Il penultimo scalino

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IL PENULTIMO SCALINO

di Samy Fayad

Personaggi:

GINA, vedova di Goffredo

FRANCESCO, professore

PIRONTE, amico di Goffredo

LUCIANA, moglie di Pironte

MARANZANA, maresciallo del “Corpo Sorveglianza Lidi e Foreste”

Scena:

Interno di villino nella pineta d’una località balneare. Il denaro vi è profuso in pezzi d’arredamento, quadri, soprammobili, firmati da pittori e architetti i cui nomi ricorrono nelle riviste bimestrali in carta patinata. La scena è quasi interamente occupata da un vasto soggiorno-tinello. Sul fondo, a sinistra, l’ingresso principale. Sul resto della parete si apre una grande finestra dalla quale si scorge il giardino, una siepe e, in lontananza, tra i pini, una villetta. A sinistra, partendo dal proscenio, una scala di legno conduce a un ballatoio sul quale s’affaccia la camera da letto. A destra, separata da un arco dall’ambiente principale, c’è una piccola cucina, un inno all’elettronica e al pino di Russia, con una porta che si apre sul giardino.

ATTO PRIMO

Le otto del mattino d’un giorno d’estate. Dalla porta sul ballatoio entra Gina. Ha poco meno di trent’anni, è molto attraente, molto ben tornita, molto “perbene” e indossa un accappatoio da spiaggia senza maniche, che le arriva un palmo più su del ginocchio. Gina sorregge un vassoio con una tazza di caffè; richiude la porta con cautela e si porta un fazzoletto alle labbra, soffocando piccoli, aggraziati singhiozzi. Ripreso il dominio di se stessa, fa l’atto di scendere, ma mette un piede in fallo; con agile mossa riesce a mantenere l’equilibrio, getta allo scalino uno sguardo di stizza, depone il vassoio sul pavimento e riassesta l’asse con due vigorose manate.

GINA - Carogna! (Riprende il vassoio, sosta dinanzi alla porta chiusa e si lascia sfuggire un paio di singhiozzi. Adesso scende speditamente. Sul pomello del corrimano ai piedi della scala, c’è un cappello maschile di paglia; alla sua vista, Gina si intenerisce, prende il copricapo, lo accosta ad una guancia socchiudendo gli occhi e quindi lo depone su un tavolinetto, accanto ad una pipa e una borsa per il tabacco. Si muove verso la cucina; su una poltrona scorge un libro poliziesco, depone il vassoio, solleva il volume e lo apre all’ultima pagina. Gli occhi di Gina si sgranano in un’espressione di incredulità) Ballister! (Sarcastica) Bravo Ballister! (Ripone il libro sulla poltrona, riprende il vassoio e raggiunge la cucina. Fa scorrere l’acqua nel lavello, tenendo a lungo la tazza sotto il getto, poi annusa attentamente la tazzina e la butta nel secchio dei rifiuti. Come esausta, ritorna nel tinello e siede stancamente, allungando le braccia sul tavolo. Il suo sguardo cade sul giornale. Muove sconsolatamente il capo e si porta il fazzolettino alle labbra) Proprio sul San Bernardo ti va a capitare! Che beffa, Goffredo… Che beffa! (Si sente il suono del campanello. Dopo una breve esitazione, Gina va alla porta d’ingresso, guarda attraverso lo spioncino, si ricompone e apre. Entra il professore Francesco Prandoni. È sui quarant’anni, un po’ stempiato; indossa un abito chiaro, sgualcito, ha un panama in testa e il nodo della cravatta allentato. Il suo è lo sguardo cupido dell’italiano medio non sfiorato dal benessere; esprime fame di denaro, di pentavani doppi servizi a riscatto, di automobile e carne muliebre. Usa un linguaggio semidotto, con concessioni al barocco e alle forbitezze scolastiche. In mano, porta il “Corriere della sera” e lo stesso romanzo poliziesco funestato da Ballister)

FRANCESCO - (togliendosi il panama, con aria allucinata) Costernato, signora… La prego di credere alla mia costernazione. Ho appena letto e… (La commozione lo strozza)

GINA - (con tono di circostanza) Molto gentile, caro signore. (Lo invita a entrare)

FRANCESCO - Non può immaginare quanto la notizia mi abbia sconvolto. Continuo a dirmi che non è possibile. (Furioso) Non è possibile! (Un tempo) Per la prima volta, e la cosa mi costa, (sventolando il giornale) son portato a dubitare del “Corriere della sera”. (Poco convinto) Mi dico che è un caso di omonimia… (Gina fa desolatamente di no. Il professore sospira rumorosamente e allarga le braccia in un gesto di impotenza)

GINA - Conosceva il mio povero Goffredo?

FRANCESCO - Posso dire di sì, sebbene non intimamente.

GINA - Lei è il professore…

FRANCESCO - Francesco Prandoni, un suo vicino. (Indica oltre la finestra)

GINA - Ah sì, ricordo. Molto gentile da parte sua, professore.

FRANCESCO - Che dirle, signora? E se in casi come questo si potesse dire qualcosa, come dirla?

GINA - Non dica niente. Se n’è andato. Se n’è andato per sempre… (Si mette a sedere premendosi il fazzoletto sulle labbra, ma si raddrizza subito per sfilare, di sotto, il libro poliziesco) Te ne sei andato, Goffredo mio, senza sapere che il colpevole è Ballister… (Getta il libro sul tavolino, Francesco lo guarda, poi, con occhio spento, fa un accenno di amaro sorriso a quello che porta con sé)

FRANCESCO - Ah, è Ballister… (Getta il volume accanto all’altro)

GINA - (desolata) Oh, mi dispiace, professore… Mi dispiace davvero… Anche lei, forse, è un cultore e le ho tolto il gusto…

FRANCESCO - Ma si figuri! (Accorato) Non può immaginare quanto la notizia mi abbia turbato. È ben vero che la notte scorsa ho udito cantare la civetta ed ho sognato acqua torbida; ma da questo a immaginare che l’architetto… (Portandosi una mano agli occhi) Oh, Dio… Mi consenta, signora… (cade a sedere) Una vertigine.

GINA - (alzandosi) Le servo un caffè.

FRANCESCO - No, no; sarebbe il quarto in due ore.

GINA - Uno più, uno meno…

FRANCESCO - Non s’incomodi.

GINA - È fatto. Non ho che da versarlo.

FRANCESCO - Grazie, allora. (Mentre Gina va in cucina) La più piccola emozione mi mette a terra.

GINA - (versando il caffè da un contenitore termostatico) Questo le darà una sferzata. (Ritorna nel soggiorno e gli porge la tazza)

FRANCESCO - Dovrei essere io a fare qualcosa per lei e invece… Compatisca, la prego: sono ipoteso.

GINA - Non deve scusarsi.

FRANCESCO - (dopo aver bevuto un sorso) Eccellente! (Altro tono) Povero architetto!

GINA - Trentanove anni!

FRANCESCO - Solo quando ci accadono le cose peggiori ci si avvede che non si era pensato che potessero accadere a noi. Ne so qualche cosa, io!… Come si sente, cara signora?

GINA - Come se mancassero le pareti della casa, e il tetto, sospeso, stesse per crollarmi addosso. (Con voce sempre più fievole) Ma non crolla… non crolla…

FRANCESCO - (con improvvisa veemenza, che fa sobbalzare Gina) Mai l’aereo! Il treno: l’onesto, tranquillo, lento, sissignore, il lento treno!

GINA - L’attività del mio povero Goffredo ne richiedeva la presenza in luoghi molto distanti fra loro: l’Africa per le dighe, la Finlandia per le carceri modello, il Giappone per i bunker antiatomici.

FRANCESCO - (con un sospiro) Eh, lei ha ragione… Fa presto a parlare uno come me. Sono un sedentario, io, un uomo-radice, mentre il suo povero Lamberto…

GINA - Goffredo.

FRANCESCO - Mentre il suo povero Goffredo, scusi, era un capo un capitano d’industria… Sempre in volo… in volo… ut avis… ut avis… (Allo sguardo neutro di Gina) Come un uccello… (Un tempo) Ah, signora, signora, il prezzo è sempre proporzionato al valore… Consideri la sorte del suo povero marito: dinamico, realizzatore, ricco, bell’uomo… con quel sano colorito sardo-fenicio… (Muove il giornale sul tavolo, con gesto rassegnato) E adesso… Che sorte!

GINA - Un istante prima che lei suonasse, mi dicevo che sorte peggiore non gli poteva toccare.

FRANCESCO - Se può servirle di consolazione, non deve aver avuto il tempo di percepire quanto stava accadendo. C’era della nebbia spessa come una coltre di piume, scrive il “Corriere” con felice similitudine: un attimo, uno schianto, la fine.

GINA - Non alludevo a quello, ma alla circostanza che l’aereo si è schiantato sul San Bernardo. Il povero Goffredo detestava i cani. (Francesco la fissa con sguardo inespressivo) Capisce la beffa?

FRANCESCO - No. (Un tempo) Cioè, non afferro il nesso.

GINA - Il San Bernardo… I cani… I cani San Bernardo.

FRANCESCO - Ah, i cani San Bernardo. (Con un risolino secco) Eh, eh. (Si rabbuia) Strada facendo, avevo preparato alla buona una silloge di massime stoiche nell’intento di infonderle coraggio e rassegnazione, ma noto che ha saputo incassare il colpo con forza ammirevole. (Per la prima volta, nota l’abbigliamento di Gina. Ripete, fissando le gambe) Davvero ammirevole…

GINA - (sforzandosi di coprire le ginocchia) Non ho avuto il tempo di aggiornare il guardaroba, scusi.

FRANCESCO - (compunto) Ma le pare. (Un tono più su del necessario) Non è il momento di badare alle esteriorità!

GINA - L’estate, per me, è una sofferenza: non sopporto roba addosso. Lei lo sa, del resto.

FRANCESCO - (un po’ a disagio) Io?

GINA - (con aria innocente) Ogni volta che ritorno dalla spiaggia e giro per la casa con niente addosso, noto che lei è appostato dietro le persiane socchiuse…

FRANCESCO - (smarrito) La prego di credere che…

GINA - Non deve esserne imbarazzato.

FRANCESCO - Questo mio imbarazzo è segno di… di…

GINA - (con un sorriso, rassicurandolo) In fondo, la colpa è mia. Potrei almeno far scorrere le tendine.

FRANCESCO - Insisto nel dire che…

GINA - (ansiosa) È lei che occhieggia, spero.

FRANCESCO - (con vivacità) Sì. Ma la prego di credere, signora, alla casualità delle mie osservazioni. Lei ha parlato di appostamento, brutta parola che lascerebbe sottintendere una mia intenzione maliziosa…

GINA - (stupita) Non lo penso affatto! A rigore, si tratta di una provocazione da parte mia. Lei è fatto di carne, dopotutto… Non ha chiuso l’esercizio; è ancora in età, voglio dire…

FRANCESCO - (allentando ancora il nodo della cravatta) In quel che dice c’è del buonsenso, ma non si addossi una colpa che non ha. Da parte mia, la prego di darmi atto che non mi sono spinto mai oltre gli sguardi; e non per l’ovvio motivo della distanza che ci separa, bensì per il rispetto che lei mi ispira. Sarò soddisfatto se saprò di non averla offesa.

GINA - Tutt’altro, professore. Sono sensibile agli omaggi di un uomo, sotto qualsiasi forma vengano espressi.

FRANCESCO - (con aria incredula) L’ha presa davvero in modo ammirevole!

GINA - (civettuola) Mi auguro solo che sua moglie sia di mentalità elastica.

FRANCESCO - Su questo punto posso rassicurarla: non ho moglie.

GINA - (interessata) Noooo?

FRANCESCO - È così.

GINA - Come mai?

FRANCESCO - (rabbuiandosi) Una storia dolorosa.

GINA - Vedovo anche lei?

FRANCESCO - No, no, scapolo.

GINA - Ho sempre pensato che l’uomo sia fatto per avere una moglie. Cos’è una casa senza una donna?

FRANCESCO - È soprattutto una casa silenziosa, signora.

GINA - Dai suoi sguardi non si direbbe che lei sia un misogino.

FRANCESCO - Infatti, non lo sono: sono povero.

GINA - Povero? E non ha preso moglie perché è povero? (Francesco annuisce) Via, oggi nessuno più è povero; o almeno tanto povero da non poter prendere moglie. Goffredo sosteneva che le vendite rateali hanno rivoluzionato il concetto di povertà. Avrà pure qualche cosa di suo… Un minimo.

FRANCESCO - Di mio, di veramente mio, qualcosa cui possa dire “mi appartieni”, non ho che gli occhi per piangere. Sono infelice, signora.

GINA - Ah, professore, se lo lasci dire da me: i soldi non fanno la felicità.

FRANCESCO - (annuendo gravemente) Specialmente quando sono pochi.

GINA - La prego, non si consideri infelice.

FRANCESCO - Invece lo sono: infelice e povero. Non rinuncerei ad essere infelice, purché abbiente. Almeno, dico, potrei scialarmela un po’, il che mi farebbe sopportare l’infelicità.

GINA - Avrà pur fatto qualche cosa per arricchirsi.

FRANCESCO - Di tutto, signora. In un paio d’occasioni ho rasentato perfino il lavoro.

GINA - Eh, sta fresco se fa affidamento sul lavoro per fare un po’ di grana!

FRANCESCO - È appunto il concetto che sostengo. Veda, il pane, quello sì, me lo guadagno col sudore della fronte, come si suol dire; il resto mi piacerebbe guadagnarmelo col sudore degli altri, perché l’eccessiva traspirazione è d’intralcio ai disegni ambiziosi, oltre che deleteria per un ipoteso come me. Non si scandalizzi: io sono rimasto ai tempi classici, quando l’uomo d’ingegno non lavorava, ma si coltivava. Quelli erano tempi! Esserci nato! Ma la nascita, purtroppo, non la si può dilazionare o anticipare. Aggiunga che la mia natura mediterranea mi rende incline alla siesta, alla vita contemplativa, diciamo pure all’estasi, e avrà il quadro completo del conflitto che sono chiamato a sostenere. La lotta per la vita? Fatemi ridere! Un’invenzione borghese… Avevo un amico, insegnante come me al liceo, condivideva le mie idee, ne discorrevamo nei lunghi pomeriggi invernali; eravamo sul punto di farci promotori di una crociata, diciamo più modestamente di un movimento, via, per l’affrancamento dell’uomo dal lavoro servile, quando sul più bello il mio amico disertò. Oggi dirige l’ufficio stampa dell’EIEP; non saprei sviluppare la sigla, ma si tratta di un istituto per l’estrazione delle proteine dal petrolio.

GINA - Conosco: è una consociata della GIOP. Abbiamo il venti per cento del pacchetto azionario.

FRANCESCO - Ah! (Un tempo) Come vede, sono un isolato: in un paese che s’affanna a creare nuove possibilità di lavoro, io sono assillato dal problema di come smettere di lavorare. Spero di non annoiarla con le mie divagazioni.

GINA - Tutt’altro. Mi aiutano… Mi aiutano a distogliere il pensiero da… (Soffoca il resto della frase col fazzoletto)

FRANCESCO - Se l’aiutano… (Un tempo) Visto che la mia indole è refrattaria al lavoro, dicevo, ho cercato di sistemarmi con un matrimonio. In quella villa, ormai l’avrà capito, non sono padrone, ma ospite.

GINA - Della vecchia signora Lombardi…

FRANCESCO - Appunto. Quindici anni fa o giù di lì, non in questo posto che allora era un acquitrino, ma a Viareggio, fui assoldato per impartire delle lezioni estive a due nipoti delta vegliarda. Oggi sono nientedimenoché i Fratelli Bartolucci S.A.

GINA - Edilizia. Conosco.

FRANCESCO - Sei, sette miliardi.

GINA - Più sette che sei.

FRANCESCO - Due asini! D’estate, la vecchia signora ospitava anche quattro nipoti: Laura…

GINA - Maritata De Bellis.

FRANCESCO - (annuendo) Mariella, maritata Onofri; Daniela, maritata Bellaria, marmi e affini; e infine Donatella, maritata… maritata con un barone siciliano… Olivares, Gutierrez, Escamillo… comunque un cognome dal timbro spagnolo… Dote delle ragazze, se la memoria non mi tradisce, tra liquido, immobili, eccetera, quattrocento milioni.

GINA - A cranio?

FRANCESCO - Prego?

GINA - Quattrocento ciascuna?

FRANCESCO - No, complessivamente, ma, fatta la divisione, la cifra mi si confaceva. Quindici anni fa, mi può credere sulla parola, la mia figura la facevo: i capelli c’erano tutti, c’era la presenza, un po’ di prestanza, due minuti sott’acqua in apnea. I ragazzi Bartolucci, come le ho detto, oltre che satanassi scatenati, erano due fior d’asini, sicché, prima a Viareggio, poi qui, la mia presenza in casa della vegliarda divenne una consuetudine estiva… Segua il mio ragionamento: quattro ragazze ben dotate, in cerca di marito. Ogni estate mi dicevo: forse questa è la volta che sboccia l’idillio. Mi prodigavo: era ciarliero, romantico, sarcastico all’occasione, mi esibivo in tuffi dalla scogliera del faro, venticinque metri, recitavo loro delle poesie. (Declama) “Date candidi giorni a lei che sola,

da che più lieti mi fiorìano gli anni,

m’arse divina d’immortale amore…”

GINA - (congiungendo le mani sotto il mento) Che bello!

FRANCESCO - Conosce? (Lei fa di no col capo, sorridendo dolcemente. Francesco riprende)

“Sola vive al col mio cura soave,

sola e secreta spargerà le chiome

sovra il sepolcro mio, quando lontano

non prescrivano i fati anche il sepolcro.”

(Un tempo) Foscolo… (Gina, estasiata, rifà il gesto. Francesco conclude rapidamente)

“A lei da presso il pie’ volgete, o Grazie,

e nel mirarvi, o Dee, tornino i grandi occhi fatali al lor natio sorriso.”

Neanche le ragazze conoscevano Foscolo. (Un tempo) Ad una ad una trovarono marito, i due Bartolucci s’involarono verso l’edilizia e di quei sogni bruciati a me è rimasta la cenere della consuetudine: trascorro l’estate in compagnia della veneranda signora, le declamo poesie d’ogni tempo e la mia sistemazione, fino ad oggi, consiste nel far parte del paesaggio.

GINA - Si può concludere che la sua perseveranza non è stata premiata.

FRANCESCO - Ha colto nel segno, gentile signora. La mia infelicità è dovuta in buona parte anche alla sfortuna. Non sono un cuore arido, signora, contrariamente a quanto farebbe supporre ciò che le ho raccontato. Le quattro ragazze erano oggetto di calcolo, non lo nascondo, ma in fondo all’animo mio ardeva la speranza che il sodalizio travalicasse l’affare, se così mi è consentito d’esprimermi, per concedere spazio all’idillio. Che io non sia un insensibile glielo dimostra il fatto che anch’io, una volta, ho ceduto all’amore cieco. Un incontro casuale, in treno: un angelo di avvenenza, ricca, disponibile. L’esordio fu rispettoso: una passeggiata sul lungomare, un baciamano, Foscolo; ma col trascorrere del tempo, siamo fatti di carne e ormoni, il desiderio divampò. Fattomi più ardito, coi baci mi spinsi su, oltre la mano, sempre più su, senza tuttavia spingermi al di là del segno della vaccinazione. Finché un giorno, era scritto, la passione repressa esplose e si trasformò in raptus. Soggiacqui io e soggiacque lei. Febbrilmente entrambi. Poteva essere l’Eden, era l’Eden, ma dovetti accontentarmi di intravederlo dalla soglia del cancello. Fu un sabato, ricordo: il marito arrivò col treno delle diciannove, noto come il treno dei cornuti. (Triste) Perché aveva marito… Come nella poesia di Garcìa Lorca, “Ed io me la portai al fiume, credendo che era ragazza, ma aveva marito…” (Con struggimento) Fosse stata almeno vedova.

GINA - (osservandolo con intensità) Lei è il tipo d’uomo che farebbe qualsiasi cosa per raggiungere il suo scopo…

FRANCESCO - Mi metta in mano la mappa del tesoro, signora mia, ed io, malgrado la mia avversione per la fatica fisica, armato di zappa e badile le vado a dissodare la Sardegna.

GINA - Un tesoro da cento milioni…

FRANCESCO - Non ci formalizziamo sulla cifra. Col passar degli anni, lei mi capisce, ho dovuto fatalmente ridurre le pretese. La legge della domanda e dell’offerta è impietosa.

GINA - (disinvolta) Sono felice che sia venuto a trovarmi, professore.

FRANCESCO - Lei mi lusinga.

GINA - Forse è il cielo che l’ha mandata. Lei parla, parla, e il mio pensiero è altrove. (Lo previene, rassicurante) No, le presto attenzione, ma tutto ciò che lei dice lo collego al mio povero Goffredo. È stato felice? Forse, ma di una felicità, come dire, agitata; è probabile, quindi, che non ne fosse cosciente. A che gli è servito allora. lavorare con tanto accanimento, costruire il suo mondo così solido? Se è stato felice, la sua felicità è bruciata insieme a lui. (Dopo una breve riflessione) Sul San Bernardo, poi! Lui che al semplice latrato di un cane doveva ricorrere al tranquillante. Che beffa atroce. (Roca) Che fre-ga-tu-ra! E che mi lascia?

FRANCESCO - (vivamente interessato) Che le lascia?

GINA - Un mucchietto di ceneri.

FRANCESCO - (dignitoso) È triste! (Pausa. Arrendendosi a una curiosità più forte di lui) Ma oltre le ceneri… Ora che il povero architetto è… (Tossicchia) Lei si trova a disporre di un… di un patrimonio… come dire?

GINA - Considerevole?

FRANCESCO - Considerevole. Era la parola che cercavo.

GINA - Dica pure di una vera e propria fortuna. (Francesco è visibilmente voglioso, ma soffoca subito un sorriso che gli sembra poco intonato alla circostanza)

FRANCESCO - Non oso domandare…

GINA - Quanto? (Guarda il soffitto) Da un calcolo sommario… Qualcosina in più della dote delle quattro ragazze.

FRANCESCO - (sradicandosi le parole dalla gola) A cranio?

GINA - Nooo, messe insieme. (Francesco è agitato, si asciuga il palmo delle mani, la fronte, la nuca)

FRANCESCO - Signora, dia alle mie parole il loro giusto valore, soprattutto considerando la loro provenienza. Beata lei!

GINA - (col fazzolettino sulle labbra) Cosa dice…

FRANCESCO - (con cupa veemenza) Prescinda dalla luttuosa circostanza, perdio, e si metta nei miei panni. Niente può costringermi ad essere reticente o ipocrita. Beata lei!

GINA - (singhiozzando) Non posso prescindere.

FRANCESCO - (furente) E io sì, allora? Io sempre? Gli altri mai?

GINA - Lei è crudele… Mi fa soffrire… Mi farà morire…

FRANCESCO - (dominandosi) Mi scusi… Ha ragione… (Dandosi aria col fazzoletto) Non debbo… Non ne ho il diritto… (Tra i denti) Porca! Mezzo miliardo!

GINA - (con una vocetta tremula) All’incirca, eh?

FRANCESCO - Fa bene a precisare… Milione più, milione meno… (Raccogliendo cappello, giornale e libro) Voglia scusarmi.

GINA - (stupita) Va via?

FRANCESCO - Non reggo, signora. Mi creda non reggo.

GINA - (con un sorrisetto triste e un accenno di broncio) Resti, la prego.

FRANCESCO - Perché debbo restare? Per soffrire!

GINA - Anche se la supplico di restare?

FRANCESCO - Mi supplica? (Il tono di Gina lo colpisce. Lei gli rivolge un nuovo, triste sorriso)

GINA - Andrebbe via anche se le confessassi di avere un estremo bisogno di lei? (È troppo. Francesco si rimette a sedere, come ipnotizzato) Le verso ancora un po’ di caffè? (Il professore fa di sì col capo. Gina va in cucina, versa del caffè in una tazzina e la porta al professore che ingolla il contenuto d’un fiato)

FRANCESCO - Che genere di aiuto, signora?

GINA - Poco fa, lei si è dichiarato disposto a dissodare la Sardegna…

FRANCESCO - Va da se che ho fatto uso del linguaggio figurato. Ed ho premesso: se avessi la mappa del tesoro.

GINA - Sono disposta a fornirle la mappa.

FRANCESCO - (sospettoso) Vuole mandarmi in Sardegna?

GINA - No. Dovrebbe scavare una fossa.

FRANCESCO - (sospettoso) Dove?

GINA - (divertita) Oh bella! Per terra.

FRANCESCO - Mi consenta di domandarle lunga quanto e profonda quanto…

GINA - Non molto. (Gina gli si fa vicino, mettendo allo scoperto un’altra generosa porzione di gambe) Anzitutto, debbo confessarle un mio piccolo segreto di donna. Promette che lo terrà per se? (Francesco allarga le braccia) Il povero Goffredo, cioè quello che rimane di lui, il povero Goffredo è lassù.

FRANCESCO - (guardando il cielo, oltre la finestra) È andato a cogliere il giusto premio… (Un po’ acre) Premiato quaggiù e premiato lassù…

GINA - (divertita) Ma dove guarda? (Indicando la camera da letto) Lassù, dico. (Il professore sposta lo sguardo verso la porta sul ballatoio)

FRANCESCO - Lassù?

GINA - Nella camera da letto.

FRANCESCO - “Quel che resta” del suo povero Goffredo è nella camera da letto? (Gina annuisce) Non mi dirà che già sono arrivate le ceneri!

GINA - (divertita) Quando lei strabilia, professore, è di un simpatico! …Un bambino, ecco cosa sembra. (Un tempo. Confidenziale) Mio marito non viaggiava su quell’aereo. (Una pausa. Francesco distoglie lo sguardo da Gina e lo fa cadere sul giornale)

FRANCESCO - Ma il “Corriere”…

GINA - Ha sbagliato.

FRANCESCO - Assurdo!

GINA - È così. Goffredo non ha preso quell’aereo; è arrivato col treno di mezzanotte e adesso è bello lungo disteso sul letto. Se non mi crede, salga a controllare.

FRANCESCO - Mi rallegro con lei e suo marito per lo scampato pericolo, signora, ma non vedo la necessità di questo controllo; rischio di turbare l’intimità d’un uomo che se la dorme dopo un viaggio in treno dalla Finlandia.

GINA - Niente può turbarlo, ormai. (Il fazzoletto sulle labbra) Goffredo dorme il sonno eterno.

FRANCESCO - In camera da letto? (Gina annuisce) Non sul San Bernardo? (Gina fa di no) È… è… (Gina annuisce. Un tempo) Mi faccia capire: non prende l’aereo, arriva in treno e… e muore nel suo letto.

GINA - Mezz’ora fa.

FRANCESCO - (realizzando) Ha visto il giornale… L’emozione… il cuore ha ceduto…

GINA - Tst, tst, tst, è fuori strada, professore. (Come chi parli a un bambino) L’ho ucciso io. (Pausa) Mi ha sentita, professore?

FRANCESCO - (facendo vibrare vigorosamente un mignolo dentro l’orecchio) Temo di no.

GINA - (sillabando) L’ho ucciso io. (Con un sorriso disarmante) Non mi crede?

FRANCESCO - Ucciso…

GINA - (annuendo vivacemente) Con il coso nel caffè. (Francesco lancia un rapido sguardo alla tazzina sul tavolo)

FRANCESCO - Che debbo intendere per coso?

GINA - Quello della bottiglia che mi son fatta dare ieri dal giardiniere della vecchia signora Lombardi.

FRANCESCO - (con gli occhi sgranati) Una bottiglia verde… (Gina annuisce) Metà delle istruzioni sono scritte in tedesco… Sull’etichetta c’è un teschio con due tibie incrociate… (Gina annuisce) Mancano due dita di liquido.

GINA - Adesso ne mancano quattro.

FRANCESCO - (pacato) Su quella bottiglia ci sono le mie impronte digitali. L’ho usata l’altro ieri in giardino…

GINA - (civettuola) Il destino si serve di una bottiglia per accomunarci… (Francesco si alza pesantemente)

FRANCESCO - È uno scherzo, vero? Mi dica che è uno scherzo…

GINA - (stupita e un po’ sdegnata) Ma niente affatto!

FRANCESCO - (cercando un punto d’appoggio) Oddio…

GINA - (premurosa) Si metta a sedere; la sua pressione è bassa.

FRANCESCO - (con voce stridula) La pressione è bassa, signora, ma il senso morale è elevatissimo! (La guarda) Se non si tratta di uno scherzo… allora… può essere una crisi, una crisi dovuta al dolore…

GINA - (osservandosi le unghie) Vada su. (Francesco, titubante, si avvicina ai piedi della scala, guarda su, poi Gina, infine si decide e sale) Attento all’ultimo scalino… (Ma l’avvertimento giunge troppo tardi) Francesco mette un piede in fallo e sta per precipitare. Fa appena in tempo ad afferrarsi al corrimano) L’avevo avvertita, professore.

FRANCESCO - (un po’ aspro) Mi ha avvertito di stare attento all’ultimo scalino, mentre avrebbe dovuto informarmi che dell’ultimo scalino non c’è altro che un frammento.

GINA - (un po’ mortificata) La cosa cambia?

FRANCESCO - (secco) Sì! (Entra nella camera da letto e ne schizza subito fuori, terrorizzato, richiudendo violentemente la porta) Oddio…

GINA - Com’è?

FRANCESCO - Viola.

GINA - Ha visto?

FRANCESCO - Oddio! (Fa per precipitarsi giù, mette il piede in fallo, si sorregge, cade a sedere) Perché l’ha ucciso? Prima o poi si sarebbe ammazzato da sé su questa scala.

GINA - Mi crede, adesso?

FRANCESCO - (scendendo precipitosamente) Il punto non è che le creda o no, cara signora. (Raccogliendo le sue cose) Dissocio ogni corresponsabilità: non ho visto, non ho udito niente! Si costituisca… Racconti tutto…

GINA - (stupita) Racconto? Che racconto?

FRANCESCO - Le è scappata la mano… Ha scambiato l’antiparassitario per anice o latte evaporato… Non conosco i gusti del defunto.

GINA - Bravo lei!

FRANCESCO - Si dimostri pentita; la nostra giustizia è clemente: il clima aiuta. Con i soldi di cui dispone, il collegio di difesa strappa la seminfermità: dentro a Pasqua, Natale a casa.

GINA - (le mani nei fianchi, furibonda) È tutto quel che ha da dirmi?

FRANCESCO - Sono dei buoni consigli… I migliori che abbia mai avuto.

GINA - (c. s) Bella riconoscenza! Ah, questa la racconto. Gli confesso di avere bisogno di lui; gli confido il mio piccolo segreto di donna, illudendomi di aver trovato un amico, o almeno un socio, e qual è la spiritosa trovata del professore? Vada a costituirsi. Questa la racconto.

FRANCESCO - Socio? Ha detto socio?

GINA - (drammatica) Lo capisce che ormai sono nelle sue mani?

FRANCESCO - Non l’ho invitata io a mettervisi.

GINA - E allora, la sua visita, eh? L’infelicità, l’indigenza, la dote delle ragazze, la Sardegna… La mia intelligenza media mi ha consentito di dedurre.

FRANCESCO - Ha dedotto erroneamente. E a questo proposito mi chiarisca la faccenda del socio. Che cosa ha inteso dire con questa parola? Complice, correo, uomo di paglia? Intende forse pagarmi perché scavi una fossa e l’aiuti a seppellire suo marito con la dovuta discrezione? (Gina fa di no, sorridendo soavemente)

GINA - Pagarla? No. Intendo offrirle molto… molto di più. (Un tempo) Mi capisce? (Francesco è immobile. Oppone una resistenza passiva. La voce di Gina diventa flautata) Le assicuro che non se ne pentirà.

FRANCESCO - (tuonando) Che significa “molto di più?”

GINA - Significa che il tesoro di cui sono disposta a fornirle la mappa può contenere qualcosa d’altro, oltre il denaro. (Francesco la fissa senza capire)

FRANCESCO - (con un filo di voce) Che cosa?

GINA - (pratica e sbrigativa) Mettiamoci a sedere e facciamo il punto, vuole? (Mentre si siedono) Le servo ancora del caffè?

FRANCESCO - (terrorizzato) No!

GINA - (birichina) Di quello ormai collaudato…

FRANCESCO - (c. s) No!

GINA - Va bene, non insisto. (Un tempo) Facciamo il punto. Lei, professore, può scegliere tra denunciarmi alla polizia, si levi dalla testa che vada a costituirmi, o stare dalla mia. Nel primo caso, sappiamo quel che mi attende, tutto sommato, ci pensi, pagherò io invece della società aerea e delle assicurazioni. Se invece decide di aiutarmi… (Ad occhi bassi) saprò esserle riconoscente… (Francesco deglutisce. L’accappatoio di Gina si riduce ancora) Molto riconoscente. (Francesco fissa le gambe) Non può immaginare fino a che punto.

FRANCESCO - (con un filo di voce) Mi metta… mi metta sulla strada…

GINA - Lei è solo e povero; io sono sola e ricca. Lei aspira al benessere, alla sicurezza, all’affrancamento dal lavoro; io voglio il suo silenzio, il suo aiuto, la sua… compagnia.

FRANCESCO - Ne parla come se fossero delle merci.

GINA - Facciamone delle merci.

FRANCESCO - (realizzando) Ha detto… compagnia?

GINA - Lei non sopporta la povertà; io non sopporto la solitudine.

FRANCESCO - (dopo una lunga pausa) Un sodalizio? (Lei lo avvolge in un morbido, carezzevole sguardo. Il professore, incredulo, punta l’indice in direzione di Gina e poi verso il proprio petto) Un sodalizio di… mutuo soccorso? (Lei abbassa lo sguardo, schiva, annuendo. Francesco si alza e si asciuga il sudore dappertutto) Madonna! (Si schiaffeggia, va alla finestra e trae profondi respiri)

GINA - Che fa?

FRANCESCO - Verifico se sogno.

GINA - Dico: mi denuncia o accetta?

FRANCESCO - Signora, sessanta secondi, che sono sessanta, me li vuol concedere per riflettere?

GINA - (sollevando il giornale) Il certificato di morte è bello e pronto…

FRANCESCO - Certo, da un punto di vista strettamente tecnico…

GINA - E anche legale…

FRANCESCO - Legale, dice?

GINA - (girandogli lentamente intorno) Il povero Goffredo prenota un posto sull’aereo in partenza per Milano, ma ecco che nel carcere finlandese scoppia una sommossa: sembra che la tinteggiatura giallo paglierino delle pareti sia deleteria per il sistema nervoso dei detenuti. Goffredo si trattiene più del previsto, dispone che le celle vengano tinteggiate in verde pastello, ma quando arriva all’aeroporto il suo jet ha decollato da due minuti. Su quello successivo riesce a trovare un posto, cedutogli all’ultimo istante da un pastore colto da un attacco d’asma.

FRANCESCO - (imbambolato) È fredda la Finlandia!

GINA - Goffredo arriva a Milano, salta sul primo treno e arriva qui a mezzanotte, non visto da nessuno. Per la compagnia aerea, per l’azienda, per l’Italia, per me… (sventola il giornale) Goffredo è sul San Bernardo: un impasto di cenere, ghiaccio e stelle alpine. Non le sembra abbastanza legale?

FRANCESCO - In un certo senso…

GINA - Una situazione assolutamente priva di rischi. Basta una fossa.

FRANCESCO - No che non basta. La legalità e la fossa stanno bene; ma come la mettiamo con la morale, signora?

GINA - Se serve a incoraggiarla, incominci pure a chiamarmi Gina.

FRANCESCO - La morale, signora Gina?

GINA - Solo Gina.

FRANCESCO - Lei, certo, avrà avuto le sue buone ragioni per… (Un tempo) Un sodalizio permanente? (Gina annuisce) Lei avrà avuto le sue buone ragioni, ma non le voglio conoscere. (Si asciuga il sudore) Se deciderò di compiere il balzo sull’altra riva, non è ancora detto che lo faccia, potrò vivere nell’illusione di essere zompato sui miasmi di una palude, anziché aver guadato un fiume fatto per le scampagnate e i campionati di pesca. Alludo al defunto, beninteso. Per me, estraneo, era un giovane uomo intraprendente, ricco, atletico. Ma per lei? Tante volte, tante, le statistiche parlano, dietro una vita apparentemente felice sono celati i tormenti del… del coso… dell’inferno. Ecco, dell’inferno a due. E allora, bisturi! Teniamo da conto l’antica massima medica, signori miei! “Ubi pus, ibi evacua”. (Puntando un dito su Gina, con voce timbrata) E lei, signora… (la sua voce si addolcisce) Lei, Gina, lo credo, mi impongo di crederlo, ha posto mano al bisturi risanatore. (Un tempo) Un sodalizio… (Si dà aria col fazzoletto) Denunciarla? No! (Lirico, con voce tonante) “Sarebbe pensier non troppo accorto, perder due vivi per salvare un morto”! Cedo all’argomento…

GINA - (porgendogli entrambe le mani) Sapevo che non mi avrebbe abbandonata, Francesco. (Il professore le bacia le mani)

FRANCESCO - (galante) La fossa le sta bene in cantina?

GINA - È tutta di cemento.

FRANCESCO - In giardino, allora, appena annotta.

GINA - La terra smossa darebbe nell’occhio.

FRANCESCO - Allora niente fossa. In casa o nel garage vi sarà sicuramente un telo o un sacco.

GINA - Abbiamo un sacco a pelo.

FRANCESCO - Bene. Attenderemo il buio. Con questo scirocco, si alzerà una gran fumea. Infiliamo la buonanima nel sacco, attendiamo la mezzanotte e lo trasportiamo alla scogliera del faro. Di lì, ben zavorrato lo faremo inabissare. Nei film, generalmente, i risultati sono eccellenti.

GINA - (battendo le mani) Che idea!

FRANCESCO - Lei non immagina quante facoltà sono capace di sviluppare in caso di bisogno. (Si ode il suono del campanello. Francesco si porta una mano al cuore) Chi è?

GINA - (con stizza) Ecco che incomincia la processione degli afflitti! (Andando verso la porta) Uffa!… (Guardando dallo spioncino) È Pironte, un amico del povero Goffredo. (Con altro tono) D’un simpatico!

FRANCESCO - Non deve vedermi. (Si guarda intorno) Un nascondiglio…

GINA - In camera da letto.

FRANCESCO - (subito) No! (Guarda verso la cucina) Me ne starò lì. Se ne liberi presto.

GINA - Farò del mio meglio. (Francesco raggiunge la cucina e si addossa alla parete più lunga dell’arco. Gina, assunta un’aria compunta, apre la porta. Pironte è un milanese quarantacinquenne, corpulento e vitaminizzato; indossa calzoni di tela e una maglietta a righe e sorregge in mano un fucile per la pesca subacquea. A scuola e sotto le armi, uomini goffi e maldestri come Pironte costituiscono lo spasso di compagni e superiori; fino a una certa età, il loro aspetto è flaccido e i loro riflessi lenti. Poi, trascorsi pochi anni, si scopre che tra l’aristocrazia del benessere, i potenti del nuovo ceto e i padroni del vapore trionfa l’antico buffone. Gina tende la mano a Pironte; il quale gliela afferra e le fa compiere un giro su se stessa)

PIRONTE - Porca, che risveglio! Il Pironte quasi strozzato dal caffè! Dove l’è che l’è il matto? (Grida verso la camera da letto) Ehilà, architetto! Ehilà, matto!

GINA - (basita) Pironte…

PIRONTE - Se non m’ha preso un colpo dal gran ridere, non mi prende più. (Verso la camera da letto) Ehilà! (A Gina) Ma dove l’è che l’è?

GINA - (con un singhiozzo) Lei allora… non ha letto il giornale?

PIRONTE - Giusto perché 1’ho letto sono qui all’alba! (Guarda l’orologio) Porca, le nove! Ma che aspetti, il Vincenzi. (A Gina) Entra la Luciana con il giornale e il caffè. “Aereo precipitato sul San Bernardo”, eccetera… “Ottanta passeggeri e dieci uomini d’equipaggio”, eccetera… “Nessun superstite”. Lista dei passeggeri… Il nome dell’architetto. (Con un ululato) Aaaah! Ha presente quando scoppia una bombola di gas?… Quelle della concorrenza, eh, perché le bombole del Pironte montano il brevetto Gas-block. Beh, lo scoppio di una bombola. La Luciana, di là, ha pensato “i russi”, ed è corsa a nascondere i ninni colorati. Oh, Signore! Il caffè era qui, eh, all’altezza del mento. Bum! La risata del Pironte. Signora Gina, non immagina quanto caffè può starci dentro una tazza: il lenzuolo di sopra, quello di sotto, i guanciali, le mutande, tutto una macchia di caffè. La Luciana: “In Messico! Divorzio”! Matta! (Gridando) Ehilà!

GINA - (chiudendosi le orecchie con le mani) Sto per avere una crisi nervosa, Pironte. La smetta.

PIRONTE - Ceri a Sant’Ambrogio, signora Gina: cinquanta chili di ceri per come l’ha scampata.

GINA - (stridula) Di chi parla, in nome di Dio?

PIRONTE - Ohe, dico, il “Corriere” l’ha letto?

GINA - (piangendo) È la prima cosa che faccio al mattino.

PIRONTE - E allora suo marito non l’ha scampata bella? Ohe, dico, signora Gina.

GINA - Come fa a dire che l’ha scampata?

PIRONTE - (si fa serio. Poi, assumendo un’aria furba) Matta, matta anche lei. Tutti matti, in Italia! Al ballo mascherato di questa sera sa cosa si fa? Lei si presenta in gramaglie e l’architetto in una bara con le rotelle. Al posto del rosario, sul petto gli mettiamo il “Corriere della sera”. Il primo premio garantito.

GINA - Pironte, sono a pezzi; se la sua intenzione è di i tenermi su il morale, la ringrazio per il pensiero, ma questa mattina non sono in grado di apprezzare il i suo spirito.

PIRONTE - Ohe, ma parla sul serio? (Gina singhiozza) Signora Gina, fa sul serio?

GINA - Cosa vuole, che mi metta a ballare?

PIRONTE - La Luciana lo farebbe: è una buona moglie.

GINA - Vorrebbe dire che io…

PIRONTE - No, mi scusi… Mi sono espresso male… L’istruzione è poca, vero, e a volte inciampo nelle parole. Volevo dire che dal momento che suo marito l’ha scampata, lei dovrebbe stare allegra.

GINA - (disperata) Non l’ha scampata, Pironte. È sul San Bernardo.

PIRONTE - Macché San Bernardo dei miei stivali! Se l’ho visto…

GINA - (con uno strillo) Lei l’ha visto? (Francesco si fa attento) Quando?

PIRONTE - A mezzanotte. Giusto nove ore fa.

GINA - Non è possibile.

PIRONTE - Con questi occhi.

GINA - Dove l’ha visto?

PIRONTE - Alla stazione. Il treno si ferma, faccio per scendere, quando lo vedo all’altra estremità che accende la pipa. Lo chiamo, ma evidentemente non mi sente, scende e scompare.

GINA - Non poteva essere lui. Le sarà sembrato di vederlo, Pironte.

PIRONTE - Sembrato! Dieci decimi per occhio, all’ultima ripassata medica in Svizzera! E poi, scusi, ammesso che mi sia sembrato… (Mostrando il fucile) come la mettiamo con questo?

GINA - Cos’è?

PIRONTE - Il fucile che portava. Per accendere la pipa, l’ha appoggiato alla parete della vettura e poi, bravo chi capisce perché tanta fretta, è sceso e l’ha dimenticato.

GINA - Pironte, Pironte, lei è caduto in un tragico equivoco. Un fucile subacqueo può essere di chiunque… PIRONTE - (rabbuiandosi) Ohe, signora Gina, lei incomincia a preoccuparmi.

GINA - Non poteva essere lui.

PIRONTE - (dandosi una manata sulla fronte) Dica un po’, l’architetto, questo lo ricordo, ha una giacca Carnaby…

GINA - E con ciò?

PIRONTE - L’aveva addosso ieri notte.

GINA - Tanta gente ha una giacca Carnaby… E poi, quella di Goffredo (con un lamento prolungato) è in lavanderia…

PIRONTE - (preoccupato) Porca! (Guarda il fucile, si tormenta il mento) Lei… Lei non l’ha visto? (Gina singhiozza. Pironte si mette a sedere, stralunato) Oh, Signore… (Si batte una mano sul ginocchio) Oh, Signore! (Si copre gli occhi con una mano) Oh, Signore… (Singhiozzando, Gina gli posa la mano libera su una spalla. Di colpo, Pironte si alza) Il fucile! Noi subacquei ci contiamo sulle dita di una mano e di noi, solo lui ha una giacca Carnaby… Secondo me, arrivato a Milano, l’ha ritirata dalla lavanderia.

GINA - È l’amicizia che la rende così insistente, Pironte. L’amicizia può averle procurato un’allucinazione.

PIRONTE - Allucinazioni al Pironte! Ogni tre mesi in Svizzera, cara signora Gina: ripassata generale al motore. Neanche una grinza: vista, udito, cuore, polmoni, fegato, come usciti ieri dalla fabbrica. (Si batte una mano sul petto) Il Pironte l’è sempre in rodaggio! Non più di cinque sigarette e tre caffè al giorno. A proposito, il primo è andato tutto sulle lenzuola. Ci sarebbe un goccetto?

GINA - Certo, caro amico. (Corre in cucina, mentre Pironte legge il giornale traendone motivo d’ilarità. Gina e Francesco parlano con estrema concitazione)

GINA - Che si fa?

FRANCESCO - Liberarsene, liberarsene.

GINA - Gli verso un po’ di coso nel caffè?

FRANCESCO - No! Insista con l’allucinazione.

GINA - È un osso duro.

FRANCESCO - Lo persuada, altrimenti siamo perduti.

GINA - Mi viene un’idea. Indossi una giacca Carnaby e si mostri a Pironte.

FRANCESCO - Non ho il mio guardaroba a portata di mano, primo. Secondo: nel mio guardaroba non c’è una giacca di quel tipo.

GINA - In camera da letto, presto. Prenda quella di Goffredo. Giri intorno alla casa; la grondaia è giusto sotto la camera.

FRANCESCO - Che ci faccio con la grondaia?

GINA - Ci si arrampica.

FRANCESCO - Non è possibile: soffro di vertigini.

GINA - Sono pochi metri.

FRANCESCO - Casco.

GINA - Vuole mandare all’aria il sodalizio?

FRANCESCO - Mi conosco: casco.

GINA - (aprendo la porta che dà sul giardino) Vada, indossi la giacca e si mostri in giardino. (Lo spinge fuori)

FRANCESCO - (sulla soglia) Casco… Sento che casco. (Gina chiude la porta e rientra nel tinello con il caffè)

PIRONTE - (prendendo la tazza) Oh, niente di meglio per chiarire le idee. (Beve) Buono. Sa che le dico? Un appuntamento con qualche biondona: ecco spiegata la fretta.

GINA - La prego, Pironte, sono a pezzi.

PIRONTE - Ed io ho la testa dura. Mi spieghi chi può essere venuto da noi con questo fucile e le do ragione.

GINA - Perché da noi? Poteva essere un viaggiatore in transito. Metta che fosse sceso a comperare, che so, del tabacco e non abbia dimenticato il fucile. Il treno ferma pochi minuti e ciò spiega la fretta. Se l’immagina quando, risalito sul treno, non ha trovato il fucile?

PIRONTE - Ehilà, questa è una spiegazione.

GINA - Vede, dunque?

PIRONTE - Oh, Signore. (Fuori scena si sente un urlo)

GINA - È cascato.

PIRONTE - Chi?

GINA - Qualcuno. (Con un sorriso) Qualcuno è cascato.

PIRONTE - Brutti tempi! (Nel giardino appare Francesco con addosso una giacca Carnaby. Zoppica vistosamente)

GINA - (a Pironte, dopo aver gettato uno sguardo al professore) Tra poco partirò per Milano… e poi… il San Bernardo…

PIRONTE - Signora Gina, permetta al Pironte di essere ottimista. Tra poco, il suo Goffredo, lo vedremo di ritorno. Una scappatella, ecco cos’è stato. (Francesco tossisce forte e si volta rapidamente in modo da offrire la schiena alla vista di Pironte. Questi si gira a guardare) Buongiorno professore.

FRANCESCO - (voltandosi) Buongiorno, egregio cavaliere del lavoro. (A Gina) Ho telefonato, in seguito alle sue istruzioni. Si faccia coraggio: la compagnia aerea ha confermato. (Gina si porta il fazzoletto alle labbra)

PIRONTE - Confermato? (Francesco entra zoppicando) Cos’ha fatto alla gamba?

FRANCESCO - Sono cascato.

PIRONTE - Anche lei? (Francesco allarga le braccia) Brutti tempi!

GINA - (con finto stupore) Pironte, la giacca del professore…

PIRONTE - (alzandosi) La peppa!

FRANCESCO - (ritraendosi) Cos’ha la mia giacca? (Pironte la osserva da vicino; tasta il panno)

GINA - Il nostro amico Pironte, sostiene di aver veduto il povero Goffredo la notte scorsa sul treno.

FRANCESCO - (con un sorriso mesto) Eh, magari… magari…

PIRONTE - Però… se non la vedessi con i miei occhi… (Altro tono) Non scivola un po’ sulle spalle?

FRANCESCO - Cosa vuole… regalo di fine d’anno dei miei allievi al liceo…

GINA - (a Pironte) Somiglia a quella che ha visto?

PIRONTE - Identica sputata.

GINA - Ne è convinto, allora?

PIRONTE - (tormentandosi il mento) C’è qualcosa di poco chiaro…

FRANCESCO - Permette che le faccia qualche domanda, egregio cavaliere?

PIRONTE - (sospettoso) Io ho solo la terza tecnica.

FRANCESCO - (con tono rassicurante) La scuola non c’entra. Lei sostiene di aver veduto il povero architetto…

PIRONTE - Con questi occhi.

FRANCESCO - (grattandosi una guancia con l’indice) Uhm… Lei, cavaliere, la notizia è di pubblico dominio, ha dovuto ricorrere qualche volta alla camera di decompressione.

PIRONTE - Tre volte.

FRANCESCO - Come mai?

PIRONTE - Come mai! Lo vede lei il Pironte che, dopo essere sceso a cinquanta metri sott’acqua, sta a perdere tempo con tutte quelle balle dell’orologio, delle soste, delle bollicine nel sangue? Eh, già, il Pironte a contare i minuti, mentre la concorrenza lavora!… Le bollicine nel sangue… A volte si formano, a volte no. Sa cosa le dico? Meglio correre il rischio anziché perdere tempo.

FRANCESCO - In altri termini, lei non si sofferma, non medita, non discerne, non concatena. Da che cosa ha dedotto che l’uomo da lei visto ieri fosse il povero architetto?

PIRONTE - Innanzitutto dalla giacca come… (Si interrompe)

FRANCESCO - …come questa. Prima considerazione: qualcuno, oltre l’architetto, può indossate una giacca Carnaby.

PIRQNTE (a Gina) È vero, però! (A Francesco) Ma il fucile? L’architetto aveva la grana, e un signor fucile come questo non è roba che viene dal Giappone.

FRANCESCO - (esaminando il fucile) Questo fucile è stato acquistato da poco e non ancora usato: ecco l’etichetta, il marchio e il certificato di garanzia. Ne deduco: può appartenere al defunto marito della signora, sì; ma anche a uno dei centomila e più subacquei d’Italia. A questo punto, azzardo due ipotesi. Prima: allucinazione…

PIRONTE - E dalli! Anche lei con l’allucinazione!

FRANCESCO - Ha visto un tale con una giacca Carnaby e un fucile subacqueo ed ha collegato l’immagine a quella del defunto.

PIRONTE - Senta, professore, l’ipotesi dell’allucinazione la considero un’offesa. Non sono un poeta, io, per avere delle allucinazioni.

FRANCESCO - Non è un poeta, ma uno che è stato tre volte nella camera di decompressione ne porta il segno.

PIRONTE - Ohe, dico, che c’entra la camera di decompressione?

FRANCESCO - Lascia un segno. E lei vi è stato ricoverato tre, dico tre volte. (Senza lasciare a Pironte il tempo di replicare) Seconda ipotesi: lei dà corpo alle ombre. Letteralmente. Come? Lei ha visto effettivamente il compianto architetto; ma non lui, badi bene, bensì, mi guardi in faccia, per favore, bensì un ectoplasma.

PIRONTE - Cosa l’è che l’è?

FRANCESCO - Il suo fantasma!

PIRONTE - (sgranando gli occhi) Mamma! (Pausa) Macché fantasma.

FRANCESCO - Ne è sicuro?

PIRONTE - Eh! Ne avrei avuto paura.

FRANCESCO - Ha visto qualche volta un fantasma?

PIRONTE - Mai.

FRANCESCO - (subito) Qui la volevo. Attento al sillogismo, egregio cavaliere Pironte. (Concentrandosi) Se i fantasmi fanno paura, vederne uno e non averne paura… (Si interrompe) No… (Si riconcentra) Se i fantasmi incutono paura, chi non ne ha paura… (Si interrompe) Neanche… (Con uno sforzo spasmodico) Se chi ha paura di un fantasma…

PIRONTE - Signora Gina, al suo posto avvertirei la polizia. La biondona è stato uno scherzo, ma il fatto resta… Suo marito io l’ho visto e qui non c’è.

GINA - Ma il giornale, Pironte…

PIRONTE - Omonimia.

GINA - Troppe coincidenze, caro: lo stesso nome, la stessa provenienza, lo stesso aereo…

PIRONTE - È vero, però!

FRANCESCO - Eccolo qua! (Concentrandosi) Se i fantasmi incutono paura, chi ne vede uno ne ha paura: dal momento che lei, cavaliere Pironte, non ne ha avuta… (Con tono di trionfo, sillabando) non era un fantasma!

PIRONTE - Appunto, porca!

GINA - (singhiozzando) Professore, lei ha dimostrato il contrario!

FRANCESCO - (tormentandosi la faccia) Un tempo i sillogismi li sputavo a dozzine e vincevo i tornei, corpo di Guida! Devo scrivere! (Si mette a sedere, prende dalla tasca penna e taccuino, si concentra)

GINA - (a Pironte) Non bastano una giacca e un fucile, caro amico, per trarre delle conclusioni così consolanti…

PIRONTE - E allora ritorno nella clinica Svizzera… Ohe, dico, questa è allora la prima grinza… Il motore batte in testa…

GINA - Lei è stato tre volte in camera di decompressione, Pironte.

PIRONTE - Ecco, questa faccenda della camera di decompressione non l’ho ancora capita mica tanto bene, sa?

FRANCESCO - Ci siamo! (Balza in piedi e legge lentamente) Per affermare che i fantasmi incutono paura, bisogna averne visto almeno uno; dal momento che lei, cavaliere Pironte, non ne ha mai visti di fantasmi, non può escludere che quel che ha visto sia un fantasma. Eh? (Con tono trionfale) Sillogismo di ferro!

PIRONTE - (un po’ turbato) Le dispiace ripetere?

FRANCESCO - Ben volentieri. (Pironte si fa attento) Per affermare che i fantasmi incutono paura, bisogna averne visto almeno uno. (Pironte annuisce) Dal momento che lei, cavaliere Pironte, non ne ha mai visti di fantasmi, (Pironte fa di no col capo) non può escludere che quel che ha visto sia un fantasma. (Pironte fissa Francesco con ammirazione)

PIRONTE - Però…

FRANCESCO - Ceda, Pironte, ceda alla forza del sillogismo.

PIRONTE - (a Gina) Allora… (Gina annuisce tristemente, premendosi le labbra col fazzolettino)

FRANCESCO - Ha ceduto, Pironte?

PIRONTE - (coprendosi gli occhi con una mano) Oh, Signore, povero architetto!… (Singhiozza) Mi promise che avrebbe anticipato il ritorno per partecipare al ballo di questa sera… (Afferra una mano di Gina e gliela bacia ripetutamente) Povera signora Gina… Che disgrazia!… Capisco il colpo! Mi scusi per poco prima… il mio ingresso… il passo di danza… Ero convinto di averlo visto… finche non è arrivato il sillogismo del professore… (A Francesco) Grande cosa, la cultura…

FRANCESCO - È sempre d’aiuto…

PIRONTE - (tentando di alzarsi) Povero architetto… (Gina e Francesco, sorreggendolo per le ascelle, lo aiutano ad alzarsi) Chi sa come ci resta la Luciana adesso che glielo dico! Matta! (A Francesco) Le dispiace darmi il sillogismo? Lo leggo subito alla Luciana e così risparmio tempo con le spiegazioni del perché e del percome…

FRANCESCO - (strappando il foglietto dal taccuino) La prego…

PIRONTE - (leggendo il foglietto) Povero architetto! (Esce lentamente, ingobbito) Povero amico mio! (Francesco chiude la porta)

GINA - Osso duro, eh?

FRANCESCO - Sono esausto. (Un tempo) Dicevamo? Ah, si… Il sacco a pelo.

GINA - È nel garage.

FRANCESCO - Mi faccia strada. (Gina lo precede ed escono dalla porta della cucina. Dal giardino si avvicina alla finestra un Maresciallo del corpo “Sorveglianza Lidi e Pinete”. Indossa una giacca color terra con un bracciale che reca lo stemma del corpo, un sole radioso con in mezzo un pino, e al collo porta un grosso binocolo. Il maresciallo Maranzana è il tipo d’uomo che paventa il peggio in ogni luogo e circostanza; getta infatti uno sguardo indagatore nell’interno, lo solleva verso la porta della camera da letto, scompare dalla luce della finestra ed entra dalla porta principale; impugna una grossa rivoltella d’ordinanza. Resta in ascolto, a passettini rapidi si porta ai piedi della scala e quindi, in punta di piedi, tenendo ben salda l’arma, incomincia a salire. Dalla porta della cucina rientrano Gina e Francesco. Quest’ultimo con il sacco a pelo. Gina avverte la presenza del Maresciallo. Raggiunge la soglia sotto l’arco e punta i pugni nei fianchi)

GINA - (a Maranzana) Ehi, lei, dica un po’! (Colto alla sprovvista, Maranzana mette il piede in fallo e precipita, mentre dalla rivoltella parte un colpo. Francesco è come paralizzato. Assieme a Gina si avvicina alla scala. Il Maresciallo si rialza, si ricompone e si preme un ginocchio con una smorfia di dolore)

MARANZANA - Permette la presentazione? Maresciallo Maranzana Attilio, del “Corpo Sorveglianza Lidi e Pinete”… La prego di accettare, signora, le più vive condoglianze, mie personali e di tutti gli uomini della casermetta “Cesare De Vita”, che ho l’onore di comandare…

GINA - E le condoglianze me le viene a fare con la rivoltella in pugno?

MARANZANA - (risovvenendosi di qualcosa che lo atterrisce) Ssst! (Indica verso la camera da letto) Tutto in ordine lì dentro?

GINA - Perché non dovrebbe essere in ordine?

MARANZANA - Poco fa, qualcuno è andato su per la grondaia.

GINA - La mia grondaia?

MARANZANA - Proprio così. Siamo infestati da zingari e motociclisti. Permette che dia un’occhiata?

FRANCESCO - Maresciallo, lei ha preso un abbaglio.

MARANZANA - (mostrando il binocolo) Abbaglio con questo? Giapponese, sedici transistor; messa a fuoco automatica!

FRANCESCO - Voglio dire che, effettivamente, poco fa, un uomo è andato su per la grondaia; ma non ha niente da temere: ero io.

MARANZANA - Lei? E perché?

FRANCESCO - Fra i tanti motivi che possono spingere qualcuno ad arrampicarsi lungo la grondaia può dirmene almeno uno?

MARANZANA - (dopo aver riflettuto) No.

FRANCESCO - Aprire dal di dentro una porta bloccata da un mulinello d’aria.

MARANZANA - (realizzando) Aaah! (rinfodera la rivoltella) Adesso si spiega. (A Gina) Ad ogni buon fine, signora, prenda le sue brave precauzioni. Troppi zingari in giro: mai fidarsi!

GINA - Farò tesoro.

MARANZANA - Brava. E di nuovo si abbia le mie condoglianze. Mi trovo qui da una settimana appena e non ho avuto il piacere di conoscere il suo povero marito, ma da quel che ne ho sentito, era una gran degna persona.

GINA - Lascia un gran vuoto.

MARANZANA - E disponga, disponga. Ha il numero telefonico della casermetta? Disponga di noi… a qualsiasi ora… Siamo sempre di ronda.

FRANCESCO - Sempre?

MARANZANA - Sempre. Troppi zingari. Mai fidarsi! (Portandosi una mano al berretto. Buongiorno. (Via dalla porta principale. Gina si mette a sedere, mentre Francesco osserva il Maresciallo dalla finestra)

GINA - C’è un pensiero che mi consola.

FRANCESCO - Non so quale sia il suo, ma io ne ho più di uno che mi fa essere preoccupato.

GINA - (sopraffatta dalla commozione) Anche gli uomini della casermetta!… Al mio povero Goffredo, tutti, nessuno escluso, tutti volevano un gran bene. (Si lascia sfuggire due graziosi singhiozzi. Un tempo. Con altro tono) Che ore sono?

FRANCESCO - Mancano quindici ore alla mezzanotte.

GINA - (alzandosi) Sarà bene che mi metta addosso qualcosa di più conveniente. (Si avvia lentamente su per la scala)

SIPARIO

ATTO SECONDO

Mezzanotte. La finestra del soggiorno è chiusa e le tendine sono tirate; il lume da tavolo diffonde un tenue chiarore. La giacca Carnaby è su una poltrona, il fucile subacqueo appoggiato a una parete. Dalla camera da letto un fascio di luce piove sul ballatoio.

GINA - (fuori scena, con un gridolino) Ahi. (Appare sul ballatoio comprimendosi un dito. A voce alta, bamboleggiando) Francesco, mi sono punta! (Il professore entra precipitosamente dalla porta di fondo, lasciandola socchiusa. È in camicia, che fuoriesce dai calzoni ed ha scomposti i pochi capelli) Francesco, ahi, bua…

FRANCESCO - Ssst! Non facciamo strepito. (Si porta sul ballatoio)

GINA - (mostrando il dito) Mi sono trafitta nel dare l’ultimo colpo.

FRANCESCO - Niente, niente. Una puntura di zanzara.

GINA - (col broncio) Zanzara! (Mostrandolo) Un uncino per materassi! (Altro tono) Bacino al dito… (Francesco le bacia rispettosamente il dito trafitto) Venga a vedere che cucitura. (Entrando nella camera da letto)

FRANCESCO - (fuori scena, con ammirazione) L’imballaggio elevato a dignità d’arte! Brava! È ora di muoversi… Oooh, issa! (Un tempo. Con la voce strozzata di chi compia uno sforzo) A vederlo così scattante, l’avrei detto più leggero…

GINA - Effettivamente, era un falso magro. (Il professore in testa, compaiono sul ballatoio sorreggendo il sacco a pelo la cui apertura è solidamente cucita. Nella voce di Gina, adesso, freme una punta di gaiezza) Il cuore mi batte forte forte.

FRANCESCO - Anche a me.

GINA - Pensi che questa sera avrei dovuto partecipare al famoso ballo in costume pro-negretti africani… Com’è vero che le cose impreviste sono le più divertenti… Mi pare quasi di sognare. (Altro tono) La nebbia è abbastanza densa?

FRANCESCO - Densa e pertinace, come uno sguardo siciliano. (Non reggendo più) Facciamo una sosta.

GINA - Di già? (Depongono il sacco sul pavimento del ballatoio. Francesco si appoggia alla ringhiera ansante)

FRANCESCO. Sento il dovere di ricambiare la sua confidenza di stamane, rivelandole a mia volta un mio piccolo segreto d’uomo. Ho dichiarato di aborrire la fatica fisica, ma anche se così non fosse, una punta d’ernia mi precluderebbe ugualmente ogni possibilità di impegnarmi sul piano fisico. Questo turpe particolare muta qualcosa nel nostro accordo?

GINA - Via, Francesco! Anzi, questa sua menomazione la rende d’un… d’un tenero!

FRANCESCO - Grazie. Allora, per rendermi meno onerosa l’impresa, troviamo il baricentro dell’involto. (Si chinano) Oooh, issa. (Sollevano il sacco e lo assestano) Un po’ a me… troppo… a lei… troppo. Così, ci siamo… Eccolo! (Fa roteare un piede in aria, lo abbassa con cautela e lo posa solo quando sente ben saldo lo scalino) Al mio “uno”, parta con il piede sinistro… Uuuuno! (Scendono lentamente, a passo cadenzato) Duuuue!… Uuuuuno… Duuuue…

GINA - (Gaia) Dio, che batticuore! La macchina è pronta?

FRANCESCO - Malgrado non abbia mai guidato in vita mia, sono riuscito a portarla nel vialetto. Tra un minuto saremo sulla strada del faro…

GINA - (mentre attraversano la scena verso la cucina) Che sbadata! Ho lasciato il suo passaporto sul letto.

FRANCESCO - Per questo viaggio non gli occorre, amica mia.

GINA - Ma se lo vedesse qualcuno?

FRANCESCO - Chi? La casa è deserta. Lo bruceremo al nostro ritorno. (Con una smorfia) Ahi!

GINA - Si è spostato il baricentro?

FRANCESCO - No, ma l’andirivieni su è giù per la scala, l’aver saltato la siesta, quella maledetta saracinesca del garage e adesso questo serrate finale stanno stuzzicando un’antica lombaggine.

GINA - Tenero! (Escono dalla porta della cucina. La scena resta vuota un istante. Si apre la porta di fondo, lasciata socchiusa da Francesco, ed entrano Pironte e Luciana. Sono vestiti da ballerini di flamenco: lui tutto in nero, con calzoni attillati, fascia alla vita, corto bolero, tacchi alti e cappello cordobese. Lei indossa un rosso vestito stretto in vita e una variopinta cascata di pieghe per gonna. Luciana sorregge due pacchetti e una gabbia con un pappagallo)

PIRONTE - (spazientito) Dai, matta, che speri di trovare? A quest’ora la Gina è in gramaglie sul San Bernardo a raccogliere le ceneri.

LUCIANA - E la luce accesa, allora? (Guardando in alto) Gina… ciccina… cucù! (Commossa) Soffro con te, stella… (A Giulio, scoppiando improvvisamente in pianto) Dio, Giulio mio, come soffro!

PIRONTE - Dai, dai, la vita continua. Domani mi aspetta una levataccia.

LUCIANA - Lasciami soffrire un po’, tesoro. La festa è finita.

PIRONTE - Ecco, brava; ed è ora di andare a smaltirla assieme alle tue mattate.

LUCIANA - Non sono mattate, stella.

PIRONTE - No? (Muovendo a mo’ di pendolo la gabbia con il pappagallo) E questo?

LUCIANA - Te l’ho spiegato: è una rarità zoologica.

PIRONTE - Ma se non parla, porca, perché lo chiamano pappagallo?

LUCIANA - Appunto perché è una rarità: un pappagallo che non parla. Il giovane scienziato lo ha ottenuto dopo ventidue incroci!

PIRONTE - E noi dovremmo finanziarlo… Senti, Luciana, hai voluto creare l’ufficio ricerche e sviluppo, e va bene; hai voluto dirigerlo, e va bene. Ma questo non si chiama ricercare e sviluppare. Se voleva un pappagallo muto, il giovane scienziato faceva prima a tagliargli la lingua. Come non è ricercare e sviluppare comperare dei promontori. Che me ne faccio dei due promontori che hai comperato in Norvegia?

LUCIANA - È compreso il fiordo, tesoro. Ci puoi pescare il merluzzo.

PIRONTE - Che fiordo e che merluzzo! È ghiacciato dieci mesi all’anno. (Un tempo) A nanna, vai, a nanna…

LUCIANA - No, se prima non vedo la Gina. La luce è accesa, la porta aperta…

PIRONTE - Sarà partita di precipizio. Vedi com’è tutto… (Il suo sguardo incontra la pipa posata sul tavolinetto e Pironte si interrompe di colpo) Ecco… (Afferrando la pipa) Ecco cosa non mi tornava in mente… L’aveva, capisci? La pipa in bocca e il fucile in mano, così. (Stringe la pipa tra i denti e afferra il fucile subacqueo. Dalla porta della cucina entra trafelato Francesco e si porta nel soggiorno. Alla vista dei due, si arresta di colpo)

FRANCESCO - (dopo una brevissima pausa, indicando) La giacca. (Indossa rapidamente la giacca Carnaby) E ho dimenticato di chiudere la porta. (Va a chiudere la porta in fondo)

PIRONTE - (a Luciana) Il professore del sillogismo. (A Francesco) Bada lei alla casa in assenza della Gina, immagino. (Francesco, rigido, non risponde) Comunque, capita a proposito! Le dispiacerebbe mostrarsi con la pipa in bocca?

FRANCESCO - Perché?

PIRONTE - Perché l’aveva l’altra notte, proprio questa, il povero architetto.

FRANCESCO - (gelido) Lei è un osso duro.

PIRONTE - Eh, no, questa non c’era nel sillogismo, scusi. (Porgendogli il fucile) E neanche questo. Lo tenga con la sinistra, per piacere. (Francesco esegue) E adesso la pipa in bocca.

FRANCESCO - Non fumo.

PIRONTE - La tenga spenta.

FRANCESCO - Il solo sentore del tabacco mi dà il voltastomaco. (Clakson fuori di scena)

PIRONTE - Eh, ma lei…

FRANCESCO - Sono atteso. Ha sentito la tromba?

PIRONTE - Pochi istanti. (Spazientito, Francesco mette la pipa tra i denti e afferra il fucile) Stia sotto l’arco. (Francesco si colloca sotto l’arco, posando da Nettuno. Pironte strizza gli occhi, torce il collo) No, no, mica lo stesso…

FRANCESCO - È convinto, allora?

PIRONTE - Non si muova. (Lo studia ancora. Clackson) Però mi deve svelare l’arcano: com’è che l’architetto è sul San Bernardo, il suo fantasma sul treno e la sua pipa qui… (Dalla porta della cucina entra Gina)

GINA - Quanto ci vuole per prendere una giacca e chiudere la porta?

FRANCESCO - (sempre con la pipa in bocca) Cara signora, già di ritorno?

GINA - (stupita) Ma che fa?

LUCIANA - (con un gridolino) Stella!

GINA - (realizzando, si porta nel soggiorno) Luciana… (Assume un’aria mesta e afflitta e si getta tra le braccia dell’amica)

LUCIANA - Sei qui? Ciccina, ho il cuore a pezzi… Com’è andata? L’hai visto? L’hai chiuso nell’urna? Come ti senti, tesoro?

GINA - Come se il tetto della casa dovesse crollare… e non crolla, non crolla… È angoscioso…

LUCIANA - Come ho sofferto! Pensa, invece che alla festa in costume, mi sembrava di essere a una veglia. Lo dicevo a Giulio: mi sembrava di essere tornata indietro di un anno. Goffredo tuo vestito da cardinale Richelieu e te da milady…

GINA - Cara, cara…

LUCIANA - Sei stata sul posto?

GINA - No, al solo pensiero del groviglio di cui parla il giornale, ho avuto un mancamento. Fortuna che il professore, tanto caro, (Francesco continua a posare osservato da Pironte) mi ha tenuta su a forza di Sympatol e Foscolo. E poi, come andarci? Devi capirmi, non potendo prevedere, non ho niente di adatto nel guardaroba.

LUCIANA - Potevo prestarti il mio maxi color ombra di Banco. Oh, cara, cara, cara… (Con una punta di apprezzamento) Questa vedovanza diafana ti dona, però…

FRANCESCO - (dopo un colpo di tosse) Allora io vado, gentile, signora… sempre che il cavaliere qui mi sciolga dai miei compiti scultorei.

PIRONTE - (stringendosi nelle spalle) Ah, per me…

GINA - Sì, professore. Non la trattengo oltre. E grazie, grazie. Ora non so dirle altro. Forse domani o doman l’altro troverò le parole che vorrei dirle e non trovo.

FRANCESCO - Ha detto grazie ed è sufficiente. Io vado.

GINA - Buonanotte.

LUCIANA - Buonanotte.

PIRONTE - Buonanotte.

FRANCESCO - Buonanotte. Vado. (Un tempo) Oh, e come vado?

GINA - Come va?

FRANCESCO - Ecco, la cosa… la macchina… Chi la…? (Fa un gesto a significare “chi la guida?”) Io certamente no…

PIRONTE - Serve un passaggio?

FRANCESCO - (subito) No. (Un tempo) Sa che le dico cavaliere? Non vado! Resto! (Pironte lo fissa basito)

LUCIANA - (a Francesco) Scommetto che lei è… (Campanello. Un attimo di sgomento. Pironte apre, restando coperto dal battente. Entra il maresciallo Maranzana. Ha una torcia elettrica accesa e il sacco a pelo faticosamente sorretto a tracolla)

FRANCESCO - (terrorizzato, lanciando un urlo) Gli zingari! Parola d’onore, sono stati gli zingari!

MARANZANA - Proprio così. Poco fa, due zingari, un uomo e una donna, si sono inoltrati nella pineta con fare sospetto. Ho spento la torcia per non dare nell’occhio e li ho pedinati facendomi guidare dai loro passi. E i loro passi mi hanno condotto all’automobile della signora. (Un tempo) Il bagagliaio era aperto!

FRANCESCO - Forzato col piede di porco.

MARANZANA - No, nessuna traccia di effrazione; quindi i due maledetti debbono essere in possesso di chiavi false. (A Gina) Sarà bene che riponga la macchina in garage e, per maggior sicurezza, questo lo tenga in casa. (Fa per deporre il sacco) È fragile (Gina fa un gesto anodino. Maranzana depone il sacco con cautela. Nel rialzarsi, vede Pironte e resta interdetto alla vista del suo abbigliamento) Ma lei… (Nota Luciana) Loro due…

PIRONTE - (esilarato) Porca, questa la racconto! La Luciana ed io, due zingari!

MARANZANA - Ma lei… è…

PIRONTE - Giulio Pironte e signora. Il suo datore di lavoro.

MARANZANA - Oh, Dio… Scusi, signor cavaliere. Sono nuovo, non la conoscevo… La zona è infestata di zingari e le precauzioni non sono mai troppe. Mi scusi.

PIRONTE - Niente scuse. Bravo, invece. Le farò avere un encomio dal suo comandante. Occhio e zelo, ecco quel che occorre ai tutori dell’ordine. Vada di ronda tranquillo, maresciallo. Finche vi sono uomini come lei, il cittadino si sente protetto.

MARANZANA - (riflettendo) “Occhio e zelo”… Sarebbe un bel motto per la casermetta.

PIRONTE - Glielo cedo.

MARANZANA - Lor signori sono vestiti così, adesso capisco, perché ritornano dal ballo in costume. Ma bisogna essere prudenti. Veda, signor cavaliere: se al mio posto c’era, che so, il Ciccolella, uno sparo a vista non glielo impediva nessuno. Non che ci sia l’ordine di farlo, siamo mica macellai. Ma l’appuntato Ciccolella è meridionale, sa: lontano dalla mamma e dalla fidanzata, quindi coi nervi a fior di pelle. Ci vuole molto meno di due zingari, lei mi capisce…

PIRONTE - Bravo, bravo. Gradisca un sigaro. (Glielo dà) E quest’altro lo porti al Ciccolella.

MARANZANA - Grazie, e vogliano ancora scusare. Riprendo la ronda. (A Gina) E lei, signora, la macchina in garage. La notte è piena di zingari. Mai fidarsi. Mai fidarsi! (Esce nella notte accendendo la torcia. Pironte chiude la porta)

PIRONTE - Ecco gli uomini di cui ha bisogno l’Italia. Scolpiti nel granito. Votati a una missione. Tutto limpido, tutto chiaro. Al contrario di questa pipa, che attende ancora una spiegazione.

LUCIANA - Giulio, tesoro, che importanza ha questa pipa?

PIRONTE - Ne ha, porca! Questa, proprio questa, l’aveva l’altra notte il povero architetto.

FRANCESCO - Lei non fa caso, egregio cavaliere, alla contraddizione in termini di quanto afferma. Ha detto, mi corregga se sbaglio, “l’altra notte” e “il povero architetto”. Le domando: come poteva il “povero architetto”, che in linguaggio anagrafico traduciamo “il fu”, “il defunto”, e in linguaggio familiare la buonanima, come poteva, dico, “il povero architetto” tirare da una pipa se “l’altra notte” si è schiantato sul San Bernardo?

GINA - (il fazzoletto sulle labbra) Non rimesti, professore; non rimesti.

PIRONTE - (a Luciana) Eh, come fa filare le parole… (A Francesco) Ma resta la domanda: com’è che l’architetto si trova sul San Bernardo ed io 1’ho visto, con questa pipa in bocca, sul treno di mezzanotte?

FRANCESCO - Ecco. (Come leggendo un cartello sospeso in aria, accompagnando le parole con la sottolineatura di due dita) “Alla mezzanotte del 12 agosto, il cavaliere Pironte ha visto l’architetto sul treno”. Tra poco, quest’affermazione si aggiungerà alle migliaia di verità intoccabili che ci accompagnano sin dagli albori della civiltà e si accumulano nei secoli, come “le uova fanno male al fegato”, “Bach è sommo”, “la somma dei quadrati costruiti sui cateti, eccetera…”.

LUCIANA - (a Gina) Ma che dice?

GINA - È linguaggio figurato, cara.

FRANCESCO - Le uova, se vuol saperlo, nonché danneggiarmi, favoriscono la secrezione della bile e mi rendono gioiosa la digestione. Per una composizione passabile, il sommo Bach ne ha scritte cinquanta soporifere; e in quanto al teorema di Pitagora, glielo distruggo in quattro e quattr’otto.

PIRONTE - (interessato) In che modo?

FRANCESCO - Col suo permesso, storco l’ipotenusa.

PIRONTE - Senta, professore, le scuole tecniche le ho fatte: lei l’ipotenusa non la storce.

FRANCESCO - Lei dice? E perché?

PIRONTE - Perché essendo il lato di un triangolo, dico bene, deve essere una linea retta.

FRANCESCO - Ecco la verità intoccabile: deve essere una linea retta. Beh, guardi, io prendo la sua dannata ipotenusa e la curvo, va bene?

PIRONTE - No che non va bene: in tal caso non è più un’ipotenusa e il triangolo non è più triangolo.

FRANCESCO - Io curvo l’ipotenusa, perdio, la torco, la piego; creo un’ipotenusa di tipo nuovo, l’ipotenusa Prandoni. Ed ecco che il signor Pitagora prende la sua verità intoccabile e sa che se ne fa?… Non posso, in presenza delle signore. La smetta di vivere credendo alle verità intoccabili… Chi ha visto sul treno? Chi crede di aver visto? Vede me? Mi vede bene? Sono un Apollo?

PIRONTE - Lei?

FRANCESCO - Io, io. (A Luciana) Sono un Apollo?

LUCIANA - Beh, proprio un Apollo… Un tipo, direi… Scommetto che lei è…

FRANCESCO - (interrompendola, a Pironte) Beh, qui dove mi vede, fino all’età di quattro anni fui dotato d’una bellezza mozzafiato.

PIRONTE - Lei?

FRANCESCO - Io, sissignore. Tanto bello che fui rapito cinque volte.

LUCIANA - Stella!

FRANCESCO - Sissignore, rapito cinque volte dai vicini di casa, i quali, compiendo il gesto insano, intendevano bearsi in esclusiva alla vista di tanta beltà. Grazie all’intervento delle autorità, fu raggiunto un compromesso: il pomeriggio del sabato venivo esposto in una vetrina del corso Novara, in qualità di bene pubblico. Ma sopraggiunse la tosse convulsiva e il mito crollò. Ma fino a quel momento, la mia bellezza fu un parametro, una verità intoccabile; si diceva: bello come Checchino Prandoni ed era detto tutto. Lo vada a dire oggi! Chi ha visto lei sul treno? Si svegli, non dia corpo alle ombre. Creda meno a quel che dice la gente. Ecco, vede questo sacco? Se le dico: qui c’è il corpo inanimato dell’architetto, lei mi crede?

GINA - Professore!

FRANCESCO - Mi lasci fare, signora. Sono il gatto che gioca col topo. (A Pironte) Non mi crede, naturalmente, perché il “Corriere della sera”, l’architetto lo dà sul San Bernardo trasformato in cenere. La sfido… Vediamo se ho ragione io o la verità intoccabile del “Corriere”. Guardi pure nel sacco. Guardi! (A Gina) Che sensazione! Il gatto che gioca col topo. (APironte) Guardi, che aspetta? Guardi! (Mentre si rivolge nuovamente a Gina con un sorriso beffardo, Pironte mette mano al sacco) Che fa? (Gli allontana le mani) Dico, ohe, che fa?

PIRONTE - Lei ha detto guardi, guardi.

FRANCESCO - Eh, io ho detto. Ma il sacco non è mio. Ne chieda il permesso alla proprietaria.

PIRONTE - Signora Gina, lei permette?

GINA - Ma… non saprei…

LUCIANA - Che c’è dentro, ciccina? (Gina le dice qualcosa all’orecchio, al che Luciana ha un compunto gesto di comprensione)

PIRONTE - Allora, ho il permesso? (Luciana gli parla all’orecchio. Stesso gesto di Pironte)

FRANCESCO - Guarda o non guarda? (Pironte alza una mano, a indicare che se ne astiene) Quindi accetta la verità intoccabile del giornale. (Sarcastico) L’avrei giurato… (Realizzando) Che c’è nel sacco? (Luciana e Pironte tossiscono con discrezione) Signora Gina…

LUCIANA - Un piccolo segreto fra donne, professore.

FRANCESCO - (indicando) Ma a lui l’ha detto.

LUCIANA - È un intimo. Quasi della famiglia. Senta, professore, lei dice delle cose così interessanti che non mi stancherei mai d’ascoltarla. E poi, c’è una domanda che sto tentando di rivolgerle da un po’. Scommetto che lei è sonnambulo.

FR4NCESCO (sbalordito) Io? Sonnambulo? No.

LUCIANA - Ne è sicuro? (A Pironte) Non ti ricorda il Rebaudengo? Quello che animava le serate? (A Francesco) Era sonnambulo.

FRANCESCO - (terribile) Io no!

LUCIANA - Mah, l’avrei giurato… Abita a Milano?

FRANCESCO - Sì, perché?

LUCIANA - Mi piacerebbe sovvenzionarla.

FRANCESCO - Me?

PIRONTE - Oh, Signore, ricominciamo. Il professore non è utilizzabile…

GINA - È solo un insegnante.

PIRONTE - Un poeta; non c’è modo di investirlo in un’attività redditizia…

FRANCESCO - (a Luciana) Perché vuole sovvenzionarmi?

LUCIANA - Per le nostre serate.

FRANCESCO - Non capisco.

LUCIANA - Ogni volta che ci riuniamo tra amici, viene anche lei. Poi, appena abbiamo detto un numero sufficiente di sciocchezze, tac, interviene e con la sua parlantina rimette a posto le cose. Io non mi stancherei mai d’ascoltarla.

FRANCESCO - (con sarcastica gravità) Si rivolga all’avvocato De Ruggeris, bassitaliano. Dieci anni fa difese un tale che aveva squartato tre donne all’idroscalo. Tre cabalette ben piazzate e il suo cliente venne riconosciuto colpevole, sì, ma di macellazione clandestina. (Un tempo) Delle serate, io!

LUCIANA - Allora, Giulio, potremmo farlo parlare al posto tuo quando hai le riunioni con i sindacati e le commissioni interne.

PIRONTE - Sì, va bene, va bene. Se ne riparla domani.

FRANCESCO - Sarebbe troppo chiederle di aiutarmi a trasportare il sacco nel bagagliaio della macchina?

PIRONTE - Ma si figuri. (Francesco e Pironte sollevando il sacco) Pianino, eh? È fragile…

FRANCESCO - (guardandolo fisso) Ah, è fragile… Si può sapere che cosa contiene…

PIRONTE - Benedetto uomo, un po’ di discrezione! (Escono dalla porta della cucina sorreggendo il sacco)

LUCIANA - Rilassati, Ciccina… Dio, tesoro, che aspetto di vedova deliziosa… La festa è stata di un triste senza Goffredo tuo, sai? (Commossa) Il cardinale Richelieu… e fu di un carino con me…

GINA - No, Luciana, ti prego. Parlami di te, piuttosto, della tua attività… Hai trovato soggetti da finanziare?

LUCIANA - Pochini, ma favolosi. Questo, per esempio! (Svolge una carta e mostra un aggeggio simile a una torcia elettrica) Contro mosche e zanzare. È di un ragazzo di Padova; ha scoperto che quelle bestiacce non sopportano i suoni acuti. Quindi, basta premere qui e ne cadono a migliaia impazzite. (Aziona il congegno, dal quale si leva uno stridulo suono di sirena. Mentre Luciana guarda compiaciuta Gina, dalla porta della cucina entra arrancando Francesco con il sacco a tracolla)

FRANCESCO - La polizia! (Sotto lo sguardo attonito di Luciana e Gina, vola su per le scale)

GINA - Attento al penultimo scalino, professore! (Ma l’avvertimento, ancora una volta, giunge troppo tardi. Francesco è rovinato assieme al sacco. Entra Pironte)

PIRONTE - Ma dico, è matto? Che le prende?

FRANCESCO - Non sente la sirena della polizia? (Luciana, sollevando l’apparecchio per mostrarlo a Francesco, ne fa cessare il suono)

LUCIANA - Adesso non può negarlo. Il suo nervoso è il nervoso tipico dei sonnambuli.

FRANCESCO - Non sono sonnambulo, perdio! Ho l’ernia e la lombaggine, ma non sono sonnambulo!

PIRONTE - E perché grida? Perché si agita? Perché ha paura della polizia?

FRANCESCO - Pensavo che fosse il Ciccolella. Quello spara a vista, non lo sa? (A Luciana) Cos’è quell’affare?

LUCIANA - L’ultimo ritrovato contro mosche e zanzare. Basta metterlo sul comodino per passare una notte tranquilla…

FRANCESCO - Una notte tranquilla…

LUCIANA - Garantito. È di un ragazzo di Padova.

FRANCESCO - Bravo il padovano.

PIRONTE - Allora, questo sacco…

FRANCESCO - Venga a darmi una mano… (Pironte sale e scende assieme a Francesco sorreggendo il sacco)

PIRONTE - Però, lei ha una forza mostruosa: tutto solo con il sacco fino al ballatoio…

FRANCESCO - La lotta per la sopravvivenza… Piano, piano, che di forza ne è rimasta poca… (Escono con il sacco dalla porta della cucina)

LUCIANA - (prendendo la gabbia) Questo te l’ho mostrato?

GINA - Non ancora.

LUCIANA - Un pappagallo taciturno. Di incrocio in incrocio lo ha ottenuto un giovane scienziato greco.

GINA - A che serve?

LUCIANA - Intanto è una rarità zoologica. Non ho ancora idea di come utilizzarlo. Forse si potrebbe ottenerne un certo numero, metterli in commercio e poi organizzare un campionato di mutismo. Non so, eh? O qualcosa del genere. (Dalla porta di fondo entra Francesco che cade esausto su una poltrona) E Giulio mio?

FRANCESCO - Mette la macchina in garage. Zingari, dice. Mai fidarsi. (Riprende fiato e si asciuga il sudore)

GINA - Quanto avete ricavato questa sera per la beneficenza?

LUCIANA - Dieci milioni, per quei tesori dell’Africa. L’idea di Giulio mio, uno schianto. Siccome la festa era pro-negretti affamati, cosa ti organizza il matto? Un torneo di ruttini! Alle dieci in punto, tutte le mammine con neonati allineati davanti alla giuria: biberon o tette non faceva differenza. Finita la poppata, arriva lo starter e, alè, colpetti sulla schiena e bombardamento a tappeto. Uno schianto dal gran ridere, la fine del mondo. C’erano cronometristi e tutto; anche la televisione. Ha vinto il pupo della Gandolfì con un ruttino lungo cinque secondi netti. La Gandolfi aveva sciolto il bicarbonato nel biberon, è vero, ma trattandosi di beneficenza, la giuria ha chiuso un occhio e le ha assegnato il premio)

GINA - In che consisteva?

LUCIANA - Una “cinquecento”.

FRANCESCO - Bella festa.

LUCIANA - Lo può dire. Ha fatto caso al significato? Noi piccoli tesori bianchi mangiamo, ma non ci dimentichiamo dei nostri fratellini negri che soffrono la fame. Mi viene da piangere, stella.

FRANCESCO - Anche a me, signora.

LUCIANA - Si vede bene che lei ha un cuore sensibile.

FRANCESCO - Anche lo stomaco. Sensibilissimo al bicarbonato. E malgrado ciò, io e altri come me non riusciamo a procurarci, non dico una “cinquecento”, ma un minestrone di verdure. Neanche con le bottiglie Molotov!

LUCIANA - Lei è nel ramo bibite gassate, professore?

FRANCESCO - Nel ramo trasporti, signora.

GINA - Il professore usa il linguaggio figurato, tesoro.

LUCIANA - (senza capire) Sempre quello. (Accarezzando Francesco con lo sguardo) Dio, come starebbe bene nelle nostre serate! (Rientra Pironte, richiudendola porta)

FRANCESCO - Immagino che non si sarà limitato a mettere la macchina in garage, ma avrà anche abbassato, la saracinesca. Fino a terra. Dimodoché un povero cristo, per rialzarla, deve correre l’alea di una strozzatura.

PIRONTE - L’ha sentito anche lei il maresciallo: mai fidarsi. Signora Gina, il cambio del macinino bisogna farlo rivedere: gratta. Chi sa quale cane ci ha messo le mani.

FRANCESCO - Quando ci ho messo le mani io non grattava. E poi, lei mi sta dando del cane in base ai cinque metri che ho fatto percorrere al veicolo dal garage al vialetto.

PIRONTE - Se non si sa schiacciare la frizione, basta anche un metro per giudicare chi è un guidatore e chi no.

FRANCESCO - (provocatorio) Cos’è la frizione e perché bisogna schiacciarla?

PIRONTE - Che, dico, vorrà mica scherzare…

FRANCESCO - Lei mi ha dato del cane, egregio signore, e invece di chiamare a raccolta le mie forze residue per esigere come dico io le sue scuse, mi limito a domandarle civilmente che cos’è la frizione e perché bisogna schiacciarla.

PIRONTE - Ehilà, va bene che voi poeti vivete con la testa fra le nuvole, ma non dirà di non conoscere l’abracadabra di una macchina… Immagino come guida, lei.

FRANCESCO - Mai guidato in vita mia.

PIRONTE - Male. L’autista va bene per la rappresentanza, ma per l’ebbrezza della velocità bisogna stare a cavallo del mezzo, con le redini ben salde in mano.

FRANCESCO - (sempre provocatorio) Non ho mai guidato perché non ho mai posseduto una macchina.

PIRONTE - (le guance cascanti) Nooo? Porca, ‘sti poeti!

LUCIANA - Povera stella!

FRANCESCO - (si alza, batte i pugni contro una parete) Non ho i mezzi per acquistare una macchina; e se anche li avessi o sapessi fare ruttini da trenta secondi, non l’acquisterei. Francesco Prandoni non lo vedrete mai prono davanti al feticcio! Lo sa lei che nella sola Milano un uomo viene investito ogni cinque minuti?

LUCIANA - Povero tesoro, chi è?

FRANCESCO - Non è sempre lo stesso uomo, signora! Non mi vedrete mai prono. Anzi, a un dittatore illuminato che ci liberi dalla motorizzazione, sono disposto a sacrificare Parlamento e libertà fondamentali. (Luciana scoppia a piangere. Francesco si china sul suo capo) Cos’ha da piangere? Lei nasce Fiat, Alfa Romeo, Volkswagen?

LUCIANA - (a Pironte) Povero papà…

FRANCESCO - Chi è papà?

GINA - (abbracciando Luciana) Via, tesoro; il professore fa per dire.

LUCIANA - Ho un tale magone.

FRANCESCO - (Gridando) Chi è papà?

PIRONTE - È conducente di tassì e resterebbe disoccupato.

FRANCESCO - Il padre della sua signora fa l’autista di piazza?

PIRONTE - Aspetti, aspetti a tuonare “il Pironte qua, il Pironte genero senza cuore”. Da dieci anni sto a pregarlo: “Emilio, scelga lei tra le mie dieci aziende, si assegni un compito e si fissi lei stesso lo stipendio”. Niente. “Dietro un volante ho incominciato e dietro un volante voglio finire i miei giorni”.

FRANCESCO - (a Luciana) Voglia scusare: accettando, scegliendo e fissando, il suo papà non potrebbe finire ugualmente i suoi giorni dietro un volante, magari quello di una Ferrari anziché di un tassì?

LUCIANA - (piagnucolando) Papà intende volante nel senso di lavoro.

PIRONTE - Testa dura, quello lì.

LUCIANA - (consequenzialmente) È sonnambulo!

FRANCESCO - (socchiudendo gli occhi) Le esprimo la mia solidarietà. (Cade a sedere) Pianga, signora, pianga pure.(Un tempo) Epitaffio per un tassista: “Accettando, scegliendo, fissando, poteva affrancarsi dal lavoro servile, ma ai ritmi dei distici preferì gli scatti di un tassametro”. (Schifatissimo) L’Apocalisse è un racconto di fate… (Gina si riversa sulla poltrona con un debole lamento)

LUCIANA - (sorreggendola) Ciccina… tesoro…

GINA - Il sonnifero incomincia a fare effetto. Grazie, cari, ma non dovete trattenervi oltre.

LUCIANA - Ah, no; finché ti facevo sul luogo della sciagura, passi; ma adesso che sei qui non ti lascio sola.

GINA - Sto per crollare.

LUCIANA - Storie. Due minuti di sonno e poi ti ritrovi più sveglia di prima. A me successe quando uccisero il Kennedy… Il giorno che capiterà a Giulio mio, so già che non dormirò per un mese.

PIRONTE - Dai, Giulio tuo arriva ai novanta e tu dormirai in piedi come tutte le vecchie.

GINA - Non insistere, Luciana, ti prego.

LUCIANA - Allora ti accompagno su. (Gina si alza, aiutata da Luciana)

GINA - Grazie. Mi accompagni e poi via, eh? Via con il tuo Giulio… Anche voi avete avuto una giornata faticosa… Buonanotte a tutti…

PIRONTE - Davvero non vuole che la Luciana resti con lei?

FRANCESCO - (cupo) Ha detto di no.

GINA - Davvero no. Buonanotte. (Si incammina su per la scala sorretta da Luciana, le due donne sono arrivate a metà, quando Francesco viene distolto improvvisamente dalle sue meditazioni)

FRANCESCO - (si alza lanciando un grido) Il passaporto! (Gina lancia un grido a sua volta, abbandonandosi tra le braccia di Luciana. Le due stanno per precipitare. Pironte si slancia e giunge in tempo a puntellarle)

PIRONTE - (frastornato) Ma cosa l’è che l’è? (A Francesco) Che passaporto?

GINA - Sul letto no, non posso… (singhiozzando) Su quel letto no!

LUCIANA - Ti riportiamo giù, stella.. (Assieme a Pironte la riconduce alla poltrona) Te l’ho detto, stella: in quel letto non potrai più dormire. (A Pironte, commossa) Se dovesse capitare a te, Giulio mio, di schiantarti col jet, giuro che per il resto dei miei giorni dormirò nella camera degli ospiti. (Francesco si dirige verso la porta della cucina)

PIRONTE - Professore dove va?

FRANCESCO - Controllo se l’automobile è a posto.

PIRONTE - L’ho messa a posto io.

FRANCESCO - (impertinente) E la grondaia? L’ha messa a posto?

PIRONTE - La grondaia?

FRANCESCO - Certo, la grondaia. L’ha controllata? Ho sentito dei rumori. Zingari certamente. (Esce dalla cucina)

LUCIANA - (a Gina) Va meglio, tesoro?

GINA - Adesso si. È stato come un lampo…

LUCIANA - Passerà… Anzi, è già passato.

GINA - Il professore è andato?

PIRONTE - Dove?

GINA - Appunto, dov’è andato il professore?

PIRONTE - Matto, secondo me… Passaporti, grondaie… zingari… Sa che le dico? Quello lì ha la faccia sospetta. Questi poeti hanno sempre il coltello a serramanico in tasca…

LUCIANA - Sai che si fa, stella? Vieni con noi. La stanza degli ospiti è tutta per te. Lì, col tuo povero Goffredo almeno, l’amore non l’hai fatto mai.

GINA - (trasognata) No, non voglio lasciare questa casa; almeno questa notte. Voglio trascorrerla qui dove ogni cosa mi parla di lui. (Si aggira per la stanza toccando ogni oggetto) Il suo cappello da spiaggia, la sua pipa, il suo libro giallo… Da un momento all’altro mi sembrerà di udire la sua voce così gaia… così piena di vita… (Fuori di scena, un urlo raccapricciante. Con altro tono) È cascato.

LUCIANA - Chi?

GINA - (con un mesto sorriso) Qualcuno.

PIRONTE - Cascano tutti, oggi. E quel benedetto professore che… (Esce di corsa dalla porta della cucina. Si apre quella principale ed entra Francesco, claudicante. Mostra il passaporto a Gina e lo mette in tasca. Si sente un altro urlo e dalla porta della cucina entra Pironte, una mano premuta su un ginocchio)

FRANCESCO - È cascato.

PIRONTE - No, sono andato dritto contro il garage.

FRANCESCO - Anch’io.

PIRONTE - Ma il garage l’è di qua.

FRANCESCO - Mi sono smarrito nella nebbia. (Si mettono a sedere. Adesso lo sono tutti e quattro. C’è un silenzio interrotto da qualche colpetto di tosse)

LUCIANA - (con un sospiro) Tutte le sfortune al tuo povero Goffredo. Fosse rimasto almeno intatto invece che ridotto a un mucchietto di cenere.

GINA - Non fa differenza, tesoro.

LUCIANA - Altro che se ne fa. Intatto, avresti potuto spedirlo a Londra, come ha fatto la Guglielmotti col Ferdinando. Quando gllielo rispedirono imbalsamato, contrassegno, sembrava ritornato dalla Polinesia: una abbronzatura che era la fine del mondo. Dei veri artisti, vero, Giulio? L’arte con l’A maiuscola. (A Gina) L’hai visto, il Ferdinando?

GINA - No, mai.

LUCIANA - La vedova ha ricavato uno studiolo adiacente alla camera da letto. Chiuso ermeticamente dal vetro, naturale. Il Ferdinando è seduto a una scrivania e sembra che stia a far dei conti. Gli manca solo la parola. Dieci anni di garanzia. Ogni anno vengono degli esperti da Londra a ritoccargli l’abbronzatura.

GINA - Il mio povero Goffredo aveva quel sano colorito…

LUCIANA - Sì, ma dopo, vero, il colorito non è mica lo stesso e bisogna lavorare con ceroni, unguenti e iniezioni. Senti, Giulio, a proposito della Guglielmotti, è un po’ di tempo che te ne voglio parlare. Perché non apriamo a Milano una succursale della ditta inglese? Si chiama “Quo Vadis”…

PIRONTE - Dai, ricominciamo! Ho fatto ricerche di mercato. L’italiano non è maturo per l’imbalsamazione. È fermo a pappagalli e merli. Figuriamoci a proporgli di imbalsamare il babbo e la mamma!

LUCIANA - Sarebbe ora di incominciare. E saremmo i primi… con tutti i vantaggi. Ho visto i cataloghi della “Quo Vadis?”, sai? Tre trattamenti: A, B e C. Li potremmo adattare al gusto italiano. Il C, per esempio, il più economico, potremmo offrirlo attraverso una convenzione con le Mutue. E per chi non ha la Mutua, pagamento fino a trentasei rate. Sarebbe il trattamento per le classi meno abbienti e soprattutto per gli immigrati dalla bassitalia… Prendi quei poveretti che vengono nel triangolo, ma neanche dopo cinque o dieci anni riescono a far venire la famiglia. Alla moglie e ai dieci figli rimasti nella bassa, glielo potremmo mandare addirittura ringiovanito. Ho già in mente lo slogan: “Morite a Milano come a Londra e a Nuova York”. (A Francesco) Com’è?

FRANCESCO - Molto incoraggiante.

LUCIANA - Il B sarebbe per le classi medie, professionisti, impiegati d’un certo rango, eccetera. L’A, infine, per svizzeri, amministratori delegati, calciatori e attori. Lei, professore, ad esempio, potrebbe tornare ai tempi in cui si diceva “bello come Checchino Prandoni”.

FRANCESCO - Sono fuori causa, signora. E se mai fossi costretto a sottomettermi a simile usanza, opterei comunque per la mia attuale cera esangue, testimonianza di una intensa vita interiore. Imbalsamato io! Tse! Neanche morto!

LUCIANA - Il tuo Goffredo, ciccina, come lo vedresti?

GINA - (il fazzoletto sulle labbra) Con quella sua aria dolce e autoritaria alla volta, magari con l’abito che usava in cantiere.

LUCIANA - (commossa a sua volta) Nella sinistra il progetto e la destra levata a impartire ordini.

GINA - (singhiozzando) Oppure… in tenuta da tennis, intento al suo micidiale “servizio”.

LUCIANA - (singhiozzando) Non darmi della sciocca, ma a pensarci bene lo vedrei vestito da cardinale Richelieu, quando mi guardava nella scollatura… (Si abbracciano piangendo)

PIRONTE - Ma insomma, cosa l’è, una veglia funebre?

FRANCESCO - E che altro dovrebbe essere? Certo, una veglia funebre. Forse perché è vestito da pagliaccio andaluso, crede che sia un veglione di carnevale?

PIRONTE - Io pagliaccio andaluso?

FRANCESCO - Lei, lei. Piomba qui non invitato; sposta automobili; abbassa saracinesche arrugginite, scompiglia piani e pretende che qui dentro regni l’allegria? Sissignore, è una veglia funebre e lei si comporti in conformità.

PIRONTE - Beh, non ha tutti i torti. Le è morto il marito, quindi è una veglia funebre. (Un tempo. Speranzoso) Porca, non è che mi è uscito un sillogismo?

FRANCESCO - Si comporti in conformità!

PIRONTE - Certo, certo.

LUCIANA - Te, Giulio, ti faccio imbalsamare in tenuta da sub.

FRANCESCO - Nella camera di decompressione.

PIRONTE - Ma non si potrebbe parlare di cose meno tristi? Facciamo qualche cosa per ammazzare il tempo.

LUCIANA - Dai, suggerisci…

PIRONTE - Che so… (Titubante) Un pokerino… (Francesco lo fissa)

FRANCESCO - Lei è stato nella camera di decompressione, questo lo sappiamo. Tre volte, vero?

PIRONTE - Tre volte.

FRANCESCO - (molto pacato) Ecco, egregio signore, quando dico che la camera di decompressione lascia sempre un segno, lo dico a ragion veduta. Una delle tante bollicine formatesi nel suo sangue è sfuggita al controllo della scienza, ha vagato nei meandri del suo cervello e infine vi si è annidata. Dove? Non sta a me stabilirlo. Nel centro dell’affettività, della memoria, dell’apprendimento, dell’appetito, dell’intelligenza? Mah! Tutto quel che so è che mentre le ceneri del povero architetto fumigano ancora sul San Bernardo, lei propone pokerini alla vedova.

PIRONTE - Lei e la sua camera di decompressione! Ma cosa l’è che l’è ‘sta camera, il vaiolo? Dica chiaro e tondo che le sto antipatico.

FRANCESCO - Per essere schietto, sì.

PIRONTE - Porca, e perché?

FRANCESCO - Perché i suoi sentimenti sono rozzi. Lei non si coltiva, egregio signore.

PIRONTE - Non mi coltivo, no, perché il mio compito è stato di lavorare prima per la ricostruzione e adesso per il benessere della nazione. Lei è poeta e compone sillogismi; io sono imprenditore e penso a produrre.

FRANCESCO - Molto istruttivo.

PIRONTE - Faticosissimo, porca, altro che istruttivo. Se li ricorda lei questi terreni vergini? Terreni? Acquitrini vergini! Li ho bonificati, ci ho portato le pompe, ci ho scaricato gli autocarri di sabbia, ho lottizzato, ci ho costruito il complesso residenziale, ci ho portato svedesi e americani, turismo di lusso. Reddito fisso per duecento famiglie e pioggia di lire per l’erario. Seicento milioni sono destinati per colonizzare un litorale nella bassitalia. Le mie bombole montano il brevetto Gas-block; la gente non teme più le esplosioni e le trivelle trivellano. Per il proletariato abbiamo i quartieri modello del Pironte, che neanche in Russia dopo cinquant’anni di balle. Le bollicine nel sangue ce le ha lei, porca, che è tanto bravo a sputare sillogismi, ma non è in grado di comperarsi una “cinquecento” che è una “cinquecento”.

FRANCESCO - (gridando) Né mi convincerà lei a farlo, sia chiaro!

GINA - Non litigate, per favore.

PIRONTE - Senza litigare, bisogna che le mie ragioni le dica. Non mi sono coltivato perché alle spalle non ho avuto né il papà né la mamma. Sa con quanto ha incominciato il Pironte? Ventimila lire. Via gli alleati, sono andato a curiosare in un campo di residuati bellici. Tutto acquistato, tranne un camion carico di chiodi. Si può incominciare anche con i chiodi, dice il Pironte, e compra. Ventimila lire in chiodi e neanche cento lire in tasca per la tavola calda. Per cinque giorni ho mangiato mele. Ma, porca, il Pironte aveva visto giusto: per ricostruire occorrevano anche chiodi. Vendo il carico, la richiesta aumenta, giro tutti i campi di residuati della Val Padana e compro, compro e vendo: seicento camion carichi di chiodi.

FRANCESCO - Eccetto i famosi cinque giorni trascorsi a mele e acqua, pare che i suoi inizi siano stati ralle- grati dai viaggi.

PIRONTE - Bravo lei, rallegrati! Per due anni, due anni, il giorno sotto il solleone o sulla neve; buchi nelle scarpe e rattoppi dietro i calzoni, e la notte a battere i denti per il freddo e la paura che la ricostruzione finisse troppo presto. Ma durò. Sei chiodi su dieci si piegano e in quei tempi le mani degli italiani erano malferme. Che smercio! Lei dov’era? A riscaldare la sedia di un ginnasio, credo. Ma il Pironte affrontò la bufera, caro professore. Ventimila lire aveva e le puntò tutte su un numero solo.

FRANCESCO - Bel racconto di fate!

PIRONTE - Ho capito, lei è comunista!

FRANCESCO - Me l’aspettavo…

PIRONTE - Non l’è mica un’offesa, sa? I chiodi, adesso, li mando alla Cina Rossa. Capirà: ottocento milioni di cinesi a inchiodare assi…

FRANCESCO - Allora perché mi dà del comunista con quel tono?

PIRONTE - Perché in casa non ce li voglio. Per farci il commercio, passi. Ma in casa no!

FRANCESCO - Lei mi spaventa, caro signore. La osservo e mi domando “Dov’è l’uomo?” In lei vedo il plantigrado, il bipede, il vertebrato… ma l’uomo, dov’è l’uomo? Il benessere, dice. Il suo merito è di aver prodotto benessere. Anche l’uomo delle caverne lo conosceva, sa? La caverna, la femmina, la preda, il ruscello. I tempi tanto offrivano e lui di tanto beneficiava. Ma poi l’animale ha incominciato a pensare, questo lo sa? Si è guardato in giro, si è posto delle domande, è diventato uomo. Ma ora chiude la lunga parentesi e torna precipitosamente alla caverna, alla femmina, alla preda e al ruscello. Certo, ha trasformato tutto, lo ha fatto diventare più vasto, più abbondante, lo ha reso rilucente e rumoroso; ma la sostanza è rimasta immutata: animale è partito e animale è ritornato. (Furibondo) La “cinquecento”, a me, non c’è barba di Pironte che mi convinca a comperarla. Sono uomo, io! Voglio restare nella parentesi.

LUCIANA - Eh, professore, non sta bene rompere per tutta la serata con il linguaggio figurato. Siamo in lutto.

FRANCESCO - Non è linguaggio figurato! Si occupi dei suoi pappagalli!

GINA - (a Luciana) È il dolore, cara… il dolore…

LUCIANA - Il dolore? Ma chi è il vedovo in questa casa, te o lui?

PIRONTE - Signora Gina, il Goffredo non mi doveva giocare questo tiro di schiantarsi mentre si era in villeggiatura. Poteva aspettare l’autunno, evitandomi il professore.

FRANCESCO - Estate o autunno, prima o poi ci saremmo incontrati. Io sono la voce della sua coscienza e le mie parole la infastidiscono.

PIRONTE - Insomma, o le sue idee o niente.

FRANCESCO - Ho il massimo rispetto per le idee altrui… purché siano uguali alle mie! Cioè, idee sensate.

PIRONTE - (gridando) Va bene, Niente pokerino.. È questo che voleva? Niente pokerino. (Suono del campanello)

GINA - (con un fil di voce) Goffredo… (Si alza) È Goffredo mio che ritorna…

LUCIANA - Gina… stella… che dici?

GINA - È lui…

PIRONTE - (addossandosi a Francesco) Ehilà, professore, la faccenda del fantasma era linguaggio figurato, vero?

GINA - (avvicinandosi alla porta) Goffredo mio… (Apre. Entra Maranzana. Porta il sacco a tracolla e si preme il fazzoletto sulla fronte)

FRANCESCO - (desolato) Goffredo…

PIRONTE - (riparandosi dietro di lui) Dov’è?

MARANZANA - E due! (A Pironte) Hanno tentato anche con la sua macchina.

PIRONTE - La mia?

MARANZANA - Una Buick a coda di rondine, vero? (Pironte annuisce) Bagagliaio aperto… (Deponendo il sacco per terra) Ma, sono arrivato in tempo.

LUCIANA - Che ci faceva nella nostra macchina, tesoro?

PIRONTE - La nebbia… ho sbagliato macchina. E questo qua, parla, parla, parla… non si riesce a coordinare.

GINA - (a Maranzana) Cos’ha fatto alla fronte?

MARANZANA - Ero di ronda, ho sentito un fruscio sospetto, un’ombra nella nebbia, mi sono slanciato…

GINA - Uno zingaro.

MARANZANA - Un albero. Poiché la casa più vicina è questa, mi sono permesso… Ho un rimbombo in testa.

GiNA S’accomodi… Si riposi prima di riprendere la ronda.

MARANZANA - Solo cinque minuti per riordinare le idee. (Cerca un posto per lasciarvi il berretto, opta per il sacco a pelo e si mette a sedere) Ah, povere ginocchia.

GINA - Ha battuto anche le ginocchia?

MARANZANA - Tutto ho battuto, signora; quando si tratta di zingari mi impegno fino allo spasimo.

GINA - Perché tanto accanimento contro gli zingari?

MARANZANA - Da quando ho sentito “Il trovatore”, gentile signora, basta che ne veda uno perché mi si rimescoli il sangue nelle vene. Lor signori ci pensano? Quell’abbietta zingara che rapisce il fanciullino… ne fa bruciare vivo uno… decapitare un altro. Ho cinque figli e quella faccenda mi è rimasta qui… qui.. Zingari maledetti! L’anno prossimo prendo l’aspettativa… Destinazione Spagna. Li stermino tutti!

GINA - L’ha pronunciato il nome magico! Spagna. (Un sospiro) Fu il nostro ultimo progetto… La Spagna… Goffredo mi ci avrebbe condotta...si sarebbe concesso una vacanza… La corrida, Siviglia, i gelsomini di Granada, la paella con i crostacei… (A Pironte e Luciana) Vedendo voi con questi costumi addosso… (Singhiozza nel fazzoletto)

LUCIANA - Mi dispiace, stella. A sapere che ti veniva il magone…

GINA - È un pianto di Consolazione… È come se Goffredo stesso abbia voluto crearmi intorno un’atmosfera

magica…

LUCIANA - Se è così… E se non ti sembra stravagante… e oltraggioso per la memoria di Goffredo tuo… Ecco, il Giulio ed io potremmo fare il numero che abbiamo fatto alla festa.

GINA - Davvero lo fareste?

PIRONTE - (a Luciana) Dai, matta. La levataccia.

LUCIANA - Per far piacere alla Gina.

GINA - Davvero me lo fareste? Chiuderò gli occhi e mi trasferirò col pensiero in un angolo incantato dei giardini dell’Alhambra.

PIRONTE - Per me, niente in contrario… Ma non c’è la chitarra.

FRANCESCO - (uscendo dal suo isolamento, con occhio torvo) Il flamenco si balla anche con il solo accompagnamento delle mani. Palmas! (Batte rapidamente le mani. Si alza. Accenna qualche passo, battendo le mani, e si rimette a sedere)

PIRONTE - (ammirato) La peppa!

LUCIANA - Lei, maresciallo, si presterebbe a battere le mani?

MARANZANA - Disponga. Purché mi si dica come.

FRANCESCO - (alzandosi di nuovo) Così. Palmas! Olè! (Batte le mani. Maranzana lo imita goffamente) In Spagna la impiccherebbero senza processo, ma per quel che serve qui… (A Luciana e Pironte) Assumano la posizione. (I due posano plasticamente. Francesco batte le mani, imitato da Maranzana, mentre Luciana e Pironte si esibiscono in un fac-simile di flamenco. D’improvviso, creando dello sgomento, Francesco attacca a cantare)

Cuando te veo venì

a lo lejos ‘e una calle,

se le aumentan a mi cuerpo

màs ‘e cien libras ‘e carne…

GINA - (commossa) Cari, cari…

PIRONTE - (a Francesco) Ehilà, dico, lei è in gamba, sa?

FRANCESCO - (secco) Reminiscenze di studi giovanili sul folklore. Ho appena accennato.

LUCIANA - Canti per davvero.

FRANCESCO - La circostanza…

GINA - Bando alla tristezza. La vita continua. Canti, professore. (Francesco allarga le braccia, arrendendosi, fa un inchino a Gina e attacca a cantare di colpo)

Màs mata una mala lengua

que las manos del verdugo;

que el verdugo mata a un hombre,

una mala lengua a muchos. (Scoppiano tutti in un applauso)

PIRONTE - Porca, che pagherei per sapere cantare così! Burbero e accigliato, il nostro professore, ma all’occorrenza sembra il Claudio Villa, sembra…

LUCIANA - Ci canti “Granada”, professore.

FRANCESCO - (torvo) Granada… (Un tempo) Insomma, lor signori hanno intenzione di fermarsi ancora a lungo… Credono che la signora ed io, da stamane, stiamo con le mani in mano… Siamo esausti, perdio! Di dolore e di fatica. (Sillabando) Io non reggo più.

PIRONTE - Dico, non ci sta per caso mandando via…

FRANCESCO - Proprio così.

PIRONTE - Senta, professore, con lei collera basta. Lei è talmente bravo, un artista, ecco, che per forza deve essere un po’ matto. Ce ne andiamo, mi aspetta la levataccia.

FRANCESCO - (soddisfatto) Oh! Buonanotte.

PIRONTE - Ma prima debbo dimostrarle che qualche cosa la so fare anch’io. Nel mio piccolo, la so fare. (Si schiarisce la gola. Goffo) “Qui Ruggero Orlando che vi parla da Nuova York”… (Cercando consensi) Eh?

GINA - (soffocando una risata, poco intonata alla circostanza) Pironte, la prego… È così buffo.

PIRONTE - (a Gina) Tale e quale, no?

GINA - (c. s) Per niente.

PIRONTE - (a Francesco) Eh? (Francesco si stringe nelle spalle, fissando il vuoto) “Qui Ruggero Orlando…”

LUCIANA - Dai, che neanche il verso delle galline sai imitare!

PIRONTE - Maresciallo, parli lei.

MARANZANA - Beh, insomma… l’idea c’è, vero?

PIRONTE - (con uno sforzo sovrumano) “Qui Ruggero Orlando che vi parla da Nuova York”. (Luciana e Gina ridono apertamente) Maresciallo, parli.

MARANZANA - Non dico di no… ma dopo aver sentito il Ciccolella…

PIRONTE - Come fa il Ciccolella?

MARANZANA - (Goffo) “Qui Ruggero Orlando che vi parla da Nuova York”. (Gina e Luciana ridono)

GINA - Oh, Signore…

FRANCESCO - (dal profondo della sua poltrona, con perfetta intonazione) “Qui Ruggero Orlando che vi parla da Nuova York”. (Sbalordimento. Le donne battono le mani. Pironte sgrana gli occhi)

PIRONTE - Ma lei… lei… (Esplodendo) Quanto guadagna al mese? Si, dico, perché fa il professore?

FRANCESCO - Che dovrei fare, Ruggero Orlando nelle balere?

PIRONTE - Dico, con la sua cultura, con la sua… (In un raptus) Vuole il mio ufficio stampa?

GINA - Si, si, si. (A Luciana) Te l’immagini? Telefono: drrring “Qui Ruggero Orlando, capo ufficio stampa della Pironte Corporation”. (Le due donne ridono) Ah, che matto!

PIRONTE - Lei ci ride su, signora Gina, ma porca che colpo pubblicitario sarebbe!

GINA - Si prenda il maresciallo. (Stringendo un braccio a Luciana) Drrring! “Pronto? Ufficio stampa della Pironte Corporation. Chi parla?” “Uno zingaro!” Infarto! (Luciana e Gina scoppiano in una fragorosa risata)

LUCIANA - Signore, che ridere. Finalmente un po’ di vita…

PIRONTE - Ehilà, donne, niente risate a spese del maresciallo. Un uomo che per inseguire zingari si spacca la testa contro gli alberi, mi fa tenerezza, ecco, mi fa tenerezza.

MARANZANA - (modesto) Bontà sua, signor cavaliere.

FRANCESCO - Lo assuma per colonizzare il litorale della bassitalia. Glielo disbosca a colpi di cranio.

MARANZANA - Eh, lor signori scherzano con gli zingari. Ma se conoscessero “Il trovatore” come lo conosco io!

GINA - Canti, canti “Il trovatore”, maresciallo.

MARANZANA - Magari… Ma di voce ce n’è pochina.

GINA - Basta l’intenzione.

MARANZANA - Magari accenno solamente.

LUCIANA e GINA - (battendo le mani) Sì, sì, accenni.

MARANZANA - (senza farsi pregare)

Abbietta zingara, fosca vegliarda!

Cingeva i simboli, di maliarda!

E sul fanciullo, con viso arcigno,

l’occhio affiggeva, torvo, sanguigno…

(Mostrando i pugni) Maledetti zingari!!

GINA - (una mano sullo stomaco, ridendo) Oh, Signore…

MARANZANA - Eh, ma se lo sentissero cantato dal Ciccolella!

PIRONTE - Sapete che si fa, gente? Si parte tutti in spedizione a catturare questo fenomeno del Ciccolella.

GINA - Ci scambia tutti per zingari e ta ta ta ta… (Luciana le dice qualcosa all’orecchio e le due si alzano) Ti accompagno.

PIRONTE - Dove andate?

LUCIANA - A incipriarci il naso. (Via con Gina su per la scala)

PIRONTE - Eh, professore? Tutti dal Ciccolella, a finire la serata con una spaghettata. La macchina la guida lei, ma prima smontiamo la frizione. Su, in piedi… (Maranzana prende il berretto dalla sommità del sacco) MARANZANA - Però questo sacco… (Tace e lo fissa attentamente)

FRANCESCO - (con un fil di voce) Questo sacco?

MARANZANA - Mi ricorda un film che ho visto recentemente.

FRANCESCO - (tossendo) Un wes… un western, immagino.

MARANZANA - (senza smettere di fissare il sacco) Un poliziesco. Certi ceffi con faccia da zingari balcanici, dopo averla uccisa, vi cuciono dentro una ragazza. Il piano consisteva nel portarla al fiume e… (Realizza) Ma non è uguale a quello che ho portato dentro dal bagagliaio dell’altra macchina?

PIRONTE - È lo stesso.

FRANCESCO - Sciocchezze. Io ci trovo una differenza notevole.

MARANZANA - Il è peso è uguale.

PIRONTE - Allora, se non è lo stesso, non so come possa essere capitato nel mio bagagliaio. A meno che qualcuno non ve l’abbia messo casualmente o intenzionalmente.

MARANZANA - Ahi, ahi, ahi. Forse ci siamo.

FRANCESCO - Ah, sl?

MARANZANA - Un’ora fa abbiamo ricevuto la denuncia di un furto. Una villa è stata alleggerita dell’intera argenteria. Una teoria si fa presto a formularla. Gli zingari riempiono il sacco, si incamminano nella pineta, scorgendo l’auto del signor cavaliere, ne aprono il cofano, contando di fuggire con macchina e refurtiva. Ma ecco il boato prodotto dall’impatto della mia testa contro l’albero, li mette in fuga. Una teoria che ha il pregio della semplicità. (Alzandosi) Non ci resta che controllarne la fondatezza. (Si avvicina al sacco e vi pone mano)

FRANCESCO - (alzandosi a sua volta, malfermo sulle gambe) Ha detto argenteria?

MARANZANA - Argenteria. (Francesco scuote violentemente il sacco)

FRANCESCO - Sente un qualche tintinnio argentino?

MARANZANA - No.

FRANCESCO - (a Pironte, scuotendo il sacco) E 1ei?

PIRONTE - Neanche.

FRANCESCO - E allora non è argenteria. (E sviene di colpo)

PIRONTE - Professore! (Assieme a Maranzana lo soccorre e lo tira su adagiandolo sulla poltrona. I due gli fanno aria, mentre Gina e Luciana compaiono sul ballatoio)

GINA - Che succede?

PIRONTE - È svenuto.

GINA - (scendendo) Oh, Dio.

LUCIANA - (scendendo) Quell’uomo non me la conta giusta. Nega, nega, nega, ma per me è sonnambulo. (Intanto, sotto i buffetti di Maranzana e di Pironte, Francesco apre gli occhi)

PIRONTE - Va meglio, professore? (Francesco annuisce) Che le ha preso?

FRANCESCO - Il… il coso… il fegato.

PIRONTE - Ma se ha detto che le uova non le fanno male…

FRANCESCO - (acido, malgrado la sua astenia grave) Perché, ho mangiato delle uova?

PIRONTE - No, cioè, volevo dire… Insomma, sta bene, adesso?

GINA - È stata una giornata faticosa anche per lui, povero professore. Ha avuto troppe emozioni.

FRANCESCO - (con un fil di voce) E chi sa se sono finite…

PIRONTE - Sa che si fa? Niente di meglio per rimettersi in sesto che una spaghettata dal Ciccolella. Si va?

FRANCESCO - (alzandosi di colpo) Andate dove vi pare! Io… (Si carica il sacco sulle spalle) Io vado a incipriarmi il naso! (Via con il sacco, arrancando su per la scala)

PIRONTE - (attonito) È matto. Parola mia, è matto. Ah, questi poeti!… (A Luciana) Allora, si va a nanna. Lei, maresciallo, ci concederà l’onore di scortarci.

MARANZANA - Agli ordini, signor cavaliere.

PIRONTE - Sogni d’oro, signora Gina. (Verso l’alto) Ciao, professore.

FRANCESCO - (fuori di scena, spazientito) Buonasera, buonanotte…

LUCIANA - (a Gina) Sogni d’oro, stella. (Si baciano. Luciana, Pironte e Maranzana escono nella notte)

PIRONTE - (fuori scena) Ehi, Ciccolella, non spari… Non siamo zingari… (Cantando) Siamo amici del maresciallo / e torniamo dal gran ballo…

GINA - Francesco! Sono andati!

FRANCESCO - (comparendo sul ballatoio col sacco a tracolla) Una considerazione. Se ho accettato il sodalizio, lei lo sa bene, è stato per affrancarmi dalla fatica. Ebbene, mai in vita mia ho sottoposto a sforzi simili ernia, fegato, lombi e miocardio!

GINA - Sta cercando di dirmi che ha cambiato idea?

FRANCESCO - Certamente no. Dal momento che sopravvivo, mi considero un miracolato; ma spero tanto, per la mia integrità, che serate come questa siano del tutto eccezionali.

GINA - Scenda, Francesco, e consideri questa serata il canto del cigno della sua vita di lavoro. Le do una mano?

FRANCESCO - (scendendo col sacco a tracolla) Lasci stare. Ormai… (Fuori di scena, Pironte cessa di cantare e lancia un urlo)

MARANZANA - (fuori scena) Occhio agli alberi, signor cavaliere.

LUCIANA - (c. s) Dai, guarda dove metti i piedi.

FRANCESCO - Bipede! Plantigrado! Sugli alberi dovrebbe vivere!

GINA - Perché detesta tanto il Pironte?

FRANCESCO - (deponendo il sacco) Perché fa rima con bisonte. Incarna tutto ciò che detesto; concedergli la mia simpatia significherebbe rendermi suo complice, tradendo i miei principii morali.

GINA - (con intenzione) Ma di me lo è diventato, complice.

FRANCESCO - Non definirei complicità un accordo stipulato in armonia con i miei principii.

GINA - Eppure sa quel che ho fatto. (Stuzzica il sacco con la punta della scarpa)

FRANCESCO - Quel che ha fatto, se ne è convenuto, mi riguarda solo in quanto individuo. Da cittadino no, perché mi sono messo fuori da questa società. Come individuo, mia cara amica, io la considero vergine.

GINA - In che senso?

FRANCESCO - La sua coscienza può essere bianca come il latte o nera come il carbone, non sta a me giudicarla.

GINA - (guardandolo con intensità) Lei mi piace, Francesco. Come sa dire bene le cose di cui non è convinto!

FRANCESCO - Crede che non lo sia? (Si guardano in silenzio) Bene, non sfidiamo oltre la fortuna. È tardi.

GINA - Che fretta c’è?

FRANCESCO - Dal momento che mi sono giocato il Paradiso, voglio concludere al più presto.

GINA - (le mani dietro la testa) Il Paradiso. (Un tempo) Lei è credente?

FRANCESCO - Sono ateo. (Ha un ripensamento, la sua voce si ammorbidisce) Ateo di destra, però. Lascio un ragionevole margine al dubbio; è possibile che vi sia un seguito e non voglio precludermi la possibilità…

GINA - (guardandolo intensamente) Il Paradiso non esiste, Francesco. (Si alza, fa una giravolta su se stessa, spegne le luci del soggiorno) Se esistesse, immagina che noia? Beghine, pretini, ragazzini con l’acne, santoni barbuti con odore di sego… e da un estremo all’altro del tempo concerti d’arpa. (Ride) Non esiste quel Paradiso… (Corre verso la porta di fondo e la spalanca) …e la notte è piena di zingari. (Grida) Zingari… Zingariiiiiii…

FRANCESCO - Non li provochi…

GINA - Oh, via, invenzioni del maresciallo! (Gridando verso la notte) Non esistono gli zingari… (Chiude la porta e si avvicina a Francesco)

FRANCESCO - Facciamo in fretta. Al nostro ritorno dibatteremo la questione.

GINA - Francesco. (Il professore la guarda) Il mio Paradiso, Francesco, è quaggiù.

FRANCESCO - (dopo una breve riflessione) È vero anche questo. (Sollevano il sacco e si incamminano verso la cucina)

GINA - (a voce alta, gaia) Il mio Paradiso è quaggiùùù… (Escono. La voce di Gina proviene da fuori) È quaggiùuuu… quaggiùuuu… (la scena è illuminata dal solo fascio di. luce che dalla camera da letto piove sul ballatoio)

SIPARIO

ATTO TERZO

Il mattino di tre giorni dopo. Dalla camera da letto, Gina esce sul ballatoio; legge il giornale e piange sommessamente.

GINA - (con intensa commozione) Com’è possibile, Dio mio… Com’è possibile? (Mentre scende, suono discreto del campanello. Gina va ad aprire la porta di fondo. Entra Francesco con fare da cospiratore, dopo aver lanciato sguardi guardinghi ai lati)

FRANCESCO - (richiudendo la porta) Mia cara amica… (Le bacia avidamente una mano. Si avvede del suo turbamento) Che c’è?

GINA - (mostrandogli il giornale) Guardi, Francesco… Non è orribile? (Francesco guarda il giornale e annuisce gravemente, nel mentre si toglie il panama di testa) Bisogna fare qualcosa. (Forma al telefono un numero di due cifre) Signorina, il prefisso di Milano, prego… Grazie. (Compone il prefisso e, trovatolo sulla testata, il numero telefonico del giornale) È la redazione?… Caro dottore, ho il cuore a pezzi! È possibile tanta orribile sofferenza?… Certo, ho visto le fotografie… Da rabbrividire… Quella povera donna col seno grinzoso che le scende all’ombelico… E le braccia e le gambe di quel bimbo! Dio, Dio, Dio… Dobbiamo fare qualcosa… Telefono per rispondere al vostro appello… (Un tempo) Diecimila lire… Sì, dieci… (Alla vista di Francesco che solleva il pollice di una mano, portandosi l’indice dell’altra mano al proprio petto) Più mille… Undicimila, insomma… Siamo in due… No, niente nomi: N/N… Due volte, magari… Ah, senta, una considerazione marginale… Il giornale, caro dottore, circola dappertutto: in città, al mare, in montagna, nei posti di villeggiatura, insomma. Dopo un anno di lavoro, lei mi capisce, la gente si vuol svagare, dimenticare i piccoli problemi d’ogni giorno… Ora, se proprio non è possibile rinviare all’autunno i vostri servizi, sebbene mese più, mese meno, vero, dico, almeno quelle fotografie… (Commossa) Sa, ci sono tante mammine in attesa di un pupo… Come dice?… Sì, certo, anche in autunno attendono, ma in villeggiatura si legge di più, non trova?… Certo, certo… La ringrazio, pazienza! E muoviamoci, caro dottore, facciamo sentire la nostra solidarietà. (Riaggancia. A Francesco, infervorata) Non basta il ballo in costume una volta all’anno con torneo di ruttini. Una manifestazione alla settimana bisogna organizzare: tornei di canasta e di bridge, cacce al tesoro e festival, festival, festival benefici a strafottere!

FRANCESCO - E aumentare il prezzo della benzina!

GINA - Ecco!

FRANCESCO - (prendendole una mano) Adesso che ha fatto il suo dovere si rassereni, amica mia; non sciupi la bella luce di questi occhi.

GINA - (col labbro tremulo) Da qualche giorno sono portata così facilmente alla commozione. Da che cosa può dipendere?

FRANCESCO - Dalla sua sensibilità, che domanda!

GINA - (con tenerezza) Cosa farei se non avessi lei. (Gli sfiora i capelli con una carezza) Mio consolatore. (Altro tono) Così presto in piedi?

FRANCESCO - Non è poi tanto presto: tra poco suoneranno le dieci.

GINA - Ma no! Anche dormigliona sono diventata!

FRANCESCO - Io invece, come sa, da tre giorni non chiudo occhio. Mi lascio consumare dolcemente da un’insonnia febbrile; e appena l’orizzonte si tinge di rosa e alto in cielo splende “Lo bel pianeta che ad amar conforta”… (Allo sguardo neutro di Gina) Venere! (Un tempo) Appena in cielo splende “lo bel pianeta”, dicevo, ne seguo avidamente il cammino fino a posare lo sguardo su questo scrigno che custodisce una gemma tanto preziosa. E fremo, ah quanto fremo, in attesa del momento che mi sarà concesso di varcarne la soglia.

GINA - (con un sorriso soave) Attento che lo bel pianeta non abbia a costituire una fregatura, Francesco.

FRANCESCO - In che senso?

GINA - Nel senso che questa sua assiduità potrebbe essere male interpretata da occhi sospettosi. Prudenza, Francesco, prudenza.

FRANCESCO - Su questo punto posso rassicurarla. Per non destare sospetti ho escogitato un’astuzia: prima di venire qui mi reco in paese, come sempre; acquisto il giornale, scambio qualche parola e, frenando ulteriormente la mia impazienza, compio la solita passeggiata sul lungomare.

GINA - Com’è il mare questa mattina?

FRANCESCO - Liscio come la guancia di un infante.

GINA - La zona del faro?

FRANCESCO - Dorma su quattro guanciali. Se mi è consentito esprimermi in termini commerciali, la garanzia oscilla tra i sei e i sette anni.

GINA - Nessun movimento?

FRANCESCO - Il solito. Ah, sì, una novità c’è, se di novità si può parlare; tre ore fa ho visto passare Pironte in tuta da subacqueo.

GINA - (alzandosi) Non è una novità.

FRANCESCO - Appunto; inoltre, come di consueto, era adagiato su una barella e lo conducevano alla camera di decompressione.

GINA - (andando in cucina) Eh, quello lì! Un giorno o l’altro ci resta.

FRANCESCO - (gli occhi al cielo) Confidiamo, confidiamo nell’azoto.

GINA - (dalla cucina, versando del caffè nelle tazze) Francesco, Francesco, certe parole non le si addicono.

FRANCESCO - Io confido davvero, sa? Confido. (Gina gli si avvicina scuotendo il capo e gli porge una tazza)

GINA - E io non le credo.

FRANCESCO - (rifiutando la tazza) Grazie, niente caffè.

GINA - (bevendo) Non è corretto, sa?

FRANCESCO - Birichina! (Un tempo) Il motivo è un altro: la mia pressione, adesso, ha raggiunto valori più che normali.

GINA - Non mi dica. (Francesco annuisce) Si è fatto visitare?

FRANCESCO - (annuendo, ad occhi bassi, timido) Una visita… per così dire… pre…

GINA - Pre…? Non capisco.

FRANCESCO - (c. s) Desidero offrirmi a lei nella pienezza dei miei mezzi. (Un tempo) Mi sono sottoposto a una visita prematrimoniale.

GINA - Tenero! Dio, Dio, che ne sarebbe di me se non l’avessi incontrata sulla mia strada?

FRANCESCO - La circostanza che non giudichi avventata la mia decisione mi incoraggia a sperare che, a parte il sodalizio, l’alleanza commerciale o come chiamar si voglia il nostro accordo, non le sono del tutto indifferente…

GINA - Francesco, lo confessi: mi vuol strappare per forza dei complimenti.

FRANCESCO - (con gli occhi sbarrati) Dice davvero? (Un tempo) Lo sento, sta per sbocciare l’idillio. (Modesto) Tuttavia, so che nella valutazione gioca non poco la sua innata gentilezza d’animo: so bene, infatti, di non possedere alcuno di quegli attributi, almeno apparente, dico, e scusi l’immodestia, che fanno ammattire le donne.

GINA - (con voce flautata) Lei possiede molto, molto di più, Francesco.

FRANCESCO - Sono felice di sentirglielo dire. (Un tempo, con altro tono) Che cosa?

GINA - La sua anima! Nobile, candida e forte al tempo stesso. Non si può non amare un’anima così. (Rabbuiandosi) Ma non sono certa che, dopo quanto è accaduto, lei riuscirà ad amare la mia!

FRANCESCO - La sua anima? (in un raptus) Tutto amo in lei: l’anima e i dintorni! (Abbracciandola) Gina, bando alle schermaglie dialettiche e agli indugi!

GINA - (resistendogli) Francesco… La prego…

FRANCESCO - (c. s.) Et erunt duo in carne una!

GINA - Non parli spagnolo: è una lingua afrodisiaca! Si controlli!

FRANCESCO - E cosa ho fatto fino a oggi? Cosa faccio da quando l’ho vista per la prima volta, se non controllarmi? Gina, ho raggiunto il penultimo scalino della felicità; mi consenta di compiere l’ultimo passo: mi lasci cogliere i grappoli d’uva della terra promessa. Gina, Gina, Gina!… Ecco, pronuncio il suo nome con tanto ardore che spero riesca a percepire anche lei le vibrazioni bronchiali e le lacerazioni pleuriche che mi procura. Ora che conosco la sua anima, Gina, se posso esprimermi con linguaggio biblico, desidero conoscerla carnalmente!

GINA - (ritraendosi) Le sue parole mi danno le vertigini.

FRANCESCO - (incalzando) Ceda, Gina, ceda alle vertigini!

GINA - No, siamo ragionevoli… Lasciamo trascorrere almeno il tempo prescritto per un lutto così grave. Non per me, caro, ma per gli occhi della gente.

FRANCESCO - (c. s.) È tutto chiuso.

GINA - I nostri occhi, Francesco. Non vorrei che in futuro, incrociando gli sguardi, dovessimo provare vergogna di un atto così sconsiderato. Senza contare che, abbandonandoci alla passione, mi conosco e incomincio a conoscerla, non potremmo nasconderla agli altri.

FRANCESCO - (stringendo pugni e mascelle, grave) Parole sagge; saggia condotta. (Allarga le braccia) E sia! Mortificherò la carne, getterò dell’olio sulla tormenta ormonica che mi porta alla deriva. Placatevi, ormoni; e tu, carne, non fremere! (Un tempo) È stato scritto che esiste anche il piacere dell’attesa… Mi procurerò questa nuova esperienza.

GINA - Vedrà come sarà tutto più bello… dopo.

FRANCESCO - Ma che questo dopo non tardi troppo. Le ho taciuto un particolare, Gina. Giancarlo Prandoni, un mio bisavolo, tutto solo e appiedato, espugnò un fortino difeso da cinquanta austriaci. Gli austriaci furono il meno… Ma del fortino non rimase in piedi una pietra, che è una. (Infervorandosi) Malgrado la mia professione di fede contraria alle attività muscolari, esistono delle leggi genetiche alle quali non ci si può opporre e che finiscono col prevalere. Non aspetti che si ridestino in me gli impulsi di nonno Giancarlo, potrei non rispondere di me. (Le bacia furiosamente una mano. Campanello. I due si discostano, si ricompongono. Francesco si mette a sedere aprendo il giornale, mentre Gina schiude l’uscio. Sulla soglia appare il maresciallo Maranzana)

MARANZANA - (con un breve inchino) Signora… Professore… (Un tempo) Hanno saputo del signor Pironte?

FRANCESCO - (speranzoso) L’ha stroncato un embolo!

MARANZANA - Magari! Cioè, cosa mi fa dire!… Altro che embolo. La cosa è più grave. (Solenne) Gli zingari ne hanno fatta un’altra. E grossa! Scusi la visita, signora… So che non si trova nelle condizioni di spirito per… Ma, purtroppo, il dovere è il dovere.

FRANCESCO - (con una nota di allarme nella voce) Che cosa hanno fatto gli zingari?

MARANZANA - Lo saprà, lo saprà tra poco. (A Gina) Gentile signora, sono stato incaricato di accertare se in qualche villino della pineta è stata notata la sparizione di un sacco a pelo. (Francesco sgrana gli occhi)

GINA - (a Maranzana, corrugando la fronte) Di un…?

MARANZANA - Sacco a pelo.

GINA - (portandosi il fazzoletto alle labbra) Le sembra che sia in condizioni di…

MARANZANA - Capisco, signora; ma fa parte del mio dovere.

FRANCESCO - Scusi, maresciallo, questo… questo sacco a pelo, l’ha detto lei, sarebbe più grave di un embolo?

MARANZANA - Eeeeh!

FRANCESCO - E quale… quale nesso esiste tra il coso, il sacco, e il signor Pironte?

MARANZANA - È stato lui a scoprirlo. Questa mattina, veda, dieci minuti dopo essersi immerso, il signor Pironte è schizzato in superficie come sputato da un tubo lanciasiluri. Conoscendone le abitudini, due pescatori lo hanno tirato in secco e hanno dato l’allarme. Adagiato su una barella, il signor Pironte è stato portato a decomprimere. Era agitato, blaterava di un sacco a pelo scorto al largo del faro mentre inseguiva un dentice… Parole oscure, mischiate a freddure… sanno com’è fatto; tanto che i medici hanno pensato al delirio dovuto all’azoto. Ma un’ora fa, pienamente lucido, il signor Pironte ha raccontato per filo e per segno. Due sommozzatori si sono tuffati e hanno riportato a galla un sacco a pelo contenente… contenente… (Legge da un foglietto) “Un cadavere di soggetto di sesso maschile dell’apparente età di quarant’anni”.

GINA - Nel mio sacco?

MARANZANA - Ahi, ahi, ahi, è la prima persona, su venti che ne ho interrogate finora, che ammette di averne uno. Finalmente una traccia! Sa, al mare, non è d’uso portarne. Ne ha accertato la sparizione?

GINA - Le ripeto che il mio stato d’animo…

MARANZANA - E che traccia… Notte, garage e bagagliaio aperti, la pineta infestata di zingari…

FRANCESCO - Senta, maresciallo… e il… il soggetto maschile dell’apparente età di quarant’anni…

MARANZANA - Alla sua vista, il signor Pironte ha perduto i sensi…

FRANCESCO - addio…

MARANZANA - La capisco… a nessuno piacerebbe trovarsi nei suoi panni…

FRANCESCO - (Quasi tra sé) Dal San Bernardo al faro…

MARANZANA - Eh sì, prima il povero architetto e adesso… Mah, brutta estate, professore, pessima estate!

FRANCESCO - L’architetto nel sacco a pelo! (Pausa. Maranzana lo fissa)

MARANZANA - Lei è sconvolto.

FRANCESCO - Può ben dirlo.

MARANZANA - Beva qualcosa.

FRANCESCO - (con occhi supplici) E se nel sacco si trovasse l’architetto? (Maranzana lo fissa)

MARANZANA - Beva qualcosa, professore.

GINA - La prego, professore, non rimescoli, non rimescoli…

FRANCESCO - (a Maranzana, alzandosi) Può essere andata così: lo schianto dell’aereo è stato tale che il povero architetto è stato proiettato fuori, ha sorvolato le Alpi e la Liguria e si è inabissato al largo del faro.

MARANZANA - (sovrappensiero) Però. (Un tempo) No, non regge.

FRANCESCO - C’è qualche punto debole?

MARANZANA - Il sacco. Ammetto la violenza dello schianto; ma che ci faceva l’architetto nell’interno di un sacco a pelo a bordo di un aereo?

FRANCESCO - Cercava di procurarsi un po’ di caldo. I jet volano molto in alto, sa, al confine tra l’ossigeno e il suono d’arpe.

MARANZANA - (scettico) Tst, tst, tst… C’è un particolare, l’apertura era cucita con lo spago e il sacco zavorrato. La mia teoria, invece, ha il pregio della semplicità.

FRANCESCO - Dica, dica.

MARANZANA - La vittima arriva con un treno notturno, si inoltra nella pineta; la nebbia è fitta, la visibilità nulla. (Francesco si asciuga il sudore) Ad un certo punto, chi le si para davanti, sbucando dall’oscurità? Un maledetto zingaro, lo aggredisce, colluttano, lo zingaro ha la meglio, lo stordisce, lo uccide, lo depreda. (Solenne) La vittima, infatti, è in mutande.

FRANCESCO - (guardando Gina) In mutande…

MARANZANA - (a Gina) Scusi il particolare, ma è importante. (Un tempo) Lo depreda, dicevo, lo introduce in un sacco a pelo e lo porta al largo del faro. Dove ha preso il sacco a pelo, domanderanno lor signori? (Trionfante) Nel portabagagli della macchina della signora! Tre sere fa, il portabagagli era aperto… E gli uomini, oltre agli attrezzi forniti dalla fabbrica, nel portabagagli stipano di tutto: dai reggicalze dimenticati dalle loro amichette, non è il caso del povero architetto, beninteso, alle racchette per il tennis. Questa è la mia teoria.

FRANCESCO - Non fa una grinza! Che teoria! E vale per chiunque si trovi nel sacco, non le pare?

MARANZANA - Che intende per chiunque?

FRANCESCO - Il povero architetto o un altro.

MARANZANA - Se fosse l’architetto, la cosa avrebbe del fantascientifìco, vero? Le Alpi, la Liguria, ecc., ma non farebbe una grinza lo stesso. Il marito della signora, che so, potrebbe aver perso l’aereo.

FRANCESCO - Bella anche questa teoria.

MARANZANA - Ne prende un altro e, giunto a Milano, salta sul primo treno.

FRANCESCO - La nebbia, l’oscurità… Lo zingaro!

MARANZANA - (compiaciuto) Eh? Fa qualche grinza?

FRANCESCO - Nessuna. Corra, maresciallo, corra a illustrare la sua teoria ai carabinieri.

MARANZANA - Volo. Maledetti zingari! (Via di corsa dal fondo)

GINA - (portandosi una mano alla fronte) Oh Dio, che sviluppi, che sviluppi! (Altro tono) E la famosa garanzia di sei, sette anni?

FRANCESCO - Nella garanzia non era contemplato il Pironte che insegue dentici!

GINA - Addio estate… Gente per casa, interrogatori, verbali da firmare… Due anni fa, per molto meno, il furtarello di una cameriera, sette volte ci hanno fatto andare in questura… Sette volte… Addio estate!

FRANCESCO - (con improvvisa decisione) Ripariamo in Svizzera.

GINA - (Basita) In Svizzera?

FRANCESCO - O in Spagna, nel Libano…

GINA - Francesco, siamo realistici; i carabinieri apriranno un’inchiesta.

FRANCESCO - Appunto.

GINA - È chiaro che non si rende conto della situazione.

FRANCESCO - No, cara; appunto perché me ne rendo conto propongo di levare le tende.

GINA - (muovendo il capo con fare desolato) Non se ne rende conto. Ragioni, Francesco. Pironte o un altro, prima o poi il sacco sarebbe venuto a galla.

FRANCESCO - No, no! Garantito no! Un sacco zavorrato non è una bottiglia con il messaggio del naufrago! (Realizzando) Gina, la famosa bottiglia… l’ha gettata via spero.

GINA - (cascando dalle nuvole) La bottiglia?…

FRANCESCO - Quella del… del correttivo del caffè.

GINA - (realizzando) Ah, la bottiglia!

FRANCESCO - L’ha gettata via…

GINA - Mi ci faccia pensare.

FRANCESCO - Pensare? Deve averla gettata via!

GINA - Che buffo! Francesco, si faccia una risata: non ricordo. Anzi, anzi, anzi…

FRANCESCO - Anzi?…

GINA - (divertita) Non l’ho buttata affatto.

FRANCESCO - (strozzato) No?

GINA - Volevo farlo, ora ricordo, ma mi sono tornate in mente quelle orribili storie di bambini che rinvengono barattoli e bottiglie, ci giocano imbrattandosi le mani e fanno quella fine orribile…

FRANCESCO - Nobile cuore. Se non l’ha gettata, dov’è?

GINA - (un dito puntato sotto il mento) Dov’è? Dov’è? (Pausa) In qualche posto debbo pur averla messa.

FRANCESCO - (con un grido) In quale posto?

GINA - Se mi ci metto, in un’oretta riesco a trovarla.

FRANCESCO - Un’oretta? Se i carabinieri mettono i piedi qui dentro, e li metteranno, la scovano in trenta secondi.

GINA - (stupita) Francesco, è una mia impressione o lei è agitato?

FRANCESCO - Lei no?

GINA - Perché dovrei esserlo? La teoria del Maranzana regge, caro; e potrebbero reggere altre dieci. (Un tempo) Pensi a nonno Giancarlo.

FRANCESCO - Chi è nonno Giancarlo?

GINA - Il suo bisavolo, quello del fortino.

FRANCESCO - C’era il Risorgimento, allora; altri fortini, altre tempre, altri carabinieri.

GINA - (incredula) Ha paura…

FRANCESCO - La prego, cerchi di ricordare dov’è la bottiglia. Si renda conto del pericolo, Gina: sulla bottiglia, lo capisce, vi sono le sue impronte.

GINA - (con uno scoppio di ilarità) Ah, è per questo? Francesco tenero! Si rassereni, non possono esserci le mie impronte: ho usato i guanti.

FRANCESCO - Eh? (Realizzando, con un sospiro di sollievo) Meno male; saggia condotta.

GINA - Con quei liquidi, sa, le precauzioni non sono mai troppe.

FRANCESCO - (asciugandosi dl sudore) Saggia precauzione! (Resta con il fazzoletto a mezz’aria e lo sguardo nel vuoto) Ma ci sono le mie!

GINA - Davvero? Non sapevo che ci fossero le sue, caro. È stato imprudente a non usare i guanti, chi sa quante volte ha rischiato di fare la fine di quei poveri bambini… Bisogna riconoscere che è stato fortunato. Proprio.

FRANCESCO - (di nuovo sulle spine) Cerchi di ricordare dove ha messo quella bottiglia. Siamo in pericolo!

GINA - Nessun pericolo: la bottiglia è della vecchia signora. Il giardiniere la riconoscerà.

FRANCESCO - Ha novantasei anni ed è arteriosclerotico in testa, che riconosce? (Un tempo) Aveva anche lui i guanti quando le ha dato la bottiglia?

GINA - Guardi, di questo sono sicurissima: li aveva.

FRANCESCO - Malgrado l’arteriosclerosi aveva calzato i guanti! (Un tempo) Insomma, le sole impronte sulla bottiglia sono le mie… (Si guarda intorno) Dopotutto, non sono molti i posti dove si può nascondere una bottiglia. (Va in cucina e comincia a rovistare affannosamente dappertutto)

GINA - Se fa quel fracasso non riesco a riordinare le idee. Mi dia il tempo di ricordare, caro.

FRANCESCO - (rovistando) Non c’è tempo, non c’è tempo! (La porta di fondo viene aperta di colpo. Entrano Pironte e Luciana)

PIRONTE - (cadendo a sedere) L’ha fatto apposta! Porca, questa è intenzionale!

LUCIANA - (abbracciando Gina) Ciccina, fatti coraggio, stella!

PIRONTE - Mezzo miliardo! Dico mezzo miliardo andato in fumo…

GINA - (con un fil di voce, a Luciana) Di che parla?

LUCIANA - Ti preparo, sai? Ti preparo per benino. È un colpo duro, stella…

GINA - (c. s) Un altro? (Luciana annuisce)

PIRONTE - Apri il giornale: gli aerei si schiantano; ti dedichi al sano svago: ti imbatti nel sacco col morto dentro… Perdi gli amici, perdi gli affari… Porca, questo paese va a rotoli! (Alla vista di Francesco che, facendo uno sforzo immane, è rientrato nel soggiorno) Oh, eccolo… (Altro tono) Sempre qua dentro… (Altro tono) Ha saputo, eh? Beato lei che si nutre di cultura. A proposito, malgrado il colpo, strada facendo ne ho composto uno… (Si fruga nelle tasche) Dov’è… Dov’è… (A Luciana) Dov’è, matta?

LUCIANA - Che cosa, Giulio?

PIRONTE - Il coso… il sillogismo…

LUCIANA - L’hai dato a me.

PIRONTE - E leggi, allora, dai. Leggi il componimento.

LUCIANA - (leggendo un foglietto) “Se c’è un sacco zavorrato in fondo al mare, il Pironte sente puzzo di bruciato; se poi i carabinieri ci scoprono il morto, i Pironte ci aveva ragione”.

PIRONTE - (a Francesco) Com’è?

FRANCESCO - Schifoso.

PIRONTE - Ma per uno che non ne ha mai composti e incomincia adesso…

FRANCESCO - Non fa differenza: è schifoso! (Pironte vorrebbe replicare, ma lo sguardo gelido di Francesco lo fa desistere)

PIRONTE - (a Luciana, indicando Gina) È pronta? L’hai preparata?

LUCIANA - Dai, Giulio, un po’ di tempo…

PIRONTE - Tempo, tempo! Ne avete, voialtre, da buttare via… Dai, che parlo io. Signora Gina, scusi la brutalità, vero? Lei è stata colpita di nuovo…

GINA - (a Luciana) Di nuovo? Che dice? Di che parla?

LUCIANA - Non posso, ciccina… Non posso, senza prepararti…

PIRONTE - La preparo io. (A Gina) Il San Bernardo è niente. E con questo è detto tutto. (Furioso) Niente, il San Bernardo! Sfido, mezzo miliardo! Ecco perché non veniva agli appuntamenti…

FRANCESCO - (un po’ frastornato) Agli appuntamenti? Chi?

PIRONTE - E i carabinieri a insistere: è sicuro? È lui? A me se ero sicuro! Mezzo miliardo sfumato e non dovevo riconoscerlo!

FRANCESCO - Ma lei chi ha riconosciuto?

PIRONTE - Senta, professore, questa volta il sillogismo non l’accetto, eh? Questa volta l’abbiamo visto tutti: la Luciana, i carabinieri ed io! (Gina soffoca un singhiozzo nel fazzoletto)

FRANCESCO - (con la forza della disperazione) Bene! Adesso prevedo quello che lei, cittadino d’ordine, ha intenzione di fare. Interrogato dai carabinieri, dirà che il mattino della disgrazia si è precipitato qui e vi ha trovato me che le ho sbandierato un sillogismo sui fantasmi… (Pironte lo fissa stupefatto) Aggiungerà che io indossavo una giacca eguale a quella che portava la sera prima il defunto.

PIRONTE - (serissimo) Che ridere!

FRANCESCO - L’ultimo tocco, poi, sarà dedicato alla pipa e al fucile subacqueo.

PIRONTE - (c. s) Che ridere.

FRANCESCO - Lei dice “che ridere” perché si diverte davvero o perché intende farmi un complimento?

PIRONTE - Dico che ridere perché penso alla faccia dei carabinieri se sentono ‘ste balle.

FRANCESCO - Allora lei ha intenzione di raccontare tutto ai carabinieri…

PIRONTE - Ma cosa vuole che se ne freghino? Mica fumava la pipa, o aveva una giacca Carnaby, o praticava la pesca subacquea.

FRANCESCO - Chi?

PIRONTE - Come chi? (A Luciana) Gliel’hai detto? No! Beh, signora Gina, scusi la brutalità: nel sacco c’era il Plinio. (Un attimo di sospensione)

GINA - (portandosi una mano al cuore) No! Il Plinio no!! (Con voce stridula) Perché, come, quando, chi?

FRANCESCO - (frastornato) Il Plinio…

LUCIANA - (a Gina) Ciccina, soffro con te. Il Goffredo sul San Bernardo e il Plinio nel sacco. I tuoi due grandi amori spazzati via in un colpo solo. Piango con te, ciccina… (L’abbraccia e piange con lei)

FRANCESCO - (frastornato, toccando la spalla di Pironte) Scusi, chi è il Plinio?

LUCIANA - Giulio mio, giuro che di grandi amori ne avrò uno solo nella vita: te, stella. Vedi cosa può capitare ad averne due.

PIRONTE - Dai, matta; tu pensi al fumetto, mentre qui ci sono cinquecento milioni andati in fumo, altro che balle!

FRANCESCO - (c. s., toccando una spalla di Luciana) Scusi, chi è il Plinio?

LUCIANA - (a Gina) La tua vita è un romanzo, ciccina…

GINA - (con voce stridula) Perché, come, quando, chi?!

FRANCESCO - (a Pironte, furibondo) Chi è il Plinio, perdio?!

PIRONTE - Chi è il Plinio? Plinio Vincenzi, porca! Tre giorni fa, il mattino della disgrazia, appuntamento per la firma: il villaggio turistico in Spagna e l’autostrada jonica. Non viene. Penso che abbia trovato difficoltà con il socio… Duro quello lì, eh? Duro: voleva concludere con un altro… Aspetto un giorno, ne aspetto due, ne aspetto tre… Ed eccolo lì, il Plinio: in un sacco a pelo in fondo al mare. Bel modo di mandare a monte un affare. E chi firma, adesso, il socio? Duro come la roccia, quello lì.

FRANCESCO - Ma come, nel sacco non c’era l’architetto?

PIRONTE - Ohe, dico… (a Gina) Ma l’è matto, questo qui? Senta professore, cosa ha rotto a fare le tasche tre giorni fa con il sillogismo del fantasma e del San Bernardo? Nel sacco a pelo!… Puah! Era un sacco a una piazza sola! (A Gina) Scusi la celia…

FRANCESCO - (con un fil di voce) L’architetto… sul San Bernardo… e… il Vincenzi nel sacco… (Un tempo) In mutande…

PIRONTE - Cosa ha detto?

FRANCESCO - (Urlando) Ho detto che il Plinio era in mutande!

PIRONTE - (urlando a sua volta) In mutande o in marsina, il particolare è importante?

FRANCESCO - (c. s., insolente) Sì, perché? (Pironte cade a sedere scuotendo il capo, mentre Francesco porta lo sguardo sulla porta della camera da letto) In mutande…

PIRONTE - Senta, non so che cosa le passa dentro la testa, ma farebbe bene a mandare giù qualche cosa di forte. E anch’io, se c’è, io che ho preso la fregatura: il Goffredo alla vigilia della festa, il Plinio alla vigilia dell’accordo. L’hanno fatto apposta, porca! Tutti e due… (Sulla soglia compare Maranzana)

MARANZANA - Ahi, ahi, ahi! (Si volgono tutti a guardarlo. Francesco, su una poltrona, punta il mento sul petto) Veleno! (Un tempo) Ancor prima di procedere all’autopsia, il perito settore è stato in grado di stabilire la causa del decesso; liquido anticrittogamico. E, data la presenza della cucitura praticata dall’esterno del sacco, aggiungo io, si può escludere il suicidio. (Gina si contorce, singhiozzando) Signor Pironte, i carabinieri desiderano che lei firmi il verbale.

PIRONTE - (alzandosi) Pronto. Sempre pronto, il Pironte, a compiere il suo dovere di cittadino. Il Pironte compie i doveri, ricostruisce, rimpolpa le ossa dell’erario nazionale e si prende sistematicamente le fregature.

(A Luciana) Si va.

LUCIANA - (a Gina) Ciao, tesoro. Spero che non ti costringano al riconoscimento; ma se è proprio indispensabile, porterò i sali. (Esce assieme a Pironte e Maranzana. Gina smette di singhiozzare e lancia uno sguardo timido a Francesco, immobile nella poltrona)

GINA - Chi sa adesso cosa penserà di me…

FRANCESCO - (cupo) Il Vincenzi…

GINA - Prima o poi le avrei raccontato tutto, giuro. Mi crede? (Pausa) Francesco, un cenno di incredulità, da parte sua e mi uccido. (Tenera) Niente mi sta più a cuore della sua stima.

FRANCESCO - (cupo, fissando il pavimento) Dica, dica…

GINA - Tra il Vincenzi e me c’era… un’affettuosa amicizia…

FRANCESCO - (c. s) Si risparmi le spiegazioni. Un uomo in mutande nella camera di una signora si spiega da sé.

GINA - Non la prenda in questo modo… Posso spiegarle… (Logica) Ma scusi, l’uno o l’altro, per lei fa differenza?

FRANCESCO - Oggi si.

GINA - Non potevo dirle che su c’era il mio… si, insomma, il Plinio. Se una donna invece confessa di aver ucciso il marito trova maggior comprensione e più gente disposta ad aiutarla. (Un tempo) Non è stato un mio capriccio, sa, Francesco? Sono stata costretta a versargli il coso nel caffè.

FRANCESCO - Il suo povero Goffredo fumigante sulle Alpi Occidentali… (Perplesso) …o Centrali? E lei tra le braccia del Plinio! Sarà stata costretta dal rimorso, immagino.

GINA - No, dall’improvviso arrivo del Goffredo.

FRANCESCO - Eh, già, prima o poi il marito arriva d’im… (Realizzando) Costretta dal Goffredo? (Gina annuisce tristemente) Dal fantasma del Goffredo calato dalle montagne?

GINA - No, no. Per lei può costituire motivo di soddisfazione sapere che il suo sillogismo era giusto, oltre che bello. Gli avvenimenti, Francesco, si sono svolti fino a un certo punto esattamente come le ho raccontato: Goffredo perde l’aereo, prende il successivo, poi il treno a Milano, eccetera. Ero su con il Plinio, quando sento la sua voce. Mi precipito giù col cuore in gola, credendo di impazzire… Che fare? Come spiegare? Non so quale santo mi suggerisce l’idea di dirgli: “Sai, Goffredo, ho preparato la trappola al Vincenzi; so che ha accettato l’offerta del Pironte per l’affare che insegui da sei mesi. È su, in camera mia… Gli ho lasciato credere di essere disposta a… (lei mi capisce Francesco) …È su, alla tua mercè… Sorprendici e… Delitto d’onore!”

FRANCESCO - E il Goffredo?

GINA - (compiaciuta) Si è congratulato con me. Ha detto che ho il bernoccolo. (Un tempo) Mentre si cercava il modo mi sono ricordata della bottiglia presa in prestito…

FRANCESCO - Ed è nato il beveraggio.

GINA - Poi siamo stati presi dal panico… Non del carcere in sé, glielo giuro, ma delle conseguenze: lo scandalo, il crollo economico… Non personale, beninteso, che nelle banche svizzere abbiamo di che fare concorrenza all’Aga Khan, ma del triste avvenire cui sarebbero andate incontro le cinquecento famiglie che vivono del nostro pane… Di questi tempi non si può pensare a se stessi, Francesco, ma bisogna ragionare in termini sociali… È stato così che il Goffredo ha raggiunto Zurigo in attesa di tornare in vita grazie alla versione ufficiale, che sarà confermata dalla compagnia aerea.

FRANCESCO - Che cosa aspetta per tornare in vita?

GINA - Il colpo di scena.

FRANCESCO - Ah, è previsto un colpo di scena.

GINA - Certo: l’arresto del colpevole.

FRANCESCO - (sospirando) Capisco… (Si alza) Glielo dissi il primo giorno: la mia infelicità è dovuta in parte alla sfortuna. Le quattro ragazze Bartolucci; l’incontro con la vedova, pronuba la ferrovia, e adesso… il Plinio. (Si rimette il panama in testa) Il crollo del mito!

GINA - Dove va?

FRANCESCO - È scritto: finirò i miei giorni leggendo poesie alla vegliarda dirimpettaia.

GINA - Ma come, va via ora che ha tanto bisogno di me?

FRANCESCO - Io? (Un tempo) La prego, smetta di prendersi gioco di me!

GINA - Dico sul serio, caro. Lei ha tanto bisogno di me. (Francamente divertita) Sulla bottiglia vi sono le sue impronte, non ricorda? (Francesco la fissa)

FRANCESCO - Ci sono, sì, ma sappiamo bene perché.

GINA - Noi due, certo; ma i carabinieri? Che pasticcio! La storia, di per sé, è già così poco chiara. Le sembra che sarebbe utile complicarla con l’aggiunta dei perché e dei percome? Con le sue impronte, del resto, non berrebbero storie.

FRANCESCO - Signora, in obbedienza al primo impulso, dovrei risponderle duramente; ma il mio lento metabolismo e, lo confesso, una struggente tristezza, mi fanno essere mite e remissivo. Ci sono le mie impronte e le sue no, ecco la risposta pacata e logica, perché lei ha usato i guanti.

GINA - Così risponderebbe ai carabinieri?

FRANCESCO - Se messo alle strette, non avrei esitazioni. È questione di pelle, dopotutto.

GINA - I carabinieri le domanderebbero perché non li ha usati anche lei.

FRANCESCO - Giusto. (Un tempo) Il giardiniere potrebbe testimoniare.

GINA - È arteriosclerotico in testa.

FRANCESCO - Vero. (Un tempo) Insomma, i carabinieri sono in una botte di ferro.

GINA - Lo vede che ha tanto bisogno di me? (Prendendogli le mani) Francesco, tenero, tre giorni fa abbiamo raggiunto un accordo; non sarà difficile trovarne un altro, non le pare? Si metta a sedere. (Francesco siede meccanicamente. Gina gli toglie il panama, gli accarezza i capelli, si avvicina a un mobiletto, ne prende carta e matita e li porge a Francesco) Mi risolva un piccolo problema di aritmetica. (Con intonazione da maestrina, mentre Francesco l’ascolta inebetito) Dunque, problema: guadagnando quanto guadagna attualmente e risparmiando qualcosina ogni mese, quanto tempo le occorrerebbe per mettere insieme cinquanta milioni?

FRANCESCO - (subito, restituendole carta e matita) Centoventidue anni.

GINA - (birichina) Io invece le dico che, se vuole, ne può disporre subito. (Pausa)

FRANCESCO - (alzandosi) C’è un trucco. (Indicando la camera da letto) O un altro trasporto da effettuare?

GINA - (mostrandogli una busta) Ne può disporre subito. (Sotto gli occhi incuriositi di Francesco, Gina apre la busta, ne trae un foglio di carta, lo spiega e lo mette sotto lo sguardo del professore) Goffredo ha depositato presso questa banca di Zurigo lire italiane cinquanta milioni… a nome del professor Francesco Prandoni. (Ripiega il foglio e lo rimette nella busta)

FRANCESCO - (con voce tremula) Che dovrei fare?

GINA - Il colpo di scena, caro, che consenta a Goffredo di ritornare in vita. Vede, se si rifà vivo senza che il colpevole dell’uccisione del Plinio sia stato acciuffato, i sospetti cadranno immancabilmente su di lui. Tutti sanno dell’affettuosa amicizia che mi legava al Plinio… tutti tranne il Goffredo, naturalmente, ma nessuno sarà disposto a credere che lui non sapesse. Di conseguenza, mio marito aveva tutti i suoi bravi motivi per… Rivalità in amore, rivalità negli affari. Se invece il colpevole confessa…

FRANCESCO - (insorgendo) Ah, no! Gina… Signora, questo non glielo permetterò mai. Malgrado tutto… (Commuovendosi) Io per lei… io… (Un singhiozzo lo fa smettere)

GINA - Che cosa non mi vuol permettere?

FRANCESCO - Di dichiararsi colpevole e servirsi della mia testimonianza.

GINA - Dio, lei è di un simpatico quando tarda a capire! Non io, Francesco: sarà lei a confessare.

FRANCESCO - Io?!

GINA - Lei. (Mostrando la busta) In cambio di questi. (Francesco crolla a sedere) Cinquanta milioni, caro! (Timidina) Certo, lei vale molto, molto di più… almeno cento… Ma i tempi sono quelli che sono e abbiamo dovuto tenere conto del deprezzamento, che del resto lei stesso, tre giorni fa, ha ammesso. Ma sempre cinquanta milioni sono! (Con voce di sirena) Pensi che potrà finalmente affrancarsi dal lavoro servile, coltivarsi, dedicarsi al suo caro Pascolo.

FRANCESCO - Foscolo.

GINA - Al suo caro Foscolo. (Un tempo) Le ricordo le sue parole: “La nostra giustizia è clemente, il clima aiuta”. In verità trovo un po’ ottimistico il “dentro a Natale, Pasqua a casa”, ma tre, quattro anni fanno presto a passare.

FRANCESCO - (con un fil di voce) Tre, quattro…

GINA - Non di più, questo glielo garantisco. Un buon collegio di difesa, al quale provvederemo noi, riuscirà a strappare la seminfermità mentale. Chi non è seminfermo di mente, oggi, in Italia? (Minimizzando) Il carcere, poi! La riforma del sistema le consentirà di avere una cella tutta per sé, affacciata sugli ulivi e i fichi d’India, avrà la sua bibliotechina, potrà tenersi un gatto o un canarino, la radio… (Sognante) E sieste, Francesco, vita contemplativa, estasi! (Un tempo) Trascorsi poi in un soffio quei pochi annetti, alè, eccola fuori a godersi i suoi cinquanta milioni. Ci pensi, altro che nato sotto cattiva stella! Avrebbe mai immaginato, fino a tre giorni fa, di imbattersi in una fortuna simile? (Lunga pausa. Francesco è a capo chino)

FRANCESCO - (in un bisbiglio) Perché, perché, perché? (Piangendo) Ha fatto male a farmi questo discorso, signora. Doveva limitarsi a darmi la lettera di credito e ordinarmi: “Vada, si costituisca!”

GINA - Non sono stata carina nei suoi riguardi?

FRANCESCO - Troppo, signora…

GINA - Continui pure a chiamarmi Gina.

FRANCESCO - No. Signora, signora. Signora padrona!

GINA - Allora… ha intenzione di accettare?

FRANCESCO - (piangendo) Certo! (Le strappa la lettera di credito) Posso non accettare? Posso, io, dare un calcio a cinquanta milioni? Ma non doveva pormi la scelta: le impronte o la lettera di credito… Mi guardi, signora. Questo vestito, d’estate lo chiamo fresco di lana, d’inverno solo vestito di lana: è buono a tutti gli usi. A un uomo così, i padroni non fanno i bei discorsi, gli impartiscono degli ordini e basta! I padroni comandano. (Declama tristemente)

Sono i monarchi

arbitri della terra

di loro è il cielo.

(En passant) Metastasio… (Un tempo) Il cielo è vostro; quaggiù e lassù. (Un tempo) Siete anche voi in una botte di ferro! (Rimettendosi il panama in testa) Sono pronto per il colpo di scena.

GINA - (prendendogli le mani) Francesco, caro; grazie! (Lo bacia sulle guance) Non so dirle quanto il Goffredo ed io le siamo riconoscenti. Non l’abbandoneremo, glielo prometto.

FRANCESCO - (staccandosi da lei) Addio. (Si avvia verso la porta)

GINA - Francesco, non dimentica qualcosa? (Francesco la guarda con fare interrogativo) La bottiglia… Deve portarla ai carabinieri.

FRANCESCO - (spento) Già, che sbadato. Dov’è?

GINA - (indicando la scala) Sotto lo scalino sconnesso. (Francesco sale, sfila l’asse di legno, introduce la mano nella cavità e la ritrae tenendo la bottiglia tra le dita)

FRANCESCO - (fissando la scala) Il penultimo scalino… (Scende, raggiunge la soglia della porta d’ingresso, si volta, abbraccia con uno sguardo il regno perduto, mormora tristemente) Il penultimo scalino… (Se ne va, ingobbito. Gina attende qualche istante, poi compone due numeri al telefono)

GINA - Signorina, vorrei una comunicazione con Zurigo, prego…

SIPARIO