Il paese delle vacanze

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IL PAESE DELLE VACANZE

Idillio in tre atti

Di UGO BETTI

PERSONAGGI

FRANCESCA, 24 anni

CLEOFE, sua zia, 50 anni

ALBERTO, 28 anni

OFELIA, sua zia, 50 anni

NOEMI, 25 anni

GUIDO CONSALVO BENEDE’ NICOLA’, 35 anni

IL DOTTORE, 30 anni

ADELAIDE

UN COMMESSO VIAGGIATORE

UN PORTALETTERE

UN CONTADINO

L’azione si svolge in un piccolo paese nello spazio di un pomeriggio

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

Avvertenza. FRANCESCA è una calma e bella figliola, me ce n'è tante: che portano scritta in fronte la vocazione di prender marito e mettere al mondo dei bambini. ALBERTO è un simpatico giovanotto come ce n'è tanti: la sua singolarità consiste nel non aver nulla di singolare, nell'essere un buon ragazzo qualunque, senza pose ma tutt’altro che sciocco). Insomma, una ragazza e un giovanotto che sono come la maggior parte dei giovanotti delle ragazze.

Due piccoli giardini confinanti, separati da uno leccato di legno verniciato, così basso che lo si potrebbe scavalcare con un passo. Essi appartengono a due villette: l'una della signorina Cleofe,  l'altra della signorina Ofelia. Com'è  destino di tutte le vecchie zie che vivono in un piccolo paese, ciascuna delle due signorine ospita un giovane nipote.

SCENA PRIMA

La signorina Cleofe armeggia nel giardino parlando con la nipote Francesca che lavora quetamente a preparare dei panini imbottiti, avvolgendoli poi in pezzi di carta. Si odono cantare dei canarini, da qualche gabbia).

Cleofe                           - (armata di occhiali, contando le cinque frutta di un melo nano posto al confine del suo feudo) Uno, due, tre, quattro... e cin­que. (Tornando a contare). ..tre, quattro e cinque. Vorrei proprio sapere chi s'è man­giata la sesta. Ieri sera esisteva ancora.

Francesca                      - Forse il ragazzo del lattaio, zia.

Cleofe                           - (che raramente prende fiato) Può dar­si. Quel ragazzo mi piace poco. Ma non mi meraviglierei affatto se la mela, invece, fosse piaciuta a qualche altro. Non è per la mela, benché fosse la migliore dell'albero, natural­mente. È pel principio. Data la stretta ami­cizia fra le due famiglie, dato che si è in­sieme tutto il giorno, dico che me la poteva chiedere, la mela. E io, sai che avrei fatto? Avrei colto non una, ma tutte e sei le mele e le avrei mandate di là, (accenna verso la villetta accanto) in un bel cestino. Non credi?

Francesca                      - Certo, zia.

Cleofe                           - (instancabile) Oppure le avrei por­tate oggi alla gita, e le avremmo mangiate insieme, almeno. Una cosa è l'amicizia, un'altra la frutta. Ma già; tutte le volte che ar­riva il tuo grande Alberto, arrivasse con la scarlattina addosso, non si sbaglia mai: il giorno dopo manca almeno una mela. Quan­do non è la stagione delle mele, sono le su­sine. L'hai sentito, stanotte? Lui non si de­gna d'arrivare, ormai, altro che ad ore stra­ordinarie. È anche dimagrito. Non sarà l'im­piego in città, a ridurlo così. L'hai sentito, stanotte?

Francesca                      - Sì, zia.

Cleofe                           - Lo credo bene, avrebbe svegliato una persona in catalessi. Non c'è nessun motivo, dico io, per fare un chiasso simile in un'ora in cui le persone equilibrate dormono. Ades­so, per esempio, dorme lui; e noi lavoriamo, lui si degna di venirci, alla gita, ma i pa­nini imbottiti siamo noi a prepararli. Ebbene, che cosa direbbe, lui, ora, se io mi mettessi a fischiare, a saltare per il giardino, a tra­scinare i più pesanti oggetti di cui disponia­mo, come faceva lui stanotte? Non sono riu­scita a capire che cosa facesse. Certo la cosa era strana.

 

Francesca                      - Forse era allegro, zia.

Cleofe                           - Lo sono anche io, qualche volta. Mi hai mai sentito fischiare? Un'altra cosa che non approvo, intanto, è l'abitudine che ha presa, di venir qui scavalcando lo steccato. Domando io: a quale scopo esiste il can-celletto?

Francesca                      - Lo fa per far più presto.

Cleofe                           - Sarà. Ma è un atto poco educato: ed anche un po' sconveniente. Si aveva molto più stile ai miei tempi. Come se lui, ora che lo vogliono alla capitale, ora che gli hanno promesso questi grandi posti, volesse mo­strarsi superiore al nostro cancelletto, alle nostre modeste abitudini. Già io, a tutte que­ste grandezze ci credo poco. Sono due mesi che lo vogliono, che lo aspettano, che deve partire. Per me può partire quando vuole. Anche domani. Hai detto qualche cosa?

Francesca                      - No, zia.

Cleofe                           - Ti dispiace che se ne vada?

Francesca                      - Sai, ora almeno si scambiava una parola.

Cleofe                           - Sua zia non fa che parlarne, di que­sto famoso posto. Non è una cattiva donna, ma è una chiacchierona. Lei sa tutto.: Lei passa le sue giornate fra le persiane, col fa­moso binocolo del suo defunto fratello, a spiare quel che si fa nelle case degli altri. Non è un'occupazione molto dignitosa, dico io.

Francesca                      - (facendole cenno di far piano) Ssst!

Cleofe                           - Che c'è?

Francesca                      - (indicando verso la villetta vicina) Curiosa. Picchiano.

Cleofe                           - (stupita) Si direbbe che piantino dei chiodi.

Francesca                      - C'è qualcuno nella stanza di Al­berto.

Cleofe                           - Che ti dicevo? Che si danno delle arie? Noi siamo qui a preparare per la gita, fra mezz'ora si parte, e loro non si fanno vivi, neanche un saluto dalla finestra. Il tuo grande Alberto...

Francesca                      - Fra poco sarà qui, vedrai.

Cleofe                           - Certo, che lo vedrò. Non appena avrà sentito l'odore delle nostre torte, lo vedremo subito, è più che certo.

Francesca                      - Le avrà fatte anche sua zia, le torte.

Cleofe                           - Ci sono torte e torte, cara. Il fatto è che tutti gli anni si fa questa famosa gita, noi portiamo le nostre torte, essi portano le loro torte, ma quali sono le torte che tor­nano indietro? Le loro, cara. Una ragione ci dovrà essere. Delle mie non ne lasciano una briciola. (Chiamando verso casa) Adelaide, sarà ora di levare le torte dal forno?

La voce della domestica Adelaide      - (dall'inter­no) Le sto levando, signorina

Cleofe                           - Ungile bene, mi raccomando.

La voce di Adelaide     - Le sto ungendo, signo­rina.

Cleofe                           - (infaticabile, continuando, a France­sca) Il fatto è che delle mie torte ne man­gia più il tuo Alberto da solo, che tutti noi messi insieme. È strano che non gli venga mai un imbarazzo di stomaco. C'è persino da pensare che i suoi pasti in città, nono­stante questi grandi affari, siano piuttosto leggerini. Vuoi saperlo, Francesca? Io non ci vedo punto chiaro, in questo grande posto alla capitale. Ne ho veduti parecchi finire sul lastrico. E anche in prigione.

Francesca                      - Speriamo di no, zia.

Cleofe                           - Speriamo. Ma tante volte si sa come succede: i cattivi compagni, la città gran­de... e poi le donne. Alberto è fatto apposta, per mettersi negli impicci; li cava uno dall'altro come un prestigiatore di bussolotti. Sentiamo, ti pare un uomo intelligente?

Francesca                      - Una cosa di mezzo.

Cleofe                           - Non vorrai paragonarlo al dottore. Non parliamo della cultura: non è neanche colpa sua, sono gli studi di ora. Ma sopra­tutto è la fibra, secondo me. La fibra. Buon figliolo, ma senza fibra. Non vorrai dirmi che ci trovi qualche cosa di eroico, di spe­ciale.

Francesca                      - Oh. Un buon ragazzo.

Cleofe                           - Mah! Ai miei tempi, per piacere, un uomo doveva parlare alla fantasia, al cuore di una donna. Doveva avere qualche cosa. Doveva magari, essere un cattivo soggetto. Altri tempi.

Francesca                      - Io trovo che non è antipatico.

Cleofe                           - Ci mancherebbe anche questa, che fos­se antipatico. Intelligente no, bello no, ricco non ne parliamo, senza fibra, ci manchereb­be che fosse anche antipatico.

Francesca                      - ( sempre senza alzare gli occhi dal lavoro) Ma tu, zia, hai sempre detto...

Cleofe                           - Sì, che gli voglio bene. Non sono un sasso. È cresciuto qui intorno. E' un buon figliolo... (Sì interrompe, avendo visto qual­che cosa di anormale nella villetta accanto) Ma sai che è strano?

Francesca                      - Che c'è?

Cleofe                           - È uscita la domestica. Giurerei che aveva in mano delle lettere da impostare. E seguitano a batter chiodi.

Francesca                      - Che sia successo qualche cosa?

Cleofe                           - Cosa vuoi che sia successo. È che loro sono grandi. E noi, intanto, avanti coi pa­nini! (Chiamando) Adelaide, come sono ve­nute le torte? Sono cresciute?

Adelaide                       - Parecchio, signorina. Parecchio.

Cleofe                           - Quando le avrai unte, portale qui, con la carta da involgere.

La voce di Adelaide     - Sì, signorina.

Cleofe                           - (con altra voce) Francesca.

 Francesca                     - Zia.

Cleofe                           - Ti sta bene, questo giubbetto.

Francesca                      - L'ho messo per la gita.

Cleofe                           - Francesca, ti sei fatta una magnifica ragazza. Mah. Pare ieri che portavi il grem-biulino. (Pausa) Direi che dovresti pensare a prender marito, Francesca.

Francesca                      - Non ho nulla in contrario.

Cleofe                           - Tutte le tue compagne, a una a una, chi fidanzata, chi sposa. (Abbassando un po' la voce) Sai, ieri sera il dottore, quando sei uscita, mi ha tenuto uno dei suoi soliti di­scorsi. Non occorre essere indovini per ca­pire che ti sposerebbe molto volentieri. È una persona che ha delle grandi qualità.

Francesca                      - Non trovi che sia un po' noioso?

Cleofe                           - Un marito deve esserlo. Quando i ma­riti sono divertenti, non è mai la moglie a divertirsi, sono le altre. Bel fisico; bella voce; bene educato; distinto professionista; piuttosto abbiente; quel che si dice un ap­poggio, per una donna.

Francesca                      - Non mi piace la pettinatura, del dottore.

Cleofe                           - Francesca. Non sei più una bambina. Il dottore è il vero tipo del marito che ren­de felice una moglie. Suo fratello, che ha sposato la Maes grande, va tutte le mattine a portarle a letto il caffè con l'uovo. Ecco quel che io chiamo un marito. Un uomo che appena rinfresca, va a prendere un soprabito e lo mette sulle spalle della moglie.

Francesca                      - Io, invece, vorrei proprio essere io, a portare il caffè con l'uovo a letto a mio marito, e a mettergli sulle spalle il sopra­bito, la sera.

Cleofe                           - Francesca mia, ho una gran paura che tu sia destinata ad essere una vittima.

Francesca                      - Speriamo di no, zia.

Cleofe                           - Francesca.

Francesca                      - Zia.

Cleofe                           - Lo sanno tutti, sai, che sei innamo­rata di Alberto. Lo vedrebbe un cieco.

Francesca                      - (sempre tranquillissima e con l'aria di non dare importanza) Mi piace.

Cleofe                           - Innamorata cotta, devi dire. Purtrop­po. E che intenzioni avresti, sentiamo.

Francesca                      - (c. s.) Vorrei sposarlo.

Cleofe                           - Vedo che non hai idee molto con­fuse. E lui? Che ne dice?

Francesca                      - Nulla.

Cleofe                           - Come sarebbe « nulla »?

Francesca                      - (sempre tranquillissima) Credo che non se ne sia accorto.

Cleofe                           - (senza fiato) Alberto non s'è accorto che sei innamorata cotta di lui?

Francesca                      - Credo di no, zia.

Cleofe                           - Sei sicura che non finga? Gli uomini sono subdoli.

Francesca                      - Eh, credo proprio di no.

Cleofe                           - Inaudito! Che patata! Ai miei tempi i giovanotti erano diversi, avevano dell'ar­dore. Ma tu, cara, hai cercato... in qualche modo... di chiarirgli le idee?

Francesca                      - Eh, figurati, zia.

Cleofe                           - Me lo figuro benissimo, cara. Te l'ho chiesto per pura formalità. E lui, non ostan­te questo...?

Francesca                      - Nulla.

Cleofe                           - (indignata) E tu cosa pensi di fare?

Francesca                      - (tranquilla) Di sposarlo, zia.

Cleofe                           - Ma non ti fa rabbia, che non s'ac­corga di te...

Francesca                      - (c. s.) Lo picchierei.

Cleofe                           -... quando c'è dei giovanotti che in­ciampano, per guardarti? Francesca      - È che con lui siamo cresciuti in­sieme. Mi considera un compagno, non ostan­te le sottane.

Cleofe                           - Un compagno! Eppure lo si vede bene, sai, che non dovrai fare il soldato.

Francesca                      - Un compagno: così mi vede lui, non c'è niente da fare.

Cleofe                           - E come va, che tu, lui, non lo con­sideri una compagna, una compagna coi cal­zoni?

Francesca                      - (rassegnata) Credo che per me sia una cosa cominciata da piccola. Giocavo alle signore, mi occorreva un signore... e sic­come nei dintorni non c'erano altri bambini che Alberto, dovendo figurarmi un signore, cominciai a pensare a lui.

Cleofe                           - E così?

 Francesca                     - E così... Sai, lo zio Venturino che aveva i calcoli al fegato? E diceva che gli veniva ogni tanto un male fondo, terribile? Ebbene, così io, se mi viene in mente che Alberto possa sposare un'altra.

Cleofe                           - Francesca. Sono stata anche io una discreta ragazza. Ci si andava anche allora, a far merenda sui monti. Eccomi qua. Son diventata un vecchio pappagallo. Il tempo va in furia, non bisogna farlo passare così.

Francesca                      - Ma io non voglio farlo passare.

Cleofe                           - Credo che io al tuo posto, avrei fatto succedere... qualche cosa. Per smuoverlo, cose innocenti, si capisce.

Francesca                      - (abbassando la voce) Dei progetti ne faccio. Per esempio mi immagino... Ma non mi prenderai in giro?

Cleofe                           - Forse ti invidierò, cara.

Francesca                      - Mi immagino che io abbia un grande dispiacere. Per esempio un lutto in una casa...

Cleofe                           - Speriamo che ci sia tempo, Francesca.

Francesca                      - Un lutto, e io sono lì, vicino al melo a piangere. D'un tratto viene Alberto...

Cleofe                           - (rassegnata) . .. scavalcando lo stec­cato...

Francesca                      - . .. s'accosta per consolarmi. Al­lora io, singhiozzando, mi butto sul suo petto...

Cleofe                           - È sperabile che a questo punto si de­cida a stringere.

Francesca                      - (timidamente) Una volta è suc­cesso qualche cosa di simile. Mi ero spaven­tata di una lucertola.

Cleofe                           - (più curiosa che severa) E ti buttasti veramente sul suo petto?

Francesca                      - Si.

Cleofe                           - E lui?

Francesca                      - Si mise una mano qui.

Cleofe                           - (interessata) Sul cuore?

Francesca                      - No, sulla penna stilografica. Eb­be paura che si fosse rotta.

Cleofe                           - Mah. Non sarei una donna se non ti comprendessi. Anche la regina Maria Adelai­de, la più bella donna del suo tempo, pare che amasse un sagrestano, figurati, giudicato insignificante da tutti.

Francesca                      - (dolcemente, senza alzare gli occhi) Ma forse non dalla regina Maria Adelaide.

Cleofe                           - (con meraviglia, osservando vivamente verso la strada) E che ne fanno della corda?

Francesca                      - Della corda?

Cleofe                           - La loro domestica è rientrata portan­do della corda.

Francesca                      - Stamane non hanno neanche an­naffiato i fiori.

Cleofe                           - Qui c'è qualche cosa. (S'interrompe; alzando la voce e salutando evidentemente la vicina): Buon giorno, signorina Ofelia.

La voce di Ofelia          - (col tono di chi ha molto da fare) Buon giorno, buon giorno. Avete saputo? Grandi notizie. Notizie belle; per Alberto. Mi sbrigo e sono lì. (Un silenzio. Evidentemente Ofelia si è ritirata dalla fi­nestra).

Cleofe                           - (a Francesca) Non c'è da impressio­narsi, cara. Sei diventata persino pallida. « Notizie belle; per Alberto »! Le solite scioc­chezze. (Un silenzio; con altra voce, decisa, quasi maschile) Francesca.

Francesca                      - Zia.

Cleofe                           - Ufficialmente debbo condannarti. Ma privatamente muoio dalla voglia di aiutarti. Qua bisogna risolvere.

Francesca                      - Risolvere?

Cleofe                           - Qui non c'è tempo da perdere. Quel­lo può partire da un momento all'altro. Il mondo è pieno di sfacciate. Se lo beccano, sai? Se lo sposano, e a te ti arriva la notizia.

Francesca                      - Che dovrei fare, secondo te?

Cleofe                           - Concludere. Oggi, alla gita. Forse hai le ore contate. Francesca, perché non provi a ingelosirlo, col dottore? Durante la meren­da? Oppure la solita storta, alla caviglia? Lui è obbligato a prenderti in braccio. Poi, pel resto... sta a te.

Francesca                      - (senza fiducia) Zia, sono cose che si vedono in tutti i film. Al giorno d'oggi, per farsi sposare, ci vuol altro!

Cleofe                           - Ma fra un uomo e una donna, le cose sono sempre a quel punto, non ci sono mica innovazioni, lì. Dio, se dovessero sentirmi,. morirei di vergogna.

Francesca                      - Zia.

Cleofe                           - Di'.

 

Francesca                      - (senza alzare gli occhi, tranquilla) Sai, io, invece, avevo pensato un altro si­stema.

Cleofe                           - Ci avevi già pensato?

Francesca                      - Sì.

Cleofe                           - Un sistema?

Francesca                      - (tranquilla) Gli parlo.

Cleofe                           - A lui?

Francesca                      - (c, s.) Sì.

Cleofe                           - (allarmata) E che gli dici?

FRANCESCA              - (c.s.) Tutto.

Cleofe                           - (dopo una pausa, allarmata) Così? Oggi?

Francesca                      - (c. s.) Sì, zia.

Cleofe                           - Gli ti dichiari?

Francesca                      - Ho pensato... che è un sistema più sicuro.

Cleofe                           - (dopo un silenzio, ammirata) France­sca. Se io fossi stato un uomo, avrei voluto sposar te.

La signorina Ofelia       - (entrando) Buon gior­no a tutti.

SCENA SECONDA

Cleofe e Francesca        - Buon giorno.

Ofelia                            - (importante) Figliole, sono letteral­mente coperta di polvere!

Cleofe                           - (noncurante, cercando di non darle troppa soddisfazione) Novità?

Ofelia                            - (trionfante) Novità? Si parte!

Cleofe                           - Si parte?

Ofelia                            - Alberto. Per via del posto. Lo vo­gliono subito.

Cleofe                           - (sprezzante) E chi lo vuole?

Ofelia                            - (un po' piccata) La banca.

Cleofe                           - (aggressiva) E come mai?

Ofelia                            - (offesa)  Come mai! Fiducia.

Cleofe                           - E che va a fare?

Ofelia                            - A dirigere.

Cleofe                           - (agra) La banca.

Ofelia                            - Non ho detto questo. Ma sempre un ufficio... importante. (Abbassando la voce) Avrà una stanza sua.

Cleofe                           - (un po' smontata) Sono due mesi, che ne sento parlare, della stanza sua. E quan­do va?

Ofelia                            - Ma subito, cara. Oggi, non so, do­mani. Sapete, queste banche:, tutto d'ur­genza.

Francesca                      - (non troppo disinvolta) E la... merenda di oggi? Potrà venirci, alla me­renda?

Ofelia                            - Ma cara! Non so, non credo. È la sua vita che cambia. Da così a così.

Cleofe                           - (piuttosto furente) Non potrete... ve­nire alla merenda?

Ofelia                            - Purtroppo!

Cleofe                           - E ce lo dite ora?

Ofelia                            - Dispiace anche a me, cara. Le avevo preparate anche io, le torte. Abbiamo trop­po da fare, figliole, dovete capirlo.

Francesca                      - (con un filo di voce) Ma non ver­rà nemmeno a salutarci? A parlare un po'?

Ofelia                            - Ha il fuoco addosso, poverino. Oh, ma verrà certamente, magari un momentino sul tardi. (Un silenzio).

Cleofe                           - Ah. Un momentino. Sul tardi. Ora vediamo. (Appigliandosi ai mezzi estremi, è chiamando solennemente) Adelaide! Porta le torte.

Adelaide                       - (dall'interno, ma apparendo quasi su­bito con un tagliere pieno di torte) Stavo portandole, signorina.

Cleofe                           - Mettile pure lì. Bene in vista.

Ofelia                            - Belle, belle! Che buon odore! Brava Adelaide.

Cleofe                           - (severa) Brava Francesca, devi dire. Le ha dosate lei. Francesca è una ragazza... come ce ne sarebbero poche.

Alberto                          - (entrando, in maniche di camicia, e scavalcando) Buon giorno, gente. Che buon odore.

SCENA TERZA

Cleofe                           - (secca). .. giorno.

Francesca                      - Ciao, Alberto.

Alberto                          - Ciao. Dunque avete sentito? L'alta banca ha bisogno di noi.

Cleofe                           - (agra) Speriamo sia una banca alta, ma che non ruzzoli.

Alberto                          - (con l'occhio sulle torte) Ci saremo noi, zia Cleofe. Occhio di lince, polso di ferro.

Cleofe                           - (c. s.) E della buona saliva.

Alberto                          - Saliva?

Cleofe                           - Per incollare le buste.

 Ofelia                           - (piccata) Oh, Albertino avrà delle mansioni molto ma molto elevate.

Alberto                          - (staccando un po' di crosta da una torta e mangiandola) Prendo una briciola, si stava staccando. Il fatto è che questi dia­voli di banchieri sanno quello che fanno.

Ofelia                            - Capiscono. Sanno apprezzare.

Alberto                          - Chi lo sapeva per esempio... Pren­do un'altra briciola, zia Cleofe, s'era stac­cata. Chi se lo immaginava, che mi tene­vano gli occhi addosso?

Cleofe                           - Sei troppo modesto, Alberto. È il tuo difetto.

Francesca                      - (ha cominciato a darsi da fare; spin­ge abilmente una poltrona di vimini accanto ad Alberto).

Alberto                          - (lasciandovisi cadere) Auff. Da sta­mani non faccio che legare bauli. Lo credete che sono già stufo? Io, come tendenza, sarei per la vita semplice. I grandi posti, la vita turbinosa, mi seccano.

Ofelia                            - Ecco: la tua modestia.

Alberto                          - (staccando un altro pezzetto dalle tor­te che Francesca ha abilmente spinto verso di lui) Ma sapete, zia Cleofe, che queste torte... sono venute benino? Aromatiche.

Cleofe                           - (burbera) Assaggiale pure. Ma guarda che io non sono tua zia. Tua zia è quella lì.

Alberto                          - (a bocca piena) Beh, volete saperlo? Quando ho pensato che avrei dovuto lasciare voialtre, la zia Cleofe, Francesca... Anche zia Ofelia, si capisce, ma zia Ofelia col tempo, viene anche lei, col tempo, dunque, quando ho pensato... ci credete che proprio ho sen­tito una cosa qui, mi s'è chiuso lo stomaco?

Cleofe                           - (dandogli un'occhiata) Si stenta a crederlo.

Alberto                          - (nostalgico) Quanti ricordi! Che be­gli anni! Mi pare ieri che s'arrivava qui pel­le vacanze. Vi ricordate, zia Cleofe, quando vi ruppi il ramo? Il ramo del pero?

Cleofe                           - Già. E poi Francesca, poverina, si prese lei la colpa, al solito, per salvarti. E tu lasciasti punir lei.

Ofelia                            - Perché era piccolo.

Cleofe                           - Anche Francesca era piccola, più di lui. Eppure si lasciò castigare senza dire una sillaba. Per te. Eh, Francesca te ne ha ri­mediati parecchi, dei guai. Alberto       - (a bocca piena) Bei tempi. Ve lo manderò io, il pero, in regalo, dalla capita­le: un pero giapponese. È un pero che sembra un melo: ha i-fiori del melo: fa delle belle mele: tutto come un melo. Soltanto è un pero. È giapponese. Anche l'annaffiatoio, zia Cleofe. Ve ne manderò uno di quelli a pompa: che schizzano.

Cleofe                           - (sospettosa) L'annaffiatoio?

Alberto                          - Sì. Il vostro si dev'essere un po' acciaccato. Stamane. Era un vecchio cate­naccio. Mi si è messo tra i piedi... Anche le fucsie. Ci penso io.

Cleofe                           - (allarmata) Le mie fucsie?

Alberto                          - (sempre a bocca piena) Non ve l'ho detto che l'annaffiatoio mi ha fatto inciam­pare? Credo di essere finito in mezzo alle fucsie... (S'interrompe, si solleva un po' dal­la poltrona, mostra un paio d'occhiali che s'è tolto di sotto) Però gli occhiali, quelli, è colpa vostra, zia Cleofe. Non dovete lasciarli in giro.

Cleofe                           - (con rassegnato furore) Ti sei seduto sui miei occhiali? Non hai rotto altro, per oggi?

Alberto                          - (cercando di farle ganascino) An­diamo, zia Cleofe: un generoso oblio. Chissà quanto starò, ormai, senza rompervi più nulla. Vi manderò un monte di regali, dalla capitale. A Francesca poi, roba a vagoni. Capito, Francesca?

Cleofe                           - Eh, Francesca, Francesca. Non li aspetterà per molto, i tuoi vagoni. Starebbe allegra, poverina. È arrivato il suo tempo anche per lei. Dovrà pure sposarsi.

Alberto                          - Francesca?

Cleofe                           - Sicuro. Francesca. È una bella ragaz­za. Si sposerà.

Alberto                          - Oh bella. Non capisco che c'entri questo. (Poco entusiasta) Mi pare... troppo presto. Francesca è ancora... Non è abba­stanza... sviluppata.

Cleofe                           - (superiore) Ebbene, pare che non tutti siano del tuo parere. Sì, cari.

Ofelia                            - Ah! Ma davvero! Ma brava. Allora, c'è qualche cosa, in aria?

 

Francesca                      - (che va e viene, schermendosi) Ci mancherebbe!

Ofelia                            - Cose... vaghe?

Cleofe                           - (dignitosa) Vaghe... fino a un certo punto.

Ofelia                            - Ma bravi, ma benissimo!

Alberto                          - (di cattivo umore, non sa neanche lui perché) Per me, trovo che sia una cosa troppo... non so. Trovo che sia un po' buf­fo, che Francesca abbia tanta fretta.

Francesca                      - (che non sa resistere) Ma certo! Io la penso proprio come te, Alberto!

Cleofe                           - (severa) Non è questione di fretta, è che gli anni camminano. Le pere, le mele, l'annaffiatoio. Ma intanto non si è più ra­gazzi. Si cresce.

Alberto                          - (di cattivo umore) Che diavolo ci mettete in queste torte? Buone, ma, per­bacco: (toccandosi la gola) si fermano qui.

Francesca                      - (premurosa) Ti ho preparato il caffè, Alberto. Sai, come piace a te.

Cleofe                           - (che non lascia l’argomento) France­sca s'è fatta una magnifica figliola.

Ofelia                            - (a Francesca) Ti sta bene, questo giubbetto.

Francesca                      - (premurosa) Sì? Ti va, Alberto?

Alberto                          - (poco allegro) Mi va, mi va.

Francesca                      - (un po' supplichevole) Alberto, perché non vieni almeno alla gita! Ci siamo andati sempre, tutti gli anni.

Ofelia                            - (alzandosi e andandosene) Magari si potesse, cara. Abbiamo la casa per aria. Al­berto, bisognerà spicciarsi. (Esce).

Alberto                          - Eccomi subito, zia. (Bevendo il caf­fè che Francesca gli ha portato) In fondo era bello qui. Eh, ciò che m'attende non sarà tutto zucchero. Lotte. La vita, la città, che logora, che travolge, che sconvolge. Una ca­meretta fredda; dell'aria consumata; vitto di trattoria... porcherie terribili.

Francesca                      - Alberto, sai? Portiamo anche la macchina a spirito. Dopo la merenda, man­giamo il grog con gli ananassi.

Alberto                          - Caldi?

Francesca                      - Certo. Sarà molto bello. C'è un'aria così buona! Ti farebbe bene, hai il viso stanco.

Cleofe                           - (diplomatica) La giornata non po­trebbe essere migliore.

Francesca                      - L'ultimo tuo giorno con noi. Te li rammenti, lassù, quei bei prati, tutti quei fiori azzurri... Ti resterà un grato ricordo. Parleremo... di tante cose. Il vecchio postino del luogo (dalla strada provinciale) Permesso?

SCENA QUARTA

Cleofe                           - Avanti.

Il postino                       - (entrando) Telegramma. Per voi, signor Alberto.

Alberto                          - (firmando, e aprendo, superiore) Te­legrammi, si comincia. Chi mai può essere? (Si interrompe, guardando il telegramma; un silenzio).

Cleofe                           - La banca?

Alberto                          - (perplesso, tornando a guardare) No.

Francesca                      - Cose buone?

Alberto                          - Mah. Sarebbe un certo... (Leggendo) Miani. (Pensandoci) Miani? (Cercando di al­lontanare la cosa da sé) Ma io non conosco...

Cleofe                           - Uno sbaglio?

Alberto                          - Strano. (Leggendo ad alta voce) « Consalvo »... e chi è Consalvo? «Verrà corcarti domani stop ». Corcarti. (Tornando a leggere) Dice proprio corcarti. (Proseguen­do) «Non impressionarti, prudenza, verrò anche io spalleggiarti, darti man forte. Mia­ni ». E chi è Miani? Oh bella. Io non conosco Miani. E nemmeno Consalvi. Non: capisco poi perché questo Consalvo voglia corcarmi.

Il postino                       - (informatissimo) Cercarti, signor Alberto, cercarti.

Alberto                          - Ah. Meno male. (Un po' impressio­nato) Ma perché vogliono spalleggiarmi? E darmi: (leggendo) «man forte»? Dev'es­sere uno scherzo.

Il postino                       - (grave, triste, andandosene) Spe­riamo, signor Alberto. Io ne ho portati tan­ti, di telegrammi. Non sempre va a finir bene. Buon giorno a tutti. (Va via).

Alberto                          - (tornando a leggere) «Non impres­sionarti, prudenza». (Impressionato) Non ca­pisco perché dovrei impressionarmi.

 

Cleofe                           - (guardandolo di sottecchi) Alberto. Non sarà uno dei tuoi soliti pasticci?

Alberto                          - Ti assicuro, zia Cleofe... Consalvo, Miani, non li conosco assolutamente. (Co­minciando ad indignarsi) Io domando se un cittadino, un professionista, deve essere espo­sto a questi... a questi... (S'interrompe).

 Il postino                      - (che è tornato indietro) Scusate, signor Alberto, ve ne ho dati due o uno solo? Dei telegrammi?

Alberto                          - Eccolo. Uno.

Il postino                       - (cercandosi addosso, nei posti più strani) Perché dovevano essere due, sa­pete. Ne sono sicuro. (Amareggiato) Come si fa a ricordarsi? La gente oggi non fa che ri­cevere dei telegrammi. Un tempo non era così. Meno male. Eccolo.

Alberto                          - (lo apre precipitosamente, lo legge: un breve silenzio: guarda le donne) È... Consalvo.

Il postino                       - (alle donne, informatissimo) Dice che viene domani.

Alberto                          - (leggendo) « Necessita ampia spiega­zione noto fatto, stop». Noto fatto? «Pregovi attendermi domani. Guido Consalvo Benedè Nicola ». (Un silenzio) Accidenti. Gui­do, Consalvo, Benedè... non si può neanche capire in quanti vengono. Sono cose... inau­dite. (Ottimista) Io dico che è uno sbaglio.

Cleofe                           - (severa) Già perché tu non sei mica quello...

Alberto                          - Ebbene, zia, ti giuro...

Cleofe                           -. .. dei disastri a catena.

Alberto                          - (rileggendo). .. noto fatto, stop.

Cleofe                           - (c. s.) La tua vita di questi mesi... era da aspettarselo. Poi i nodi vengono al pettine. Alberto                  - (tentando di reagire) Che nodi, che nodi, che pettine!

Cleofe                           - (ribadendo) Al pettine!

Francesca                      - (con rimprovero) Zia Cleofe!

Cleofe                           - Va bene, un passo falso, lo possono

far tutti.

Alberto                          - Vi giuro che non vi è assolutamente nessun passo falso, nessun noto fatto. Sono innocente. (Con altra voce) Io dico che si tratta di un pazzo.

Cleofe                           - (severa, scuotendo la testa) Sai, Al­berto; ci conosciamo.

Alberto                          - « Pregovi attendermi domani ». Do­mani? (D'un tratto calmo, con ilare compa­timento) Ma poveretti. Dovrei attenderli do­mani. Poverini. Invece succede che io oggi devo partire e domani sarò una piccola goc­ciolina nell'oceano umano della metropoli. E il povero Consalvo... È doloroso, è un vero peccato, farà il viaggio per niente. (Baldan­zoso) E noi stenderemo sulla cosa un mise­ricordioso oblio.

Il postino                       - (sinceramente afflitto) Signor Al­berto, mi dispiace tanto, guardate che il no­stro ufficio, chiude alle diciannove.

Alberto                          - (baldanzoso) Beh? Tanto piacere.

Il postino                       - (con l'aria di scusarsi) E così i telegrammi, dopo le diciannove, li riceviamo il giorno dopo, che sarebbe il mattino suc­cessivo.

Alberto                          - (superiore) E a me che me ne im­porta?

Il postino                       - Questo è il motivo per cui i vo­stri telegrammi, anziché ieri sera...

Alberto                          - (inquieto) . ..ieri sera...

Il postino                       - . ..li abbiamo avuti stamane, che sarebbe...

Alberto                          - (guardando avanti a sé) . ..il mattino

successivo.

Il postino                       - Signor Alberto, lì sta scritto do­ mani... ma in conclusione credo che si tratti proprio di oggi.

Alberto                          - (che ha compreso) Accidenti. (Un silenzio; guarda i telegrammi, poi, istintiva­ mente, la strada provinciale) Avete... senti­to? Questo Consalvo potrebbe già esser qui. (Un silenzio; aggrappandosi a una speranza) Io dico che è uno scherzo. (Una voce lo fa voltare).

SCENA QUINTA

Uno sconosciuto decentemente vestito- (dal­la strada provinciale, con voce decisa) Il signor Alberto Moesse, per favore?

Alberto                          - (piuttosto impressionato) Io... Sono io. (Intanto il postino, prudentemente, rag­giunge la strada e si eclissa).

Lo sconosciuto              - (avanzando energicamente) Buon giorno. Ho avuto il vostro indirizzò dal signor consigliere distrettuale, compitis­sima persona.

Alberto                          - Di... dite pure.

Lo sconosciuto              - Non è da ora che il signor consigliere mi concede la sua stima. (Estraen­do dalla tasca dei pantaloni qualche cosa con una mossa improvvisa che fa sobbalzare Alberto e anche le due donne, le quali se­guono la scena col fiato sospeso) Signor Moesse, vorrei sottoporre alla vostra atten­zione...

Alberto                          - Voi siete Consalvo?

Lo sconosciuto              - (interdétto) Nossignore.

Alberto                          - Voi siete Miani?

Lo sconosciuto              - (impressionato) Sono Pakke.

Alberto                          - Pakke? E che volete da me?

Lo sconosciuto              - (intimidito, mostrando il suo articolo) Sono viaggiatore in penne stilo­grafiche, signore.

Alberto                          - (inferocito, spingendolo fuori) Ba­sta! È inaudito! Lasciatemi in pace! Tornatevene al più presto da dove siete venuto!

Il viaggiatore in penne stilografiche    - (eclis­sandosi rapidamente) Vado, vado, signore.

Alberto                          - (s'è interrotto e non gli bada più: ha veduto sulla soglia di strada un'elegante si­gnora in soprabito da viaggio).

SCENA SESTA

La sconosciuta              - (entrando) Buon giorno, Al­berto.

Alberto                          - (assai perplesso) Buon... giorno. Ciao, Noemi.

Noemi                           - Sono arrivata in tempo? Ho volato. Si può sapere cosa fai lì?

Alberto                          - So... sono sorpreso.

Noemi                           - Sorpreso] Non hai avuto il telegram­ma?

Alberto                          - (mostrandoli) No. Sì. Ne ho avuti due. Ma il tuo... il vostro... non credo.

Noemi                           - (scorrendoli e mostrandone uno) Ma che scioccone. « Miani ». Era Noemi. Non ci voleva molto.

Alberto                          - Avevo quasi... capito... Ma speravo...

Noemi                           - È arrivato Consalvo?

Alberto                          - (angosciosamente) E... chi sarebbe Consalvo?

Noemi                           - Ma sei proprio un tipo, sai! (Voltan­dosi un attimo alle due donne, che seguono la scena a orecchie tese) Compermesso, si­gnore.

Noemi                           - (trae energicamente a parte Alberto e comincia con lui un misterioso e serrato dia­logo di cui, dapprima, assolutamente nulla arriva alle orecchie molto attente delle due ascoltatici e del pubblico; solo dopo qual­che momento si odono alcune frasi, piutto­sto inquietanti, pronunciate più forte delle altre).

Noemi                           -. ..ti avverto che è furioso, disposto a tutto.

Alberto                          -. ..mi rifiuto di vederlo... Sono inno­cente!

Noemi                           -. ..è diventato una belva, una tigre... Ci sarà anche il processo.

Alberto                          -. ..il processo?

Noemi                           -. ..ti dico un disastro. Una catastrofe!

Alberto                          -. ..sicché sarei un criminale!... Un delitto!

Noemi                           -. ..il codice penale, ti dico. È un uomo che non scherza.

Alberto                          -. ..ma qui ne va di mezzo l'incolu­mità personale...

Noemi                           - (concludendo). ..sarà qui da un attimo all'altro. Questione di minuti. Vado a ve­dere. (S'allontana qualche passo per andare a guardare sullo stradale).

Alberto                          - Un momento. (Pensa un attimo; si accosta a Cleofe e a Francesca che hanno se­guito la scena trepidanti). Vengo alla gita. Mi farà bene. Sarò pronto fra un attimo, partiamo subito. (Bisbigliando, supplichevole) Francesca, bisogna ch'io metta un po' d'aria fra me e questa gente. (Con la voce di prima) Porto anche zia Ofelia, preferisco, così si chiude casa e buonanotte.

Francesca                      - (subito dandosi da fare, coadiuvata da Cleofe) Va bene, Alberto, va bene.

Alberto                          - (a Noemi, che guarda verso lo stra­dale) Scusami un momentino.

Noemi                           - Si, caro.

Alberto                          - (in due salti è a casa sua).

SCENA SETTIMA

Francesca                      - (appena Alberto è sparito, pur se­guitando a darsi da fare) Buon giorno, Noemi.

Noemi                           - (sorpresa) Oh! Francesca. Sei qui?

Francesca                      - (tranquilla) Pare.

Noemi                           - Mio Dio, che bella combinazione.. Ma come è piccolo il mondo.

Francesca                      - (presentando) Zia, questa è la si­gnora... Signora, vero?

Noemi                           - (annuendo) Signora. Vedova. Signora Noemi Bata.

Cleofe                           - (fosca) Piacere.

Francesca                      - Mia rivale in collegio nel primato della classe.

Noemi                           - (ridendo) Oh, ci siamo odiate.

Cleofe                           - (agra, rientrando in casa) Comper­messo.

Noemi                           - (a Francesca) Ma sai che sei sempre carina? Incantevole.

Francesca                      - (agrodolce) Anche tu. Ti conservi.

Noemi                           - (agrodolce) Ancora ragazza?

Francesca                      - (annuendo) Ragazza.

Noemi                           - Un simpatico giovane, il tuo vicino.

Francesca                      - (con evidente sfumatura di ironia) L'hai conosciuto al mare? Sulla spiaggia?

Noemi                           - Sì, cara. (Lievissimamente velenosa) Cara, dovresti rialzarti i capelli. Staresti mol­to meglio. Meno provincia.

Francesca                      - Ci penserò. (Si ode un clacson).

SCENA OTTAVA

(Appare sulla strada provinciale una vecchia auto, e su questa il dottore in tenuta da gita).

Il dottore                       - (cerimonioso, degno e faceto ad ogni costo, prima di sulla macchina, poi nel giardinetto) Buon giorno, gentili signore. Sarei dolente di aver tardato. Le montagne ci attendono.

Francesca                      - Siamo pronti, dottore.

Il dottore                       - (galante) Oggi più che mai splen­dente, la signorina Francesca. Vero fiore "pri­maverile.

La voce di

Alberto                          - (da una finestra) Scen­diamo subito, dottore. Tenete il macinino in pressione.

Noemi                           - (a Francesca) Una gita?

Francesca                      - (asciutta) Sì, una merenda.

Noemi                           - Oh, carino.

Francesca                      - Ti inviterei, ma sai, abbiamo le provviste misurate.

Noemi                           - Ah, capisco.

Cleofe                           - (spunta seguita da Adelaide che porta pacchetti e cestini) Andiamo, Adelaide. Dot­tore, buon giorno. Spicciati, Francesca.

Il dottore                       - (aiutando a disporre cose e persone sulla macchina) Il barometro è sul bello secco. Lievi annuvolamenti a sud-ovest, ma trascurabili. Spero che il mio impermeabile sarà superfluo. E così la mia borsa farma­ceutica.

Cleofe                           - (salendo in macchina) E che ne vo­lete fare della borsa farmaceutica?

Il dottore                       - (sempre faceto) La prudenza non è mai un vizio, signora. Potreste cadere in un burrone. Voi non portate l'ombrello? Non si sa mai, in montagna. Quando si è premu­niti si va molto più tranquilli.

Ofelia                            - (correndo anche lei e salendo in mac­china, munita del suo binocolo e non troppo ben disposta) Che confusione. Sempre dire e disdire.

Francesca                      - Alberto.

La voce di Alberto        - Vengo.

Ofelia                            - Alberto, chiudi il salotto.

La voce di Alberto        - Sto chiudendo.

(Tutti sono pronti in macchina tranne Fran­cesca che è rimasta in, attesa di Alberto. D'un tratto Noemi che è vicino a Francesca, e guarda verso la strada provinciale, dà se­gni di allarme).

Noemi                           - (a bassa voce) Mio Dio, eccolo.

Francesca                      - Chi?

Noemi                           - Consalvo. Non vorrei che mi trovasse qui. C'è un'altra uscita?

Francesca                      - No. Ma puoi entrare lì. (Indica una porticina).

Noemi                           - Grazie. È così noioso, quell'uomo.

Francesca                      - (spingendola nella porticina) Pre­sto.

Noemi                           - (facendo resistenza) Ma è un pollaio.

Francesca                      - Sì, cara. Andiamo, coraggio. (La spinge dentro, chiude la porta e con aria di sapere molto bene quello che fa, dà due giri di chiave; fa appena in tempo).

SCENA NONA

Consalvo                       - (grande, scuro e temibile, è apparso stilla provinciale, entra deciso). (Contemporaneamente Alberto si è precipi­tato fuori e scavalca, al solito, per correre all' automobile; i due uomini e Francesca si trovano inopinatamente uno di fronte all'al­tro e si fermano).

Consalvo                       - Abita qui il signor Alberto Moesse?

Alberto                          - (un po' tremulo e domandandolo a Francesca) A... abita qui?

Francesca                      - (tranquilla, prendendo evidentemen­te la direzione della cosa) Sì, signore. Abi­ta qui.

Consalvo                       - (truce) Devo parlargli. È piuttosto urgente. Viaggio da ieri sera per trovarlo.

Francesca                      - (col suo miglior sorriso) Voi siete il signor Consalvo?

Consalvo                       - Sì.

Francesca                      - Gli avete mandato un telegram­ma, non è vero?

Consalvo                       - Sì.

Francesca                      - Preannunciandogli il vostro ar­rivo.

Consalvo                       - Sì.

Francesca                      - (angelica) Il signor Moesse do­vrebbe essere alla stazione ad aspettarvi.

Consalvo                       - Alla stazione?

Francesca                      - Dovrebbe.

Consalvo                       - Ma se non mi conosce!

Francesca                      - Conosce tutti gli altri, così cono­sce anche voi. Perché sarete l'unico che egli non conoscerà. Il paese è piccolo, signore.

Consalvo                       - Dov'è questa stazione?

Francesca                      - Prendete la strada, poi a destra, poi ancora a destra, poi domandate, non sono che sei chilometri.

Alberto                          - (che ha collaborato con gesti alle spie­gazioni di Francesca) Quasi cinque.

Francesca                      - (avviandosi all'automobile) Buon giorno, signore. (Ad Alberto, con ostilità, trascinandolo ruvidamente) Vieni, tu.

Alberto                          - (a Consalvo dirigendosi, molto alle­gro, verso l'auto) Buon giorno! Buon viag­gio!

(L'automobile si è mossa con festosi suoni di clacson, è sparita).

Consalvo                       - (fa per rimettersi in marcia, quando -la sua attenzione viene richiamata da forti colpi picchiati alla porta del pollaio).

La voce di

Noemi                           - Aprite! Aprite!

Consalvo                       - (va, spalanca la porta).

Noemi                           - (ne esce, togliendosi di dosso delle ra­gnatele).

Consalvo                       - (stupefatto) Noemi! Che facevi li?

Noemi                           - (senza rispondergli, corre verso Ade­laide che è rimasta lì a guardare) Dove sono andati?

Adelaide                       - (solenne e tonta) Al prato della Ma­donna dei Monti, signora.

Noemi                           - (minacciosa, avviandosi) Va bene. Al prato della Madonna dei Monti.

Consalvo                       - (minaccioso, seguendola) Al prato della Madonna dei Monti.

 

FINE DEL PRIMO ATTO

ATTO SECONDO

 Luogo alpestre non lontano dalla Madonna dei Monti. Da un lato una baita abbandonala; dall'altro si indovina un dirupo che scende quasi a picco. Poco più di un'ora è trascorsa dal primo atto.

SCENA PRIMA

(Abbaiamento di cani. Spuntano Francesca e il dottore, portando cestini, sacchi ecc.).

Francesca                      - Ecco, dottore. Siamo arrivati. (Voltandosi evidentemente verso un altro gruppo della comitiva) Uhu... Uhu...

Voci molto lontane       - Uhu... Uhu...

Alberto                          - (arrivando, carico e di pessimo umo­re) Sì, uhu, uhu. Non ho mai trovato un sentiero più infame e dei cani più stupidi. (A Francesca che ostenta di non badargli) Vorrei sapere perché, a che scopo, ci hai costretto a venir qui, da questa parte, noi , soli. Gli altri sono già arrivati, eccoli là, sono già alla chiesetta. La gita era sì o no alla Madonna dei Monti? Perché invece ci hai fatto venir qui? Le tue solite prepotenze.

Francesca                      - (a Alberto, aspra) Potevi rima­nere al paese, tu; a fare onore alla tue visite. (Al dottore, estremamente gentile) Vi piace questo posto, dottore?

Il dottore                       - (estasiato) Un vero incanto. In­cantevole! (Galante) Specialmente poi quan­do lo si visita condotti da una guida così... eccezionale. Così squisita.

Alberto                          - (togliendosi dalle spalle il sacco) Auff, ci hanno messo dei ferri da stiro, in questo sacco! (Dal sacco buttato in terra vie­ne un rumore di cocci).

Francesca                      - (severa) Si può sapere che fai? (Si avvicina, solleva il sacco per verificare).

Alberto                          - (disinvolto) Dev'essere successo qualche cosa.

Francesca                      - Il rum sulla frittata. Frittata al rum. (Butta il pesante sacco, apposta, sui piedi di Alberto).

Alberto                          - Ahi. Quanto sei simpatica, oggi.

Francesca                      - (al dottore) Dottore, l'avete vi­sta, la sorgente?

Il dottore                       - (ubbidiente) Già. Quell'erba, quel muschio vellutato...

Francesca                      - (indicando) E lo strapiombo?

Alberto                          - (brontolando) Strapiombo. Non far­mi ridere. Se mi ci metto io in piedi, sporgo su con la testa.

Francesca                      - (parlando ostentatamente col dot­tore e indicando, lontano, il posto. dove è andato il resto della comitiva) C'è paragone fra questo posto qui e quello là? È molto più bello, qui, il panorama.

Il dottore                       - Bello. Bello. Suggestivo. (Indi­cando) Quello?

Alberto                          - (di pessimo umore) Quello è un monte. Cosa deve essere? Una montagna.

Il dottore                       - Che immensità! Il pensiero si eleva. E poi vi è l'aria balsamica. (Spiegan­do) Per via della resina.

Alberto                          - Del resto, lo scoprii io, questo po­sticino. Avrò avuto tredici anni, quattor­dici: giovanissimo.

Francesca                      - (secca) Caro, mi pare che ti sba­gli. Fui io che lo scoprii.

Alberto                          - Come? O bella, chi esplorò il palaz­zo, tu o io?

Il dottore                       - Il palazzo?

Francesca                      - (indicando la baita diruta) Il pa­lazzo del re della montagna.

Il dottore                       - Ah, sicuro. Comprendo. Giochi infantili. Come si ricordano volentieri, non è vero? E chi era il re della montagna?

Francesca                      - Ero io.

Alberto                          - Ma no, cara, ero io.

Francesca                      - Caro, mi dispiace, ero proprio io.

Alberto                          - Vorrei sapere come potevi essere il re se sei una donna! Basterebbe questo.

Francesca                      - Ero io.

Il dottore                       - Forse lo sarete stati tutti e due.

Alberto                          - (indignato) Ero io. Quando si ve­niva alla Madonna dei Monti, la merenda, io e Francesca, la si veniva a mangiare qui. E siccome io ero il re della montagna, ti ricordi sì o no che tu mi servivi, eri il mio schiavo preferito? Dunque...

Francesca                      - (superiore) Come vuoi, caro. Non voglio darti un dispiacere. (Va a riempire un bicchiere alla sorgente).

Il dottore                       - (esaminando la baita, funebre) Non ci sarà pericolo? La statica sembra buo­na. Mi danno da pensare quelle crepe.

Francesca                      - Dottore, assaggiate l'acqua.

Il dottore                       - (assaggia l'acqua e sputa).

Alberto                          - (maligno) Sentito, eh? Che sapore di uova fradice!

Il dottore                       - (severo) Saluberrima. Solforosa. Arsenicale, ferruginosa. Peccato che da noi manchino le iniziative. Ci vorrebbe l'America.

Francesca                      - In conclusione, non è un posto magnifico, per farci merenda?

Il dottore                       - Si mangia qui?

Francesca                      - Qui, certo. Senza tanti seccatori.

Il dottore                       - Mi pare un posto isolato. Anche umidetto.

Francesca                      - Dottore, non ditemi che avete paura dell'umido!

Il. dottore                      - Non lo dico affatto. (Accennando verso il resto della comitiva) Gli è che alme­no lassù si è al coperto. Vedo qualche nu­vola... E non vorrei che fossimo vittime del regolamentare acquazzone di montagna.

Alberto                          - Dottore, non vorrete mica chia­marlo, l'acquazzone, col vostro magico po­tere?

Il dottore                       - (offeso) Non credo affatto di aver­lo, questo potere.

Francesca                      - (aprendo il sacco) Bene, allora si mangia qui. (Disinvolta) Ora bisognerà por­tare a quelli lassù la loro parte di frittata.

Alberto                          - (sospettoso) Come sarebbe a dire?

Francesca                      - La loro parte. La frittata è tutta qui. Non vorrai farli morire di fame, quelli lassù; senza frittata.

Alberto                          - (sedendo, risoluto) Ah no, eh? No, e no. Io di qui non mi muovo. Primo, sono stanco; secondo, è troppo distante; terzo, non voglio farmi staccare un polpaccio da uno di questi cani... quarto, io non mi muo­vo; quinto...

Francesca                      - (gelida) Nessuno aveva neanche pensato che tu potessi fare un atto gentile. Dottore, mi dispiace...

Il dottore                       - (triste) Devo andare... a portare la frittata... lassù?

Francesca                      - Per forza, dottore. Non è poi così lontano.

Il dottore                       - (stoico) Sono pronto. (Galante) È un piacere per me, esaudire i vostri desi­deri. (Di nuovo stoico) Volo.

Alberto                          - (maligno) Con la vostra gamba è uno scherzo, per voi.

Il dottore                       - (avviandosi) Però lo sentite?

Alberto                          - Cosa?

Il dottore                       - Il contrasto dei venti? Non esclu­do un temporale. (Esce; abbaiamento di ca­ni; il dottore torna indietro a precipizio, ma cercando di fare l'indifferente).

Alberto                          - (maligno) Guardateli sempre negli occhi, i cani.

Il dottore                       - (esce, eroico, preparandosi a fissare i cani negli occhi).

SCENA SECONDA

(Si odono campani di vacche e latrati di cani).

Alberto                          - Francesca.

Francesca                      - (non risponde).

Alberto                          - Si può sapere cos'hai, oggi?

Francesca                      - (sprezzante) Nulla, caro. Sei tu che sei agitato.

Alberto                          - Lo vuoi capire che si tratta di una sciocchezza? Un equivoco? Che quel Guido Consalvo... (Interrompendosi) Hai fatto bene a mandarlo alla stazione, quell'energumeno. Hai avuto un'idea grandiosa. Quando penso che adesso il nostro Consalvo è lì in mezzo ai binari che m'aspetta, si rode. suda... Fora poco parte il treno. Questi uomini d'affari hanno sempre in tasca il biglietto del tran­satlantico che va via il giorno dopo. Lui, se non parte, gli scade il biglietto. Lui par­te, domani è sull'oceano, un generoso oblio, tanti saluti.

 

Francesca                      - (mordace) E la signora?

Alberto                          - Parte con lui, vuoi che si stabilisca qui?

Francesca                      - Sai, ti ho aiutato perché mi hai fatto compassione. T'ho visto così impaurito.

Alberto                          - Io impaurito? Mi sono trattenuto. A momenti lo schiacciavo come uno zanzarino. Mi piacerebbe di incontrarlo ancora, mi vorrei divertire.

Francesca                      - Non solo compassione, mi hai fat­to. Anche un discreto disgusto, sai?

Alberto                          - Lo vuoi capire che sbagli? Che è solo un'apparenza? Un caso innocente? Il campione del mondo dei casi innocenti? Lei, una signora, sai, di quelle irreprensibili, ri­gorose; vedova. Lui, un fratello, un semplice fratello, chi sa che t'eri immaginato. Un fratello meticoloso, ecco tutto. È bastato un pettegolezzo, ma che pettegolezzo, che pelo nell'uovo, un niente, una piuma: e lui si è preoccupato, capisci? Poveretto. Più sem­plice e innocente di così! Stasera lui parte, lei parte...

Francesca                      - Ma è poi sicuro, questo?

Alberto                          - Te l'ho detto sì o no, che domani saranno sull'oceano? Finito, una pietra so­pra, non se ne sentirà parlare mai più. E tu per una sciocchezza simile, fai l'antipatica, ti diverti a guastarmi questi ultimi momen­ti: gli ultimi momenti che io passo qui. Eh, una volta sì, che andavamo d'accordo... Tu difendevi me, io difendevo te...

Francesca                      - (rabbonita) Sai, la cosa mi dispia­ceva proprio per questo: che un tempo eri così sincero, con me, mi dicevi tutto, tutto. Sempre noi due, contro chiunque. Credi che davvero se ne andranno, quelli là?

Alberto                          - (guardando l'orologio) Se ne sono già andati, cara. (Si sente, fioco, dal fondo della vallata il fischio del treno).

Il treno                          - Piii...

Alberto                          - Hai sentito? Il treno. Piii... E do-domani anche io: piii... dovrò andarmene. Addio.

Francesca                      - Alberto.

Alberto                          - Di'.

Francesca                      - Tornerai, qualche volta?

Alberto                          - Mah. Qualche volta. Di rado.

Francesca                      - Ahi. (Finge di essersi storta una caviglia).

Alberto                          - Che hai fatto?

Francesca                      - La caviglia. Ohi.

Alberto                          - Ti fa male?

Francesca                      - Ahi. Non posso... metter giù il piede. Sai, Alberto, credo che sia una storta.

Alberto                          - (piuttosto indifferente) Eh, può darsi benissimo.

Francesca                      - (indignata) Ma Alberto! Vieni ad aiutarmi, almeno!

Alberto                          - Vengo, vengo. (Stringendosi nelle spalle) Cosa vuoi che ti faccia?

Francesca                      - Bisognerà... che tu mi porti.

Alberto                          - Ti porto?

Francesca                      - Ma sì, in braccio. Non posso ap­poggiare il piede. Lo sai pure, le storte.

Alberto                          - In braccio? E dove?

Francesca                      - Ma lassù, dalla zia.

Alberto                          - (calmo) Ma io non gliela faccio. Un dislivello simile! Sei a momenti più grossa di me.

Francesca                      - (indignata) Ti... ti rifiuti? Mi la­sci qui?

Alberto                          - Ma no, cara. Non ti lascio affatto. Ti sostengo. Per esempio puoi metterti a se­dere. Starai benissimo. Ora viene il dottore, lui è un pezzo d'uomo, e poi lui è abituato, è un sanitario. Ti porta lui. (La ja si dare).

Francesca                      - (dopo un silenzio, fremendo) Sic­ché... mi fai portare dal dottore?

Alberto                          - Ti dico che lui è dell'arte.

Francesca                      - Ah, è dell'arte. (Un silenzio; con voce calma) Sai, Alberto, non posso farmi portare dal dottore.

Alberto                          - Cosa, non puoi?

Francesca                      - (enigmatica) Non posso.

Alberto                          - E perché?

Francesca                      - Perché dovrebbe abbracciarmi, ca­pisci?

Alberto                          - Poveretto. Non è mica poi un uomo così brutto.

 

Francesca                      - Al contrario, caro. Io lo trovo un uomo bellissimo.

Alberto                          - Be', adesso non esageriamo.

Francesca                      - Un fusto d'uomo. (Pudica) È pro­prio per questo, che non voglio.

Alberto                          - Come sarebbe - per questo?.

Francesca                      - Ma sì. Dovresti aver capito. Perché c'è qualche... progetto. Non è conve­niente che m'abbracci.

Alberto                          - (dopo un silenzio) C'è qualche pro­getto... fra te e il dottore?

Francesca                      - Credevo.., che te ne fossi accorto.

Alberto                          - (anche più meravigliato e indignato) C'è qualche progetto fra te e il dottore?

Francesca                      - Non capisco che ci sia da rheraVigliarsene tanto.

Alberto                          - (irritatissimo) Era di questo che par­lava tua zia? Ah, be'! E da quando?

Francesca                      - Mah... È una cosa così... qualche parola... vaga...

Alberto                          - Parola d'onore pare di sognare. E a te ti piace il coso, il dottore?

Francesca                      - Non... non mi dispiace. Mi... mi interessa, non dirò certo che mi turbi. Una bella statura, un fusto d'uomo... e poi la voce. Quando la sento, ti confesso... Bellis­sima. Maschia.

Alberto                          - (scoppiando) Maschia la voce del dottore? Ma se parla così: (imitando) Bebé, bebé, bebé. Sembra una pecora... che suoni il trombone, per così dire. Ah, senti! Bello il dottore! Sembra... non so, un coso, cosa ti posso dire... un pistacchio... un feretro... una scatoletta di lucido da scarpe, un og­getto repellente. H dottore che turba!

Francesca                      - (già pentita) Ma io non ho detto che mi turba! Mi hai frainteso.

Alberto                          - L'hai detto. È straordinario. Mi fa un effetto, qui, allo stomaco. (Furioso) E di­re che io ti ho sempre considerata una persona così... superiore a queste cose, mi sarei vergognato persino a pensare, che tu...

Francesca                      - (a occhi bassi) Sono una donna anche io, sai.

Alberto                          - E io uno stupido. Perché mi faceva piacere figurarmi che ci fosse una, una ra­gazza... diversa da tutte le altre! Li capisco, ara, ì tuoi stratagemmi, per venire qui soli, voi due... e mandar via il terzo!

Francesca                      - (scoraggiata) Ma possibile, Al­berto, che tu non capisca nulla!

Alberto                          - Ah, non capisco. Ebbene, vado a chiamartelo, il turbante. Così ti cura la storta. (È ricominciato l'abbaiamento dei cani).

Francesca                      - Ma no, senti, Alberto...

Alberto                          - (andando verso il sentiero) Ti ci porta lui, lassù, in braccio.

Francesca                      - (supplichevole) Ma Alberto! Non mi sono spiegata... (Si interrompe).

Alberto                          - (guarda costernato qualche cosa).

Francesca                      - Che c'è?

Alberto                          - (con un filo di voce) Accidenti. È una persecuzione. Quello è Consalvo.

Francesca                      - (correndo anche lei sul sentiero, senza più storte). .. e Noemi. Arrivano in­sieme, stavolta. Non dovevano partire, non avevano il biglietto del transatlantico?

Alberto                          - (c. s.) Lo dicevo così. Speravo. E adesso? (Supplichevole) Francesca. Occorre­rebbe che tu...

Francesca                      - (decisa, materna) Sì, Alberto, io. Lascia fare. Ci penso io.

Alberto                          - (bisbigliando) Mandali via. Man­dali via.

SCENA TERZA

(Appaiono prima Noemi, poi Consalvo, di­spaile, nell'atto di guardarsi da un possibile assalto dei cani, che seguitano ad abbaiare).

Noemi                           - (entra facendo ad Alberto dei cenni d'intesa e indicandogli Consalvo, con l'aria di volergli preannunciare cattive nuove).

Consalvo                       - (entra sudato e furioso, rivolgendo occhiate d'odio ai cani e ai pastori). .

Francesca                      - (affabilissima) Buon giorno!

Consalvo                       - (tetro) Ah, siete voi.

Francesca                      - Come state?

Consalvo                       - (col respiro mozzo per via della sa­lita) Male. Il caldo è soffocante, le mosche tenaci. Signorina, parcelle nessuno mi aspet­tasse alla stazione.

(Dietro le spalle del fratello, Noemi seguita a fare cenni d'intesa; Alberto è andato a ri­fugiarsi nell'angolo meno in vista della baita).

 

Francesca                      - (innocente) Era il signor Moesse, se ben ricordo, che doveva aspettarvi?

Con salvo                      - Non so di chi altro dovrei parlare.

Francesca                      - Ma voi gli avevate annunciato il vostro arrivo!

Consalvo                       - (arrabbiandosi) E con questo?

Francesca                      - Allora lui dove avrebbe dovuto attendervi, sé non alla stazione? Ecco ciò che vi ho detto.

Consalvo                       - Avrebbe dovuto. Ha creduto meglio fuggire. Ebbene, si è illuso.

Noemi                           - Ma Consalvo! Vuoi capire una volta...

Consalvo                       - Lasciami fare, Noemi. È fuggito alla Madonna dei Monti. Non dev'essere un mostro di coraggio.

Noemi                           - Ma almeno calmati! Riprendi fiato!

Consalvo                       - Lo riprenderò quando avrò trovato quell'uomo. Lo troverò. Voglio trovarlo. (Si prepara a mettersi a sedere).

Francesca                      - (gentilissima) Ma voi non avete detto che il signor Moesse è alla Madonna dei Morrei?

Consalvo                       - (truce) Alla Madonna dei Monti.

Francesca                      - E voi volete andare alla Ma­donna dei Monti?

Consalvo                       - Alla Madonna dei Monti.

Francesca                      - E allora... (indicando, angelica) la Madonna dei Monti è lassù!

Consalvo                       - (spaventato, guardando) Lassù!

Francesca                      - Sì. Lo vedete, in alto, lassù, in fondo, quel quadratino bianco?

Consalvo                       - (triste) Lo vedo.

Francesca                      - Non è poi così lontano, sapete? Sopratutto non abbiate fretta. Ecco il segre­to, in montagna.

Consalvo                       - Lo so da me.

Noemi                           - Ma Consalvo, vuoi darmi ascolto...

Consalvo                       - (avviandosi) Vieni, Noemi. Sento anche qualche goccia. (Esce, si sente la sua voce fra l'abbaiare dei cani) Imbecille! Be­stia! Più voi dei vostri cani.

Noemi                           - (lo segue, facendo ad Alberto dei cen­ni, e avendo cura di lasciare l'impermeabile; infatti subito riappare a riprènderlo).

SCENA QUARTA

Noemi                           - (a bassa voce, ad Alberto) Non ti comprendo, sai? Io non ti tradisco, ti aiuto, sono la tua alleata, sono per te, contro luì, ma non capisco...

Francesca                      - (frapponendosi, ostile, ironica) Che cos'è che non capisci?

Noemi                           - (dandole un' occhiata e rivolgendosi ostentatamente ad Alberto). ..perché in­sisti così a canzonarlo, a farlo invelenire. È molto peggio. Tu non sai chi è Consalvo: quello va fino in fondo. Io sto dalla tua parte, ma trovo che ormai dovresti... rasse­gnarti, parlargli... risolvere. Tanto ci sono io... a darti man forte.

Francesca                      - (frapponendosi ancora) Ah, ormai dovrebbe... rassegnarsi, vero?

Noemi                           - (con ostilità ironica) Carina, mi saidire perché ti ostini a disturbarti?

Francesca                      - Cara, sei tu, che ci disturbi. Noi si stava qui così quieti!

Noemi                           - Non vedo che cosa c'entri tu in tutto questo.

Francesca                      - E io non vedo chi ti abbia chia­mato.

Alberto                          - (da sotto la baita, poco entusiasta della piega dei discorsi) Ragazze, guardate che comincia a piovere.

La voce di

Consalvo                       - (lontana) Noemi!

Noemi                           - (verso il fratello) Vengo! (A France­sca) Sono qui per fiancheggiarlo, per aiu­tarlo, se vuoi saperlo.

Francesca                      - Alberto non ha nessun bisogno di essere fiancheggiato da te.

Noemi                           - Ah. Basti tu?

(La pioggia cade, qualche tuono rumoreg­gia).

Francesca                      - Oh, io non faccio viaggi per dare man forte ai giovanotti.

Noemi                           - E io non faccio ascensioni appiccicata ad essi come la colla.

Francesca                      - (velenosa) Ma io non mando avan­ti parenti.

Noemi                           - Sei una sciocchina! Una. testa pic­cola! Un animo meschino! (Con intenzione) Ti compatisco perché non sei informata.

Alberto                          - (sperando in un diversivo) Ragaz­ze, vi bagnate.

La voce di

Consalvo                       - Noemi!

 

Francesca                      - Alberto per tua regola mi dice tutto!

Noemi                           - (definitiva, sprezzante, con intenzione) Tutto? E allora sarai tanto intelligente... da capire la situazione mia... (Accennando ad Alberto) sua... e di tutti e due. (Se ne va dignitosa, sotto la pioggia).

SCENA QUINTA

(// tuono si allontana. La pioggia va cessando, già riappare il turchino e brilla il sole).

Alberto                          - (dopo un silènzio, timidamente) Francesca.

Francesca                      - Mi fai ribrezzo. Vattene.

Alberto                          - Volevo solo spiegarti...

Francesca                      - (feroce) Lasciami stare. Va via.

Alberto                          -. .. spiegarti un po' la cosa, perché tu non credessi... Francesca, si tratta d'una cosa... piccola, una piccolezza...

Francesca                      - (c s.) Non voglio saper nulla.

Alberto                          - (inquietandosi) Sai di che si tratta, in fondo? D'una gita in pattino, ecco tutto! Tanto chiasso, tante storie, per una gita in pattino! Un pattino, precisamente, un pat­tino, coi cosi, i remi... Un mare che era un olio, tutti facevano delle gite in pattino... E adesso, sentiamo, dimmi tu perché io solo non dovevo farla! Una gita in pattino: tut­to qui!

Francesca                      - Ti dico che non voglio saper nulla.

Alberto                          - Una gita in pattino. Che ne dovevo sapere, io, che dì lì a poco viene una specie di tifone? Davvero, sai, Francesca; onde, vento, il finimondo. Una tempesta, capisci? Poteva anche andarci male, potevamo anche morire tutti e due, annegati, come niente, no? Ebbene, se abbiamo scampato la morte, non è stata una bella cosa? Bagnati tutti e due come pulcini...

Francesca                      - Tutti e due chi?

Alberto                          - Io... e quella là, Noemi. Non sarà mica stata colpa mia se il vento ci aveva portato più giù?

Francesca                      - Come sarebbe, più giù?

Alberto                          - Cosa vuol dire: più giù? Più giù. In un pezzo di spiaggia deserta, fuori mano, che ne devo sapere io, non c'era nulla, e giù acqua a catinelle, fulmini, tuoni, dilu­vio. (Con l'aria di aver detto tutto) Ecco. Questo è il mio gran delitto.

Francesca                      - Tutto qui?

Alberto                          - Ma certo. Ho dovuto anche pagare il pattino. (Arrabbiandosi) Dovevamo star lì, su quella spiaggia, a prendere una polmo­nite,. oppure a farci incenerire da un ful­mine? Per fortuna c'era un capannone. Ci siamo riparati lì dentro.

Francesca                      - Ah. E poi?

Alberto                          - E poi, niente. Era un deposito di cemento e calce idraulica, figurati. Se fosse stato appena appena un posto di gente ra­gionevole, era finito tutto. Potevamo arubare del cemento e della calce idraulica, noi? È pazzesco, no? Ebbene, non so chi, ha sentito del rumore, s'è messo in testa che c'erano i ladri nel capannone.

Francesca                      - (fremendo) E allora?

Alberto                          - Lo sai che hanno chiamato la guar­dia comunale? Non ti dico poi le stupidag­gini, le invenzioni, che qui, che là, che ci eravamo levati i costumi da bagno, per farli asciugare... Invece avevamo i nostri bravi costumi, tutto a posto, tutto regolare. Po­tevamo avere i documenti personali nel co­stume da bagno? Ti pare una cosa sensata?

Francesca                      - (c. s.) E così?

Alberto                          - E così: niente. Quest'imbecille di guardia, telefona, fa venire un sacco di gen­te. Per fortuna ci hanno subito riconosciuti, si sono convinti, è andato tutto benissimo. Non potevamo mica essere dei ladri di calce idraulica, noi.

Francesca                      - Ah, meno male.

Alberto                          - E invece sai che succede? Che la guardia si mette a dire che io, quando lui è entrato, gli ho detto che lui era un cre­tino, e gli ho dato un pugno. Figurati se io...

Francesca                      - Capisco. E allora?

Alberto                          - Ci hanno arrestati.

Francesca                      - Bene. E poi?

Alberto                          - Portati via. In costume da bagno. A pensarci, son cose...

Francesca                      - (calma e furente). .. da scoppiare dal ridere, no?

 

Alberto                          - (senza dare importanza) Dicono che ci dovranno fare il processo.

Francesca                      - Il processo?

Alberto                          - Macché, figurati, un processo da nulla, mi sono informato: da sei mesi a tre anni. Però c'è un sacco di sconti, li chiama­no benefici. Sai, non è questo.

Francesca                      - Ah, c'è dell'altro?

Alberto                          - (come se raccontasse una storia com­plicata ma in fondo divertente, interessante) Ci sarebbe che i parenti di Noemi, gente, sai, un po' retriva, idee ristrette, sono di­ventati iene, bestie feroci. Il bello è che non sono neanche parenti suoi, capisci? Sono i parenti del marito di lei. Che poi è morto, perché lei è vedova. Cose da pazzi. Questi parenti, poi... Mi segui?

Francesca                      - Ti seguo, ti seguo. Alberto  -. ..sarebbero poi gli azionisti della banca di Consalvo, che lui è banchiere, ca­pisci; e che poi è fratello di Noemi; e che poi deve anche diventare il mio direttore. Mi segui?

Francesca                      - (cui comincia a girare la testa) Il tuo direttore?

Alberto                          - Sì, perché, gentilmente, Noemi, mi ha fatto chiamare nella banca di suo fra­tello; era stata lei; io dovevo andarci domani, vedi che razza di una storia? E questo suo fratello sarebbe Consalvo. Ma Consalvo, anche lui, è diventato una tigre, perché... perché i parenti del defunto marito di Noemi, quelli retrivi, se lui non mette a posto le cose, gli levano i capitali, mi segui? Gli le­vano i capitali per via dei giornali.

Francesca                      - I giornali?

Alberto                          - Ma sì, non te l'ho detto? Perché laggiù, quando fu del capannone, arrivarono i giornalisti, chiaro?, e siccome la voce s'è diffusa; la voce che quelli là, quelli ristretti, quelli retrivi, quelli del marito morto, riti­ravano i capitali, è successo che i finanzieri, i clienti, si sono messi a discorrere, è nato il panico, il povero Consalvo, se non rime­dia, pare che sia alle brutte, si parla già di fallimento.

Francesca                      - (completamente abbrutita) Di fal­limento?

Alberto                          - Mah, che ne devo sapere io, è una confusione che non ti 'dico. Noemi è mia al­leata, perché lei è superiore, moderna. Me lo potevo immaginare, io, quando ci hanno fatto la fotografia, che poi la pubblicavano?

Francesca                      - La fotografia?

Alberto                          - Sì, i giornalisti.

Francesca                      - In costume da bagno?

Alberto                          - Sì, ma è confusa, nessuno direbbe che siamo noi, sfido chiunque a capirlo. Sol­tanto...

Francesca                      - Soltanto...

Alberto                          - Che ne dovevo sapere? Gli- avevo dato nome e cognome. L'hanno stampato, lì, sotto la fotografia.

Francesca                      - Forse allora si capisce. E poi?

Alberto                          - Poi, cosa vuoi. Chiacchiere, storie... vignette nei giornaletti... anche una canzo­netta. Sì. La cantano in una rivista. (Arrabbiandosi) Ebbene, è giusto? È giusto che Consalvo mi corra dietro e se la rifaccia con me? Una gita in pattino. (Un lungo silenzio).

Francesca                      - (si alza, fa qualche passo),

Alberto                          - Francesca...

Francesca                      - (sta con le spalle voltate).

Alberto                          - Francesca, allora dillo che sono an­che per te... un essere... un criminale.

Francesca                      - (chinandosi sulle provviste) No, Alberto. Sei quello che sei sempre stato, fin da ragazzo. E io t'ho sempre voluto bene come sei. Vieni. Mangiamo.

Alberto                          - (poco tranquillo) Mangiamo? Ma quelli tornano.

Francesca                      - Naturalmente. Mangiamo...' e in­tanto pensiamo... a quello che bisogna fare. Perché bisognerà che anche questa volta ti aiuti io, Alberto, ti cavi io dagli impicci. Che fai lì? Sei incantato?

Alberto                          - Quanto sei buona, Francesca. Certo, sicuro. Mangiamo... e pensiamo. Ecco, qui ci mettiamo la mia giacca, l'erba è bagnata.

Francesca                      - (affettuosamente, levando la giacca da terra) Dammi. Non sai far nulla. Non hai mica freddo?

Alberto                          - (che si adatta meravigliosamente a fare il bambino viziato) No, no.

 

Francesca                      - (brusca, porgendogli la fiaschetta e il bicchierino) Bevi un sorso di questo.

Alberto                          - (bevendo) Vedi, Francesca, certe co­se, tu non le puoi capire; perché sei un tipo serio, si può dire che per certe cose non sei neanche una ragazza..,

Francesca                      - (a occhi bassi) Credi?

Alberto                          -Devi sapere che quella Noemi...

Francesca                      - (interrompendolo, affettuosamente) Non dirmi nulla, Alberto. So già tutto. E poi abbiamo così poco tempo! Tra poco tor­nerà qui Consalvo. E noi in questo poco tem­po dobbiamo trovare qualche cosa che metta a posto tutto, definitivamente, non è vero?

Alberto                          - (felice che qualcuno pensi per lui) Benissimo. Sicuro.

Francesca                      - (accennando alla torta, materna) Ne vuoi ancora?

Alberto                          - (condiscendente) Una fettina.

Francesca                      - Lascia, te la taglio io. (Scherzan­do e palpitando) Non sono il tuo schiavo - (cor­reggendosi) la tua schiava preferita?

Alberto                          - (alle prese con la torta) La crosta, poi, è così croccante...

Francesca                      - (tastando terreno) Alberto, tu hai qualche idea di quel che voglia da te quella gente?

Alberto                          - (a bocca piena) Da me?

Francesca                      - Quel che volesse intendere Noe­mi, per esempio, nel dire... che dovresti ras­segnarti, risolverti...?

Alberto                          - Risolvermi a sentire... cosa vuole Consalvo.

Francesca                      - E che vuole, Consalvo?

Alberto                          - Consalvo? A me mi pare un tipo un po' matto, esaltato.

Francesca                      - Eh, forse tanto matto non è. (Porgendo la fiaschetta) Ancora un po' di rum? (Girando al largo) Alberto, per tirarti da questo impiccio, io farei... qualunque co­sa, sai? E forse il modo ci sarebbe. Anche se occorresse che io... mi sacrificassi... mi sacrificherei volentieri. Ti ricordi, un tempo? Ti prestavo anche dei soldi... che non mi hai mai reso. Io ti sono... affezionata... più di quel che tu credi. Magari invece sembro sgarbata con te; brusca...

Alberto                          - (a bocca piena) Carattere, cara. Mia zia Fausta la conosci. Anche lei: sempre stata una donna insopportabile. Carattere.

Francesca                      - (preoccupata, con premura) "Ma io non sono mica così! Il mio carattere, anzi, è... sottomesso, docile, affettuoso.

Alberto                          - Lo so, lo so. Però ogni tanto, tac. Spunta fuori una certa cattiveria.

Francesca                      - (quasi supplichevole) Oh, Alberto, non devi creder questo! Mi fa dispiacere. Io sono buona! Allegra. Mi affeziono... molto!

Alberto                          - (concessivo) Va bene, chi ha detto il contrario? Sei una buona ragazza.

Francesca                      - (imbarazzata) Io, piuttosto... non sono affatto ricca, questo sì, ma forse que­sto ha anche dei lati buoni...

Alberto                          - (c. s.) È quello che ci vuole. Pla­sma. Forma.

Francesca                      - Certo, perché io ho imparato a fare tante cosette, sono molto brava, in casa, sai? Questo giubbetto, per esempio: l'ho fatto io, non ti dico con che pazienza. Sai che non lo cambierei col vestito di quella Noemi? È venuto grazioso, vero?

Alberto                          - (toccandolo) Ti sta benino. Acci­denti. (Ha macchiato il giubbetto) Avevo le dita unte di torta. (S'adopera a togliere la macchia nei modi più incongrui, fregandola col gomito).

Francesca                      - Non è nulla, Alberto. Lascia, fai peggio. Lo lavo alla sorgente.

Alberto                          - Sempre malanni combino, sono uno sventato.

Francesca                      - Alberto, sai che proprio questo mi piace? È un po' come se tu fossi rimasto ancora ragazzo, e io sola fossi cresciuta. E dovessi badarti. (Un po' tremula) Io non ho mai giocato con nessun altro ragazzo... sem­pre con te. Con te, (È tutta palpitante, non sa come entrare in argomento) Che aria lim­pida, vero? Che bel sereno è tornato.

Alberto                          - (senza nemmeno voltarsi) Quanti paesi, eh? Che panorama.

Francesca                      - Alberto. Senti. Ti volevo dire una cosa. Ti volevo dire... Dammi la fiaschetta. (Prende la fiaschetta e il bicchierino, ne beve un grosso sorso, ride) Questo dà animo. Dà forza. (Decisa) Senti, Alberto, tu sei davvero un ragazzo, sai? Non sei cattivo... ma non rifletti, dici delle sciocchezze, delle pic­cole bugie. Per questo si ha paura che ti possa succedere... qualche cosa.

Alberto                          - (un po' impressionato) Qualche cosa di che genere?

Francesca                      - Non so, disgrazie, persone intri­ganti. Eh, se non c'è qualcuno che ci pensa, chi sa quanti guai, sciagure, ti capiteranno, povero Alberto!

Alberto                          - Accidenti! Che bei discorsi!

Francesca                      - Gli altri è quasi naturale che deb­bano tribolare. Ma tu no. È così bello, ve­derti allegro! Vederti soffrire dev'essere una cosa... non so, straziante.

Alberto                          - (con naturalezza) Eh, certo.

Francesca                      - Per esempio, tutte le lire false del paese, a chi le attaccano? A te.

Alberto                          - Ma io le rido via! Sono abilissimo.

Francesca                      - Bisognerebbe che qualcuno... ti stesse accanto, ti proteggesse.

Alberto                          - Come sarebbe « mi proteggesse »?

Francesca                      - Sarebbe che... staresti meglio! An­che per la salute, non sei mica tanto ro­busto...

Alberto                          - (offeso) Io non sono robusto?

Francesca                      - Eh, no, si vede che non fai una vita a modo. A te ti ci vorrebbe una perso­na... che ti tenesse... bene, allegro, pulito.

Alberto                          - (offeso) Ora non sono pulito?

Francesca                      - Ma cerca di capirmi, Alberto!

Alberto                          - Io sono pulitissimo.

Francesca                      - (con voce un po' roca) Alberto, perché non ti sposi? (Breve pausa) Arriva il momento che... che bisogna pensare an­che a questo. Naturalmente bisogna... sce­gliere bene, fra le... persone che ci stanno vicino. Io dico... che ce n'è una... ce ne sarà certamente qualcuna... di cui ti puoi fidare, che abbia dimostrato... di esserti af­fezionata davvero.

Alberto                          - (cercando laboriosamente una siga­retta) Io non sono uno che si vanti; ma in generale vado molto a genio alle donne.

Francesca                      - Io credo... che sia una cosa tanto bella vivere sempre insieme a una persona... starla a sentire, guardarla cenare... un buon caffè fatto bene... raccontargli tutto... quelle belle serate insieme. Ci si deve sentire... con­tenti, con le orecchie che scottano, come quando si mangiano le castagne col vino nuovo!

Alberto                          - (intento ad accendere un cerino, espe­rimentando i modi più acrobatici) L'ho sem­pre pensato anche io, questo. O prima o poi ci si sposa, è naturale.

Francesca                      - (un po' roca) Alberto. È troppo chiaro lo scopo di quella Noemi. E di quel Consalvo. « Risolvere... mettere a posto... sistemare ». Non l'hai capito?

Alberto                          - (s'accingeva finalmente ad accendere la sigaretta; si ferma) Ah. Tu dici...

Francesca                      - Girala come vuoi, non c'è che un modo, per loro di sistemare tutto.

Alberto                          - Non credo, sai.

Francesca                      - Eh, caro mio.

Alberto                          - Be' guarda; forse Consalvo... sì, può essere. Ma Noemi... Macché! Quella se ne infischia; è moderna...

Francesca                      - Quanto sei ingenuo, Alberto. È una donna.

Alberto                          - Quella è alleata mia.'

Francesca                      - Eppure qualche idea su te, den­tro, in qualche angolino, sei sicuro che non ce l'abbia? Se no non ci veniva, quassù, con tanto di tacco. Io sarò rustica, ma gli occhi li ho aperti. Ebbene, sentimi, Alberto. Quelli fra poco tornano. Che cosa vogliono, è chia­ro. Non ti trovano qui? Quelli ti corrono dietro.

Alberto                          - (ottimista) E io me ne vado.

Francesca                      - E invece, no. Secondo me dovre­sti... (comincia ad essere imbarazzata) aspet­tarli qui, tranquillo, e dir loro... qualche cosa... di definitivo, che risolva, che metta quieti una volta per sempre loro... e anche noi. (Balbettante, scarlatta) Prima che lo comincino loro, il discorso... matrimoniale, capisci?, sei tu che lo butti là, a loro. Io sono qui... guarda, lo fo volentieri. Gli chiu­di la bocca, li fai restare di stucco... Come se uno corresse per prendere il treno... e il treno è già partito. Gli dici che è inutile che s'affannino. Perché tu hai già... sei già... hai deciso. (Un silenzio).

Alberto                          - (si alza, seguitando a pensarci) In fondo è un'idea.

Francesca                      - (commossa, sconvolta, vergognosa) Oh Alberto, devi comprendermi. Io non posso molto spiegarmi.

Alberto                          - (facendo qualche passo e riflettendo) Ma ti spieghi benissimo, cara.

Francesca                      - È un argomento... sai, per una signorina, molto imbarazzante... essere lei a parlare... di certe cose.

Alberto                          - (seguendo il suo pensiero) Eh, ma sì, che ora capisco, tutto, le manovre, i maneggi.... (Pensa evidentemente a Noemi).

Francesca                      - (scarlatta di vergogna) Oh Al­berto... devi capire. Non sono maneggi. È che, quando... ha una simpatia, una donna... le piacerebbe tanto sposarsi. Ci si pensa fin da bambine, alla casa, al corredo... si è fatte per questo. E allora bisogna pure in­ventare qualche cosa, per farglielo capire, a lui. È una cosa che bisogna scusare... (A te­sta china) È perché... si vuol bene, Alberto. Si è innamorate. (Si sente, lontano, U suono di una piccola campana e poi un coro di fedeli. Francesca al colmo della commo­zione con voce tremula): È la benedizione, Alberto. Inginocchiamoci.

Alberto                          - Ma ci si sporca.

Francesca                      - Non fa nulla. Vicino a me. Que­sta Madonna fa tante grazie. (Si sono inginocchiati; e così restano finché dura il coro nonché la campana; Francesca si fa il segno della croce).

Alberto                          - (rialzandosi, deciso) Francesca, hai fatto bene a parlarmi. Mi hai letteralmente aperto gli occhi.

Francesca                      - (pallida) Davvero, Alberto?

Alberto                          - Se ti dicessi che mi hai deciso?

Francesca                      - (senza voce) Oh, Alberto.

Alberto                          - Deciso, Francesca. Deciso. È strano che non ci avessi pensato da solo. È la so­luzione... che risolve tutto. Ora, quando vie­ne Consalvo, glielo dico subito, inutile an­dare per le lunghe, no?

Francesca                      - (trasfigurata) Oh, Alberto.

Alberto                          - (fumando) In fondo l'uomo è fatto per accasarsi. Specialmente poi quando le circostanze consigliano e direi quasi impon­gono...

Francesca                      - Dio! Come tutto è bello. Viene voglia... non so, di morire.

Alberto                          - Non si può mica restare sempre nel guscio. Bisogna anche ragionare. Pensare alla posizione, alla vita.

Francesca                      - Sì, Alberto.

Alberto                          - Perché chiudere gli occhi sul fatto che suo fratello è il padrone della banca?

Francesca                      - Suo fratello... di chi?

Alberto                          - Di lei, di Noemi. Quello mi fa fare una carriera splendida. Glielo fo capire su­bito, ora: caro cognato, risparmiate il fiato, ci avevo pensato prima di voi, potete ordi­nare le bomboniere. (Contando sulle dita) L'onorabilità? Restaurata. I parenti retrivi? Mansuefatti. Gli antenati, in pace; i maligni, sconfitti; Consalvo, giubilante; e quanto a Noemi... Poveretta, quanti maneggi davve­ro, quante manovre, sotterfugi, telegrammi, ascensioni con tanto di tacco! L'ha presa, la cotta, la vedovella! (A Francesca) Do­ve vai?

Francesca                      - (non sa più quel che fa: si è sco­stata da lui, fa qualche passo incerto, più che altro per nascondere il volto) Vado... volevo... lavare il mio giubbetto.

Alberto                          - Hai parlato con buon senso, Fran­cesca. Forse io non ci avrei pensato. Brava. È matematico: la posizione, la banca, il parentado, il pattino, il furore di Consalvo: va a posto tutto, tac, tac, come nelle parole incrociate. Noemi poi, non è che mi en­tusiasmi, ma insomma, molto donna, dei vestitini suggestivi... devono esserci anche dei soldi... Eh, cara mia: viene il momento della riflessione, i matrimoni di convenienza sono i. migliori. La gioventù non è eterna. Che fai? Piangi? Per il giubbetto?

Francesca                      - (cui alcune lacrime empiono gli oc­chi) Sai... tutto è così bello... Mi viene in mente... quanto siamo stati felici...

Alberto                          - (affettuoso, mettendole un braccio in­torno alle spalle e scrollandola) Non ti sen­ti mica male? Tante volte il rum?

 

Francesca                      - No, no.

Alberto                          - (portandola con sé sull'orlo dello « strapiombo » e guardando il cielo rosso del tramonto) Vieni. Che bel cielo, eh? La vita... non è una brutta cosa, in fondo. Che colori. (D'un tratto, guardando verso i mon­ti e chiamando) Noemiii! Noemiii! (A Fran­cesca) Eccoli là. Dammi. (Le strappa dalle spalle il fazzoletto colorato seguitando a far segni con quello) Siii. Siamo quaaa. Veniteee. (A Francesca) Le parlo subito, sai? Cavato il dente... così non ci penso più. (Gridando) Veniteee... (A Francesca, segui­tando ogni tanto a far dei segnali col faz­zoletto) Avremo una bella casa; della bella argenteria... E ogni tanto chi arriva? (Fa­cendole ganascino) La nostra Francesca, una specie di zia Cleofe. (Gridando) Uhu! Uhu! (A Francesca) Io ti voglio molto ma molto bene, sai? Ti inviteremo spessissimo. Anche allo sposalizio, naturalmente. Perché in so­stanza la cosa si deve a te, tutto merito tuo. (Verso i monti) Uhu. Uhu.

Francesca                      - (all'estremo della disperazione, po­trebbe scoppiare in singhiozzi, oppure buttar­si nel « precipizio »; invece, d'un tratto, dà una spinta al giovanotto con tutte e due le mani; la ripa è lì, il nostro Alberto vi scompare come in un gioco di prestigio; ap­pena lui è ruzzolato giù, la ragazza allibisce; tutto cambia in lei; grida, chiama, si dispe­ra, arde d'amore) Mio Dio. Alberto! (Gri­dando verso i monti) Aiuto! Aiuto! Presto! (China sul baratro) Alberto mio. Per carità. Alberto mio. Vieni. Vieni per carità. (Si in­dovina che l'uomo sta arrampicandosi di nuovo su). Aiuto! Dottore! Aiuto! Sì, vieni. Su. Piano. Ecco. Qui. Tieniti qui. Attaccati bene. (Gli ha porto le mani).

Alberto                          - (spunta su, si tira su bocconi sulla proda, ansante, con le mani e il viso abbon­dantemente graffiati),

Francesca                      - Caro. Caro. Per carità. Rispondi­mi. Parlami:.

Alberto                          - (che quasi non può parlare) Dove... hai la testa. Sempre... disattenta, sbadata. Mi hai... urtato. Potevo... farmi male. (Evi­dentemente è lontano dal rendersi conto che Francesca l'ha buttato giù apposta).

Francesca                      - (febbrilmente, toccandolo) Alber­to. Alberto mio... Che cosa terribile. Ti sei rotto qualche cosa? Come ti senti?

Alberto                          - Era... pieno di ortiche.

Francesco                      - Non parlare. Coricati qui. Ecco. Fa piano.

Alberto                          - (che comincia a impressionarsi e bal­betta persino) Devo... coricarmi?

Francesca                      - Sì, è più prudente. Dimmi, che cosa ti senti?

Alberto                          - Io? Niente. Ahi.

Francesca                      - Madonna mia. (Gridando) Dottore. Aiuto. Aiuto! Presto! Dottore!

Alberto                          - Fran... cesca. Non far così, se no mi spavento anche io.

Francesca                      - Sta' calmo. Prova, caro, prova a muovere le dita dei piedi...

Alberto                          - Le... muovo.

Francesca                      - Meno male. Vuol dire che la spina dorsale è intera.

Alberto                          - (spaventato) Eh? Accidenti. Ohi.

Francesca                      - Oh Dio! Aiuto! Aspetta. C'è la borsa del dottore. Ti medico. Ti fascio.

Alberto                          - (tremulo) E... che cosa, mi fasci?

Francesca                      - Non lo so. Il viso. Fa sangue.

Alberto                          - Sangue?

Francesca                      - Sta fermo.

Alberto                          - Oh Dio. Che mi sarà successo. Che mi sarà successo...

Francesca                      - (inceronandogli la faccia in modo esuberante) Stai meglio, ora?

Alberto                          - (che non può parlare causa un c'e­rotto attraverso la bocca) Non... non lo so... Che cosa... mi sarò fatto...

SCENA SESTA

(Entra ansante il Dottore poi col cappellino di traverso, la zia Ofelia; poi la zia Cleofe, poi Noemi. L'aria comincia a scurire).

Il Dottore                      - (accingendosi a palpare il paziente) Calma. Coraggio, Alberto. Siamo qui.

Francesca                      - Per carità, dottore.

Il Dottore                      - Niente paura, ne ho viste di ben peggio. Uomini sfracellati, ridotti a pezzetti. Dov'è la mia borsa? Può parlare?

Francesca                      - Finora ha parlato.

Il Dottore                      - E perché ora non parla?

Alberto                          - (barbugliando e indicando il cerotto) Il... ce... rot... to!

Il Dottore                      - (ad Alberto, gridando come se fos­se sordo) Una disgrazia? Caduto? Preci­pizio?

Alberto                          - (fa cenno di sì).

Il Dottore                      - Dice di sì. Benissimo. Benissimo. Ora vediamo.

Ofelia                            - (si precipita dentro) Alberto! Alberto! Mi senti? Sono io, la zia Ofelia. Dimmelo, che mi senti.

Alberto                          - (molto seccato, aprendosi un po' i ce­rotti) O bella: perché non dovrei sentirti. Mi faresti perdere la pazienza.

Ofelia                            - Insomma, dottore, come sta?

Il Dottore                      - (fa a più riprese cenno di tacere, ottenendo un religioso silenzio; ausculta il paziente; si rialza non senza un certo malu­more e disprezzo) Sta meglio di me!

Alberto                          - (alzandosi, meticoloso) Non mi ver­rà una commozione cerebrale?

Ofelia                            - Oppure viscerale. Sono le peggiori.

Cleofe                           - (entrata da qualche istante) Quante storie. Lo dicevo io che non era niente.

Ofelia                            - (con ambigua calma) Niente. Un pic­colo salto in un precipizio.

Cleofe                           - Precipizio! Un buco di ortiche!

Ofelia                            - Il precipizio c'era. Bastava un piccolo rimbalzo...

Cleofe                           - Sì, era una palla di gomma.

Ofelia                            -. ..ed ora, in quel posto, avremmo avuto un cadavere.

Cleofe                           - Doveva bere meno rum.

Ofelia                            - Non si tratta di rum. (Il suo accento si fa grave) Per fortuna vi ero io e... (mo­strandolo) il mio binocolo. Francesca? (Si forma un silenzio. Tutti si voltano alla ragazza la quale, ora, come distratta e in­differente, sembra guardare lontano).

Ofelia                            - Francesca, mi sai dire com'è stato che Alberto è caduto giù?

Francesca                      - (con voce assente) L'ho gettato giù io.

Alberto                          - Eh?

Ofelia                            - E perché l'hai gettato giù?

Francesca                      - (c. s.) Perché volevo gettarlo giù.

Ofelia                            - (ad Alberto) Voleva ucciderti, caro. Ho visto io.

Alberto                          - Voleva...

Ofelia                            - Ucciderti, sì.

Alberto                          - E perché?

Noemi                           - (facendosi avanti, tranquilla e velenosa) Ma perché ti ama, caro. Ti ama ferocemen­te, furiosamente.

Alberto                          - (trasecolato) Eh?

Noemi                           - Ti ama: senza speranza. Ti ama.,, ed è quello che è: una figliola di provincia, che non sa vestire, che non ha un soldo di dote, cui nessuno fa la corte, un'acqua cheta... piuttosto ipocrita... piuttosto calcolatrice... piuttosto invidiosa...

Alberto                          - (saltando su come una furia, e strap­pandosi violentemente gli ultimi cerotti) Se dici una parola di più contro quella ra­gazza, ti dò uno schiaffo. In conclusione...

Consalvo                       - (arrivato in quel punto, puntando l'indice verso di lui) In conclusione, signo­re, non si può fare il furbo troppo a lungo. (Solenne) Siete voi, non è vero, il signor Al­berto Moesse?

Alberto                          - (feroce, fuori di sé) Sì, signore. Lo sono. Lo sono e vi prego pel vostro bene, di togliervi dai piedi. (Scosta violentemente il costernato Consalvo e si muove a cercare la ragazza) Francesca, dove sei? Francesca? (La. ragazza è sparita).

Voci                              - Francesca! Francesca! Ma dov'è andata? Francesca?

Il Dottore                      - Ho dei brutti presentimenti.

Voci                              - (mentre tutti si spargono a cercare) -Cercatela. Chiamatela. » Francesca. Francesca. » Dio mio, è già scuro. » Francesca.

Alberto                          - (riapparendo sconvolto, con le lacri­me nella voce, a Noemi e Consalvo, che so­no rimasti lì perplessi) Se succede qualche cosa a quella ragazza... vi ammazzo. (Si al­lontana chiamando) Francescaaa... Francescaaa... Rispondimiii... Francescaaa...

FINE DEL SECONDO ATTO

ATTO TERZO

Una stanza rustica nella casa di un contadino dei dintorni. Varie porte. Una di queste con­duce alla staila; l'arco sovrastante a battenti è aperto e difeso da un'inferriata. Poche ore sono trascorse dal secondo atto.

SCENA PRIMA

(La stanza è vuota, il fuoco è acceso. Si ode bussare alla porta esterna).

La voce di

Alberto                          - (con nuovi violenti colpi) Ohe! Di casa! Aprite, per Dio!

Un contadino                - (attraversa accendendo la luce: esce, andando ad aprire la porta esterna; rientra, preceduto da Alberto).

Alberto                          - (entra bagnatissimo).

Il contadino                  - (ride senza una ragione al mondo poi chiede con innocenza) Piove, signore?

Alberto                          - (dopo averlo fulminato con un'oc­chiata) Avete visto una ragazza, una certa Francesca, bruna., piuttosto carina, con un vestito azzurro e un giubbetto chiaro?

Il contadino                  - Una ragazza, signore?

Alberto                          - (furioso) Una ragazza, sì!

Il contadino                  - Ho capito. Che cosa faceva?

Alberto                          - (c. s.) Che cosa devo saperne! L'han­no vista da queste parti.

Il contadino                  - E dove andava, signore?

Alberto                          - (c. s.) Se lo sapessi, non sarei qui a domandarcelo.

Il contadino                  - Con un vestito azzurro, si­gnore?

Alberto                          -. ..ed un giubbetto chiaro.

Il contadino                  - (avviandosi) Vado a chiederlo alla moglie,

Alberto                          - La moglie di chi?

Il contadino                  - (di sulla porta) La mia, signo­re. Voi siete padre?

Alberto                          - (furioso) Padre! Sono... suo amico.

Il contadino                  - (uscendo) Ah. Amico. Ora do­mando.

SCENA SECONDA

Alberto                          - (si guarda intorno; ed ecco scorge davanti al fuoco, ad asciugare, il giubbetto di Francesca; Alberto lo prende, corre all'uscio per dove è entrato il contadino, si ferma ad origliare: toma indietro rapidamen­te, rimette a posto il giubbetto, riassume un'aria indifferente).

Il contadino                  - (riapparendo) Ha detto la mo­glie che non ha visto nessuna ragazza, si­gnore.

Alberto                          - (che se l'aspettava) Bene. Già già. Benissimo. (Guardandosi intorno) Com'è an­dato il fieno quest'anno?

Il contadino                  - (guardandolo con diffidenza) Eh. Il contadino deve contentarsi, signore. Ha detto la moglie se avete guardato al salto della capra zoppa. Sono una trentina di metri a picco, signore. Non vorrei, dato il tempo brutto, il sentiero sdrucciolevole... povera ragazza, speriamo.

Alberto                          - Speriamo. (Poco disposto ad andar­sene, indicando la porta della stalla) E le mucche, il latte, la stalla, come andiamo?

Il contadino                  - (c. s.) Il contadino...

Alberto                          - (imitando). ..deve contentarsi, no? (Si ode fuori il suono di un clacson: poi vio­lenti colpi vengono battuti alla porta).

SCENA TERZA

Consalvo                       - (da fuori, con nuovi colpi) Aprite, per favore. Per favore, aprite.

Alberto                          - (rapidamente, indicando un'altra por­ta) Posso uscire, di lì?

Il contadino                  - Di lì? Dà sull'aia, signore.

Alberto                          - (uscendo, o meglio fingendo di uscire dalla detta porta) Buona sera.

Il contadino                  -. ..sera. (Esce per aprire al nuo­vo venuto; si sente la sua voce). Chi è?

La voce di

Consalvo                       - Amici, buon uomo. Amici.

Alberto                          - (rientrato furtivamente e non visto da alcuno, è andato, nel frattempo, a nasconder­si nella stalla; la curiosità lo spinge ben presto ad arrampicarsi acrobaticamente fino alla lunetta; infatti poco dopo la sua faccia comincierà a far capolino dalla stessa).

Il contadino                  - (introducendo Consalvo) Acco­modatevi, signore. Ma che brutto tempo.

Consalvo                       - (deciso) Buon uomo, avete visto da queste parti una ragazza... piuttosto alta, belloccia, con un giubbetto chiaro e una sot­tana azzurra?

Il contadino                  - Una ragazza?

Co'nsalvo                      - Una ragazza, una ragazza.

Il contadino                  - (ridendo senza motivo) Una sot­tana azzurra?

Consalvo                       - (iracondo) Azzurra, azzurra. Si chiamava Francesca.

Il contadino                  - (iettatorio) Speriamo che si chiami ancora, signore. Vado a sentire dalla moglie. (Esce e rientra quasi prima di essere uscito). Dice di no, signore. Quella ragazza che dite voi, non s'è vista.

Consalvo                       - (minaccioso) Giovinotto, la ragazza è entrata qui.

Il contadino                  - (piagnucoloso) Qui? Ma signo­re, come potete credere... che io perda la vista e la favella...

Noemi                           - (entrata da qualche momento) Prima che questo succeda, dite alla signorina che c'è qui la sua amica Noemi Bata, la quale deve assolutamente parlarle... (con voce forte) a meno che la signorina non abbia qualche motivo per vergognarsi e nascondersi.

Francesca                      - (che evidentemente stava dietro la porta, entra piuttosto battagliera) Perché mai dovrei vergognarmi e nascondermi?

Il contadino                  - (si ritira strategicamente).

SCENA QUARTA

Con salvo                      - (aggressivo) Perché è proprio il vo­stro contegno, signorina, che ce lo fa sup­porre. (Con furore compresso) Signorina, do­vete sapere che io sono una persona seria, il cui tempo è prezioso. In questo momento io dovrei essere a molte centinaia di chilo­metri, davanti a uno scrittoio carico di tele­foni, con un'anticamera colma di gente enor­memente importante e irritabile. Sapete perché invece sono qui, zoppo, bagnato, istupi­dito di fatica e digiuno da stamane? Perché il vostro amico il signor Alberto Moesse... (Interrompendosi e cambiando) Ecco: voi avrete certamente letto del solito topo      - (ma­terializzando con le dita la spregevole picco-lezza e meschinità dell'animale) il classico, piccolo, grazioso topo che si ficca negli in­granaggi di una centrale elettrica, ed è ca­pace di spegnere, interrompere, paralizzare tutto: treni, opifici, scaldabagni, campanelli, tranvai di una intera metropoli. Ecco che ha fatto, rispetto a me, il vostro amico! (Man mano più furibondo) Un bel giorno è arrivato. lui; e l'abilità con cui ha saputo rendere irreparabile catastrofico ogni suo più piccolo gesto ha del prodigioso; egli ha cam­minato su tutto, tutto ciò che noi eravamo nel mondo, come un ippopotamo potrebbe camminare sopra una mostra di cristallerie.

Francesca                      - Ippopotamo o topo, signore?

Con salvo                      - (fulminandola) Bestia nociva ad ogni modo, signorina. (Cambiando tono) Nel vor­tice del disastro, costretti a scegliere il mi­nor male, noi si era pensato, mia sorella ed io, a un certo modo di... rimediare e... risol­vere, che forse rimediava e risolveva abba­stanza.

Noemi                           - (fa per intervenire) Consalvo...

Consalvo                       - (alla sorella) Non è più tempo di parafrasi, cara. (Di nuovo a Francesca, di­plomatico) Mia sorella avrebbe forse accon­sentito a sacrificarsi. Senonchè i fatti di oggi, l'atto... sconsiderato e significativo da voi commesso sulla persona del signor Moesse, fanno balenare l'esistenza di situazioni... de­licate, lasciando credere, per cominciare        - (ta­stando terreno) che voi coltiviate per la per­sona del suddetto individuo un... interesse...

Francesca                      - (più tranquilla che sdegnosa) L'in­teresse che io coltivo per la persona di cui parlate, è quello del più completo disinte­resse, della più assoluta indifferenza, della più totale noncuranza. (Un silenzio).

 

Consalvo                       - Le vostre dichiarazioni non man­cano di chiarezza. È così?

Francesca                      - Ma naturalmente.

Consalvo                       - Ah. (Definitivo, solenne). Allora posso pensare ad asciugarmi i piedi. (Va al fuoco e s'asciuga i piedi).

Francesca                      - (a Noemi) Tientelo pure, cara. Alberto è tuo.

Noemi                           - (innocente) Oh, che dici mai! Come corri! Ci vuol altro. Lo trovi un tipo... di­vertente? Adatto?

Francesca                      - (velenosa) Cara, questione appun­to di adattarsi.

Noemi                           - (dandole ragione) Certo, certo; non si può dire che sia un gran che.

Francesca                      - (concessiva) Dio. Come educazione, poveretto, un po' campestre, se vogliamo.. Felice quando può mangiare il pollo con le mani, o sbottonarsi il panciotto.

Noemi                           - Non è un delitto.

Francesca                      - (c. s.) Come fisico...

Noemi                           - Oh niente di speciale.

Francesca                      - (c. s.) Così così. Piuttosto linfa­tico. Come intelligenza...

Noemi                           - Insignificante, non è vero?

Francesca                      - Comune. (Senza riprender fiato) Da piccolo ha sofferto di geloni; zia Ofelia dice che russa; zia Cleofe lo chiama una pa­tata; tende un po' alla pinguedine... però tutto sommato non c'è male.

Noemi                           - In conclusione non è certo il tuo idea­le, vero?

Francesca                      - Por carità! Dio me ne scampi. (Intanto le mucche, coi loro muggiti, hanno dato segno di una certa nervosità).

Noemi                           - Cara. Se sapessi che peso mi levi dal cuore!

Francesca                      - (diffidente) Perché?

Noemi                           - Temevo che Alberto non ti ripugnasse del tutto. Avevo dei rimorsi.

Francesca                      - Dei rimorsi?

Noemi                           - Si, perché a me, invece, piace... pa­recchio.

Francesca                      - (indignata) Ma non dicevi pro­prio ora che è un uomo mediocre?

Noemi                           - (trionfante... e molto velenosa) Ma proprio per questo, cara! Volevo dire... che è un buon ragazzo; che non farà mai il grand'uomo complicato; e che sarà un compagno delizioso. (Col tono di chi svela un segreto). Ho vissuto un po' più di te, Francesca; e ti confesso che trovo Alberto incantevole. Così tonto... e così furbo, così finto, certe volte... e così sincero, a modo suo... Forse il tipo fatale -  superiore, il tipo vissuto -  scettico, potrà piacere alle ragazze, in pro­vincia. Ma io sono una donna. E poi, sai, un certo miele deve pure averlo: gli vanno intorno troppe mosche. Dovrà stare molto at­tenta, sua moglie. (Piccola pausa) E io... starò attenta, cara. (Un silenzio).

Francesca                      - (livida) Sicché, lo sposi?

Noemi                           - Cosa vuoi. Ti confesso che avevo preso una mezza cotta.

Francesca                      - (e. s.) Vuol dire che ci vuol poco a cuocerti. Come il pesce passato.

Noemi                           - Cosa?

Francesca                      - Nelle tue condizioni, del resto, fai bene. Quando non c'è l'arrosto, anche la patata è qualche cosa.

Noemi                           - (comincia ad avere caldo; si è tolti man mano l'impermeabile, la sciarpa; tuttavia riesce ancora a vincersi) Ma a proposito, ora che mi ricordo, non. eri innamorata an­che tu, una volta, di Alberto?

Francesca                      - Io di Alberto?

Noemi                           - Ma sì. Non ti ricordi, in collegio, quel che ci raccontavi? Che senza il tuo Alberto avresti preferito morire lì, secca?

Francesca                      - Oh, bambinate. Lo conoscevo po­co, allora.

Noemi                           - E credi di conoscerlo, adesso? Mia po­vera Francesca: non è lo stesso uomo, quello che sbadiglia accanto a una ragazza qual­siasi, e quello che respira il profumo d'una vera donna! Oh, tu non lo conosci, Alberto! Persino geloso, sai? Tirannico, prepotente... Perché mi ama, ecco tutto: mi ama.

Francesca                      - (che ha ricevuto quelle parole co­me stilettate) Non ci credo. Sono bugie.

 

Noemi                           - Non vorrei averti spezzato il cuore.

Mi ama.

Francesca                      - Alberto non è tipo.

Noemi                           - Già, una patata. È sempre una pa­tata, un giovanotto, quando gli fa comodo.

Francesca                      - (furibonda) Sarebbe?

Noemi                           - Quando una donna non gli dice nulla. E quella soffre. Dev'essere un morire dal ridere.

Francesca                      - (fremendo) Non ti capisco.

Noemi                           - Ma se lo porti scritto in fronte, cara! Mi pare di vedervi: tu, ad assediarlo coi regalucci, le torte, i lavori a maglia. E lui duro. Niente. Forse hai fatto male ad insistere, cara, dovevi tenerti più su. Ma come si fa, quando c'è la passione? Sono sofferenze ter­ribili, io ti capisco. E adesso poi! Vederlo sposato ad un'altra!

(Un silenzio).

Francesca                      - (sta un attimo ansante, incerta se scoppiare in pianto, oppure prendere Noemi pei capelli; d'un tratto le balena che c'è for­se un altro modo per sconfiggere l'avversaria e si calma) Allora, se hai capito tutto, mi pare inutile ormai che io conservi il segreto.

Noemi                           - Cioè?

Francesca                      - Proprio così, Noemi. Alberto si era accorto che io ero innamorata di lui.

Noemi                           - E così?

(La faccia di Alberto fa capolino dalla lu­netta).

Francesca                      - Ne ha approfittato.

Noemi                           - Cosa?

Francesca                      - Ne ha approfittato.

(Un silenzio; poi, dalla stalla, un rumore ro­vinoso e un vero scoppio di muggiti. La fac­cia di Alberto è sparita).

Consalvo                       - (fuori di sé, a Noemi) L'avevo detto, io? Che quell'uomo non mi piaceva affatto? Tu hai sempre avuto un debole per le per­sone scorrette!

Noemi                           - (a Francesca) E tu credi che io creda una stupidaggine simile?

Francesca                      - Non ci credi?

Noemi                           - Non sono una sciocca!

Francesca                      - Non credi che io e Alberto...

Noemi                           - È una fandonia stupida!

Francesca                      - (decisa ormai a inventare qualun­que assurdo, pur di sconfiggere la rivale) Ebbene, allora, giacché insisti, devi sapere... che la cosa, purtroppo, ha avuto... anche uno strascico. Sì. (Accenna pudicamente alla statura di un bambino già cresciutello). (Consalvo si porta le mani ai capelli; la stal­la si empie di muggiti costernati).

Francesca                      - (a Noemi) Ciò tronca definitiva­mente le tue trame, no?

Noemi                           - È una menzogna grottesca, puerile. Mi fai ridere. Lo fai per creare degli ostacoli fra. me e Alberto!

Francesca                      - Sono una vittima, e ho dei diritti.

Noemi                           - Non la spunterai mai e poi mai!

Francesca                      - La vedremo!

Noemi                           - Lo domanderemo ad Alberto!

Francesca                      - Domandaglielo pure!

Consalvo                       - (andando su e giù con le mani nei capelli) Mio Dio che impiccio!

Il contadino                  - (affacciandosi un momento, men­tre le mucche fanno il diavolo a quattro) Per carità, signori. Mi spaventate le muc­che. Perdono il latte.

Noemi                           - Sei una bugiarda!

Francesca                      - Mi ha sedotto. Ha dei doveri.

Noemi                           - Non è vero. Alberto mi ama. Al­berto...

Francesca                      - Alberto...

Consalvo                       - Alberto! Alberto! Ma perché il de­stino lo ha messo sulla mia strada? (// chiasso è al colmo. D'un tratto tutti si voltano verso la zia Cleofe che entra strin­gendo un ombrello grondante).

SCENA QUINTA

Cleofe                           - Si può sapere... (Vedendo Francesca s'interrompe) Oh, Francesca, meno male, sei qui. (Riprendendo) Si può sapere che fa, quest'imbecille?

Consalvo                       - Di chi parlate, signora?

Cleofe                           - Ma di Alberto.

Consalvo                       - E perché venite a cercarlo qui?

Cleofe                           - O bella. Perché è qui. Mi ha detto di aspettarlo un momento, giù al bivio. È mezz'ora che aspetto, sotto il diluvio.

Consalvo                       - (ha compreso; i suoi occhi si ferma­no sulla porta della stalla), (Ne viene, nel silenzio, un breve, timido muggito di vitellino neonato: «vnuuu »).

Consalvo                       - (va con sicurezza alla porla della stalla e la spalanca).

Alberto                          - (appare ancora arrampicato sopra il barile che gli ha permesso di arrivare con la faccia alla lunetta).

Consalvo                       - Scendete di lì, signor Moesse. E cessate dall'importunare quelle povere bestie.

Alberto                          - (viene avanti contegnoso, non senza qualche filo di paglia addosso) Non... non trovavo più il mio cappello.

Consalvo                       - (fremendo e pacato) Lasciatelo, per ora, il vostro cappello, lasciatelo. (Traen-dolo in disparte) Signore, cos'è questa stra­na storia, è vero che voi sareste stato scor­retto con quella signorina?

Alberto                          - (si volta a Francesca, le dà, da lon­tano, un'occhiata d'intesa; poi a Consalvo, martire, stoico) Non posso negarlo, signore.

Consalvo                       - (scettico) E sarebbe anche vero che la cosa avrebbe avuto... uno strascico?

Alberto                          - (sempre pia stoico) Signore, non posso negarlo. Ho dei doveri.

Consalvo                       - (feroce) Allora è evidente che io, secondo voi e la vostra amica, ho una faccia da imbecille.

Alberto                          - (fisso nel suo pensiero) Non posso negarlo.

Consalvo                       - Ascoltatemi bene. Avevo pensato dapprima, dato che ormai siete funzionario della mia banca, di spedirvi alla nostra sede del Madagascar, affinché vi prendeste la feb­bre gialla. Ma poi ho riflettuto che il vostro decesso non risolverebbe niente. Qualunque sia lo scopo delle infantili bugie inventate dalla signorina e confermate da voi, il fatto certo è questo: che voi avete pubblicamente compromesso il buon nome di mia sorella e il mio. Ritengo necessario per mia sorella e per me, che voi ripariate. E voi ri-pa-re-re-te. Signor Moesse, voi mi pregherete cal­damente di concedervi la mano...

Noemi                           - (che si è avvicinata, ad occhi bassi) Consalvo. Rinuncio.

Consalvo                       - (trasecolato) Lasci perdere tutto?!

Noemi                           - (c. s.) Sì.

Consalvo                       - (stupito, carezzandola) Ma Noemi, cara! Mi hai martellato la testa per dei gior­ni, mi hai costretto ad architettare i piani più romanzeschi, mi hai fatto fare dei chi­lometri sotto il solleone e la pioggia. E tutto questo per dirmi che rinunci? Codesta storia di soluzioni e di strascichi è soltanto una sto­ria per imbrogliarci, non hai capito? Quel signore ha detto una bugia!

Noemi                           - (a occhi bassi) Ma proprio questa bu­gia mi ha fatto capire... che io non sono mai stata niente per lui. (Comincia a piangere). (Un silenzio, riempito dai singhiozzi di Noe­mi. Ed ecco avviene un fatto miracoloso: Francesca si accosta alla rivale... e Noemi, raddoppiando i singhiozzi, le si butta a pian­gere sulla spalla, mentre l'altra la carezza).

Consalvo                       - Su, su, Noemi.

Noemi                           - (singhiozzando sulla spalla di France­sca) Voglio... andar via.

Consalvo                       - Subito, cara.

Noemi                           - Voglio... tornare a casa!

Consalvo                       - Sì, cara. Andiamo. Andiamo su­bito. Vieni.

Francesca                      - Non piangere, Noemi. Credo pro­prio che non valga la pena che una donna pianga... (con disprezzo) per un uomo! (Sostenuta da Francesca, Noemi sempre in lacrime si avvia alla porta. Tutti la seguono in compunto corteo abbandonando con aria di severa disapprovazione il povero Alberto).

Alberto                          - (facendosi avanti, timidamente) Vo­levo dire che io sono disposto... dato la.... insomma... la rivelazione... a sposarla.

Cleofe                           - (come una fucilata). Chi?

Alberto                          - (timidamente) Ma... Francesca.

Francesca                      - (con disprezzo) La rivelazione! (Solennemente, con il capo di Noemi appog­giato alla spalla) Ed io, ora, non ti sposerei nemmeno se venissero a ordinarmelo coi gen­darmi. (Volta le spalle uscendo insieme a Noemi e il piccolo corteo!

 SCENA SESTA

(Resta Alberto con Cleofe).

Alberto                          - (a Cleofe, indignato). Ah sì? Ma bene! Io rinuncio a una posizione splendida, a un matrimonio magnifico; vado a rischio di andare a morire al Madagascar, mi faccio buttare in un precipizio, mi bagno fino alle ossa, sono costretto a nascondermi in una, stalla, in mezzo alle vacche, mi presto final­mente a passare da vile seduttore, io che po­trei essere additato ad esempio: e dopo tutto questo, si trova una ragazza che vi rispon­de... Cosa ha detto?

Cleofe                           - Che non ti sposa neanche coi gen­darmi.

Alberto                          - Bella gratitudine! Per non contra­riarla, per delicatezza, lascio addirittura che mi si creda, oltre che seduttore, padre sna­turato, lascio che mi si diffami, che mi si calunni... e poi... e poi... Ma lo sapete, io, cosa faccio? Ho bell'e deciso, sposo l'altra. Sposo Noemi. Ora ritrovo il cappello e poi... (Si interrompe).

SCENA SETTIMA

Francesca                      - (entra frettolosamente, prende l'im­permeabile e la sciarpa di Noemi; ostenta di non guardare Alberto; fa per tornar fuori).

Alberto                          - (fermandola, timido insieme e bru­sco) Hai detto che non mi sposi neanche...

Francesca                      -. .. coi gendarmi.

Alberto                          - Va bene. Meglio così. Dopo quello che ho fatto per te. Ne ho piacere. So già quello che debbo fare, sai? Io del resto, non è che ci tenessi. Lo facevo... per aiutarti, per renderti felice. (Inferocito) Eri o non eri innamorata di me?

Francesca                      - Lo ero, caro. Ed ora... (si volge a Cleofe) è stato un miracolo, zia! Non lo sono più. Sai, tutt'a un tratto. Tac. Come se avessi riacquistato la vista.

Alberto                          - Cosa?

Francesca                      - (aggressiva) La vista. Guarita. Ti vedo. E non ti voglio più.

Cleofe                           - (vibrata) Brava, Francesca. Un es­sere così lo trovi sempre. Sei più intelligente di lui e lo amavi: avrebbe fatto di te la sua vittima.

Francesca                      - Ma io non sono mica matta!

La voce di

Consalvo                       - (da fuori) Signorina Francesca!

Francesca                      - Vengo. Mi fa persino meraviglia, d'aver potuto pensare a lui, una volta.

Cleofe                           - (decisa) Francesca. C'è giù il dottore che aspetta. In queste cose bisogna seguire l'impulso e battere il ferro finché è caldo. Vuoi che gli dica di venire qui?

Francesca                      - (definitiva) Sì, zia. Sì.

La voce di

Consalvo                       - (da fuori) Signorina Francesca!

Francesca                      - (consegnando alla zia la roba di Noemi) Dà loro questa roba e salutali. (Con. accento definitivo, accentuato) E di al dot­tore di venire qui. (Cleofe esce in fretta).

Alberto                          - (che ha assistito fremendo) Che roba! Se credete di farmi rabbia! Cose da pazzi! Ha riacquistato la vista! Ha avuto la gra­zia. È guarita.

Francesca                      - Sì, Alberto. Avevi durato troppo, a non capire, avevi esagerato.

Alberto                          - Già, perché io sono poco intelligen­te, sono tardo.

Francesca                      - Ma sopratutto è stato quando hai ammesso che avevi avuto delle fortune con me, con uno strascico! Poveretto. Ci vuole una bella faccia.

Alberto                          - (furioso) Ma io l'ho detto per non farti scoprire bugiarda! L'avevi detto tu, sì o no?

Francesca                      - Sì, ma tu hai insistito. Ti sei compiaciuto. Hai gongolato. Non stavi nella pelle.

Alberto                          - Io non stavo nella pelle!?

Francesca                      - Sì. E io ho provato d'un tratto un tale senso di ribrezzo, di repulsione...

Alberto                          - Ah. Io repulsione! Per tua regola...

Francesca                      - Alberto se penso a quel che ho fatto, tutti questi anni, ma specialmente oggi, mi faccio raccapriccio da sola. Eb­bene: è stato tutto per colpa tua. Buon

 li. dottore                     - (che è entrato ben deciso a comin­ciare un discorso difficile) La signora vo­stra zia, che mi onora...

Alberto                          - (levando di mezzo il dottore) Cosa? Tutto per colpa mia? Ah, questo poi...

Francesca                      - Sì, sei stato tu, il tuo influsso. Hai svegliato in me dei veri istinti... scellerati; criminali.

Alberto                          - Dottore, adesso io ho l'influsso cri­minale!

Il dottore                       - La signora vostra zia, la cui fi­ducia...

Francesca                      - (scostando il dottore) Sì, tutte quelle imposture, quelle cattiverie; sei sta­to tu!

Il dottore                       - La signora...

Francesca                      - Mi hai costretto a combinare gli imbrogli più disgustosi, a raggirare delle per­sone oneste e per bene, mi hai obbligato per­sino a gettarti dalla montagna!

Alberto                          - (inferocito, accennandosi al volto) Ma certo, sono stato io a farmi il massag­gio, qui, con le ortiche.

Francesca                      - E infine, poco fa, mi hai co­stretta a raccontare delle storie... indecenti, immorali, a farmi diventare il ludibrio di tutti, come se fossi anch'io una Noemi, mez­za spogliata, in un capannone di cemento...

Alberto                          - Dottore, l'ho costretta io!

Dottore                         - Ero venuto...

Alberto                          - (levandolo di mezzo) È colpa mia se piove. Se le vacche domani perdono il latte, sono stato io.

Francesca                      - Sei stato tu, sicuro. M'hai fatto vergognare. E così è finito, sai? Se anche, prima, un certo sentimento l'avevo, ora è finito tutto. Dottore se sapeste come ne sono contenta. Venite, dottore, non respiravo più così bene da molti anni.

Il dottore                       - Il motivo, infatti, che mi spinge...

Alberto                          - (scostando il dottore e gridando) E allora, se vuoi saperlo, ti dirò che anche io, prima ero innamorato di te, prima! Io non lo sapevo: ma quando tornavo a casa, in treno, lo sai che ero felice, fischiettavo e tutti si voltavano? Sai per chi era? Per te. Perché tra poco ti avrei veduto, parlato. Poco fa, quando sono sceso dal monte per cercarti, ne ho presa della pioggia, avrei potuto anche cadere in qualche fosso e morire, no? E io niente. Perché era per te! Anche a prendere un malanno  e forse l'ho preso, sai? (si sforza di tossire) non mi importava perché ti volevo bene. E invece, vuoi saperlo? Mi è successo come a te, preciso.. È finito tutto. ,

Francesca                      - Meglio cosi.

Alberto                          - Nello stesso momento in cui mi sono accorto che t'avevo sempre voluto bene, fin da ragazzo, in quello stesso momento, tac, addio, più niente.

II dottore                      - Ed è appunto per questo, che la signora zia, la quale...

Alberto                          - (strillando) Hai raccontato troppe bugie. Io le bugie non posso sopportarle. Finis. Buona notte. Meglio per tutti.

Francesca                      - Sicuro, meglio per tutti. Buona notte. Dottore, avete fatto bene a venire.

Alberto                          - (fuori di se) Sposo Noemi, ho deciso. Prendo il cappello e poi me la sposo. Quella mi vuole bene sul serio. (Corre nella stalla).

Il dottore                       - Signorina! La signora vostra zia, la cui fiducia mi onora, ha avuto la bontà di avvertirmi che io potevo, anzi dovevo, o per meglio dire che il momento era giunto...

Alberto                          - (riapparendo, furioso, col cappello im­presentabile tra due dita) Ecco, le vacche mi sono montate sopra il cappello. (Buttan­dolo via e avviandosi verso la porta) Anche il cappello ci ho rimesso. Non importa.

Francesca                      - (fermandolo) È inutile che corri, sai? Ha. già detto Noemi...

Alberto                          - (disgustato) Che mi ripudia anche lei, non è vero? Prima mi vogliono tutte, poi non mi vuole più nessuna! Che serietà! Non importa, me né vado per mio conto, me ne infischio di tutti. Sai qual'è il risul­tato? Eccolo, che ho preso un malanno. (Si sforza di tossire) Lo sapevo. Sento il pizzi­corino in gola, quello non sbaglia mai. (Sen­za muoversi) Arrivederci.

Francesca                      - (senza voltarsi) Tanti saluti.

Alberto                          - (infuriandosi improvvisamente) E invece, per tua regola, sono io che non vi voglio più, né quella là, né te. Non mi me­ritate! Non mi comprendete! Anche con te, sai, ero sprecato. Sei sempre stata una sor­niona! Un'acqua cheta!

Francesca                      - E tu un bugiardo!

Alberto                          - (gridando) A me piacciono le per­sone serie, sincere, che quando dicono una parola è quella! Un broccolo come il dottore, ecco chi dovevi trovare, per dargliela a bere!

Il dottore                       - Prego, prego...

Francesca                      - Non mi fai neanche arrabbiare, sai; mi fai compassione...

Il dottore                       - E io mi astengo dal raccogliere il broccolo.

Francesca                      - Cosa volete, dottore: è un di­sgraziato.

Il dottore                       - (scientifico) Psicologia asubnormale, tipo debole-instabile...

Alberto                          - Cosa?

Il dottore                       -. .. con caratteristiche di immo­ralità turbolenta e di egoismo antisociale.

Alberto                          - (prendendo dal focolare un robusto ramo e palleggiandolo) Dottore, finalmente, si potrebbe sapere che cosa volete voi qui?

Il dottore                       - (dignitoso e prudente) La signora sua zia, la cui fiducia mi confonde...

Alberto                          - (fuori di sé) È tutt'oggi che voi mi guardate in modo provocante.

Il dottore                       - Prego, prego. Il mio sguardo non è provocante: è curativo e profilattico.

Alberto                          - Voi non avete niente da fare, qui; non c'è nessuno che stia male.

Il dottore                       - (mordace) Chi sa, chi sa. Un buon medico è sempre utile.,.

Alberto                          - Però se capitasse qualche guaio a voi, ce ne vorrebbe un altro, dei medici.

Il dottore                       - (prudente) Prego, prego. (Rea­gendo, solenne) lo sono qui per porgere alla signorina il sostegno disinteressato di un gen­tiluomo... (fulminando Alberto) che sia un vero uomo, tutto d'un pezzo e con la testa sulle spalle.

Alberto                          - (minaccioso) Ah sì, eh? Tutto d'un pezzo, eh? Spiegatevi meglio, dottore.

Il dottore                       - (a Francesca, solenne, e dando a Alberto un'occhiata di commiserazione) Sono qui, signorina, per mettervi sulle spalle il mio impermeabile, affinché non vi ba­gniate uscendo di qui e affinché compren­diate, attraverso questo gesto, che cosa si­gnifichi avere al fianco una persona... su cui nemmeno la pioggia cade impreveduta. (Si è tolto l'impermeabile, lo offre a Fran­cesca).

Alberto                          - (facendo per levarsi a sua volta l'im­permeabile) Ma ti dò il mio, allora!

Francesca                      - (dignitosa) No Alberto. Troppo tardi.

Il dottore                       - (a Alberto) Voi ormai avete di­mostrato la vostra inidoneità. (Mette l'impermeabile sulle spalle di Francesca, che lascia fare. Un silenzio).

Francesca                      - (triste) Alberto, arriva un giorno in cui al mattino ci si sveglia ancora ragaz­zi... e la sera si è diventati persone grandi. Il tempo dei giochi, dei bei sogni è finito.

Il dottore                       - E sopravvengono affetti più du­raturi, che sono conforto alle inevitabili scia­gure della vita.

Francesca                      - (col pianto nella voce) Addio Al­berto. Era così bello, quando sentivo la tua voce nel giardino...

Alberto                          - (roco) Ti ricordi, Francesca, quelle merende insieme... quelle buone marmellate... Che appetito, che allegria...

Francesca                      - (molto commossa) Ora il giardino per me non sarà mai più così bello, così verde... le giornate non saranno mai più così turchine...

Alberto                          - (quasi piangendo) Quello che mi di­spiace sopratutto, povera Francesca, è di la­sciarti lì, (con sincera desolazione) nelle mani di questo iettatore...

Il dottore                       - Trovo di pessimo gusto...

Francesca                      - (con dolorosa rassegnazione) Cosa vuoi, Alberto. In fondo...

Alberto                          -. .. un uomo che susciterà sempre in te un brivido di disgusto...

Il dottore                       - Vi prego di notare...

Francesca                      - (c. s.) Mi farò forza, Alberto.

Alberto                          - La tua vita trascorrerà in mezzo a un puzzo di acido fenico e di camere mor­tuarie... E la mia vita... non sarà migliore. (Avviandosi e quasi piangendo) Addio, Fran­cesca.

Francesca                      - (fermandolo, tremula) Alberto. Dove vai, ora?

Alberto                          - (tragico) Dove devo andare? Non lo so.

Francesca                      - Non far lo stupido. Così senza cappello. Sei ancora tutto zuppo.

Alberto                          - (col tono di uno che non dà più nes­sun peso alla vita) Cosa vuoi che m'importi.

Il contadino                  - (che s'è fatto fuori con un vas­soio in mano) Signore, e il vostro caffè? Non lo prendete più?

Alberto                          - (voltandosi sbalordito) Il mio caffè?

Francesca                      - (a occhi bassi) Sì. Te l'avevo fatto preparare io, Alberto. Ti avevo visto cosi bagnato... (D'un tratto, energica, aggressiva, spingendolo accanto al fuoco) Lo vuoi capire che sei delicato? Che devi riguardarti, se no lo prendi davvero, un malanno? Ecco, bevilo qui, accanto al fuoco. Ti fa bene.

Alberto                          - (siede) Quanto sei buona, France­sca. (Si dà a mescolare il caffè guardando il dottore con espressione di trionfo).

Francesca                      - (levandosi dignitosamente l'imper­meabile dalle spalle e restituendolo al dot­tore) Dottore, voi ci pensate da solo, a difendervi dalla pioggia. Ma lui? Lui ha bi­sogno che ci pensi qualcuno.

Il dottore                       - È tutte le scelleratezze che ha commesso?

Francesca                      - Non ho che questo modo per fargliele pagare. (Accennando ad Alberto che tosse) Dottore, sarà grave, questa tosse?

Il dottore                       - In genere sono cose da nulla. Ma qualche volta, purtroppo, si comincia con una tossettina... e sono tossettine che con­ducono al sepolcro. (Levandosi il cappello) In tal caso, signorina, se voi vorrete... io aspetterò.

Alberto                          - (si china impetuosamente a prendere le molle).

Il dottore                       - (dà a questo gesto l'interpretazione peggiore e sparisce con un salto).

FINE