Il paradosso dell’attore

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                               IL    PARADOSSO  DELL’ATTORE

                                                                              DI

                                                                 DENIS   DIDEROT

PRIMO INTERLOCUTORE         

Non parliamone più.

   

SECONDO INTERLOCUTORE    

Perché?

                                                                               

IL PRIMO                                     

E’ l’opera di un vostro amico!

                                                                                

 IL SECONDO                               

 Che cosa importa?

                                                                                 

IL PRIMO                                   

Molto. Che senso ha porvi di fronte all’alternativa di disprezzare il suo talento o il mio giudizio, e di sminuire la buona opinione che avete di lui o di me?

                                                                                  

IL SECONDO                                    

Non accadrà; e se anche dovesse accadere, la mia amicizia per entrambi, fondata su qualità più essenziali, non soffrirebbe.

                                                                                  

IL PRIMO

Forse.

                                                                                   

IL SECONDO

Non sono sicuro. Sapete a che somigliate in questo momento? A un autore di mia conoscenza, che supplicava in ginocchio una donna alla quale era affezionato di non assistere alla prima di una sua commedia.

                                                                                   

IL PRIMO

Il vostro autore era modesto e prudente.

                                                                                   

IL SECONDO

Temeva che il tenero sentimento provato per lui non reggesse al giudizio sul suo merito letterario.

                                                                                   

IL PRIMO

Può darsi.

IL SECONDO

Che un fiasco lo svalutasse un po’ agli occhi dell’amante.

IL PRIMO

Che, meno stimato, venisse amato di meno. E vi sembra ridicolo?

IL SECONDO

Così venne giudicato. Il palco fu affittato ed egli ebbe il più grande successo. Dio sa quanto fu abbracciato, festeggiato, accarezzato.

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IL PRIMO

Lo sarebbe stato molto di più se avessero fischiato la commedia.

IL SECONDO

Non ne dubito.

IL PRIMO

E io persisto nella mia opinione.

IL SECONDO

Persistete, ve lo concedo; ma tenete presente che non sono una donna e che dovete avere la compiacenza di spiegarvi.

IL PRIMO

Assolutamente?

IL SECONDO

Assolutamente.

IL PRIMO

Mi sarebbe più facile tacere che nascondere il mio pensiero.

IL SECONDO

Lo credo.

IL PRIMO

Sarò severo.

IL SECONDO

E’ ciò che il mio amico esigerebbe da voi.

IL PRIMO

Ebbene, poiché devo dirlo, la sua opera, scritta in uno stile tormentato, oscuro, contorto, ampolloso, è piena di luoghi comuni. Alla fine di una simile lettura un grande attore non diventerà migliore e un attorucolo non sarà meno scadente. Spetta alla natura attribuire la qualità a un individuo. L’aspetto, la voce, l’intelligenza, la finezza. Spetta allo studio dei grandi modelli, alla conoscenza del cuore umano, alla frequentazione del mondo, al lavoro assiduo, all’esperienza  e alla pratica del teatro perfezionare i doni di natura. L’attore che imita può arrivare a rendere tutto passabile; nella sua recitazione non vi è nulla da lodare né da criticare.

IL SECONDO

Oppure tutto è da criticare.

IL PRIMO

Come volete. L’attore spontaneo spesso è detestabile, a volte eccellente. In qualunque genere, diffidate della mediocrità costante. Se soltanto viene trattato con un po’ di severità, è facile prevedere i futuri successi di un debuttante. Le urla non soffocano che gli inetti. Come potrebbe la natura senza l’arte formare un grande attore, dal momento che sulla scena nulla accade esattamente come in natura, e che i poemi drammatici sono tutti composti a partire da un certo sistema di regole? Come potrebbe un ruolo essere recitato allo stesso modo da due attori diversi, dal momento che anche nello scrittore più chiaro, più preciso, più energico le parole non sono e non possono essere che segni approssimativi di un pensiero, di

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un sentimento, di un’idea; segni di cui il movimento, il gesto, il tono, il volto, lo sguardo, la situazione specifica completano il valore? Quando avete ascoltato queste parole:

                                                        ….Che fa lì la vostra mano?

                                                Tocco il vostro abito, ha una stoffa morbida

che cosa sapete? Nulla. Ponderate bene ciò che segue, e capirete quanto sia frequente e facile, per due interlocutori che usano le stesse espressioni, aver pensato e detto cose completamente diverse. L’esempio che vi farò è una specie di prodigio; è proprio l’opera del vostro amico. Chiedete a un attore francese che cosa ne pensi, ed egli converrà che è tutto vero. Ponete la stessa domanda a un attore inglese, e edi vi giurerà, by God, che non vi è una sola frase da cambiare, che è il puro vangelo della scena. Eppure non vi è quasi nulla di comune tra il modo di scrivere commedie e tragedie in Inghilterra e il modo in cui si scrivono in Francia, e secondo lo stesso Garrik, colui che sa rendere perfettamente una scena di Shakespeare non conosce neppure un accento della declamazione di Racine: infatti , avvolta dai versi armoniosi di quest’ultimo come da serpenti le cui spire stringono la testa, i piedi, le mani, le gambe e le braccia, la sua azione perderebbe ogni libertà; ne consegue evidentemente, che l’attore francese e l’attore inglese, i quali convengono entrambi sulla verità dei principi del vostro autore, non si capiscono, e che nel linguaggio tecnico del teatro vi è una flessibilità, un’indeterminatezza abbastanza considerevole da permettere che uomini sensati, di opinioni diametralmente opposte, credano di riconoscervi la luce dell’evidenza. Rimanete più che mai fedele alla vostra massima: Non spiegatevi affatto se volete capirvi.

IL SECONDO

Voi pensate che in ogni opera, e soprattutto in questa, vi siano due sensi distinti racchiusi negli stessi segni, uno a Londra e l’altro a Parigi?

IL PRIMO

E che questi segni mostrano così nettamente i due sensi che persino il vostro amico si è ingannato, poiché accostando nomi di attori inglesi a nomi di attori francesi, applicando gli stessi precetti e facendo loro lo stesso rimprovero e gli stessi elogi, ha immaginato senza dubbio che ciò che diceva degli uni era ugualmente giusto per gli altri.

IL SECONDO

Ma, seguendo questo ragionamento, sembra che nessun altro autore abbia detto così tanti e  veri controsensi.

IL PRIMO

Devo confessarlo con rammarico. Le stesse parole, di cui si serve, significano una cosa al crocevia di Bussy e una cosa diversa a Drury Lane; del resto posso avere torto. Ma il punto essenziale su cui il vostro autore e io abbiamo opinioni del tutto opposte, sono le qualità principali di un grande attore. Per me deve avere molta intelligenza e deve essere un osservatore freddo e calmo, di conseguenza esigo che abbia capacità di penetrazione e che sia privo di sensibilità, che possieda l’arte di imitare tutto o, ciò che è lo stesso, un identico atteggiamento di fronte a ogni sorta di caratteri e di ruoli.

IL SECONDO

Privo di sensibilità?

IL PRIMO

Assolutamente. Non ho ancora ordinato bene i miei ragionamenti, dunque permettetemi di esporli così come mi verranno, con lo stesso disordine dell’opera del vostro amico.

Se l’attore fosse sensibile, gli sarebbe onestamente permesso di recitare due volte di seguito uno stesso ruolo con uguale trasporto e con uguale successo? Molto appassionato alla prima rappresentazione, alla

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terza sarebbe esaurito e freddo. Se invece sarà un imitatore attento e un saggio discepolo della natura, la prima volta che si presenta in scena nel ruolo di Augusto, di Cima, di Orosmane, di Agamennone i di Maometto, copiando rigorosamente se stesso o i propri studi e osservando continuamente le nostre reazioni rafforzerà la sua recitazione, anziché indebolirla, con le nuove riflessioni che avrà raccolto; si inasprirà oppure si addolcirà, e voi ne sarete sempre più soddisfatto. Se è se stesso quando recita, come potrà cogliere il punto preciso in cui porsi e fermarsi?

Ciò che mi conferma nella mia opinione è l’incostanza degli attori che recitano d’istinto. Non aspettatevi da parte loro alcuna coerenza: la loro recitazione è alternativamente forte e debole, calorosa e fredda, piatta e sublime. Domani falliranno nel luogo in cui oggi hanno eccelso, e viceversa eccelleranno là dove hanno fallito il giorno prima. Invece l’attore che recita con riflessione, studio della natura umana, imitazione costante di qualche modello ideale, immaginazione e memoria sarà coerente, sempre identico in ogni rappresentazione, sempre ugualmente perfetto. Nella sua testa tutto è stato misurato, combinato, appreso, ordinato; nella sua declamazione  non vi è monotonia né dissonanza. Il calore ha progressione, slanci, attenuazioni, un inizio, una fase di mezzo e un apice. Gli accenti, le posizioni, i movimenti sono sempre gli stessi; e se vi è qualche differenza da una rappresentazione all’altra, solitamente è un vantaggio dell’ultima. Non sarà umorale, perché è come uno specchio sempre pronto a mostrare gli oggetti e a mostrarli con uguale precisione, uguale forza e uguale verità. Simile al poeta, va continuamente ad attingere nel fondo inesauribile della natura; se così non fosse, ben poco vedrebbe estinguersi la sua ricchezza.

Vi è recitazione più perfetta di quella della Clairon? Eppure seguitela, studiatela, e vi convincerete che alla sesta rappresentazione conosce a memoria ogni dettaglio della sua recitazione e tutte le parole del suo ruolo. Sicuramente si è costruita un modello di riferimento; sicuramente ha concepito il modello più alto, più grande e più perfetto che le era possibile; ma questo modello preso dalla storia o creato dalla sua immaginazione come un grande fantasma, non è lei stessa; se questo modello fosse alto quanto lei, come sarebbe debole e limitata la sua interpretazione! Quando, a forza di lavoro, si è avvicinata il più possibile a questo ideale, tutto è finito; mantenersi a tale livello è una pura questione di esercizio e di memoria. Se foste presente alle sue prove, ogni volta che le diceste “Ci siete!”,  lei vi risponderebbe “Vi sbagliate!”. E’ come per Le Quesnoy, al quale un amico afferrò le braccia e gridò. “Fermatevi! Il meglio è nemico del bene: rovinerete tutto”. “Voi vedete ciò che ho fatto” replicava ansimando l’artista all’intenditore meravigliato “ma non vedete ciò che io scorgo e perseguo”.

Non dubito affatto che la Clairon, ai primi tentativi, provi il tormento di Le Quesnoy; ma terminata la lotta, una volta che ha raggiunto l’altezza del suo fantasma, è padrona di se stessa e si ripete senza emozione. Come a volte ci accade in sogno, la sua testa tocca le nuvole e le sue mani vanno a cercare i due confini dell’orizzonte; è l’anima di un grande manichino che l’avvolge; le prove glielo hanno fissato addosso. Distesa con noncuranza su una chaise longue, a braccia conserte, occhi chiusi, immobile, seguendo il suo sogno di memoria può ascoltarsi, vedersi, giudicarsi e giudicare le impressioni che susciterà. In quel momento è sdoppiata: la piccola Clairon e la grande Agrippina.

IL SECONDO

A sentir voi, nulla somiglierebbe tanto a un attore, in scena o alle prove, quanto i bambini che, di notte, nei cimiteri, imitano i fantasmi nascondendosi sotto un grande lenzuolo bianco che sorreggono con una pertica, e fanno uscire da sotto quel catafalco una voce lugubre che spaventa i passanti.

IL PRIMO

Avete ragione. La Dumesnil non è come la Clairon. Entra in scena senza sapere ciò che dirà; la metà dl tempo non sa ciò che dice, ma arriva un momento sublime. E perché l’attore dovrebbe essere diverso dal poeta, dal pittore, dall’oratore, dal musicista’ non è nel futuro del primo getto che si mostrano i tratti caratteristici, ma nei momenti di calma e freddezza, nei momenti del tutto inattesi. Non si sa da dove vengano questi tratti, appartengono all’ispirazione. Accade quando questi geni, sospesi tra la natura e il loro primo abbozzo, osservano con attenzione ora l’una ora l’altro; le bellezze dell’ispirazione, i tratti fortuiti che disseminiamo nelle loro opere, e la cui improvvisa comparsa stupisce loro stessi, sono di un

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effetto e di una riuscita ben più sicuri di quelli che avevano profuso di getto. Spetta al sangue freddo moderare il delirio dell’entusiasmo.

L’uomo violento e fuori di sé non può disporre di noi; è un privilegio riservato all’uomo che è padrone di se stesso. I grandi poeti drammatici, soprattutto, sono osservatori costanti di ciò che accade intorno a loro, sia nel mondo fisico che nel mondo morale.

IL SECONDO

Che fanno tutt’uno.

IL PRIMO

Essi afferrano ciò che li colpisce e ne fanno collezione. E’ da queste collezioni formatesi in loro, senza che lo sappiano, che tanti fenomeni insoliti passano nelle loro opere. Gli uomini caldi, violenti, sensibili sono in scena; danno spettacolo ma non ne godono. E’ a partire da loro che l’uomo di genio crea la sua copia. I grandi poeti, i grandi attori , e forse in generale tutti i grandi imitatori della natura, quali che siano, dotati di una bella immaginazione, di una grande intelligenza, di un tatto fine, di un gusto molto sicuro, sono le persone meno sensibili. Sono ugualmente adatti a troppe cose, sono troppo occupati a osservare, a riconoscere e ad imitare per essere vivamente scossi nell’intimo. Li vedo continuamente con il taccuino sulle ginocchia e la matita in mano.

Siamo noi, a sentire, essi osservano, studiano e dipingono. Devo dirlo? E perché no? La sensibilità non è affatto una qualità del grande genio. Egli amerà la giustizia, ma eserciterà questa virtù senza assaporarne la dolcezza. Non è il suo cuore che fa tutto, ma la sua testa. L’uomo sensibile la perde alla minima situazione imprevista; non sarà mai né un grande re, né un grande avvocato, né un grande condottiero, né un grande avvocato, né un grande medico. Riempite pure la sala dello spettacolo con questi piagnoni, ma non mettetene alcuno sulla scena. Guardate le donne, ci superano certamente, e di molto, in sensibilità. Che differenza tra loro e noi negli istanti della passione! Ma tanto ci superano quando agiscono, tanto ci sono inferiori quando imitano. Non vi è mai sensibilità senza debolezza di organismo. La lacrima che sfugge all’uomo veramente tale, ci commuove più di tutti i pianti di una donna. Nella grande commedia, la commedia del mondo, quella a cui ritorno sempre, tutti gli animi appassionati occupano la scena mentre tutti gli uomini di genio stanno in platea. I primi si chiamano pazzi; i secondi, intenti a copiare le loro pazzie, si chiamano saggi.  E’ l’occhio del saggio che coglie l’aspetto ridicolo di tanti personaggi diversi, che lo dipinge e che vi fa ridere dia si quei tormentosi originali di cui siete stato vittima, sia di voi stesso. E’ lui che vi osserva e che disegnava una copia comica sia del seccatore che del vostro tormento.

Anche se queste verità venissero dimostrate, i grandi attori non le riconoscerebbero: sono il loro segreto. Gli attori mediocri o principianti sono fatti apposta per respingerle, e di alcuni altri si potrebbe dire che credono di sentire, così come si dice che il superstizioso crede di credere; e che senza la fede per quest’ultimo, e senza la sensibilità per gli altri, non vi è salvezza.

Ma come?, si dirà: gli accenti così commoventi, così dolorosi che quella madre si strappa dal profondo delle viscere, e da cui le mie sono scosse in modo così violento, non li provoca forse un sentimento vivo, non è la disperazione a ispirarli? Assolutamente no; prova ne è che sono misurati; che fanno parte di un sistema di declamazione; che più bassi o più acuti della ventesima parte di un quarto di tono suonano falsi; che sottostanno a una legge di unità; che sono, come nell’armonia, preparati e custoditi; che soddisfano a tutte le condizioni richieste soltanto con una lunga applicazione; che concorrono alla soluzione di un dato problema; che per venire emessi giustamente sono stati ripetuti cento volte, e che malgrado le numerose ripetizioni vengono ancora sbagliati; che prima di dire:

                                                             

                                                                               Zaira, voi piangete!

Oppure,

                                                                                Voi vi sarete, figlia mia,

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l’attore si è ascoltato a lungo; che si ascolta anche nel momento in cui vi turba; che tutto il suo talento non consiste, come voi supponete, nel sentimento, ma nel rendere i segni esteriori del sentimento in modo così accurato da ingannarvi. La grida di dolore sono annotate nel suo orecchio. I gesti di disperazione sono fatto di memoria e sono stati preparati di fronte a uno specchio. Sa il momento preciso in cui estrarre il fazzoletto e in cui le lacrime scorreranno, aspettateveli a quella tale parola, a quella tale sillaba, né prima né dopo. Quel tremito di voce, quella frase lasciata in sospeso, quei suoni soffocati o lenti e bassi, quel fremito delle membra, quel vacillamento delle ginocchia, quegli svenimenti, quei furori sono pura imitazione, lezione preparata in anticipo, smorfia patetica, scimmiottatura sublime di cui l’attore conserva a lungo il ricordo dopo averla studiata, di cui era consapevole nel momento in cui l’eseguiva e che, fortunatamente per il poeta, per lo spettatore e per lui stesso, gli lascia ogni libertà di pensiero e gli sottrae soltanto come qualunque altro esercizio, la forza fisica. Deposto il socco o il coturno, la voce gli si abbassa, prova un’estrema stanchezza, vs s cambiarsi o a dormire, ma non gli rimane né turbamento, né dolore, né malinconia, né depressione. Siete voi a portarvi dietro tutte queste impressioni. L’attore è stanco, mentre voi siete tristi; perché egli si è agitato senza sentire nulla, mentre voi avete sentito senza agitarvi. Se così non fosse, la condizione dell’attore sarebbe la più infelice di tutte, ma egli non è un personaggio, lo interpreta, e lo interpreta così bene che voi lo scambiate per esso. L’illusione è soltanto vostra; quanto a lui, sa bene di non esserlo.

Sensibilità diverse che concertano tra loro per ottenere il più grande effetto possibile, che si accordano, si indeboliscano, si rafforzano, si attenuano per formare un insieme unitario: mi fa ridere tutto questo. Insisto, dunque, e dico: “ E’ l’estrema sensibilità che fa gli attori mediocri. È la sensibilità mediocre che fa la maggioranza degli attori: es è la mancanza assoluta di sensibilità che produce gli attori sublimi”. Le lacrime dell’attore scendono dal cervello; quelle dell’uomo sensibile salgono dal cuore. Sono le viscere che turbano senza sosta la mente dell’uomo sensibile; nell’attore è la mente che a volte provoca un turbamento passeggero nelle viscere, egli piange come un prete incredulo che predica la Passione; come un seduttore sulle ginocchia di una donna che non ama ma che vuole ingannare, come un mendicante per strada o al portale di una chiesa, che vi ingiuria quando non spera più di commuovervi, o come una cortigiana che non prova nulla ma che si sdilinquisce tra le vostre braccia.

Avete mai riflettuto sulla differenza tra le lacrime provocate da un avvenimento tragico e le lacrime provocate da n racconto patetico? Sentiamo raccontare una bella cosa: a poco a poco la testa si confonde, le viscere si sommuovono e le lacrime scorrono. Invece, in presenza di un tragico incidente, l’oggetto, la sensazione e l’effetto sono ravvicinati: contemporaneamente le viscere si sommuovono, si lancia un grido, la testa si disorienta e le lacrime scorrono, queste ultime arrivano improvvisamente; gli altri a poco a poco. Ecco il vantaggio che un colpo di scena naturale e autentico ha su una rappresentazione eloquente. Esso provoca bruscamente ciò che l’altra fa attendere. L’illusione è molto più difficile da produrre. Un falso incidente, reso male, la distrugge. I toni si imitano meglio dei movimenti, ma i movimenti colpiscono in modo più violento. Ecco il fondamento di una legge a cui non credo vi siano eccezioni. Arrivare a uno scioglimento attraverso una azione, e non attraverso un racconto, se non si vuole apparire freddi.

Ebbene, non avete nulla da obiettarmi? Mi sembra di udirvi, fate un racconto in società, le vostre viscere si sommuovono, la voce vi si spezza, piangete. Avete sentito, dite voi, e sentito fortemente. D’accordo, ma vi siete preparato? No, parlavate in versi? No. Eppure trascinavate, stupivate, commuovevate, producevate un grande effetto. E’ vero. Ma portate in teatro il vostro tono familiare, la vostra espressione semplice, il vostro contegno domestico, i vostri geni naturali, e vedrete quanto risulterete povero e debole. Avrete un bel versare lacrime: sarete ridicolo, rideranno. Non sarà una tragedia, sarà una parodia tragica che reciterete. Credete che le scene di Corneille, di Racine, di Voltaire, addirittura di Shakespeare, possano essere declamate con la vostra voce da conversazione e con il tono da angolo del focolare? Non più di quanto si possa adottare, all’angolo del focolare, l’enfasi e i movimenti facciali del teatro.

IL SECONDO

Forse è perché Racine e Corneille, per quanto fossero grandi uomini, non hanno fatto nulla di valido.

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Che bestemmia! Chi potrebbe proferirla? chi oserebbe approvarla? neppure le cose familiari di Corneille possono essere dette in tono familiare.

Ma un’esperienza che avrete fatto cento volte è che, alla fine del vostro racconto, fra il turbamento e l’emozione in cui avete gettato il piccolo uditorio del salotto, sopraggiunge un nuovo personaggio di cui bisogna soddisfare la curiosità. Ma non potete più farlo, il vostro animo è svuotato, non avete più né sensibilità, né calore, né lacrime. Perché l’attore non prova la stessa prostrazione? Perché vi è molta differenza tra l’interesse che egli ha per un racconto fatto per il diletto e l’interesse che a voi ispira la sventura del vostro vicino. Siete forse Cinna? Siete mai stato Cleopatra?, Merope, Agrippina? Che cosa vi importa di loro? La Cleopatra, la Merope, l’Agrippina, il Cinna del teatro sono davvero personaggi storici? No. Sono i fantasmi immaginari della poesia; dirò di più: lasciate alla scena quelle specie di ippogrifi, con i loro movimenti, il loro portamento e le loro grida: nella storia farebbero brutta figura; e in società farebbero scoppiare dal ridere un circolo o un’altra compagnia. Si bisbiglierebbero all’orecchio: “Sta delirando? Da dove arriva quel Don Chisciotte? Dove si fanno di questi racconti’ qual è il pianeta dove si parla così?

IL SECONDO

Ma perché a teatro non sono ributtanti?

IL PRIMO

Perché vi stanno per convenzione. E’ una formula inventata dal vecchio Eschilo, un protocollo che a tremila anni.

IL SECONDO

E questo protocollo durerà ancora  a lungo?

IL PRIMO

Non lo so. Tutto ciò che so è che più ci si avvicina al nostro secolo e al nostro paese, più ci si allontana da esso.

Conoscete una situazione più simile a quella di Agamennone, nella prima scena di Ifigenia, della situazione di Enrico IV quando, ossessionato da terrori fin troppo fondati, dice ai suoi familiari “Mi uccideranno, nulla di più sicuro: mi uccideranno…”? Supponete che questo uomo eccellente, questo grande e sventurato monarca, tormentato di notte da questo presentimento funesto, si alzi e vada a bussare alla porta di Sully, suo ministro ed amico; credete che possa esistere un poeta così assurdo da far dire a Enrico:

Sì, è Enrico, è il re che ti sveglia,

vieni, riconosci la voce che batte al tuo orecchio…

e da far rispondere a Sully:

Voi in persona, mio sire1 quale importante bisogno

vi ha fatto precedere di tanto l’aurora?

Appena una debole luce vi rischiara e mi guida,

i vostri occhi soltanto e i miei sono aperti!..

IL SECONDO

Forse era quello il vero linguaggio di Agamennone.

Il primo

Non più di quanto lo fosse di Enrico IV. E’ quella di Omero, quello di Racine, quello della poesia; e un linguaggio così pomposo non può che essere usato da sconosciuti e parlato da bocche poetiche con un tono

poetico.

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Riflettete un momento su ciò che significa essere veri a teatro. Vuol dire mostrare le cose come sono in natura? Niente affatto. Il vero, in questo senso, non sarebbe altro che il consueto. Che cos’è dunque il vero

Sulla scena? E’ la conformità delle azioni, dei discorsi, dell’aspetto, della voce, del movimento, dei gesti a un modello ideale immaginato dal poeta, e spesso esagerato dall’attore. Ecco la meraviglia. Il modello non influisce soltanto sul tono, ma modifica persino l’incedere, il contegno. Da qui deriva il fatto che l’attore in strada è un personaggio così diverso dall’attore in scena che si stenta a riconoscerlo. La prima volta che vidi la Clairon a casa sua, esclamai d’istinto: “Ah!, signorina, vi credevo più alta di tutta la testa”.

Una donna infelice, veramente infelice, piange ma non vi commuove

: anzi peggio, un leggero tratto che le altera il viso vi fa ridere; un accento che le è proprio suona male al vostro orecchio e vi ferisce; un movimento che le è abituale vi fa apparire il suo dolore volgare e fastidioso, il fatto è che le passioni estreme sono quasi tutte espresse con smorfie che l’artista senza gusto copia pedestremente, ma che il grande artista evita. Noi vogliamo che anche nel più forte dei tormenti l’uomo conservi il suo carattere umano, la dignità della sua specie. Che effetto ha questo sforzo eroico? Quello di distrarre dal dolore e di attenuarlo. Vogliamo che quella donna cada con decenza, mollemente, e che quell’eroe, muoia, come l’antico gladiatore in mezzo all’arena, tra gli applausi del circo, con grazia, con nobiltà, con un atteggiamento elegante e pittoresco. Chi soddisferà la nostra aspettativa? Sarà forse ‘atleta vinto dal dolore e disfatto dalla sensibilità? O invece l’atleta accademico che è padrone di se stesso e che mette in pratica le lezioni di ginnastica mentre esala l’ultimo respiro? L’antico gladiatore come un grande attore, e un grande attore come l’antico gladiatore non muoiono come si muore in un letto, ma sono tenuti a recitare un’altra morte per piacerci, altrimenti lo spettatore di gusto esigente sentirebbe che la nuda verità, l’azione priva di ogni preparazione è povera e contrasta con la poesia di tutto il resto.

Ciò non vuol dire che la semplice natura non abbia i suoi momenti sublimi; ma io penso che se vi è qualcuno sicuro di cogliere e di conversare la loro sublimità, costui è chi li avrà presentiti con l’immaginazione o con l’intuito geniale e saprà renderli con sangue freddo.

Non nego che vi possa essere una certa emotività acquisita o fittizia, ma se volete il mio parere, credo che sia pericolosa quando la sensibilità naturale. Essa conduce a poco a poco l’attore alla maniera e alla monotonia. E’ un elemento che contrasta con la varietà delle funzioni di un grande attore; spesso costui è obbligato a liberarsene, ma questa abnegazione è permessa soltanto a una mente solidissima. Per conseguire una maggiore facilità e riuscita nello studio, l’università del talento e la perfezione della recitazione, sarebbe meglio non dover mai operare questa dissociazione interiore, che per la sua estrema difficoltà costringe l’attore a un unico ruolo e condanna così le compagnie ad essere molto numerose, e quasi tutti i testi a essere recitati male; a meno che non si rovesci l’ordine delle cose e i testi vengano fatti su misura per gli attori, i quali, a me sembra, dovrebbero invece essere fatti proprio per i testi.

IL SECONDO

Ma se una marea di uomini che si accalcano per strada a causa di qualche catastrofe riescono a esprimere sul momento, ciascuno a suo modo e senza accordo, la propria sensibilità naturale, creeranno uno spettacolo meraviglioso, mille modelli preziosi per la scultura, la pittura, la musica e la poesia.

IL PRIMO

E’ vero. Ma questo spettacolo è paragonabile a quello che risulterà da un accordo concepito bene, dall’armonia che l’artista vi avrà introdotto quando lo trasporrà dal crocevia alla scena o alla tela? Se così sostenete, vi chiedo: qual è allora la tanto vantata magia dell’arte, se essa si riduce a peggiorare ciò che la grezza natura e un accostamento fortuito avevano fatto meglio di lei? Negate che si abbellisca la natura? Non avete mai lodato una donna dicendole che era bella come una Vergine di Raffaello? Alla vista di un bel paesaggio non avete mai esclamato che era avvincente come un romanzo? D’altronde voi mi parlate di una cosa reale, mentre io vi parlo di un’imitazione, voi mi parlate di un attimo fuggente della natura, mentre io vi parlo di un’opera d’arte progettata, coerente, con uno sviluppo e una durata. Prendete ciascuno di quegli attori, fate variare la scena in strada come in teatro, e mostratemi successivamente i vostri personaggi isolati, a due a due, a tre a tre; lasciate che siano liberi nei loro movimenti, che siano padroni assoluti delle

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loro azioni, e vedrete quale strana cacofonia ne risulterà. Per ovviare a questo inconveniente li farete provare insieme? Allora addio sensibilità naturale, e tanto meglio.

Nello spettacolo accade come in una società bene ordinata, dove ciascuno sacrifica in parte i propri diritti per il bene della collettività e dell’insieme. Chi apprezzerà meglio la portata di questo sacrificio? L’entusiasta? Il fanatico? No di certo. Nella società, sarà l’uomo giusto, in teatro, l’attore che avrà la mente fredda. La vostra scena di strada sta alla scena teatrale come un’orda di selvaggi a un’assemblea di uomini civilizzati.

E’ venuto il momento di parlarvi della nefasta influenza di un collega mediocre su un attore eccellente. Quest’ultimo ha una concezione elevata, ma sarà costretto a rinunciare al suo modello ideale per mettersi al livello del povero diavolo con il quale è in scena. Lascia allora da parte lo studio e l’intelligenza: come accade spontaneamente a passeggio o davanti al focolare, colui che parla fa abbassare il tono all’interlocutore. O se preferite un altro paragone, è come nel whist, dove parte della vostra abilità va persa se non potete contare sul vostro compagno.. ma c’è di più: la Clairon vi dirà, quando lo vorrete, che Le Kain, per cattiveria, la rendeva scadente o mediocre a suo piacimento; e che, per rappresaglia, essa a volte lo esponeva ai fischi. Che cosa sono, dunque due attori che si sostengono a vicenda? Due personaggi i cui modelli hanno, in modo equilibrato, la parità o la subordinazione richiesta dalle circostanze in cui il poeta li ha posti; in caso contrari, uno dei due sarà troppo forte o troppo debole, e per evitare questa dissonanza il forte innalzerà raramente il debole alla proprio altezza, bensì scenderà di riflesso al suo basso livello. E conoscete il motivo di quelle innumerevoli prove? Esso consiste nello stabilire un equilibrio tra i talenti diversi degli attori, in modo che ne risulti un’azione generale unitaria, e quando per orgoglio uno di loro rifiuta questo equilibrio, ciò accade sempre a spese della perfezione dell’insieme, a detrimento del vostro piacere, perché è raro che la grande bravura di uno vi ripaghi della mediocrità degli altri che essa fa emergere. A volte ho visto punire la personalità di un grande attore: è accaduto quando il pubblico sosteneva stoltamente che egli era esagerato invece di accorgersi che era debole il suo collega.

Adesso voi siete poeta: avete un testo da fare rappresentare e vi lascio la scelta tra attori di profonda intelligenza, di mente fredda, e attori sensibili. Ma prima che decidiate, permettetemi di porvi una domanda: a quale età si è grandi attori? Nell’età in cui si è pieni di fuoco, in cui il sangue ribolle nelle vene, in cui la scossa più leggera provoca turbamento nelle viscere, in cui l’animo si infiamma alla minima scintilla’ non mi sembra. Colui che la natura ha fatto attore eccellente nella sua arte soltanto quando ha acquisito una lunga esperienza, quando la foga delle passioni si è spenta, quando la mente è tranquilla e il pensiero è padrone di se stesso. Il vino della migliore qualità è aspro e nuovo quando fermenta, soltanto con un lungo soggiorno nella botte diventa generoso. Cicerone, Seneca e Plutarco per me rappresentano le tre età dell’uomo che scrive. Cicerone spesso non è che un fuoco di paglia che mi rallegra la vista; Seneca un fuoco di sterpi che la ferisce; ma se smuovo le ceneri del vecchio Plutarco, vi scopro i grossi carboni di un braciere che mi riscaldano dolcemente.

Baron, a sessant’anni suonati, impersonava il conte di Essex, Xifare, Britannico, e li impersonava bene. A cinquant’anni, nell’Oracolo e nella Pupilla, la Gaussin era incantevole.

IL SECONDO

Non aveva assolutamente l’aspetto adatto a quel ruolo.

IL PRIMO

E’ vero, e forse questo è uno degli ostacoli insormontabili per uno spettacolo perfetto. Bisogna avere calcato le scene per molti anni, e a volte il ruolo esige la pubertà. Anche se abbiamo visto un’attrice di diciassette anni capace di sostenere il ruolo di Monima, di Didone, di Pulcheria e di Ermione, questo è stato un prodigio che non si ripeterà. Tuttavia un vecchio attore è ridicolo soltanto quando le forze lo hanno del tutto abbandonato, o quando la superiorità della sua recitazione non riesce a evitare il contrasto tra la sua vecchiaia e il suo ruolo. In teatro accade come in società, dove non si rimprovera a una donna la civetteria se non quando non ha talenti a sufficienza né altre virtù bastanti a nascondere un vizio.

Ai nostri giorni, la Clairon e Molè, debuttando, hanno recitato come automi, poi hanno dimostrato di essere veri attori. Com’è accaduto? Forse che l’animo, la sensibilità, l’emotività sono venuti loro via via che avanzano di età?

10

Poco tempo fa, dopo dieci anni di assenza dalle scene, la Clairon ha voluto ritornarvi, ha recitato mediocremente perché aveva perduto l’animo, la sensibilità, l’emotività? Assolutamente no; aveva invece perduto la memoria delle sue parti. Me ne appello all’avvenire.

IL SECONDO

Come? Credete che la rivedremo?

IL PRIMO

O altrimenti morirà di noia: che cosa vorreste mettere al posto degli applausi del pubblico e di una grande passione? Se il tale attore o la tale attrice fossero profondamente concentrati nella loro parte, come si suppone, ditemi voi se l’uno penserebbe a gettare un’occhiata ai palchi, l’altro a rivolgere un sorriso verso le quinte, quasi tutti a parlare con la platea; e se sarebbe necessario andare nel ridotto per interrompere le risa smodate di un terzo e avvertirlo che è giunto il momento di venire a pugnalarsi.

Ma mi viene voglia di abbozzarvi una scena tra un attore e sua moglie, che si detestavano, una scena di amanti teneri e appassionati, una scena recitata in pubblico, sul palcoscenico, come ve la descriverò e forse un po’ meglio, una scena in cui mai due attori apparvero più fortemente compresi delle loro parti, una scena in cui strapparono gli applausi incessanti della platea e dei palchi, una scena che i nostri battimani e le nostre grida di ammirazione interruppero dieci volte. E’ la terza scena del quarto atto del “Dispetto amoroso” di Moliere, il loro trionfo.

                           L’attore Erasto amante di Lucilla

                           Lusilla , amante di Erasto e moglie dell’attore.

                           L’ATTORE

                           No, non crediate, signora,

                           che torni ancora per parlarvi della mia fiamma.

                     

                            L’ATTRICE

                            Ve lo consiglio

                             ATTORE

                             E’ finita

                             L’ATTRICE

                             Lo spero.

                             ATTORE

                             Voglio guarire, e so bene

                              CIò che del vostro cuore il mio ha posseduto.

                              ATTRICE

                              Più di quanto meritiate.

                              ATTORE

                              Uno sdegno così costante per l’ombra di un’offesa.

                              ATTRICE

                              Volete offendermi! Non vi faccio questo onore.

                               ATTORE

                               Mi ha fin troppo chiarito la vostra indifferenza;

                               e devo mostrarvi che ai segni del disprezzo

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                               ATTRICE

                               il più profondo.

                               ATTORE

                               Sono sensibili soprattutto gli spiriti generosi.

                               ATTRICE

                               Sì, i generosi….

                               ATTORE

                               Lo confesso, i miei occhi scoprivano nei vostri

                               un fascino che non hanno mai trovato negli altri.

                                ATTRICE

                                E sì che ne avete visti!

                                ATTORE

                                E il rapimento di cui ero prigioniero

                                l’avrei preferito ad uno scettro.

                                ATTRICE

                                Ne avete fatto più buon mercato.

                                ATTORE

                                Vivevo tutto in voi.

                                ATTRICE

                                E’ falso, mentite.  

                                ATTORE

                                E, lo voglio confessare,

                                forse, benché oltraggiato, avrò dopo tutto

                                ancora molta pena a liberarmene.

                                ATTRICE

                                Sarebbe increscioso.

                                ATTORE

                                Può darsi che nonostante la cura che tento,

                                il mio animo sanguinerà ancora a lungo per questa

                                ferita.

                                ATTRICE

                                Non temete, è già in cancrena.

                                ATTORE

                                E che liberato dal gioco ch’era tutto il mio bene,

                                dovrò risolvermi a non amare mai più.

                                 ATTRICE

                                 Ve la caverete.

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                                  ATTORE

                                  Ma infine, non importa; e poiché il vostro odio

                                  scaccia un cuore che tante volte l’amore vi riporta,

                                  questa è l’ultima noia

                                  che avrete dai miei voti respinti.

                                   ATTRICE

                                   Esaudite i miei interamente,

                                   signore, e risparmiatemi anche questa.

                                  

                                   ATTORE

                                   Siete un’insolente cuor mio, e vene pentirete.

                                   ATTORE

                                   E sia, Signora, e sia! Saranno soddisfatti.

                                   Rompo con voi, e rompo per sempre,

                                   poiché lo volete. Che io possa morire,

                                   quando riavrò la voglia di parlarvi.

                                   ATTRICE

                                   Tanto meglio, mi farete cosa gradita.

                                   ATTORE

                                   No, no, non temete.

                                   ATTRICE  

                                   Non vi temo.

                                   ATTORE

                                   Che io manchi di parola; se anche avessi un cuore

                                    così debole

                                    da non potervi cancellare la vostra immagine,

                                    mai, credetemi, avrete il privilegio

                                    ATTRICE

                                    La sventura, volete dire…

                                    ATTORE

                                    Di vedermi tornare.

                                    ATTRICE

                                    Sarebbe invano.

                                    ATTORE 

                                    Amica mia, siete una sgualdrina  matricolata, vi insegnerò io a parlare

                                    ATTORE

                                    Cento volte mi trafiggerei il petto,

                                    ATTRICE

                                    Dio volesse!

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                                   ATTORE

                                   se mai compissi l’enorme bassezza

                                   ATTRICE

                                   Perché non anche quella, dopo tante altre?

                                 

                                   ATTORE

                                   Di rivedervi dopo questo trattamento indegno.

                                   ATTRICE

                                   Così sia, non parliamone più.

E così via. Dopo questa doppia scena, una di amanti e l’altra di coniugi, mentre riconduceva dietro le quinte la sua amante Lucilla, Erasto le stringeva il braccio con una forza da lacerare la carne alla cara moglie, e rispondeva alle sue grida con le frasi più insultanti e più amare.

IL SECONDO

Se avessi udito queste due scene simultaneamente, credo che non avrei rimesso piede a teatro per tuta la vita.

IL PRIMO

Se sostenete che quell’attore e quell’attrice hanno sentito, vi chiedo: è nella scena degli amanti o nella scena dei coniugi, o l’una o nell’una o nell’altra insieme? Ma ascoltate la scena seguente tra la stessa attrice e un altro attore, il suo amante.

Mentre l’amante parla, l’attrice dice di suo marito: “E’ un essere indegno, mi ha chiamato…non oso ripeterlo.”

Mentre parla lei, il suo amante le risponde: “Non ci siete abituata?...” E così via di battuta in battuta.

“Ceniamo insieme stasera?”. “Lo vorrei, ma come posso liberarmi?”: “E’ affar vostro”. “E se lui viene a saperlo”. “Non accadrà nulla, e per giunta avremo una deliziosa serata”. “Chi ci sarà?”. “Chi vorrete”: “Innanzi tutto il cavaliere, che è un’istituzione”: “A proposito del cavaliere, sapete che dovrei esserne geloso?”. “E io sarei tentata di fornirvene il motivo”:

Ecco come queste persone sensibili, che vi sembravano interamente dedite alla scena declamata che stavate ascoltando, erano invece occupate da quella a bassa voce che non udivate; voi esclamavate: “Bisogna riconoscere che quella donna è un’attrice affascinante: nessuno sa ascoltare come lei, e recita con un’intelligenza, una grazia, una concentrazione, una finezza, una sensibilità non comuni…”E io ridevo delle vostre esclamazioni.

Eppure quell’attrice ingannava il marito con un altro attore, l’attore con il cavaliere, e il cavaliere con un terzo che egli sorprende tra le sue braccia. Costui ha meditato una grande vendetta. Si piazzerà nel proscenio, sui gradini più bassi. (A quel tempo il conte di Lauraguais non ne aveva ancora sbarazzato la nostra scena.) Da quel posto si è ripromesso di sconcertare l’infedele con la sua presenza e con i suoi sguardi sprezzanti, di turbarla e di esporla così agli schiamazzi del pubblico. Incomincia la commedia e la traditrice compare, scorto il cavaliere, senza imbrogliarsi nella recitazione, gli dice sorridendo: “Puah! Ecco il musone che se la piglia per nulla”. Il cavaliere sorride a sua volta. Essa continua: “Venite stasera?”. Egli tace. Essa aggiunge:”Finiamola con questo banale litigio, e chiamate la vostra carrozza…”. E sapete in quale scena era intercalata quest’altra? In una dlle più commoventi di La Chausse, dove quell’attrice singhiozzava e ci faceva versare calde lacrime. Vi vedo confuso; eppure è l’esatta verità.

IL SECONDO

Mi fa venire il disgusto per il teatro.

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IL PRIMO

E perché’ semmai bisognerebbe non andarci se quella gente non fosse capace di simile prodezze. Ciò che sto per raccontarvi l’ho visto con i miei occhi.

Garrick infila la testa tra i battenti di una porta, e nello spazio di quattro o cinque secondi la sua espressione passa successivamente dalla pazza gioia a una gioia moderata, da questa alla calma, dalla calma alla sorpresa, dalla sorpresa allo stupore, dallo stupore alla tristezza, dalla tristezza all’abbattimento, dall’abbattimento allo spavento, dallo spavento all’orrore, dall’orrore alla disperazione, e da quest’ultima ritorna alla prima. Ha forse potuto provare nell’animo tutte queste sensazioni ed eseguire, con un’espressione acconcia del volto, questa specie di scala? Non ci credo, e voi neppure. Se chiedeste a quell’uomo celebre, che da solo meriterebbe un viaggio in Inghilterra, così come le rovine di Roma meritano che lo si faccia in Italia; se gli chiedeste, dico, la scena del Garzone pasticciere, ve la reciterebbe: se subito dopo gli chiedeste la scena di Amleto, vi reciterebbe anche quella, ugualmente pronto a piangere sui pasticcini caduti e a seguire nell’aria la traiettoria di un pugnale. Si ride o si piange forse a piacimento? Se ne fa l’imitazione più o meno fedele, più o meno ingannevole, a seconda che ci sia Garrick oppure no.

A volte fingo con abbastanza persuasione da trarre in inganno gli uomini del mondo più esperti. Quando mostro desolazione per la morte simulata di mia sorella nella scena dell’avvocato della bassa Normandia; quando, nella scena con il primo funzionario di marina, mi accuso di avere messo incinta la moglie di un capitano di vascello, ho tutta l’aria di provare dolore e vergogna; ma sono davvero afflitto? Mi vergogno davvero? Non più nella mia commediola che in società, dove avevo sostenuto questi due ruoli prima di introdurli in un’opera teatrale. Che cos’è dunque un grande attore’ un grande mistificatore tragico e comico, al quale il poeta ha dettato il suo discorso.

Sedaine fa rappresentare “Il filosofo senza saperlo”. Ero più vivamente interessato di lui al successo della commedia; la gelosia per il talento altrui è un vizio che mi è estraneo, ne ho già abbastanza senza quello, chiamo a testimoni tutti i miei confratelli in letteratura: quando a volte si sono degnati di consultarmi sulle loro opere, non ho forse fatto tutto ciò che era in mio potere per rispondere degnamente a quella loro insigne attestazione di stima? Il filosofo senza saperlo vacilla alla prima e alla seconda rappresentazione, e io ne sono veramente afflitto; alla terza è portato alle stelle e io ho uno slancio di gioia. L’indomani mattina mi getto su un fiacre, corro da Sedaine, era inverso, faceva un freddo spaventoso; vado ovunque spero di trovarlo. Vengo a sapere che è in fondo al faubourg Saint-Antoine, mi ci faccio condurre. Lo avvicino, gli getto le braccia al collo, mi manca la voce e mi scorrono le lacrime lungo le guance: ecco l’uomo sensibile e mediocre. Sedaine, immobile e freddo, mi guarda e dice: “Ah, signor Diderot, come siete bello!” : ecco l’osservatore e l’uomo di genio.

Un giorno raccontavo questo fatto a tavola, a casa di un uomo destinato per le sue qualità superiori a occupare la carica più importante dello Stato, il signor Necker; vi era un gran numero di letterati, tra i quali Marmontel, a cui voglio bene e a cui sono caro. Egli mi disse ironicamente: “Sta’ a vedere che se Voltaire si commuove al semplice racconto di un episodio patetico e Sedaine mantiene il suo sangue freddo alla vita di un amico che si scioglie in lacrime, Voltaire è l’uomo comune e Sedaine l’uomo di genio!”. Questa uscita mi sconcerta e mi riduce al silenzio, perché l’uomo sensibile, come me, tutto preso da ciò che gli si obietta, perde la testa e non si riprende che in fondo alle scale. Un altro, freddo e padrone di sé, avrebbe risposto a Marmontel: “ La vostra osservazione suonerebbe meglio in un’altra bocca, perché non siete più sensibile di Sedaine e fate anche voi cose molto belle; e dal momento che seguite la sua stessa carriera, avreste potuto lasciare al vostro vicino il compito di valutare imparzialmente i suoi meriti. Ma senza volere anteporre Sedaine a Voltaire o Voltaire a Sedaine, sapreste dirmi ciò che sarebbe uscito dalla testa dell’autore del “Filosofo senza saperlo”, del “Disertore” e di “Parigi salvata” se, invece di passare trentacinque anni della sua vita a impastare il gesso e a tagliare la pietra, avesse impiegato tutto questo tempo, come Voltaire, voi e me, a leggere e a meditare Omero, Virgilio, il Tasso, Cicerone, Demestene e Tacito? Noi non sapremo mai vedere come lui, mentre lui avrebbe imparato ad esprimersi come noi. Lo considero un pronipote di Shakespeare; di quello Shakespeare che non paragonerò né ad Apollo del Belvedere, né al Gladiatore, né all’Antinoo, né all’Ercole gliconio, ma piuttosto al San Cristoforo di Notre-Dame, un colosso informe, scolpito rozzamente, ma tra le cui gambe tutti passeranno senza toccarne le pudende con la fronte.”.

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Ma ecco un altro episodio in cui vi mostrerò una persona resa per un attimo banale e sciocca dalla sua sensibilità, e l’attimo dopo sublime dal sangue freddo che subentrò alla sensibilità soffocata. Un letterato di cui non farò il nome era caduto in estrema povertà. Egli aveva un fratello teologo e ricco. Chiesi all’indigente perché suo fratello non gli venisse in soccorso. “Perché” mi rispose “ho commesso dei grossi torti nei suoi riguardi”. Ottenni da lui il permesso di andare a far visita al teologo. Ci vado. Vengo annunciato, entro. Dico al teologo che voglio parlargli di suo fratello. Egli mi prende bruscamente per mano, mi fa sedere e mi fa osservare che un uomo sensato dovrebbe conoscere colui del quale si incarica di perorare la causa; poi, apostrofandomi con forza: “Conoscete mio fratello?”. “Credo di sì”. “Siete al corrente della sua condotta nei miei riguardi?”. “Credo di sì”. “Credete? Dunque sapete?...”. ed ecco che il teologo, con una rapidità e con una veemenza sorprendenti, mi enumera una serie di azioni, una più atroce e più ributtante dell’altra. La testa mi si confonde, mi sento oppresso, mi vien meno il coraggio di difendere un mostro abominevole come  quello che mi stava dipingendo. Fortunatamente il teologo, un po’ prolisso nella sua filippica, mi lasciò il tempo di riavermi; a poco a poco l’uomo sensibile fece posto in me all’uomo eloquente, perché oso dire che in quell’occasione lo fui davvero. “Signore,” dico freddamente al teologo “vostro fratello ha fatto di peggio, e vi lodo perché mi nascondete il più clamoroso dei suoi misfatti”. “Non nascondo nulla”. “A tutto ciò che mi avete detto, avreste potuto aggiungere che una notte, mentre uscivate di casa per recarvi alla funzione, vi ha afferrato alla gola e, tirando fuori un coltello che nascondeva sotto l’abito, è stato sul punto di affondarvelo in petto”. “Ne sarebbe capace; ma non l’ho accusato azione perché non è vero…”. Allora io, alzandomi di scatto e fissando il teologo con uno sguardo fermo e severo, esclamai con voce tonante, con tutta la veemenza e l’enfasi dell’indignazione: “E quand’anche fosse vero, non dovreste ugualmente dare del pane a vostro fratello?”. Il teologo, annientato, abbattuto, confuso, rimane muto, passeggia, torna accanto a me e mi accorda una pensione annua per il fratello.

E’ nel momento in cui avete perso il vostro amico o la vostra amante che componete una poesia sulla sua morte? No. Guai a chi in quel frangente si compiace del proprio talento! Soltanto quando il grande dolore è passato, quando l’estrema sensibilità è attutita, quando si è allontanato dalla catastrofe e l’animo s’è calmato, e ricordando la felicità scomparsa si è in grado di valutarne la perdita, e la memoria si unisce l’immaginazione, l’una per rievocare e l’altra per esagerare la dolcezza del tempo passato;; soltanto allora, padroni di noi stessi, ci esprimiamo bene. Dicono che si piange, ma non si piange quando si cerca una parola efficace che sfugge; dicono che si piange, ma non si piange quando ci si sforza di rendere armonioso un verso. Oppure, se le lacrime scorrono, se la penna cade di mano, ci si abbandona al proprio sentimento e si smette di comporre.

Ma con i piaceri violenti accade come con le pene profonde: sono muti. Un uomo tenero e sensibile rivede un amico che aveva perduto per una lunga assenza, costui ricompare in un momento inatteso, e subito al primo si agita il cuore: corre, abbraccia, vuole parlare; ma non ne è capace: balbetta parole spezzettate, non sa ciò che dice, non sente nulla di ciò che gli viene risposto; come soffrirebbe se potesse accorgersi che il suo entusiasmo non è condiviso! Da questo quadro veridico potete giudicare la falsità di quegli incontri sulla scena in cui due amici possiedono tanto spirito e sono così bene padroni di se stessi. Quante cose avrei da dirvi sulle dispute insulse e magniloquenti a proposito di chi morirà o non morirà, se questa faccenda, con la quale non la finirei mai, non ci allontanasse dal nostro argomento! Ma è sufficiente così, per le persone di gusto profondo e vero; e agli altri non servirebbe a nulla che aggiungessi qualcosa. Tuttavia, chi ci eviterà queste assurdità tanto comuni a teatro? L’attore? E quale attore?

Vi sono mille casi contro uno in cui la sensibilità è nociva tanto in società quanto a teatro. Prendiamo due innamorati, i quali devono fare entrambi una dichiarazione. Chi se la caverà meglio? Io no di certo. Ricordo che non sapevo avvicinarmi all’essere amato se non tremando, mi batteva il cuore, le idee mi si confondevano, la voce mi diventava incerta, storpiavo ogni parola, rispondevo “no” quando bisognava rispondere  “sì”;  commettevo mille goffaggini, topiche innumerevoli; ero ridicolo dalla testa ai piedi, me ne rendevo conto e diventavo ancor più ridicolo. Mentre sotto i miei occhi un rivale allegro, piacevole e brillante, sicuro e soddisfatto di sé, che non perdeva occasione di tessere lodi, e di tesserle finemente, divertiva, piaceva, era felice; sollecitava una mano e gli veniva data, a volte la afferrava senza averla chiesta, la baciava, la baciava di nuovo, mentre io, in un cantuccio, distogliendo lo sguardo da quello spettacolo che mi irritava, soffocando i sospiri, facendo scrocchiare le dita a forza di stringere i pugni,

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oppresso dalla tristezza, coperto di sudore freddo, non potevo né mostrare né nascondere la mia pena. E’ stato detto che l’amore priva di senno coloro che ne hanno, e che ne dà a coloro che non lo possiedono, cioè, in altre parole, che rende gli uni sensibili e sciocchi, e gli altri freddi e intraprendenti.

L’uomo sensibile obbedisce agli impulsi della natura e sa rendere con precisione soltanto il grido del suo cuore; quando frena oppure forza questo grido non è più se stesso, è un attore che recita.

Il grande attore osserva i fenomeni; l’uomo sensibile gli serve da modello: egli lo studia, e quindi scopre ciò che deve togliere o deve aggiungere per ottenere il meglio. E adesso, dopo questi ragionamenti, ancora altri fatti.

Alla prima rappresentazione di Ines di Castro, nel punto in cui compaiono i bambini, il pubblico si mette a ridere; la Duclos, che impersonava Ines, dice indignata al pubblico: “Sciocco pubblico, ridi pure nel momento più bello dello spettacolo!” Il pubblico la udì e si contenne, l’attrice riprese a recitare e le sue lacrime scorsero insieme a quelle degli spettatori. Come dunque! Si va e viene così da un sentimento profondo a un altro, dal dolore all’indignazione, dall’indignazione al dolore? Non riesco a capirlo; ma ciò che capisco molto bene è che l’indignazione della Duclos era reale e il suo dolore simulato.

Quinault-Dufresne sostiene il ruolo di Severo in Poliuto. Era stato inviato dall’imperatore Decio a perseguitare i cristiani. Egli confida all’amico i suoi segreti pensieri su quella setta calunniata. Il senso comune esigeva che questa confidenza, che poteva costargli il favore del principe, la dignità, la ricchezza, la libertà e forse la vita, venisse fatta a bassa voce. Il pubblico gli grida: “Più forte!”. Egli replica al pubblico: “ E voi, signori, più piano!” Se fosse stato realmente Severo, sarebbe ridiventato così in fretta Quinault? No, ve l’assicuro, no. Soltanto l’uomo padrone di se stesso, come certamente egli era, l’attore raro, l’attore per eccellenza, può abbandonare e riprendere a quel modo la propria maschera.

Le Kain-Ninias scende nella tomba di suo padre, vi sgozza la madre, ne esce con le mani insanguinate. E’ pieno di orrore, ha le mani tremanti, lo sguardo sconvolto, i capelli sembra che gli si rizzino in testa. Voi sentite fremere i vostri, siete colto dal terrore, siete sconvolto quanto lui. Tuttavia Le Kain-Ninias spinge verso le quinte con il piede un pendente di diamanti che si era staccato dall’orecchio di un’attrice. Direte forse che è un cattivo attore? Non ci credo. Che cos’è dunque Le Kain-Ninias? E’ un uomo freddo che non sente nulla, ma che recita superbamente la sensibilità. Ha un bel gridare: “Dove sono?” Gli rispondo: “Dove sei? Lo sai bene: sei su un palcoscenico e spingi verso le quinte con il piede un orecchino”. Un attore si è invaghito di un’attrice; casualmente, una commedia li pone in una scena di gelosia. Se l’attore è mediocre la scena vi guadagnerà, vi perderà se è un vero attore; allora il grande attore diventa se stesso e non è più il modello ideale e sublime che si è fatto di un geloso. Una prova che in questo caso l’attore e l’attrice scendono al livello della vita comune è che, se restassero sui trampoli, si riderebbero in faccia, la gelosia ampollosa e tragica sovente non gli sembrerebbe che una parodia della loro.

SECONDO

Tuttavia vi saranno verità di natura.

PRIMO

Come ve n’è nella statua dello scultore che ha reso fedelmente un cattivo modello. Ammiriamo questa verità, ma troviamo l’insieme povero e di poco conto.

Dirò di più: un mezzo sicuro per recitare miseramente, meschinamente, è quello di dover recitare il proprio carattere. Se siete un tartufo, un avaro, un misantropo, lo reciterete bene; ma non farete nulla di ciò che ha fatto il poeta, perché egli ha creato il Tartufo, l’Avaro e il Misantropo.

SECONDO

Che differenza vedete tra un tartufo e il Tartufo?

PRIMO

Il funzionario Billard è un tartufo, l’abate Grizel è un tartufo, ma non sono il Tartufo. Il finanziere Toinard era un avaro, ma non era l’avaro. L’Avaro e il Tartufo sono stati creati a partire da tutti i Toinard e da tutti i Grizel el mondo, ne possiedono i tratti più generali e più marcati, ma non sono il ritratto fedele di alcuno di loro; quindi nessuno vi si può riconoscere.

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Le commedie brillanti, e anche quelle di carattere, sono esagerate. La battuta da salotto è una spuma leggera che sulla scena evapora; la battuta di teatro è un’arma tagliente che in società ferirebbe. Verso individui  immaginari non si ha il riguardo che è dovuto a individui reali.

Si satireggia su un tartufo, ma una commedia la si fa sul Tartufo. La satira colpisce un vizioso, la commedia colpisce un vizio. Se vi fossero state soltanto una o due “preziose ridicole” se ne sarebbe potuto fare una satire, non una commedia.

Andate da La Grenèe, chiedetegli di rappresentare la Pittura, e vedrete che penserà di aver soddisfatto alla vostra richiesta non appena avrà messo sulla tela una donna davanti a un cavalletto, con la tavolozza infilata nel pollice e il pennello in mano. Chiedetegli la Filosofia: crederà di averla rappresentata non appena avrà dipinto una donna in vestaglia, spettinata e pensosa, che seduta a uno scrittoio, di notte, al lume di una lampada, legge o medita appoggiata sul gomito. Chiedetegli la Poesia, e dipingerà la stessa donna con il capo cinto di alloro e con un cartiglio in mano. Per la Musica sarà ancora la stessa donna, con una lira al posto del cartiglio. Chiedetegli la Bellezza, chiedetela a uno anche più abile di lui. Mi sbaglierò di grosso, ma costui sarà convinto che dalla sua arte non esigete altro che il ritratto di una bella donna. Il vostro attore e questo pittore cadono entrambi nello stesso errore, e io dirò loro: “Il vostro quadro, la vostra recitazione non sono che ritratti molto inferiori all’idea generale che il poeta ha tracciato e al modello ideale che speravo di vedere copiato. La vostra vicina è bella, molto bella, d’accordo: ma non è la Bellezza. Tra la vostra opera e il vostro modello vi è la stessa distanza  che tra il vostro modello e l’ideale”.

SECONDO

Ma questo modello ideale non è una chimera?

PRIMO

No.

SECONDO

Ma dal momento che è ideale, non esiste. ora, non vi è nulla nell’intelletto che prima non sia stato nei sensi.

PRIMO

E’ vero. Ma prendiamo un’arte alla sua origine; la scultura, per esempio. Essa copiò il primo modello che ebbe davanti. In seguito vide che esistevano modelli meno imperfetti e lì preferì. Ne corresse i difetti più grossi, poi quelli più piccoli, fino a quando, con una lunga successione di aggiustamenti, raggiunse un’immagine che non si trovava più in natura.

SECONDO

E perché?

PRIMO

Perché è impossibile che lo sviluppo di una macchina così complessa sia regolare. Andate alle Tuileries o ai Champs-Elysèes in un bel giorno di festa; osservate tutte le donne che riempiono i viali, e non troverete una sola che abbia gli angoli della bocca perfettamente identici. La Danae del Tiziano è un ritratto, l’Amore che sta in piedi del suo giaciglio è ideale. In un quadro di Raffaello che è passato dalla galleria di Thiers a quella di Caterina II, IL San Giuseppe è un uomo comune, la Vergine è una bella donna reale. Il Bambin Gesù è ideale. Ma se volete saperne di più su questi principi speculativi dell’arte, vi farò avere i miei Salons.

SECONDO

Ne ho sentito parlare in modo elogiativo da un uomo di gusto raffinato e di animo sensibile.

PRIMO

Il signor Suard.

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SECONDO

E da una donna che possiede tutto ciò che la purezza di un animo angelico può aggiungere alla raffinatezza del gusto.

PRIMO

La signora Necker.

SECONDO

Ma torniamo al nostro argomento.

PRIMO

D’accordo, anche se preferisco lodare le virtù che discutere su questioni piuttosto oziose.

SECONDO

Quinault-Dufresne, che era di carattere vanitoso, recitava meravigliosamente il Vanitoso.

PRIMO

E’ vero. Ma come sapete che recitava se stesso? Perché la natura non può aver fatto di lui un vanitoso molto vicino al limite che separa il bello reale dal bello ideale, limite sul quale si esercitano le diverse scuole?

SECONDO

Non vi capisco.

PRIMO

Sono più chiaro nei miei Salons, in cui vi consiglio di leggere il brano sulla Bellezza in generale. Nel frattempo, ditemi. Quinanlt-Dufrense è orosmane? No. Eppure, chi ha potuto o potrà sostituirlo in questo ruolo? Era l’uomo del Pregiudizio alla moda? No. Eppure, con quanta verità lo interpretava!

PRIMO

Forse proprio perché non è nulla è tutto per eccellenza, poiché la sua forma particolare non contrasta mai con le forme esteriori che deve assumere. Tra tutti coloro che hanno esercitato l’utile e bella professione di attore o di predicatore laico, uno degli uomini più onesti, uno degli uomini che più ne aveva l’aspettto, il tono e il portamento, il fratello del Diavolo zoppo, di Gil Blas, del Baccelliere di Salamanca, Montmenil…

SECONDO

Il figlio di Le Sage, padre comune di tutta questa amena famiglia…

PRIMO

…impersonava con uguale successo Aristo nella Pupilla, Tartufo nella commedia omonima, Mascarello nelle Furberie di Scapino, l’avvocato o il signor Guillaume nella farsa Patbelin.

SECONDO

L’ho visto.

PRIMO

E con vostro grande stupore aveva la maschera di tutti questi volti diversi. Non per natura, poiché la Natura gli aveva dato soltanto la sua; le altre gli venivano dunque dall’arte.

Esiste forse una sensibilità artificiale’ ma che sia finta o che sia innata, la sensibilità non si esprime in tutti i ruoli. Qual è dunque la qualità acquisita o naturale che fa grande un attore nell’Avaro, nel Giocatore, nell’Adulatore, nel Brontolone, nel Medico suo malgrado, l’individuo meno sensibile e più immorale che la

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poesia abbia finora inventato, nel Borghese gentiluomo, nel Malato o nel Cornuto immaginari; in Nerone, Mitriade, Atreo, Foca, Sertorio, e in tanti altri caratteri tragici o in cui la sensibilità è diametralmente opposta allo spirito del ruolo? E la facilità nel conoscere e nel copiare tutte le nature. Datemi retta, non moltiplichiamo le cause quando una sola è sufficiente a spiegare tutti i fenomeni.

A volte il poeta ha sentito più fortemente dell’attore, altre volte, e forse più spesso, l’attore ha inteso più fortemente del poeta, e nulla è più vero di questa uscita di Voltaire mentre ascoltava la Clairon in una delle sue commedie: “Sono veramente io che ho fatto questo?”. La Clairon ne sa più forse più di Voltaire? In quel momento, almeno, il suo modello ideale di recitazione era ben al di là del modello ideale che il poeta si era fatto scrivendo, ma quel modello ideale non era lei stessa. Qual era dunque il suo talento? Quello di saper immaginare un grande fantasma e di copiarlo in modo geniale. Essa imitava il movimento, le azioni, i gesti, l’espressione completa di un essere molto al di sopra di lei. Aveva trovato ciò che Eschine, recitando un’orazione di Demostene, non seppe mai rendere. Il muggito della bestia. Egli cideva ai discepoli: “Se ciò colpisce così fortemente, che cosa sarebbe mai accaduto si audivissetis bestiam muggente?” Il poeta aveva generato il terribile animale, la Clairon lo faceva muggire.

Sarebbe uno strano abuso verbale chiamare sensibilità questa capacità di esprimere tutte le nature, anche quelle feroci. La sensibilità, secondo l’unica accezione in cui finora è stato usato questo termine, a me sembra quella disposizione connessa alla debolezza degli organi, effetto della mobilità del diaframma, della vivacità d’immaginazione, della delicatezza dei nervi, che induce a compatire, a fremere, ad ammirare, a temere, a turbarsi, a piangere, a svenire, a soccorrere, a fuggire, a gridare, a perdere la ragione, a esagerare, a disprezzare, a respingere, a non avere alcuna idea precisa del vero, del buono e del bello, ad essere ingiusto, ad essere pazzo. Moltiplicate gli animi sensibili e moltiplicherete in eguale proporzione le buone e le cattive azioni di ogni genere, gli elogi e i rimproveri eccessivi.

Poeti, lavorate per una nazione delicata, vaporosa e sensibile; rifugiatevi dunque nelle armoniose, tenere e toccanti elegie di Racine; essa rifuggirebbe dalle carneficine di Shakespeare: quegli animi deboli sono incapaci di sopportare scosse violente. Guardatevi bene dal mostrar loro immagini troppo forti. Mostrate loro, se volete,

Il figlio ancor grondante dell’uccisione del padre,

che con la sua testa in mano, chiede la ricompensa;

ma non andate oltre. Se, con Omero, osate dir loro: “Dove vai, infelice? Non sai dunque che a me il cielo affida i figli dei padri sventurati; non avrai gli ultimi abbracci di tua madre; già ti vedo disteso a terra, già vedo gli uccelli predatori, raccolti intorno al tuo cadavere, strapparti gli occhi dalla testa, sbattendo le ali per la gioia”; tutte le donne griderebbero voltando la testa: “Ah! Che orrore!...”. Sarebbe ancor peggio se queste parole, pronunciate da un grande attore, fossero per giunta rafforzate dalla sua recitazione autentica.

SECONDO

Sono tentato di interrompervi per chiedervi ciò che pensate di quel vaso presentato a  Gabriella di Vergy, in cui essa vede il cuore sanguinante dell’amante.

PRIMO

Vi risponderò che bisogna essere coerenti, e che se ci si rivolta contro questo spettacolo non si deve accettare che Edipo si mostri con gli occhi accecati, e che bisogna cacciare di scena Filottete che, tormentato dalla sua ferita, esprime il dolore con grida inarticolate. Gli antichi, a me sembra, avevano un’idea della tragedia diversa dalla nostra, e quegli antichi erano i Greci, erano gli Ateniesi, quel popolo così raffinato che ci ha lasciato, in ogni campo, modelli che le altre nazioni non hanno ancora eguagliato. Eschilo, Sofocle, Euripide non vegliavano anni interi soltanto per produrre quelle piccole impressioni fugaci che si dissipano nell’allegria di una cena. volevano rattristare profondamente sulla sorte degli sventurati; non volevano soltanto divertire i loro concittadini, ma anche renderli migliori. Avevano torto? Avevano ragione? A questo scopo facevano correre sulla scena le Eumenidi sulle tracce del parricida, guidare dall’odore del sangue che colpiva il loro olfatto. Avevano troppo senno per applaudire a questi intrighi, a

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questi giochetti di prestigio con i pugnali, buoni soltanto per i bambini. Una tragedia, secondo me, non è che una bella pagina di storia intervallata da un certo numero di pause fisse. Si attende lo sceriffo. Arriva. Interroga il signore del villaggio. Gli propone di rinnegare la sua fede. Egli rifiuta. Lo condanna a morte. Lo manda in prigione. La figlia viene a chiedere la grazia per il padre. lo sceriffo gliela concede a una condizione ripugnante. Il signore del villaggio viene giustiziato. Gli abitanti danno la caccia allo sceriffo. Rgli fugge davanti a loro. L’amante della figlia del signore lo uccide con una pugnalata, e il feroce; e il feroce intollerante muore tra le imprecazioni. A un poeta non occorre di più per comporre una grande opera. Che la figlia vada a interrogare la madre sulla sua tomba, per sapere ciò che deve fare per colui che le ha dato la vita. Che sia incerta sul sacrificio dell’onore che le viene richiesto. Che, in questa incertezza, tenga l’amante lontano da sé e respinga i suoi discorsi appassionati. Che ottenga il permesso di vedere suo padre in prigione. Che suo padre voglia unirla all’amante e che essa non vi acconsenta. Che essa si prostituisca. Che, mentre si prostituisce, suo padre venga giustiziato. Che voi ignorate che si è prostituita fino al momento in cui l’amante, trovandola afflitta dalla morte del padre che le ha annunciato, ne apprende il sacrificio compiuto per salvarlo. Che a quel punto arrivi lo sceriffo, inseguito dal popolo, e che sia massacrato dall’amante. Ecco una parte dei dettagli di un simile soggetto.

SECONDO

Una parte!

PRIMO

Sì, una parte. Credete che i giovani amanti non proporranno al signore del villaggio di salvarsi? Che gli abitanti non gli proporranno di sterminare lo sceriffo e i suoi accoliti? Che non vi sarà un prete difensore della tolleranza? Che in quel giorno di dolore l’amante rimarrà in ozio? Credete che non vi siano legami tra questi personaggi? Che non vi sia da trarre alcun partito di tali legami? Che lo sceriffo non potrebbe essere stato innamorato della figlia del signore del villaggio? Che non potrebbe essere ritornato con l’animo gonfio di vendetta sia contro il padre che lo aveva scacciato dal villaggio, sia contro la figlia che lo aveva respinto? Quanti episodi importanti si possono trarre dal più semplice dei soggetti, quando si ha la pazienza di studiarlo! Come si può farli risaltare quando si è eloquenti! Non si può essere poeti drammatici se non si è eloquenti. E credete che mancherò di spettacolarità? Quell’interrogativo avverrà con tutto il suo apparato. Lasciate soltanto che disponga di un teatro…e poniamo fine a questa digressione.

Ti prendo a testimone, Roscio inglese, celebre Garrick; tu che a giudizio unanime di tutte le nazioni esistenti passi per il più grande attore mai conosciuto, rendi omaggio alla verità! Non mi hai forse detto che, per quanto fossi molto sensibile, la tua recitazione, qualunque fosse la passione o il carattere da interpretare, sarebbe stata debole se non avessi saputo elevarti con il pensiero all’altezza di un fantasma omerico con cui cercavi di identificarti? Quando ti obiettai che dunque non recitavi te stesso, confessalo, non mi confidasti che te ne guardavi bene, e che apparivi così stupefacente sulla scena soltanto perché mostravi sempre allo spettatore un essere immaginario che non eri tu?

SECONDO

L’animo di un grande attore è stato formato da quell’elemento sottile con cui il nostro filosofo riempiva lo spazio, che non è né freddo né caldo, né pesante né leggero, che non assume alcuna forma specifica perché, suscettibile di averle tutte allo stesso modo, non ne conserva alcuna.

PRIMO

Un grande attore non è né un pianoforte, né un’arpa, né un clavicembalo, né un violino, né un violoncello; non ha un accordo che gli sia proprio, ma assume l’accordo e il tono adatti alla sua parte, e sa conformarsi a tutte. Ho un altro concetto del talento di un grande attore: è un uomo raro, raro quanto e forse più del grande poeta.

Colui che in società si propone di piacere a tutti, e ne ha l’infelice talento, non è nulla, non ha nulla che gli appartenga, che lo distingua, che entusiasmi gli uni e annoi gli altri. Parla sempre, e sempre bene; è un adulatore di professione, un grande cortigiano, un grande attore.

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SECONDO

Un grande cortigiano, abituato fin dal primo respiro al ruolo di una marionetta meravigliosa, assume ogni sorta di forme a seconda del filo che ha in mano il suo padrone.

PRIMO

Anche il grande attore è una marionetta meravigliosa, e il poeta ne tiene il filo indicandole a ogni riga la forma precisa che deve assumere.

SECONDO

Dunque un cortigiano o un attore che possono assumere soltanto una forma, per quanto bella e interessante essa sia, non sono che due cattive marionette?

PRIMO

Non ho intenzione di denigrare una professione che amo e che stimo – intendo quella dell’attore. Sarei rattristato se le mie osservazioni, interpretate male, gettassero un’ombra di disprezzo su uomini di un talento raro e di un’utilità reale, sui fustigatori del ridicolo e del vizio, sui predicatori più eloquenti dell’onestà e della virtù, sulla verga di cui l’uomo di genio si serve per castigare i cattivi e i pazzi. Ma guardatevi intorno, e vedrete che le persone sempre allegre non hanno né grandi difetti né grandi qualità, che i piacevoli di professione sono comunemente uomini frivoli, senza alcun solido principio; e che coloro che, simili a certi individui che circolano nella nostra società, non hanno alcun carattere, sono eccellenti nel recitarli tutti. Un attore non ha forse un padre, una madre, figli, fratelli, conoscenti, amici, un’amante? Se fosse dotato di quella sensibilità squisita che è considerata la qualità principale della sua professione, perseguitato e colpito come noi da un’infinità di pene che si succedono le une alle altre, a volte macchiandoci l’animo e a volte straziandolo, quanto tempo rimarrebbe loro per divertirci? Ben poco. Il gentil’uomo di camera interporrebbe invano il suo potere sovrano, l’attore sarebbe spesso costretto a rispondergli: “Signore, oggi non posso ridere; e ciò che mi fa piangere è ben altro che le preoccupazioni di Agamennone”. Tuttavia non sembra che le pene della vita, frequenti sia per essi che per noi, e molto avverse al libero esercizio della loro funzione, li costringano spesso a interrompersi.

In società quando non fanno i buffoni, li trovo educati, caustici e freddi, fastosi, dissipati, dissipatori, interessati, più colpiti dalle nostre ridicolaggini che dai nostri mali; abbastanza tranquilli di fronte a un episodio increscioso o al racconto di una vicenda patetica, isolati, vagabondi, al servizio dei grandi, poca moralità, nessun amico, quasi nessuna di quelle relazioni sante e dolci che ci uniscono alle pene e ai dispiaceri di un’altra persona, che a sua volta condivide i nostri. Ricordo do aver visto sovente un attore ridere fuori scena, ma non ricordo di averne mai visto uno piangere. Che cosa ne fanno della sensibilità che si arrogano e che viene loro attribuita? La lasciano sul palcoscenico quando ne scendono per poi riprenderla quando vi salgono di nuovo?

Che cosa li spinge a calzare il socco o il coturno? La mancanza di educazione, la miseria e il libertinaggio. Il teatro è un ripiego, mai una scelta. Nessuno è mai diventato attore per il piacere della virtù, per il desiderio di essere utile alla società e di servire il proprio paese o la propria famiglia, per qualcuno degli onesti motivi che potrebbero spingere uno spirito retto, un cuore generoso, un animo sensibile verso una professione così bella.

Anch’io da giovane, ero indeciso tra Sorbona e la Comèdie. D’inverno con il freddo più intenso, andavo a recitare ad alta voce dialoghi di Moliere e di Corneille nei viali solitari di Luxembourg. Qual’era il mio proposito? Di venire applaudito? Forse. Di vivere familiarmente con le attrici, che trovavo infinitamente piacevoli e che sapevo molto facili? Certamente. Non so che cosa avrei fatto per piacere alla Gaussin, che allora debuttava ed era la bellezza personificata; alla Dangeville, che in scena era così attraente.

E’ stato detto che gli attori non avrebbero alcun carattere, perché recitandoli tutti perderebbero quello che la natura ha dato loro, che diventerebbero falsi, così come il medico, il chirurgo e il macellaio diventano duri. Ma io credo che si sia scambiata la causa per l’effetto, e che essi siano preparati a recitarli tutti perché non ne possiedono alcuno.

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SECONDO

Non si diventa crudele perché si fa il carnefice, si fa il carnefice perché si è crudeli.

PRIMO

Ho un bell’osservare quegli uomini. In loro non vedo nulla che li distingua dagli altri cittadini, se non un vanità che si potrebbe quasi definire insolenza, e una gelosia che riempie di turbamenti e di odi la loro congrega. Tra tutte le associazioni, non ve n’è forse alcuna in cui l’interesse comune e quello del pubblico vengano sacrificati più costantemente e con più evidenza a piccole e miserabili pretese. Tra loro l’invidia è ancora peggiore che tra gli autori. So che è dir molto, ma è vero. Un poeta perdona a un altro poeta il successo di una commedia più facilmente di quanto un’attrice perdoni a un’altra attrice gli applausi che la fanno notare da qualche illustre e ricco debosciato. Li vedete grandi in scena perché hanno un animo, dite voi; io invece li vedo piccoli e vili in società perché non ne hanno affatto. Dietro i ragionamenti e il tono di Camilla e del vecchio Orazio, vi è sempre la moralità di Frosina e di Sganarello. Ora, per giudicare il profondo del cuore, devo rifarmi a discorsi presi in prestito ma resi meravigliosamente, o alla natura degli atti e al modo di vivere?

SECONDO

Ma un tempo, Moliere, i Quinault, Montmenil, oggi Brizard e Caillot, che è accolto ugualmente bene sia dai grandi che dagli umili, e a cui affidereste senza timore il vostro segreto e la vostra borsa, e con il quale l’onore di vostra moglie e l’innocenza di vostra figlia sarebbero molto più al sicuro che con quel tal signore di corte o con quel talaltro  rispettabile ministro della nostra Chiesa…

PRIMO

L’elogio non è esagerato. Mi rattrista soltanto di non sentir citare un maggior numero di attori che l’abbiano meritato o che lo meritino. Mi rattrista che tra quei detentori per professione di una qualità che è la fonte preziosa e feconda di tante altre, un attore galantuomo, un’attrice di costumi onesti siano fenomeni così rari.

Dobbiamo concludere che è falso che essi ne abbiano il privilegio speciale, e che la sensibilità che li dominerebbe in società come in scena, se ne fossero dotati, non è il fondamento del loro carattere né la ragione del loro successo, che essa appartiene loro né più né meno che a questa o a quella condizione sociale, e che se vediamo così pochi grandi attori, è perché i genitori non destinano mai i figli al teatro, e perché non vi si viene mai preparati con un’educazione iniziata in gioventù; è perché una compagnia di attori non è mai, come dovrebbe accadere presso un popolo che attribuisse le giuste ricompense alla funzione di parlare agli uomini radunatisi per venire istruiti, divertiti, corretti, una corporazione formata, come tutte le altre comunità, da soggetti presi da tutte le famiglie della società e spinti alla scena – come alla carriera militare, giuridica, ecclesiastica – da una scelta o da un’inclinazione e con il consenso dei loro tutori naturali.

SECONDO

La decadenza degli attori moderni mi sembra un’infelice eredità lasciata loro dagli attori antichi.

PRIMO

Sono d’accordo.

SECONDO

Se lo spettacolo fosse nato oggi, che si ha una idea più giusta delle cose, forse…Ma non mi ascoltate. A che cosa pensate?

PRIMO

Sto seguendo la mia prima idea, e penso all’influenza che lo spettacolo potrebbe avere sul buon gusto e sui costumi se gli attori fossero persone dabbene e se la loro fosse una professione onorata. Quale poeta oserebbe proporre a uomini bennati di ripetere pubblicamente discorsi banali o volgari; a donne serie quasi

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quanto le nostre, di spiattellare spudoratamente di fronte a una folla di spettatori ragionamenti che nel segreto delle loro case ascolterebbero arrossendo? Ben presto i nostri autori drammatici raggiungerebbero una purezza, una delicatezza, un’eleganza di cui sono più lontani di quanto suppongano. Allora, pensate che lo spirito nazionale non ne trarrebbe giovamento?

SECONDO

Forse vi si potrebbe obiettare che le opere antiche e moderne che i vostri attori onesti escluderebbero dal loro repertorio, sono precisamente quelle che recitiamo in società.

PRIMO

E che cosa importa se i nostri concittadini si abbassano al livello dei più vili istrioni’ sarebbe perciò meno utile, meno auspicabile che i nostri attori si elevassero al livello dei cittadini più onesti?

SECONDO

La metamorfosi non è facile.

PRIMO

Quando feci rappresentare “ Il padre di famiglia”, il magistrato di polizia mi esortò a proseguire con questo genere.

SECONDO

Perché non lo avete fatto!

PRIMO

Perché non avendo ottenuto il successo che mi ero ripromesso, e pensando di non poter fare molto di meglio, mi disamorai di una carriera per la quale riconobbi di non avere sufficiente talento.

SECONDO

E perché questa commedia, che oggi riempie la sala di spettatori prima delle quattro e mezza, e che gli attori mettono in scena ogni volta che hanno bisogno di un migliaio di scudi, all’inizio venne accolta così tiepidamente?

PRIMO

Alcuni dicevano che i nostri costumi erano troppo complicati per poter adattarsi a un genere così semplice, troppo corrotti perché si potesse apprezzare un genere così saggio.

SECONDO

Non è verosimile.

PRIMO

Ma l’esperienza ha ben dimostrato che non era vero, perché non siamo certo diventati migliori. D’altronde la verità, l’onestà hanno un tale ascendente su di noi, che se l’opera di un poeta possiede queste due caratteristiche e l’autore ha del genio, il successo sarà più che mai sicuro. Più tutto è falso, più si ama il vero, più tutto è corrotto, più lo spettacolo è puro. Il cittadino che si presenta all’ingresso della Comèdie vi lascia tutti i suoi vizi per riprenderli soltanto all’uscita. Lì dentro è giusto, imparziale, buon padre, buon amico, innamorato delle virtù; e sovente ho visto accanto a me dei cattivi soggetti profondamente indignati per azioni che non avrebbero tralasciato di commettere se si fossero trovati nelle stesse situazioni in cui il poeta aveva messo il personaggio che essi esecravano. Se all’inizio non ebbi successo, è perché quel genere era estraneo agli spettatori e agli attori; è perché vi era un pregiudizio radicato, e tuttora saldo, verso la cosiddetta commedia lacrimosa; è perché avevo un nugolo di nemici a corte, in città, tra i magistrati, tra gli ecclesiastici, tra i letterati.

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SECONDO

E perché vi eravate attirato tanti odi?

PRIMO

Non lo so, sul serio, perché non ho mai satireggiato né contro i potenti né contro gli umili, e non ho ostacolato a nessuno la via della ricchezza e degli onori. E’ però vero che appartengono al numero di coloro che sono chiamati filosofi, che a quel tempo erano considerati cittadini pericolosi, e contro i quali il ministro aveva sguinzagliato due o tre subalterni scellerati, senza coraggio, senza intelletto, e ciò che è peggio senza talento. Ma lasciamo stare.

SECONDO

Senza contare che quei filosofi in generale avevano reso il compito dei poeti e dei letterati molto più difficile. Per diventare noto non bastava più saper scodellare un madrigale o una strofetta oscena.

PRIMO

Può darsi. Un giovane dissoluto, invece di recarsi con assiduità allo studio del pittore, dello scultore, dell’artista che lo ha adottato, ha sprecato gli anni più preziosi della sua vita, e a vent’anni è rimasto senza risorse e senza talento. Che cosa volete che diventi? O soldato o attore. Eccolo dunque arruolato in una compagnia di provincia. Vagabonda fino a quando potrà permettersi un debutto nella capitale. Una creatura infelice è marcita nel fango della deboscia, stanca della più abietta delle condizioni, quella di cortigiana, impara a memoria alcune parti, poi un mattino va dalla Clairon, come lo schiavo antico andava dall’edile o dal pretore. Costei la prende per mano, le fa fare una giravolta, la tocca con il suo bastoncino e le dice. “Puoi andare a far ridere o piangere i babbei”. Sono scomunicati. Quello stesso pubblico che non può farne a meno, li disprezza. Sono come schiavi sempre sotto la sferza di altri schiavi. Pensate che i segni di questo incessante avvilimento non lascino traccia, e che sotto il fardello dell’ignominia possa esservi un animo abbastanza saldo da rimanere all’altezza di Corneille?

Il dispotismo che viene esercitato su di loro, essi lo esercitano sugli autori, e non so chi sia più vile tra l’attore insolente e l’autore che lo sopporta.

SECONDO

Vogliono venire rappresentati…

PRIMO

…a qualunque condizione. Sono tutti stanchi del loro mestiere. Lasciate il vostro denaro al botteghino, e subito si stancheranno della vostra presenza e dei vostri applausi.

Soddisfatti per gli incassi ottenuti dai palchi, sono stati sul punto di decidere che l’autore rinunciasse al suo compenso, altrimenti non avrebbero accettato la sua opera.

SECONDO

Ma questo progetto avrebbe portato all’estinzione del genere drammatico.

PRIMO

E a loro che cosa importa?

SECONDO

Penso che vi rimanga poco da dire.

PRIMO

Vi sbagliate. Devo prendervi per mano e condurvi dalla Clairon, quella maga incomparabile.

SECONDO

Lei almeno era orgogliosa della sua professione.

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PRIMO

Come lo sono tutte quelle che hanno avuto successo. il teatro è disprezzato soltanto dagli attori che sono stati scacciati a fischi. Devo mostrarvi la Clairon nei suoi reali impeti di collera. Se in simili momenti mantenesse il contegno, il tono, il modo di fare che ha in teatro, con tutta la sua affettazione, non vi mettereste le mani sui fianchi e potreste contenere le risa? Che cosa mi insegnate, dunque? Non volete ammettere che la sensibilità vera e la sensibilità recitata sono decisamente due cose molto diverse? Ridete di ciò che a teatro avreste ammirato’ e perché, se non vi dispiace dirmelo? Perché la collera della Clairon sembra collera simulata, e voi sapete distinguere con esattezza la maschera di tale passione dalla sua persona. Le immagini delle passioni, a teatro, non ne sono le vere immagini, ne sono soltanto ritratti eccessivi, grandi caricature sottoposte a regole convenzionali. Ora, interrogatevi, chiedetevi: quale artista si atterrà più strettamente alle regole stabilite? Quale attore si impadronirà meglio dell’ampollosità prescritta: l’uomo dominato dal proprio carattere, l’uomo nato senza carattere, o l’uomo che se ne spoglia per vestirne un altro più grande, più nobile, più violento, più elevato? Si è se stessi per natura, si diventa un altro per imitazione; il cuore che crediamo di possedere non è quello che possediamo. Qual è dunque il vero talento? Quello di conoscere bene i sintomi esteriori dell’animo preso in prestito, di fare appello alle sensazioni di coloro che ci ascoltano, che ci vedono, e di ingannarli con l’imitazione di questi sintomi, con una imitazione che ingrandisce tutto nella loro mente e che diventa il loro metro di giudizio, perché è impossibile apprezzare in un altro modo ciò che accade dentro di noi. E che cosa ci importa, alla fine, se essi sentono o non sentono, purchè noi li ignoriamo?

Colui che conosce meglio e che rende più perfettamente questi segni esteriori, partendo dal modello ideale meglio concepito, è dunque l’attore più grande.

SECONDO

Colui che lascia meno libertà di immaginazione al grande attore è il più grande dei poeti.

PRIMO

Stavo per dirlo. Quando, per una lunga consuetudine con la scena, si conserva anche in società l’enfasi teatrale e vi si porta Bruto, Cinna, Mitridate, Cornelia, Merope, Pompeo, sapete che cosa si fa? Si applica a un animo piccolo o grande, della misura esatta che Natura gli ha dato, i segni esteriori di un animo esagerato e gigantesco; e da qui nasce il ridicolo.

SECONDO

Che satira crudele state facendo, con innocenza o con malizia, degli attori e degli autori!

PRIMO

Come sarebbe a dire?

SECONDO

Credo che sia permesso a chiunque di avere un animo forte e grande, che sia permesso di avere il contegno, il modo di pensare e di agire del proprio animo, e credo che l’immagine dell’autentica grandezza non possa mai essere ridicola.

PRIMO

E di conseguenza?

SECONDO

Ah, traditore! Non osiate dirlo, e toccherà a me incorrere nell’indignazione generale per voi. Il fatto è che la vera tragedia è ancora da trovare e che, pur con i loro difetti, gli antichi vi si erano forse avvicinati più di noi.

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PRIMO

In effetti rimango incantato nel sentire Filottete che dice con tanta semplicità e con tanta forza a Neottolemo, che gli restituisce le frecce di Ercole dopo avergliele rubate su istigazione di Ulisse: “Vedi che azione avevi commesso: senza accorgersene, condannavi un infelice a morire di dolore e di fame. Il tuo furto è il delitto di un altro, il pentimento è tuo. No, tu non avresti mai pensato a commettere una simile indegnità se fossi stato da solo. Pensa dunque, figlio mio, com’è importante alla tua età frequentare soltanto persone oneste. Ecco che cosa avevi da guadagnare dalla compagnia di uno scellerato. E perché associarti così a un uomo di quella specie? Era uno come costui che tuo padre avrebbe scelto per compagno ed amico? Quell’ottimo padre che non si lasciò mai avvicinare dai più illustri personaggi dell’esercito, che cosa ti direbbe se ti vedesse con Ulisse?...”

Vi è qualcosa, in questo discorso, che voi non direste a mio figlio, che io non direi al vostro?

SECONDO

No.

PIRMO

Eppure è bello.

SECONDO

Certamente.

PRIMO

E il tono di questo discorso, pronunciato in scena, è diverso da quello con cui lo si pronuncerebbe in società?

SECONDO

Non credo.

PRIMO

E in società questo tono sarebbe ridicolo?

SECONDO

Niente affatto.

PRIMO

Più le azioni sono forti e i pensieri sono semplici, più io ne rimango ammirato. Temo proprio che per cent’anni abbiamo scambiato la rodomontata di Madrid per l’eroismo di Roma, e che abbiamo mescolato il tono della musa tragica con il linguaggio della musa epica.

SECONDO

Il nostro verso alessandrino è troppo lungo e troppo nobile per il dialogo.

PRIMO

E il nostro decasillabo è troppo frivolo e troppo delicato. Comunque sia, vorrei che non andaste alla rappresentazione di qualche tragedia romana di Corneille se non dopo la lettura delle lettere di Cicerone ad Attico. Come sono ampollosi, per me, i nostri autori drammatici! Come trovo sgradevoli le loro declamazioni quando penso alla semplicità e al nerbo del discorso di Regolo, che dissuade il Senato e il popolo romano dallo scambiare i prigionieri! Ecco come si esprime in un’ode, componimento che richiede ben più calore, più movimento e più enfasi di un monologo tragico, ecco ciò che dice: “Ho visto le nostre insegne appese nei templi di Cartagine. Ho visto il soldato romano spogliato delle sue armi, che non erano macchiate da una sola goccia di sangue. Ho visto l’oblio della libertà, e cittadini con le braccia legate dietro

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la schiena. Ho visto le porte della città spalancate, e il grano coprire i campi che avevamo devastato. E voi credete che, ricomprati con il denaro, ritorneranno più coraggiosi? Voi aggiungete il danno all’ignominia. La virtù, scacciata da un animo fattosi vile, non vi ritorna. Non aspettatevi nulla da colui che potendo morire si è lasciato trarre in catene. O Cartagine, come sei grande e orgogliosa della nostra vergogna!...”

tale fu il suo discorso e tale la sua condotta.

Rifiuta l’abbraccio della moglie e dei figli, se ne reputa indegno come un vile schiavo. Tiene fisso a terra lo sguardo fiero, e disdegna il pianto degli amici, fino a quando riesce a convincere i senatori ad accettare un consiglio che egli solo era capace di dare, e fino a quando gli viene permesso di ritornare in esilio.

SECONDO

Ciò è semplice e bello, l’eroe si rivela tale un momento dopo.

PRIMO

Avete ragione.

SECONDO

Egli era a conoscenza del supplizio che un nemico feroce gli preparava. Tuttavia ridiventava sereno, e si libera dei familiari, che cercavano di rimandare il suo ritorno, con la stessa decisione con cui prima si liberava della folla dei clienti per andare a riposarsi dalla fatica degli affari nei campi di Venafro o nel suo potere di Taranto.

PRIMO

Molto bene. Adesso mettetevi una mano sulla coscienza e ditemi se nei nostri poeti vi sono molti passi di tono adeguato a una virtù così alta, così familiare, e che effetto vi farebbero in quella bocca le nostre tenere geremiadi o la maggior parte delle fanfaronate alla Coeneille.

Quante cose oso confidare soltanto a voi! Verrei lapidato per strada se mi sapessero colpevole di questa bestemmia – e non vi è alcuna specie di martirio di cui ambisca l’alloro.

Se un giorno accadrà che un uomo di genio osi dare ai suoi personaggi il tono semplice dell’eroismo antico, l’arte dell’attore diverrà ben altrimenti difficile, perché la declamazione cesserà di essere una specie di canto.

Del resto, quando ho affermato che la sensibilità era la caratteristica della bontà d’animo e della mediocrità del genio, ho fatto una confessione piuttosto inconsueta, perché se la Natura ha plasmato un animo sensibile, quello è il mio.

L’uomo sensibile  è troppo soggetto ai capricci del suo diaframma per essere un grande re, un grande politico, un grande magistrato, un uomo giusto, un profondo osservatore e quindi un sublime imitatore della  natura, a meno che non possa dimenticarsi, distogliersi da se stesso, a meno che non sappia crearsi con una forte immaginazione, e fissare attentamente con una memoria tenace, fantasmi che gli servano da modelli; ma allora non è più lui che agisce, è lo spirito di un altro che lo domina.

Dovrei fermarmi qui; ma mi perdonerete più facilmente una riflessione fuori argomento che una riflessione taciuta. E’ un’esperienza che a volte probabilmente avete fatto: invitato da un debuttante o da una debuttante a casa sua, in una compagnia ristretta, dovendo pronunciarvi sul suo talento le avrete riconosciuto cuore, sensibilità, emotività, l’avrete coperta di lodi e l’avrete lasciata, congedandovi da lei, con la speranza del più grande successo. ma che cosa accade? Essa esordisce, viene fischiata, e voi vi confessate che i fischi sono legittimi. Come mai? Ha forse perduto cuore, sensibilità, emotività dal mattino alla sera? No, ma nel suo appartamento voi eravate al suo stesso livello, l’ascoltavate senza badare alle convenzioni, vi stava di fronte, tra l’uno e l’altra non vi era un termine di paragone, eravate soddisfatto della sua voce, dei suoi gesti, della sua espressione, del suo contegno, tutto era proporzionato all’uditorio e allo spazio, non vi era nulla che richiedesse amplificazione. In scena tutto è cambiato: lì occorreva un altro personaggio, perché tutto era più grande. In un teatro privato, in un salotto dove lo spettatore è quasi al livello dell’attore, il vero personaggio drammatico sarebbe sembrato enorme, gigantesco, e all’uscita dalla rappresentazione avreste detto in confidenza al vostro amico: “ Non avrà successo, è esagerata”; e il suo

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successo in teatro vi avrebbe stupito. Ancora una volta, sia un bene o sia un male, l’attore non dice nulla, non fa nulla in società allo stesso modo che in scena, è un altro mondo.

Ma ecco un fatto decisivo che mi è stato raccontato da un uomo sincero, di un’arguzia originale e pungente l’abate Gagliani, e che in seguito mi è stato confermato da un altro uomo sincero, di arguzia altrettanto originale e pungente, il marchese Caracccioli, ambasciatore di Napoli a Parigi: a Napoli, patria dell’uno e dell’altro e dell’altro, vi è un poeta la cui preoccupazione principale non è di scrivere un’opera.

SECONDO

La vostra, Il padre di famiglia, ha avuto laggiù un singolare successo….

PRIMO

E’ stata rappresentata per quattro volte consecutive davanti al re, contrariamente all’etichetta di corte, che prescrive tante commedie diverse per quanti sono i giorni di spettacolo, e il pubblico ne fu entusiasta. Ma la preoccupazione di quel poeta napoletano sta nel trovare nella società personaggi di età, di volto, di voce, di carattere, adatti a ricoprire i suoi ruoli. Nessuno osa rifiutare, perché si tratta del divertimento del sovrano. Egli prepara i suoi attori per sei mesi, insieme e separatamente. E quando pensate che la compagnia incominci a recitare, ad affiatarsi, ad avvicinarsi alla perfezione che egli esige? Quando gli attori sono spossati dalla fatica di innumerevoli prove ovvero, come diciamo noi, saturi. Da quel momento i progressi sono sorprendenti, ciascuno, si identifica con il proprio personaggio; ed è grazie a questo faticoso esercizio  che alcune rappresentazioni, dopo essere iniziate, continuano per altri sei mesi di seguito, e che il sovrano e i suoi sudditi provano il piacere più grande che si possa ricevere dallillusione teatrale. E questa illusione tanto forte, tanto perfetta nell’ultima come nella prima rappresentazione, può essere secondo voi l’effetto della sensibilità?

Del resto, la questione che sto approfondendo è stata discussa in altri tempi tra un mediocre letterato, Remond de Saint- Albine, e un grande attore, Riccoboni. Il letterato difendeva la causa della sensibilità, l’attore difendeva la mia. E’ un aneddoto che ignoravo e che ho appreso da poco.

Ho parlato, mi avete ascoltato, e adesso vi chiedo che cosa ne pensate.

SECONDO

Penso che se quell’ometto arrogante, deciso, secco e duro, al quale bisognerebbe riconoscere una buona dose di alterigia, avesse soltanto la quarta parte di ciò che la natura prodiga gli ha dato in fatto di sicumera, sarebbe stato un po’ più prudente nel suo giudizio, sempre che voi aveste avuto la compiacenza di esporgli le vostre ragioni, e lui la pazienza di ascoltarvi; ma sfortunatamente egli sa tutto, e come uomo enciclopedico si ritiene dispensato dall’ascoltare.

PRIMO

In compenso, il pubblico gli rende l pariglia. Conoscete la signora Riccoboni?

SECONDO

Chi non conosce l’autrice di così tante opere affascinanti, piene di genio, di onestà, di delicatezza e di grazia?

PRIMO

Credete che questa donna fosse sensibile?

SECONDO

Lo ha dimostrato non soltanto con le sue opere, ma anche con il suo comportamento. Nella sua vita vi è stato un episodio che stava per condurla alla tomba. Dopo vent’anni le sue lacrime non si sono ancora prosciugate, e la fonte del suo pianto non è ancora esaurita.

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PRIMO

Ebbene, questa donna, una delle più sensibili che la natura abbia concepito, è stata una delle peggiori attrici che abbiano mai calcato la scena. Nessuno parla dell’arte meglio di lei, nessuno recita peggio.

SECONDO

Aggiungerò che essa lo ammette, e che non le è mai accaduto di gridare all’ingiustizia quando è stata fischiata.

PRIMO

E perché. Con la sua squisita sensibilità – qualità principale dell’attore, secondo voi – la Riccoboni era così mediocre?

SECONDO

Perché, probabilmente, le mancavano a un tale punto le altre qualità che quella sola non poteva compensarne la mancanza.

PRIMO

Ma non ha affatto un brutto viso, ha spirito, ha un portamento discreto; la sua voce non ha nulla di sgradevole. Tutte le qualità che derivano dalla buona educazione, le possedeva. In società non aveva nulla di piacevole. Guardarla non è un sacrificio, ascoltarla è un grande piacere.

SECONDO

Non vi capisco nulla; tutto ciò che so è che il pubblico non ha mai potuto solidarizzare con lei, e che essa è stata per vent’anni consecutivi la vittima della sua passione.

PRIMO

E della sua sensibilità, al di sopra della quale non ha mai saputo elevarsi; è rimasta sempre se stessa, perciò il pubblico l’ha sempre respinta.

SECONDO

E voi conoscete Caillot?

PRIMO

Molto bene.

SECONDO

Avete discusso con lui qualche volta su questo argomento?

PRIMO

No.

SECONDO

Al vostro posto sarei curioso di conoscere il suo parere.

PRIMO

Lo conosco.

SECONDO

Qual è?

PRIMO

Quello vostro e del vostro amico.

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SECONDO

Ecco la temibile autorità contro di voi.

PRIMO

Ne convengo

SECONDO

E in che modo avete saputo come la pensa Caillot?

PRIMO

Grazie a una donna piena di spirito e di finezza, la principessa di Galitzin. Caillot aveva impersonato il Disertore, era ancora sul luogo dove aveva appena provato – ed essa a lui, condiviso – tutte le angosce di uno sventurato sul punto di perdere l’amante e la vita. Caillot si avvicina al suo palco e, con quel volto sorridente che gli conoscete, le rivolge frasi allegre, oneste e cortesi. La principessa,  stupefatta, gli dice: “Come! Non siete forse morto? Io, che sono stata soltanto una spettatrice delle vostre angosce, non me ne sono ancora riavuta…”. “No, signora, non sono morto. Sarei da compiangere se morissi così sovente”. “Dunque non sentite nulla?”. “Perdonatemi…”. E poi eccoli impegnati tra loro in una discussione che è finita come finirà questa tra noi: io resterò della mia opinione, e voi della vostra. La principessa non ricordava gli argomenti di Caillot, non aveva notato che quel grande imitatore della natura, nel momento dell’agonia, mentre stavano per condurlo al supplizio, accortosi che la sedia su cui avrebbe dovuto deporre Luisa era messa male, l’aveva sistemata declamando con voce da moribondo: “Ma Luisa non arriva, e la mia ora si avvicina…”. Ma voi siete distratto; a cosa pensate?

SECONDO

Penso di proporvi un accomodamento: riserviamo alla sensibilità naturale dell’attore i rari momenti in cui la testa gli si confonde, in cui egli non vede più lo spettacolo, ha dimenticato di essere a teatro, ha dimenticato se stesso e si trova ad Argo, a Micene, in cui è il personaggio stesso che sta recitando; e piange.

PRIMO

In versi?

SECONDO

In versi . egli grida.

PRIMO

Grida bene?

SECONDO

Certamente. Si irrita, si indigna, offre ai miei occhi l’immagine reale, ai miei orecchi e al mio cuore l’accento autentico della passione che lo agita, al punto che mi trascina, che dimentico me stesso, che non è più Brizard né La Kain, che io vedo, ma Agamennone e Nerone che ascolto…Penso che allora accade forse alla natura come allo schiavo che impara a muoversi liberamente sotto la catena: l’abitudine di portarla lo libera dal peso e dalla costrizione.

PRIMO

Un attore sensibile avrà forse nel suo ruolo uno o due momenti di alienazione, che stoneranno tanto maggiormente con il resto quanto più saranno belli. Ma ditemi, lo spettacolo allora non cessa di essere un piacere e non diventa per voi un supplizio?

SECONDO

Oh, no!

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PRIMO

E quel patetismo finto non ha la meglio sullo spettacolo domestico e reale di una famiglia sconsolata, raccolta intorno al letto funebre di un padre beneamato o di una madre adorata?

SECONDO

Oh, no!

PRIMO

Dunque né voi né l’attore vi siete dimenticati completamente di voi stessi…

SECONDO

Mi avete già messo molto in imbarazzo, r non dubito che possiate metter mici ancora di più; ma credo che vi scuoterei se mi permetteste di prendermi un alleato. Sono le quattro e mezza; rappresentano Didone; andiamo a vedere la signorina Raucourt; vi risponderà meglio di me.

PRIMO

Me lo auguro, ma non ci conto troppo. Pensate che essa possa fare ciò che né l Le Couvreur, né la Doclos, né la De Seine, Né LA Balincourt, né la Clairon, né la Dumesnil hanno saputo fare? Oso assicurarvi che se la nostra giovane debuttante è ancora lontana dalla perfezione, è perché essa è troppo inesperta per non sentire nulla, e vi preannuncio che se continua a sentire, a rimanere se stessa e a preferire l’istinto limitato della natura allo studio illimitato dell’arte, non si eleverà mai all’altezza delle attrici che vi ho nominato. Avrà bei movimenti, ma non sarà bella. Le accadrà come alla Gaussin e a molte altre, che per tutta la vita sono state manierate, deboli e monotone soltanto perché non hanno mai saputo uscire dall’angusto recinto in cui le rinchiudeva la loro sensibilità naturale. Avete sempre intenzione di oppormi come esempio la signorina Rancourt?

SECONDO

Certamente.

PRIMO

Strada facendo vi racconterò un fatto che riguarda abbastanza l’argomento della nostra conversazione. Conoscevo Pigalle; avevo libero accesso a casa sua. Un mattino ci vado, busso; l’artista viene ad aprirmi con lo scalpello in mano; e, fermandomi all’entrata dello studio, mi dice: “Prima di lasciarvi passare, giuratemi di non aver paura di una bella donna nuda…”. Io sorrisi…entrai. Egli lavorava allora al monumento del maresciallo di Sassonia, e una bellissima cortigiana gli serviva da modello per la figura della Francia. Ma come credete che mi apparve tra le figure colossali che l’attorniavano? Misera, piccola, meschina, una specie di ranocchia; ne era schiacciata, e avrei preso quella ranocchia per una bella donna soltanto sulla parola dell’artista, se non avessi atteso la fine della seduta e se non avessi potuto vederla al mio stesso livello, con la schiena rivolta a quelle figure gigantesche che l’annientavano. Lascio a voi il compito di applicare questo strano fenomeno alla Gaussin, alla Riccoboni e a tutte quelle che non hanno potuto diventare grandi sulla scena.

E’ impossibile, ma se anche un’attrice avesse ricevuto una sensibilità paragonabile a quella che l’arte, portata al suo estremo, può simulare, il teatro offre così tanti caratteri diversi da imitare - e anche un solo ruolo principale comporta così tanti aspetti discordanti – che quella straordinaria strappalacrime, incapace di recitare bene due ruoli diversi, emergerebbe appena in alcuni passi dello stesso ruolo; sarebbe l’attrice più incostante, più limitata e più incapace che si possa immaginare. Se le accadesse di tentare uno slancio, la sua sensibilità predominando non tarderebbe a ricondurla alla mediocrità. Più che a un vigoroso corsiero al galoppo, essa somiglierebbe a un debole ronzino con il morso tra i denti. Quell’attimo di energia effimero, brusco, senza gradazione, senza preparazione, senza unità, vi sembrerebbe un accesso di pazzia.

Se la sensibilità è in realtà compagna del dolore e della debolezza, ditemi se una creatura dolce, debole e sensibile è veramente adatta a concepire e a rendere il sangue freddo di Leontina, i trasporti di gelosia di

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Ermione, i furori di Camilla, la tenerezza materna di Merope, il delirio e i rimorsi di Fedra, l’orgoglio tirannico di Agrippina, la violenza di Clitemnestra. Lasciate la vostra eterna strappalacrime a qualcuno dei nostri ruoli elegiaci e non spostatela di lì.

Essere sensibile è una cosa, ma sentire è un’altra. La prima è una questione d’animo, la seconda d’intelligenza. Si può sentire intensamente e non saper esprimere; ci si può esprimere, da soli, in società, all’angolo del focolare, leggendo, recitando per pochi ascoltatori, senza saper esprimere nulla di valido a teatro; a teatro, con ciò che chiamiamo sensibilità, animo, passione, si può recitare bene uno o due tirate, ma si fallisce in tutto il resto; abbracciare l’intera estensione di un grande ruolo, combinarvi i chiaroscuri, i toni dolci e quelli lievi, apparire coerente sia nei momenti tranquilli che in quelli agitati, essere versatile nei dettagli, armonioso e unitario nell’insieme, e formarsi un sistema di declamazione saldo, capace addirittura di riscattare le bizzarrie del poeta: tutto ciò è l’opera di una mente fredda, di un’intelligenza profonda, di gusto squisito, di un’applicazione faticosa, di una lunga esperienza e di una tenacia di memoria poco comune. La regola qualis ab incoepto proces serit et sibi contest, che per il poeta è molto rigorosa, per l’attore lo è addirittura nelle minuzie; chi esce dalle quinte senza aver chiaro il modo di recitare e senza conoscere bene la parte, sosterrà per tutta la vita il ruolo di un debuttante, e se, dotato di intrepidezza, di sicumera e di estro, e contando sulla sua agilità di mente e sull’abitudine del mestiere, quest’uomo vi si imporrà con il suo calore e con la sua ebbrezza, voi applaudirete la sua recitazione come un esperto di pittura sorride a uno schizzo spregiudicato dove tutto è accennato e nulla è risolto. Simili prodigi si sono visti a volte alla fiera o da Nicolet. Forse quei pazzi fanno bene a rimanere ciò che sono: attori abbozzati. Un lavoro maggiore non procurerebbe loro ciò che gli manca, anzi, potrebbe privarli di ciò che hanno. Prendeteli per ciò che valgono, ma non metteteli a confronto con un quadro finito.

SECONDO

Non mi rimane che una domanda da farvi.

PRIMO

Fatemela.

SECONDO

Avete mai visto un’opera intera recitata perfettamente?

PRIMO

A dire il vero, non me ne ricordo…Ma aspettate….Sì, a volte un’ opera mediocre, recitata da attori mediocri….

I nostri due interlocutori andarono allo spettacolo, ma non trovando più posto ripiegarono sulle Tuileries. Camminarono per qualche tempo in silenzio. Sembrava che avessero dimenticato di essere insieme, e ciascuno parlava tra sé come se fosse stato solo: uno ad alta voce, l’altro a voce così bassa che non lo si sentiva, lasciando soltanto sfuggire a intervalli parole isolate, ma distinguibili, dalle quali era facile dedurre che non si riteneva vinto.

Le idee dell’uomo del paradosso sono le sole di cui si possa riferire, ed eccole qui, slegate come inevitabilmente appaiono in un soliloquio, dove si sopprimono i nessi che servono da legame. Diceva: Mettano al suo posto un attore sensibile, e vedremo come se la caverà. Che cosa fa lui? Appoggia un piede sulla ribalta, si riallaccia una giarrettiera, e risponde al cortigiano che disprezza con la testa voltata dietro una spalla, e così un inconveniente che avrebbe sconcertato chiunque altro, ma non questo attore freddo e sublime, adattato sul momento alla situazione diventa una trovata geniale.

(Credo che parlasse di Baron, nella tragedia Il conte di Essex. Aggiungeva ridendoJ.

Eh sì, egli crederà che senta anche quella che, riversa sul petto della sua confidente e quasi moribonda, con gli occhi rivolti alla terza fila di palchi, vi scorge un vecchio procuratore che si scioglie in lacrime e che per il dolore fa smorfie davvero comiche, e dice: “Ma guarda un po’ che bella faccia ha quello lassù…”, mormorando sul suo petto queste parole cme se fossero state il seguito di un lamento inarticolato…Andate a raccontarlo ad altri! Se ricordo bene l’episodio, si tratta della Gaussin, in Zaira.

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E quell’altro, che ha fatto una fine così tragica, l’ho conosciuto, ho conosciuto suo padre, che a volte mi invitava anche a dire la mia nel suo cornetto acustico.

(Qui non vi è dubbio che si tratta del saggio Montmenil)

Era il candore e l’onestà in persona. Che cosa vi era di comune tra il suo carattere e quello di Tartufo, che impersonava così superbamente? Nulla. Dove prendeva quel modo di torcere il collo, quel modo così strano di roteare gli occhi, quel tono mellifluo e tutte le altre sottigliezze di interpretazione dell’ipocrita? Fate attenzione a ciò che state per rispondere. Vi ho in pugno. “In un’imitazione profonda della natura”. In un’imitazione profonda della natura? State a vedere che i sintomi esteriori che manifestano con più forza la sensibilità d’animo non sono nella natura quanto i sintomi esteriori dell’ipocrisia; che non si potrebbe studiarli, e che un attore di grande talento avrà maggiore difficoltà a cogliere a ad imitare gli uni che con gli altri! E se io sostenessi che tra tutte le qualità dell’animo, la sensibilità è quella più facile da contraffare, non essendovi forse un solo uomo tanto crudele e tanto inumano da non averne il germe in cuore, da non averne mai provata – ciò che non è sicuro per tutte le altre passioni, come l’avarizia, la diffidenza?  Forse uno strumento eccellente…”Vi capisco; ma tra chi finge sensibilità e chi la possiede, vi sarà sempre la differenza che esiste tra l’imitazione e la cosa imitata”: e tanto meglio, tanto meglio,  vi dico. Nel primo caso, attore non dovrà separarsi da se stesso, si porterà a un tratto e di punto in bianco all’altezza del modello ideale.  “Un tratto e di punto in bianco!”. Vi attaccate a una frase. Voglio dire che, non venendo mai riportato al piccolo modello che è in lui, sarà un grande, uno stupefacente, un perfetto imitatore della sensibilità, dell’avarizia, dell’ipocrisia, della doppiezza e di ogni altro tipo di carattere che non sia il suo, di qualunque altra passione che non possieda. La realtà che mi mostrerà il personaggio naturalmente sensibile sarà piccola, l’imitazione dell’altro sarà piena di forza; o se accadesse che le loro copie fossero ugualmente efficaci – ciò che non vi concedo assolutamente – l’uno, perfettamente padrone di sé e recitando sempre con studio e con intelligenza, sarebbe quale appare nell’esperienza quotidiana, più coerente dell’altro che reciterà seguendo in parte la natura e in parte lo studio, in parte un modello e in parte se stesso. Per quanto abile sia la fusione tra queste due imitazioni, uno spettatore esigente le distinguerà ancora più facilmente di quanto un artista profondo possa distinguere, in una statua, la linea che separa due stili diversi, o la parte anteriore eseguita copiando un modello e la parte posteriore copiandone un altro. “Immaginate che un attore consumato smetta di recitare di testa, che dimentichi se stesso; che il suo cuore si agiti; che la sensibilità lo vinca, che vi si abbandoni: ci esalterà”. “Forse”. “Ci colmerà di ammirazione”. “Non è impossibile; ma a condizione che non esca dal suo sistema di recitazione e che non venga meno la sua coerenza, altrimenti direte che è impazzito…Sì, in questo caso godreste di un momento riuscito, lo ammetto; ma preferite un momento riuscito a un bel ruolo? Se questa è la vostra scelta, essa non è la mia”. Qui l’uomo del paradosso tacque. Camminava a gran passi senza guardare dove stesse andando; avrebbe urtato a destra e a sinistra quelli che arrivavano in senso opposto se essi non avessero evitato lo scontro. Poi, fermandosi di colpo e afferrando con forza il braccio del suo antagonista, gli disse con tono categorico e tranquillo: Amico mio, vi sono tre modelli: l’uomo della natura, l’uomo del poeta e l’uomo dell’attore. Quello della natura è meno grande di quello del poeta, e il secondo a sua volta meno grande di quello del grande attore, che è il più esagerato di tutti. Quest’ultimo sale sulle spalle del precedente, e si chiude dentro un grande manichino di giunco, del quale è l’anima; muove questo manichino in modo impressionante anche per il poeta, che non riesce più a riconoscersi, e ci spaventa, come voi avete detto con un bel paragone, allo stesso modo in cui i bambini si spaventano a vicenda tirandosi siora la testa i loro abitini, dimenandosi, e imitando come meglio possono la voce stentorea e lugubre di un fantasma che vogliono contraffare. Ma non avete per caso visto dei giochi infantili riprodotti in stampa? Non avete per caso visto un marmocchio che avanza con un’orrenda maschera da vegliardo, che lo nasconde dalla testa ai piedi? Sotto quella maschera egli ride dei suoi piccoli compagni che scappano terrorizzati. Quel marmocchio è il vero simbolo dell’attore, i suoi compagni sono il simbolo dello spettatore. Se l’attore è dotato soltanto di una sensibilità mediocre, e se tutto il suo merito sta in ciò, non lo giudicherete un uomo mediocre? State attento, è un’altra trappola che vi tendo. “E se è dotato di una sensibilità estrema, che cosa ne verrà fuori?”. Che cosa ne verrà fuori? Che non reciterà, o che reciterà in modo ridicolo. Sì, in modo ridicolo, e la prova la vedrete in me quando vorrete. Basta che debba fare un racconto un po’ commovente, e subito non so quale turbamento mi entra nel cuore, nella testa, mi si lega

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la lingua; mi si altera la voce, le mie idee diventano sconnesse, il mio discorso si interrompe; balbetto, me ne accorgo, le lacrime mi scorrono lungo le guance, e taccio. “Eppure vi riuscite”. “In società, ma a teatro verrei fischiato”. “Perché?”. “Perché non vi si va per vedere lacrime, ma per ascoltare discorsi che le strappano, e perché quella verità di natura stona con la verità di convenzione. Mi spiego: voglio dire che né il sistema drammatico, né l’azione, né i discorsi del poeta potrebbero accordarsi ala mia declamazione soffocata, interrotta, singhiozzante. Vedete che non è neppure permesso imitare la natura – anche la bella natura -, la verità da troppo vicino, e che vi sono limiti entro i quali bisogna rimanere”. “E questi vuole che un talento noccia a un altro talento. Bisogna che a volte l’attore si sacrifichi al poeta”. “Ma se la composizione del poeta vi si prestasse?”. “Ebbene, avreste una specie di tragedia completamente diversa della vostra”. “E quale inconveniente vi sarebbe?”. “Non so bene che cosa vi guadagnereste; ma so benissimo ciò che perdereste.

Qui l’uomo paradossale si avvicinò per la seconda o la terza volta al suo antagonista e gli disse: “E’ una battuta di cattivo gusto ma è divertente, ed è di un’attrice sul cui vero talento non vi è discussione. Fa il paio con la situazione e con le parole della Gaussin; anche questa è diversa, su Pillot – Polluce, sta morendo, o almeno me lo fa credere, e gli sussurra sottovoce: “ Ah, Pillot, come puzzi!

Questa uscita è della Arnould, nei panni di Telaira. E in quel momento l’Arnould è veramente Telaira? No, è l’Arnould, sempre l’Arnould. Non riuscirete mai a farmi elogiare i grandi intermedi di una qualità che rovinerebbe tutto se fosse spinta all’esterno e se l’attore ne venisse dominato. Ma facciamo l’ipotesi che il poeta abbia scritto la scena perché fosse declamata a teatro come io la reciterei in società: chi saprebbe recitare questa scena? Nessuno, no, nessuno, neppure l’attore più padrone dei propri mezzi, per una sola volta che se la cavasse, fallirebbe mille altre volte. Il successo dipende allora da così poco!....Quest’ultimo ragionamento vi sembra poco solido? Ebbene, sia; ma penserò ugualmente che bisogna pungere un po’ certe vesciche, abbassare un po’ i trampoli, e lasciare le cose all’incirca come stanno. Per un poeta geniale che arrivasse a questa prodigiosa verità di Natura, si solleverebbe una nube di insulsi e banali imitatori. Non è permesso – sotto pena di essere insulsi, uggiosi, detestabili – scendere di una riga al di sotto della semplicità della Natura. Non lo pensate anche voi?

SECONDO

Non penso nulla. Non vi ho sentito.

PRIMO

Come! Non abbiamo continuato a discutere?

SECONDO

No.

PRIMO

E che diavolo facevate, allora?

SECONDO

Meditavo

PRIMO

E su che cosa meditavate?

SECONDO

Un attore inglese che si chiama, credo, Macklin (quel giorno ero allo spettacolo), volendo scusarsi con il pubblico per la temerarietà di recitare dopo Garrik in non so quale ruolo del Macbeth di Shakespeare, diceva, tra le altre cose, che le impressioni che soggiogavano l’attore e lo sottomettevano al genio e all’ispirazione  del poeta, gli erano molto nocive; non so più quali ragioni adducesse, ma erano molto sottili,

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e vennero ascoltate ed applaudite. Del resto, se vi incuriosiscono, le troverete in una lettere inserita nel “Saint James Chronicle”, sotto il nome di Quintiliano.

SECONDO

Come probabilmente fece.

PRIMO

Ne dubito. I Romani tenevano molto in conto la vita di un grande attore, ma assai poco quella di uno schiavo!

Ma, si dice, un oratore è più valido quando si accalora, quando va in collera. Lo nego. Ciò accade quando imita la collera. Lo nego. Ciò accade quando imita la collera. Gli attori destano impressione nel pubblico non quando sono furiosi, ma quando recitano bene il furore. Nei tribunali, nelle assemblee, in tutti i luoghi dove ci si vuole impadronire degli animi, si finge ora la collera, ora il timore, ora la pietà, per condurre gli altri a provare questi sentimenti. Ciò che la passione di per sé non ha potuto fare, lo otterrà la passione bene imitata.

Non si sente dire, in società, che il tale uomo è un grande attore? Con ciò non s’intende che egli sente, ma al contrario che eccelle nel simulare, pur non sentendo nulla: ruolo ben più difficile di quello dell’attore, perché quest’uomo deve anche trovare le parole, e ha dunque due funzioni da svolgere, quella del poeta e quella dell’attore. Il poeta in scena può essere più abile dell’attore in società, ma credete che in questa scena l’attore, nel fingere la gioia, la tristezza, la sensibilità, l’ammirazione, l’odio, la tenerezza, sia più profondo, più abile di un vecchio cortigiano?

Ma si fa tardi. Andiamo a cena.

                                                                                    

                                                                                           FINE