Il pane amaro

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IL PANE AMARO

Dramma postumo in tre atti

di MASSIMO GORKI

Traduzione dal testo originale stampatoa Mosca nel 1936, di Odoardo Campa

PERSONAGGI

VASSA GELIESNOVA

SERGIO GELIESNOF, suo marito, ex capitano di piccolo cabo­taggio

NATALIA e LIUDMILA, loro figlie

RACHELE TOPAS, loro nuora

PROCOR CRAPOF, fratello di Vassa

ANNA, segretaria e con­fidente di Vassa

MELNIKOF, membro del Tri­bunale Distrettuale

EUGENIO, suo figlio

KROTKI, gerente dell'Impresa di navigazione

PIATIORKIN, ex soldato, marinaio della flot­tiglia fluviale

LISA e POLIA, cameriere.

L'azione si svolge in una cittadina di capoluogo sulle rive del medio Volga, intorno al 1908.

ATTO PRIMO

Un'ampia camera d'angolo. Qui Vassa ha tra­scorso una diecina d'anni e vive la maggior parte della giornata. Grande scrittoio davanti al quale è un leggero seggiolone viennese. Una cassaforte. Sulla parete centrale pende una larga carta co­lorata dell'alto e medio corso del Volga, fra Ribinsk e Kasan. Sotto la carta Uno spazioso di­vano coperto di tappeti, con molti cuscini ad­dossati alla parete. Un tavolino ovale in mezzo alla stanza. Varie sedie con alti schienali. Una vasta poltrona di cuoio. Una doppia vetrata conduce dalla terrazza in giardino. Sullo stesso lato altre due finestre. Sui loro davanzali piante di geranio. In terra, nello spazio compreso fra le due finestre, un vaso con una pianta di alloro. Su uno scaffaletto una piccola brocca d'argento e altri vasetti dorati. A sinistra del divano una porta che conduce nella camera da letto. Di fronte allo scrittoio altra porta comune. La ca­mera, chiara e allegra, è rischiarata attraverso la vetrata e le finestre dai vividi raggi solari di una mattina alla fine di marzo.

(Entrano Vassa e Krotkf).

Vassa                                 - Tre rubli e cinquanta per mille pudi. Trentacinque centesimi di kopeco al pudo, que­sto naturalmente è troppo poco per gli scari­catori; ci sono da percorrere venticinque metri e più. Guadagnano in media un rublo il giorno e hanno bisogno di nutrirsi abbondantemente, di mangiar carne. Ecco ciò che dovete tener pre­sente. Per scrivere un articoletto sul giornale. Trovare qualcuno che parli con gli scaricatori. Avete qualcuno?

Kkotki                               - (allegro) Lo troverò.

Vassa                                 - Ecco, così! Bisogna pressare le gros­se società di navigazione; la nostra è una pic­cola azienda che trasporta solo merci minute ; noi abbiamo i nostri marinai che scaricano di­rettamente le merci sugli scali; solo di tanto in tanto ricorriamo agli scaricatori...

Kkotki                               - Già, ma noi paghiamo ai nostri marinai ancora meno... Due rubli per mille pudi!

Vassa                                 - Ma appunto... Fate in modo che le grandi società aumentino agli scaricatori, allora si verrà più volentieri da noi e potremo aumen­tare ai nostri marinai. Così, avrete ragione. Scu­sate se questo vostro appunto lo butto nel ce­stino.

Krotki                                - (corrugandosi) Vedete però, signo­ra Vassa...

Vassa                                 - Dovreste piuttosto rivolgervi ai fab­bricanti di stoviglie, ai piccoli mulini e, soprat­tutto, al piccolo artigianato; potremo far loro delle concessioni, in modo che essi ci affidino le loro merci. Ecco cosa bisognerebbe fare...

Krotki                                - (con un certo orgoglio) L'anno scorso è finito bene, i profitti sono stati notevoli.

Vassa                                 - Che vuol dire? Che tutto vada bene, questo è normale. Bisogna far di meglio. Se no che scopo c'è a stare al mondo?... Dunque, arri­vederci, ho mille cose da fare! (Krotki s'inchina in silenzio ed esce. Vassa, tendendo l'orecchio, chiama) Aniuta! (Entra Anna) Svelta, battimi una copia! Krotki brontolava?

Anna                                  - Sì, sembrava scontento.

Vassa                                 - Che diceva?

Anna                                  - Non ho capito. Borbottava sui con­servatori.

Vassa                                 - Naturalmente. Lui è socialista! Ma il socialismo per lui è quello che Dio è per mio fratello Pròcor: prega per abitudine, ma inte­riormente non ci crede. Tu non fidarti alla sua eloquenza... Ieri di che cosa avete parlato?

Anna                                  - Raccontava della collaborazione dei socialisti tedeschi col loro re.

Vassa                                 - Sta attenta a non farti gonfiare la pancia dal suo socialismo!

Anna                                  - Oh no, conosco gli uomini! Lui fa la corte alla signorina Natalia.

Vassa                                 - Lo so. Però Natka non è una stupida.

Anna                                  - E lui corteggia anche la sorella...

Vassa                                 - Vedi che varietà di gusti! (Suona il telefono) Sì, son io. Prego. Vi aspetto... E' l'av­vocato Melnìkof. (Congeda Anna con un gesto della mano. Rimane in piedi presso lo scrittoio sovrapensiero, riordinando le carte e cambiando di posto qualche oggetto. Batte le ciglia guar­dando davanti a sé).

Melnìkof                            - (dalla porta dov'è uscita Anna) Buongiorno, pregiatissima signora!

Vassa                                 - Grazie, chiudete la porta. Sedete. Dunque, cosa c'è?

Melnìkof                            - Brutte novità. L'istruttoria pre­liminare è chiusa, gli atti sono stati trasmessi al Pubblico Ministero. Il mio informatore crede che sarà difficile sfuggire a un giudizio severo.

Vassa                                 - Ma con tremila rubli si dovrebbe ottenere l'assoluzione.

Melnìkof                            - E' impossibile. Io ho letto la deposizione della mezzana; fa una confessione completa.

Vassa                                 - Vuol dire che si farà il processo?

Melnìkof                            - E' inevitabile.

Vassa                                 - E quale potrà essere la condanna?

Melnìkof                            - I lavori forzati, probabilmente.

Vassa                                 - Come si dice nel vostro gergo?...

Melnìkof                            - Che cosa esattamente?

Vassa                                 - Codesto divertimento con una mi­norenne?

Melnìkof                            - Stupro...

Vassa                                 - Che parola appiccicosa. Ed ora come si svolgeranno le faccende?

Melnìkof                            - Il Pubblico Ministero istruisce l'atto d'accusa, lo notifica alla polizia ordinando l'arresto degli imputati.

Vassa                                 - Tutti e tre? Anche la mezzana?

Melnìkof                            - Naturalmente...

Vassa                                 - Ma il Pubblico Ministero può anco­ra ritirare l'accusa?

Melnìkof                            - Potrebbe. Ma bisogna pensare alla sua carriera che difficilmente vorrà compro­mettere. Benché corra voce che da parte dei complici si facciano dei tentativi...

Vassa                                 - Ah, ah! Ebbene tentiamo anche noi. Vi prego, fate uno sforzo. Proponete un acco­modamento per soffocare la faccenda. Occorre cancellare questo processo, cancellarlo comple­tamente. Io ho delle figlie.

Melnìkof                            - Signora Vassa, con tutto il rispetto che vi devo, vi sono interamente devoto, credetemi... la mia riconoscenza...

Vassa                                 - Siate breve; di riconoscenza parle­remo dopo, quando l'affare sarà concluso in modo pacifico e decente. Agite!

Melnìkof                            - Ma io non sono assolutamente in condizione... Non posso far nulla.

Vassa                                 - Dovete considerare che io non rim­piango il danaro in un caso come questo. Posso aggiungere ancora un mille e cinquecento rubli. Faranno così cinquemila. Saranno abbastanza?

Melnìkof                            - Sì, ma... vedete, comunque io...

Vassa                                 - E voi siate più audace!

Melnìkof                            - Sarebbe meglio che tentaste voi stessa...

Vassa                                 - Eh, no, questo sarebbe esigere trop­po... Son d'accordo di pagare, ma abbassarmi da­vanti al Pubblico Ministero, no; non posso! Io sono un essere ruvido, schietto. A me non riu­scirebbe. Ma voi provate subito, oggi stesso, vi prego! Mi telefonerete che cifra occorre. Vi au­guro di riuscire. Dunque?

Melnìkof                            - Permettete, vi riverisco... Corro in tribunale. (Esce).

Vassa                                 - Sì, sì, fate presto. (Siede, chiude gli occhi. Poi apre un cassetto della scrivania e cerca qualcosa. Avendo trovato una scatolina, ne osserva il contenuto, smovendolo col manico del­la penna. Rumore dietro la porta. Nasconde ra­pidamente la scatolina in tasca).

Liudmila                            - (entrando) Buongiorno, mammi­na! Se sapessi che bel sogno ho fatto, un sogno maraviglioso.

Vassa                                 - (la bacia) Per te, Liùdok, ogni cosa è bella.

Liudmila                            - No, ma stammi a sentire...

Vassa                                 - Me lo racconterai a pranzo.

Liudmila                            - A pranzo, Natka si metterà a ri­dere, oppure qualcuno ci disturberà, o anche l'avrò scordato. I sogni si dimenticano così presto. Stammi a sentire.

Vassa                                 - No, Liùdok, va, e mandami subito Lisa. Svelta!

Liudmila                            - Ah, Dio mio, come sei cattiva oggi! (Esce).

Vassa                                 - (sola, borbotta) Sono cattiva... Eh. stupidina... (Entra Lisa) Mio fratello si lagna che tu non gli ubbidisci. Hai dimenticato di ungere le sue serrature.

Lisa                                    - Non mi è stato possibile, signora. Son io sola, per tutta la casa... Mi rimane pesante! Datemi un aiuto, anche una bambina...

Vassa                                 - Non ci pensare nemmeno! Non posso sopportare in casa gente superflua. T'aiutano le signorine. Ricevi un buon salario. Sforzati un poco. Dormi di meno. Mio fratello è in casa?

Lisa                                    - No, signora.

Vassa                                 - Chiamami il padrone. (Lisa esce. Vassa rimane in mezzo alla camera sovrapensiero; fa schioccar le dita; si tasta la tasca. En­tra Sergio in veste da camera. Capelli crespi arruffati. Guance non rasate da parecchi gior­ni. Grigi e spessi baffi) Ti sei alzato adesso o ti disponevi ad andare a letto?

Sergio                                - Cosa vuoi?

Vassa                                 - (chiudendo la porta della camera di Lisa) Non gridare. Non mi fai paura.

Sergio                                - (fa l'atto di tornare indietro).

Vassa                                 - (prevenendolo, chiude anche l'altra porta) Il Pubblico Ministero ha confermato la tua colpevolezza.

Sergio                                - (afferrandosi allo schienale d'una seg­giola) Non ci credo! Menti!

Vassa                                 - (calma) L'ha confermata.

Sergio                                - Canaglia! Mi son lasciato vincere da lui a carte novemila rubli: gli ho fatto capire che gli avrei potuto dare molto di più...

Vassa                                 - Fra qualche giorno riceverai l'atto d'accusa, dopo di che sarai arrestato e rinchiuso in prigione.

Sergio                                - Sei stata troppo avara, sei stata trop­po avara! Hai dato troppo poco. Anche a Melnikof, è evidente. Quanto gli hai dato, dimmi?

Vassa                                 - Lo stupro di minore è punito coi la­vori forzati.

Sergio                                - (si è seduto; scuote la testa, con voce sorda) Sei contenta, eh?

Vassa                                 - Hai due figlie da marito. Che cosa sarà di loro quando ti manderanno ai lavori for­zati? Quale uomo dabbene vorrà sposarle? Hai «ii nipote che fra poco compirà cinque anni. Avresti fatto meglio d'ammazzar qualcuno che eomjmettere un simile obbrobrio!

Sergio                                - Te dovrei ammazzare, ecco! Ucci­derti, strapparti codesto cuore crudele e gettarlo ai cani. Tu vuoi confondermi. Tu...

Vassa                                 - Non mentire, Sergio, non ti servirà a nulla. A chi menti? A te stesso. Non mentire. Mi ripugna di starti a sentire. (S'avvicina al marito, gli posa una mano sulla fronte, gli rial­za la tesa e lo guarda in viso) Ti scongiuro, non affrontare un giudizio che coprirà di vergogna la tua famiglia. Io t'ho chiesto ben poco durante tutta la mia vita con te, ho sopportato la tua intemperanza, i tuoi stravizi. Ed ora ti chiedo, non per me, ma per i nostri figli...

Sergio                                - (con ansia) Cosa vuoi da me, cosa t'occorre? Che mi chiedi?

Vassa                                 - Lo sai.

Sergio                                - No, questo non può essere! No...

Vassa                                 - Debbo forse chiedertelo in ginoc­chio? Mettermi ai tuoi piedi?

Sergio                                - Scostati! Lasciami andare! (Prova ad alzarsi).

 Vassa                                - (premendogli una mano sul petto, ob­bligandolo a rimanere in poltrona) Prendi la polverina.

Sergio                                - Levati di qui...

Vassa                                 - Rifletti; ti toccherà di rimanere in prigione, poi tutta la città assisterà al tuo pro­cesso, sarai esposto alla curiosità di tutti; dopo di che agonizzerai a lungo fra altri forzati, e morirai a poco a poco d'angoscia, di orrore e di ignominia! Con questa, invece, in un istante, senza dolore, senza vergogna. E' come se ti ad­dormentassi.

Sergio                                - Va' via!... Lasciami andare... Che mi giudichino pure. M'è indifferente.

Vassa                                 - Ma i nostri figli? Lo scandalo?

Sergio                                - Chiederò d'entrare in un monastero. Sarà la clausura, la vita sottoterra, ma sempre la vita.

Vassa                                 - Non dire sciocchezze. Prendila. (Con­tinua ad offrirgli la scatoletta).

Sergio                                - (si alza) No, non la prenderò. Non mi ucciderò per farti piacere.

Vassa                                 - Prendila volontariamente.

Sergio                                - Se no? Che cosa? Saresti anche ca­pace di avvelenarmi?

Vassa                                 - Sergio, pensa alle tue figlie! Esse debbono vivere. Non debbono pagare per le col­pe del loro padre.

Sergio                                - E per quelle della madre?

Vassa                                 - Dici delle assurdità. Comprendi che al processo io non potrò tacere. Io racconterò che tu m'hai portato in casa delle prostitute, che con loro ti sei fatto vedere da Natalia e da Liudmila. Dirò che hai insegnato a bere a Liudmila.

Sergio                                - Menti! E' stato Pròcor, tuo fratello, ad avvezzarla...

Vassa                                 - Hai spaventata Liudmila ed è perciò che essa è rimasta una deficente.

Sergio                                - Ma Natalia è tutta te, tutta!

Vassa                                 - Sei quindi avvertito: al processo par­lerò chiaro!

Sergio                                - (in piedi, ruggendo) Scostati! Mi fai orrore. Lasciami passare! (Respingendola si di­rige verso la porta).

Vassa                                 - (seguendolo) Prendi questa scatola, Sergio...

Sergio                                - No! (Escono. Entra Lisa reggendo un vassoio su cui sono alcune serrature di vario genere. Al suo seguito viene Pròcor con un grosso catenaccio in mano).

Pròcor                                - (forte) Che avevano da litigare?

Lisa                                    - Non so. Ho solamente udito che essa l'esortava a prendere qualche cosa; una medi­cina, mi pare.

Pròcor                                - Che medicina?

Lisa                                    - Non so.

Pròcor                                - Come sei stupida! Sergio non ha bisogno di nessuna medicina. E' sano come un cammello. Passiamo le notti a giocare al macao, sostentandoci col cognac...

Lisa                                    - Forse bicarbonato?

Pròcor                                - Ti ripeto, sei una stupida. Il co-gnac non richiede bicarbonato. Beh, cosa stai lì impalata? Posa le serrature sulla tavola. Tu non capisci nulla, non vedi nulla. Ma perché ti faccio dei regali?

Lisa                                    - Sì, mi avete fatto dei regali! Presto tutti vedranno che specie di regali m'avete fatto!...

Pròcor                                - Meglio che sia stato io, che Piatiòrkin. Rigira la poltrona di cuoio, si sciupa al sole. Non sai che costa sessantacinque rubli?

Lisa                                    - Il sole?

Pròcor                                - La poltrona. E' un regalo di mia sorella. Il sole non costa nulla. Eh, però aspet­ta! Cosa vuol dire? Ti permetti di scherzare? Però non mi mancare di rispetto! Il sole! Mia sorella ti ha viziato come il gatto d'una vecchia zitella. Vattene al diavolo! (Lisa esce. Pròcor dà un'occhiata agli incartamenti che sono sullo scrittoio. Poi canta, stonando, una canzone po­polare).

Natalia                               - (entrando) Che bella giornata.

Pròcor                                - Ancora non si sa nulla, siamo ap­pena al principio. In che stato vai per casa. Tutta spettinata... scarmigliata!

Natalia                               - Sai, pare che il babbo sarà pro­cessato.

Pròcor                                - (atterrito) Chi l'ha detto?

Natalia                               - Eugenio Melnikof.

Pròcor                                - (sedendosi) Maledizione! Il capi­tano non ha saputo evitare le secche. E' la fine delle nostre vecchie e onorate famiglie. Che cosa dovremo vedere! Il capitano porterà la nostra barca in perdizione. Naufragheremo nel disonore.

Natalia                               - Forse sarà assolto?

Pròcor                                - Questo ha un'importanza relativa! E' il processo, lo scandalo che è terribile. D'al­tra parte sarà certamente condannato. Ora è di moda così. Quando uno è ricco, vuol dire che è colpevole. Disgraziata la gente ricca. Devi capire che si farà il processo non tanto a tuo padre, quanto a noi suoi stretti congiunti.

Natalia                               - Ma non si può far niente? Muo­versi, cercare, provvedere?

Pròcor                                - Fuggire in America. .

Natalia                               - Si può comprare i giudici.

Pròcor                                - E' stato fatto. Tua madre ha pro­fuso non poche migliaia di rubli per soffocare lo scandalo. Si vede che non le è riuscito. Ora non potrò più diventare sindaco della città, e tu e Liudmila non troverete più un marito della vostra condizione, anche avendo una ricca dote. Vostro padre, figlio d'un cane, maledetto, vi ha disonorato. Eh, idiota...

Natalia                               - Chi? La mamma?

Pròcor                                - Eh, già...

Natalia                               - No, la mamma .non è una stu­pida...

Pròcor                                - Ma come si fa? Sposare questo capitano, di quasi vent'anni più vecchio di lei...

Natalia                               - Ma non sei stato tu, zio, a per­suaderla? Non era amico tuo?

Pròcor                                - Io, io? Io sono un uomo fuori del mondo! Io sono un essere bonario, una natura d'artista. Da giovane ho sognato di diventare artista d'operetta. Vostro padre era capitano di lungo corso, allora navigava sul mar Caspio... Nulla d'importante...

Natalia                               - Ma la mamma l'amava?

Pròcor                                - Eh, va al diavolo, tu, con l'amore! Che amore poteva essere? Quando una fan­ciulla si stacca dal suo ambiente... Ma è una pazzia! Questo per la nostra classe non è un esempio, non è una prescrizione da seguire...

Vassa                                 - (entrando) Cosa non è una prescri­zione?

Pròcor                                - Siamo qui con Natalia...

Vassa                                 - Lo vedo che sei qui con Natalia.

Pròcor                                - Come va, dunque, Sergio?

Vassa                                 - Bene. Si lagna del suo cuore. Nata, di' che mi servano il tè.

Natalia                               - Di' pure francamente che di­sturbo... (Esce).

Vassa                                 - Sì, disturbi anche. Ma non ho an­cora preso il tè. Tu perché gridavi?

Pròcor                                - Gridavo! Dunque non si potrà evitare il processo?

Vassa                                 - E parli di questo con le ragazze... Questo riguarda me.

Pròcor                                - Natalia sa già. E' lei che me ne ha informato.

Vassa                                 - Ed a lei, chi glielo ha detto? (Liudmila entra in silenzio).

Pròcor                                - Il figlio di Melnikof. Le ragazze hanno torto di riceverlo.

Liudmila                            - E' un giovinotto interessante, e noi ci annoiamo. Tutte le nostre amiche sono malate. Nessuno viene da noi.

Vassa                                 - Tu, Liuda, vai ad aiutare Lisi- a fare le camere...

Liudmila                            - Ma io ho voglia di stare un poco con te. Perché mi mandi sempre via?

Vassa                                 - Ho da fare, Liuda, per la nostra azienda.

Liudmila                            - Hai sempre da fare, sempre da fare! Non hai mai tempo per noi, neanche un minuto!

Vassa                                 - Fra poco prenderò il tè; verrai a tenermi compagnia, parleremo... ma ora va!

Liudmila                            - Mi vien voglia di piangere. Tanto lo so, tu vuoi rimproverare lo zio Pròcor perché dice che papà è un libertino, lo so!

Vassa                                 - (guardando la figlia in faccia l'accom­pagna verso la porta) Libertino... Ma non è una colpa essere libertino... Vuol dire amare la libertà! Anch'io amo la libertà.

Liudmila                            - Vuoi scherzare, mamma! Ma io so cosa vuol dire libertino! Per esempio, zio Pròcor... (Vassa vuol chiudere la porta dietro di lei, ma non riesce nell'intento) Lo zio Pròcor è un libertino. Ha reso incinta la nostra Lisa! Non vuol bene al babbo, perciò lo offende.

Pròcor                                - Inventi! I vecchi, in genere, sono poco prodighi d'amore.

Liudmila                            - Ma tu vuoi bene alla mamma?

Vassa                                 - Via, basta, basta!

Liudmila                            - Perché non lo ami? Si ubriaca, ma noi lo amiamo lo stesso. Ubriacarsi è una malattia, dice Eugenio Melnìkof...

Pròcor                                - Al diavolo la fonte della saggezza!

Liudmila                            - Una malattia sul genere della... (Entra Lisa recando un piccolo samovar; dietro di lei Natalia con un vassoio col vasellame. Vassa, abbracciata la figlia, si muove con lei per la ca­mera come in ascolto del seguito del discorso. E' sovreccitata, ma dissimula. Si ferma ad osser­vare le serrature. Lisa esce).

Vassa                                 - (al fratello) Sei sempre preso dalla tua manìa, non ti è venuta ancora a noia?

Pròcor                                - E' un'innocente manìa; forse non è nemmeno una manìa...

Vassa                                 - E allora, che cos'è?

Pròcor                                - Come si può sapere? Nessuno fa collezione di vecchie serrature, ed io le raccolgo. Che cos'è una serratura? Noi chiudiamo tutto, più per abitudine che per timore. Se non ci fosse questa abitudine di rinchiudere la roba, le ser­rature non esisterebbero... Senza briglia non si doma il cavallo!

Vassa                                 - Eh, come sei! Perfino intelligente. Natalia, versa il tè.

Pròcor                                - Tu credi ch'io getti i danari senza riflessione... Ho pagato questo catenaccio sette rubli, e già me ne danno venticinque. Quando avrò raccolto un migliaio di serrature le venderò ad un museo per ventimila rubli.

Vassa                                 - Va bene, va bene. Magari la indovi­nassi... (A Liudmila, forte e inattesamente) Mi innamorai di vostro padre quando non avevo ancora quindici anni. Ne avevo sedici quando ci sposammo. A diciassette anni ero incinta di vo­stro fratello Fedoro, e già subivo la tirannia di tutta la famiglia di vostro padre, che non amava la mia... Vostro padre era di carattere allegro, gioviale.

Liudmila                            - Gli piaceva di scherzare?

Vassa                                 - Ti ricordi, Natalia, di quella volta che ti divertivi a forare una parete della camera di tuo padre?...

Natalia                               - Mi ricordo...

Vassa                                 - A un tratto corresti da me tutta in lacrime gridando: mandale via, mandale via!

Natalia                               - Sì, me ne ricordo, e poi avvenne Una gran confusione in casa...

Vassa                                 - Dunque, te ne ricordi? E' bene che te ne ricordi, Natalia! Non si può vivere senza ricordare. Io ho messo al mondo nove figli, e sono rimasta con tre. Uno nacque morto; due bambine non raggiunsero l'età di un anno; un bambino i cinque anni. Uno morì a sette... Ecco, figlie mie, come stanno le cose. Vi dico questo perché non abbiate troppo fretta di sposarvi...

Liudmila                            - Tu non ci hai mai raccontato nulla... in questo modo.

Vassa                                 - Me ne è mancato il tempo.

Liudmila                            - Perché sono tutti morti e noi siamo vive?

Vassa                                 - Sarà questa la vostra sorte. Gli altri son morti perché saranno nati deboli e saranno nati deboli perché vostro padre beveva troppo e mi batteva. Lo zio sa come stanno le cose...

Pròcor                                - Eh, sì, lo so, purtroppo. Quante volte m'è toccato ad intervenire; il capitano aveva imparato coi marinai, perciò picchiava sodo!

Liudmila                            - Ma tu, zio, perché non ti sei spo­sato?

Pròqor                                - Come? Ma io mi sono sposato. Non conosci le strofe di quell'operetta? E' assai facile sposare Ma non in due viver tentare...

Liudmila                            - Tutte le tue canzoni hanno un unico motivo... zio.

Pròcor                                - Così è più semplice ed è più facile ricordare le parole. Ho vissuto insieme a mia moglie quattro anni. Di più non m'è stato possi­bile. Si vive meglio da soli, padroni di se stessi. Perché volere dei cavalli propri, quando si può noleggiare una vettura?

Natalia                               - Fedoro verrà a star con noi?

Vassa                                 - Quando sarà guarito, naturalmente.

Natalia                               - E Rachele?

Vassa                                 - Anche lei, naturalmente. E' sua moglie.

Liudmila                            - Che cara persona è lei, Rachele!

Natalia                               - Verranno a star con noi dopo il processo?

Vassa                                 - (eccitandosi) Tu vuoi saper troppo, Natalia. La tua è una morbosa curiosità.

Liudmila                            - Non t'arrabbiare, mamma, non è il caso...

Lisa                                    - (entrando, spaventata) Signora... il padrone...

Vassa                                 - (come scossa da un tremito, ma calma) Che c'è? Chiama?

Lisa                                    - (esitante) Mi pare... non so... è palli­do... come morto...

Vassa                                 - (furiosa) Sei impazzita! (Esce rapi­damente con Lisa. Liudmila le segue. Natalia si alza, guarda lo zio, che la fissa confuso).

Pkòcor                               - Tremo tutto. Va, Natalia, va! Che succede, che è questo?

Natalia                               - Se è morto vuol dire che non sarà più processato.

Pkòcok                               - Ma va, ti dico! (Natalia esce. Pròcor, rimasto solo, beve del tè freddo e mormora, alcune parole incomprensibili).

Lisa                                    - (tornando, dice a bassa voce, spaventata) Signore, come può essere; era in perfetta sa­lute...

Pkòcor                               - Questo non vuol dir nulla; ma sarà soltanto svenuto.

Lisa                                    - Stava bene... Ha preso una medicina... una polverina...

Pkòcor                               - (sbalordito)   - Come, che dici?... (Fu­ribondo l’agguanta alla gola e la scrolla) Se tu, brutta carogna, non dimentichi questa parola... Se tu, serpente... Ma che cosa hai inventato? Come osi parlare?... (La respinge e s'asciuga il sudore sulla fronte calva).

Lisa                                    - Ma voi stesso m'avete ordinato di rac­contarvi tutto...

Pkòcor                               - Che cosa t'ho detto? Di riferirmi ciò che hai visto, ciò che hai udito... Ma tu che hai visto? T'immagini d'aver veduto, ma non hai veduto. Va via, idiota! Te la dò io! Una pol­verina! Dimentica questa parola! (La mette alla porta. Percorre la camera sovrapensiero, si avvicina alla porta, ma sembra non possa andar oltre. Entrano Vassa, Liudmila e dietro di loro Piatiòrkin) Ebbene, Vassa? Svenuto? Dimmi, parla!

Vassa                                 - Morto.

Liudmila                            - Mamma, io prendo la pianta di alloro.

Vassa                                 - Sì. prendila. (Piatiòrkin trascina via il vaso con la pianta d'alloro. Liudmila prende i vasi di fiori che sono sui davanzali, esce e poi ritorna).

Pkòcor                               - E' incredibile, come ha fatto? Era in perfetta salute... Siamo stati alzati fino alle quattro del mattino...

Vassa                                 - Avete vuotato una bottiglia di cognac...

Pròcor                                - E' vero... Ma Lisa m'ha detto or ora che gli hai dato una polverina...

Vassa                                 - Si lagnava di bruciori allo stomaco... Gli ho dato del bicarbonato.

Pkòcor                               - (sghignazzando) Ah, ah, del bicar­bonato!

Liudmila                            - Ma zio, sei impossibile! Papà è morto e tu ridi! Cos'hai da ridere?

Pròcor                                - Ma nulla, Liùdok...

Vassa                                 - (al telefono) ...6-53... Grazie. Pron­to! Chi è? Siete voi, dottore? Favorite da noi. No, subito, immediatamente. Sì, Sergio è morto. No, stava bene... Non si sa come è avvenuto... sì... grazie... prego. (Riabbassa il ricevitore).

Pròcor                                - (a voce bassa, estatico) Davvero, sei prodigiosa!

Vassa                                 - (sorpresa) Che c'è ancora? Non esa­gerare, e ritorna in te. Stupido!

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

Sono passati alcuni mesi.

 (Vassa siede nella poltrona di cuoio. Sul di­vano Liudmila, Natalia, Anna ed Eugenio Melnìkof. Si è già preso il tè. Il samovar e il va­sellame sono ancora sulla tavola. E' sera. Il lume è acceso, ma nella stanza c'è una velata penombra. Fuori, nel giardino, chiaro di luna; si scorgono i profili neri degli alberi).

Vassa                                 - Vi ho dunque fatto un quadro delle antiche cerimonie nuziali, vi ho raccontato come vivevano fra loro nel tempo antico le mogli coi mariti...

Anna                                  - (piano) Vivevano orribilmente.

Natalia                               - E molto stupidamente.

Liudmila                            - Ma perché la gente è infelice, mamma?

Eugenio                             - E' infelice perché è stupida.

Vassa                                 - Perché è infelice io non lo so, Liudka. Secondo Anièghin e Natalia, l'umanità è infelice per stupidità, ma invece, ed anche io stessa ho potuto constatarlo, gli intelligenti sono più infelici degli stupidi.

Eugenio                             - Se si ammette che i ricchi sono più intelligenti dei poveri...

Vassa                                 - I ricchi saranno più intelligenti, ma vivono in modo meschino. Non riescono mai a divertirsi con la semplicità e lo slancio dei poveri...

Anna                                  - Questo è vero.

Natalia                               - Vuol dire che è meglio esser poveri.

Vassa                                 - Ma certo, proprio così. Tu prova, Natka. Fanne l'esperienza: sposa il tuo Aniè­ghin e vivete insieme. Lui ufficiale di fanteria, tu moglie d'ufficiale. Io non ti dò alcuna dote, e vivrete con quaranta rubli il mese. Con questa somma dovrete vestirvi, calzarvi, bere, mangia­re, ricevere gli amici, allevare i vostri figli,... naturalmente...

Natalia                               - Io non penso ad avere dei figlioli. Perché aumentare il numero degli infelici?

Vassa                                 - Questo, certo, è saggio. Perché, effettivamente? Dunque, Anièghin ti verserà i quaranta rubli, e la sua ordinanza vi cucinerà ogni giorno le solite polpette di carne di seconda scelta, tutta nervi.

Eugenio                             - (cupo) Ma forse entrerò in marina.

Liudmila                            - Anch'io non mi voglio sposare, è una cosa terribile. Preferisco viaggiare, visitare giardini botanici, serre, pascoli alpini...

Natalia                               - Bisogna riformare tutto questo. Il matrimonio, tutta la vita, l'esistenza...

Vassa                                 - Ecco, mettiti all'opera, riforma! Krotki t'insegnerà di dove cominciare.

Natalia                               - Io lo so senza di lui... Dalla rivolu­zione.

Vassa                                 - La rivoluzione è scoppiata, ha con­tinuato a bruciare, ma ha lasciato solo il fumo.

Anna                                  - Voi, signora, siete per la Duma?

Vassa                                 - Mah, se volete... La legna verde brucia male, e lì ci son certi ceppi che crepita­no... Ma Krotki c'insegna. A me per duecento rubli il mese insegna a dirigere l'azienda. Ed a te, per quindici rubli, un rublo e mezzo per le­zione, t'insegnerà a fare la rivoluzione. Quando entrò al mio servizio non aveva che un paio di calzoni, ed ora sua moglie è carica di gioielli. Così succede, ragazze! Allora vuoi entrare in marina, Anièghin?

Eugenio                             - Ancora non è deciso. Ma perché mi chiamate Anièghin?

Vassa                                 - Deciditi. Ti chiamo Anièghin...

Natalia                               - Somiglia a Anèghin, l'eroe di Puskin...

Vassa                                 - Davvero? Ma non sei superbo come lui! Va bene. Certo tu, Natka, sai meglio di me a chi somiglia.

Natalia                               - Non somiglia a nessuno...

Vassa                                 - ...degli esseri ragionevoli?

Eugenio                             - (offeso) Io non capisco assoluta­mente quando scherzate e quando parlate sul serio. Che strani modi!

Vassa                                 - Non andare in collera, non voglio mica offenderti...

Natalia                               - Alla mamma piace di stuzzicare la gente.

Vassa                                 - E in questo sono colpevole. Io non amo la gente.

Liudmila                            - No, mamma, non è vero.

Vassa                                 - No, è vero. Non l'amo. E va bene! Ed ora che abbiamo parlato e scherzato, voi ragazze andate in camera vostra. Io ho un pò da fare. Tu, Anna, rimani. Via, andate, an­date! Ci rivedremo a cena. (Le due ragazze ed Eugenio escono. Ad Anna) E' vero che il padre d'Eugenio s'è iscritto nell'Alleanza del popolo russo ?

Anna                                  - E' vero.

Vassa                                 - Così questo stupido va contro gli in­teressi del figlio che si vuole espellere dal corpo dei cadetti. Temo che questo vanerello finirà per guastare Natascia.

Anna                                  - Io credo che la signorina s'inte­ressa a lui solo per noia.

Vassa                                 - Il male non conosce noia.

Anna                                  - Dopo la morte del padre la signorina è diventata melanconica. E naturalmente le dicerie...

Vassa                                 - E le dicerie persistono?

Anna                                  - Sì.

Vassa                                 - E tu ci presti fede?

Anna                                  - No, ma a me impressionò molto il suicidio di Lisa. Non posso capire perché una così buona ragazza... Tutti le volevano bene.

Vassa                                 - E' una vittima di mio fratello. La deve avere spaventata in qualche modo.

Anna                                  - Era la sua amante?

Vassa                                 - La forzò a diventarla. Non si crede che Lisabetta si asfissiò nel bagno?

Anna                                  - Sono in pochi a crederlo. (Entra Pòlia).

Vassa                                 - Che cosa c'è? Parla. Che aspetti?

Pòlia                                   - (piano) Di là c'è una donna.

Vassa                                 - Che donna?

Pòlia                                   - E' arrivata ora... ha un nome stra­no... Rachele.

Vassa                                 - Chi? (S'alza di scatto, rapida fa per uscire; sulla porta si ferma. Ad Anna) Non dir nulla alle ragazze. Voglio fare una sor­presa. Non ci sono per nessuno. (A Pòlia) Porta via il samovar e prepara quello piccolo. (Esce).

Anna                                  - Dunque, ti ci abitui?

Pòlia                                   - E' difficile. Credevo di dover servire soltanto le signorine e che la padrona avrebbe avuta la sua cameriera particolare. Al signor Pròcor gli ci vorrebbe un cameriere, io non posso star dietro a lui...

Anna                                  - Ti dà noia?

Pòlia                                   - E' un tale sfacciato! Proprio incre­dibile. Anche ora passeggia in camicia, e canta. Canta sempre la stessa canzone. lersera, dopo che tutti erano già andati a detto, seguitò a far rumore con dei ferri, ed a cantare. Dà un'ango­scia tale... Che cos'ha, signorina Anna?

Anna                                  - E' un anormale. E' alcoolizzato.

Pòlia                                   - Vi sono molto riconoscente, signo­rina. La casa è buona.

Anna                                  - E la gente è cattiva. Non è questo che voi dire?

Pòlia                                   - Non posso giudicare. Ho però sen­tito dire che la donna che era qui, prima di me, si è impiccata.

Anna                                  - No, è falso. Morì asfissiata nel pre­parare il bagno. Era incinta.

Pòlia                                   - Ecco, vedete? era incinta! (Escono tutte e due. Entra Liudmila portando in mano un panchetto rotondo; dietro di lei viene Piatiòrkin recando un vaso con una pianta).

Liudmila                            - Ecco, mettila qui, ha bisogno di molto sole. No, così non va bene, spostala nel mezzo.

Piatiòrkin                           - (stando su un ginocchio) Ecco, così va bene?

Liudmila                            - Benissimo. Che razza di capelli ispidi che hai. Debbono essere duri..

Piatiòrkin                           - E non poco: toccate.

Liudmila                            - (passandogli una mano sui capelli) Proprio come una criniera.

Piatiòrkin                           - E' vero. Lo dicono tutti.

Liudmila                            - Chi tutti?

Piatiòrkin                           - Ma, i conoscenti. Tutti, in ge­nere.

Liudmila                            - Perché resti in ginocchio?

Piatiòrkin                           - Mi fa piacere di stare in gi­nocchio davanti a voi.

Liudmila                            - Ma cosa vai fantasticando! Io non mi metterei mai in ginocchio davanti a un uomo.

Piatiòrkin                           - Nessun uomo può chiedervi questo; è l'uomo che deve stare in ginocchio... Voi potete fare di un uomo tutto quello che volete.

Liudmila                            - Ma io non voglio nulla. Non ho nulla da chiedere.

Piatiòrkin                           - Se è questa la vostra volontà. (Si rialza).

Liudmila                            - Aspetta, io domando al giardi­niere che cosa c'è da riportare in giardino. (Esce).

Anna                                  - (sulla porta della camera) Non è per le tue forze, Piatiòrkin, abbattere questa pianta...

Piatiòrkin                           - E tu non essere gelosa. Chi può sapere? Tutto può essere, bisogna tentare...

Anna                                  - Ma se la padrona viene a sapere dei tuoi discorsetti...

Piatiòrkin                           - Da chi lo può venire a sapere?

Anna                                  - Voli immediatamente di casa!

Piatiòrkin                           - Tu, non parlare. Quando Liud­mila s'accorgerà a che gioco giochiamo sarà troppo tardi. Tu, soltanto, non mi ostacolare. Non ti sarebbe di alcun vantaggio. Il tuo sala­rio lo ricevi regolarmente; io posso essere licen­ziato anche domani. In questo caso le tue fa­conde si metteranno male.

Anna                                  - A me che importa? Benché se do­vessi metterti nel numero dei padroni mi sem­brerebbe piuttosto un'offesa...

Liudmila                            - (ritornando) Puoi andare, Pia­tiòrkin, non c'è bisogno d'altro.

Piatiòrkin                           - Ogni felicità, signorina, oggi come sempre! (Esce).

Liudmila                            - Che servitore compiacente.

Anna                                  - Sì.

Liudmila                            - E come si lascia comandare! E' straordinario!

Anna                                  - Sarà; ma tu, Liuda, sta attenta con lui.

Liudmila                            - Che cosa può farmi?

Anna                                  - Regalarti un bambino...

Liudmila                            - Che orrore!

Anna                                  - Il bambino?

Liudmila                            - Ma no, tu dici degli orrori. (Esce).

Anna                                  - (la segue con lo sguardo. Entra Vassa. Con un largo gesto, fa cenno ad Anna di ritirarsi. Anna esce. Con Vassa è entrata, seguen­dola, Rachele, elegantemente vestita, ma con ri­gida semplicità d'effetto. E' assai bella) Dun­que, siedi, Rachele e raccontami come sei arri­vata. Di dove vieni?

Rachele                              - Dall'estero.

Vassa                                 - Ma già, si capisce. T'hanno dato il visto ?

Rachele                              - No, sono venuta come facente parte di un'orchestra.

Vassa                                 - Cioè con un falso passaporto. Come sei coraggiosa! Ma brava! Sei diventata anche più bella. Con la tua bellezza è più facile... Va bene. Come sta Federo? Dimmi la verità.

Rachele                              - Nascondere la verità, non è nella mia intenzione, mamma. Fedia sta spegnendosi; non c'è più speranza. I dottori dicono che gli rimangono da vivere due o tre mesi.

Vassa                                 - Si consuma proprio?

Rachele                              - E' diventato quasi trasparente. Capisce che è condannato. Con tutto ciò è an­cora gaio, ha del brio. E il mio Kolia come sta?

Vassa                                 - Fedia, il mio erede, quello che avrebbe dovuto mettersi alla testa dell'azienda!

Rachele                              - Dov'è Kolia? Dorme?

Vassa                                 - Ah, Kolia... Non so. Dormirà.

Rachele                              - Non posso vederlo?

Vassa                                 - E' impossibile.

Rachele                              - Perché?

Vassa                                 - Ma non è qui.

Rachele                              - Come non è qui? che vuol dire?

Vassa                                 - Nulla di cattivo. Kolia è in campa­gna, fra i pini. Sta benissimo. In città l'aria non gli confaceva; è un po' linfatico. Non è troppo robusto.

Rachele                              - Sta lontano da qui?

Vassa                                 - Una sessantina di verste.

Rachele                              - In che modo ci posso andare?

Vassa                                 - Ma tu non ci devi andare. Ascolta, Rachele. Parliamoci chiaro, diciamoci tutto chiaramente una volta per sempre.

Rachele                              - Mi nascondi qualche cosa? E' morto?

Vassa                                 - Allora non ci sarebbe nulla da dire. Con una parola sarebbe tutto detto. No, è vi­vo, sano, un bel bambino, intelligente. Tu perché lo vuoi?

Rachele                              - Ho deciso di portarlo con me all'estero. Ho una sorella che è sposata con un professore di chimica. E poiché non hanno figli, farebbe loro piacere di averlo.

Vassa                                 - Così avevo pensato anch'io. Sicura­mente Rachele riprenderà' suo figlio per por­tarlo nel suo ambiente... Ma io non ti dò Kolia. Non lo avrai!

Rachele                              - Ma come? Sono la madre!

Vassa                                 - Ed io sua nonna! Sono il caposti­pite. Comando io. I tuoi figli sono i miei. Lo capisci?

Rachele                              - Permetti... Non posso pensare che tu parli seriamente. Sei intelligente; non puoi pensare in questo modo.

Vassa                                 - Per non dire parole superflue è me­glio che tu stia zitta ed obbedisca. Kolia non lo avrai.

Rachele                              - Ma questo non può essere!

Vassa                                 - Non lo avrai. Che cosa puoi fare per opporli alla mia volontà? Nulla. Di fronte alla legge tu non esisti. La legge ti conosce come rivoluzionaria, come profuga. Se ti denuncio ti mettono in prigione.

Rachele                              - E' possibile che tu voglia appro­fittare della mia posizione? Non ci posso cre­dere! Tu non farai questo. Tu mi renderai mio figlio.

Vassa                                 - Dici delle sciocchezze. Sono parole inutili. Io farò come ho deciso di fare.

Rachele                              - No!

Vassa                                 - Non gridare! Sta calma. Kolia non Io avrai. La sua sorte è stabilita diversamente.

Rachele                              - Ma cosa sei, una belva?

Vassa                                 - Ti ripeto: non gridare! Mio nipote sarà l'erede della nostra ditta; l'unico erede del­la nostra importante azienda. Natalia e Liudmila riceveranno una piccola parte dell'eredità, una diecina di mila rubli per ognuna. Tutto il resto sarà per lui.

Rachele                              - Sbagli, se credi di potermi com­prare o consolare con questo.

Vassa                                 - Perché dovrei comprarti? Perché dovrei consolarti? Tu sai, Rachele, che io non non ti ho mai ritenuta una nemica, anche quan­do mi sono accorta che tu allontanavi mio figlio da me. A che cosa mi sarebbe servito un malato? Io non sono stata tenera per lui e capii che tu lo amavi. Allora ti dissi: amalo, fai bene! Un po' di gioia è necessaria ad un malato. Ti fui per­fino riconoscente per lui.

Rachele                              - (scattando) Tutto questo è men­zogna, mi fai orrore. E' crudeltà!

Vassa                                 - Non mi credi? mi offendi? E va bene. Offendimi. Vuol dire che non capisci. Ri­fletti: che cosa puoi dare tu a tuo figlio? Io ti conosco, tu sei ostinata. Non rinunzi ai tuoi so­gni fantastici. Hai bisogno di suscitare nuove fiamme rivoluzionarie. Io debbo rinforzare i le­gami di famiglia. Tu sarai cacciata in prigione, in esilio. E tuo figlio dovrà vivere fra estranei, in terra straniera, come un orfano. Mettiamoci d'accordo, Rachele, giacché io non ti ridarò tuo figlio. Ti conviene non fare tragedie.

Rachele                              - (tranquilla) Sì. Ho capito, tu puoi anche consegnarmi alla polizia.

Vassa                                 - Posso fare anche questo! Posso fare qualunque cosa.

Rachele                              - Come poter toccare la tua fe­roce ragione, il tuo cuore bestiale?

Vassa                                 - Di nuovo parli di bestie, ma io ti dico che gli uomini sono peggiori! Peg-gio-ri! Io lo so! Ci sono uomini contro i quali si vorrebbe sfogare la propria rabbia, distruggere le loro case, bruciare tutto, spogliarli d'ogni cosa, lasciarli morire di fame e di freddo... Ecco!

Rachele                              - E' strano. C'è in te, nel tuo odio feroce, qualche cosa di incomprensibile, ma allo...

Vassa                                 - Tu, Rachele, sei intelligente. L'ho pensato sempre, ed avrei voluto che tu fossi mia figlia. Mi pare che ti ho già detto questo. Io, vedi, dico sempre quello che penso.

Rachele                              - (guardando l'orologio) Posso per­nottare da voi?

Vassa                                 - Come? Ma certo! Le ragazze sa­ranno felici di vederti. Molto felici, perché ti amano. Ma Kolia non lo avrai. Ricordalo bene.

Rachele                              - Lo vedremo.

Vassa                                 - Vorresti tentare di rapirlo? Scioc­chezze...

Rachele                              - No. Basta. Non parliamone più. Sono stanca, ho i nervi tesi. Evidentemente mi hai stordita. Sei una strana donna! Ascoltandoti, si comprende che vi sono al mondo dei crimi­nali nati.

Vassa                                 - Sarà così. Non si può immaginare nulla di peggio: tutto è già stato immaginato.

Rachele                              - Ma poca vita rimane per tutti della vostra classe: i padroni. Sta sorgendo una nuova forza, minacciosa, che cresce sempre più, che ingigantisce rapidamente, e vi schiaccerà.

Vassa                                 - Eh, che cosa terribile! Vedi, Ra­chele, se io credessi a questo, ti direi: ecco, prendi tutte le mie ricchezze, e con esse anche la mia astuzia...

Rachele                              - Menti!

Vassa                                 - Certo. Non ti credo, non posso cre­dere alle tue profezie. Tu sogni e ciò che dici non avverrà. Ascolta: quando mio marito perse in una notte, a carte, tutti i vaporetti, i pontili, la casa, l'azienda, io mi rallegrai! Non mi credere, se vuoi, ma mi rallegrai. Avendo puntato su una carta il suo ultimo anello, mio marito riprese tutto quello che aveva perduto, e qualcosa di più, per giunta. Ma poi sai, incominciò a con­durre una vita dissoluta, così che da quindici anni son io che trascino il carro, che dirigo tutta la nostra grande azienda per amore dei figli. E quali forze vi ho prodigato! Ma i figli... Tutte le mie speranze sono invece riposte su « tuo » figlio; mio nipote giustifica ai miei occhi tutti i miei sforzi...

Rachele                              - Considera quanto mi sia grade­vole udire che mio figlio è destinato a giusti­ficare i tuoi oscuri armeggi, le tue sordide speculazioni...

Vassa                                 - Ti dispiace? Non è nulla! Anche per me non era piacevole ascoltare le tue rimo­stranze. Su, ora prendiamo il tè. Davanti alle ragazze comportiamoci da persone educate. Va bene?

Rachele                              - D'accordo. Non è necessario dir loro che io sono qui illegalmente, e non importa sappiano della nostra discussione. Tanto non po­trebbero decidervi nulla.

Vassa                                 - S'intende, non è necessario. (Entra Pòlia col samovar) Chiama le ragazze. Di' loro che non occorre venga anche l'ufficiale, ma parla piano perché egli non senta. Posa il samovar. Va'. (Pòlia esce) Ecco quale doveva essere il nostro incontro, Rachele!

Rachele                              - Incontro spiacevole!

Vassa                                 - Che fare? Piacevolmente vivono solo i bambini, e neppure a lungo.

Liudmila                            - (entra correndo; dietro di lei viene Natalia) Oh, guarda chi c'è? Come mai? Ra­chele... Rachele!

Natalia                               - Non hai telegrafato, perché?

Vassa                                 - Natka ha la mania di interrogare: tu le dici « buongiorno » e lei ti domanda « per­che? ».

Rachele                              - Tu, Liuda, non sei cambiata; sei sempre così carina, mi sembra, perfino, che tu non sia cresciuta durante questi due anni.

Liudmila                            - Naturalmente, no! Ed ecco, Na­ta...

Natalia                               - Sono invecchiata.

Rachele                              - Delle ragazze si dice che sono da marito; si ha appunto quest'impressione.

Natalia                               - Si dice che son matura.

Rachele                              - Questa è un'altra cosa. (Le ra­gazze manifestano la loro gioia per l'incontro. Rachele parla stanca, non distogliendo quasi lo sguardo da Vassa. Le ragazze la fanno sedere sul divano con loro. Vassa è seduta alla tavola e prepara il tè).

Liudmila                            - Siedi, racconta.

Natalia                               - Come sta Fedoro? Guarisce?

Rachele                              - No, Fedoro sta male.

Natalia                               - Ma perché allora lo hai lasciato?

Rachele                              - Son venuta per Kolia.

Vassa                                 - Vorrebbe condurlo all'estero; una pazzia!

Liudmila                            - Rascia, mia cara, se vedessi co­m'è diventato bello, Kolia! Forte, intelligente... Vive in piena foresta, a Xamùtof, un villaggio incantevole. C'è una magnica foresta di pini.

Natalia                               - Allora non sta’ più a Bogodùcof?

Liudmila                            - Anche Bogodùf è un posto in­cantevole, lì ci son boschi di tigli, pascoli...

Rachele                              - Sembra che non sappiate nean­che dove si trovi...

Vassa                                 - Venite a tavola.

Rachele                              - (a Liudmila) Raccontami, come vivi...

Liudmila                            - Io? meravigliosamente bene. Vedi, ora è venuta la primavera, e noi, con la mamma, abbiamo cominciato a lavorare in giar­dino. La mamma mi chiama la mattina presto: alzati! Si prende il tè, e via in giardino. Ah, Ra­scia, se vedessi com'è diventato il giardino! (En­tra Anna, saluta in silenzio Rachele e dice qualcosa a Vassa. Questa esce subito con Anna. Liud­mila continua) ... entriamo in giardino che è ancora tutto stillante di rugiada, tutto risplen­dente nel sole... Come un broccato... E' così bello che perfino il cuore spasima... Nessuno in città ha i fiori che abbiamo noi... Io ho i libri di giardinaggio in tedesco e imparo la lingua... Lavoriamo in silenzio, come religiose. Non di­ciamo nulla, ma sappiamo quali sono i nostri pensieri... Oppure canto qualcosa; se smetto di cantare, la mamma grida: Canta! E scorgo in qualche parte, lontano, il suo viso buono, af­fabile...

Rachele                              - Vuol dire che siete felici... E' così ?

Liudmila                            - Oh, sì! Mi sento straordinaria­mente felice!

Rachele                              - E tu, Nata?

Natalia                               - Io? Anch'io sono felice. (Entra Pròcor con la chitarra. £" alquanto brillo e canta un ritornello).

Rachele                              - Voi, Pròcor? Sempre lo stesso!

Pròcor                                - Né meglio, né peggio. Sempre della stessa idea.

Rachele                              - Vi divertite...

Pròcor                                - Appunto. E' il mio mestiere, essere allegro. L'allegria franca è innata, è la mia stessa natura. Il capitano è morto, così ch'io debba ora, ad onore della famiglia e dell'impresa, spas­sarmela per due.

Rachele                              - Era ammalato da molto tempo?

Pròcor                                - Era giunta la sua ora. (Liudmila ride).

Rachele                              - Forse ho sbagliato a domandare se era ammalato?

Pròcor                                - No. Il capitano stava benissimo, ma improvvisamente: paff! (Canticchiando:) «Ai santi riposi-i-i... ».

Natalia                               - Zio, smettete. E' sconveniente.

Pròcor                                - Come sconveniente? Tu, ragazza, pensa per te. (A Rachele) E tu di dove vieni, sterminatrice della vita? Dalla Svizzera? Fe­doro è vivo?

Rachele                              - E' vivo.

Pròcor                                - Sta male?

Rachele                              - Sì, sta male.

Pròcor                                - Non è robusta la progenie dei Gelièsnof. Noi, i Cràpof, siamo più vigorosi! peraltro tuo figlio Kolia è un bel ragazzo, un vero bri-gante! E che osservatore! Una volta a pranzo ci siamo leticati io e il capitano. Il giorno dopo lo saluto: «Buongiorno, Kolia!». E lui: «Via, brutto ubriaco! ». (Cambiando tono e discorso) Ebbene, che fate qui? Prendete il tè? La gente per bene si toglie la sete col vino. All'istante ap­parirà una bottiglia: vino di Porto, quale gli spagnoli non si sognano neanche. Ecco, Natalia lo può dire... (Fa per uscire, ma incontra Vassa che rientra).

Vassa                                 - Che cosa ti è successo al club?

Pkòcor                               - Al club? E tu come lo sai?

Vassa                                 - L'ho saputo per telefono.

Pkòcor                               - E' semplicissimo. C'è stata baruffa per motivi politici.

Vassa                                 - Di nuovo il giornale parlerà di te?

Pkòcor                               - Perché di me? Io non ho tirato che un pugno...

Vassa                                 - Ascolta, Pròcor...

Pkòcor                               - Aspetta, torno subito... (Esce can­ticchiando).

Liudmila                            - Com'è buffo, non è vero? Beve sempre di più e ha insegnato a bere a Natascia...

Natalia                               - Avevo già imparato.

Rachele                              - Dici sul serio, Nata?

Natalia                               - Sì, mi piace molto il vino. Mi piace ubriacarmi.

Vassa                                 - Aggiungi: e non c'è nessuno che mi batte!

Natalia                               - E non c'è nessuno che mi batte.

Vassa                                 - Natalia, non fare la smorfiosa.

Natalia                               - Ho detto quanto mi avete ordi­nato.

Vassa                                 - Per tua fortuna mi manca il tempo di cacciarti il diavolo dal corpo!

Liudmila                            - Nata è divenuta molto imperti­nente con mammà, lo vedi, Rascia? Secondo me, questo è male.

Vassa                                 - (irritata) Ecco come viviamo, Ra­chele!

Rachele                              - Male vivete; ma non meritate di viver meglio. Questa vita stupida ve la siete gua­dagnata interamente.

Vassa                                 - Dici per me? Non è vero!

Rachele                              - Non solo per voi personalmente, ma per la vostra casta, la vostra classe.

Vassa                                 - Ecco, si ricomincia!

Rachele                              - Anche all'estero si vive male. E forse anche peggio, perché si è più pacifici e non ci si tormenta tanto l'un l'altro, come fate voi.

Natalia                               - Dici davvero? Oppure per conso­larci?

Rachele                              - Dico sul serio, Natascia. Io non sono di quelle che consolano. Il mondo sta ca­dendo in rovina, benché all'estero si sia più or­ganizzati che da noi. Si dissolve tutto, a comin­ciare dalla famiglia. E la famiglia, laggiù era una gabbia di ferro, mentre da noi è sempre stata una gabbia di legno...

Vassa                                 - Rachele!

Rachele                              - Che?

Vassa                                 - Vieni a stare con noi. Fedoro mori­rà; l'hai detto tu stessa. Hai abbastanza vaga­bondato, sfidando il pericolo, nascondendoti! Vieni a stare con noi. Potrai educare tuo figlio. Qui ci sono le mie ragazze che ti vogliono bene. E tu ami tuo figlio.

 Rachele                             - C'è qualcosa di più grande, di più alto dei nostri affetti e legami familiari.

Vassa                                 - Lo so. Ma ci sono anche gli affari. Ed ecco ciò che ne risulta: badi al guadagno e sai come impiegare il denaro.

Rachele                              - Può essere che qualche volta gli affari ed il denaro vi diano un senso di euforia, ma capire ciò che v'è in essi di assurdo e di inu­mano, non potete. No. Io vi conosco. Siete sem­pre schiavi. Intelligenti, forti, ma schiavi.

Vassa                                 - Molto profondo, ma forse non altret­tanto vero! Io ti dico ciò che vorrei, e posso parlare davanti alle ragazze liberamente. Vorrei che si pregasse non davanti alle icone, ma per noi stessi. Vorrei poter assolvere la mia anima dannata.

Rachele                              - Questo è del Dostoievski. Non vi si addice.

Natalia                               - La mamma non conosce Dosto­ievski: non legge libri.

Vassa                                 - Di che Dostoievski parlate? E' che mi sento offesa, ingiustamente offesa... Ecco, le ragazze lo sanno: proprio oggi raccontavo loro come io... (Entra Pròcor portando sulle braccia due bottiglie di vino).

Pròcor                                - Eccomi qua. Fate bene attenzione. Vassa, permetti che t'inviti. Non ti dispiacerà. Una cosa rara.

Vassa                                 - Sì, beviamo! Su, ragazze, sedete a tavola... Festeggiamo Rachele! Avanti, Pròcor. (Ripensando alla telefonata ed al club) Chi hai accoppato?

Pròcor                                - Ma che accoppato! Un pugno in viso ad un inquilino dei Melnìkof, ed a qualche altro... Sciocchezze! Guariranno.

Vassa                                 - Lo sai che Melnìkof s'è iscritto nell'« Alleanza del popolo russo»?

Pròcor                                - Che importanza ha? Io sono iscrit­to nell'elenco del telefono e non m'insuperbisco per questo. I bicchieri! (Suona il campanello del telefono).

Vassa                                 - E' per me. (Al telefono) Sì, son io. Quale vaporetto? Perché? Idioti! Chi l'ha cari­cato? Terientef? Bisogna licenziare quell'imbe­cille! Occorre la mia presenza, perché? Li hanno arrestati tutti? Come, c'è la commissione sani­taria? Anche l'ispettore? Vengo subito. (Posa il ricevitore) Aspettatemi. E' successo un putife­rio. Hanno arrestato il personale d'un barcone che trasportava pelli senza il certificato sanita­rio, senza il timbro. Bisogna che vada... (Esce con lo sguardo fisso su Rachele che pure la guarda).

Pròcor                                - Va a dare il boccone alla polizia fluviale. Da noi la polizia fluviale è una banda di briganti, lo stesso che la polizia terrestre. Ma al diavolo queste storie! Riempiamo i bicchieri. Natalosc'ka, questo è anche meglio di quello che piace a te. (Intona, stonando, una canzone):

Mesci, mesci, mio diletto...

Fino all'ultimo goccetto...

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

La stessa camera

(Immediatamente dopo l'uscita di Vassa. Pròcor fuma un sigaro. Liudmila sbocconcella con vivacità dei biscottini che intinge nella marmel­lata che ha nel suo piattino. Natalia è accanto a Rachele e sorseggia il vino. Rachele è sovrapensiero).

Pkòcor                               - Ecco come viviamo, Rachele. Tri­bolati, viviamo. La polizia ci perseguita. (Ride).

Rachele                              - Ma voi non siete il capo dell'am­ministrazione comunale?

Pròcor                                - Avevo sognato di diventarlo, ma poi ho cambiato idea: per che cosa caricarsi di un tale fardello? Meglio vivere libero citta­dino...

Natalia                               - Questo non è vero. Non hai accet­tato per vigliaccheria.

Pròcor                                - E' incredibile come Natalia cerca di offendermi. Come fanno tutti, del resto. Liud­mila poi è una strega... Sì, le somiglia molto. Benché abbia giustamente detto ch'io sono un uomo prudente. Dopo la morte del capitano...

Natalia                               - Dopo la morte del babbo corsero delle voci che egli si era avvelenato... E perfino che l'avevamo avvelenato noi per evitare lo scan­dalo di non so quale processo.

Liudmila                            - Che sciocchezze!

Pròcor                                - (turbato) Appunto, sciocchezze! Quel processo fu estinto in istruttoria.

Rachele                              - Dunque, esisteva effettivamente un'istruttoria ed un processo?!

Natalia                               - Sì. Ma fu estinto per insufficienza di prove. Tuttavia lo zio ebbe paura di quelle voci, e pensò che non lo avrebbero più eletto.

Pròcor                                - Basta, Natka!

Natalia                               - Ma bisognava protestare contro quelle voci, contro la gente...

Pròcor                                - Lei è sempre così: contro qualcosa o qualcuno!

Rachele                              - (lisciando una mano di Natalia) Così bisogna essere!

Natalia                               - Se la colpabilità non è stata pro­vata, questo non vuol ancora dire che l'accusato non sia colpevole, è vero, Rachele?

Rachele                              - Sì, certo.

Liudmila                            - E' dunque così che bisogna vi­vere? Contro tutti? E' forse impossibile vivere...

Natalia                               - Stupidamente, come Liudmila.

Liudmila                            - Mi offendi inutilmente. Ma io non me la prendo.

Natalia                               - Liudmila ama i biscotti e la mar­mellata.

Liudmila                            - E tu m'invidi per questo. Tu sei irritata perché non hai appetito. Se mangiassi di più faresti miglior sangue e saresti meno acida.

Pròcor                                - (canta) Benché il dolore mi dilani il petto, io non m'adiro contro il fato...

Natalia                               - Oltre che i biscotti e ogni genere di dolciumi, Liudmila adora qualcosa di mili­tare con le penne come portano gli indiani.

Liudmila                            - Questo non è affatto vero.

Pròcor                                - E va bene! Al diavolo tutte queste cose: la famiglia, il passato e tutto il resto. Fac­ciamo baldoria finché non torna la massaia. A te, Rachele, farò vedere un ballerino coi fiocchi! Su, Liuda, chiama Piatiòrkin.

Liudmila                            - Benissimo, benissimo!

Pròcor                                - (con la chitarra s'avvicina a Rachele) Quando andrai a vedere tuo figlio?

Rachele                              - E' lontano?

Pròcor                                - Ventitré verste, al massimo venti­cinque. E' un omino che consola, un po' gracile, ma bello!

Rachele                              - La nonna non me lo vuole ridare.

Pròcor                                - Per questo, ha ragione! Nella tua vita nomade, non saprai cosa fare del figlio.

Rachele                              - E tu che ne pensi, Nata?

Natalia                               - Esigi che ti sia restituito. Se non te lo rende, portaglielo via!

Pròcor                                - Oh, oh!

Natalia                               - Lo porti via, lontano, lo nascondi. Tu vedi come siamo noi tutti qui! Lo vedi dun­que?...

Rachele                              - Portarlo via... Nasconderlo. Non posso far questo.

Natalia                               - Perché?

Rachele                              - Ho un'altra missione io; più im­portante di mio figlio stesso.

Natalia                               - Più importante di tuo figlio? Ma perché allora l'hai messo al mondo, perché?

Rachele                              - Questo è stato il mio errore.

Natalia                               - Ma di quale missione parli? La stessa della quale mi parlasti due anni fa? Ti comprendo, ma...

Rachele                              - Ma non credi ch'io sia sincera...

Natalia                               - Non posso crederlo.

Rachele                              - Sei tu che non puoi compren­dere. Ma per me non c'è vita al di fuori di questa missione. Se non si può fare diversamen­te, ch'io perda Kolia, che non lo veda più.

Pròcor                                - Aspetta! Si potrebbe rapirlo! Ma­gnifico, Rascia! Eh, sorella, per te sarà una spina nel cuore! Agisci, Rachele. Io e Natka t'aiute­remo, parola d'onore. Ci serviremo di Piatiòr­kin; egli può far qualunque cosa!

Rachele                              - Smettetela. Sono pazzie.

Pròcor                                - Piatiòrkin rapirebbe non un ragaz­zo, ma anche un arcivescovo!

Rachele                              - Giocare così con mio figlio... (Entra Piatiòrkin: porta un fitto ciuffo di capelli ispidi e baffi accuratamente pettinati).

Pròcor                                - Ecco Piatiòrkin, prode guerriero! Ha servito nell'ambulanza! (Prende dalle mani di Piatiòrkin la chitarra e l'accorda. Liudmila ha preso un cembalo, che dà alla sorella, e una balalaika).

Pròcor                                - Ragazze, mi raccomando: con dolce melanconia; specialmente il cembalo! Come un mormorio!

Liudmila                            - Lo sappiamo.

Pròcor                                - Incominciamo. (Prende a cantare, stonando, come sempre. Liudmila e Piatiòrkin ripetono. Piatiòrkin balla « Barinia », famosa danza popolare, molto caratteristica. Liudmila canta con brio, Pròcor in estasi. Natalia batte meccanicamente sul cembalo guardando Rache­le, che siede immobile come in sogno. Dopo un poco, improvvisamente)

Natalia                               - Basta!

Pròcor                                - Perché?

Natalia                               - Ne ho abbastanza!

Liudmila                            - Che capricciosa! (Rachele si alza, si scosta, va verso una finestra, dove la segue Natalia).

Natalia                               - Che hai?

Rachele                              - E' atroce.

Natalia                               - Ucciderei piuttosto mio figlio, che lasciarlo qui.

Rachele                              - (abbracciandola alle spalle) Io non posso portarlo all'estero senza l'aiuto di tua madre.

Natalia                               - Lo zio t'aiuterà. Non gli par vero di dar noia in qualche modo alla mamma. Lo si rapisce, si nasconde. Poi ci sistemeremo.

Rachele                              - Dove andrò? Non so dove vivrò. Se mi riesce di ritornare in Svizzera, potrò trat­tenermi laggiù qualche settimana. Ma debbo vi­vere in Russia; non ho la possibilità di occu­parmi di Kolia. In Svizzera, a Losanna, da mia sorella, sarebbe bello...

Pròcor                                - (arrestando Piatiòrkin, grida) Non v'è piaciuto?

Rachele                              - No.

Pròcor                                - Non sentite l'arte!

Rachele                              - Cantate in modo insopportabile...

Pròcor                                - Mi scuso. Per bere e giocare a carte sono quasi imbattibile, ma per il canto non ho doni di natura. L'anima è sensibile, ma la gola è secca, raschia... Piatiòrkin, vattene. Non hai talento; non siamo piaciuti! Rachele, vieni con me, ti farò vedere la mia collezione di serrature. (Piatiòrkin, tranquillamente, esce).

Rachele                              - L'ho già vista.

Pròcor                                - Quando? Vieni a vederla ora! Ci sono trentasette chiavistelli, quattro catenacci da fortezza, quarantadue serrature da forzieri con suoneria. Non avrai mai veduto nulla di simile. E poi andiamo: debbo dirti qualche cosa di importante. (La prende per mano e la conduce fuori. Rachele lo segue svogliatamente).

Natalia                               - (guardando la sorella) Che pensi di fare?

Liudmila                            - Nulla, ho sonno.

Natalia                               -Va a dormire.

Liudmila                            -Mi annoio. Ho voglia di piangere.

Natalia                               -Va, coricati, piangi un poco e ti addormenti.

Liudmila                            - Così mi succede sempre. Ma aspetto che torni la mamma; sto in pensiero quando non è in casa...

Natalia                               - Perché stare in pensiero? Non è una bambina...

Liudmila                            - Tu, Natalia, come somigli alla mamma!

Natalia                               - E' per questo che non ci vogliamo bene.

Liudmila                            - Lei però ti ama.

Natalia                               - Le piace di tormentarmi.

Liudmila                            - Sei tu che tormenti lei.

Natalia                               - Sì, anch'io la tormento.

Liudmila                            - Come sei sciocca! Anche lo zio è fuori senno: propone di rapire Kolia.

Natalia                               - Tu non lo dire alla mamma.

Liudmila                            - Certo che glielo dirò.

Natalia                               - Perché?

Liudmila                            - No, non voglio turbare la pace; non glielo dirò.

Natalia                               - (sospirando) Tu sei una benedizio­ne fra noi... Non somigli a nessuno.

Vassa                                 - (entrando) Che cosa c'è? Litigate?

Liudmila                            - No, parliamo, semplicemente.

Vassa                                 - Sembrate in collera. Pròcor ha fu­mato il sigaro. Quante volte l'ho pregato di non fumare sigari, qui, da me. Mi pare che Natalia abbia bevuto.

Natalia                               - Mi tengo sempre sulle gambe.

Vassa                                 - (versando del vino di Porto) Il tè è freddo? Riempimi una tazza.

Natalia                               - (versa il tè).

Vassa                                 - Ho dovuto pagare seicento rubli! Come buttati dalla finestra. Ovunque sollecita­tori. Tutte anime vendute. Che cosa avete fatto?

Natalia                               - Abbiamo preso il tè.

Liudmila                            - Piatiòrkin ha ballato. Lo zio ha consigliato Rachele di rapire Kolia.

Vassa                                 - Che buffone! E lei?

Liudmila                            - Non era d'accordo; sembrava in­fastidita. E' diventata più cupa di quanto già lo era. Non è una persona piacevole. Tutte le persone troppo intelligenti, non sono piacevoli.

Vassa                                 - Ed io, secondo te, sono una stupida?

Liudmila                            - Né una cosa né l'altra. Tu sei semplicemente un essere umano.

Vassa                                 - Ma questo cosa significa? Forse peggio che stupida? Beh! Vada per «un essere umano ». Prendi il samovar e facci aggiungere un po' di carbone. (Liudmila esce col samovar. Rivolta a Natalia, decisa) Natalia, vuoi andare all'estero?

Natalia                               - Sì, volentieri, lo sapete.

Vassa                                 - Ci potresti andare con Anna.

Natalia                               - Con Anna, no.

Vassa                                 - Perché?

Natalia                               - Mi annoia qui; figurati fuori.

Vassa                                 - Sola non ti lascio andare. Eh, ra­gazza...

Natalia                               - Ebbene?

Vassa                                 - Non ho il tempo di parlare con te.

Natalia                               - Ma per Kolia il tempo c'è.

Vassa                                 - Kolia è piccino, ha bisogno di me.

Natalia                               - Non più di quanto ne ho biso­gno io.

Vassa                                 - Parti con Anna. Potrai veder Fedoro.

Natalia                               - Questo non mi seduce affatto.

Vassa                                 - (grida) Taci, diavolessa!

Natalia                               - Sta bene. Non parlo più.

Rachele                              - (entrando) Che cosa avete?

Vassa                                 - Nulla, ho gridato senza volere. Sono un po' agitata... Dunque, Rachele, Pròcor ti ha proposto di rapire Kolia?

Rachele                              - Era ubriaco.

Vassa                                 - Può anche farlo in stato normale. Voi, ragazze, dovreste andare a dormire. E' tardi.

Liudmila                            - (che è entrata da qualche istante) Ma non si cena?

Vassa                                 - L'avevo dimenticato. Ho sete. Sete di tè ben caldo. Allora andate, ed apparecchiate la tavola. (Le ragazze escono) Ebbene, Rachele, che hai deciso?

Rachele                              - Sentite, mamma, rendetemi mio figlio, ed io lo manderò all'estero.

Vassa                                 - Vuoi di nuovo litigare? Non hai capito che non riavrai tuo figlio?

Rachele                              - Non riesco assolutamente ad im­maginare ciò che farete di lui. Come lo edu­cherete?

Vassa                                 - Sta tranquilla. Lo sapremo. Noi siamo gente stabile. Abbiamo dei mezzi. Trove­remo i migliori maestri, professori... Gli inse­gneremo quello che deve sapere.

Rachele                              - Ma non quello che deve sapere un uomo degno di questo nome. Come vivrà Kolia in questa casa, fra balalaike e chitarre, con tuo fratello semi alcoolizzato e le due ra­gazze, una quasi deficiente, e l'altra inacidita? Io conosco abbastanza la vostra classe tanto qui che all'estero: è una classe disperatamente malata! Voi vivete automaticamente, prigionieri della famiglia, sottomessi alla forza delle cose che non avete create. Vivete disprezzandovi e odian­dovi l'uno con l'altro, senza mai porvi la doman­da: perché vivete? A chi siete necessari? Per­fino i migliori ed i più intelligenti, vivono do­minati soltanto dall'avversione per la morte e dal terrore che essi provano davanti a lei.

 Vassa                                - Hai finito? Va a riposarti; dammi ascolto. Quello che non capisco in te è questo: come avviene che il tuo cervellino può essere così ardito e cieco e zoppo nello stesso tempo, quando ti metti a parlare della vita! La classe, la classe! Ma, mia cara, riguardo alla classe, Krotki, il gerente della mia impresa, capisce le cose molto meglio di te: la rivoluzione è legit­tima quando giova alla classe più arretrata. Ma tu di quale rivoluzione mai parli? E di quali ideali sovraterrestri? Per Krotki la cosa è chia­ra: i socialisti debbono unire le forze del lavoro nell'interesse dell'industria e del commercio. Ecco ciò che propone, e la sua proposta non è stupida, anche se poi è una bestia negli affari.

Rachele                              - Si chiama Krotki? Per fare ono­re al suo nome sarà un mite che predica la elevazione di un proletariato pacifico. S'incon­trano spesso di tali tipi. Fedeli servitori, come sono per voi, permettete loro di innalzarsi ab­bastanza in alto.

Vassa                                 - Prova a comprendere me, e lascia andare le classi. Io son sana, e l'azienda è tutta nelle mie mani. Nessuno può impedirmi di agire secondo la mia esperienza, nessuno può incu­termi timore. In vita mia non mi mancherà nulla, e potrò accumulare un gran capitale per mio nipote. Ecco tutto quello che penso e che volevo dirti. Kolia resta con me. Finiamola: è ora di andare a cena. Sono stanca.

Rachele                              - Io non cenerò. E' un pane amaro, il vostro! Dove posso riposare?

Vassa                                 - Va da Natalia, te l'indicherà. (Ra­chele esce. Vassa s'alza a fatica dalla sedia, ma risiede e chiama) Anna!... (Nessuno risponde) Il mio pane è amaro! Chi s'azzarda a parlare così? Eh... strega! (Suona il campanello).

Polia                                   - (entrando) La signora ha suonato?

Vassa                                 - Dov'è Anna?

Polia                                   - Dalle signorine.

Vassa                                 - Chiamala. (Pólia esce. Vassa siede, tende l’orecchio, si palpa il collo, e tossicchiando dice ad Anna che si è presentata) Che cosa è successo, qui, durante la mia assenza?

Anna                                  - Vostro fratello ha proposto di rapire Kolia.

Vassa                                 - E' proprio lui che l'ha proposto?

Anna                                  - Sì. Ed ha aggiunto: sarebbe una spina nel cuore di mia sorella.

Vassa                                 - E Natalia che diceva?

Anna                                  - E' stata lei a proporre di rapirlo...

Vassa                                 - Confondi. Non può essere vero.

Anna                                  - Non confondo: è così; quando vo­stra nuora disse che Kolia sarebbe rimasto pres­so di voi, vostro fratello esclamò: «Giusto». Allora Natascia propose di rapirlo, e lui pure...

Vassa                                 - Solo per farmi del male. Magari solo azzannare, ma vuol mordere.

Anna                                  - « Ci serviremo - disse - di Piatiòrkin. E' capace di rapire non solo un ragazzo, ma anche un arcivescovo ».

Vassa                                 - Una bestia malefica, quel Piatiòrkin...

Anna                                  - Un ignobile schiavo! Né onore né co-scienza. E così indolente...

Vassa                                 - Lo dirozzeremo.

Anna                                  - State poco bene?

Vassa                                 - Perché?

Anna                                  - Avete un certo viso.

Vassa                                 - Le mie figlie non hanno notato nulla. Bene. Andresti all'estero, Anna?

Anna                                  - (sorpresa) Io?

Vassa                                 - Tu. Con Natalia. O forse anche sola.

Anna                                  - O Dio, come sarei contenta! Non ho neanche parole per ringraziarvi!

Vassa                                 - Non bisogna; te lo sei meritato. Tu mi dirai sempre la verità?

Anna                                  - Sempre.

Vassa                                 - Ecco: tu recapiterai una lettera a Fedoro. La lettera non la mostrerai a Natalia. Mi scriverai immediatamente come sta Fedoro, inter­rogando il medico. Tu capisci il tedesco?

Anna                                  - Sì.

Vassa                                 - Se Fedoro sta male... Ma di questo parleremo dopo, parleremo di tutto. Ma ora una altra cosa: va' alla direzione di polizia e chiedi del colonnello Popòf. Bisogna trovarlo in tutti i modi. Che lo facciano venire. Dirai che è cosa urgente ed importante.

Anna                                  - Signora...

Vassa                                 - Sta attenta: gli dirai che è arrivata dall'estero Rachele Tòpas, emigrata. Egli sa chi è. Fu lui che l'arrestò. E se la devono arrestare di nuovo, digli che l'arrestino per la strada; non in casa mia. Hai capito?

Anna                                  - Sì, però...

Vassa                                 - Fa come ti dico! Se vengono a pren­derla in casa, allora è chiaro che siamo stati noi, tu od io, a consegnarla. Ed io non voglio che cor­rano di nuovo stupide dicerie per la città. Dun­que hai capito?

Anna                                  - Io non posso...

Vassa                                 - (maravigliandosi) Non puoi? Perché?

Anna                                  - Non posso decidermi a...

Vassa                                 - Ti dispiace? E per Kolia non ti dispiace? Per lei è lo stesso: sarà arrestata certamente, e che lo sia oggi o domani è lo stesso. Dunque perché ti rifiuti di fare come ti dico? E' strano! Quasi non riesco a crederlo!

Anna                                  - Ma no, credetemi, per l'amor di Dio! Per voi darei la vita! Perché dovrei aver compassione di questa ebrea? D'altronde, lo sapete che mi ha sempre detestato!

Vassa                                 - (sospettosa) Ma che cosa brontoli? Non capisco!

Anna                                  - Ho paura di andare di notte alla direzione di polizia.

Vassa                                 - Che stupidaggini... Cosa credi, che ti mangino? (Guarda Vorologio) Però, senza dubbio, è tardi. Popòf sarà in qualche posto a giocare a carte. Va bene. Ci andrai domat­tina presto: alle sette. Fa in modo che lo sve­glino.

Anna                                  - Così va bene, grazie... (Le bacia la mano).

Vassa                                 - (asciugandosi la mano alla sottana) Sciocchina, sei tutta sudata, ti gocciola il viso. (Anna s'asciuga la faccia) Rachele vuol farmi paura e seguita a gridare: la classe, la classe! La classe son io! Mi detesta. S'è presa mio fi­glio, ma non riavrà il suo. (Tace e rimane pen­sierosa) Non mi sento troppo bene. Devo essere stanca... Fammi una camomilla. (Anna esce).

Liudmila                            - (entrando) Mamma, a cena!

Vassa                                 - Tu hai fame?

Liudmila                            - Sì, molta!

Vassa                                 - Ed io ti ho preparato qualche cosa di più gradevole! Ma non è da mangiare...

Liudmila                            - Sei sempre cara...

Vassa                                 - Ho deciso di comprare la casa della vecchia Kugusceva; così potremo ingrandire il nostro giardino, eh?

Liudmila                            - Oh, mammina, che bellezza!

Vassa                                 - Proprio così! Si vede che il gio­vane principe ha perduto a carte...

Liudmila                            - Che bellezza!

Vassa                                 - La principessa ha fretta di vendere. Domani le verserò la caparra.

Liudmila                            - Grazie. Sono molto contenta. Andiamo ora, andiamo a cena.

Vassa                                 - Non ho voglia di cenare, non mi sento bene; ho degli strani brividi. Prenderò la camomilla ed andrò a coricarmi. Cenate senza di me.

Liudmila                            - Ma il tè?

Vassa                                 - Sì, fa portare qui il samovar; ho sete. Rachele è di là?

Liudmila                            - Si è chiusa nella camera gialla; anche lei non vuol cenare. Com'è divenuta sgradevole. Si dà delle arie...

Vassa                                 - Dunque, va, Liudka, va... (Rimasta sola si muove per la camera cautamente come se camminasse sul ghiaccio, sostenendosi alle spalliere delle sedie, tossisce, brontola) Gli af­fari... crescono gli affari... (Vuol sedersi, ma non si decide. Sta in piedi volgendo le spalle alla porta. E? evidente che sta producendosi in lei una lotta fisica, che tenta dominare con l’autorità del suo carattere, ma pur senza riu­scirvi. Le parole pronunciate con Rachele non riescono ad uscirle di mente, ad essere dimen­ticate. La dominano, e quasi involontaria­mente, le ripete) Il pane amaro! Il mio pane amaro. (Entra Piatiòrkin, ubriaco. I suoi ca­pelli, irti sulla fronte, sono ancora più arruf­fati. Ha un viso bestiale, alterato dalle liba­zioni. Con crudele impulso, orribile e nauseante, mostra la lingua alla padrona; prende rapido la chitarra e pizzica la corda bassa).

Vassa                                 - (rabbrividendo perché continua a sen­tirsi male, non ha la forza di reagire all'offesa; ma ancora violenta) Che è questo? che vuoi?

PiatiÒkkin                         - Sono venuto a prendere la chi­tarra...

Vassa                                 - Passa via... diavolo!

PiatiÒRKIN                      - Vado... Non sono mica un cane!

Vassa                                 - Peggio di un cane. Bestia malefica, diavolo! (Piatiòrkìn esce di corsa. La crisi acuta raggiunge Vassa, che barcolla comprimendosi il cuore, soffocando, nell'impossibilità di gri­dare. E' tremendo rabbattersi di questo essere, come un pachiderma che non può nulla contro quel millesimo di secondo che ferma la vita e porta sulla soglia dell’eternità. Cade pesante­mente sulla poltrona, abbattuta su un fianco. Qualche attimo di grande silenzio: il silenzio della presenza della morte).

Anna                                  - (entrando con in mano un vassoio su cui è una piccola teiera) Volete che lo porti in camera? (Si ferma aspettando una risposta. Il vassoio trema nelle sue mani e la teiera cozza con la tazza. Posa con precauzione il vassoio sulla tavola, s'inclina e guarda in viso la pa­drona. Istantaneamente si raddrizza e bisbiglia a voce alta) Dio santissimo... Signora Vassa... Cosa avete?... (Rimane in ascolto; a un tratto va allo scrittoio, apre un cassetto, fruga, trova del danaro e se lo nasconde in seno. Apre una cassettina che è sulla tavola e lì pure trova del danaro che nasconde; mette in tasca un mazzo di chiavi e richiude con rumore il coperchio della scatola. Poi esce correndo. Scena vuota. Entra rapidamente Natalia, dietro di lei Pròcor. Successivamente, entrano Polla, Piatiòrkìn e Anna).

Natalia                               - (palpando il viso della madre) Parlate piano. E' finita.

Pròcor                                - (rivolto al cielo) Ehi, tu, capitano! Ora tocca a te: ricevila degnamente, se non hai dimenticato! Ed ora ricominceranno a cor­rere delle stupide voci in città... Diavolo, cane!

Natalia                               - Tacete, zio...

Pròcor                                - Cosa c'è da tacere? Nata, bisogna stare attenti a quell'Anna. Trovare le chiavi. Le chiavi della cassaforte... Sa tutto, l'Anna! Guarda nella tasca della sottana se non ci son le chiavi...

Natalia                               - No, non voglio, andate via.

Pkòcor                               - Ma sì, me ne vado, che m'importa!

Anna                                  - (in lacrime) Natalia, Liudmila è svenuta...

Natalia                               - Telefona al dottore...

Anna                                  - Gli ho telefonato. Dio mio, che faremo?

Pròcor                                - Le chiavi dove sono? Le chiavi della cassaforte?

Natalia                               - Avete avvertito Rachele?

Anna                                  - La devo avvertire?

 Natalia                              - Sei una canaglia... (Esce in fretta).

Anna                                  - (sospirando) Ma perché?

Pròcor                                - Eh, tu... non fare la stupida! Dove sono le chiavi della cassaforte? Dove sono?

Anna                                  - Signor Pròcor, io, non dimenticate che sono al vostro servizio da tredici anni... (Fruga nella tasca di Vassa).

Pròcor                                - Sei pagata per quello che vali...

Anna                                  - Vi ho dato tutta la mia giovinezza. Ecco le chiavi!

Pròcok                               - (va alla cassaforte dicendo a Pia­tiòrkìn) Non Lasciare entrare nessuno.,. Aspetta. Che è questo? (Con gioia) Sì, vedi, io sarò il tutore. Il diavolo ti porti! Eh, chi sono io? (Sghignazza, guardando Anna) Via, via, Anna! E' finita la tua vita di delatrice... Vat­tene al diavolo! Domani stesso. Svergognata, sudicia carogna!

Anna                                  - Signor Pròcor, ve ne pentirete... Non avete ragione...

Pròcor                                - Vattene, vattene! Il tuo l'hai già avuto; hai rubato abbastanza! Via!

Anna                                  - No, ho ancora qualche cosa...

Pkòcor                               - Sì, sì! lo so. Ma a questo riguardo, ti dico... (Entra Rachele seguita da Natalia).

Rachele                              - (a Pròcor, che fruga fra le carte sullo scrittoio) Rubate! Rubate!

Pkòcor                               - Perché? Prendiamo il nostro. (En­tra Pòlia portando fra le braccia Liudmila).

Liudmila                            - (staccandosi da Pòlia si precipita sul sofà dove sarà stata deposta Vassa) Mam­ma! Mamma!

Rachele                              - Il vostro? Il vostro... Che cosa c'è da voi di vostro?...

FINE