely, Lavalette, Montalivet, dodici senatori. È una lista completa di proscrizione: ci sono tutti quelli che preparavano il mio ritorno. Tre settimane fa Luigi XVIII già sapeva! E non ha fatto niente! Il balordo! Con me, tutta questa bella gente finiva nei fossati di Vincennes, la resistenza veniva spenta al primo accenno e io non sa­rei tornato! (Ha un'esclamazione) Ah, avrei voluto essere al suo posto!

Fouché                          - (calmo) Ci siete, Sire.

Napoleone                     - (inseguendo un pensiero) Chi gli avrà pro­curato questo elenco?

Fouché                          - Probabilmente non Io sapremo mai. (Chiede con una certa fretta) Avete letto l'altro documento?

Napoleone                     - (che sta esaminando la lista, grida improv­visamente) Ditemi un po', Fouché.

Fouché                          - Sire?

Napoleone                     - Voi non ci siete.

Fouché                          - (un po' sconcertato) Forse Vostra Maestà ha letto male. (Napoleone tende la carta in silenzio)

Fouché                          - (con un gesto) Che stupido, ho dimenticato gli occhiali.

Napoleone                     - È scritto in grande. (Fouché legge atten­tamente la lista, avvicinandola molto)

Fouché                          - Ci sono due nomi, uno sull'altro.

Napoleone                     - Lamarque, su cui hanno scritto Lemar-chand. Nessuna F. Anche cercando bene, è sempre un'al­tra L.

Fouché                          - (constata in tono lamentoso) Neanche una F! È una dimenticanza che non mi spiego.

Napoleone                     - (lo considera, beffardo) Che ne dite, si­gnor Ministro della Polizia? Questo tipo di deduzione vi è familiare.

Fouché                          - Dico che è piuttosto seccante. Sono stato con­siderato come una quantità trascurabile. Vostra Maestà dovrebbe avere la carità di non insistere.

Napoleone                     - (freddo) Contateci. Vi faccio arrestare. (Suona, tirando una cordicella)

Fouché                          - (calmo) Non il campanello, Maestà. Siamo appena arrivati. Risponde ancora il personale di Luigi XVIII. (Compare un usciere)

Napoleone                     - E voi chi siete?

L'usciere                        - Il primo Usciere della Camera del Re, Sire.

Napoleone                     - Chiamate il capitano delle guardie.

L'usciere                        - (molto dignitoso) Il signor duca di Duras è in viaggio, Sire.

Napoleone                     - (spazientito) Chiamate il primo soldato che vedete dalla finestra e fatelo salire! (L'Usciere esce. Napoleone cammina avanti e indietro in silenzio)

Fouché                          - (dolcemente) State commettendo un gesto sconsiderato, Sire. Voi avete bisogno di me, siete indi­feso. (Entra la Sentinella)

Napoleone                     - Ah, è Dubois! Il mio vecchio compagno di Wagram.

La sentinella                  - Dupont, Maestà! D'Eylau. Insomma... suo figlio.

Napoleone                     - (rettifica, contrariato) Dupont. È la stessa cosa. (Indica Fouché) Arresta quest'uomo. Conducilo al corpo di guardia. Hai ancora un sergente?

La sentinella                  - Oh, si, Maestà! Io sono il suo unico soldato, stiamo sempre insieme.

Napoleone                     - Consegnagli il prigioniero e digli che ne è responsabile, pena la testa. (La Sentinella va a mettersi, con rumore d'armi, vicino a Fouché, che alza le spalle ed esce precedendolo. Napoleone ritorna al mucchio di carte che legge febbrilmente, lanciando di tanto in tanto delle esclamazioni. Improvvisamente, grida) Oh, guarda! Fouché! Venite a vedere! (Si guarda dattorno e chiama ancora. Suona. Entra D'Anouville)

Napoleone                     - Voi chi siete?

D'Anouville                  - (sull'attenti) Luogotenente D'Anouville, 2° bersaglieri

Napoleone                     - (felicemente sorpreso) Esiste ancora il 2° bersaglieri?

D'Anouville                  - (arrossendo come una fanciulla, incantevo­le) Ci sono io.

Napoleone                     - (esclama subitamente rapito) Ah, come ha detto bene!... Ci sono io... Ah, Parigi, Parigi!... Da quando sono sceso dalla barca a Golfe-Jouan ho rivoltato come una calza sessanta comuni, ho riunito trenta reggimenti, fatto insorgere ovunque orde di contadini puzzo­lenti di cipolla e armati di falce, senza alcuna utilità tat­tica: ma tu, col tuo sorriso, tu mi riporti Parigi... Tu sei la mia armata, mio piccolo luogotenente. Faremo grandi cose assieme. Ti inonderò di gloria! (Gli tira l'orecchio, vezzoso, e gli chiede) Gli vuoi molto bene, tu, all'impe­ratore?

D'Anouville                  - (sprofondando per l'emozione, ma senza nien­te di ridicolo, soltanto molto giovane) Sire, voglio mo­rire per voi !

Napoleone                     - (senza ironia) è una bella cosa, questa, è una bella cosa...

D'Anouville                  - Da giovane, al Liceo imperiale, dedica­vo i miei studi a voi. Vi offrivo i compiti di matematica come la mia vita           - ero poco portato ma rimanevo alzato per tutta la notte finché capivo...

Napoleone                     - (da vecchia diva) Delizioso... Delizioso... Lo scolaretto del Liceo imperiale che offre la sua vita, in bella copia, all'imperatore. Un bel tema di canzone per Bé-ranger! Bisogna che glielo faccia dire. Faremo grandi cose assieme, mio caro; ti inonderò di gloria! (Constata, improvvisamente freddo) Del resto, ve l'ho già detto.

D'Anouville                  - (vicino a svenire) Oh, Sire! morire per voi...

Napoleone                     - (ha ancora un gesto gentile, ma sta già pen­sando ad altro) Vedremo, vedremo...

D'Anouville                  - Marciare ancora chilometri e chilometri nella notte e nel freddo, con un braccio ferito, come in Russia; vegliare sul vostro sonno, aspettare che vengano a uccidervi, essere ucciso al vostro posto e voi magari non vi svegliate nemmeno essere punito da voi ingiu­stamente perché tutti si sono dimenticati di dirvi il mio nome, e non lamentarmi mai!...

Napoleone                     - (distratto) Molto bene. Molto bene. Tutto ciò deriva da onesti sentimenti. (D'improvviso, passa ri­solutamente ad altro argomento) Mah! Dov'eravamo ri­masti? Avevo chiamato Fouché. Questo palazzo è pieno di imprevisti. Voi chi siete?

D'Anouville                  - (un po' sbalordito, rimettendosi sull'atten­ti) Luogotenente D'Anouville, 2° bersaglieri.

Napoleone                     - Già, è vero. Il corpo a cui appartenete, luogotenente, sarà ricostruito nel più breve tempo. Dite al Maresciallo di tornare da me appena avrò licenziato il duca d'Otranto. (Si volta e si allontana) Ditegli anche che vi ho promosso capitano.

D'Anouville                  - (cortesemente) Sire, non mancheranno le occasioni per dimostrare del coraggio. Preferirei di­ventarlo dopo un'azione strepitosa.

Napoleone                     - (si volta un po' stupito) È già un'azione strepitosa essere il primo.

D'Anouville                  - (chiaro) No. È soltanto una grossa for­tuna. Vorrei poter offrire al mio Imperatore qualcosa di meglio che un felice concorso di circostanze. (Napo­leone lo considera freddamente, in silenzio, come sgra­devolmente sorpreso)

Napoleone                     - (in altro tono) Ragionate con rigore, questo è bene. (Un momento di silenzio, poi aggiunge) Anche se nel corso del mio regno ho potuto notare che solo con la teppaglia si combina qualcosa di buono. Soltanto con loro ci si può intendere. Guardate Fouché, l'ho appena schiaffato in galera per tradimento e ho già bisogno di lui. (Guarda ancora D'Anouville diventato gelido) Reste­rete luogotenente, ragazzo mio. (Aggiunge, stizzoso) E poiché volete giocare ai soldatini con me, vi prevengo che ci vorrà molto tempo prima che diventiate capitano.

D'Anouville                  - Non chiedo nulla.

Napoleone                     - (contrariato) Questo mi fa orrore! Mi piace comprare, quando ne ho voglia. La coscienza non serve a nulla. Negli ultimi tempi i marescialli, per parte­cipare a una campagna, mi chiedevano quattrini; chi cin­quecentomila franchi, chi un milione, come gli attori che hanno un cachet esorbitante. Questo mi piaceva, Mi dava sicurezza. Gli permettevo persino di fare statue per il po­polo, che ha bisogno di storie in immagini. (Improvvisa­mente eccitato, chiede) Credete che quel pidocchio di Luigi XVIII sia stato più generoso, quando loro sono pas­sati dalla sua parte?

D'Anouville                  - I vostri marescialli sono degli eroi e dei patrioti, Sire, e se essi hanno creduto di dover giudicare in coscienza e onestà...

Napoleone                     - (gridando irritato) Vi ho già detto che la coscienza mi fa orrore! Finisce sempre per mettere in im­barazzo chi governa. Mi piacciono gli eroi che mi temo­no e che si fanno pagare a caro prezzo. Ciò mi rassicura. Gli uomini disinteressati non hanno mai prezzo. (Sorri­de rassicurato) No. Il grassone non può averli pagati più di me. Non aveva un soldo. Si saranno venduti in cambio del diritto di conservare quello che io gli avevo regalato. Li ha avuti con lo sconto. Come il mio letto! (Cammina un poco, inseguendo un pensiero) Un paese della cucca­gna, la storia di Francia. Per questo io l'amo, in blocco. Da quel piccolo tartufo di Robespierre fino al connestabile di Borbone! (Si è messo a camminare a passi pesanti nella camera, volgendosi prestamente con grazioso volteggio del piede, le mani dietro la schiena e il ventre proteso in avan­ti) Caro luogotenente, ce l'ho di nuovo in mano, la Fran­cia!       - (Declama, camminando) O Corso dai lisci capelli, com'era bella la Francia al sole di Messidoro, una cavalla selvaggia e ribelle... (Si ferma) Fatemi venire in mente chi è quell'imbecille che ha scritto questi versi.

D'Anouville                  - Barbier, Sire.

Napoleone                     - Barbier! Strofette. L'ispirazione gli è venu­ta un po' troppo presto a quello li! Bisognerà che pensi a lui domattina nel caso non si fosse salvato quando avrò un ministro di polizia che non sia in prigione.

D'Anouville                  - (un po' triste) Vostra Maestà intende fare un'epurazione?

Napoleone                     - (colpito) Epurare! Ecco una parola a cui non avrei mai pensato. (Considera D'Anouville) Non man­cate di talento, ragazzo mio. Peccato che abbiate la testa fra le nuvole, mi sarei servito di voi. Finora si è sempre parlato di repressione. Ma la parola era troppo sincera. (Rimugina la parola con trasporto) « L'epurazione ». Ha in sé qualcosa di igienico. È una trovata ! Avete una tavoletta? (D'Anouville gliene tende una) Prendo nota del termine. (Ripete, con trasporto) « L'epurazione ». (Gli viene un'idea) E purga no? No, sa di sporco, sa di colica. (Ripete, sod­disfatto) « L'epurazione ». E già che ci sono, prendo nota anche dell'imbecille. Come avete detto che si chiamava? Barbier. (Prende nota, poi si ricrede e cancella). No. Tan­to è lo stesso! Non incomincio l'elenco degli epurati con il nome di un letterato. Hanno già la tendenza a conside­rarsi più importanti di quel che sono. Lo metterò in una carretta di attori o di magistrati. Vediamo un po'. Chi do­vrei far fucilare prima, secondo voi? I marescialli?

D'Anouville                  - Avevano aderito tutti al nuovo regime, Sire.

Napoleone                     - È giusto. E d'altronde sono tornati tutti con me, come un sol uomo. Mica stupidi!... E poi ho biso­gno di loro, stiamo per combattere. Sarebbe una cattiva idea. (Esclama) Tutti. Salvo Marmont! Ha seguito il gros­so a Gand. (Scrive con trasporto) Ah! Ecco il primo nome. Il duca di Ragusa. Lo chiamo col suo titolo: il popolo adora queste cose. Gli piacciono i condannati a morte che hanno tanti nomi. E poi? (Cerca) Talleyrand? Bene. Ma non farà impressione a nessuno. Ci sono già stati perlomeno tre regimi che volevano fucilarlo. (Cerca ancora e con se­verità) Insomma, c'eravate anche voi, porco cane, quan­do i Borboni sono tornati! Vi chiedo il nome dei collabo­ratori!... Avete un'opinione o non ne avete?

D'Anouville                  - (deciso) A questo proposito neanche una, Sire. Ho un solo sangue da offrire: il mio.

Napoleone                     - (lo guarda disgustato) Idealista per di più!... Decisamente, siete fortunato che non ho altri a portata di mano. Parlare da solo mi fa orrore. (Esclama) Allora, la clemenza di Augusto... Ci credete a queste cose, voi? (Si mette a declamare, enfatico) « Prendi una sedia, Cinna, e avanti ogn'altra cosa... ».

D'Anouville                  - Credo che si debba rifare la Francia, Si­re, facendola unita. L'Imperatore non può comportarsi co­me il capo d'un partito.

Napoleone                     - Caro amico, non siamo a teatro. O meglio, si, ci siamo... ma non nella tragedia, nel melodramma, co­me al boulevard du Tempie. Quanto a me, sono l'attore di un dramma storico. Ho recitato per tutta la Francia, io ! Per la Francia delle baldracche che si commuovono sen­za capire niente, e degli operai che sbraitano cosi volen­tieri contro il traditore, in loggione,, dopo una scena di sangue. Non per una piccola élite di raffinati. Ho un de­bito verso il pubblico. Il vostro Luigi XVIII, lui si potè ritornare con la sua corona e il suo pancione dopo dician­nove anni di regno fittizio e dire: « Dimentico tutto ciò che è accaduto prima del mio ritorno ». Compresa la mor­te di suo fratello. Fu una cosa nobile. Ma era un effetto un effetto andato a vuoto del resto, nessuno gli fu gra­to buono per la legittimità. (Pensa) Mio figlio quel biondino che sa un poco di Asburgo potrà forse, se le cose si mettono a posto, avere nel suo regno una parte di questo genere... (Esclama, nostalgico) Ah, avrei voluto es­sere mio figlio! Sarebbe stato tanto più semplice... (Si ri­prende, duro) Io invece mi sono fatto da solo, mi sono rim­boccato le maniche, e da me ci si aspetta un altro perso­naggio. Avrete notato che i grandi attori vi propinano sem­pre la stessa solfa. Si sono fatti apprezzare in una certa parte e devono continuare. Altrimenti, addio successo! Vo­glio essere terribile. Come dopo l'esecuzione del piccolo d'Enghien! Voi siete troppo giovane... (Esclama, avidamen­te) Se aveste sentito il silenzio di Parigi! Si sarebbe sen­tito volare una mosca. Amo il silenzio della paura. E loro pure. La Francia schiamazza sempre per la libertà ma non è capace di usarla. È felice soltanto quando le si stringe il sedere. Se quell'imbecille di Luigi XVI avesse capito... Ma dopotutto è un'altra faccenda!... (Continua a pensare) Però c'è una sfumatura. L'imperatrice non torna subito, e neanche il re di Roma. Non voglio rifare la corte. I miei fratelli sono crollati come re da carte da gioco quali erano. Li lascio per terra. Ora voglio giocare la carta del­la Rivoluzione. (Esclama, allegro) Questa è un'idea, gio­vanotto!... È il mio asso nella manica contro Luigi. Vede­te questo? Io sono ancora sui gradini di Saint-Roch. Sono il piccolo generale magro venuto dalla truppa, dei tempi di Tolone. E li tengo in pugno         - come voglio. (Aggiunge) E poi, come dice l'imbecille, ripresa fra le mani la giu­menta... Crac! (Fa un gesto significativo. Si mette a ride­re. Si ferma vedendo D'Anouville gelido) Mi piacciono i confidenti che ridono quando rido io. Voi non ridete?

D'Anouville                  - (triste) No, Sire. Aspettiamo da voi la gloria e il sangue. Non degli accomodamenti.

Napoleone                     - (lo squadra, ostile) Decisamente siete trop­po stupido! Andate a cercare Fouché!

D'Anouville                  - (rigido) Dove si trova il signor duca d'Otranto?

Napoleone                     - È in camera di sicurezza, sta acchiappan­do le pulci. L'avevo fatto arrestare. Riconducetelo. Lo metto agli arresti qui, per averlo sottomano. Almeno con lui si può parlare. (D'Anouville saluta ed esce. Napoleo­ne suona. Appare Roustan) Roustan, il Maresciallo è di là? Fatelo entrare. (Napoleone prende una presa di tabacco, pensando. Roustan, che è uscito senza dire una parola, introduce il Maresciallo)

Napoleone                     - Maresciallo! La lista degli epurati è pron­ta. Ho bisogno di voi.

Il maresciallo                 - (sorpreso) L'epurazione?

Napoleone                     - (con trasporto) Si. È una parola nuova scoperta da me. Repressione non rientra più nel nuovo corso. Ritorno dall'isola, voi capite, dove sono rimasto vergine e c'era la ragione! per vendicare la Fran­cia contro coloro che si sono consegnati a un governo al soldo dell'occupante. È chiaro!

Il maresciallo                 - Ci sarà molta gente. L'adesione alla Carta è stata pressoché generale.

Napoleone                     - I colpevoli saranno quelli che noi indi­cheremo. Questo conforterà gli altri che si sentiranno immediatamente al sicuro. Ecco ciò che io chiamo unio­ne. L'unione nello scampato pericolo. Vediamo un po', nell'armata... Ragusa l'ho già segnato. Voi avete qualche idea?

Il maresciallo                 - Mi riuscirebbe sgradevole fare il no­me di compagni, Sire. E di subalterni ancora di più.

Napoleone                     - (seccamente) Bene. Capisco. Mi rivolgerò a un semplice colonnello. Soltanto chi aspetta un posto mi può servire bene... (Cammina) Del resto estenderò il si­stema. Chiederò a un pittore fallito, preferibilmente del­l'Istituto di Belle Arti, nomi di pittori. A uno scrittore, nomi di scrittori, a un professore rimasto povero una li­sta di insegnanti, a un piccolo sostituto che si lamenta chiederò di darmi dei procuratori. In tal modo sono si­curo di avere dei nomi!

Il maresciallo                 - Nomi di gente di talento, Sire. Basta che lo vogliate. E farete decapitare il paese.

Napoleone                     - (seccato) Fanno impressione, eh, le teste!... Mi seccate anche voi. Potete uscire. (// Maresciallo esce, incrociando Fouché che D'Anouville sta riconducendo)

Il maresciallo                 - Non siete più agli arresti?

Fouché                          - No. E voi? Non ancora?

Il maresciallo                 - (uscendo) Ah! Speriamo che si torni presto a combattere. Chi ci capisce qualcosa? (È uscito. Napoleone alza le spalle, a Fouché)

Napoleone                     - È capace solo di stare in retroguardia, co­me in Russia, con un fucile in mano, a lare il marmittone. Ma ci vogliono anche quelli fatti cosi. Venite avanti, Fou­ché. (Fouché viene avanti, calmo) Ho detto un giorno a Talleyrand che era una specie di merda in una calza di seta. Talleyrand era un signore        - un vero signore         - non di quelli fatti da me. Nel vostro caso, non c'è nem­meno la calza di seta.

Fouché                          - (dignitoso) Io vengo dal popolo, Sire. Ed è molto utile in questo momento. Se ho ben capito quel che mi ha detto il ragazzo sulle scale, ci sarà un nuovo corso.

Napoleone                     - (contento) Vi sembra buono?

Fouché                          - (sorride) è proprio quello che pensavo di proporre a Vostra Maestà se avessimo avuto il tempo di parlare seriamente. Ritorno l'uomo di Lione!

Napoleone                     - Lo sapete, voi che cos'è un'epurazione?

Fouché                          - (un po' volgare) Un po', Sire! Sulla place des Brotteaux, li ho fatti mettere in fila per dieci nel '93. E rrran !

Napoleone                     - (contento) Rrrran! Lasciateci soli, Luogo­tenente. Dobbiamo lavorare seriamente. (D'Anouville esce. Restano soli come due complici. Napo­leone offre una presa a Fouché)

Napoleone                     - (guarda un po' contrariato D'Anouville che esce e chiede) Perché sta sempre chiuso qui dentro quel ragazzo? Voi lo proteggete?

Fouché                          - È un fedele, Sire.

Napoleone                     - Me ne sono accorto. Nessun interesse.

Fouché                          - (continua) Ha una vera adorazione per la per­sona dì Vostra Maestà. Il primo che vi aspetta a palazzo è lui (Aggiunge, dopo una breve esitazione) E poi, a suo tempo ho conosciuto bene sua madre.

Napoleone                     - (l'occhio gli si illumina) Ah? Buontempone! (Gli offre un'altra presa) Quando gli affari urgono, bisogna distendersi i nervi. Vi prego. Adoro le storie sporche.

Fouché                          - (con un gesto) Questa ha un secolo. Ero anco­ra oratoriano.

Napoleone                     - (severo) Attenzione! Niente contro la re­ligione! Mi piacciono i racconti piccanti, come tutti i fran­cesi, ma non ammetto che si tocchi la religione!

Fouché                          - E nel nuovo corso?

Napoleone                     - Nemmeno ! La Rivoluzione, la madre di noi tutti, toccatela fin che volete. I grandi principi e le con­ferenze, pure: non sono pericolose e distraggono. Ma nien­te contro la religione! È troppo utile. La pago e la pro­teggo. Chi tiene il curato tiene la donna, chi tiene la don­na tiene l'uomo, nove volte su dieci.

Fouché                          - Allora tralascerò l'inizio che è nel gusto delle storie galanti del secolo scorso, che venne definito felice. Erano castellani del mio paese. Confessavo la madre e la figlia. Ma la figlia mi resisteva.

Napoleone                     - Capisco. Siete uno degli uomini più sporchi che abbia mai visto, Fouché!

Fouché                          - Non bisogna mai disperare, Sire. Devo dire che ero sinceramente innamorato della ragazza. È forse l'unica cosa sincera che abbia mai avuto in vita mia. La ritrovo in pieno Terrore a Lione, maritata naturalmente, e compromessa. Chiusi tutti e due nella più orrenda prigio­ne, quella da cui non si usciva più, lui col collo già tagliato a metà. Situazione classica. Io salvo l'uomo.

Napoleone                     - (scherzando ignobilmente) E fate pagare la donna !

Fouché                          - (con falsa afflizione) Per un incomprensibile er­rore del cancelliere, il nome dell'uomo era rimasto ugual­mente sulla lista del Tribunale rivoluzionario. Un con­trattempo amministrativo. Beninteso, la donna viene ri­sarcita. Le faccio rendere i beni. A Lione ero onnipotente. Nove mesi dopo, la donna partoriva un figlio postumo che mi sono accontentato di proteggere da lontano.

Napoleone                     - (sogghignando) Che storia atroce! Essere vostro figlio, Fouché! E la madre l'avete rivista?

Fouché                          - (un po' triste) No. Ero ridiventato brutto. Ag­giungete l'orrore di questa morte accidentale e dell'inutile sacrificio; non avevo nessuna speranza... Colmato di titoli e di beni, grazie alla cortesia di Vostra Maestà, ho avuto in seguito molte amanti. E benché io rimanessi sempre brutto, donne bellissime. Con qualche spicciolo di potere, un uomo, anche se è brutto, può scegliere. Tutta­via, quantunque la prima, ripensandoci a freddo, fosse una giovinetta abbastanza insignificante, voi avete grazie a questo curioso concorso dì circostanze un ministro di po­lizia che è positivamente rimasto pulzello, Sire. Non ho mai fatto all'amore.

Napoleone                     - (che lo considera, gelido) È una storia tri­ste. Non mi piace.

Fouché                          - (dopo un silenzio fra i due, stizzito) Indubbia­mente ho avuto torto di scoprirmi un po' davanti a Vostra Maestà, dicendovi per la prima volta qualcosa di vero sul mio conto.

Napoleone                     - (freddo) Indubbiamente.

Fouché                          - (con l'ombra di un sorriso sulle labbra sottili) Ma devo aggiungere per riparare un po' alla mia dabbe­naggine per quel che mi è possibile che questa don­na era di origine creola e un'intima amica di Mademoi­selle Tascher de La Pagerie, prima ancora che questa spo­sasse il visconte di Beauharnais. Ho saputo da lei molte cose che sappiamo soltanto noi due, Maestà.

Napoleone                     - (lo guarda, sono due serpenti di fronte) Sappiamo troppe cose l'uno dell'altro, signor duca d'Otran­to. Soltanto, chi ha il braccio più lungo e migliore memo­ria sono io.

Fouché                          - (guardandolo a sua volta) Esatto, Sire. Ma i miei archivi, nel caso venisse meno la mia, sono in luogo sicuro.

Napoleone                     - (ha un gesto che rimanda a dopo la conclusio­ne) Va bene. Riprendiamo la conversazione al punto in cui l'avevamo lasciata prima della bella notizia di questa nascita. Non pensavate di chiedermi di fare da padrino al ragazzo?

Fouché                          - No, Sire. Ce l'ha già. Madame D'Anouville era amica intima anche del principe di Talleyrand, che ha ac­cettato di buon grado di tenere il bambino al fonte.

Napoleone                     - (amaro) Vedo che la rete è ben tesa.

Fouché                          - (disteso) Abbastanza, Sire. Per questo possia­mo riprendere, in assoluta libertà di spirito, il nostro pre­cedente scambio di opinioni.

Napoleone                     - (risoluto a dimenticare momentaneamente la cosa) Avete ragione. Torniamo ai nostri polli, Fouché...

Fouché                          - (sorridendo) Per tirargli il collo...

Napoleone                     - (alza un dito) E per spennarli! Terminata l'epurazione, faccio una nuova chiamata alle armi e metto nuove tasse. La guerra mi è imposta da un'Europa avida di sangue, Fouché! Mi devo difendere. La Francia ha bi­sogno di uomini, e di denaro!

Fouché                          - Come sempre.

Napoleone                     - (si avvicina) Allora si che potremo incomin­ciare a parlare seriamente. Spero che non ci abbiate pen­sato prima di me. Sembra che il Tesoro sia intatto.

Fouché                          - Ci ho pensato senz'altro. È sempre li che an­diamo a sbattere per prima cosa. Lo è, Sire! È inverosi­mile, ma lo è. E Vostra Maestà sa quel che ha fatto, par­tendo, il duca du Feltre, capo di Casa Reale? Ha preso dalle casse la somma necessaria al viaggio di Gand, non un soldo di più, e ha rilasciato una ricevuta per la Francia...

Napoleone                     - (scosso da un riso felice) L'imbecille!... Non fa neanche piacere lottare contro gente del genere... Vi vedete al loro servizio, Fouché? Ma vi annoiereste da mo­rire, per quel che vi conosco!

Fouché                          - (inseguendo un pensiero) Chi lo sa, Sire! Co­me tutte le canaglie che invecchiano nell'agiatezza, devo confessare a Vostra Maestà che in fondo al mio cuore c'è qualcosa che assomiglia a una nostalgia dell'onestà. Forse questo giovane ritrovato, che ricorda la mia giovinezza.

Napoleone                     - (tornato freddo, lo interrompe) Nessuna no­stalgia con me, per favore, Fouché! Non è il mio genere! (Aggiunge, insidioso) Tanto più che, senza accorgervene, poco fa mi avete lasciato segnare un punto a mio favore. Quel giovanotto, se ho ben capito, non sa che suo padre siete voi. Sarebbe molto triste che lo venisse a sapere, no?

Fouché                          - (piegandosi e torcendo un poco la bocca, dice semplicemente) Bel colpo! Sono tutto vostro, Sire.

Napoleone                     - (sedendosi e prendendo le sue carte) Allo­ra approfittiamone! Non può durare molto. Cominciamo l'elenco dei fucilati. Voi i nomi li avrete, spero. (Si stro­piccia le mani)

Fouché                          - (ridendo) Un annuario, Sire! (Mentre incomin­ciano a lavorare, cade il sipario che rappresenta le Tuileries. La Sentinella riprende la guardia. Cammina avanti e indietro, mentre da lontano si sente il cannone. Brusca­mente il cannone tace. Un rumore di carrozza. La Senti­nella presenta le armi e grida come all'inizio)

La sentinella                  - Viva il Re!

Il sergente                     - (apparendo) Benissimo. Ma non gridatelo sempre... Con l'Imperatore, poteva andar bene anche ogni cinque minuti, faceva parte dell'atmosfera di entusiasmo che bisognava creare. Con i Borboni ri-ritornati e ben tornati, dal momento che ci sono i Russi e i Prussiani abbiamo molti secoli dietro di noi e forse davanti. Dun­que, adagino. Accontentatevi di presentare le armi, come prescrive il regolamento interno. (Lo passa in rassegna e aggiunge) Però mi farete lo stesso quattro giorni di con­segna per via del terzo bottone. (Esce)

La sentinella                  - (amaramente) E questo si chiama cam­biare regime! (Si alza il sipario delle Tuileries. Nella ca­mera, Fouché è sempre allo stesso posto, in piedi, ma se­duto al posto di Napoleone c'è Luigi XVIII)

Luigi                             - Signor Duca, la vostra lista di proscrizione non mi è gradita.

Fouché                          - Faccio rispettosamente notare a Vostra Mae­stà che se Ella avesse tenuto conto della prima lista che le ho fatto ufficiosamente sottoporre qualche settimana prima dei cento giorni Bonaparte non sarebbe ritornato alle Tuileries. Ho ritrovato questa lista nel cestino di Vo­stra Maestà.

Luigi                             - (con semplicità) Si. All'ultimo momento, nel trambusto della partenza, nessuno è stato capace di tro­vare dei fiammiferi. Le avete spazzate via le mie carte?

Fouché                          - Ho fatto un sopraluogo nella camera di Vostra Maestà, per prudenza, e ho messo in salvo tutto ciò che presentava qualche interesse. Questi documenti, gelosa­mente custoditi, sono a disposizione di Vostra Maestà.

Luigi                             - (con semplicità) Bene. Abbiate la compiacenza di rimetterle nel cestino, Signore. C'erano.

Fouché                          - (eseguendo malvolentieri) Farò quel che il Re vuole. (Chiede, quasi inquieto) Vostra Maestà non mi chie­de se ne ho tenuta qualcuna per me, pensando che mi po­trebbe essere utile?

Luigi                             - (con semplicità) A che cosa? Mi sono presa la responsabilità di utilizzarvi, Signor Fouché, malgrado una solida opposizione dei miei più vicini collaboratori e di ammettervi nel mio ministero. Malgrado, anche, una repugnanza personale perdonatemi la parola che vi credo tanto intelligente da apprezzare. Ma il Re non si arroga il diritto di tener conto della repugnanza perdonatemi la parola ancora una volta, volete? che il conte di Pro­venza potrebbe avere per uno degli assassini di suo fratel­lo. Allo stato attuale delle cose, credo che possiate essere utile al paese con le vostre qualità e i vostri difetti. Può bastare. Il re di Francia non scende in particolari.

Fouché                          - Ringrazio rispettosamente Vostra Maestà.

Luigi                             - (reciso) I nostri rapporti saranno pratici. Fare­mo a meno anche dei ringraziamenti. Ma dal momento che vi utilizzo, vi incaricherò di una incombenza per voi insolita: quella della mia confidenza... Sarà completa, si­gnor Fouché. Direi addirittura infantile. Non vi nascondo che intendo mettervi in imbarazzo con questo sentimento cosi nuovo per voi. Vi ho chiesto di rimettere le carte nel cestino. Ci sono. Ci sono tutte, senza dubbio. Ora parlia­mo d'altro.

Fouché                          - (a disagio, persino un po' disarmato, immedia­tamente si fruga) Rimetto anche queste due, Sire, una dimenticanza. (Le getta nel cestino)

Luigi                             - (sorridendo) Bene. Come vedete, è un altro gioco. Basta imparare le regole. (Aggiunge sempre sorriden­do) Anche l'ultima, che senza dubbio avete conservato, non vi può servire a nulla, poiché questa volta sapete benissi­mo che sono ritornato per davvero sul trono dei miei padri. I nostri amici inglesi si stanno occupando di Bo­naparte ed è gente troppo seria per questo genere di cose. Non sono io a insegnarvelo. Non avete dunque altri pa­droni da servire, l'unico possibile sono io. Dovete ammet­tere che ciò semplifica molto le cose. (Fouché sospira e dopo un silenzio rimette nel cestino l'ultima carta. Luigi, sorride ancora e dopo una pausa riprende) Sono vecchio, signor Fouché. Quasi infermo. Sono ancora goloso, mal­grado la gotta, ma alle signore, ahimè, ho rinunciato da tempo. Non parliamo degli altri piaceri di questo mondo. Vi ero talmente avvezzo da piccino che, per contrasto sen­za dubbio, ne faccio agevolmente a meno. Ne ho viste di tutti i colori e ho pensato molto agli uomini, a letto, nelle camere d'albergo, in questi diciannove anni di vita erra­bonda, dove ho dormito cosi poco. Un re è disinteressato per essenza e per funzioni. Se ci facessimo della propa­ganda, come il vostro antico padrone, potremmo servirci di questi argomenti. Per me la cosa è ancora più semplice. Non lavoro nemmeno per mio figlio. Il Cielo non me ne ha dati. Il mio buon fratello vi faccio grazia del mio giudizio su di lui perché non vi riguarda non mi suc­cederà per molto tempo. È vecchio quanto me. I nipoti... Se Dio lo vorrà! E glielo chiedo sull'istante perché mi da­rebbe ugualmente fastidio che la torta dovesse tornare al duca d'Orleans... Da troppo tempo quella gente dimostra un desiderio vergognoso... Ammettiamo dunque, senza ubriacarci di parole grosse, come avevano una certa ten­denza a fare quei signori della Convenzione, che io non abbia alcuna ragione di non essere sincero quando dico che lavorerò, negli anni che ancora mi restano, per il be­ne della Francia e non per il mio. Se sarò riuscito a met­tere un po' d'ordine nella bottega prima di presentarmi a Dio, mi riterrò pago. Penso che voi siate vecchio quanto me; che abbiate tirato a lungo la carretta, in maniera dif­ferente, ma quanto me; che vi siate preso cura di arric­chirvi abbastanza perché ciò non vi diverta più, e che ab­biate potuto apprezzare la vanità degli onori e il sapore insipido del sangue... Perché dovrei dubitare, lo chiedo a voi, che possiate lavorare onestamente con me? In una vita cosi tumultuosamente riempita, vi restavano da assapo­rare le gioie del disinteresse e dell'onestà, questo supremo lusso, che finora vi è stato negato, per le vostre basse ori­gini e per le lotte che avete dovuto sostenere per supe­rare la vostra condizione... Sarà un fatto tanto nuovo per voi che    - (e mi direte se sono un ingenuo) ci ho messo una posta sopra, ecco tutto. Potete ingannarmi facilmente, si­gnor duca d'Otranto, non controllerò mai nulla, se non nei vostri occhi. La cosa sarà tanto semplice che può darsi non vi diverta nemmeno. Me lo auguro di tutto cuore e ci scommetto. Se mi accorgerò di avere sbagliato, provvede-rò. Riprendiamo le nostre faccende... Non mi piace la vo­stra lista di proscrizione. Enrico IV, entrando in Parigi, ha incominciato con l'abbracciare gli appartenenti alla Le­ga, dei quali aveva sul corpo tracce di daga non ancora cicatrizzate. Non si trattava della nobiltà di un'anima pura era Bearnese si trattava di buon senso e di sotti­gliezza. Rientrare in Francia e parlare di odio sarebbe, semplicemente, cosa da uomo poco intelligente. E da me­diocre uomo politico.

Fouché                          - Nondimeno... C'è il caso del Maresciallo, Mae­stà. Gli avete affidato il grosso delle forze. Aveva promes­so di riportarvi Bonaparte in una gabbia di ferro.

Luigi                             - (con un sorriso) È un Meridionale... E poi bi­sogna tener conto del sentimento. Il suo, per quell'uomo, era quasi femminile.

Fouché                          - L'opinione pubblica non capirebbe.

Luigi                             - (più grave) Questo forse è un argomento. Il mio sentimento personale deve passare in seconda linea, si­gnor Fouché. Non mi avete detto che è nascosto in Auvergne?

Fouché                          - Ho l'indirizzo.

Luigi                             - Gli ho fatto avere dei passaporti, uno per la Svizzera, l'altro per l'Olanda. Con due nomi! Poteva sce­gliere, perbacco!

Fouché                          - Ce li ha e perde tempo.

Luigi                             - Come sono sconsiderati gli uomini! Capisco che debba rimpiangere la Francia. Anch'io l'ho rimpianta. Ma sono le sue pantofole che lo condanneranno a morte. Sta­rebbe cosi bene in Isvizzera, invece di essere tradotto al­la Corte Marziale. Potrebbe occuparsi di orologeria, lui che non ha saputo leggere l'ora giusta sul campanile di Gre­noble.

Fouché                          - Se Vostra Maestà non dà l'ordine di arrestar­lo, non si parlerà di clemenza ma di debolezza.

Luigi                             - Io non sono debole, non voglio esserlo, non ne ho il diritto. Ma ho orrore del sangue. Tanto più che lo trovo inutile, e peggio ancora sciocco. Fategli ufficiosa­mente sapere che gli concedo ancora otto giorni per svignarsela. Le pantofole, dopo tutto, se le può portare dietro.

Fouché                          - Obbedirò agli ordini del Re.

Luigi                             - E poi, in definitiva, se farete bene il lavoro, nes­suno saprà che noi sappiamo dov'è.

Fouché                          - È vero, Sire. Ma se lo si venisse a sapere, stia­mo attenti a non perdere la reputazione.

Luigi                             - (sorrìdendo, gentile) Su questo punto, lo sape­te, non ho le stesse preoccupazioni di civetteria che aveva Bonaparte. Grazie a Dio, non sono su un palcoscenico, io. In ogni caso non recito a cachet. Ho una vecchia faccia, molto vecchia - che non mi sono fatta da me; ho meno ragioni di lui di aver paura di perderla. Per questo i re - l'uno nell'altro oserei dire - possono fare più tranquil­lamente il loro mestiere che gli usurpatori. Possono an­che permettersi il lusso di ingoiare qualche rospo senza esitare       - quando è necessario - come ho fatto io questa mattina... ciò che questi signori non possono permettersi. (Gli dice ancora) Avrete certamente un fiammifero sotto­mano, voi, per quel che vi conosco! Qui c'è un camino. Bruciatele dunque, queste carte; cosi non ci penseremo più. (L'Usciere bussa alla porta ed entra)

L'usciere                        - C'è il signor duca di Blacas, a cui Vostra Maestà ha concesso udienza.

Luigi                             - Fatelo entrare! (L'Usciere esce e introduce il duca di Blacas, che entra facendo tre riverenze. Luigi gli indica con grazia Fouché)

Luigi                             - Il signor duca d'Otranto, che senz'altro avrete riconosciuto, Giulio, benché se ne stia li carponi. Sta bru­ciando delle carte. (Il duca di Blacas si volge ostentata­mente verso la finestra)

Luigi                             - (a Fouché, congedandolo) Grazie, signor Duca, per questa bella fiammata. È molto allegra. Sorveglierò io stesso la combustione. (Con tre riverenze a ritroso, Fou­ché, dopo uno sguardo torvo a Blacas, esce dalla stanza) Ebbene, caro amico, eccoci qua di ritorno! (Gli indica con grazia una sedia, senza muoversi) Mi avete chiesto una udienza. Vi ascolto.

Blacas                           - (è uno spilungone enfatico e vano; grida improv­visamente) Sire, bisogna vendicare il sangue di San Luigi !

Luigi                             - (alzando comicamente le braccia al cielo) Abbia­mo tante cose da fare! (Ha un'idea improvvisa) Affidia­mole a San Luigi! Non trovate che sia un'idea? È più in­trodotto di noi per queste cose!

Blacas                           - (con un tremolio nella voce) Sire, il vostro au­gusto fratello è perito su un patibolo infamante e trovo un regicida che accende il fuoco accovacciato nel vostro gabinetto.

Luigi                             - (tranquillo) Il fuoco gliel'avevo ordinato io. S'è accovacciato perché i camini sono bassi. Ha votato la mor­te del Re, è esatto, assieme a trecento e più colleghi ed era nel mio gabinetto. Dirò di più: voi siete il primo del castello che lo viene a sapere, è cosa di stamani: è il mio ministro. Sedetevi dunque, Blacas, siete cosi alto che mi date le vertigini.

Blacas                           - (cadendo su una sedia, esangue) Sire, sono distrutto !

Luigi                             - (gentilmente) Mi dispiace di non potervi pren­dere alla lettera, amico mio. La distruzione sarebbe la so­luzione ideale...

Blacas                           - (che ruota i suoi occhi rotondi) Non capisco quel che il Re vuol dire. Ma, Sire, io rappresento qui l'emi­grazione e la fedeltà. Eravamo con voi a Mittau e a Coblenza, eravamo con voi a Londra! Cosa conta di fare il Re per noi?

Luigi                             - (sempre gentilmente) Essere ingrato.

Blacas                           - Sire, non voglio credere che abbiate cuore di canzonare un vecchio servitore che pure in altre occasio­ni avete voluto chiamare amico.

Luigi                             - (sorridendo, gentile) Nello stesso istante, Bla­cas...

Blacas                           - (ricomincia) Sire, noi siamo rientrati in Fran­cia pieni di speranza, dopo questo lungo incubo!...

Luigi                             - (interrompendolo) Anch'io. Ma io, mio caro, mi sono trovato d'un tratto con la corona in testa. Notate che non me ne lamento. Amo molto la corona, ha un sapore di pane.

Blacas                           - (soggiogato dal passaggio) È di pane che vengo a parlarvi. Sire! Del pane dei nostri figli!

Luigi                             - (ridendo) Ah! ah! Rieccoci a Versailles! Quando si va dal Re, gli si chiede del denaro!

 Blacas                          - Solo il denaro nostro, Sire, e giustizia! Cosa conta di fare il Re dei beni degli emigrati?

Luigi                             - (dolcemente) Blacas, se io fossi un semplice gentiluomo, credetelo pure, sarei senz'altro un vecchio pazzo come voi. Anch'io sono uomo d'altri tempi. Ma non posso essere il Re di quel pugno d'uomini che mi è stato fedele         - fedele a me o al loro odio    - non ho mai voluto fare distinzioni esatte. Non sono il Re della gente di Lon­dra. Sono il Re di milioni di uomini che, volenti o nolenti, sono rimasti qui e che in un modo o nell'altro sono stati costretti a venire a patti con ciò che gli cadeva addosso. L'emigrazione era ugualmente un lusso. Ve ne siete fatto un titolo di gloria. Ammettiamolo. Ma se in Francia non ci fosse rimasto più nessuno, convenite che sarebbe stato molto seccante.

Blacas                           - (toccato) Tutti quelli che sono rimasti hanno tradito, più o meno.

Luigi                             - (con un gesto) Hanno vissuto. E ciò non è sem­pre comodo. Qualunque cosa abbiano potuto fare, quelli che sono rimasti in questi diciannove anni, che per noi furono soltanto un intermezzo, sono stati in quel periodo la Francia. Ecco di chi sono il Re. Ed ecco per chi io mi accingo a lavorare.

Blacas                           - Devo pensare, Sire, che non renderete agli emi­grati i loro beni?

Luigi                             - Si. Lo deploro, ed è probabilmente ingiusto, ma l'efficienza è sempre ingiusta. Non lo farò. La sola cosa sulla quale non si scherza in Francia, Blacas, è il salvada­naio. Se chiamate alle armi il più giovane dei loro figli, i Francesi sono sempre pronti a gridare: "Possa morire per la patria" con la mano irrigidita lungo i pantaloni... Ma se accennate a toccarli nella borsa, tutto cambia! In qua­le giorno credete che sia iniziata la Repubblica? Tutta la Francia era monarchica nel '92. Dal giorno in cui hanno osato acquistare beni nazionali. Quel giorno la Francia era imbarcata. Il salvadanaio era a bordo! La Ragion di Stato vuole dunque che chi ha acquistato i beni nazionali possa dormire tranquillo.

Blacas                           - (si è alzato mugolando) L'Europa legittimista si coprirà il viso!

Luigi                             - (calmo) Farà bene. Non è bello da vedere. At­tendo, dopo di voi, gli ambasciatori dei miei buoni fratel­li, i sovrani di Russia, d'Austria e di Prussia. Vengono a fare i conti. Bisognerà discutere animatamente, ve lo giu­ro! Cavillerò sulle requisizioni di uomini e di denaro. Met­tersi a quattro zampe e non cedere sulle nostre riserve di grano, aggrapparsi con le unghie alle pietre delle piazza­forti. Tutta quella gente vuole un pezzetto di Francia per arrotondare un po' i loro pingui Stati. La Polonia gli ha fatto venire appetito.

Blacas                           - È legittimo che per gli immensi servizi resi...

Luigi                             - (improvvisamente incollerito) Ma cosa mi rac­contate? Niente è legittimo! Mollare il meno possibile, usando qualsiasi mezzo. Solo per questo li vedo. Mi fanno ridere quegli imbecilli di Giacobini col loro furgone degli stranieri. Ah, quelli là quando trovano una formula! Ho viaggiato aggrappato alle molle del loro furgone come un facchino, perché era il solo mezzo di trasporto, saltan­do giù in corsa appena varcata la frontiera. Pazienza, mio grande Blacas! Sono gentiluomo, ma non farò come Lui­gi XV ad Amiens. Agirò come un grosso sensale. (Si stro­piccia le mani) Sono commosso! Fare la canaglia per qualche minuto, a fin di bene, non fa mai male. Non ca­pita tanto spesso nella vita di un re.

Blacas                           - (indignato) Il Re mercanteggerà con gli alleati?

Luigi                             - (volutamente volgare) E come! Sapete cosa ave­vano progettato i miei buoni fratelli per mercoledì pros­simo? Di far saltare il ponte di Iena.

Blacas                           - (che non capisce decisamente niente) Si. Ho appreso la buona notizia.

Luigi                             - (sussultando) La buona notizia? Non vi pare che i militari, con i loro piani geniali, ne abbiano già fatto saltare abbastanza di ponti, dopo Valmy? Ne devo rico­struire cinquecentododici.

Blacas                           - (indignato) Ma, Sire, Iena è il ricordo di una atroce disfatta!

Luigi                             - (ridendo) Per la Prussia. Fate confusione, mio caro. Non per noi. Ritornate da Londra, amico mio. Siamo a Parigi, ora.

Blacas                           - Ma le armate dell'usurpatore...

Luigi                             - (con un gesto) Erano le nostre. E poi un ponte è un ponte! Sono i Giacobini che pensano di mettere sim­boli dappertutto... Ma io vi farò ridere. Sapete cosa gli ho fatto dire, ai miei buoni fratelli? Che mercoledì prossi­mo ci sarò io sul ponte di Iena, sulle mie gambacce. Sono molto infastiditi! Sono soltanto piccoli borghesi, nobilastri arricchiti, con centocinquanta o duecento anni di trono dietro e che hanno ancora paura dello scandalo come gen­te di provincia. Io no. Me ne frego, io, dello scandalo. Appartengo a una vecchia famiglia dove nessuno l'ha mai temuto. Sarò sul ponte di Iena, mercoledì, fin dall'alba, ci possono contare. Farò una baruffa del diavolo e vedremo se accenderanno i loro petardi!

Blacas                           - (sfinito) Se il suddito deve inchinarsi alla vo­lontà reale, sia permesso di parlare almeno all'amico: mi è profondamente penoso. Sire, sentire il re di Francia che si esprime come un « patriota ».

Luigi                             - Mi fate ridere. Se non lo fossi io un patriota, chi lo sarebbe? Prima di tutto il ponte è mio! È questo il patriottismo.

Blacas                           - Commemora una vittoria di Buonaparte!

Luigi                             - Dite dunque Bonaparte, come tutti, dal momen­to che gli fa piacere. (Ruggisce, picchiando un pugno sul ta­volo) Anche le vittorie di Bonaparte sono mie, Signore! Veramente voi cadete dalle nuvole e vedo che sono pro­prio i monarchici che mi daranno del filo da torcere. La Francia si è coperta di gloria nei diciannove anni in cui sono rimasto là impalato ad aspettare, ignobilmente espul­so dopo ogni trattato di pace dai regni dei miei buoni fra­telli, a turno. Non irriderò lo stesso a questa gloria, col pretesto che ero trattenuto altrove. Le guerre dell'Impero, le prendo sul mio conto. E la Rivoluzione pure. La dige­risco. Talvolta trovo un osso, come Fouché, nel mio mi­nistero. Allora, con discrezione, vomito. E torno a tran­gugiare. Se ho delle nausee, ciò riguarda me soltanto. Non posso fare lo schizzinoso, io! Io sono lo stomaco della Francia. Devo digerire tutto.

Blacas                           - (scuotendo il vecchio capo, indignato) Hanno cambiato il nostro Re!

Luigi                             - (sorridendo) Certo. Il numero se non altro. Non più Luigi XVI ma Luigi XVIII. Molte altre cose sono cam­biate, mio povero Blacas, e bisogna avere il coraggio di guardarle in faccia. Il coraggio è tutto ciò che ci rimane.

Blacas                           - (squittisce) E l'onore!

Luigi                             - (calmo) Per il mio, decido da me. E la Francia non deve averne. (Lo guarda) Capisco che siate in ritardo, dei vecchi gufi spelacchiati che non capiscono più niente. Il mondo va avanti troppo in fretta. Ma non vi restano dunque due soldi di virilità e di buon senso? I vostri pa­dri ne avevano, ve lo giuro, avevano ben altra tempra di voi! (Pensa un poco) L'errore è stato di Luigi XIV. A fu­ria di farvi attendere a Versailles nella speranza di un buon posto e di una grossa pensione, ha tolto nerbo alla sua nobiltà. Uomini in Francia prima ce n'erano. Un po' turbolenti. Ma con una testa o due all'anno ce la cava­vamo. Poi, un giorno, non c'è più stato niente, solo ban­deruole. E sono i pronipoti che pagano i conti del nonno ora. Intorno a loro il deserto. (Gridando) Non ho un Richelieu, io! O meglio, ce n'ho uno, ma non è quello buono. Bene! Prendo Fouché. Dopo mi laverò le mani. Bo­naparte ha creato una amministrazione più efficace della nostra? Una cosa geniale i prefetti, tutta l'Europa ce li invidia. Io glieli prendo! Ha fatto un buon Codice Civile? Aggiudicato! E se vedete altre cose, ditemelo. Sono un arraffone! È il paese della cuccagna. E per quanto grosso io sia, con queste gambe enormi che non mi sostengono più, voglio essere in prima fila. Sono ventinove milioni, io, e ho appetito.

Blacas                           - (senza voce) Sire, mi fate cadere le braccia.

Luigi                             - (ridendo) Lasciatele cadere. Non c'è più niente da arraffare. Non c'è più la corte. Non voglio più ballare, non farò ballare gli altri sotto il mio naso. Niente pen­sioni. La mia casa è più piccola. Per di più, voglio essere avaro. Sarà una cosa nuova per un Borbone. Voluttuosa­mente avaro. Saremo costretti a una lunga pace per ri­farci. Il sangue di Francia, ora, sarà il suo denaro. Lo dispenserò goccia a goccia.

Blacas                           - (enfatico e vagamente ridicolo) Sire, sono pro­fondamente triste. Vi sono in cielo quaranta re, i vostri padri, che distolgono lo sguardo.

Luigi                             - (con un gesto) Sono in cielo. Possono pregare. Io sono sulla terra. Sono il quarantunesimo. E sono io, ora, che ho l'incarico della cucina. Non più loro. Farò il cuoco, per il bene comune. (Suona. Compare l'Usciere. Chiede) Le Loro Eccellenze sono in anticamera?

L'usciere                        - Si, sire.

Luigi                             - Il signor duca di Duras li introduca nella sala delle udienze degli ambasciatori. Insieme. Siccome mi chiederanno tutti la stessa cosa, faremo più presto. (L'U­sciere esce. A Blacas) Vi saluto, carissimo. Aiutatemi ad alzarmi. (Gli prende il braccio, gentile, facendo con lui qualche passo verso la finestra; si mette il suo curioso bi­corno) E pensare che ballavamo tutti e due fino all'alba come folletti, a Trianon! È passato quel tempo. Come ve­dete, sono vecchio e ho la podagra; ho dovuto mettermi a lavorare per vivere... (Gli dà affettuosamente piccoli col­pi sulla mano) Siete il mio vecchio amico, lo sapete, Giu­lio, benché vi strozzi. Indovinate cosa gli farò, a quei tre imbecilli solenni che mi attendono qui accanto, un Prus­siano, un Austriaco, un Russo, tutti e tre con i loro stiva­loni nuovi da vincitori. Già si stanno togliendo i guanti dagli artigli, li vedo di qui. Ma io so quel che li divide e loro non sanno che io lo so. Li sosterrò tutti, a turno, contro gli altri due. E quando saranno sul punto di pren­dersi per i capelli muoverò le mie pedine. D'altra parte non voglio vantarmi, il merito non è mio. È di quel vec­chio crapulone di Talleyrand che ha organizzato il colpo a Vienna. (Parlando, si sono avvicinati adagio alla fine­stra come due vecchi amici. A questo punto risuona uno sparo, proveniente dal cortile. Rumore di vetri in frantu­mi. Luigi XVIII porta la mano al cappello e dice semplice­mente) Fallito. Ma mi ha rovinato il cappello nuovo, l'ani­male! (C'è una sorta di confusione fuori, poi Fouché entra precipitosamente)

Fouché                          - Sire, vengo per rassicurarvi. È un giovane ufficiale. Un disgraziato, una testa calda. Ma Vostra Mae­stà non si inquieti. Ha tirato su di me.

Luigi                             - (esclama, canzonando) Siete quel che io chiamo un ministro devoto! Sarete ferito, spero.

Fouché                          - No, Sire.

Luigi                             - Questo è meno bene. A me, mi ha fatto un buco nel cappello. Dov'è questo giovanotto?

Fouché                          - Lo abbiamo preso.

Luigi                             - Fatelo salire. Voglio vederlo.

Fouché                          - Sire, forse è un'imprudenza...

Luigi                             - Signore, questo riguarda soltanto me. Il vostro mestiere è di prendergli la pistola e di farlo salire, dal momento che io ve lo ordino. (Fouché si inchina ed esce)

Blacas                           - (con un movimento ridicolo) Rimango, Sire! Vi farò scudo col mio corpo.

Luigi                             - (dandogli affettuosamente una manata sulla spal­la) Vecchio pazzo! Lo so che per questo posso contare su di voi. Ma siete cosi magro, povero Blacas, e io sono cosi grasso che il più cattivo tiratore troverebbe il mezzo di raggiungermi lo stesso! Dunque è inutile... D'altronde, uscite senza paura, gli hanno tolto la pistola. (Ha spinto gentilmente Blacas fuori. Rimasto solo, passa comicamen­te un dito nel buco del cappello e mormora) Un dito di più e, miei cari Francesi, avreste avuto un Carlo! (D'Anouville entra, introdotto da Fouché che ha l'aria un po' annoiata. Si irrigidisce sull'attenti. Luigi, lo considera, iro­nico) L'attenti è impeccabile, ma non sapete sparare, Luo­gotenente.

D'Anouville                  - Sire, ho tirato sul Signor duca d'Otranto.

Luigi                             - Sta benissimo. Voi tirate male. Reggimento?

D'Anouville                  - (sempre sull'attenti) 2° Bersaglieri.

Luigi                             - (senza lasciar vedere impazienza) E prima?

D'Anouville                  - Prima? 2° Bersaglieri. (Un po' insolente, aggiunge) E durante il periodo del primo ritorno di Vostra Maestà: Real-Sardegna.

Luigi                             - Colonnello, il marchese di Pontorson. Vi racco­manderò a lui.

D'Anouville                  - (aggressivo) Desidero essere fucilato.

Luigi                             - (con leggera impazienza) Se noi lo vogliamo, lo sarete lo stesso, mio caro. Ammetto che si spari, se si hanno delle convinzioni, ma non che si faccia l'insolente. Parlavate con questo tono a Bonaparte?

D'Anouville                  - Avevo il più profondo rispetto per l'Im­peratore.

Luigi                             - (calmo) E nessuno per il Re? Lo so, in Francia è di moda... Da quando è partito, tutte le qualità ce le ha lui. Riposo innanzitutto. (D'Anouville rimane rigido) Vi ho detto riposo. Lui forse amava queste cose, a me invece fa orrore parlare a gente che sta sull'attenti. Le riverenze, lo ammetto, saranno ridicole, ma sono almeno graziose. L'attenti, lo trovo cretino. Mi mette a disagio. (Lo conside­ra e chiede) Che cosa vi disgusta nel duca d'Otranto? C'è da scegliere...

D'Anouville                  - (rimettendosi sull'attenti) Ha tradito.

Luigi                             - (ridendo) Chi? Siete bravo se lo sapete.

D'Anouville                  - L'Imperatore.

Luigi                             - (dolcemente) Ha tradito anche me, carissimo, senza dubbio, e io non faccio tante storie.

Fouché                          - (si avanza) Sire, sento che questa conversa­zione con questo giovane energumeno è penosa per vostra Maestà.

Luigi                             - Ma no. Per voi, forse. A me, mi diverte molto. (Considera ancora D'Anouville, sorridendo) Rinunciate dunque al vostro attenti, ragazzo mio. Perché voi siete un ragazzo. Ecco, vedete, io mi siedo. (Ha fatto un segno a Fouché che porta una poltrona vicino a D'Anouville. Si siede) Temo che stando in piedi tutti e due la nostra con­versazione prenda un tono troppo solenne, e poi mi fanno male le gambe. Quanti anni avete?

D'Anouville                  - Ventidue, Sire.

Luigi                             - (lo guarda da seduto, divertito) E già spara!

D'Anouville                  - Ho fatto la campagna di Francia e Wa­terloo. Sono stato allievo-aspirante durante la campagna di Russia.

Luigi                             - (dolcemente) Lo so. Lo so. Con Bonaparte si cominciava presto. Come vi chiamate?

D'Anouville                  - D'Anouville.

Luigi                             - Siete parente della viscontessa Bugniet D'A­nouville?

D'Anouville                  - (rigido) Era mia madre, Sire.

Luigi                             - L'ho conosciuta. Vostro padre è morto sul pati­bolo, mi pare.

D'Anouville                  - Sì, Sire, a Lione.

Luigi                             - (voltandosi un poco verso di lui) Ai tempi del signor Fouché?

D'Anouville                  - Si, Sire.

Luigi                             - Ed è per vendicare Bonaparte e non vostro pa­dre che avete tirato su di lui? (D'Anouville tace)

Fouché                          - Sire, questa conversazione mi sembra inop­portuna. Ho il dovere di segnalare a Vostra Maestà che il duca di Duras ha già introdotto gli ambasciatori delle po­tenze alleate...

Luigi                             - (con un gesto di stizza) Aspetteranno! Avranno il tempo per preparare i loro attacchi. Ho bisogno di cono­scere la nostra gioventù, signor Fouché. Mi sto istruendo. (Ritorna a D'Anouville) Noto in quel che mi dite, signore, una sorta di contraddizione che non riesco a spiegare. Quando eravate al servizio di Bonaparte, e il duca d'O­tranto era con voi, avete avuto mille occasioni di vederlo. Non vi dava disgusto, allora?

Fouché                          - (sempre più inquieto) Questo giovanotto è un esaltato che non mi perdona di essere sinceramente pas­sato al servizio di Vostra Maestà. Se avessi bisogno di un brevetto di sincerità e di lealismo...

Luigi                             - (interrompendolo) Ne avete bisogno, signor Fou­ché, ma, non so perché, non riesco a persuadermi che questo colpo di pistola ve lo possa dare. Lasciatemi solo con questo giovanotto.

Fouché                          - Sire, sono dolente, ma le mie pesanti respon­sabilità di ministro di polizia di Vostra Maestà e la cura della sua sicurezza di cui devo rispondere di fronte al regno non mi permettono di obbedire ai vostri ordini. Que­sto giovane ha appena fatto fuoco: può nascondere un'al­tra arma...

Luigi                             - (seccamente) Se avete fatto il vostro dovere, Signore, cosciente delle vostre pesanti responsabilità, ora costui è disarmato e perquisito. Obbedite o vi faccio but­tare fuori.

Fouché                          - (inchinandosi, amaro e inquieto) Sire, riman­go accanto alla porta.

Luigi                             - Va bene. Non ascoltate troppo da vicino, a cau­sa dell'usciere. (Fouché esce. Luigi considera D'Anouville)

Luigi                             - (subito nostalgico) Perché non siete monarchi­co, mio caro? Mi piacete. Non dovrei dirlo ma mi piac­ciono i cherubini che tirano colpi di pistola. Se non si avesse voglia di tirare colpi di pistola alla vostra età, nel mondo in cui viviamo, ci sarebbe da disperare! Sono un po' rari i tiratori, tra i figli dei miei amici. Giovani leoni, come vuole la moda, ma senza artigli né zanne.

 D'Anouville                 - Sire, resterò fedele all'Imperatore fino alla morte!

Luigi                             - (sorridendo) È cosi lontana...

D'Anouville                  - Speravo di avere fatto tutto per farla avvicinare.

Luigi                             - Né io né non so ancora perché ma conto di saperlo presto il mio ministro di polizia, la pensiamo in questa maniera, a quanto sembra. Ho l'impressione che questo buco nel cappello resterà fra noi tre.

D'Anouville                  - (rigido) Rifiuto la grazia.

Luigi                             - (sorridendo) Mi sembra difficile. Dovreste con­vincere personalmente dodici soldati e un sottufficiale. Or­ganizzare da voi medesimo tutta una messa in scena. Non è facile, sapete, farsi fucilare... (Sorride ancora) Su, fac­ciamo un patto. Se mi rispondete francamente, vi promet­to dei passaporti perché possiate raggiungere il vostro grand'uomo. (Sorride) Siamo d'accordo? Sapevate al tem­po del vostro padrone che è stato Fouché a firmare la condanna a morte di vostro padre a Lione?

D'Anouville                  - (chiuso) Il mio servizio mi concedeva poche occasioni di avvicinare il duca d'Otranto.

Luigi                             - Lo sapevate o non lo sapevate?

D'Anouville                  - Pensavo che il nome di mio padre fosse in una lunga lista di condannati che il duca d'Otranto ave­va effettivamente firmato, all'epoca in cui la Convenzione lo aveva inviato a reprimere la rivolta di Lione. Non ve­devo alcuna relazione fra i due fatti.

Luigi                             - E dopo, avete appreso qualcosa che vi ha la­sciato credere che ci fosse un rapporto fra i due fatti?

D'Anouville                  - (vicino alle lacrime) Non ho il diritto di rispondere. È un segreto che appartiene solo a me.

Luigi                             - Fouché aveva conosciuto personalmente vostro padre?

D'Anouville                  - No. Mia madre. Per questo ho tirato su di lui. Non lo sapevo. (Subito crolla, singhiozzando come un bambino sulla poltrona)

Luigi                             - Andiamo bene! E io che non ho più gambe... (Si alza come può e aiutandosi col tavolo e una canna che ha preso al volo, va da D'Anouville, ondeggiando, acca­rezzandogli il capo, commovente e maldestro) Caro ragaz­zo. Mio povero ragazzo. Non so proprio cosa dirvi. Ab­biamo vissuto tempi atroci in cui nessuno sapeva più esat­tamente cosa faceva. Non si può chiedere a un essere umano di rimanere se stesso nella sporcizia delle prigioni. Tutte le prigioni traboccano di innocenza. I colpevoli sono quelli che ammucchiano i loro simili per vane idee. Ho conosciuto vostra madre, nei primi tempi del suo matri­monio. In una corte piuttosto frivola, brillava di tutto lo splendore del suo pudore e della sua virtù. Di questa gio­vane donna parleremo ancora, noi due, se accettate di avvicinarvi a me.

D'Anouville                  - (singhiozzando) Voglio morire. Ho trop­pa vergogna.

Luigi                             - (dolcemente) Certo. Alla vostra età si crede di poter aggiustare tutto in questo modo. Prima di tutto non si aggiusta niente, e poi... Sono vecchio, mio caro; ho ap­preso in un pallido giorno d'inverno la morte ignominiosa di mio fratello, poi quella di mia sorella, di mia cognata la regina, di mio cugino Enghien, e di numerosi miei amici. Ho avuto anche occasione di conoscere la vergogna di tan­ti altri. In seguito fui umiliato a lungo, schernito, ingan­nato. Ho vissuto. E tento di rendere ancora qualche ser­vigio. (Gli accarezza ancora un po' il capo, come timida­mente) Non posso restare ancora vicino a voi... Qui accan­to ci sono gli ambasciatori dei miei fratelli, i sovrani di Prussia, d'Austria e di Russia, che mi aspettano per deru­barmi. Devo andarci; mercanteggiare senza gloria; fare il mio mestiere. Credetemi, si ha quasi sempre qualcosa di meglio da fare che morire. Rimanete a palazzo questa se­ra. (D'Anouville sta per alzarsi il re gli dice fermamen­te, trattenendolo) Lo voglio. A conti fatti, sono il vostro re e il vostro tutore naturale, poiché vostro padre era uno dei miei gentiluomini. Ne riparleremo dopo il pranzo uffi­ciale: fino a tarda notte, devo fare il buon apostolo in abi­to solenne fra i miei tre fratelli ladri. Dormite, voi? Que­sta sera no senz'altro. Io non dormo mai. Avremo molto tempo. Vi dirò cosa penso che rimanga da fare a un gio­vanotto dei nostri giorni. Dimenticare questo paese della cuccagna in cui abbiamo vissuto tutti, tornare a casa e prender moglie, se trova una brava ragazza, avere dei bambini e migliorare la sua posizione, o perfezionare il proprio mestiere se ne ha uno. È già un'avventura. Una volta era questa la vita d'un uomo. Prima che i Francesi si mettessero a fare della politica e a prendere teatral­mente la vita. Coloro che vi diranno che la giovinezza ha bisogno di un ideale sono degli imbecilli. Essa ne ha uno ed è la meravigliosa diversità della vita della vita priva­ta, l'unica vera. Solo la vecchiaia ha bisogno di accarezzarsi. Credetemi, tutto il male viene dai vecchi, che si nutrono di idee mentre i giovani ne muoiono. (Aggiunge, un po' triste) E quando domani mi avrete ascoltato, se non vi avrò convinto, avete la mia parola di re che vi farò dare dei passaporti per raggiungere il vostro Imperatore... (Fa un passo, si ferma) Ho detto il vostro Imperatore... Non l'avete notato forse... È la prima volta che riconosco que­sto titolo al generale Bonaparte. Era per farvi piacere, perché avete vent'anni e perché piangete. (D'Anouville ha vergogna, si rialza e si mette sull'attenti)

D'Anouville                  - Perdonatemi, Sire.

Luigi                             - (bonario) D'accordo. Rimanete sull'attenti. È idiota ma fa tornare indietro le lacrime. Vado a raggiun­gere i miei tre nobili imbroglioni; voglio vedere se riesco a non farci derubare troppo. (Aggiunge con un sorriso) Ho detto "farci" perché siamo Francesi tutti e due, allo stesso modo, e si tratta del bene di tutti e due. (Cambia idea, si avvicina, complice) Il duca d'Otranto senz'altro ritornerà. Sta dietro la porta ad ascoltare. Ve lo affido. Prendetelo pure a pugni se ciò vi conforta... Ma siete pro­prio sicuro di non avere qualche altra pistola, che gli aguzzini quando vi hanno perquisito non hanno saputo trovare, eh, mattacchione?

D'Anouville                  - No. Non ho più niente, Sire.

Luigi                             - Bene. Vi credo. Il fatto è che per quello che devo fare quella canaglia mi serve. (È uscito camminan­do penosamente. Appena è uscito, Fouché entra)

Fouché                          - Mio caro, i panni sporchi si lavano in famiglia.

D'Anouville                  - (rigido) Io non ho famiglia.

Fouché                          - È da vedere!... Sono stato l'amante di vostra madre nella prigione dei Carmelitani, a Lione, in una cella che mi feci concedere dal capo delle guardie con la scusa di interrogarla. Il visconte d'Anouville era incarcerato da tre mesi, nella sezione maschile; lei in quella femminile. Le prigioni di Lione erano serie, credetemi. Ne avevo io l'incarico. E voi siete nato nove mesi dopo questa conver­sazione.

D'Anouville                  - (sputa, pallido, rigido, senza guardarlo) Vi odio!

Fouché                          - (più sordamente) Sicuro. Non aspettavo che mi cadeste fra le braccia. Ma volevo che sapeste almeno di chi siete figlio. A ciascuno la sua croce. Io ho portato la mia. Sono stato l'amante di vostra madre grazie a un ricatto che avete il diritto di trovare ignobile; ammettia­mo anche che abbia lasciato uccidere colui di cui portate il nome. Vi sono senz'altro poche possibilità di tenerezza fra noi due. Ma vi devo qualcosa... Vi ho fatto segreta­mente erede di immensi beni. Se siete come vi immagino, mio piccolo eroe, è probabile che rifiutiate la mia succes­sione. Voglio però lasciarvi qualcos'altro. Un racconto che vi istruirà. Proprio quel che fanno normalmente i padri sul letto di morte. Vostra madre era abbastanza bella            - non molto bella; ma abbastanza bella     - io sono estre­mamente brutto, e questo bambino concepito nel disprezzo e nell'orrore doveva proprio essere bello come un figlio dell'amore... Vi ho visto crescere come ho potuto. Mala­mente, quando eravate piccino, vostra madre vi allevava benissimo; vi intravedevo talvolta su qualche capretta, ai Campi Elisi; meglio allorché siete diventato più gran­dicello. Mi davo da fare per eseguire frequenti ispezioni al Liceo imperiale o nei centri di aspiranti-allievi, e mi soffermavo poi nella vostra classe. Questo interesse per la gioventù, del resto, dava molto fastidio all'Imperatore che mi attribuiva i più neri disegni. Più tardi, essendo mini­stro della polizia, mi riusciva più facile. Ho sorvegliato le vostre amicizie e le vostre amanti. Alcune, che non osavate abbordare perché ancora giovincello, le dovete a me. Indubbiamente vi saranno apparse troppo facili... I padri che non possono farsi vedere a capodanno con pac­chetti ben confezionati di marrons glacés e di orologi d'oro fanno ai loro ragazzi i regali che possono... La vostra bel­lezza mi ha fatto molto male, come un insulto personale. Soprattutto quando avete raggiunto l'età matura. Ma una sera che mi ero buttato in un fiacre per raggiungervi a un ballo all'Opera (i miei informatori mi rendevano con­to ora per ora dei vostri fatti e dei vostri gesti), mentre salivo in fretta e furia il peristilio temendo che mi sfug­giste, vi ho visto scendere col domino che i miei informa­tori mi avevano descritto; prima di salire sul fiacre che io avevo lasciato vi siete tolto la maschera, giù vicino ai gradini, ridendo assieme agli amici. Quella sera la vostra bellezza che non era mai stata più grande mi inon­dò subito di gioia, come un perdono. Non ho mai capito del resto il perché del perdono né quello dell'insulto. Poi, ripensandoci, ho finito per convincermi che ero stato felice solo perché vi eravate seduto sul fiacre nel posto che io avevo appena lasciato. Ero abbastanza umile, come vedete, per quel che riguarda i pretesti delle mie gioie paterne. Da quel giorno ho conosciuto la felicità, io che dalla mia tenera infanzia (della quale non vi parlerò, ma che fu brutta) non ne avevo mai avuto nemmeno l'idea. Ero di­ventato uguale a voi. Credetti di scoppiare di gioia quando i miei ispettori mi informarono, poco dopo, che amavate una fanciulla e che lei vi amava. La mia migliore squadra fu subito incaricata di pedinarla e di proteggerla contro ogni cosa, lei che aveva l'immenso onore di essere amata da voi e di potervi dare un giorno l'amore. Poche altezze imperiali e ne ho fatte scortare molte sono state cosi ben sorvegliate come questa piccola borghese parigina... E cosi male d'altronde, poiché i miei più fini segugi non hanno potuto impedire che prendesse freddo in una serata danzante e di buscarsi il male che doveva portarcela via. In seguito feci licenziare uno dei due uomini, che era tuttavia il mio miglior agente, pretendendo che avrebbe dovuto trovare la maniera di abbordarla e di costringerla a mettersi lo scialle. Ho pianto questa fanciulla, che non conoscevo, come voi più di voi forse, poiché, vecchio, e non avendo conosciuto l'amore condiviso, io l'aspettavo con un trasporto maggiore del vostro. Vi sono tuttavia debitore di un altro sentimento umano: la gelosia. Quan­do vi siete messo ad ammirare l'Imperatore, come tutti i giovani di quest'epoca, per un poco diventai giovane e in­genuo anch'io: fu un effetto della vostra giovinezza. Cre­do che in quel periodo             - (che fu breve) servii l'Imperatore abbastanza onestamente e senza riserve. Ma il giorno in cui appresi che voi l'amavate e che era diventato per voi una sorta di Dio, io l'ho odiato e mi sono dato da fare per rovinarlo. Io non sono la Provvidenza: cominciava a rovinarsi da sé. Era caduto nell'assurdo tranello della guerra di Spagna e già adocchiava il bianco lenzuolo della Russia. I miei consigli tuttavia ve lo spinsero. Ne preve­devo le conseguenze. Non mi limitai a questo. Il giorno dopo la scoperta del vostro amore per lui, miei emissari prendevano contatto col conte di Lilla a Mittau, per pre­parare l'avvenire. Talleyrand, senza dirmi niente e per delle ragioni in cui non entrava alcuna traccia di amore infelice, vi prego di crederlo! faceva per conto suo la stessa cosa. Ben presto ci scoprimmo, senza confessarne i motivi i miei avrebbero certamente meravigliato e fatto sorridere il principe        - e agimmo insieme. Non vo­glio sostenere che Napoleone sia caduto dal trono perché ha saputo suscitare in voi un sentimento sul quale mi era proibito di contare. Vi sembrerei forse un pazzo e non lo voglio. Ma è probabile che, in piccolissima parte, vi abbia contribuito. La storia è fatta da una infinità di piccole cause. Il fatto che siate rimasto ferito alla Moscova mi ha indotto a lasciar scoppiare la cospirazione Malet, perché quest'uomo imparasse a mandarvi allo sbaraglio in ma­niera cosi stupida!... Durante la campagna di Francia mancavo di vostre notizie; ed è questa la ragione per cui gli Alleati mi devono la cattura di quell'ufficiale di colle­gamento che portava una lettera all'Imperatrice Reggen­te in cui l'avvertiva delle sue intenzioni tattiche. Una cosa simile l'ufficiale non l'aveva mai fatta per nessuno prima, la colpa era sua che imbecille! e un oscuro istinto lo spingeva a perdersi. Ma la cattura si deve a me. Essa permise a Blucher di mandare a vuoto la falsa marcia dell'Imperatore alla frontiera, di rinunciare a inseguirlo come questi sperava e di ridiscendere a Parigi, rompendo le sue linee. Dovevo far presto, forse voi eravate ferito da qualche parte, curato male... Conquistata Parigi    - final­mente! ebbi la fortuna di avere vostre notizie... Sorve­gliai poi ogni cosa fino a Fontainebleau, dove i marescial­li, sobillati da me, costrinsero l'Imperatore a firmare l'ab­dicazione. Conoscete il seguito. Salvo forse una cosa: se questo grosso indolente di Luigi XVIII non avesse gettato nel cestino la lista dei congiurati, che gli avevo fatto se­gretamente pervenire un mese prima, Napoleone non avrebbe potuto lasciare l'isola d'Elba e darvi la gioia di rivederlo ancora una volta. Ecco qua. Tutto questo per dirvi che, senza averne mai saputo niente, voi siete stato un giovane molto amato, mio piccolo pistolero. Ho finito. (Aspetta. E chiede con voce sempre molto fredda ma forse un po' più sorda) Posso chiedervi che intenzioni avete?

D'Anouville                  - (che non si è mosso) Accettare i passa­porti che il Re mi ha promesso, domani mattina, e rag­giungere l'Imperatore.

Fouché                          - (rimasto impassibile) Io sono sempre mini­stro di polizia, e sempre assai potente           - benché questo grasso Luigi sia più difficile da trattare, in fin dei conti, del vostro uomo di genio. Mi sarebbe facile impedirvi di raggiungere Rochefort. Ma non lo farò. (Dice sordamen­te, come a disagio) Sta' a vedere che ho incominciato ad amare la sofferenza. Anche questo lo devo a voi. (Aggiun­ge misterioso) E poi conto sul vostro idolo per finire di vendicarmi.

                                      - (L'illuminazione cambia. Cade un siparietto, non è più il palazzo delle Tuileries; rappresenta l'alta murata ostile della carena del Bellerofonte, sulla banchina di Rochefort. Una sentinella inglese, che deve essere interpretata dallo stesso attore, ma glabro mentre il primo era dotato dì un solido paio di baffi, viene col suo passo rigido di sentinel­la inglese a montare la guardia alla passerella spinta dalle quinte nell'altro senso, con un sottufficiale alle calcagna che strilla riferendosi al presentai'arm)

Il sottufficiale               - Too soft! Four days for you! (Il sot­tufficiale esce. Entra Napoleone, accompagnato da D'A­nouville, dalla parte opposta. Si sente che ha camminato con lui avanti e indietro sulla banchina da lungo tempo. Dice distratto a D'Anouville, come se gettasse un osso a un cane fastidioso)

Napoleone                     - Siete stato molto gentile a venire, Luogo­tenente. Ma non dovevate disturbarvi.

D'Anouville                  - Non ho altri che voi, Sire.

Napoleone                     - Anch'io.

D'Anouville                  - (smarrito, avendo capito diversamente) Oh, Sire!

Napoleone                     - (lo guarda, contrariato) Voglio dire che anch'io non ho che me stesso. Credete che Montholon, Marchand e gli altri quattro imbecilli che sono a bordo pos­sano fare compagnia a un uomo come me? Almeno avessi potuto portare Fouché! To', a proposito, che fine ha fatto? Ho avuto il tempo di farlo fucilare?

D'Anouville                  - No, Sire.

Napoleone                     - (continua) Ho interrogato un piccolo luo­gotenente della nave che mi guardava coi suoi occhi rotondi farfugliando quel poco di inglese che so. Io fac­cio il tonto            - perché ne ho bisogno (la scena di indigna­zione sarà molto migliore in alto mare che su questa ban­china piena di detriti) ma so già che non mi portano in America. Mi scaricheranno su un'isola, al sud dell'Atlan­tico, in uno scoglio, chissà dove!

D'Anouville                  - (smarrito) Sire! Non vi vedrò più!

Napoleone                     - (freddo) È probabile... La sola cosa che mi diverte in questa faccenda è la faccia che faranno gli al­tri, i quattro fedelissimi e le loro signore, che sono saliti a bordo e credono di partire per un gradevole viaggio turi­stico nel Nuovo Continente. (Scorge il soldato, prende il braccio di D'Anouville) Se tentassimo di far cantare la sentinella? Si dimenticano sempre le sentinelle, tanto si è abituati a confonderli con la loro garitta, ma è gente che ascolta tutto; gli passi vicino, discutendo dei destini del mondo, loro stan li impietriti e hop hanno afferrato! La storia è piena di sentinelle che hanno saputo tutto pri­ma dei ministri. (Si avvicina alla sentinella che presenta subito le armi, irrigidito. Gli chiede con accento abomi­nevole:) What is your regiment?

La sentinella                  - Second Royal Highlanders, Sir.

Napoleone                     - And your name?

La sentinella                  - Smith, Sir.

Napoleone                     - I have known a Smith during the beginning of the battle of Waterloo. He was ferid... (È incerto della parola. Si volge a D'Anouville e chiede) Ferito?

D'Anouville                  - Wounded, Sire.

Napoleone                     - (riprende) He was wounded and I gave my own flask of rhum to one of my officers, for him. Is it you?

La sentinella                  - No, Sir. (È rimasto impassibile, aggiun­ge) I was not at Waterloo.

Napoleone                     - (un po' deluso) Ali right. What a pity! (Si volge a D'Anouville e constata, freddamente) La mia stella m'abbandona, Luogotenente! C'era una probabilità su die­cimila, ma, in altri tempi, sarei caduto proprio sullo Smith giusto. (Si è allontanato, un po' triste. Cammina in silen­zio, e chiede improvvisamente a D'Anouville) Cosa stava­mo dicendo?

D'Anouville                  - (sobbalza di speranza) Finivo di raccon­tarvi, Sire, come avessi bisogno di rivedervi e quanto avessi sofferto!

Napoleone                     - (distratto, prendendo una presa di tabacco) Ah! Si, E di chi eravate figlio, in fin dei conti?

D'Anouville                  - Di Fouché.

Napoleone                     - Già, è vero. Me l'aveva detto, non ricordo più quando... Sapete che per lungo tempo mi sono chiesto se non fossi il figlio del signor di Marbeuf? Benché le ten­denze della mia Signora Madre, verso la fine, togliessero ogni credito a questa ipotesi... Dobbiamo essere in molti in queste condizioni. A che scopo sapere? Un vero uomo è il padre di se stesso. (Coordinando) Secondo voi, la sto­ria dell'isola me la propineranno prima di levar l'ancora, nella cabina del contrammiraglio o in alto mare? La ca­bina, per la mia scena, è un po' troppo stretta. Molto meglio sul ponte, durante una tempesta...

D'Anouville                  - (perduto) Non so, Sire.

Napoleone                     - (seccato) Voi non sapete mai niente. Siete sempre cosi rigoroso?

D'Anouville                  - Si, Sire. Più che mai!

Napoleone                     - (superficiale) Tenetelo da conto il vostro rigore, può sempre servire. Non bisogna buttare mai nulla. Mi spiacerebbe che mi dessero l'annuncio prima della mia frase. Ci tengo molto. (Recita) "Vengo come Temi­stocle a sedermi al focolare del popolo britannico. L'Inghilterra è sempre stata il mio più leale nemico..., ecce­tera." È molto importante per la storia che io sferri il colpo della confidenza prima che loro mi assestino quello dell'isola. Se posso parlare prima, ho il pubblico con me. Mi seguite?

D'Anouville                  - (arrossendo come una ragazzina e buttan­dosi) Ah, Sire! Vorrei fare di più. Vorrei darvi la vita e seguirvi laggiù!

Napoleone                     - (spaventato) Oh! Non è davvero il caso, amico mio! Prima di tutto, mi hanno fatto fare un elen­co e un contro-elenco di tutta la gente che porto con me. Credevo che soltanto la burocrazia francese fosse tanto piena di scartoffie. Eh, no, all'estero non sono da meno in niente. E poi, soprattutto, non vi nascondo che in un'isola deserta con un lumacone come voi non mi ci vedo. Avrò bisogno di molto ottimismo, laggiù. Per forza!

D'Anouville                  - (sciogliendosi in lacrime sulla sua spalla) Oh, Sire! Sire! Mio Imperatore!

Napoleone                     - (respingendolo, esasperato) Niente lacrime, niente lacrime! Bagnano. (Si asciuga) Ho sempre odiato queste cose. Conto su di voi per un addio garbato, è in­teso. Il giovane ufficiale che lascia il suo Imperatore. Spero che ci sia un po' di gente. Ma, per il momento, sia­mo soli. Facciamone a meno. Ragazzo mio, non so proprio come mi siate capitato fra i piedi e perché vi vedo dap­pertutto, da qualche tempo, ma se fossi il vostro signor padre... Ma chi è dunque? Non avete terminato la storia.

D'Anouville                  - (abbattuto) Fouché, Sire.

Napoleone                     - Ah, si, è vero ! Quello è un bel mobile ! Be', se io fossi il vostro signor padre, vi darei qualche buon consiglio per vivere. Ne avete bisogno. Prima di tutto: niente lacrime. Poi, niente amore. È un'invenzione dei parrucconi. Nessuno ama nessuno. Voi non mi amate. Credete di amarmi perché siete una giovane gazzella che non conosce la vita. Avete la vostra crisetta di emozione, ecco tutto come una ragazzina.

D'Anouville                  - (ferito) Sire, io sono un soldato! Non ho mai cessato di battermi dai tempi della Russia!

Napoleone                     - Non vuol dir niente! Ne ho conosciuto io di soldati nessuno ne ha conosciuti più di me erano ragazzine, roba sentimentale. Gli uomini sono rari. Voi avete ammirato il vostro Imperatore. Bene. Era vostro dovere. Vi ha condotto spesso alla vittoria. Bene. Ora è stato sconfitto dall'oro inglese e se ne va in esilio a cornpiere il suo destino. Bene. Queste sono storie da uomini. Non si piange. Quel che mi preoccupa in questo momento, ora che ho un piede sulla passerella di questa fottuta car­cassa che mi farà scomparire per sempre, è di eseguire bene la mia uscita. Non il colpo di Temistocle e il colpo dell'isola deserta: questo è un lever de ridean con attori di second'ordine. Ma la vera uscita laggiù, solo solo. In­somma devo crepare bene.

D'Anouville                  - (gettandosi ai suoi piedi, gemente) Anch'io voglio morire, Sire!

Napoleone                     - (seccato) Ma no, ma no. Prima di tutto avete ancora tempo per farlo e poi la vostra morte non interesserebbe nessuno. Sapete, in questi ultimi tempi i morti non sono stati pochi.

D'Anouville                  - (singhiozzando) Ma insomma, io sono vo­stro...

Napoleone                     - Un momento! Non ho più bisogno di uo­mini. Sono al monologo finale. Solo in scena. Il luogote­nente che ho interrogato mi ha detto che il funzionario nominato per custodirmi laggiù è un certo Hudson Lowe, un tale che lui conosce bene, un parente alla lunga. Sem­bra che sia un buon diavolo un po' pedante... Mi vedete voi finire accanto a un buon diavolo un po' pedante, con cui giocare al whist la sera, dopo cena? Non mi conoscono ! Lo vedo ora il finale del quinto atto, con noi due sullo scoglio ! Di quel tipo li farò un mostro, un carnefice che farà ve­nire il voltastomaco ai posteri! Abbiate fiducia in me! Io, pallido, con la barba lunga, trascurato, col mal di petto o il cancro allo stomaco, forse... Basta volere. L'uomo muo­re quando vuole, come vuole, di ciò che vuole! Glielo insegnerò io, agli Inglesi, se già non lo sanno, come può essere fastidioso, alla lunga, un perseguitato capace di far parlare di sé! (Un ufficiale inglese è sceso dalla passe­rella)

L'Ufficiale                    - (con forte accento) Generale, il contram­miraglio vi prega di voler salire a bordo. Stiamo per sal­pare. (Saluta e si irrigidisce sull'attenti)

Napoleone                     - (brontolando) Generale... Questa me la pa­gheranno per secoli! Arrivederci, Luogotenente. Non siate triste. È il paese della cuccagna. (Guarda deluso la ban­china deserta) Mi dispiace soltanto che non abbiamo avuto un po' di gente questa sera. Pazienza! è andata cosi... Copritevi di gloria, se ce n'è ancora. Tirate sul grasso Luigi per esempio o diventate carbonaro. Il giacobinismo, guardate un po', sono certo che ha ancora un avvenire da­vanti. Non si è ancora terminato in Francia di spremere questo limone! Buona fortuna! Scrivetemi quel che conta­te di fare, se la posta funzionerà.

D'Anouville                  - (rigido, con le lacrime agli occhi) Lo so già, Sire. Sposarmi e avere bambini.

Napoleone                     - (salendo la passerella, indifferente) È una idea come un'altra! Ma, credetemi, non parlate troppo di ideali ai vostri marmocchi. Non è un buon fardello per la vita. (La Sentinella presenta le armi mentre Napoleone, seguito dall'ufficiale inglese, si imbarca sul Bellerofonte. Sì sente a bordo la banda suonare il God save the King per accogliere Napoleone. D'Anouville è rigido e triste)

FINE