Il pendolo

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IL PENDOLO


Commedia in due tempi

di Aldo Nicolaj

da IL DRAMMA n. 322/323

Luglio-Agosto 1963

Persone

MIRA

RUPEO

Ovunque, ai nostri tempi.

PRIMO   TEMPO

(La scena si svolge su di un fondale neutro. In centro alcuni elementi stilizzati di un sog­giorno. Mira e Rupeo, sui cinquant'anni, sono seduti l'uno di fronte all'altra, davanti alla co­lazione del mattino. Mira versa il caffè a Rupeo. Rupeo sorride, ringrazia e mette lo zucchero nella tazzina della moglie. Le loro reciproche, automatiche e mute gentilezze durano per decine di secondi. Pare quasi che i due non vogliano smettere di scambiarsi cortesie e sorrisi. Quando alla fine si accingono a fare colazione cominciano a parlare).

Mira      — Come hai dormito?

Rupeo   — Bene. Ma non è che mi senta com­pletamente riposato.

Mira      — Forse hai sognato troppo.

Rupeo   — Esatto. Ho sognato troppo.

Mira      — Che genere di sogni?

Rupeo   — Campi arancione, papaveri fioriti e cavalli che correvano lungo il mare.

Mira      — Strano sogno.

Rupeo   — Bellissimo, però. Tutto a colori.

Mira      — Io sogno sempre e soltanto in bianco e nero.

Rupeo   — Affatica di meno.

Mira      — Ma anche il divertimento è minore. (Pausa) Ancora caffè?

Rupeo   — Grazie. Con un po' di latte. Vuoi una sigaretta?

Mira      — Grazie.  Molto gentile.  (Eseguono  le azioni) Al mattino, dopo il caffè non c'è niente di meglio che una sigaretta.

Rupeo   (accendendogliela) — Anche la sera. Pri­ma di dormire.

Mira      — Non a tutti piace.

Rupeo   — A me sì.

Mira      — Anche a me.

Rupeo   — Una volta, appena a letto, mi veniva voglia di far l'amore. Adesso... mi piace fumare.

Mira      — Una volta a me non piaceva né far l'amore, né fumare.

Rupeo   — Poi hai provato... e hai cambiato idea. (Mira lo guarda con leggero fastidio. Dopo una pausa) Cosa ne diresti di mangiare per cena del prosciutto di cinghiale?

Mira      — Dici?

Rupeo   — Non so... È un'idea che mi è venuta così...

Mira      — Io, invece, pensavo che mi piacerebbe un vestito di chiffon: proprio di chiffon.

Rupeo   — In un buon negozio del centro se ne può trovare.

Mira      — Chiffon?

Rupeo   — No. Prosciutto di cinghiale.

Mira      — A diciott'anni avevo uno stupendo vestito di chiffon. Rosa. Come il prosciutto di cin­ghiale. (Si voltano entrambi verso il pubblico).

Rupeo   — Così ogni mattina. Lei e io seduti qui. L'uno di fronte  all'altra.  Facciamo  colazione senza sapere cosa dirci. Ogni mattina. Trecentosessantacinque volte all'anno.

Mira      — Lui coi suoi sogni colorati.

Rupeo   — Lei coi suoi sogni in bianco e nero.

Mira      — Io parlo e lui non ascolta...

Rupeo   — Qualsiasi cosa dica, lei non mi sta a sentire.

Mira      — Tanto varrebbe che facesse anche lui come tanti mariti, che fanno colazione leggendo il giornale. Mi eviterebbe almeno lo sforzo di proporre continuamente una conversazione...

Rupeo   — È la fatica d'ingranare la giornata. Perché svegliandosi al mattino, si fa sempre fatica a rituffarsi nella realtà. È così bella la vita mentre si dorme... niente drammi... niente noia... si è vivi, ma fuori del mondo. Poi, si apre gli occhi...

Mira      — ... e finisce la beatitudine, l'euforia... Mi vedo subito davanti lui, con la testa sul cuscino che mi guarda... Gli dico: buongiorno Rupeo.

Rupeo   — Io le rispondo: buongiorno Mira. E mi rendo immediatamente conto che è un'al­tra giornata che comincia... un altro pezzetto di vita che devo vivere con lei...

Mira      — Una vita che, a volte, mi pare così lunga... così lunga...

Rupeo   — Lunghissima. Non riesco nemmeno più a pensare da quanto tempo siamo sposati.

Mira      — Qualcosa come tremila anni...

Rupeo   — Forse anche di più.

Mira      — Forse anche di più.

(Riprendono la loro posizione iniziale).

Rupeo   — Sbaglio o è domenica?

Mira      — Visto che ieri era sabato, oggi è do­menica.

Rupeo   — Avevamo deciso cosa avremmo fatto oggi?

Mira      — Bel tempo ai laghi, brutto tempo in casa.

Rupeo   — Piove?

Mira      — È sereno.

Rupeo   — Allora bisogna andare ai laghi. La stra­da sarà piena di macchine. Quando è bel tempo tutti vanno ai laghi, la domenica. Impiegheremo più tempo che d'abitudine.

Mira      — Guarderò il paesaggio.

Rupeo   — Non si vede più il paesaggio. Si vedono soltanto cartelloni pubblicitari.

Mira      — Ce ne sono di bellissimi.

Rupeo   — Ma non più belli del paesaggio.

Mira      — Forse più belli ancora. Ce n'è uno mera­viglioso con un lago blu, in mezzo ai pini, e sull'acqua galleggia un cigno bianco, col collo lungo; lungo, il becco giallo e nel becco una saponetta rosa.

Rupeo   — Come quella che c'è nel nostro bagno.

Mira      — Anche la reclame delle lavatrici non è male...

Rupeo   — Anche i cartelloni dei nostri articoli sanitari sono piacevoli...

Mira      — Perché non li avete messi sulla strada dei laghi?

Rupeo   — Pensavamo che interessassero di più sulla strada del mare. Ma proporrò al Consiglio di Amministrazione di metterne anche su strade non nazionali. Ben inteso se ci sarà ancora posto.

Mira      — Sulla strada dei laghi non c'è più posto.

Rupeo   — Subentreremo a una industria che fallirà. (Pausa) Mangiamo al ristorante?

Mira      — No. Il tempo è buono. Faremo un pic­nic. È più divertente. E, poi... in casa c'è tanto di quello scatolame... Forse l'ultima volta che sono stata al Supermercato ne ho comprato troppo.

Rupeo   — Certo che è pratico lo scatolame. Carne in scatola, formaggio in scatola, verdura in sca­tola, frutta in scatola. Tutto sistemato in una bella scatola e caricato sulla macchina, nella quale staremo anche noi come in una scatola.

(Si voltano entrambi verso il pubblico).

Mira      — Tutto in scatola.

Rupeo   — Il secolo in cui viviamo è una scatola.

Mira      — Minestra, latte, formaggio...

Rupeo   — Idee, problemi, opinioni...

Mira      — Budini, ravioli, spinaci...

Rupeo   — Cultura in scatola...

Mira      — Affetti in scatola...

Rupeo   — Cervelli in scatola. E Mira e io presi e messi in scatola assieme.

Mira      — Ogni tanto mi domando perché mai abbia sposato Rupeo. Bello non lo è mai stato...

Rupeo   — Ero bello. Bellissimo. Una bellezza di classe...

Mira      — ... simpatico, be', simpatico nemmeno...

Rupeo   — Piacevo. Piacevo a tutte le donne...

Mira      — ... una intelligenza non certo superiore alla media...

Rupeo   — Ho un quoziente intellettuale di 112 e mezzo. La media, invece, è sugli ottanta. Gli americani - perché sono loro che fanno queste statistiche - sostengono che sopra i 120 ci sono soltanto i « genious », i genii. Perciò io non sarò un genio, ma non sono nemmeno uno stupido.

Mira      — Come mi sarebbe piaciuto sposare un genio!  Dev'essere tutta un'altra cosa la vita, accanto a un genio. Io ho conosciuto un ragazzo intelligentissimo, un vero genio. Ma prima che gli altri si accorgessero che era un « genious » è morto. Giovanissimo. Schiacciato dentro a una macchina. Come in una trappola.

Rupeo   — La nostra civiltà non distingue. La scatola. La trappola. (Riprendono la loro posi­zione iniziale) Allora vada per il picnic...

Mira      — Portiamo anche la scatola frigorifero, col ghiaccio sintetico in scatola.

Rupeo   — Certo. Nella scatola frigorifero la birra in scatola si mantiene freschissima.

Mira      — Bisogna riconoscere che al giorno d'og­gi ci sono delle grandi comodità.

Rupeo   — Chissà se anche i nostri pensieri pos­sono conservarsi in scatola?!

Mira      — Come dici, Rupeo?

Rupeo   — Nulla, Mira. Sciocchezze.

(Tre lunghi bastoni che portano infilati dei bellissimi cappel­li adorni di piume, nastri e frutta, entrano in scena  ornati  di  collane,   monili,   braccialetti, orecchini e pendagli. Alzandosi)

Le tue amiche, Mira.

Mira      — Vengono per la festa di giovedì. A pren­dere gli ultimi accordi. Sarà una festa di bene­ficenza riuscitissima. (Si alza e va incontro alle amiche) Già qui? Come siete mattiniere. Che care. E vi siete disturbate a venire fin da me, puntualissime come sempre.

Rupeo   (con cavalleria, accennando a un inchino) — La puntualità è la cortesia dei re.

Mira      (alle amiche) — Avete sentito Rupeo? La cortesia dei re. Fatevi guardare: siete bellissime. Di un'eleganza... Dunque, dopo aver pen­sato a lungo avrei deciso, se anche voi siete d'accordo, naturalmente, per tavole imbandite in sette stili differenti. Dall'età della pietra ai giorni nostri, per intenderci. Faremo pagare l'entrata cinquecento lire e mille lire le pizzette alla napoletana. O voi pensate che sia meglio vendere pagnottelle? Ma col prosciutto o col formaggio? Sentiamo la vostra opinione. È me­glio discuterne.

(Le amiche si muovono conci­tate attorno a Mira che inizia con loro una lunga conversazione, mentre una musica elettronica riprodurrà il loro linguaggio concitato. Rupeo, intanto, viene avanti verso il pubblico).

Rupeo   — Mira è dama patronessa. Questa, or­mai, è diventata la sua principale occupazione. Da qualche tempo a questa parte alla benefi­cenza dedica tutto il suo tempo e i suoi pen­sieri. Lei che non è riuscita ad organizzare la nostra vita... cerca di organizzare quella de­gli altri. Fenomeno abbastanza diffuso e comu­ne ai giorni nostri. Altrimenti l'esistenza di tante dame di beneficenza come si spieghe­rebbe?

Mira      (continuando con le amiche) — ... tolto le spese, il resto, naturalmente, tutto in benefi­cenza. Le spese sono... vediamo un momento as­sieme : l'affitto della sala, il trasporto del mate­riale... l'illuminazione... i fiori... il servizio di sorveglianza... le fotografie... la stampa dei ma­nifesti... dei biglietti... dei cartoncini d'invito...

Rupeo   (sempre al pubblico) — Anche questa è una forma di evasione. D'altra parte mai come ora tutti cerchiamo di evadere dalla realtà. Scri-vendo... viaggiando... cantando... pregando... as­sassinando... È un bisogno che ormai tutti sen­tiamo. Ma perché Mira vuole evadere da me? Lo so, c'è qualcosa tra noi che non va. Me ne sono da tempo preoccupato. Una volta sono stato persino da un medico e mi sono fatto psicanalizzare. M'ha fatto fare lunghe sedute e, alla fine, l'unica cosa che ha scoperto è stato che da piccolo avevo il vizio d'inghiottire noccioli di ciliegia per una forma di ribellione contro l'ubbidienza a cui ero costretto. Ma che rapporto ci può essere tra Mira e i noccioli di ciliegia?

Mira      (continuando con le amiche) — ... Detraendo inoltre le altre piccole spese vive come quelle dei rinfreschi... dei camerieri... dei piatti di cartone, dei bicchieri di cartone, dei vassoi di cartone... Ma, un momento, non sarebbero meglio di plastica?

Rupeo   (sempre al pubblico) — Eppure... sem­bravamo fatti l'uno per l'altra... Mira era una ragazza così simpatica... così fine... carina... quando ci siamo conosciuti...

Mira      (alle amiche) — Perfetto, allora. Lascio fare tutto a voi. Disponete come meglio vi pare. Poi, stasera, quando torno dal picnic, prende­remo le ultime decisioni. Per le sei sono di ritorno. Grazie. Rupeo, le mie amiche ti salutano.

Rupeo   (con un profondo inchino) — A presto... A presto...

Mira      — A stasera, allora. Vi aspetto.

(I bastoni s'inchinano e se ne vanno. Mira si avvicina a Rupeo)

Non trovi che Cicci Panegalli non do­vrebbe vestire in modo così giovanile? Non ci sonche gli abiti giovanili capaci d'invecchiare le persone che giovani non lo sono più. Mah! Questa festa di beneficenza è tremendamente impegnativa. Prendo un tranquillante per calmarmi i nervi. Ma siccome il tranquillante è troppo forte, ci bevo sopra una bella tazza di caffè.

Rupeo   (sempre al pubblico, seguendo il filo dei suoi pensieri) — Deliziosa. Quando l'ho cono­sciuta era una donnina deliziosa: indossava sempre abiti chiari... freschi... vaporosi... Di un gusto, di un'eleganza...

(Mira si sfila lo chemisier scuro ed appare in un vivace abito chiaro a fiori. Ora ha venticinque anni. Rupeo si toglie la vestaglia e la sciarpa ed appare in pullover blu con camicia bianca aperta sul collo. Pan­taloni grigi di flanella. Non ha ancora trent'an-ni. Non è necessario che gli attori usino trucchi per ringiovanirsi. Sono i loro modi, i loro gesti, il modo di muoversi e di parlare che dovranno farli apparire giovani)

Ricordo con tutti i particolari il modo con cui Mira e io ci siamo conosciuti.

(Rumore di traffico. Mira cammina sovrapensiero, come se stesse attraversando una strada affollata e piena di traffico. Rupeo si pre­cipita verso di lei e con violenza la tira indietro, affinché non venga investita. Rumore di una brusca sterzata e quindi quello di una macchina che si allontana).

Mira      — Oh... grazie.

Rupeo   — Scusi se i miei modi sono stati un po' bruschi, ma...

Mira      — S'immagini... Se non fosse stato per lei... M'ha salvata la vita...

Rupeo   — Lei si è spaventata. Mi permette di offrirle qualcosa da bere?

Mira      — Veramente... Grazie.

Rupeo   — C'è un bar proprio all'angolo...

Mira      — No, grazie. Mi basta un po' d'acqua. Guardi, là c'è una fontanella. (Indica un lato della scena verso il quale si avviano insieme).

Rupeo   — Mi spiace di essere stato troppo im­petuoso...

Mira      (chinandosi per bere alla fontanella) — La colpa è mia. Sono sempre così distratta... Attraverso le strade come un'oca, con la testa tra le nuvole.

Rupeo   (galante) — Chissà a cosa pensava... a « chi » pensava...

Mira      — A nulla d'allegro, gliel'assicuro.

Rupeo   — Non avrà avuto l'intenzione di farsi ammazzare, spero.

Mira      — Oh, no. (Ride) Qualsiasi cosa possa succedermi sono troppo attaccata alla vita. Per­ché la vita mi piace. Ci credo.

Rupeo   — Anch'io. Ci credo proprio. Finalmente qualcuno che la pensa come me. Sediamo?

Mira      — Perché no? (Siedono vicino alla fon­tanella).

Rupeo   — Al giorno d'oggi è come una moda: tutti i giovani dicono di essere scoraggiati... de­lusi... di non credere nella vita. Non capisco il perché di questa posa. Perché il mondo, non si può negare, nonostante tutto, ha molti lati buoni e la vita vale la pena di essere vissuta.

Mira      — Basta guardarsi attorno per sentire la gioia di vivere: il cielo... il sole... gli alberi fio­riti...

Rupeo   — E mille altre cose, anche più banali : le ciliegie, per esempio... le cipolline fresche...

Mira      — Piacciono anche a lei? nell'insalata no­vella le cipolline sono una delizia...

Rupeo   — Con un po' di sedano... un peperonci­no... il profumo del basilico... (Si stacca dal per­sonaggio di Rupeo-giovane e torna alla real­tà, costringendo anche Mira a rientrare in se stessa) E tu su queste parole hai cominciato a piangere...

Mira      — Per favore, non farmi così stupida. Ho cominciato a piangere « dopo »...

Rupeo   — Quando « dopo »?

Mira      — Dopo che hai cominciato a parlarmi di te, della tua solitudine, della tua miseria...

Rupeo   — Della mia miseria? ma cosa stai di­cendo?

Mira      — Ho detto miseria per dire infelicità. Cerca di capirmi.

Rupeo   — E io, dopo le cipolline fresche, t'avrei parlato di me?

Mira      — C'è stata prima ancora qualche battuta, ma senza importanza, trascurabilissima. Poi hai cominciato a confidarti... Mi hai commossa, intenerita...

Rupeo   — Ma se hai cominciato subito a pian­gere raccontandomi di Ottavio che ti aveva pian­tata...

Mira      — Dopo... dopo... Prima ti sei sfogato tu. M'hai detto di tuo padre, che voleva che ti oc­cupassi della sua fabbrichetta... eri depresso per­ché Flavia ti aveva lasciato... Avevi degli occhi così tristi... E siccome anch'io ero tanto depres­sa, ci siamo sentiti simili... solidali... con gli stessi problemi di solitudine da risolvere...

Rupeo   — E allora ti sei messa a piangere.

Mira      — Una lacrima...

Rupeo   — Singhiozzi veri e propri, cara mia!

Mira      — La tua solita mania che ti porta ad esa­gerare sempre.

Rupeo   — Ma non è vero!

Mira      — Sei sempre stato un mitomane!

Rupeo   — Basta. È inutile discutere. Torniamo alle cipolline fresche.

(Rientrano entrambi nei loro personaggi di trent'anni fa).

Mira      (riprende l'atteggiamento di ragazza, ma subito torna ancora un attimo alla realtà) — Sarà meglio tralasciare le frasi inutili e super­flue. (Rientrando nel personaggio)  E allora... mi diceva?

Rupeo   — Mia cara signorina, la vita... a volte... giuoca certi tiri... Ci vuole una grande forza per superare gli scogli che il destino si diverte a metterci davanti... (Staccandosi dal personag­gio) Di qui?

Mira      (tornando anche lei alla realtà) — Avanti... Più avanti... Arriviamo ai concetti...

Rupeo   (dicendo di ogni frase di « allora » la parola più importante, rapidamente) — Affan­ni... Mondo... Conclusione... Vivere... Speranza... Maledizione... Gerusalemme...

Mira      (interrompendolo) — Gerusalemme?

Rupeo   — Precisamente. (Con una certa fierez­za) Dietro le palme di Gerusalemme c'è sem­pre l'orto dei Getsemani. Io credevo che papà vedendo quel mio articolo su di una rivista, avrebbe capito che il mio destino era la lette­ratura ed avrebbe rinunciato a farmi entrare nella sua ditta di articoli sanitari. Invece...

Mira      — Hai ragione. Ricordo benissimo. Vai avanti...

Rupeo   (come prima) — Soldi... Ideale... Niente... Aspirazioni... Sofferenza interiore... Capanna... Bruciato... Solitudine. (Arrivando sollevato all'ultima frase) ...Allora, bisogna domandarsi: non c'è nulla nella vita?

(Sono definitivamente rientrati entrambi nei loro personaggi giovani).

Mira      — E l'amore?

Rupeo   — Lo so, c'è l'amore. Ma, purtroppo, ca­pita spesso di sbagliare. Io, per esempio, cre­devo d'aver trovato la donna ideale : Flavia. In­vece, dopo tre settimane di romantico amore, mi ha detto: o ti sistemi o ti pianto.

Mira      — E cosa accadde?

Rupeo   — Si è sistemata lei sposando un mio vecchio zio ricchissimo. Adesso lei è diventata mia zia e io non sono più l'erede di mio zio. Sono colpi duri! Poi la gente si meraviglia che uno si senta depresso. Ma è la sofferenza. Suc­cede. Succede, purtroppo. Anche se il mondo è bello. Anche se attorno a noi ci sono cose meravigliose. Il canguro, per esempio.

Mira      — Il canguro?

Rupeo   — Volevo dire... la cangura, che nella borsa del suo ventre tiene i piccoli. I cangurini. Grande mamma la cangura. (Mira ha un sin­ghiozzo) Lei piange?

Mira      — Non è nulla. Una lacrima. (Ha voluto precisare).

Rupeo   (ostinato) — Un singhiozzo. (Pausa) Per­ché?

Mira      — Avevo un fidanzato. Poi... una disgrazia. Un aereo e... (Fa un gesto come per dire che è sparito).

Rupeo   — Morto?

Mira      — Ma che morto! Semplicemente partito.

Rupeo   — Allora... non si tratta di una disgrazia...

Mira      — Per lui no, ma per me... sì. È partito e mi ha lasciata.

Rupeo   — E dove se n'è andato?

Mira      (drammatica) — In India.

Rupeo   — Forse tornerà.

Mira      — No. L'India è immensa e misteriosa. Si troverà un'altra donna. Un'indiana col sari e con la stella in fronte. Vivrà come un indiano.

Rupeo   — Come un indù.

Mira      — Come un indù. Farà un matrimonio indù, avrà dei figli indù, una casa indù. Diven­terà un indù.

Rupeo   — Lei non pianga. Lo dimentichi.

Mira      — E come faccio? Se non penso a lui, se non soffro, se non mi tormento, che senso può avere la mia vita?

Rupeo   — Lei è graziosa, lei è sensibile. Incon­trerà un altro uomo.

Mira      — Sono figlia di un cancelliere, lo tenga presente.

Rupeo   — Come sarebbe a dire?

Mira      — Povera. Figlia di un impiegato statale. Di un funzionario statale.

Rupeo   — Che c'entra? quando c'è l'amore... il vero amore...

Mira      — A volte il danaro... l'interesse... la mala­fede... uccidono anche l'amore.

Rupeo   — Poco fa mi diceva di credere nella vita...

Mira      — Credo. Ma dubito.

Rupeo   — Dubita, perciò crede.

Mira      — Forse.

Rupeo   — Certamente.

Mira      — Per lei è molto più facile avere fiducia nel mondo. Ha più ideali di me: lei è un artista.

Rupeo   — L'ultimo degli artisti.

Mira      — L'arte è sempre arte.

Rupeo   — In fondo... ha ragione.

Mira      — Lei scrive, da quanto m'è sembrato di capire.

Rupeo   — Sì.

Mira      — Mi piacerebbe poter leggere qualcosa disuo. Lei ha molta sensibilità.

Rupeo   — Troppa.

Mira      — Come i veri artisti. Mi farà leggere qualcosa che ha scritto?

Rupeo   — Guardi la combinazione. Ho appunto in tasca un raccontino. Non è gran cosa, ma originale... sì. Si intitola « La sera d'inverno comincia alle sette meno un quarto » (Tira fuori di tasca dei fogli e si accinge a leggere).

Mira      (si alza, va a prendere lo chemisier che aveva lasciato su di una sedia e se lo infila. Venendo verso il pubblico) — Così è cominciata la nostra storia. Io, poco più che una ragazza... sola... delusa...

Rupeo   (va a prendersi la giacca - una giacca sportiva - pronta su di un attaccapanni e infi­landosela, viene verso il pubblico) — Io, un gio­vanotto che non aveva avuto molta fortuna in amore...

Mira      — Io ho creduto in lui...

Rupeo   — E io in lei. Entrambi eravamo in buo­nafede.

Mira      — Acqua passata. Fuggita via. Da tempo. (Riordina il tavolo).

Rupeo(al pubblico) — Ogni tanto, come oggi, a me viene una voglia di capire... Una voglia rabbiosa... Chissà poi perché... m'intestardisco. Capire la mia... la nostra vita...

Mira      (a sé) — Come servisse a qualcosa. (A Rupeo) Ti spiace aiutarmi a preparare per il picnic?   (Tira  fuori  dall'armadio   una   grossa borsa e la mette sul tavolo che intanto ha spa­recchiato. Poi da una dispensa prende  dello scatolame. Lo esamina e lo passa a Rupeo).

Rupeo   (disponendo lo scatolame nella borsa) — A te, Mira, piace fare i picnic?

Mira      — Non è questione che piaccia o non piac­cia. I picnic bisogna farli.

Rupeo   — Perché?

Mira      — Perché i nostri nervi hanno bisogno di distendersi, i nostri polmoni di disintossicarsi, il nostro organismo di tonificarsi. I medici lo consigliano, gli psichiatri lo suggeriscono, i fabbricanti di automobili lo impongono. Fa parte della nostra vita contemporanea. Un'abi­tudine. Una forma di educazione. Ti piace sof­fiarti il naso? Non credo. Ma è una cosa che si deve fare. Dopo si sta meglio. Così il picnic.

Rupeo   — Una volta il picnic lo si faceva soltanto il giorno di Pasquetta.

Mira      — E il fisico ne risentiva.

Rupeo   — Mio nonno è morto a ottant’otto anni.

Mira      — Ma prima di morire si è certo grave­mente ammalato. Ai nostri tempi, invece, grazie anche ai picnic, non ci si ammala più. Un in­farto e si muore in un attimo.

Rupeo   — Ti dirò che io, alla domenica, prefe­rirei starmene in santa pace a casa mia...

Mira      — Perché sei pigro e perché non pensi alla tua salute. Perché sei troppo schiavo delle tue abitudini. Perché non hai spirito sportivo. Quando si sta tutta la settimana dentro un uf­ficio, alla domenica è necessario respirare un poco d'aria pura. Perciò nulla di meglio di una giornata trascorsa in santa pace in campagna.

Rupeo   — Come se ci si stesse tranquilli, in campagna. Alla domenica, poi, ogni albero viene preso d'assalto, dappertutto radioline che stre-pitano, motori che tuonano, donne che urlano, bambini che sbraitano, uomini che gridano. Persino le mucche, la domenica, preferiscono starsene nelle loro stalle. E gli uccellini, sai che fanno? Per stare in pace vengono a fare il picnic in città.

Mira      — Tu hai troppa fantasia. Prendi la borsa e l'ombrellone e andiamo. Passiamo da Paolo. Chissà che non venga con noi.

Rupeo   — Gli hai telefonato?

Mira      — Ha mal di denti, poverino.

Rupeo   — Allora... se ne starà a casa, come al solito.

Mira      — Ad ogni modo... passiamo un momento da lui.

Rupeo   — Credi proprio che sia il caso?

Mira      (sdegnata) — Neanche una volta alla set­timana senti il bisogno di andare a trovare tuo figlio?

(Rupeo si allontana con la borsa e un ombrellone. Sparisce la scena del soggiorno e rimane soltanto il fondale neutro. Mira viene avanti verso il pubblico)

Era un bambinone biondo, Paolo. Biondo e roseo. Un bambinone che sgambettava e faceva mille versi graziosi nella culla. Oggi è un giovanottone grande e grosso: si è sposato e si occupa di fisica nu­cleare. Io avevo puntato tutto su di lui. Tutto. Da quando se n'è andato dì casa, la mia vita gira a vuoto. Non so più cosa fare. Ogni mo­mento della giornata vorrei scappare e correre da lui. Come se avesse ancora bisogno di me. Invece, di me non ha bisogno. Ma io m'illudo sempre di ritrovare il bambinone biondo e ro­seo che non voleva mai stare lontano da me. Invece... mi trovo davanti un uomo. Perché è diventato un uomo. Irrimediabilmente. Si oc­cupa di problemi difficili, studia questioni astru­se, s'interessa solo dell'atomo, scompone la ma­teria e la fa a pezzettini, tutte cose che una povera madre come me come può capire? Rie­sco soltanto a capire che anche l'affetto che portavo per lui è stato scomposto. Ne trovo soltanto più qua e là dei pezzettini che non riesco a rimettere insieme. E cosa posso farci io? È diventato un uomo e se n'è andato. Spe­ravo almeno di riversare tutta la mia tenerezza sul figlio che gli è nato, ma non mi è permesso toccarlo, non posso nemmeno giocare con lui. La madre ne è gelosa. Ho un bel distrarmi con la beneficenza e le tavole imbandite. Mi sento sola e il cuore dentro mi fa male.

(Se ne va tristemente mentre dall'altra parte della scena appare Rupeo).

Rupeo   (viene avanti verso il pubblico) — Una porta che ti sbatte sul naso, ecco cos'è mio fi­glio. Lo guardi e tac! sul naso. Cosa non ho fatto per cercare di attaccarlo un poco a me... Mai riuscito! Forse la colpa è mia, sono un padre sbagliato. Povera creatura, cosa ci può fare? Mi è stato sempre nemico. Anche quando era piccolissimo. Anche quando non era ancora nato. Mira mi sfidava con la sua pancia di sette, otto mesi e io non avevo più il coraggio di fia­tare. E poi, dopo che è nato... « Rupeo, c'è il bambino... », « Rupeo, pensa al bambino... », « Rupeo, col bambino... ». E, così, fin da pic­colissimo, lui mi ha sempre impedito di fare quello che mi sarebbe piaciuto, fare persino le piccole, innocenti sciocchezze che danno sapore alla vita. Poi il bambino si è fatto ragazzo e Mira si è occupata sempre meno di me, per oc­cuparsi sempre più di lui. Avevano formato una specie di alleanza, dalla quale io mi sentivo escluso. Avevo sempre l'impressione, quand'ero con loro, di essere di troppo. Si dice che i figli cementano la famiglia. Storie! La distruggono. Il buono che c'è se lo succhiano loro. Se l'assorbono tutto e se ne vanno. Infatti... a me cosa è rimasto? L'amaro. Un bel giorno se n'è andato di casa, s'è sposato una donna che sem­bra una malese, che parla una lingua che non capisco, ha un bambino piccolo, piccolo, che gli somiglia e non gli somiglia... Anche a me spesso viene la voglia di prenderlo tra le brac­cia, di giocare con lui. Ma non si può. La madre non vuole. È gelosa di lui, come Mira era ge­losa di Paolo. Ma mia moglie non lo capisce e se ne fa una croce, povera donna!

(Sul fondo della scena appare un grande fantoccio, davanti a una lavagna piena di formule complicate. Ha una guancia gonfia e un fazzoletto legato attorno al viso. Accanto a lui una pupazza che sembra una malese, con un pupazzettino piccolo, pic­colo in braccio)

Questo è il nucleo familiare di mio figlio Paolo. La moglie parla una lingua che sembra malese, il bambino non parla ancora, mio figlio non parla mai: pensa.

Mira      (andando verso il figlio, affettuosa e piena di tenerezza) — Come va il tuo mal di denti? Stai sempre lì, davanti a quella lavagna. Ripo­sati... Non lavorare tanto. (Fa una carezza al pupazzettino. Uno strillo. La pupazza si ritrae) Che bella, questa creaturina. E come sta questa mamma fortunata?

Rupeo   (a Paolo) — Non sei poi così gonfio...

Mira      — Io lo credevo molto, ma molto meno gonfio...

Rupeo   — Sei uno scienziato e hai paura del dentista. Ma perché non inventate un aneste-tico speciale che non faccia sentire il dolore? Su, coraggio, fatti estrarre questo dente e il male se ne andrà.

Mira      — In fondo un dente del giudizio è un dente che non serve a nulla. Non si sa nem­meno perché nasca.

Rupeo   — Per farsi estrarre.

Mira      (venendo un poco avanti verso il pubblico) — Quando sono davanti a Paolo, non so cosa dire. Eppure sento dentro di me un mare di parole, un mare di parole tenere ed affettuose, che mi premono... che mi fanno male... Ma non vengono fuori. Non riesco a parlare. Dico un sacco di cose stupide... parlo del tempo... del mal di denti... di politica... cose che non inte­ressano lui, che non interessano me... I miei sentimenti sono come paralizzati. Paolo finirà per sentirmi come un'estranea, per giudicarmi una stupida... Ma perché non deve avere più bisogno di me, che l'ho fatto e che l'ho cresciu­to? (Rivolgendosi al figlio) Pensavo che sarem­mo andati fuori insieme... È una così bella giornata! Vuoi che portiamo con noi tua mo­glie e il bambino?

Rupeo   — A Paolo non piace restare in casa tutto solo.

Mira      — Ma al bambino farebbe bene un poco d'aria buona...

Rupeo   — Quando sarà più grandicello, vedrai, Mira, lo affideranno a noi... ci divertiremo a portarlo a passeggio... ad andare con lui in campagna...

Mira      (si avvicina con estrema tenerezza al bam­bino) — Guardalo che amore! Questa boccuc­cia bella chi te l'ha fatta?... E queste manine… questi occhioni d'oro...

(Strilli del bambino. La pupazza sparisce immediatamente insieme al pupazzettino) Non mi conosce ancora... Ha paura di me... Ma perché?

Rupeo   — Forse parli troppo forte e lo spaventi... I bambini sono così sensibili... così delicati...

Mira      — Vuoi che non sappia come si parla ai bambini? Il fatto è che non mi conosce... che non è abituato a vedermi... (Al pubblico) Io vor­rei parlare a Paolo, dirgli: gioia mia, perché tua moglie non ha confidenza in me? Sono stata mamma prima di lei, so anch'io come si sta con un bambino. Lei, lo so, preferisce sistemi e me­todi più moderni, consulta libri che non ho letto, segue consigli di specialisti che ai miei tempi non esistevano. Ma in fondo, ad un bam­bino nulla si può dare di più importante dell'affetto. E io ne ho tanto per lui... E poi... i miei vecchi metodi non sono tanto cattivi... Non t'ho allevato bene, io? Sapessi quanto ho desi­derato un figlio tuo. È stata la sola speranza che mi hai lasciata il giorno in cui mi hai detto che ti saresti sposato. Un figlio tuo, mi dicevo, mi avrebbe ringiovanita, m'avrebbe fatta ritor­nare ai bei tempi, quando ero una mamma e, soprattutto, avrebbe dato nuovamente uno sco­po alla mia vita. Se tu, Paolo, dicessi qualche volta a tua moglie di affidare il piccolo a me, invece che alla bambinaia diplomata... Se glielo dicessi con dolcezza, come sai dirlo tu... A te non risponderebbe di no... (Con un sospiro) Ma perché non sono capace di dire tutte queste cose a Paolo? Perché di fronte a lui mi sento... non so? soggezione... vergogna... paura... (Rivol­gendosi a Paolo) Perché non ci raggiungi dopo colazione?

Rupeo   — Prendi la macchina, ci carichi sopra la famiglia e in quaranta minuti sei da noi.

Mira      — Ti spiego dove ci puoi trovare: alla sesta curva della strada del lago, dopo il bivio, precisamente tra il cartellone del dentifricio Tim e quello del fertilizzante Pum. Vedrai, proprio a sinistra, una stradetta che scende... Ci trove­rai al nostro posto, tra il terzo e il quarto albero a destra.

Rupeo   — Così... faremo merenda insieme.

Mira      — Lo so, non puoi promettercelo, secondo come ti senti...

Rupeo   — Hai gli occhi così segnati...

Mira      — Poverino,  stanotte non ha dormito. Non vuoi che la tua mamma ti medichi come quando eri piccolo... Un chiodino di garofano nel dentino malato e la « bubù » spariva...

Rupeo   — Mira, nostro figlio ora è un uomo: uno scienziato...

Mira      (sospira) — Arrivederci, Paolo, non ti stan­care...

Rupeo   — Saluta tua moglie...

Mira      — Un bacetto al bambino. Se hai bisogno, telefona...

(Il fantoccio sparisce ed appare in scena lo scheletro di una macchina, sulla quale salgono subito Mira e Rupeo. Rumore della macchina che si mette in moto e quindi del traffico stradale).

Rupeo   — A parte il mal di denti, l'ho trovato benissimo.

Mira      — Sciupato, invece. Quella donna non si occupa abbastanza di lui.

Rupeo   — A me sembra contento e soddisfatto. È sempre stato di poche parole.

Mira      — Ma non con me...

Rupeo   — Cosa vuoi, adesso ha moglie...

Mira      — Bella moglie! Quella sembra una male­se. Gli darà da mangiare soltanto del riso...

Rupeo   — Il riso è un alimento sano.

Mira      — Lo so, ma non contiene sufficienti vita­mine. Paolo è intellettuale: pensa. Perciò deve nutrirsi bene:  mangiare uova fresche, frutta fresca, verdura fresca, latte fresco, carne fresca. Ha bisogno di vitamine, di tante vitamine : vitamina A, vitamina B, vitamina C, vitamina D, vitamina E, vitamina...

Rupeo   — Un bel sole, oggi.

Mira      — Fa più caldo di ieri.

Mira      — Nel '48 abbiamo avuto un'estate caldissima.

Rupeo   — Dopo un'estate calda, molto calda, di solito si ha un inverno freddo, molto freddo.

Mira      — Al contrario. È piuttosto dopo un in­verno molto freddo che si ha un'estate molto calda.

Rupeo   — E poi l'inverno successivo è freddo?

Mira      — Può essere freddo, può non essere fred­do. Dipende dai fattori atmosferici.

Rupeo   — Bisogna però riconoscere che da un po' di tempo a questa parte le stagioni sono cambiate.

Mira      — Direi piuttosto che non ci sono più sta­gioni.

Rupeo   — Colpa degli esperimenti nucleari...

Mira      — ... delle bombe atomiche...

Rupeo   — ... delle esplosioni stratosferiche...

Mira      — ... delle radiazioni...

Rupeo   — Un giorno o l'altro questi matti faran­no scoppiare la terra come una mela al forno. Pam!

Mira      — Anche per questo bisogna difenderci in tempo con le vitamine. (Con un grido) Sterza!

Rupeo   — Maledetto! Per un pelo non mi è ve­nuto addosso.

Mira      — Poi si meravigliano che succedono degli incidenti. Ma con tutti gli incoscienti che ci sono in giro... per forza!

Rupeo   — Dànno la patente a tutti gli imbecilli, ecco come si spiega.

Mira      — Guarda quello: con una seicento va a più di cento all'ora.

Rupeo   — Ora lo sistemo io.

Mira      — Come fai? Non ti dà la strada...

Rupeo   — Scommetto che quel delinquente ha il motore truccato!

Mira      — Forza, sorpassalo... Bravo!  E adesso sorpassa  anche  quella  Giulietta...  Ma  perché vanno tutti come dannati? Che fretta avrà mai la gente... Forza, spingi l'acceleratore. Dobbia­mo superarli tutti, questi matti!

Rupeo   — Hai visto? anche questo figlio di papà l'ho fregato.

Mira      — T'ha fatto le corna!

Rupeo   (gridando dal finestrino) — Imbecille! (Gli fa le corna).

Mira      (anche lei dal finestrino) — Deficiente! Menomato! Porco! (Al marito) Che modi! La gente non ha più rispetto... non ha più educa­zione. (Sorpresa perché la macchina ha rallen­tato) — Cosa succede?

Rupeo   — Bisogna mettersi in colonna. Guarda che fila di macchine.

Mira      — Non si può sorpassare?

Rupeo   — Impossibile!

Mira      — Come si forma una colonna?

Rupeo   — Con tante macchine, l'una dietro l'altra.

Mira      — E in testa alla colonna?

Rupeo   — Una macchina.

Mira      — E perché in testa alla colonna mettono una macchina che va così piano?

Rupeo   — Non è che vada piano. Sono le altre macchine che le sono dietro, che non possono più andare forte.

Mira      — Hai visto? Un altro che fa l'autostop.

Rupeo   — Chi non ha mezzi per viaggiare se ne stia a casa sua.

Mira      — Comodo viaggiare per il mondo a spese degli altri.

Rupeo   — Gente che non si conosce... Alla larga! Capace di salire in macchina per aggredirti.

Mira      — Probabilissimo. Non c'è più carità cri­stiana.

Rupeo   — Con tutto quello che si legge ogni giorno in cronaca...

Mira      (indicando, mentre la macchina ha ripreso velocità) — E quelli, dì...

Rupeo   — Quattro su di una moto. Incoscienti!

Mira      (scoppiando a ridere) — Gli hai fatto pren­dere una di quelle fife...

Rupeo   — Bisogna pur dargli una lezione. In prigione dovrebbero metterli! Pirati della stra­da! Si mettono in giro solo per farsi ammazzare e provocare grane alla brava gente!

Mira      — A quanto andiamo?

Rupeo   — A centoventi.

Mira      — Rallenta : dev'essere da questa parte.

Rupeo   — Che cosa?

Mira      — La nostra stradina.

Rupeo   — Di già?

Mira      — Eccola.

Rupeo   — Questa?

Mira      — Sì. Infilati dentro.

(Rumore di gente, vocii, musiche di radioline).

Rupeo   — Quanta gente! Che chiasso!

Mira      — Basta farci l'abitudine. Dopo un po' uno nemmeno se ne accorge. Ecco, lì c'è posto. Tra il terzo e il quarto albero. Fermati.

(Si fer­mano. Tirano fuori dalla macchina una quantità incredibile di roba: sedie a sdraio, seggioline pieghevoli, materassini, tavolino, radiolina, gira­dischi a pila, valigetta dei dischi, cuscini, borsa frigidaire, cassetta di acque, libri, giornali, plaids, asciugamani, tovaglie, thermos, foulards, cappelloni di paglia, ecc).

Rupeo   (spruzza dell'insetticida sull'erba) — Ec­co... adesso sistemo le eventuali formiche...

Mira      — Mhm... che cattivo odore... Puzza di stal­la! (Spruzza del deodorante per aria. Poi si guarda intorno, respira profondamente) Ah, la natura! (Siede esausta sulla sdraio) Vuoi man­giare subito?

Rupeo   (siede anche lui sulla sdraio) — No, è ancora troppo presto.

Mira      — Cosa vuoi fare, allora?

Rupeo   — Non lo so.

Mira      — Vuoi parlare?

Rupeo   — Di che cosa?

Mira      — Non lo so.

Rupeo   — Per me... si può anche non parlare.

Mira      — È così bello il silenzio...

Rupeo   — Già. Il silenzio della natura.

(Più forti le voci delle radio e lo strepito dei picnichisti).

Mira      (si mette in testa un cappellone di paglia e dopo aver guardato il marito che sfoglia i giornali, al pubblico) — Queste giornate all'aria aperta... Almeno Rupeo mi tenesse compagnia... Invece, in qualsiasi posto si arrivi, lui si spro­fonda in una poltrona e si mette a leggere i giornali. Io, invece, cerco di distendermi... di distrarmi... guardo il cielo... il paesaggio... i fiori... (Sospira) Ma i pensieri dentro sono sempre gli stessi : ci portiamo anche la nostra solitudine a fare il picnic.

Rupeo   (sfogliando i giornali consulta la Borsa) — I Chimici sono stati molto venduti mentre gli Elettrici no. Ricoperture ed interventi ten­denti a rialzare i Meccanici, si sono risolti con l'intervento dei Mineralmeccanici. Però gli Ali­mentari si sono stabilizzati.

Mira      (dà uno sguardo al marito, sospira, poi) — E pensare che è stato proprio in campagna che mi sono innamorata di lui. Una domenica come questa, in un posto più o meno come questo. Intorno tutto uguale eppure tutto diverso. Gli alberi... il cielo... le foglie... che differenza c'era? Eppure, allora, tutto sembrava così meravi­glioso... E io mi sentivo felice di vivere... felice di avere scoperto l'uomo della mia vita... (A Rupeo che continua a leggere il giornale) Di che cosa parlavamo quel giorno, Rupeo?

Rupeo   (senza alzare gli occhi dal giornale) — Quale giorno? (E continua a leggere).

Mira      (si toglie di testa il cappellone, si sfila lo chemisier e riappare nuovamente con l'abito chiaro) — Parlava del sole... del mare... della casa dove era nato... di una vecchia zia un poco matta... Discorsi che fanno gli innamorati, per i quali persino l'olio di ricino diventa argomen­to di seduzione...

(Rupeo intanto si toglie la giacca e riappare in pullover e camicia aperta. Mira gli si avvicina, piena di grazia giovanile)

La mia mamma l'olio di ricino me lo faceva sempre prendere col succo d'arancia.

Rupeo   (siede vicino a lei) — Anche la mia.

Mira      — Io non volevo. Lanciavo certi strilli... tiravo persino calci...

Rupeo   — Anch'io, ma, alla fine, per amore o per forza, dovevo cedere. Prendevo il bicchiere e buttavo giù, d'un fiato.

Mira      — Una volta ho fatto accorrere tutti gli inquilini del palazzo tanto strillavo...

Rupeo   — Dovevi essere molto capricciosa da bambina...

Mira      — Avevo tutti i capelli ricci.

Rupeo   — Ricci... capricci...

Mira      — E non mi crederai: avevo un nasino così piccolo che mi chiamavano tutti  « pata-tina ». Poi, una mattina, non so come, mi guardo allo specchio e mi accorgo che il naso mi era cresciuto.

Rupeo   — Avrai detto una bugia, come Pinocchio.

Mira      — Dico sul serio, sai? Il naso mi era cre­sciuto. E non ti sto a dire di quanto.

Rupeo   — In una notte?

Mira      — Credo. Il giorno prima, specchiandomi, non mi ero accorta di niente...

Rupeo   — Andiamo... non esagerare...

Mira      — E appena sono uscita dalla mia camera, tutti a domandarmi: cos'hai fatto al naso? Nien­te, rispondevo, mi è cresciuto. Ma dentro di me... una rabbia!

Rupeo   — Eri cresciuta tutta, perciò anche il naso ti era cresciuto.

Mira      — Ma prima avevo un nasino così piccolo... La cosa migliore che avevo era proprio il naso. (Ora parlano entrambi al pubblico)  Ripetuti così paiono discorsi cretini, ma sembrano invece così importanti, quando si è innamorati. Perché quando si è innamorati...

Rupeo   — ... il morbillo...

Mira      — ... la sculacciata di papà...

Rupeo   — ... il quattro in latino...

Mira      — ... il capitombolo dalla bicicletta...

Rupeo   — ... si idealizzano...

Mira      —  ... entrano  a  far  parte  della  storia patria...

Rupeo   — ... e saranno domani i caposaldi della vita familiare... (Riprendono entrambi la posi­zione di prima: giovani e innamorati).

Mira      — Quando mi domandavano cosa volevo fare da grande, sai cosa rispondevo? La sgual­drina.

Rupeo   (ridendo) — Questa poi...

Mira      — Gli schiaffi che mi sono presa... Imma­ginati, poi, la faccia delle suore. Ma io insistevo. Non sapevo cosa significasse quella parola, ma mi affascinava...

Rupeo   — Io, invece, volevo fare il pompiere. Mi piacevano le auto rosse, le scale lunghe, le divise colorate... E avevo una grande ammirazione per Nerone perché aveva incendiato Roma. Un uo­mo generoso, pensavo, che aveva dato lavoro ai pompieri. (Con un sospiro) Poi... i miei gusti sono cambiati e ho deciso di fare lo scrittore. E, invece, sono stato costretto ad occuparmi di articoli sanitari...

Mira      — Ma è un lavoro che rende, no?

Rupeo   — Comincio a dare ragione a mio padre. Se riusciamo a potenziare la nostra fabbrichetta... In fondo è appassionante. Non è tanto la produzione che m'interessa, quanto l'organiz­zazione delle vendite...

Mira      — In un certo senso è meglio occuparsi di una piccola industria, piuttosto che fare lo scrittore. Uno scrittore prima di diventare cele­bre deve fare tante di quelle rinunce. E se si sposa, la moglie deve fare una vita di priva­zione per tanto di quel tempo...

Rupeo   — D'altra parte, anche lavorando chi mi vieta di continuare a scrivere se ne sento il biso­gno? Per farsi una famiglia... il danaro è neces­sario. Io ho il dovere di offrire un'esistenza tran­quilla alla donna che sceglierò.

Mira      (sentono un suono di organo. Al pubblico) — Per la prima volta sentii nel cuore come una fiammata...

Rupeo   — Io non ho altro desiderio che quello di formarmi una famiglia. La vita è troppo piena di violenze, di lotte, di cattiverie... Invece, è così bello volersi bene. Crearsi una famiglia e dimenticare il mondo... formare per noi un'isola di pace... un'isola d'affetti...

(Suono di organo).

Mira      (al pubblico) — E io mi vedevo già con lui in quell'isola. Le mani in mano... la carezza della sabbia tiepida... i figli attorno che crescevano forti sotto il sole...

Rupeo   — ...allora non importa più il tempo che passa. Nemmeno la vecchiaia fa paura.

(Suono di organo).

Mira      (al pubblico) — Mi vedevo vicino a lui come la più fortunata tra le donne. Vedevo la sua vita divisa tra me ed i suoi articoli sanitari... un lungo infinito sentiero di rose senza spine...

Rupeo   — ... perché nulla ha importanza quando ci si ama sul serio.

(Suono di organo).

Mira      (al pubblico) — Ed era sincero.

Rupeo   — Ero sincero. (Torna alla sua sdraio e scompare dietro al giornale).

Mira      (al pubblico, come in confessione) — Mi sembrava così nobile, così bello... vedevo straor-dinari riflessi nei suoi occhi... i capelli sottili e morbidi... le mani lunghe, affusolate... Non ve­stiva un paio di pantaloni e un pullover, ma uno stupendo abito di raso azzurro e un gran manto dorato, con lo strascico. E sulla testa mi pare che brillasse persino non so se un'aureola o una corona...

Rupeo   (al di sopra del giornale, strizzando l'oc­chio al pubblico) — Non si è innamorata di me, ma del re di denari. Non le importava nulla di quello che ero io. Pensava soltanto alla serenità, al benessere, all'affetto che io avrei potuto darle.

Mira      (al pubblico, come se non desse peso alle parole di Rupeo) — Mi sono innamorata di Rupeo perché mi piaceva stare con lui e pen­savo che solo con lui sarei stata felice.

Rupeo   (come prima) — Non lo nego. Un po' d'attrazione fisica c'è stata. Lo ripeto, non ero un uomo da buttare.

Mira      (torna al tavolo per preparare la cola­zione) — Nell'insalata preferisci l'aceto o il limone?

Rupeo   — L'aceto.

Mira      — Ti farebbe meglio il limone.

Rupeo   — Per via delle vitamine. Lo so. Ma pre­ferisco l'aceto. (Si alza dalla poltrona e ora viene lui verso il pubblico) Tutto quello che ci diciamo è di un tale squallore... Due estranei hanno più cose da dirsi. Sembra impossibile pensare che un giorno abbiamo potuto crederci veramente anime gemelle. Perché ne eravamo convinti tutti e due. Ricordo il nostro primo appuntamento al Caffè delle Rose. La guardavo affascinato senza avere il coraggio di parlare. Un essere così sensibile... così delicato.

Mira      (continuando a preparare il tavolo lancia un urlo con rabbia) — Accidenti! Non bastavano le formiche. Anche le coccinelle. Ora le sistemo io. (Con la foga ricomincia a usare l'insetticida).

Rupeo   — Aveva il viso pallido... gli occhi lumi­nosi... grandi... Ci eravamo seduti l'uno di fronte all'altra. Lei ordinò un gelato e io un frappè.

(Mira viene avanti e siede accanto a lui. Chiamando)

Cameriere?... Senta, cameriere... Un ge­lato di frutta misto alla signorina e un frappè al ribes per me.

Mira      — Goloso, eh?

Rupeo   — Molto. Vado matto per le torte, le cre­me, i pasticcini, i canditi, i croccanti... (Al pub­blico) Forse non era che una forma d'infanti­lismo... Infatti ora che invecchio ritorno goloso... (A Mira) S'immagini, signorina, che mi reggevo appena sulle gambe e già rubavo la marmellata alla mamma. Cose che i bambini al giorno d'oggi non fanno più. Ora rubano vino... sigarette... liquori... Se ne fregano della marmellata.

Mira      — Io sono stata felice fino a cinque anni. Poi papà ci lasciò e la mamma, che era ancora giovane, si risposò ed ebbe altri figli. Io mi sono sentita trascurata, infelice... Mi sono rinchiusa in me stessa e sono cresciuta sola, come... una incompresa.

Rupeo   — Capita spesso ai ragazzi...

Mira      — Ma mi succede anche oggi che sono una donna. Mi pare persino che la gente sia differente da me. I miei gusti, le mie idee, le mie speranze sono diverse da quelle degli altri. E il modo di sentire, poi... Quando ho fame o sete, penso: ma gli altri avranno fame o sete proprio come me?

Rupeo   — È un'osservazione profonda. Gli altri... per gli altri il frappè al ribes avrà lo stesso sa­pore che ha per me?

Mira      — E il sapore del rabarbaro? A molti non piace.

Rupeo   — E a lei?

Mira      — Nemmeno.

Rupeo   — Neppure a me. E il cavolo le piace?

Mira      —   Non posso sopportarne nemmeno l'odore.

Rupeo   — Lo stesso effetto che fa a me.

Mira      — E gli spinaci all'agro?

Rupeo   — Mi piacciono.

Mira      — Anche a me.

Rupeo   — Il fritto di zucchine e carciofi?

Mira      — È la mia passione.

Rupeo   — Anche la mia. E la cicoria?

Mira      — No.

Rupeo   — Il pollo al pomodoro? Ne vado pazzo.

Mira      — A me il pollo piace fatto in qualsiasi modo. E la cassata alla siciliana?

Rupeo   — Sì.

Mira      — Anche a me. Le piace il mare?

Rupeo   — Tanto. E anche la pioggia.

Mira      — Il vento, invece, no. Ma la neve è così bella... soffice... leggera...

Rupeo   — È meravigliosa la neve.

Mira      — E l'inverno...

Rupeo   — E l'autunno...

Mira      — E la primavera...

Rupeo   — E l'estate... mi piacciono le quattro stagioni.

Mira      — Che bello! Ci rassomigliamo.

Rupeo   — Abbiamo gli stessi gusti. Siamo pro­prio due anime gemelle. (Al pubblico) Forse non eravamo completamente sinceri, ma che importa? Lei voleva piacere a me come io vo­levo piacere a lei. Un giorno lei dovette confes­sarmi che la cicoria non le spiaceva e io... che mi piaceva il cavolo... Ma era tutto un giuoco... Ci sentivamo attratti l'uno verso l'altra. Questa, la verità.

Mira      — Mi piacciono le mandorle, i cedri, le albicocche, gli alberi, la luce, il buio, il sole, l'universo...

Rupeo   (al pubblico) — E poi, forse, non capi­vamo nemmeno quello che ci dicevamo... Le parole non avevano importanza: erano suoni... Suoni che ci univano. Avremmo potuto anche dire parole senza senso... parole incomprensibili...

Mira      — Timbuctu caraco...

Rupeo   — Gluparamiticoto... munimarevestretci...

Mira      — Stacopatoscherula...

Rupeo   (al pubblico) — ... e sarebbe stata la stes­sa cosa. Che importanza potevano mai avere le parole? Ci guardavamo negli occhi... sorride­vamo... E io scoprivo la vera ragione per cui ero venuto al mondo: per proteggerla, per ren­derla felice... per darle quello che non aveva mai avuto... Io mi sono innamorato per dare. Lei per avere.

(Si alzano e parlano entrambi al pubblico).

Mira      — In fondo è la stessa cosa. (Indossa lo chemisier).

Rupeo   — No, non è la stessa cosa. Lo sbaglio ecco dov'è: qui. (Indossa la giacca sportiva).

Mira      — Lui si è innamorato per sentirsi forte, per sentirsi uomo. E io, permettendogli di pro­teggermi, lo facevo felice. Gli permettevo di soddisfare il suo orgoglio maschile. Io, invece, sono donna. Perciò pensavo a me stessa...

Rupeo   — Lei si è innamorata per egoismo.

Mira      — Ci si innamora sempre per egoismo.

Rupeo   — No. Io mi sono innamorato per gene­rosità, per dare...

Mira      — Può essere felicità dare, può essere feli­cità ricevere. Ma si da o si riceve per sentirci felici. Sempre soltanto per far piacere a noi stessi: per egoismo. (S'è rimessa a preparare la tavola. Riprendono più forti di prima i rumori delle radioline e le voci dei vicini).

Rupeo   — Mi sono innamorato di lei per egoismo? Certo, mi sentivo felice amandola, ma... (Alza le spalle e torna alla sua sdraio) Che ora è?

Mira      — L'una e cinque.

Rupeo   — Sarà meglio metterci a tavola.

Mira      — Appetito?

Rupeo   — Be', sento un po' di vuoto dentro..

Mira      — È l'aria pura: apre lo stomaco.

Rupeo   — È l'ossigeno.

Mira      — Ed anche l'azoto!

(Siedono entrambi a tavola).

Rupeo   — Buon appetito, Mira.

Mira      — Buon appetito, Rupeo. Per favore, vuoi essere così gentile da stappare le birre?

Rupeo   (stappa le birre) — Mi passi un panino?

Mira      — Ecco, te lo preparo. Passami il burro.

Rupeo   — Se mi passi l'apriscatole, apro gli anti­pasti...

Mira      — Ecco, sul burro vuoi anche un'acciughina?                                      

Rupeo   — Grazie. Dammi il bicchiere, ti verso la birra.

Mira      — Poco... così. Questo prosciutto è migliore di quello di domenica scorsa.

Rupeo   — Questo formaggio è migliore di quello di domenica prossima.

Mira      — Vuoi la senape?

Rupeo   — Sì. Ti serve il sale?

Mira      — Piano col pepe. Riscalda.

Rupeo   — Ecco la scatola del tonno...

Mira      — Passami il piatto...

Rupeo    — Metti nel tuo...

Mira      — Va bene, tu prendi il mio, io prendo il tuo...

Rupeo   — Lasciami però la mia forchetta.

Mira      — Certo ti lascio la tua. Il bicchiere è il mio?

Rupeo   — ... sì, è il tuo.

(Si mettono a mangiare) Secondo le più recenti statistiche il mercato degli articoli sanitari è in continuo aumento...

Mira      — Chissà se a Paolo il mal di denti è passato.

Rupeo   — Gli articoli sanitari hanno un enorme avvenire nella vita moderna.

Mira      — Perché s'è sposato quella donna? Non vuole il mio affetto... non vuole la mia tene­rezza...

Rupeo   — Il mondo, in questo secolo, è stato rivoluzionato dagli articoli sanitari. Nell'otto­cento solo le teste coronate usavano il bidet...

Mira      — Oltretutto non mi pare nemmeno trop­po sana come donna. Se lei morisse, Paolo, certo, ne soffrirebbe. Ma alla fine dovrebbe per forza rassegnarsi. E il bambino verrebbe affi­dato a me.

Rupeo   — Però bisogna stare attenti: andando di questo passo non arriveremo all'inflazione degli articoli sanitari?

Mira      — Per fortuna c'è la beneficenza. La bene­ficenza è una grande risorsa per l'umanità.

Rupeo   — Per fortuna c'è l'umanità. L'umanità è una grande fortuna per la beneficenza.

(Lunga pausa).

Mira      — Hai mangiato bene, Rupeo?

Rupeo   — Forse troppo.

Mira      — Io mi sento benissimo

(Si alzano dalle sedioline e siedono sulle sdraio).

Rupeo   — Proverò a fare un sonnellino.

Mira      — Cercherò anch'io di dormire.

(Si dànno un bacio sulle guancie ed entrambi chiudono gli occhi mentre cala la tela).


SECONDO TEMPO

(Mira e Rupeo sono seduti sui loro sgabelli da camping al riparo di una tettoietta di paglia. Piove. Si asciugano con un fazzoletto il viso e il capo).

Rupeo   — Almeno avessi portato un ombrello...

Mira      — E chi poteva prevedere questo tempo? Quando siamo partiti non c'era una nuvola..., c'era il sole...

Rupeo   — Appunto, avremmo potuto portarci un parasole. E sarebbe servito come para­pioggia.

Mira      — Il tempo è così incostante...

Rupeo   — Del resto un po' di pioggia fa bene alla campagna.

Mira      (romantica) — Fa nascere i fiori...

Rupeo   — Però è dannosa alle viti. È la siccità che fa il vino buono.

Mira      — Domenica prossima porteremo le galoches, l'impermeabile e l'aspirina.

Rupeo   — E l'ombrello.

Mira      — Anche.

Rupeo   — Non c'è niente di peggio di un raffred­dore in questa stagione.

Mira      — Peggio ancora la febbre del fieno.

Rupeo   — Sfilati le scarpe, sono fradice.

Mira      — Asciugati i capelli, gocciolano.

Rupeo   — Un po' di whisky?

Mira      — Preferisco un po' di tè. Per fortuna che ne ho portato un thermos pieno.

(Rupeo beve del whisky, Mira del tè).

Rupeo   — Chissà quante domeniche di pioggia avremo, ora.

Mira      — L'estate sta per finire.

Rupeo   — Tra poco è autunno.

Mira      — In autunno piove spesso.

Rupeo   — Dipende. A volte piove meno in autun­no che in estate.

Mira      — Le stagioni non sono più quelle di una volta.

Rupeo   — Questo discorso l'abbiamo già fatto stamattina.

Mira      (dopo un silenzio) — Io adoro il sole.

Rupeo   — Ma non il caldo.

Mira      — Mi piace il caldo, quando non è troppo caldo. Però tutto sommato, neppure il freddo mi dispiace.

Rupeo   — Quando non è troppo freddo.

Mira      (sognante) — Ci sono regioni dove il clima è sempre temperato.

Rupeo   — All'Equatore, invece, fa sempre caldo.

Mira      — E al Polo Nord fa sempre freddo.

Rupeo   — Anche al Polo Sud.

Mira      — Davvero?

Rupeo   — Certo.

Mira      — Curioso. Al Sud, di solito, fa sempre caldo.                    

Rupeo   — Ora con l'aria condizionata tutti pos­siamo avere la  temperatura che  preferiamo. In una casa dell'Equatore, dove fa caldo, può fare più freddo che in una casa del Polo Nord, dove fa freddo.

Mira      — Cos'è il progresso!

Rupeo   — E in una casa del Polo Nord, dove fa freddo, può fare più caldo che in una casa dell'Equatore, dove fa caldo.

Mira      — L'Equatore è in Africa?

Rupeo   — Anche.

Mira      — L'Africa è il continente dell'avvenire.

Rupeo   — Anche l'Asia.

Mira      — Anche l'America.

Rupeo   — Forse. E l'Europa?

Mira      — Secondo gli americani l'Europa è trop­po vecchia.

Rupeo   — Non è che l'Europa sia troppo vec­chia, sono gli americani che sono troppo gio­vani.

Mira      — Però gran bei ragazzi gli americani.

Rupeo   — Sportivi.

Mira      — Atletici.

Rupeo   — Sani. Ben nutriti.

Mira      — E soprattutto... puliti.

Rupeo   — Peccato che bevano molto. (Beve il suo whisky).

Mira      — Già. Bevono.

Rupeo   — Bevono tutto.

(Non hanno più nulla da dirsi).

Mira      (facendo uno sforzo per riprendere la conversazione) — Io, una volta, ho conosciuto un americano astemio.

Rupeo   — Io, una volta, ho conosciuto una si­gnora con un occhio blu e l'altro nero.

Mira      — E questo che significa?

Rupeo   — Nulla. Che l'umanità è varia.

Mira      — La natura è varia.

Rupeo   — Perciò il mondo è vario.

Mira      — Non ci sono regole.

Rupeo   — Ci sono regole, ma ci sono eccezioni.

Mira      — E le eccezioni confermano le regole.

Rupeo   — Lo si vede anche dalle statistiche.

Mira      — Io vorrei sapere, secondo le statisti­che, quante statistiche occorrono di solito per fare una statistica.

(Sono esausti, non sanno più di che parlare).

Rupeo   — Che ora è?

Mira      — Le tre e dieci.

Rupeo   — A che ora rientreremo?

Mira      — Alle cinque. Da un picnic non si tor­na mai prima delle cinque.

Rupeo   — E ora sono appena le tre e dieci. (Si alza e viene verso il pubblico) Una volta, la domenica, a quest'ora, facevamo la siesta. Ci svegliavamo alle cinque. La camera in penombra... noi due nel grande letto... i corpi vici­ni... fuori,  la città  in  riposo...  Se  aprivo gli occhi prima io, svegliavo Mira con un bacio...

Mira      (viene anche lei verso il pubblico) — Se, invece, ero io la prima a svegliarmi, restavo a guardare Rupeo che dormiva, senza osare di fare un movimento. Mi piaceva vederlo ripo­sare sereno... ascoltare il suo caldo e regolare respiro... Poi, quando si svegliava...

Rupeo   — ...un lungo abbraccio... una tazza di caffè...   ed   uscivamo   per   le   strade...   stretti, stretti... felici.

Mira      — Una felicità incantata... una felicità di vetro... Ma è durata così poco...

Rupeo   — Appena qualche anno.

Mira      — Meno... meno... Molto meno. Perché da quello stato di grazia in cui mi trovavo, un giorno, all'improvviso mi svegliai per ripiom­bare nel mondo... nella realtà. E Rupeo mi ap­parve non l'uomo che credevo, l'uomo che avevo costruito nella felicità del mio sogno, ma l'uomo che lui era. Un uomo comune... egoista... super­ficiale... meschino... Sì, anche meschino. E così mi apparve senza aureola... senza strascico... sen­za velluto...

Rupeo   — Io non so quando accadde tutto que­sto, né il perché. So soltanto che il modo di comportarsi di Mira nei miei riguardi cambiò all'improvviso. L'amore s'era trasformato: nien­te più passione, ma accettata abitudine, niente più trasporto, ma passività silenziosa, niente più tenerezza, ma un gelo battagliero.

Mira      — Una sera in cui Rupeo tornava dall'uf­ficio, stanco come sempre... con le sue solite preoccupazioni di lavoro... con quell'aria di mar­tire che gli piaceva così tanto assumere...

(Rupeo fa un lungo giro attorno alla scena, si avvicina a Mira e la saluta come se rientrasse a casa. Si toglie la giacca e ringiovanisce. Mira s'è tolta lo  chemisier, riappare con un abito giovanile, sul quale s'è allacciato un grembiulino da cu­cina).

Rupeo   — Ciao, tesoro, come stai?

Mira      — Una giornataccia. E tu?

Rupeo   — È stata una giornataccia anche per me. Un brutto momento. Dobbiamo fermare la pro­duzione. Non solo mancano le ordinazioni, ma ci arrivano disdette alle ordinazioni già rice­vute. I magazzini sono strapieni di roba, non sappiamo più dove metterla. Non si vende. E all'orizzonte nessuna possibilità di schiarita.

Mira      — Un po' di pazienza e tutto si aggiusterà.

Rupeo   — Ma che pazienza. Siamo in piena crisi. Gli articoli sanitari, in questo momento, nessuno li vuole più.

Mira      — Certo, è spiacevole, ma...

Rupeo   — Spiacevole? E tutto quello che sai dire è che « è spiacevole »?

Mira      — E cosa vuoi che ti dica? Non posso ordi­nare io articoli sanitari per far cessare la crisi...

Rupeo   — Già, questi problemi non ti interessano. Le grane toccano a noi uomini. Siamo noi che dobbiamo portare il peso di tutto.

Mira      (cercando di evitare una discussione) — Ma tu non devi prendertela così. Hai una fac­cia... Su, tesoro, fammi un sorriso...

Rupeo   — In questo momento ho proprio voglia di sorridere! Ma già, voi donne i nostri proble­mi, le nostre preoccupazioni, non le capite. Ve ne infischiate delle difficoltà che abbiamo. Pur che continuiate a spendere il danaro che noi guadagniamo con tanta fatica... Voi non pensate ad altro...

Mira      (al pubblico) — Fu il primo colpo. Non solo non si era minimamente preoccupato di do­mandarmi perché anche la mia era stata una giornataccia, ma voleva solo comprensione per la sua. E mi veniva a dire che io me ne infi­schiavo dei suoi problemi... che a me bastava spendere il danaro che « lui » guadagnava... E diceva questo a me?! A me che ero economa in un modo... parsimoniosa al punto che rinuncia­vo a un vestito se costava troppo... che mi facevo una croce per non spendere... che amministravo la casa spendendo la metà di quanto spendevano le mie amiche... a me che rinunciavo a tante cose per tirare avanti... che sgobbavo dalla mat­tina alla sera e per il mio silenzioso lavoro non avevo mai ricevuto una parola... un ringrazia­mento... una lode... Dovevo anche sentirmi of­fendere, ora...

Rupeo   (che è rimasto a guardare Mira) — È perfettamente inutile che mi guardi con quegli occhi spenti. Sono dentro ai guai fino al collo e tu non cerchi nemmeno di aiutarmi... Cosa fai tu per me?

Mira      (al pubblico) — Cosa facevo per lui? E osava anche domandarmelo?

Rupeo   (a Mira) — Io tutto il giorno in fabbrica a sgobbare duro, a farmi venire i capelli bian­chi per cercare di uscire da una situazione dif­ficile... dopo aver abbandonato tutti i miei idea­li... rinunciato alle mie ambizioni letterarie...

Mira      (al pubblico) — Scriveva dei raccontini che erano una pena... Pensierini da liceale ripe­tente... Con certi errori di sintassi...

Rupeo   (a Mira) — E quando torno a casa devo sentirmi dire da mia moglie di non pensare ai miei guai... di farle un bel sorriso. Ma io non posso sorridere. Ho voglia di piangere, io!

Mira      (al pubblico) — Il tipico vittimismo ma­schile. Perché gli uomini sono così, sempre, de­vono farsi compatire a tutti i costi!

Rupeo   (a Mira) — Ma cosa pretendi? Che quando torno a casa mi metta a ballare per la contentezza?

Mira      (al pubblico) — In un altro momento io sarei passata sopra a tutte quelle sciocchezze che diceva... al suo pianto greco... alla sua sma­nia di essere compatito e confortato sempre. Ma quella non era una sera come le altre. (Si rivolge a Rupeo e con dolcezza) Vedi, Rupeo, anch'io, oggi, ho avuto una giornataccia, come dici tu. E non vedevo l'ora che tu tornassi a casa per confidarmi... per sfogarmi un poco...

Rupeo   — Perché? cosa ti è successo?

Mira      — Non lo so... ho dei giramenti di testa... delle fitte per tutto il corpo... un malessere ge­nerale...

Rupeo   — Voi donne avete sempre un qualche bubù. Tutti i giorni!

Mira      (al pubblico) — L'avesse avuto lui il bubù che avevo io... ero incinta; ecco cos'era il mio bubù. (A Rupeo) Oltretutto ho anche avuto una scenata con la donna: l'ho dovuta licenziare su due piedi, quella matta. Perciò sono stata co­stretta a fare io tutto il lavoro di casa... Lavare... stirare... fare le pulizie...

Rupeo   — L'hai licenziata? Anche questa? ma come mai le donne di servizio tu non le sai tenere?

Mira      — Non è che non le sappia tenere. Le ho fatto una osservazione e lei per tutta risposta mi ha detto che ero una cretina. Capirai...

Rupeo   — E tu potevi evitare di farle un'osserva­zione. (Pausa) Cosa c'è da mangiare, stasera?

Mira      — Per primo minestrina, per secondo il lesso di stamane...

Rupeo    — Sai che odio il lesso e tu me lo fai due volte in un giorno.

Mira      — Se avanza mica posso buttarlo, no? Ti ho fatto anche la salsetta verde che ti piace tanto...

Rupeo   — A te non riesce. Mia madre sì che sapeva farla lei, quella salsetta.

(Mira ha un giramento di testa e si appoggia a una sedia) Che c'è?

Mira      — Un giramento di testa.

Rupeo   — Sapessi quanti ne ho io durante il giorno.

Mira      — Non è normale che tu abbia dei gira­menti di testa. Dovresti farti visitare da un bravo medico...

Rupeo    — Buona, questa. Vado a perdere tempo dai medici. Quelli non capiscono niente, perciò ti fanno fare analisi su analisi e ti mandano avanti per settimane intere. Sto benissimo. I miei sono disturbi che passano. Basta non dar­gli importanza. Stupidaggini che lasciano il tempo che trovano.

Mira      — Lavori tutto il giorno, non riposi mai. Ora con la primavera... se facessi una buona cura ricostituente...

Rupeo   — Bistecche al sangue, altro che medi­cine. Bistecche al sangue invece del lesso.

Mira      (al pubblico) — Di me non gl'importava nulla. Stavo male... mi sentivo svenire... lui se ne infischiava. La colpa era mia: non sapevo sopportare nemmeno un malessere trascurabile. Il fastidio che mi dava questa sua ostentata ed ipocrita superiorità maschile.  (A Rupeo)  Ti spiace servirti da solo?

Rupeo   — Perché?

Mira      — Te l'ho detto: non mi sento bene. Una nausea dietro l'altra. (Trovando finalmente il coraggio di parlare)  È tutto il giorno che ci penso, Rupeo. Questa volta credo proprio di essere incinta.

Rupeo   — Perché meravigliarsene? Dal momento che tutte le sere andiamo a letto e facciamo l'amore...

Mira      (al pubblico) — Detto così e in quel mo­mento, la frase mi suonò come un insulto.

Rupeo   (a Mira) — Perché mi guardi a quel modo?

Mira      (dominandosi) — Tu... tu... saresti contento di avere un bambino?

Rupeo   — Be' con la crisi che stanno attraver­sando gli articoli sanitari, non sarebbe questo il momento più indicato. Ma ad ogni modo...

Mira      — Se sono in stato interessante...

Rupeo   — Da quando siamo sposati ogni mese sei sicura di essere incinta. Poi si tratta sempre di un falso allarme. Crederò che aspetti un bambino quando ti vedrò con la pancia. (Siede e comincia a mangiare).

Mira      (viene avanti perso il pubblico) — Non soltanto era gretto e meschino, ma anche vol­gare. Di quel tipo di volgarità propriamente maschile e che è così offensiva per noi donne. Io ero lì, davanti a lui: la casa era ordinata e pulita, avevo preparato la tavola con cura, come sempre, gli avevo preparata la salsa verde, anche se mi sentivo male... e lui non aveva una parola affettuosa per me... non un gesto di tenerezza... non un segno d'amore. Facevo il mio dovere, ma lui mi aveva sposato per servirlo; tutto gli era dovuto. Non capiva nemmeno la mia commo­zione per quella piccola vita che già mi pareva di sentire palpitare dentro di me... Pensava solo a se stesso, ai suoi diritti di uomo, alla crisi degli articoli sanitari. E io, nelle condizioni in cui ero, avrei dovuto anche consolarlo... sedermi sulle sue ginocchia... distendergli le rughe con una carezza... dissipare il suo malumore coi miei sorrisi... compatirlo... dimenticare le mie giuste e meravigliose trepidazioni per interessarmi so­lo alla sua persona. Ed alla fine l'amplesso nel grande letto matrimoniale, perché il signore dimenticasse tutti i suoi guai: ecco cosa voleva da me l'uomo che avevo sposato. Ecco cosa in­tendeva lui per amore. Ma a me lui cosa dava?

Rupeo   (si alza e viene verso il pubblico) — Non sono affatto sicuro di essere stato così sgrade­vole con lei quella sera. Però... può darsi: ero nervoso... seccato. La fabbrichetta, che mi aveva lasciato mio padre, non era ancora la fiorente industria di oggi. Mi costava fatica rimetterla in sesto, avviarla... Perciò tornavo a casa affa­ticato, avvilito. Mi aspettavo di essere compa­tito... consolato... Ero sicuro che, appena en­trato in casa, Mira mi sarebbe venuta incontro sorridendo... mi sarebbe saltata sulle ginocchia... un bacio... un altro bacio... Ero un uomo di trent'anni, andiamo, era logico che m'aspettassi anche quella forma di consolazione! Perciò ac­corgermi che non avrei avuto quella sera nem­meno quel poco... diciamo così... di abbandono-mi rendeva ancora più nervoso. E oltretutto ero completamente impreparato alla notizia della sua incipiente maternità. Erano mesi che mi sentivo ogni mese puntualmente ripetere « Credo proprio di essere incinta... questa volta ci siamo veramente... » che non potevo, sul mo­mento, commuovermi... Ammetto anche di ave­re usato delle espressioni poco felici. Ma quella era una serata... nata male, ecco. In generale sono sempre stato affettuoso con Mira, compren­sivo... Ricordo che quando il medico mi con­fermò che aspettava un bambino, mi sentii l'uo­mo più felice del mondo. Mi misi persino a piangere... (A Mira)  Negalo, se puoi.

Mira      — Non lo nego. (Al pubblico) Ma, ormai, quello che doveva succedere era purtroppo acca­duto. M'era caduta la benda dagli occhi. Mez­z'ora prima credevo ancora di essere appassio­natamente innamorata di lui. Ora sentivo di non amarlo più. Lo guardavo come un estraneo, come se nulla tra me e lui fosse successo. Mi stupiva pensare di avergli dedicato ogni mo­mento della mia vita. Ma perché? Non sentivo più nulla per Rupeo, nulla. Ora pensavo alla piccola creatura che doveva nascere sulla quale avevo già riversato ogni mio affetto. Era lei che contava, ora. L'amore per Rupeo era scom­parso. Volatilizzato. Irrimediabilmente finito.

Rupeo   (al pubblico) — Comodo! Ora che io avevo assolto il mio compito, Mira poteva anche fare a meno di me.

Mira      (al pubblico) — Non si tratta di questo. Ma non aveva capito la mia dedizione. Mi aveva offesa.

Rupeo   (al pubblico) — Le donne non capiscono che non possiamo sempre stare in adorazione davanti a loro. Abbiamo anche altre cose a cui pensare. E molto importanti, anche. Dobbiamo mantenere la famiglia. (Con uno scatto) E poi noi delle donne li accettiamo i difetti? Ebbene, loro accettino anche i nostri, ci prendano come siamo.

Mira      (al pubblico) — I difetti? Ma certo, li accettiamo. Ne abbiamo tutti di difetti... Ma il modo assurdo che hanno gli uomini di pensare... la loro assoluta mancanza di senso pratico... di ogni logica più elementare... (Rupeo torna a sedere sulla sua sedia) Anche quella sera, ricor­do... se ne stava seduto pensieroso, sembrava assorto in chissà quali meditazioni, quando a un tratto... (Va a sedere al suo posto, accanto a Rupeo).

Rupeo   — Bisognerà prendere la decisione di cambiar casa. In questo buco non mi ci posso più vedere.

Mira      (piena di speranza) — Per quando nascerà il bambino?

Rupeo   — Che c'entra il bambino? Questa casa è piccola, scomoda, lontana dal centro... Ho visto oggi, per caso, un villino che sembra fatto appo­sta per noi: grande, con tutti i comforts... un salone che non finisce più... due bagni... un giardino...

Mira      (al pubblico) — E con la crisi che stava attraversando il mercato degli articoli sanitari... con le spese che sarebbero aumentate con la nascita del bambino... proprio nel momento più difficile della nostra vita in comune... lui veniva fuori con i suoi sogni di grandiosità, con la sua megalomania: la villa. Sentivo di odiarlo.

Rupeo   — E anche il nostro macinino bisognerà cambiarlo. Ci vuole una buona macchina, robu­sta, solida, vistosa...

Mira      — E ti pare proprio il momento più oppor­tuno, questo, per fare una spesa del genere?

Rupeo   — E perché no? Nella vita bisogna avere coraggio. Guai a lasciarsi abbattere, cara mia. Audaces fortuna juvat. La fortuna aiuta gli audaci.

Mira      (al pubblico) — E due minuti dopo, per­ché gli avevo detto di essermi comprata un paio di scarpe...

Rupeo   — Mi domando che cosa ti sia saltato in testa. Con tutte le scarpe che hai. Sai che ci troviamo in un momento difficile... che non abbiamo soldi... E, poi, ci sono altre cose ben più importanti da comprare, altro che le scarpe!

Mira      — Già, la macchina...

Rupeo   (al pubblico) — Ma la machina... la villa... erano sogni. Sogni che in quel momento mi aiu­tavano... Le scarpe, invece, erano una realtà meschina... insulsa. Ma lei non lo capiva.

Mira      (al pubblico) — Non è che non lo capissi, ma mi faceva rabbia, ecco, una rabbia feroce. Perché guardavo quell'uomo che mi stava vicino e non trovavo più nulla in lui che mi piacesse. Rupeo non era più Rupeo. Era un uomo qual-siasi, che non conoscevo e che, soprattutto, non stimavo.

Rupeo   — Stamattina m'hai fatto uscire senza fazzoletto...

Mira      — Sai in quale cassetto sono i fazzoletti. Avresti potuto prendertene uno...

Rupeo   — Ma se tu non ti occupi nemmeno di prepararmi il fazzoletto alla mattina, allora... (Si mette a mangiare).

Mira      (al pubblico) — Con che coraggio mi di­ceva queste cose... E con che tono! (Osserva Rupeo che sta mangiando) Ora, guardandolo, mi pareva disgustoso anche il suo modo di man­giare. Possibile che non lo avessi mai notato? Ogni volta che si metteva in bocca un boccone, prima masticava, poi, prima di inghiottire... allungava le labbra, come una bestia. (A Rupeo) Hai un curioso modo di mangiare...

Rupeo   — Io? perché?

Mira      — Fai certe smorfie prima di mandare giù un boccone...

Rupeo   — È il mio modo di mangiare. Cosa ti prende, stasera?

Mira      (al pubblico) — Tutto di lui mi dava fasti­dio. Come parlava... come guardava... Avevo sem­pre creduto che Rupeo avesse dei begli occhi. Macché! Aveva degli occhi grandi, ma vuoti, senza espressione. E mentre mangiava, sudava sempre. Mi venne in mente all'improvviso che, anche nell'intimità, sudava... E che disgusto quelle sue mani molli, sempre un poco umi-dicce...

Rupeo   (al pubblico) — E così Mira si allontanò da me. (Viene avanti, mentre Mira rimane sotto la tettoia) Io non lo notai subito. Attribuivo quel suo cambiamento alla gravidanza che trasforma sempre il carattere di una donna. Noi uomini siamo così tardi a capire... così ingenui... siamo sempre vittime della nostra buona fede. Perciò non sospettai neppure che i sentimenti di Mira verso di me fossero cambiati. Avevo così fiducia in lei, ero così sicuro del suo amore... Era diven­tata più fredda, più riservata, meno espansiva... Pazienza, mi dicevo. Cercavo di non far caso... di non lamentarmene... Poco per volta mi abi­tuai persino a quel suo strano modo di fare. Continuavo a volerle bene, per abitudine, forse, ma Mira era per me la sola donna che esistesse al mondo, non pensavo nemmeno a tradirla. Il bambino, intanto era nato, cominciava a sgambettare... correva per la casa portando in ogni angolo la sua gioia di vivere... Mira, gelosa come una leonessa, era perfetta: una madre esemplare. (Compie un'azione attorno alla sce­na come per rientrare in casa).

Mira      (appena lo vede, lo ferma con un gesto) — Fai piano: dorme.

Rupeo   — Vado a dargli un bacino.

Mira      — Bravo, così lo svegli. La fatica che ho fatto per farlo dormire... Sono stanca morta. Perché Paolino è di una vivacità... Un bam­bino straordinario. Ma quanto dà da fare: gli ho fatto il bagno... l'ho incipriato... profumato... Era così carino con quel pigiammo nuovo... Ho impiegato più di un'ora per farlo mangiare... Poi gli ho fatto fare quattro salti perché di­gerisse e finalmente a letto. Saranno cinque minuti che si è addormentato. Ho un mal di schiena...

Rupeo   — Esageri ad occuparti così del bam­bino. Potresti lasciare fare alla donna...

Mira      — No, preferisco starci io, con mio figlio. E poi... mi diverte.

Rupeo   — Volevo  telefonarti.  Pensavo di an­dare a cena fuori con te...

Mira      — Perché?

Rupeo   — Oggi è il 12 settembre.

Mira      — E con questo?

Rupeo   — Non ricordi cosa è successo il 12 set­tembre?

Mira      — No.

Rupeo   — Ci siamo conosciuti.

Mira      (senza entusiasmo) — Davvero?

Rupeo   — Mi sarebbe piaciuto festeggiare questo giorno con un buon pranzetto e una bottiglia di champagne. Noi due, soli, soli. È da pa­recchio che non passiamo più una serata in­sieme...

Mira      — Siamo stati al cinema l'altra sera...

Rupeo   — Non è la stessa cosa. Mi piacerebbe uscire con te, come facevamo una volta, ri­cordi?

Mira      — Meglio di no. Se il bambino si sveglia...

Rupeo   — C'è la donna. Quando andiamo al ci­nema, allora...

Mira      — Quando andiamo al cinema è un'altra cosa. E, poi, che senso ha, ormai, andare in giro a fare la coppietta? Ogni frutto ha la sua stagione.

Rupeo   — Appunto. E la nostra stagione è pro­prio questa.

Mira      (secca) — Sbagli. È passata, invece. E da parecchio, anche.

Rupeo   — Passata? (al pubblico) Fu il primo colpo. Guardai Mira smarrito. Di fronte avevo una donna fredda, ostile, che discuteva con me con una sua logica precisa, staccata, senza la­sciar posto al sentimento. La voce aspra, dura, gli occhi... senza dolcezza...

Mira      — Lo sai benissimo anche tu, del resto. Sbrigati e mettiti a tavola.

Rupeo   — Scusa, Mira, forse non ho capito bene: hai detto che...

Mira      — Hai capito benissimo, invece. Su, non farla tanto lunga. Lo sai anche tu che non c'è nessuna ragione per andare in giro a festeg­giare. Festeggiare che? E poi... ci annoieremmo soltanto. E per te sarebbe un'altra delusione.

Rupeo   — E per te no?

Mira      — No, certo. Perché io di illusioni, non ne ho più. Almeno per quello che riguarda noi due.

Rupeo   — Perché? Cosa ti ho fatto?

Mira      — Nulla. Cosa vuoi avermi fatto? Non mi hai preso a schiaffi, né a bottigliate. Siamo cambiati, ecco tutto. Il tempo passa. Cambiano tutti. Siamo cambiati anche noi.

Rupeo   — Sarai cambiata tu, perché io...

Mira      — Tutti e due, Rupeo, tutti e due.

Rupeo   — Spiegati: cosa vuoi dire?

Mira      — Che l'amore è passato. Un capitolo chiuso.

Rupeo   — Non lo dirai sul serio, spero...

Mira      — Ma certo, tesoro. Forse tu sei troppo orgoglioso per ammetterlo. O non lo ammetti perché ti piace illuderti. Ma io sono chiara, soprattutto con me stessa.

Rupeo   (al pubblico) — Io non l'amavo più? E non me n'ero mai accorto? Ma no... andiamo… mi pareva ridicolo. Ma se non pensavo che a lei... se non vivevo che per lei...

Mira      (al pubblico) — La superficialità degli uo­mini. Credono che l'amore, una volta raggiunto, debba durare tutta la vita. Come un quadro che, appeso una volta alla parete, non lo si sposta più. Come un orologio a pendolo, che basta caricarlo una volta ogni tanto, perché quello vada avanti tranquillo con il suo tic tac. Sono convinti che l'amore debba essere eterno, senza scosse, senza mutamenti solo perché si ha una casa in comune, un figlio in comune, un dentifricio in comune...

Rupeo   (al pubblico) — La guardavo ed era co­me se la vedessi per la prima volta. Una donna così differente da quella che credevo io... Che cosa ci legava? Nulla. Cosa sentivo per lei? Nulla. Mi sentivo come svuotato. Avevamo in comune solo qualche ricordo. Ma i ricordi ave­vano lo stesso valore... la stessa importanza per lei e per me? Cominciavo a dubitarne, dal mo­mento che ci eravamo così allontanati... Adesso cominciavo a capire i nostri rapporti così mu­tati... le nostre confidenze ora piene di riserve... le notti ormai tranquille... i nostri pensieri che correvano su binari troppo diversi...

Mira      (al pubblico) — Forse se quella sera non glielo avessi fatto capire così chiaramente, Rupeo avrebbe continuato a vivere con me con­vinto di amarmi.

Rupeo   (rivolgendosi a Mira, con violenza) — Sarebbe stato meglio che non me lo avessi mai fatto capire!

Mira      (a Rupeo, con voce seria) — Viviamo in una realtà precisa, non in una favola.

Rupeo   — Ma aver scoperto quella realtà per me è stata una tragedia!

Mira      — E non lo è stato anche per me, quando me ne sono accorta? non ne ho sofferto anch'io?

Rupeo   — Ma io mi sarei continuato ad illudere che tu...

Mira      (troncando) — E, in seguito, hai conti­nuato ad illuderti. Ma non più con me.

(Accompagnato da un facile motivo musicale entra un manichino snodabile di donna nuda, rosa, bel­lissima, e si avvicina a Rupeo).

Rupeo   — Certo che mi sono illuso. Come ho potuto. Del resto il mondo è pieno di donne.

Mira      (indicando il manichino) — Ma per quella avevi perso proprio la testa.

Rupeo   (alza le spalle) — Era così carina...

Mira      — E stupida.

Rupeo   — Ma carina.

Mira      (al pubblico) — Quando l'ho saputo, non ne ho sofferto. Anzi devo confessare che mi ha fatto piacere. La notte Rupeo rientrava tardi, in punta di piedi, preoccupato che mi potessi svegliare. S'infilava nel letto con mille precauzioni, rispettando il mio riposo e, dopo cinque minuti, lo sentivo russare. Qualche volta l'osservavo mentre dormiva: sorrideva sempre. Certo, sognava di lei... perché aveva un'espres­sione così beata, così soddisfatta... Mi doman­davo: possibile che i loro incontri possano essere così sconvolgenti... così fantasiosi?

Rupeo   (al manichino) — Quanto bene mi vuoi? No... (fa sedere il manichino sulle sue ginocchia)... mi piace sentirmelo dire. Vieni qui. Metti la testa sulla mia spalla e dimmi che mi vuoi bene. Ripetimi: ti voglio bene... ti voglio bene... ti voglio bene...

Mira      (al pubblico) — Ecco cosa sono gli uo­mini: specchi. Il loro amore è soltanto un ri­flesso del nostro. Ci amano se noi li amiamo. Noi non li amiamo più? Loro smettono di amar­ci. Non s'innamorano di noi, ma amano sol­tanto la loro vanità, il loro orgoglio. Se io fossi stata più astuta e meno onesta, se appena avessi finto con lui, come fanno tante donne, Rupeo non mi avrebbe mai tradito e avrebbe creduto che il nostro amore fosse ancora forte e verde come il primo giorno.

Rupeo   (al manichino) — ... Anch'io... Ti amo tan­to. Tanto, come è grande il mondo. No... questa sera non posso. Cosa dico a mia moglie?... La prossima settimana, te lo prometto. Devo stare attento... Mia moglie è così sospettosa...

(Mira fa un'azione mimica di commento. Al manichino)

Con mia moglie? (Scoppia a ridere)... No, tesoro, non c'è più niente... Quasi niente... Com'è lei?... be', una donna arida. No, cattiva no: sgradevole... Eh, sì, ne ho sofferto. E molto, anche. Poi ho cer­cato di darle sempre ragione, di non litigare più... tanto... ormai cosa vuoi che me n'im­porti di quella pazza?

Mira      (al pubblico) — Perché così sono gli uo­mini: con le loro amanti, appena possono, par­lano male di noi. Anche per questo ci tradiscono.

Rupeo   (al manichino) — Con te, invece... una pace... un riposo... Perché con te è amore vero, capisci? Tu sola mi vuoi bene... tu sola sai capirmi... Quando c'è l'amore, la vita è tutta un'altra cosa. Io, poi... sono pronto a tutto... sono capace a mille rinunce, pur di avere per me un po' d'amore... Proprio così, non pre­tendo molto dalla vita. Mi accontento di così poco...

Mira      (al pubblico) — Di troppo poco. Infatti la bellona, mentre una notte andava alla ri­cerca di adoratori, fu presa in una retata...

(Il manichino si alza dalle ginocchia di Rupeo).

Rupeo   (al manichino) — Non t'avrei mai cre­duta capace di un'azione come questa. Mai!

(Il manichino si allontana, sparisce, e con lei il motivo musicale).

Mira      (al pubblico) — Ritornò a me come un cane bastonato. Ma cosa potevo ormai fare io per lui? Nulla. L'ho ricevuto qualche volta di­sperato tra le mie braccia; ma lui in me cer­cava quell'altra. E ho finto di non accorgermi di nulla. Tanto... ormai la mia vita aveva un senso preciso: avevo mio figlio e questo mi bastava. Paolo cresceva bene... Così forte... in­telligente... studioso...

Rupeo   (al pubblico) — ... E così poco mio... Non che non mi volesse bene. Ma era carino con me, solo quando io lo ero con lui.

Mira      (al pubblico) — Un uomo anche lui. Come suo padre.

Rupeo   (al pubblico, mentre va a sedere, come all'inizio, sulla sua sedia, dopo essersi messo la giacca) — Il suo affetto dovevo comprarmelo continuamente... Con dolci... giocattoli... soldi... (S'è seduto e si assopisce).

Mira(rimettendosi il suo chemisier scuro, al pubblico) — La nostra vita coniugale era arri­vata a un punto morto. Avevamo raggiunto un equilibrio, quasi un'armonia. In quel periodo decidemmo anche di dividere i letti, con la scusa che io ero molto nervosa e soffrivo d'in­sonnia. E anche questo servì a semplificare i nostri rapporti. (Torna alla sua sedia e sfoglia un giornale. Voci e musiche lontano. A Rupeo, svegliandolo) Ehi... ti sei addormentato?

Rupeo   (scuotendosi) — Mi ero un poco assopito...

Mira      — Sono quasi le cinque. È ora di tornare.

Rupeo   — Ha smesso di piovere?

Mira      —     Sì.

Rupeo   (alzandosi gli esce un lamento) — Ahi!

Mira      — Che c'è?

Rupeo   — Un dolore... qui, alle reni. Dev'essere l'umidità.

Mira      — Già. Bisogna stare attenti ai reumatismi, ora con l'autunno. (Mette in ordine ed am­mucchia la roba).

(Sparisce la tettoia e riappare la macchina. Mira e Rupeo caricano sulla mac­china tutta la roba da camping rimasta ancora fuori).

Rupeo   — Hai dormito anche tu?

Mira      — No. Ho dato una scorsa ai giornali.

Rupeo   — Hai letto di quel vecchio strangolato da una suora travestita da frate?

Mira      — Era una falsa suora.

Rupeo   — E naturalmente un falso frate.

Mira — Che ne dici di quel novantottenne che si è risposato?

Rupeo — Roba da matti!

Mira      — Il figlio della principessa lo chiame­ranno Clodovaldo. Che razza di nome.

Rupeo   — Meno male che è nato. Ora smette­ranno di parlarne.

Mira      — Figurati. Ora ci sarà il battesimo. Chissà che cerimonia! La faranno vedere anche in televisione...

Rupeo   — Poi ci sarà il matrimonio della zia...

Mira      — La regina d'Inghilterra non sarà pre­sente alle nozze, l'ho letto proprio oggi.

Rupeo   — Come mai? è in lutto?

Mira      — No, perché non approva quel matri­monio. Il nome di lui non è nemmeno scritto sul libro del Gotha...

Rupeo   — Cioè?

Mira      — Non è di sangue reale, non è neppure nobile.

Rupeo   — Sua madre non era arciduchessa?

Mira      — In prime nozze non conta. Poi ha spo­sato un industriale americano e ha perso il titolo. E poi lui... fa l'attore.

Rupeo   — Che cattivo gusto. Farsi fotografare in slip in piscina. Peloso com'è.

Mira      — Ma un gran bel ragazzo.

Rupeo   — Ma l'ostentazione della piscina...

Mira      — Ormai ce l'hanno tutti.

Rupeo   —  Persino quell'attricetta da quattro soldi che abbiamo conosciuto la settimana scorsa.

Mira      — Con quello che guadagnano i cinema­tografari, oggi...

Rupeo   — Milioni e milioni per un filmetto...

Mira      — Si fanno delle case che dentro sono un orrore.

Rupeo   — Però hanno certi mobili...

Mira      — Hai letto la puntata del memoriale del generale?

Rupeo   — Che mostro!

Mira      — E mica lo arrestano.

(Salgono in mac­china).

Rupeo   — Invece di metterlo al muro. E poi mettono dentro una vecchia perché ha rubato una pagnottella. (Mette in moto la macchina).

(Rumore del traffico).

Mira      — Jim mica la scampa, ne sono sicura.

Rupeo   — Jim?

Mira      — Quel negro che hanno condannato alla sedia elettrica.

Rupeo   — Sempre meglio la sedia elettrica che la ghigliottina.

Mira      — E della forca.

Rupeo   — E della camera a gas.

Mira      — Mi pare più umano, tutto sommato, il plotone di esecuzione.

Rupeo   — Come fanno « di là »? Non credere, però, che di là sia meglio.

Mira      — Non bisogna poi prendere per oro co­lato tutto quello che dice la propaganda...

Rupeo   — Però hai sentito anche tu quello che raccontano le persone che ci sono state...

Mira      — Gente con due facce. Quando è di là, dice una cosa; quando è di qua, ne dice un'altra.

Rupeo   — Scusa, ma a te piacerebbe che di qua ci fossero quelli di là a comandare?

Mira      — E tu pensi che a quelli di là piacerebbe avere questi a comandare?

Rupeo   — Questi, in che senso?

Mira      — Questi che sono da noi: questi di qua.

Rupeo   — Precisiamo: perché anche di qua ci sono di quelli che vorrebbero essere di là.

Mira      — Certo. E anche di là ci saranno sicu­ramente di quelli che vorrebbero essere di qua.

Rupeo   — Però se tutti quelli di là che preferi­rebbero essere di qua, venissero di qua, e tutti quelli di qua che preferirebbero essere di là, andassero di là, non credi che le cose andreb­bero meglio di qua e di là?

Mira      — Non credo affatto.

Rupeo   — Perché?

Mira      — Scoppierebbe subito la guerra.

Rupeo   — Dici?

Mira      — Certo, perché tutti quelli di qua vor­rebbero che tutto il mondo fosse di qua, men­tre quelli di là vorrebbero logicamente che tutto il mondo fosse di là.

Rupeo   — Già. E finirebbe che non ci sarebbe più né di qua, né di là.

Mira      (con un grido) — Attento!

Rupeo   — Maledetti ciclisti!

Mira      — Ma non è proibito ai camions circolare di domenica?

Rupeo   — Quello non è un camion, ma un tor­pedone.

Mira      — E non è la stessa cosa?

Rupeo   — No. I camions trasportano materiale, i torpedoni trasportano persone.

Mira      — E questo che significa? Si tratta sempre di mezzi di trasporto piuttosto ingombranti.

Rupeo   — Il guaio è che ci sono troppe macchine!

Mira      — E troppo poche strade.

Rupeo   — E poi questa smania di correre...

Mira      — La smania della velocità. (Pausa) Chis­sà oggi Paolo che cosa ha fatto. Lo avranno portato fuori il bambino?

Rupeo   — Domani Consiglio di amministrazione.

Mira      — Non gli fanno respirare mai una boc­cata d'aria, povera creatura.

Rupeo   — E quel Gastaldi è capacissimo di non arrivare nemmeno domani. Così dobbiamo ri­mandare un'altra volta il Consiglio, come gio­vedì scorso.

Mira      — Giovedì? Quanto tempo manca a gio­vedì? Solo tre giorni. Faremo a tempo con le tavole imbandite?

Rupeo   — Certo, è un peccato che se ne sia an­dato così quel povero Ciabotti. Un uomo tanto serio...

Mira      — Domani mattina mi alzo presto e vado per l'argenteria. A me la prestano sicuramente.

Rupeo   — Non era più un giovanotto, lo so. Aveva sessantadue anni. Ma se li portava molto bene.

Mira      — Anche per la cristalleria andrò io. Al­trimenti non la prestano.

Rupeo   — Però... sessantadue anni... Io ne ho già cinquantacinque...

Mira      — Meglio le pizze che i panini. Si ven­dono meglio e s'incassa di più. Nei panini ci vuole il prosciutto che è così caro...

Rupeo   — Cinquantacinque anni. Ho già cinquan­tacinque anni. Non sono vecchio, ma non sono neppure più un giovanotto...

Mira      — E poi le pizzette si comprano bell'e fatte.

Rupeo   — Mi fanno una rabbia quei ragazzetti di sedici, diciassette anni... Come si fa ad avere sedici, diciassette anni?

Mira      — Però queste manifestazioni portano via troppo tempo. Potessi dare le dimissioni da presidentessa...

Rupeo   — Per loro un uomo di cinquantacinque anni è già vecchio. Cretini! Possiamo dare tanti di quei punti a quegli stupidelli...

Mira      — Certo che posso dare le dimissioni. Perché no?

Rupeo   — Però, anche a me, quand'ero ragazzo, un uomo di cinquantacinque anni mi sembrava vecchio... Perché, vediamo un po': quanti me ne potranno ancora rimanere? trenta? venti? Il povero Ciabotti se ne è andato a sessantadue. Brrr!

Mira      — Infila il corso: arriviamo prima.

Rupeo   — Come dici?

Mira      — Se prendi il corso arriviamo prima.

Rupeo   — Non posso: è direzione vietata. Ieri si passava, oggi non più. Cambiano sempre.

Mira      — La domenica la città si svuota.

Rupeo   — Tutti fuori. Non c'è nessuno in giro.

Mira      — Però dopo aver passato una giornata fuori, fa piacere tornare a casa.

Rupeo   — Cinquantacinque anni! Come sono passati in fretta!

Mira      — Guarda... puoi parcheggiare davanti al portone... C'è posto.

Rupeo   — Che miracolo. Su, scendi svelta.

(Scendono dalla macchina e la macchina sparisce. Mira e Rupeo fanno un giro attorno alla scena, sulla  quale   riappare   il  soggiorno   dell'inizio. Mira e Rupeo rientrano in casa).

Rupeo   (si toglie la giacca e indossa la vestaglia, poi siede su di una poltrona) — Mira?

Mira      (si mette una sciarpa e siede anche lei) — Sì?

Rupeo   — Quanti anni hai?

Mira      — Lo sai: cinquantadue. Perché?

Rupeo   — Però, anche tu i tuoi anni, ce li hai.

Mira      — Sempre tre meno di te.

Rupeo   — Hai mai pensato che tra poco saremo vecchi?

Mira      — A me la vecchiaia non fa paura.

Rupeo   — Neppure a me, figurati. (È diventato di cattivo umore).

Mira      — Oggi ho letto sul giornale che è morta una mia compagna di scuola, Bruna Tossini. L'avevo persa completamente di vista. Non riesco  nemmeno più a ricordarmi che faccia avesse. Eppure eravamo così amiche, una volta...

Rupeo   — La quantità di gente che se ne va in questo periodo...

Mira      — La vita passa per tutti...

Rupeo   — C'è troppa gente che non cura abba­stanza la propria salute...

Mira      — Di' piuttosto che dobbiamo darci il cambio. Leggevo su una rivista che nascono 180 bambini al minuto. Oppure 1800?

Rupeo   — Si vede che nonostante tutto, si con­tinua a fare l'amore.

Mira      — Il mondo perciò non andrà mai alla fine.

Rupeo   — Mira?

Mira      — Sì?

Rupeo   — Non potresti prepararmi qualcosa di caldo?

Mira      — Perché? Non ti senti bene?

Rupeo   — Mi sento qualcosa sullo stomaco. Forse non ho digerito. Subito dopo mangiato quella corsa che abbiamo fatto per ripararci dalla pioggia. E poi l'umidità...

Mira      — Mi riposo due minuti e vado a scal­darti un po' di brodo...

Rupeo   —   Grazie. Ho come dei brividi di freddo...

Mira      — Però, una giornata all'aria aperta e si torna a casa... stanchi... ubriachi.

Rupeo   — Mentre una volta, invece, si tornava, con una carica tale di energia...

Mira      — Una volta!

Rupeo   — Di' un po': com'ero a vent'anni?

Mira      — Non lo so. Ti ho conosciuto a venti­cinque.

Rupeo   — Non credo di essere poi molto cam­biato da quand'ero giovane, non ti pare, Mira?

Mira      — Io sì. Sono cambiata...

Rupeo   — Dovrei fare un po' di sport. Ripren­dere il tennis. Ma dove lo trovo, il tempo? Se giocassi a tennis mi andrebbe via questo po' di pancia...

Mira      — Io dovrei riprendere i massaggi: mi facevano così bene...

Rupeo   — Fatti pure i massaggi. Pur che non ti ritinga i capelli di quell'orribile colore dell'altra volta.

(Mira si alza di scatto ed esce).

(Al pubblico)  Io sul momento non ci avevo trovato niente di strano sul fatto che si fosse tinta i capelli. Il colore, questo sì, mi pareva un poco azzardato, ma lei a dirmi che ora andava di moda così... Certo però che quella sera che me la trovai davanti con i capelli platinati e un vestito rosso fuoco, la guardai esterrefatto. Non che stesse male, intendiamoci, ma era un'altra. Prendeva persino un'aria equivoca, che lei, povera Mira, non aveva mai avuto. Una di quelle vecchie che si vogliono ringiovanire a tutti i costi. Nostro figlio si era sposato da poco e la nostra vita scorreva abbastanza serena. Litigavamo di meno, ci confidavamo di più. O almeno... così mi pareva. Io continuavo a concedermi qualche capriccio, una volta ogni tanto. Ma niente d'impegnativo, intendiamoci. Se mi capitava a tiro un'occasione, non la man­davo a un altro. Ma una volta e via. Niente relazioni. Anzi, queste avventure si verificavano ormai sempre più di rado. Di questi tradimenti non sentivo alcun rimorso. Era un peccato or­mai da tempo entrato nel giro delle mie abitu­dini. La fabbrica era avviatissima, guadagnavo bene, perciò mi concedevo qualche distrazione...

Mira      (torna in scena con una vistosa acconcia­tura biondo-platino ed un vestito sfacciatamente rosso. È molto truccata, quasi irriconoscibile. Ha sul volto un'espressione dolorosa che con­trasta col vestito e col trucco. Viene avanti e al pubblico) — Rupeo non ha mai capito nulla di me. Mai. Neppure quella volta. Non riusciva neanche ad immaginare cosa avesse voluto dire per me il matrimonio di Paolo... Quanto avessi sofferto vedendomelo andar via di casa... Per­ché avevo vissuto la mia vita solo per lui. Venti­cinque anni gli avevo dato. I pensieri di venti­cinque anni, le ansie di venticinque anni... la giovinezza... tutto. Non avevo voluto altri figli per dare a lui tutto l'amore... tutta la tenerezza... Avevo vissuto la sua vita, non la mia. Se pas­sava la notte a studiare, gli restavo vicino... non dormivo se rientrava tardi... ero triste se Paolo era triste... allegra, se Paolo era allegro... Non ero più abituata a vivere per me. Non sapevo nemmeno più cosa significasse. Per questo il giorno in cui mi disse « Mamma, mi sposo », mi sentii venir meno. Cosa avrei fatto senza di lui? Nemmeno più il suo letto da fare... i suoi vestiti da spazzolare... La sua stanza ormai sgom­bra... S'era portato via i suoi libri... i suoi dischi… La mia giornata senza di lui era così vuota... Allora pensai che avevo dato troppo agli altri e mai nulla a me stessa... e che, ora, avrei dovuto rifarmi... E mi venne come una specie di ribel­lione.

Rupeo   — Le venne in mente di riguadagnare il tempo perduto... (Ha parlato anche lui al pub­blico).

Mira      (al pubblico) — No, questo... no. Solo vo­levo sentirmi viva. Pensare a me stessa e sol­tanto a me stessa. Ne avevo il diritto, in fondo. (A Rupeo) Del resto non facevi altrettanto an­che tu?

Rupeo   (alza le spalle, poi, al pubblico) — Don­nine da quattro soldi. Non erano tradimenti i miei. Lo facevo per stordirmi... per non pen­sare. Dopo che ero stato un'ora tra le loro braccia, non ricordavo nemmeno più il loro viso...

Mira      (a Rupeo) — E non avevo il diritto anch'io di fare altrettanto?

Rupeo   — A cinquant'anni? Coi capelli tinti? Con un figlio sposato? alla vigilia di diventare nonna?

Mira      — E non avevi cinquant'anni e un figlio sposato anche tu?

Rupeo   — È diverso, un uomo può...

Mira      — Un uomo... una donna... è la stessa cosa. Siamo uguali, fatti nello stesso modo, perché non dobbiamo avere gli stessi diritti?

Rupeo   — Ma ridurti come ti sei ridotta tu... (Mira alza le spalle ed evita il suo sguardo) Vedi, Mira, mi hai sempre rimproverato dì essere un sognatore... di non sapere guardare in faccia la realtà... di continuare ad illudermi, anche se gli anni passavano... Ma come hai fatto tu, a cinquant'anni ad illuderti così? E con un ragaz-zotto qualsiasi... un mascalzoncello di periferia... È mai possibile che tu possa aver creduto d'aver trovato veramente l'amore?

(Note di un motivo in voga; entra in scena un fantoccio di ragazzo-fusto con maglietta a righe e blue-jeans e va a disporsi vicino a Mira)

E hai pensato veramente che quello ti amasse?

Mira      (vergognosa) — Me lo diceva continua­mente... Era così appassionato... Avevo fiducia in lui... Mi sembrava felice di stare con me... Era allegro... rideva sempre...

Rupeo   — Rideva di te...

Mira      — Non era l'amore che tu credi quello che io cercavo in lui, ricordatelo.

Rupeo   — Però a letto ci andavi.

Mira      — L'ho fatto per lui, non per me.

Rupeo   (al pubblico) — L'abnegazione femminile. Mai una volta che una donna confessi che quel peccato piace anche a lei come a noi. No. La donna è superiore a tutto. Si concede per farci felici. Alla sua felicità non pensa mai. Però... me l'immagino i momenti di felicità di Mira con quello lì. (Indica il fantoccio).

Mira      (al fantoccio, come se Rupeo non esistesse) — Sto così bene con te... Mi sento come un'altra donna... Dimentico che ho un marito... un figlio... una casa... Dimentico tutto. Le giornate, quando non ti vedo, non passano mai, mentre se sto con te le ore volano... Stringimi tra le tue braccia... (Si fa stringere tra le braccia del fantoccio) Più forte... Mi sento protetta, ora... Come una bam­bina...

Rupeo   (al pubblico) — Una bambina di cinquant'anni. Che tristezza!

Mira      (al fantoccio) — A volte quasi mi vergo­gno d'amarti. Sai che potresti essere mio fi­glio?... No, non ridere... Te lo giuro. Quanti anni mi dài?... (Ride) No, qualcuno di più... molti di più... Non mi credi?... Ho un figlio della tua età... Non ridere... Sul serio... Mi sono sposata che ero ancora una bambina...

Rupeo   (al pubblico) — Aveva ventisei anni com­piuti.

Mira      (al fantoccio) — Sono stata di parola: l'o­rologio che ti piaceva tanto... Sei contento? An­ch'io. Sono sempre felice quando ti vedo felice. Oh, non pensare a quanto costa... Dietro ho fat­to incidere le mie iniziali... Così, ogni volta che guarderai l'ora, penserai a me...

Rupeo (al pubblico) — L'ora l'ha guardata per due giorni. Il terzo s'è venduto l'orologio.

Mira      (al pupazzo) — Come?... L'hai perduto?.. Ma come hai fatto? Il cinturino troppo largo?... Mi spiace. Era un orologio di gran marca... E poi sulla cassa c'erano le mie iniziali... Mi fai ridere... Certo, il mondo è pieno di orologi... Te ne comprerò un altro, uguale a quello che hai smarrito.

Rupeo   (al pubblico) — Aveva perduto la testa. Non aveva più ritegno. Sul suo volto sfiorito e truccato aveva sempre una espressione estatica... trasognata... La sorprendevo sovente davanti allo specchio che fissava la sua immagine, come se avesse voluto ipnotizzare le rughe per farle tornare indietro...

Mira      (al pupazzo) — Qui... la testa sulle mie ginocchia... Cosa faccio?... Nulla. Ti guardo. Sai cosa pensavo? Che avremmo potuto passare la vita senza incontrarci mai. Sarebbe bastato che quella sera la gomma della mia macchina fosse scoppiata cinquecento metri più in là... o che io fossi passata per un'altra strada... Invece, è successo proprio sotto i tuoi occhi... Ti sei preci­pitato ad aiutarmi e, poi, ridendo, mi hai chie­sto un passaggio per il centro. Mentre guidavo sentivo i tuoi occhi su di me. Poi, il giorno dopo, quando ti ho rivisto davanti al cancello del garage... il cuore mi è saltato in gola... Senza dirmi nulla sei salito in macchina e m'hai indi­cato la strada che volevi che prendessi... Quel giorno e il giorno dopo, la sarta mi ha aspettato invano... La campagna era verde... l'erba alta... vedevo solo il cielo azzurro...

Rupeo   (al pubblico) — Così... senza nemmeno resistergli... Come una donna di strada. Senza sapere nemmeno come si chiamasse. Il primo ragazzaccio che le era venuto vicino... Una donna come lei. Una signora!

Mira      (al fantoccio) — A mio marito dirò che sono invitata in casa di amici per passare il week-end. Staremo due giorni assieme. No... figurati... lui non dubita nulla. È così preso dal suo lavoro...

Rupeo   (al pubblico) — E mi faceva passare an­che per imbecille...

Mira      (al fantoccio) — La prossima settimana ci torneremo, vuoi?

Rupeo   (al pubblico) — Andavano fuori in mac­china, si fermavano al primo albergo e chiede­vano una camera matrimoniale...

Mira      (al fantoccio) — Davvero devi partire?... Quanto starai fuori? Una settimana? È così lunga una settimana senza di te... Vuoi davvero? Ma certo, ti scriverò... Non mi credi?... Lascia­mi il tuo indirizzo, ti scriverò ogni giorno.

Rupeo   (al pubblico) — Cinque lettere: centomila lire l'una. Me le portò proprio lui, il giova­notto, fissandone il prezzo. Un mascalzoncello che viveva di ricatti.

(Il fantoccio si allontana, sparisce e con lui la musichetta)

Un'avventura che, in fondo, gli aveva fruttato bene. (A Mira) Anche quelle lettere, le hai scritte per sentirti viva?

Mira      (confusa, vergognosa) — Non lo so... Non lo so... (Ora è anche buffa con quei capelli tinti, il vestito troppo scollato, il trucco sfatto dalle lacrime, il volto disperato. Sembra anche lei un fantoccio).

Rupeo   — Che storia sporca!

Mira      — Per me era un sentimento puro... un bisogno di dare... non una storia sporca come credi tu.

Rupeo   — Spiegami almeno che cosa significava per te quel disgraziato...

Mira      — Non lo so... ti dico che non lo so... un bisogno di afferrare ancora la vita... la gioven­tù... l'amore...

Rupeo   — No, l'amore no...

Mira      — Mi sentivo così sola... Tu eri freddo, distante... Mi pareva che anch'io avessi se non altro il diritto di...

Rupeo   (al pubblico) — Diritti... doveri... ci si accorge ad un tratto che anche le parole nelle quali credevamo di più non hanno senso... non significano niente... E che si è arrivati a cinquant'anni senza aver capito nulla né della no­stra vita, né di quella di chi viveva accanto a noi...

(Lunga pausa).

Mira      (timidamente) — Sarebbe bastato che tu in quei giorni ti fossi accorto di me... della mia solitudine...

Rupeo   — Ti sei mai accorta, tu, di quando io mi sentivo solo?

Mira      (alza le spalle, dopo un silenzio) — Ma tu avresti dovuto capire che dopo che Paolo se n'era andato...

Rupeo   (al pubblico) — E, come sempre, la colpa è nostra. Noi uomini siamo sempre responsa­bili delle sciocchezze che commettono le nostre donne. Ma dei nostri errori loro se ne assumono mai la responsabilità?

Mira      (dopo una pausa) — E, adesso, cosa farai?

Rupeo   — Non lo so.

Mira      — Se vuoi... me ne vado.

Rupeo   — E dove vuoi andartene?

Mira      — Non lo so... lontano...

Rupeo   — Dopo tanti anni che siamo insieme? Separarci alla nostra età? Oltretutto, sarebbe ridicolo...

Mira      — Mi vuoi ancora con te?

Rupeo   (la guarda a lungo, commosso suo mal­grado, poi) — Almeno quei capelli da ballerina potrai farteli tornare com'erano?

(Mira piangendo silenziosamente fa cenno di sì e si toglie la parrucca)

E di quell'altro, che vuoi che ne faccia? Lo mando in galera? Tanto, non so se lo sai, ne era uscito da poco... Ma sì, lasciamo perdere. Ormai...

(Mira avvilita, disperata lo guarda un attimo in silenzio, poi se ne va. Rupeo viene avanti verso il pubblico)

Forse avrei dovuto approfittare di quel momento di dispera­zione... di gratitudine... per riavvicinarmi a lei. Invece non l'ho fatto. Non so nemmeno io il perché. Forse per orgoglio... per paura del ridi­colo... perché mi pareva sleale coglierla in quel momento... così disarmata... così indifesa... Ep­pure in quel momento, mai come in quel mo­mento, mi sono sentito d'amarla... Forse non era amore... era tenerezza... pietà... Ma era un sentimento dolce... così dolce...

(Nella sua voce c'è una infinita tristezza, la voce è incrinata dal pianto)

E siamo rimasti così, l'uno da una parte, l'altra dall'altra del proprio dolore. E ab­biamo ripreso insieme una vita più silenziosa, più grigia di prima. Come potevamo, ormai, parlare tra noi ricacciando indietro tanti pen­sieri? E senza quei pensieri cosa avremmo avu­to da dirci? (Lunga pausa) Poi, Mira trovò una valvola di sicurezza nelle opere di beneficenza... Un modo come un altro per far passare le gior­nate... le ore...

(Mira riappare nel fondo con le tre amiche-bastoni e parla animatamente con loro. Musica elettronica del loro linguaggio).

Trascorrono i pomeriggi organizzando manife­stazioni benefiche alle quali partecipano donne di mezzaetà, che combattono la noia come lo­ro... Io, avanti e indietro, casa e ufficio, conti­nuando ad occuparmi di vendite... di produ­zione... Gli articoli sanitari non riempiono la vita, lo so. Ma anche il lavoro serve da evasione. L'azienda va a gonfie vele... Siamo ricchi... ab­biamo raggiunto anche noi un certo benessere economico... Tanta fatica abbiamo fatto... ed ora? Ed ora cosa significa aver vissuto insieme una vita? (Alza le spalle, va a sedere sulla pol­trona e chiama) Mira? Mira?

Mira      (dal fondo) — Un momento... Sto salu­tando le mie amiche... (Congedandosi dalle sue amiche) Grazie di essere venute. Siete state mol­to carine, ci vediamo domani in mattinata... L'associazione vi deve molto...

(Saluta le amiche che si allontanano ed escono e si avvicina a Rupeo. Naturalmente è riapparsa col suo che­misier nero e la sua aria spenta)

Mi volevi?

Rupeo   — M'avevi promesso qualcosa di caldo...

Mira      — Scusa, che sbadata: l'ho lasciato di là in cucina il brodo che ti avevo preparato...

(Esce e torna subito con una tazza di brodo fumante. Rupeo sulla sua poltroncina, sbuffa come se avesse qualcosa che gli dà fastidio e che lo soffoca. Mira rientra, lo guarda, posa il brodo) Cos'hai? Sei diventato pallido...

Rupeo   — Non è niente... non è niente... (Si slac­cia il colletto: fa fatica a respirare).

Mira      (lo guarda spaventata) — Ti senti male?

Rupeo   — Ho un dolore qui... (indica il cuore) un senso di soffocamento... Dev'essere il cuore...

Mira      (confusa, agitata si affaccenda intorno a lui, gli massaggia la fronte, gli fa aria) — Ru­peo... Rupeo... Parla... di' qualcosa... Come ti senti... Non ce la fai a parlare? Chiamo il medico?

Rupeo   — No... no...

(Lunghissima pausa. Mira non sa cosa fare, Rupeo ha abbandonato la testa sulla poltrona. Poi, un lungo sospiro, risollevato) È passato.

Mira      — Ti senti meglio?

Rupeo   — Sì. Meglio.

Mira      — Domani ti accompagno dal medico: farai subito un elettrocardiogramma...

(Si china su di lui per guardarlo. Rupeo trovandosi vicino il viso di Mira, le fa una carezza. Affettuosa e commossa)

Come va?

Rupeo   — Forse ho preso freddo durante la dige­stione... Tutta quella pioggia... Poi mi sono ad­dormentato in una posizione scomoda. Sai, alla mia età bisogna stare attenti a tutto...

Mira      — Vorrai dire: alla nostra età.

Rupeo   (sorride) — Alla nostra età.

Mira      — T'è tornato un po' di colore... Si vede che stai meglio...

Rupeo   — Sì, tutto è passato.

Mira      — Domani ti porto dal medico: assolutamente.

Rupeo   — Ti sei spaventata?

Mira      — Certo. Te ne meravigli?

Rupeo   — Dimmi: cosa avresti fatto se io...

Mira      — Rupeo, per favore, non farmi pensare...

Rupeo   — No, dimmelo.

Mira      (è sincera, spaventata solo al pensiero di quello che potrebbe essere successo) — No, Rupeo... per favore...

Rupeo   — Devi abituarti all'idea. Perché tanto... un giorno o l'altro... succederà.

Mira      — Preferirei essere io la prima ad andar­mene.

Rupeo   (spaventato) — E io... rimarrei solo?

Mira      — È la vita, Rupeo.

Rupeo   — Ma la morte...

Mira      — Per favore, Rupeo, cambiamo discorso...

Rupeo   — Prima dimmi se soffriresti davvero se io me ne andassi.

Mira      — E me lo domandi?

Rupeo   — Rispondi.

Mira      (domina la sua commozione) — Ci si affe­ziona a un cane, a un gatto... vuoi che non si senta nulla per un uomo col quale si è vissuta tutta una vita? Su, bevi il brodo.

Rupeo   (si alza e siede a tavola) — Mi sento de­bole. Ho bisogno di mangiare. (Beve il brodo).

Mira      (siede a tavola anche lei. Sono ora come all'inizio della commedia, seduti l'uno di fronte all'altra) — Ti spiace darmi una sigaretta?

Rupeo   (le dà una sigaretta e gliel'accende) — Una volta fumavi di meno. (Fa per accenderne una anche lui, ma subito vi rinuncia).

Mira      — Tu, invece, hai sempre fumato troppo.

Rupeo   — Ora ho diminuito. Alterno le sigarette con le caramelle. Lo sai che sono di nuovo di­ventato goloso come un ragazzino?

Mira      — A me succede con i gelati. Non mi sono mai piaciuti tanto. E ora ce ne sono di una varietà infinita. Li fanno persino alla menta...

Rupeo   — Ho un debole per le caramelle alla gelatina di  frutta. Anche  da bambino erano quelle che preferivo.

Mira      — E io mi mangio certe coppe di gelato... con la panna. E non dovrei... Per il fegato.

Rupeo   — Adesso ti faccio ridere: in ufficio, dentro la cassaforte, ho uno scatolone di cara­melle. Ogni tanto apro e pesco. Figurati se lo sapessero i miei dipendenti...

Mira      — Per il prossimo inverno voglio farti un bel pull-over. Cercherò una bella lana morbida, calda... M'è sempre piaciuto lavorare a maglia...

Rupeo   — A volte mi riprende la tentazione di scrivere... Ma non lo faccio, me lo proibisco. Meglio pensare. Perché fino a quando non l'hai scritto, puoi sempre continuare a credere che hai in testa un capolavoro...

Mira      — Ho telefonato a Paolo. Il mal di denti gli è passato. In settimana la moglie ci porterà il bambino...

(Arriva dalla strada un rumore di traffico).

Rupeo   — Senti le macchine? La gente torna in città.

Mira      — È stata una buona giornata, tutto sommato.

Rupeo   — Abbiamo respirato aria buona.

Mira      — Fa bene uscire dalla città una volta alla settimana.

Rupeo   — L'erba era molto verde.

Mira      — C'erano pochissimi fiori.

Rupeo   — Domani mattina devo alzarmi presto.

Mira      — Stasera voglio proprio andare a letto presto.

Rupeo   — Se domani fosse domenica invece di lunedì, dormirei tutto il giorno.

Mira      — Ho un occhio che mi salta. Dicono che annunci una sorpresa.

Rupeo   — Da domani mangio in bianco.

Mira      — Queste calze non valgono niente. Non le hai ancora messe che già sono da buttare.

Rupeo   — ... e devo uscire qualche volta a piedi. Faccio troppo poco moto. Sempre in macchina...

Mira      — No... no, basta con la beneficenza. Me­glio che mi occupi della casa. Si mangia bene solo quando cucino io.

Rupeo   — Quanto posso impiegare di qui all'uffi­cio? Un quarto d'ora? Venti minuti? Mezz'ora?

Mira      — I grassi fanno male. Bisogna evitare i grassi.

Rupeo   — In fondo... siamo nati con le gambe, mica con le ruote!

Mira      — Dobbiamo mangiare più verdura bol­lita. Con limone.

Rupeo   — Anche se arrivo con un po' di ritardo, in fabbrica, cosa importa? la produzione degli articoli sanitari non diminuirà per questo.

Mira      — E a letto presto, la sera. Dopo una cena leggera. E quest'anno metterò anche la maglia di lana.  (Guardando fuori)  Ecco... piove di nuovo.

Rupeo   — L'estate è proprio finita.

Mira      — Chissà quante ne avremo ancora di giornate di pioggia come questa.

Rupeo   — Già. Chissà quante ne avremo.

Mira      — Ormai...

Rupeo   — Ormai...

(Mentre Mira e Rupeo guardano fuori pensosi, cala la tela).

F I N E