Il polemoscopio

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IL POLEMOSCOPIO

Tragicommedia in tre atti

di GIACOMO CASANOVA

PERSONAGGI

La Contessa

Il Conte, suo marito

La Marchesa, vedova

Il Conte di Gisors, ufficiale francese

Il Maresciallo di Richelieu, comandante in capo

Mirabeau, servo del Conte

Nanette, serva del Conte

La scena si svolge a Cremona, in un salone della casa della Contessa.

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

SCENA I

Il Conte e la Contessa

Sono seduti a un tavolino e stanno pren­dendo il caffè.

Il Conte                         - Questa guerra è assai poco diver­tente, ma quando sarà finita ci accorgeremo di non aver perduto nulla. Anzi, ci sarà più denaro in circolazione. In fatto di co­stumi, poi, avremo meno pregiudizi. Inoltre potremo dire di aver conosciuto i francesi. Vero, mia cara moglie, che sono affascinanti?

La Contessa                  - Deliziosi. Ma non bisogna pensare che siano tutti uguali. Il carattere è suppergiù sempre il medesimo, ma le sfu­mature sono infinite.

Il Conte                         - Certo, tu devi conoscerli bene. Non ce n'è uno che non ti faccia la corte. Qualche volta, quando ne vedo qualcuno che cerca di evitarmi, mi viene da ridere. Mi credono geloso, quei pazzerelloni.

La Contessa                  - Tu non lo sei proprio; e d'al­tra parte, avresti gran torto a esserlo, perché sono molto meno pericolosi di quanto non si pensi.

Il Conte                         - Verissimo. Ma mi sembra impos­sibile che fra tanti non ce ne sia neppure uno fatto per piacerti.

La Contessa                  - Hai ragione. Ne conosco uno.

Il Conte                         - È il maresciallo di Richelieu?

La Contessa                  - Oh! Neanche per idea! Parlo di giovani. Il signor Maresciallo non c'en­tra. È talmente conosciuto, che su di lui tutti dicono la stessa cosa: che in materia di galanteria è un professore, dal quale bi­sogna guardarsi come ci si guarda dai gio­catori di bussolotti coi quali non bisogna mettersi ad alcun gioco, o dai maestri di scherma, coi quali ognuno può rifiutare di battersi. Il duca di Richelieu è un uomo al quale nessuna conquista riesce difficile, tanto è preponderante la sua forza, e tanto poco scrupolo ha nell'adoperarla quando mette l'occhio sopra un oggetto che lo interessa. È un esperto, che ne sa una più del diavolo, e che in fondo in fondo per il nostro sesso non ha che del disprezzo. È un vero de­spota, che ogni donna di criterio deve teme­re, perché ha l'arte di stordire a forza di cortesia. Si direbbe che ostenti la sicurezza del successo; e nello stesso tempo ha l'aria di chi non pretende nulla. Pare che questo sistema in Francia sia in grande onore, e per me ci credo. Che il cielo, mio caro ami­co, ci aiuti a tenerlo lontano, perché diver­tendoci ci insulta. E noi ridiamo per non sembrare sciocche.

Il Conte                         - Qual è dunque quello che ti sem­bra degno d'attenzione, e addirittura delizio­so, per servirmi delle tue parole.

La Contessa                  - È il conte di Gisors.

 

Il Conte                         - Il figlio del maresciallo di Belle-Isle?

La Contessa                  - Proprio lui. Non recita una parte: è quello che appare. E non mi sono mai accorta che cerchi di evitarti o che tema di dar nell'occhio. Per me ha un rispetto così naturale, che nessuno potrebbe scam­biarlo per timidezza. Le sue premure non hanno mai carattere amoroso. Si direbbe che le sue attenzioni non gli costino nulla. Non cerca di farsi notare; i suoi discorsi non sono mai equivoci e non hanno mai un doppio senso. Contegnoso, misurato, piacevole, poco portato al ridere, e quelle poche volte sempre a proposito; capace invece di far ridere gli altri e senza ombra di maldicenza. Non l'ho mai sentito parlare di se stesso, neppure per darsi un minimo d'importanza, né di cose che lo riguardino troppo da vicino.

Il Conte                         - E oltre a tutto questo, è anche un bel Giovane.  

La Contessa                  - È vero.

Il Conte                         - Credo, mia cara amica - e sia detto tra di noi - che quest'uomo potrebbe farti cascare.

La Contessa                  - Lo credo anch'io. Ma solo se fosse alloggiato presso di noi, e se, inna­morandosi di me, fosse così abile da farmelo capire senza parole; cosa impossibile per chi, come lui, è solo di passaggio in questa città.

Il Conte                         - Ma intanto corteggia te più di ogni altra signora della città.

La Contessa                  - Assiduamente, anche. Ma in modo diverso dal solito, perché si direbbe che tutto quello che fa non sia dovuto che al caso, tanto che sono quasi tentata di cre­dergli.

Il Conte                         - Sei molto modesta, mia cara mo­glie; ma ieri, per esempio, all'uscita del tea­tro, quando la tua carrozza tardava ad arri­vare, che la sua fosse lì pronta, tanto che tu non hai potuto rifiutarti di approfittarne, mi è parso qualche cosa di molto ben stu­diato. Devi convenirne...

La Contessa                  - Eppure, mio caro amico, scommetterei che fu un caso. Comunque sia, devi ammettere, a tua volta, che quell'atten­zione fu tanto ingegnosa quanto delicata, perché essendo in compagnia del Maresciallo sapeva di non potersi allontanare da lui. Se non avesse avuto la cortesia di offrirmi la sua carrozza, avrei dovuto accettare quella del Maresciallo, oppure quella del cavaliere di Talvis, che è talmente noioso e che mi capita continuamente tra i piedi.

Il Conte                         - Mi pare che il signor di Talvis si stia scaldando malamente. Non mi fa neppure l'onore di credermi geloso! O forse immagina, con questo espediente, di bloccare qualche mia reazione: a tavola, alle riunio­ni serali, dovunque, ha sempre gli occhi su di me.

La Contessa                  - Ma lo sai che quel pazzo mi fa una dichiarazione dopo l'altra? E sicco­me gli rido in faccia, fa il disperato. Ieri, alla commedia, dal principio alla fine sono stata il punto fisso di osservazione del suo occhialetto. Avrei potuto cambiar posto, ma ho preferito far finta di non notare la sua insolenza.

Il Conte                         - È quel che fa ogni giorno! Gi­sors, invece, col suo occhialetto non sbircia che la marchesa. E pensare che si tratta di una vedova alla quale potrebbe far la corte apertamente.

La Contessa                  - È strano: non le va per casa, e durante le riunioni non ha mai delle spe­ciali attenzioni per lei.

Il Conte                         - Ma cosa c'è di strano? Si tratta di un giovane innamorato e timido che di­vora in silenzio la sua fiamma.

La Contessa                  - Non sono d'accordo: la timi­dezza e il rispetto sono due cose insepara­bili e... ma ecco che arriva Talvis.

SCENA II

La Contessa, il Conte e Talvis

La Contessa                  - Vedo, bel cavaliere, che inal­berate un'acconciatura alla « re degli uccelli ». Avete forse mal di denti, stasera? Spero di no.

Talvis                            - Chi può avervi fatto sapere, bellis­sima contessa, che soffro di mal di denti?

Il Conte                         - Tutti! E poi, non me l'avete det­to voi?

Talvis                            - È vero. Ora mi viene in mente. Ma non pensavo che la cosa vi potesse interes­sare.

Il Conte                         - Vi siete sbagliato. Un'ospite com­pita deve sempre interessarsi della salute dei suoi alloggiati.

La Contessa                  - Ho notato perfino il momen­to preciso della vostra partenza.

Il Conte                         - Guardate un po'! Ma ora debbo lasciarvi, perché sono aspettato. Spero, si­gnor cavaliere, di vedervi alla commedia. Intanto tenete buona compagnia alla mia mogliettina.

SCENA III

La Contessa e Talvis

Talvis                            - Non è stato il mal di denti, signora, che mi ha indotto ad abbandonare la com­pagnia, ma la disperazione.

La Contessa                  - E cosa mai poteva portarvi alla disperazione?

Talvis                            - Voi, signora. Il vostro modo di fa­re; orribile, inaudito.

La Contessa                  - Signore, voi sorprendete, per che non ho mai pensato di mancarvi in qualche cosa.

Talvis                            - In fatto di umanità, mi avete man­cato. Perché incoraggiate Gisors a trattenersi presso di voi, sapendo che vi adoro e quin­di soffro le pene dell'inferno?

La Contessa                  - Non potevo proprio imma­ginare nulla di tutto ciò. E permettete, poi, che mi stupisca di sentirvi sempre parlare in questi termini. Fino ad ora ho cercato di credere che si trattasse di uno scherzo. Ah! davvero, non doveva essere altro che uno scherzo. Tenetevi per detto comunque, signore, che non voglio saperne un bel nulla delle vostre pene d'inferno, che non mi cre­do fatta che per venir rispettata e che non voglio per niente essere adorata da voi. In quanto alle mie maniere, vi consiglio di pren­derle a modello, come fa il vostro amico Gisors.

Talvis                            - Sì, signora, perché allora forse mi amerete un po' di più. Ma non imiterò Gi­sors. Non sapete che è segretamente inna­morato della marchesa? E che non le si di­chiara altrimenti che sbirciandola con l'occhialetto? Che volete! Il mio povero amico Gisors è alquanto tonto.

La Contessa                  - Non lo credo per nulla un tonto. Ma se è innamorato della marche­sa, sappiate che non ne sono minimamente gelosa; e che la marchesa mia amica ha meno da dolersi del suo silenzio di quanto abbia a lagnarmi io della vostra indiscreta petulanza. Vi dirò, inoltre, che se è vero che amo Gisors, non sta che a voi di farvi egual­mente amare. Purché ne siate capace. Arri­vederci, signore. E per l'avvenire cercate di regolarvi meglio, se volete render piacevole la vostra compagnia.

SCENA IV

Talvis, poi la Marchesa

Talvis                            - Ah, che io mi regoli meglio! Ecco una richiesta di vero sapore italiano. Vuole dei damerini, la signora. Dei cicisbei. Ma a questa parte non mi adatterò mai. È certo che ama Gisors, benché non possa ignorare che lui è innamorato della marchesa; ma mi sembra che Gisors, dal momento che fa solo finta di amare questa benedetta contessa, do­vrebbe lasciarmi via libera. Basta, ma pre­vedo che mi toccherà arrivare a una spiega­zione perché voglio arrivare a questa donna o morire... Non sarà mai detto che... Ma ecco la marchesa.

La Marchesa                 - Ah! Signore, siete qui? E solo! Io torno ora da una visita alla mia cara amica.

Talvis                            - La vostra cara amica, signora, è ap­pena entrata nel suo appartamento, infuria­ta con me perché non voglio sopportare un rivale. Voi sapete quanto la ami.

La Marchesa                 - Non lo so proprio, ma se me lo dite voi... Ma ditemi, per piacere, chi è codesto rivale?

Talvis                            - Gisors.

La Marchesa                 - Gisors! Ah! Ah! Mi fate ri­dere. Se è costui il vostro unico rivale, vi faccio i miei complimenti, perché la con­tessa non ci pensa neppure lontanamente a Gisors.

Talvis                            - Come non ci pensa, se dimostra ad ogni occasione e tutti i momenti di prefe­rirlo a me?

La Marchesa                 - Non vuol dir nulla. Lo so, e lo vedo anch'io, che le fa la corte. Ma è solo per ingannare quelli che lo osservano e per suscitare l'invidia di colei che egli ama davvero.

Talvis                            - Si dice, signora, che sareste voi quella che ama davvero.

La Marchesa                 - Ah, si dice questo? Mi fa molto piacere. Ma Gisors dev'essere incretinito, perché si dichiara solo attraverso l'uso del suo occhialetto.

Talvis                            - Siete dunque persuasa che Gisors è innamorato di voi?

La Marchesa                 - Perché? Avete forse dei dubbi?

Talvis                            - Qualcuno. Ma vi assicuro che andrò al fondo di questa storia.

La Marchesa                 - Sì, sì. E ditegli pure che in­vece di limitarsi a sbirciare con l'occhialetto, può venire a casa mia. Se saprà comportarsi, non sarà certo mal ricevuto e neppure tiran­neggiato. In quanto a voi, vi consiglio di mo­derarvi, e vedrete che la contessa vi farà felice, perché ha un cuore eccellente.

Talvis                            - I vostri consigli mi sono molto cari, signora. Ma vi supplico di farle intendere ragione, perché in fede mia non resisto più: sono alla disperazione.

SCENA V

La Marchesa, poi la Contessa

La Marchesa                 - Che tipi questi francesi! Ama­bili, galanti, ma così esigenti! Poi, con certi  modi... Ti fanno capire chiaramente che... è un loro diritto. È solo Gisors, che pure vale più degli altri, ad avere dei dubbi sul suo fascino. Che peccato! Non sembra neppure un francese. Ma eccoti qua, mia cara amica.

La Contessa                  - Ti ho vista entrare, carissima, ma c'era quell'impertinente, e...

La Marchesa                 - Zitta! Mi ha detto tutto! È disperato. Si è raccomandato a me. Che pazzo! Pensa: è convinto che tu gli prefe­risca Gisors.

La Contessa                  - Veramente non si sbaglia. Ma non ha alcun motivo per esserne geloso. E soprattutto fa molto male a far capire che ha delle pretese su di me. Non si rende conto che è un insulto?

La Marchesa                 - Ma è mai possibile che tu ami Gisors?

La Contessa                  - Che c'è da meravigliarsi! Si può forse fare a meno di amarlo?

La Marchesa                 - Siamo d'accordo: benché mi sembri una cosa sgradevole amare chi ama un'altra persona.

La Contessa                  - Ti assicuro che non mi da­rebbe alcun fastidio, perché l'amore che sento per lui è solo una bella amicizia che non può dar luogo a gelosia.

La Marchesa                 - Dunque non ti spiace sapere che Gisors mi ama?

La Contessa                  - Tanto meglio se ti ama. Spero che questo non gli impedisca di avere per me un'amicizia che mi lusinga infinitamente e della quale d'altra parte sono sicura, tante sono le attenzioni che ha per me.

La Marchesa                 - È vero. Ma sapendo, come sa, che tu sei la mia migliore amica, le sue attenzioni potrebbero avere uno scopo di­verso da quello che tu immagini. Ascolta, mia cara: sono venuta qui per dirti che Gisors non mi dispiace per nulla, e che se tu saprai trovare un'occasione propizia per condurlo a casa mia, mi farai un gran pia­cere. Se è vero che non senti per lui che dell'amicizia, la mia richiesta non può riuscirti minimamente penosa.

La Contessa                  - Minimamente, mia cara amica. E prometto di renderti questo servizio ma­gari domani stesso. Ma sei ben certa che Gisors sospira per te?

La Marchesa                 - Nessuno ne dubita. Tutti mi danno la baia per questo. Perfino mio fra­tello si burla di me. Mi dice che faccio la difficile, e che dev'essere per qualche mia rustichezza che Gisors non viene nella mia casa come nelle vostre.

La Contessa                  - Certo, la cosa è incomprensi­bile, dato il suo carattere. Ma se tu lo reputi innamorato di te per il solo fatto che ti guarda con l'occhialetto... Che so? La prova mi sembra molto debole.

La Marchesa                 - Debole? E perché mai mi guarda tanto, allora?

La Contessa                  - Che ti posso dire! Per distra­zione, per curiosità, per qualche altra ragione non facile da capire. Poi, potrebbe an­che darsi che si tratti di un errore, che non sia proprio tu quella che guarda.

La Marchesa                 - Ah, così? Ora capisco! Amica mia, tu sei innamorata di lui. Ne sono certa. Ti leggo nell'anima!

La Contessa                  - Innamorata, io? Dio me ne guardi. Credi dunque che sia impazzita? Vorrà dire che per convincerti che non ne sono gelosa, arriverò a parlargli in tuo favore.

 SCENA VI

Mirabeau, la Contessa, la Marchesa, poi Gisors

Mirabeau                       -  Signora, il conte di Gisors chiede di vedervi, se consentite.

La Contessa                  - Aspettate. (Alla Marchesa) Lo faccio passare?

La Marchesa                 - Perché no? Anzi, mi fa piacere.

La Contessa                  - Ditegli di entrare. Gisors. Scusi, signora, ma non vorrei...

La Contessa                  - Niente affatto, signore. Mi fa sempre piacere vedervi, e particolarmente in questo momento. Perché stavo parlando pro­prio di voi. La marchesa è felice di co­noscervi.

Gisors                            -  Oh, ne sono lusingatissimo. Ma è da quando sono a Cremona, che ho l'onore di essere conosciuto dalla signora. O forse che la signora, per mia disgrazia, mi abbia dimenticato?

La Marchesa                 - Al contrario, signore. Non siete certamente persona che si possa dimen­ticare. Direi piuttosto che voi non vi fidate abbastanza delle vostre qualità. Non so se mi sono spiegata bene, quando, in casa del signor di Richelieu, vi ho detto che avreste molto onorato la mia casa venendovi tutte le volte che vi sarebbe piaciuto...

Gisors                            -  Sarei molto biasimevole, signora, se non avessi tenuto la vostra offerta nel conto che meritava. Vi supplico soltanto di credere che se non sono venuto a casa vostra a pre­sentarvi i miei omaggi è stato solo per ti­more d'importunarvi.

La Marchesa                 - Codesti vostri timori, signore, sono i nemici dichiarati di tutte le signore che vi conoscono in questa città. Ma... mia cara amica, è tempo che me ne vada. Si­gnore, potrei chiedervi un piacere? Ah! Ah! Ah!

Gisors                            -  Ai vostri ordini, signora.

La Marchesa                 - Volete avere la cortesia di prestarmi il vostro occhialetto? Ah! Ah! Ah!

Gisors                            - (togliendosi premurosamente di tasca l'occhialetto). Eccolo, signora.

La Marchesa                 - (prendendolo e facendogli una profonda reverenza). Ve lo restituirò domani se vorrete avere la compiacenza di passare a prenderlo da me. Ah! Ah! Ah! Addio, mia cara amica.

SCENA VII

La Contessa e Gisors

La Contessa                  - È proprio il caso di farvi i più gran complimenti. Avete ricevuto una di­chiarazione formale e vi è stato dato, con grande abilità, un appuntamento al quale non potrete mancare. Che ne pensate ora delle signore italiane?

Gisors                            -  In verità, una così raffinata cortesia non manca di sorprendermi.

La Contessa                  - Oh! Direi che si è trattato di qualche cosa di più di ciò che si chiama cortesia.

Gisors                            -  Vi chiedo scusa, ma non mi sento di dare troppa importanza a un segno di stima, né saprei chiamare appuntamento l'or­dine di andare a riprendere il mio occhia­letto senza neppure che mi sia stata indicata l'ora. Probabilmente la marchesa ha voluto soltanto incoraggiarmi.

La Contessa                  - Ammettete allora che il co­raggio vi fa difetto.

Gisors                            -  La mia professione, signora, m'im­pedisce questa ammissione. Ma posso dirvi che vi è un genere di coraggio che in verità mi manca, e che non mi preoccupo di avere, perché mi sembra presunzione o temerità. Ho il dovere di non essere temerario, e mi cono­sco abbastanza per non essere presuntuoso. Sarebbe quindi ingiusto accusarmi d'essere fatuo o troppo timido.

La Contessa                  - La marchesa, come avete vi­sto, pur senza attribuirvi il primo di codesti difetti, ha cercato di correggervi del secondo. Sono certa che domani andrete a riprendervi il vostro occhialetto.

Gisors                            -  Rimanderò forse la cosa a un altro giorno. A meno che la marchesa non mi or­dini di andare proprio domani a casa sua.

La Contessa                  - Eccovi felice!

Gisors                            -  Lo credete proprio?

La Contessa                  - C'è da dubitarne? Amate e siete certo d'essere riamato: penso che non potreste pretendere né desiderare di più.

Gisors                            -  Ammettiamo pure che io sia amato. In fondo, potrebbe essere vero. Ma come potete essere certa che io ami la marchesa?

La Contessa                  - È evidente! Un'evidenza non di primo grado, ma molto sospetta. Permet­tetemi di parlarvi chiaramente, con candore: nessuno potrebbe credere che un uomo come voi, che si distingue non solo per il suo spirito ma anche per altri meriti, tutti i giorni in cui si danno delle commedie passi delle ore in un palco, solo, con l'occhialetto puntato verso un unico oggetto, sempre il medesimo, se non fosse innamorato di quel­l'oggetto, che tutti hanno benissimo in­dividuato.

Gisors                            -  Quello che voi dite ha l'apparenza della verità, ma tuttavia chi pensa questo si sbaglia.

La Contessa                  - Vorreste forse dire che ci si sbaglia nelle conclusioni, dal momento che voi non riconoscete di essere innamorato.

Gisors                            -  Scusatemi tanto, ma io ammetto di essere innamorato!

La Contessa                  - E perché dite allora che c'è errore? È un enigma.

Gisors                            -  In effetti la faccenda è un po' enigmatica.

La Contessa                  - Non lo sarà più domani, e me ne complimento con voi. Sono perfino compiaciuta di aver contribuito un poco a questa bella soluzione.

Gisors                            -  Domani, signora, sarà come ieri e come oggi.

La Contessa                  - Comunque, sarà sempre qual­che cosa, uscire dall'incertezza. Poi, non sa­rete più condannato all'occhialetto.

Gisors                            -  Vorrà dire che me ne asterrò, in avvenire, non fosse altro che per far cessare le chiacchiere. Ma non per questo sarò più felice.

La Contessa                  - Non vi basta che i vostri ar­dori siano conosciuti? E accettati? A che altro aspirate dunque?

Gisors                            -  Se i miei ardori, signora, fossero co­nosciuti e condivisi dall'oggetto che amo, non domanderei al cielo felicità più grande. Ma la mia passione sarà ignorata domani come oggi e come lo sarà fino al mio ultimo re­spiro, perché la persona che amo giudiche­rebbe colpevole il mio ardore, ed io non devo, scoprendoglielo, rischiare di perdere la sua stima e quindi i sentimenti d'amicizia che credo di averle ispirato.

La Contessa                  - Il vostro amore non potreb­be mai sembrar colpevole alla marchesa, dal momento che voi siete scapolo e lei vedova. Non riesco a capire le vostre intenzioni e il vostro modo di pensare.

Gisors                            -  Invece la mia infelicità viene pro­prio dal mio modo di pensare, troppo one­sto. E dalla purezza delle mie intenzioni. Addio, signora.

La Contessa                  - (tra sé, accompagnandolo con Io sguardo fino al corridoio). Addio, oraco­lo! Tutto ciò che rivela è inspiegabile, per­ché so benissimo che non gli manca né la vivezza della mente né la probità dell'animo. Malgrado ciò che dice il suo occhialetto, deb­bo persuadermi che non ama

La Marchesa                 - E chi amerà dunque?

ATTO SECONDO

SCENA I

La Contessa e la Marchesa

La Contessa                  - (ricevendo dalle mani della marchesa lo stesso occhialetto che costei aveva ricevuto da Gisors). Mia cara amica, non voglio scoprire le ragioni della tua col­lera, ma è certo che tu vuoi fare di me lo strumento di un capriccio bello e buono. Che debba essere io a restituirgli l'occhia­letto, mi sembra una scorrettezza.

La Marchesa                 - La scorrettezza semmai va attribuita interamente a

Gisors                            -  Stai tran­quilla che il mio non è un capriccio, ma un passo ben meditato, conseguente a un ragio­namento logico. Se mi sei amica, devi scri­vere immediatamente a Gisors di venire a casa tua, dove gli dirai chiaro e netto di non presentarsi alla mia porta, perché gli verrebbe detto che non ci sono. Avrei potuto dare direttamente quest'ordine, senza dirti nulla, ma temevo di mancare a un riguardo, perché è stato qui che l'ho invitato a casa mia, e con una premura della quale non posso che pentirmi.

La Contessa                  - Ma che diavolo può aver combinato tra ieri e oggi, perché tu ti senta autorizzata a fargli un affronto simile? Ho notato che non è mai uscito dal suo alloggio; e dopo la commedia nessuno l'ha veduto in casa del Maresciallo, dove invece ho visto te così di cattivo umore. Si è forse detto qualche cosa di poco favorevole sul suo con­to durante la serata? Magari si tratta di cose non vere. Ti ho sempre conosciuta per un carattere un po' impetuoso... Credi a me: calmati, ricevilo in casa, digli le tue ragioni e mettilo in grado di giustificarsi, se può. Solo così potrai avere il piacere di vederlo smentito e confuso. E poi, restituiscigli tu questo occhialetto.

La Marchesa                 - Sappi, mia cara, che l'affare è di un genere tale che quell'indegno potrebbe giustificarsi troppo facilmente. E sa­rebbe un'ingenuità, da parte mia, perché servirebbe soltanto ad umiliarmi ancora di più. Ho bisogno che nessuno venga a sa­pere le paroline che gli ho detto ieri, perché tutti mi prenderebbero in giro.

La Contessa                  - Ma quando gli dirò che tu non vuoi più vederlo, cosa gli risponderò se me ne domanderà la ragione?

La Marchesa                 - Non te la domanderà, per­ché temerà che tu la sappia, e che sapen­dola tu gli faccia i rimproveri che merita. Comunque, se te la domandasse, potrai dirgli che e un cattivo soggetto, e che te l'ho detto io. Soprattutto, rendigli l'occhialetto.

La Contessa                  - Gli scrivo subito un biglietto. (Si mette a scrivere sullo stesso tavolo dove ha posato l'occhialetto).

SCENA II

II Conte, la Marchesa e la Contessa (che scrive)

Il Conte                         - A che debbo dunque, mia bella signora, l'onore di una vostra visita così di buon'ora?

La Marchesa                 - Non ho segreti per voi. Sono venuta a pregare vostra moglie di volermi evitare la visita di un uomo che non voglio più vedere.

Il Conte                         - E chi è mai l'infelice, il disgra­ziato, che dovrà ricevere dalla mia cara moglie questa cattiva notizia?

La Marchesa                 - L'adorabile

Gisors                            -  

Il Conte                         - Veramente adorabile! Ma che può avervi fatto? Mia moglie mi ha detto che ieri siete stata tanto affabile con lui.

La Marchesa                 - È uno scaltro, che deve avere un animo molto volgare. E se mi dolgo di lui ho le mie buone ragioni.

Il Conte                         - Può darsi. Ma, cara marchesa, consentitemi d'essere sorpreso, perché Gisors mi sembra un modello di correttezza.

La Contessa                  - Ecco un biglietto molto laco­nico e scritto in francese. Tieni (al Conte), e dimmi se va bene.

Il Conte                         - (leggendo il biglietto). « Vi prego, signor conte, di non compiere oggi alcuna visita prima d'essere passato da casa mia. Ho qualche cosa di molto importante da dirvi ». Magnifico! Chiudilo e Mirabeau glielo porterà subito. Ma cosa dirai al conte quan­do verrà qui?

La Contessa                  - (chiudendo e sigillando il bi­glietto). Mirabeau!

Mirabeau                       -  Signora?

La Contessa                  - (consegnandogli il biglietto). Andate di corsa a recapitare questo biglietto al suo destinatario. Ma consegnatelo nelle sue mani. D'accordo? (Al Conte) Cosa gli dirò? Ma quello che mi ha ordinato lei di dirgli! Di guardarsi bene dal presentarsi alla sua porta; perché non sarà fatto passare. Non ho potuto rifiutarle questo piacere; per­ché lei l'ha invitato ieri a casa sua; e insi­stentemente, proprio qui in mia presenza.

Il Conte                         - Come mai così volubile, bellezza mia?

La Marchesa                 - Perché il vostro correttissimo Gisors è un cattivo soggetto. Un'anima ne­ra. Addio! Vado a vestirmi per il pranzo in casa del Maresciallo. Non dimenticare di restituirgli l'occhialetto almeno... Maledetto occhialetto; maledetto mille volte!...

SCENA III

La Contessa e il Conte

Il Conte                         - Ce l'ha con l'occhialetto. Ma che diavolo può averle fatto questo povero stru­mento? (Lo prende dal tavolo) È un mistero impenetrabile!

La Contessa                  -  Impenetrabile come molti al­tri. Tu la conosci la marchesa: leggera, in­costante, impulsiva... Ma cosa trovi di stra­no in quell'oggetto? Non è un occhialetto come tanti altri?

Il Conte                         - Lo sto esaminando per scoprire che cosa può avergli attirato la maledizione della marchesa.

La Contessa                  - La ragione della maledizione sta nel fatto che fu a causa di questo occhialetto che lei si illuse di essere amata da

Gisors                            -

Il Conte                         - Lo so. Ma perché l'ha capito solo ora?

La Contessa                  - Lei non vuole dirlo. Ma lo saprò da Gisors, che me lo dirà certamente.

Il Conte                         - Sono proprio curioso di saperlo anch'io, perché nulla mi diverte più di que­ste sciocchezze. (Guarda più volte con l'oc­chialetto a destra e a sinistra). Perbacco! Ma questo occhialetto è proprio da maledire! È diabolico!

La Contessa                  - Che cosa ha dunque di straor­dinario?

Il Conte                         - Ha la proprietà di far vedere ciò che non si vorrebbe.

La Contessa                  - Come sarebbe a dire, ciò che non si vorrebbe vedere? Dammi! (Prende dalle mani del marito l'occhialetto e guarda da una parte e dall'altra) È stranissimo! Hai ragione! È composto in modo che invece di mostrare l'oggetto verso il quale è puntato, ne fa vedere un altro, a destra o a sinistra. Ah! Ah! Ah! Che invenzione! Ma non credo che l'abbiano inventato solo per questo! Però, come è risultato utile in questo caso!

Il Conte                         - Ah, certo, un affare simile è in­dispensabile ad uno scaltro corteggiatore che non vuole far sapere quale è la dama che gli interessa. Ma può diventare una trappola! Ah! Ah! Ah! Che ridere! La povera marchesa è caduta in trappola! Ma è pazza ad afflig­gersi per questo!

La Contessa                  - Sì, sì. La cosa è da ridere, ma lo scherzo è stato crudele, se Gisors l'ha studiato proprio per lei. È uno scherzo di cattivo genere: un vero scherzo da prete! Oh, povera marchesa! Adesso la capisco.

Il Conte                         - Anch'io, almeno un pochino. Ma trovo che fa male a prendersela e a farne una tragedia. È un'astuzia di guerra. E poi, direi che Gisors non è capace d'una simile malvagità, perché questo è un po' più di uno scherzo, e la marchesa non gli ha mai dato una confidenza tale da permettergli un tiro di questo genere. In fondo, è una gran buona donna. Ma io scommetto che Gisors non lo sa d'aver indotto in errore proprio lei.

La Contessa                  - Forse lo sapeva e non gliene importava. Sono curiosa di vedere come la prenderà e come riuscirà a scusarsi.

Il Conte                         - Me lo farai sapere dopo, angelo mio, perché ora debbo andare. Ho qualche cosa da sbrigare. A presto, dunque.

SCENA IV

La Contessa, poi Gisors

La Contessa                  - È chiaro: la marchesa è ca­duta nel tranello solo per caso, e in quanto veniva a trovarsi là dove sembrava puntato l'occhialetto di

Gisors                            -  Ma dove era puntato in realtà? Ecco il mistero! Chi lo interessava veramente? E a quale fine? Forse non è pos­sibile arrivarci... Ma eccolo.

Gisors                            -  Stavo già uscendo di casa, signora, quando per fortuna mi è stato portato il vostro biglietto. Un momento dopo nessuno avrebbe saputo dove scovarmi. Di quali or­dini volete dunque onorarmi? Nulla potrebbe premermi di più che l'obbedirvi.

La Contessa                  - La stessa marchesa, signore, che ieri vi aveva invitato con tanta insistenza ad onorare la sua casa con la vostra presenza, è venuta da me stamattina per disdirsi. Ha stabilito, la marchesa, che l'amicizia che ho per lei doveva combinarsi con quella che ho per voi, in modo da farvi sapere che oggi pensa il contrario di quello che pensava ieri. Infatti mi ha dato ordine di avvertirvi che non vi potrebbe mai capitare di trovarla in casa. Sono mortificata, vedendomi forzata a questa odiosa commissione, e doppiamente mortificata per la pena che un così crudele annuncio vi può procurare.

Gisors                            -  Indubbiamente, signora, è un ordine mortificante quello che mi comunicate. Ma quando penso che mi evitate in questo modo l'affronto che mi sarebbe toccato alla porta della marchesa, debbo ringraziarvi. Sono tut­tavia alquanto sorpreso d'un simile modo di procedere, da parte di una signora alla quale sono sicuro di non avere mai mancato in nulla.

La Contessa                  - No? Dite davvero? Non avete nulla da rimproverarvi? A proposito: mi ha incaricato di restituirvi l'occhialetto. Eccolo.

Gisors                            - (prendendolo). Sì, ricordo che ieri aveva detto di volermelo restituire oggi. Ma è una cosa di nessun valore. Posso dirvi che sono più felice di riaverlo dalle vostre belle mani che dalle sue?

La Contessa                  - Non ho difficoltà a crederlo, perché ricevendolo dalle sue vi sareste tro­vato in obbligo di giustificarvi... e non so proprio come ve la sareste cavata.

Gisors                            -  Ahimè, signora! Di che cosa mai avrei dovuto giustificarmi? Vi domando, di grazia, di farmi sapere qual è la colpa che mi si può attribuire.

La Contessa                  - Ah, la ignorate la vostra colpa! Potete dunque negare che non era la mar­chesa che sbirciavate in teatro, sebbene tutti lo credessero?

Gisors                            -  Ammetto che il mio occhialetto, es­sendo un polemoscopio, può facilmente trarre in inganno. E ammetto anche che non guardavo

La Marchesa                 - Ma la marchesa non ha ragione d'offendersene, perché in fede mia non sapevo di indurre in errore pro­prio lei. D'altronde mi sarebbe stato im­possibile vedere colei che mi interessava senza tenere l'occhialetto puntato in quella direzione. Sono spiacentissimo che la si­gnora si trovasse giusto giusto sulla traiet­toria apparente del mio strumento, e che ora si creda in diritto di lagnarsi. È questo il mio delitto e me ne spiace moltissimo, ma debbo dichiararmene innocente perché il mio errore fu involontario. Qualunque al­tra dama si fosse trovata al posto della marchesa, avrebbe potuto credersi guardata e quindi offesa, dopo aver esaminato il mio occhialetto; benché non sia difficile cono­scerne il meccanismo. È talmente noto, che a Parigi nessuno si sentirebbe, in un caso simile, di affermare che il guardato è questo piuttosto che quello. Sono veramente dispiaciuto per quanto è capitato. E vi assicuro che oggi stesso farò in mille pezzi il mio polemoscopio.

La Contessa                  - Voi dunque non sapevate che la dama situata nella direzione giusta del vostro strumento era la marchesa?

Gisors                            -  Se l'avessi pensato, vi giuro che avrei preso un altro palco.

La Contessa                  - Senza bisogno di cambiare palco, avreste potuto fare a meno di guar­dare con l'occhialetto. Oppure potevate ser­virvi di un occhialetto normale e guardare lealmente la dama che vi interessava.

Gisors                            -  Non direi, signora, che mi toccasse procedere in tal modo.

La Contessa                  - Ma dove guardavate, dunque, se è permesso saperlo!

Gisors                            -  Vi chiedo scusa: è un segreto che non può avere altro depositario del mio occhialetto.

La Contessa                  - Alla buon'ora! Ma dal mo­mento che ieri l'avete lasciato uscire dalle vostre mani, dovete rendervi conto che può aver rivelato il vostro segreto, perché la marchesa potrebbe aver calcolato le distanze e l'angolo di rifrazione in modo da venir a sapere con certezza dove guardavate. Quin­di, se lo sa lei, non potete dire che sono troppo curiosa se desidero saperlo anch'io.

Gisors                            -  Non è facile come sembra, signora, perché la certezza sulla persona guardata dipende dalla distanza di chi guarda. Per­ciò chi vuol scoprire il mio segreto, do­vrebbe non solo andarsi a mettere nel palco al mio posto, ma sapere se guardavo a de­stra o a sinistra. Vedete dunque che la marchesa non può esser certa di nulla e che per conseguenza rimango padrone del mio segreto.

La Contessa                  - Forse vi sbagliate. Ma fa­temi dunque, per piacere, osservare questa singolare macchinetta. Voglio mettere alla prova la sua fedeltà. O vi dispiace che io la interroghi?

Gisors                            -  Al contrario, signora, la vostra curiosità mi lusinga. Eccovi l'occhialetto.

La Contessa                  - (tenendo l'occhialetto aperto in mano). La distanza tra il vostro palco e quello della marchesa è pari alla larghezza della platea, e il suo palco è di fronte al vostro. La larghezza della platea è di dieci tese, cioè quante ve ne sono dal posto dove sono in questo momento e il tavolino che vedete laggiù. Ora guardo. (Puntando l'oc­chialetto) Invece di vedere il tavolino vedo la porta della mia camera. (Abbassa l'oc­chialetto, e dopo aver misurato con lo sguardo la distanza tra il tavolino e la porta) La porta dista dal tavolino pressappoco quat­tro tese. La larghezza dei palchi è di una tesa. Voi guardavate quindi il quarto palco dopo quello del

La Marchesa                 - Il quarto a destra è quello della vecchia contessa Man­fredi che nessuno può aver voglia di guar­dare. Il quarto a sinistra è senza alcun dub­bio quello della vostra umile serva, alla quale non dispiace per nulla di riuscirvi interessante e di avervi ispirato un'amicizia uguale a quella che lei sente per voi, ben­ché trovi strano che voi vogliate nascon­derla con tanta cura. Ammettete, signore, che il vostro occhialetto non è un segre­tario sufficientemente discreto, e che la marchesa ha potuto certamente cavargli il vero, come ho fatto io. Ho ragionato esattamente? Siete d'accordo?

Gisors                            - (gettandosi ai suoi piedi). Signora! Non posso negarlo.

La Contessa                  - Alzatevi, alzatevi! E non di­temi nulla in quella posizione, perché non voglio assolutamente credervi colpevole. Può darsi che essendo conscio delle vostre in­tenzioni, voi vi sentiate colpevole, ma delle due una: o vi ingannate o la vostra colpa sarà di breve durata. I vostri sentimenti, credetemi, muteranno e diventeranno simili ai miei e a quelli di mio marito, che sono nati dall'amicizia tenera e sincera che avete saputo ispirarci. Riprendete dunque subito il vostro solito contegno. Sento Talvis che esce dal suo appartamento. Vi lascio per andarmi a cam­biare d'abito. Ci vedremo dal Maresciallo, se desinate con lui, altrimenti spero di vedervi nel salone comune. State calmo e tranquillo: amateci come noi vi amiamo. Addio, conte! E per quanto riguarda questo mentitore, non abbiatevela a male se ve lo confisco. Non dovete averne più bisogno. È una cattiva com­pagnia quella di chi ci inganna. Ah! Ah! Ah!

SCENA V

Gisors, poi Talvis

Gisors                            -  Donna meravigliosa! Come ha sa­puto superare tutto! Cognita e convinta della mia delittuosa passione, vuole considerarla nient'altro che una passeggera infatuazione, destinata a diventare col tempo una pura amicizia. Sono sicuro che questa metamor­fosi è impossibile, ma se lei ne è certa e vi fa conto, debbo lasciarla nel suo errore. Mi incoraggia ad amarla. Ma quale idea hanno dell'amore le donne italiane? Infelice che sono! Dovrei diventare il suo sincero amico, come lei, che pretende di essere la mia sin­cera amica! Ma come posso desiderare una cosa simile, se ho dentro un fuoco che mi divora! Ciò che mi ha permesso di sperare, è una vera disgrazia per me. Bisogna tut­tavia che io continui a vederla, e che, nuova salamandra, mi abitui a vivere nel fuoco senza timore di consumarmi. «Arder per lei e sospirar sommesso», dev'essere il mio motto. Spesso le leggi dell'amore sono se­vere; ma dov'è innamorato che non le ac­cetta? Ecco Talvis: la sua sorte è ben più crudele della mia.

Talvis                            - Eccoti, mio caro amico, tra le unghie di una donna che credi di avere in mano.

Gisors                            -  Sarei ben dispiaciuto se avessi una intenzione simile.

Talvis                            - Ma se tu l'ami sinceramente! Cat­tiva strada hai preso per conquistarla. A che fine, in che amore, un trucco che è fatto apposta perché le tue intenzioni non ven­gano capite? Sappi tuttavia che io ti capisco benissimo e che vedo e intendo tutto. Tu sei come quel cacciatore che mira a due prede per essere certo di colpirne almeno una. Cat­tivo cacciatore! A questo modo tu vai a ri­schio di mancarle tutte e due. Intanto, con la tua pessima politica mi sbarri la strada.

Gisors                            -  Credimi, amico: se fossi sicuro che smettendo di corteggiare la contessa contri­buirei alla tua felicità, non metterei più piede in questa casa. Ma questo sacrificio sarebbe inutile, perché non servirebbe ad avvantag­giarti in nessun modo. Tu sei violento, men­tre bisogna soltanto essere ardenti! Ma ecco il conte che esce dal suo appartamento.

SCENA VI

II Conte, Gisors e Talvis

Il Conte                         - (tenendo in mano una lettera). Si­gnori, mia moglie sta facendo toilette, e ne avrà per un pezzo, perché va a pranzo in casa del signor duca. Mio caro Gisors, se volete la rivincita sono pronto a darvela al casino.

Gisors                            -  Sicuro che la voglio! Andiamo.

Il Conte                         - (a Talvis). Ho un biglietto di mia moglie per voi. Tenete. (A Gisors) Andiamo.

Talvis                            - (che è rimasto solo e sta aprendo il biglietto). È molto lusinghiero per me. (Legge) « Sono molto spiacente, signore, che abbiate previsto di trovare posto sulla mia carrozza per andare a pranzo dal Maresciallo senza parlarmene prima, perché essendo ma­lato il cocchière della signora di San Secondo, le ho promesso ieri sera di passare a pren­derla... ». È vergognoso! (Straccia il biglietto) Non è buona la scusa ed è scortese il modo, perché la sua carrozza è un coupé con uno strapuntino molto comodo. Questa donna mi fa perdere la pazienza. Non pensa che a farmi fare delle cattive figure. Non ne posso più. Debbo cercare di vendicarmi e ne tro­verò la maniera. Punirò questa civetteria ita­liana in modo tale che la signora se ne pentirà. Le darò una lezione, perbacco, atro­ce... e poi? Poi non la rivedrò mai più.

ATTO TERZO

SCENA I

Talvis, poi Gisors

Talvis                            - (uscendo dal suo appartamento). L'ho vista scendere dalla carrozza con il suo vec­chio marito, ma scommetterei qualunque cosa che dal maresciallo ci è andata da sola. La signora non ha voluto saperne di me. È un'offesa, ancor più grave perché non ha neppure saputo mascherarla a dovere. Non ne posso più dalla rabbia. Ma ecco di nuovo la sua ombra. (A Gisors) Molto bene! Avete pranzato allegramente?

Gisors                            -  A meraviglia. Come mai non c'eri?

Talvis                            - Ho pranzato nella mia camera con un amico che mi ha raccontato una storia sulla nostra bugiardona. Una storia che sta facendo rumore e che finirà col metterti sulla bocca di tutti. La stessa marchesa ha comin­ciato a metterla in giro sottovoce. E non pen­sare che la storia ti faccia molto onore. Devi sapere che non te ne fa neanche un po', ben­ché sia stata abilmente costruita secondo il gusto italiano. Pare che la contessa finga di trovar sublime la tua politica. Intanto ecco che la tua passione non è più un mistero per nessuno.

Gisors                            -  Solo i fannulloni possono trovare in­teresse a simili pettegolezzi. La marchesa fa male a mettere in circolazione codeste scioc­chezze, interpretandole malamente e dandovi troppa importanza. Tuttavia spero che si avrà cura di non prendermi troppo in giro, perché mi potrebbe venire il capriccio di far finire lo scherzo.

Talvis                            - Penso che non vorrai impedirci un po' di divertimento. Sono qui ad aspettare che esca la contessa per domandarle senza troppi complimenti qual è la ragione per la quale non ha voluto accompagnarmi a casa del maresciallo, quando so che vi è andata da sola.

Gisors                            -  Te la posso dire io la ragione. È pas­sata a prendere la signora di San Secondo, ma l'ha trovata con un forte mal di testa.

Talvis                            - Benissimo. Ma avrebbe potuto ugual­mente prendermi con lei, perché la sua car­rozza ha un comodissimo strapuntino.

Gisors                            -  Direi che nonostante la tua accor­tezza, tu voglia ostinarti a rugare: vuoi riu­scire piacevole e intanto fai tutto il possibile per renderti antipatico.

Talvis                            - È perché sono sincero. E comincerò col dirti che non ho bisogno delle tue le­zioni. Non sarai tu a insegnarmi che bisogna servirsi di un inganno per arrivare a una dichiarazione. Non mi hanno insegnato mai ad usare delle astuzie per soddisfare i miei desideri. Il gioco dell'occhialetto può essere piaciuto alla contessa, ma è spiaciuto moltis­simo alla marchesa, che non te lo perdonerà mai. Se rimani potrai essere presente a una bella scena.

Gisors                            -  Quale scena?

Talvis                            - Pretenderò che la contessa mi spieghi sui due piedi la ragione del suo affronto. Tocca a lei giustificarsi. Voglio persuaderla che il suo modo di fare è disonesto, odioso, insopportabile.

Gisors                            -  E il tuo è violento, grossolano, in­giusto; perché alla fine ciascuno è padrone di fare il proprio comodo, e una donna, in particolare, può usare come crede i suoi fa­vori, distribuirli a chi vuole come le pare. Tanto più che questa donna ha dei doveri da rispettare e dei sentimenti da nascondere.

Talvis                            - Quello che tu dici può essere vero in genere, ma non con chi sia, come me, poco disposto a sopportare. E cerca di ca­pire che il tuo tono da apostolo con me ha poco successo.

Gisors                            -  Il mio tono è quello di un amico e di un leale compagno d'armi. Vorrei vederti tranquillo e ragionevole. Tu hai il privilegio di alloggiare qui e di sedere a tavola tutti i giorni con lei. La qualità di amico di casa dovrebbe bastarti, mi sembra, e indurti a vin­cere un'inclinazione che tu lasci capire troppo apertamente e che la contessa deve far finta di non capire, perché infine, in città, non si è mai detto nulla di men che rispettoso sul suo conto. Dovresti anche pensare che ha un marito e che la sua reputazione...

Talvis                            - Quale reputazione? Le tue prediche mi seccano. Tu parli all'aria.

Gisors                            -  Non capisco cosa intendi, quando dici che parlo all'aria. Mi dispiace soltanto che tu disprezzi il buon consiglio che vo­glio darti.

Talvis                            - E quale consiglio mi darebbe la si­gnoria vostra, per piacere?

Gisors                            -  Quello di abbandonare il progetto di sedurla, perché è un insulto per lei. Senza contare che non ne verresti mai a capo. Cre­dilo: è un consiglio d'amico.

Talvis                            - Questo è quello che si dice parlare all'aria. Ma alle tue parole così precise, devo dare una risposta altrettanto chiara. Innanzi tutto tieni per te il tuo consiglio, che ti servirà; poi sappi che il progetto che tu credi impossibile, per me è già andato in porto; è affare fatto. Ciò che mi irrita, è l'incostanza, e il dover far posto ad altri. Tocca quindi a te mollare. Ho parlato chiaro?

Gisors                            -  Cosa mi tocca sentire! Tu menti, in­fame! Ne sono sicuro. L'onore di tutta la nostra nazione, quello della contessa e quello di questa casa che tu sei indegno di abitare, esigono che io ti faccia sputare l'anima o che tu mi strappi dal cuore la mia, che hai avvelenato. Mostro! Ma ci penserò io alla reputazione della contessa! Seguimi, traditore, e andiamo ad ammazzarci in silenzio, dove nessuno potrà intromettersi per separarci. Vendicherò l'innocenza e l'ospitalità che tu offendi. Seguimi! (Si incammina).

Talvis                            - (trattenendolo). Fermati! Ascoltami! In questo momento ho bisogno di sangue freddo e ne ho abbastanza per darti una prova della mia amicizia. Calmati un mo­mento, e poi andremo a batterci all'ultimo sangue, se lo vorrai. Te lo prometto. Ma ora, puoi ragionare un momento ed ascoltarmi?

Gisors                            -  Parla!

Talvis                            - So benissimo che un uomo d'onore deve aver cura della reputazione di una dama, e che qualunque indiscrezione può in­sozzarla. Ma, dimmi: è possibile essere in­discreto senza essere mentitore?

Gisors                            -  Sì. È possibile.

Talvis                            - Allora ti dico che non sono un men­titore benché la mia ingiusta collera mi ab­bia reso indiscreto. E sostengo che tu non puoi obbligarmi a un duello se non nel caso in cui io non riesca a persuaderti di aver detto la verità.

Gisors                            -  Scellerato! Come puoi pensare di persuadermi? Di farmi credere che hai trion­fato della virtù della contessa?

Talvis                            - Sì, e molto facilmente. Dopo, te lo ripeto, andremo a batterci, se ne avrai an­cora voglia.

Gisors                            -  Non riesco a capire come farai a convincermi di una cosa simile.

Talvis                            - Ci metteremo sopra anche cento luigi, se sei d'accordo.

Gisors                            -  Vada per i cento luigi. E ti prometto, per di più, che se dovessi perdere, rinuncerò a battermi.

Talvis                            - Benissimo. La scommessa è partita. E ho la tua parola che se la perderai non ci batteremo.

Gisors                            -  Ma chi sarà giudice tra di noi?

Talvis                            - Lei:

La Contessa                  - La sfiderò a ne­gare il fatto.

Gisors                            - (alzando la voce). Come? La con­tessa? È il colmo della scelleratezza, la più orribile delle calunnie. (Sfodera la spada). Al rumore del ferro, la Contessa esce dalla sua camera e accorre, andando a mettersi da­vanti a Talvis. Il Conte suo marito resta immobile ad osservare la scena sulla porta del suo appartamento, senza che i due ufficiali lo vedano. All'apparizione della Contessa, Gisors rimette la spada nel fodero.

SCENA II

La Contessa, Gisors, Talvis e il Conte (in disparte)

La Contessa                  - (a Gisors). Cosa succede? Si­gnor di Gisors, cosa può essere accaduto di così grave da farvi dimenticare che siete in casa mia?

Gisors                            -  Ho torto, signora, ma nonostante che l'apparenza mi condanni, quel che avete visto non fu che una conseguenza del ri­spetto che ho per voi. Vi chiedo umilmente perdono. È la prima volta in vita mia che vengo meno a un preciso dovere e sarà l'ul­tima. Permettete, signora, che mi allontani.

La Contessa                  - (arretrando di qualche passo per impedirgli di uscire). No. Voi non usci­rete da questa casa prima che io sia certa che non capiti altrove ciò che per fortuna non è accaduto qui. Posso conoscere la ra­gione della vostra disputa?

Talvis                            - Sì, signora. Dovete saperla, perché voi siete la sola che pronunziando una pa­rola potrà impedirci di andare altrove a ri­solvere la nostra questione. Abbiamo scom­messo cento luigi sopra un fatto del quale solo voi potete essere giudice. Toccherà a voi dire chi di noi due è il vincitore. Quando avrete parlato, e il perdente avrà pagato, di­venterà inutile il duello perché così abbiamo convenuto e Gisors mi ha dato la sua parola.

Gisors                            -  È vero, signora.

 

La Contessa                  - Dite dunque di che si tratta e se la decisione deve proprio venire da me, sarò felicissima di poter risolvere la vostra questione. Dirò tutto quello che ne so.

Talvis                            - Ecco il fatto in poche parole. Mi la­gnavo della vostra severità nei miei riguardi, quando il signore, per calmare le mie lamen­tele, pensò di darmi un bel consiglio: smet­tere di farvi la corte. Perché, a suo dire, non sarei mai riuscito ad ottenere i vostri favori. Seccato da questi sciocchi consigli, gli ho risposto di tenerseli per lui, perché ai vostri favori ero già arrivato. Egli mi ha chiamato mentitore e stavamo per ammaz­zarci quando sono riuscito a calmarlo con la promessa di arrivare a persuaderlo che di­cevo il vero. Egli accettò la mia proposta ed io non ho voluto mettere in gioco altro che la somma di cento luigi. Egli me la pa­gherà se ho detto il vero, oppure la pagherò io a lui se voi mi smentirete. Vedete dunque, signora, che solo voi potrete dar sentenza su questo affare e definirlo totalmente in un istante.

La Contessa                  - (fortemente turbata, guardando Gisors e con voce tremante). Avete dunque scommesso cento luigi con quest'uomo, so­stenendo che ha mentito?

Gisors                            - (con voce affannosa). Sì, signora.

La Contessa                  - (si raccoglie in se stessa e tiene gli occhi rivolti a terra; poi, dopo breve riflessione, alza gli occhi su Gisors e con voce flebile) Signore di Gisors, avete perduto. Tocca a voi pagare i cento luigi. Signori! Vi prego di uscire da casa mia e di non mettervi più piede.

I  due rivali escono, Talvis precipitosamente. Gisors a passi lenti coprendosi il viso con le mani. La Contessa si volta per ritirarsi nella sua camera, ma vedendo suo marito sviene e cade nelle sue braccia.

SCENA III

Il Conte e la Contessa

Il Conte                         - Nanette! Mirabeau! Una poltrona, un po' d'acqua fresca! (La Contessa vien fatta sedere e riprendere i sensi) Stai tran­quilla, angelo mio, che ho sentito tutto e sono convinto che non si tratta che di bugie. Mai una donna è riuscita con più spirito e prudenza a togliersi dai guai che gli stava procurando la più sfrontata impudenza. Ti ammiro e ti ringrazio. Il tuo animo lo co­nosco a fondo. Talvis è un mostro che domani non esisterà più. Ti do la mia parola. E Gisors è il più onesto di tutti gli uomini: non avrebbe mai dovuto scommettere, ma lo scellerato lo ha tratto in inganno.

La Contessa                  - (tenendosi un fazzoletto pre­muto contro la guancia). Ho pensato di con­dannare l'innocente a pagare la scommessa per confondere l'infame.

Il Conte                         - Hai ragionato come un angelo. È stato il cielo, e la tua intelligenza, che ti hanno ispirato a dichiarare vincente il ca­lunniatore. Talvis fu come colpito da una folgore, quando sentì la tua sentenza. Spe­rava di vedersi condannato a pagare per soddisfare il suo proposito di vendetta. Avreb­be pagato la scommessa allegramente e poi avrebbe raccontato l'avventura a tutta la guarnigione. L'opinione del mondo ti avrebbe giudicata colpevole proprio perché avevi vo­luto dichiararti innocente, e Gisors stesso, risultando vincitore, non avrebbe avuto di te la buona opinione che deve avere oggi malgrado la tua incredibile confessione. Pen­serebbe anche lui come tutti, che hai con­dannato Talvis a pagare solo per punirlo della sua indiscrezione. Invece, i cento luigi che quello sciagurato ha vinto gli coste­ranno cari.

La Contessa                  - Se penso alle chiacchiere che si faranno su questa storia...

Il Conte                         - Bisogna avere un po' di pazienza. La faccenda è tale che terrà per forza in sospeso ogni giudizio per alcune ore. Ma domani, ti assicuro che correrà una sola voce sul tuo conto, e la verità apparirà in tutta la sua evidenza. Risulterai pura come la ru­giada del cielo, mia povera moglie. Intanto penso che stasera dovrai comparire con me alla serata in casa del Maresciallo. Mi farai questo favore?

La Contessa                  - Ah, mio caro amico, ti prego proprio di lasciarmi a casa. Capisco tutta la bellezza di questo passo, ma non avrei la forza di parteciparvi. Pensa al colpo mortale che ho subito. E poi, lo sai che gli sciocchi e i maligni sono più numerosi dei buoni amici e delle persone intelligenti! Mi è ac­caduta una cosa troppo grave. Nonostante la mia innocenza, l'avventura rimane una cosa mortificante per me. Debbo considerar­mi in lutto, benché non si tratti che di una calunnia, fino a quando l'opinione pubblica pronunzierà la sentenza con la quale verrò dichiarata senza colpa.

Il Conte                         - Forse hai ragione, anima mia, ma non potrai impedire a me di comparire alla riunione.

La Contessa                  - Questo no. Anzi, ti prego di andarci. Ma ti scongiuro di non parlare per nulla della faccenda.

Il Conte                         - Te lo prometto e sono persuaso che nessuno oserà parlarne per primo. In­tanto ti lascio perché debbo prendere qualche disposizione che credo opportuna. Ecco la marchesa che viene a farci visita. Ne sono felice perché non voglio lasciarti sola. Cerca di recuperare il tuo buon umore.

SCENA IV

La Marchesa e la Contessa

La Marchesa                 - Vengo ad informarti, mia cara amica, su qualche cosa di molto inte­ressante. Si tratta di una conversazione che è durata solo un quarto d'ora, ma che è stata vivacissima. I miei sentimenti di amicizia verso di te mi hanno fatto volare a casa tua per riferirti tutto.

La Contessa                  - Conosco troppo bene il tuo cuore. Non hai mai perso occasione per di­mostrarmi la tua amicizia. Sono quindi si­cura che tutto quanto mi dirai mi interesserà. Di che si tratta, dunque?

La Marchesa                 - Tu sai che sono rimasta al palazzetto per terminare la partita a carte insieme al Maresciallo contro La Brignole che ci giocava contro. Stavamo proprio per finire, quando Gisors entrò con dipinto sul suo viso, sempre interessante, i segni più vivi del dolore e della disperazione. Che avete, Gisors? gli chiese sorpreso il maresciallo. Allora Gisors, mia cara amica, in presenza di più d'una ventina di ufficiali e di tutte noi, raccontò per filo e per segno e con i più minuti particolari la storia inaudita ca­pitata una mezz'ora prima. Avrebbe potuto accadere che il rapporto di Gisors, fatto così pubblicamente, non venisse molto apprezzato dai presenti, o che qualcuno lo ritenesse un espediente per vendicarsi della perdita dei cento luigi, o per sollecitare l'intervento del maresciallo nel caso che, malgrado la sua promessa, volesse battersi con

Talvis                            - Inve­ce, niente di tutto ciò, mia cara, perché nel racconto di Gisors tutti hanno visto la più grande sollecitudine per il tuo onore che lo scellerato Talvis aveva fatto pendere in dub­bio per un momento, e il dolore che egli provava per essersi lasciato ingannare da quel mostro accettando una scommessa che poteva avere conseguenze funeste. Conseguen­ze che egli avrebbe dovuto prevedere! Tutta la compagnia fu presa dall'orrore, e il mare­sciallo, siccome sai non lascia mai apparire in viso i suoi sentimenti, non ha potuto na­scondere ciò che gli passava nell'animo nell'udire la narrazione di quell'obbrobrio. Alla fine del racconto di Gisors era pallido come la morte, ma un momento dopo era diven­tato di fuoco. Non disse una sola parola. Si alzò, entrò nel suo ufficio chiamando con sé un aiutante e nessuno sa come si rego­lerà. Ma è certo che tu sarai vendicata. Ah! Che orribile mostro! Ma Gisors! È dispe­rato. Mi addolora, il pensiero che egli abbia avuto la disgrazia di comprometterti e che tu sia ormai obbligata a non riceverlo più in casa tua nonostante la tua onestà. Ma è nelle buone usanze. Il tuo onore esige que­sto sacrificio. O m'inganno, forse?

La Contessa                  - No, che non t'inganni, mia cara amica: non può essere diversamente. Ma ti potrei dire qualche cosa di più.

La Marchesa                 - E che?

La Contessa                  - Che non vedrò più nessuno.

La Marchesa                 - Vuoi dire degli stranieri.

La Contessa                  - Né stranieri né del luogo. Solo i miei parenti.

La Marchesa                 - Perciò, la nostra buona so­cietà la vedrai soltanto nelle case altrui.

La Contessa                  - Certo. E spero, che pur es­sendo oggetto di compassione per tutti, mi si accetti con piacere. Vorrei convincermi che questa brutta faccenda non mi ha fatto alcun torto. Ma la mia casa, sempre chiusa d'ora in avanti, costituirà una specie di mo­numento degno di rispetto, utile per inse­gnare a vivere e a castigare l'imprudenza.

La Marchesa                 - Quel Talvis mi ha sempre fatto paura.

La Contessa                  - Cosa è questo chiasso nel mio cortile?

La Marchesa                 - (dopo aver guardato da una finestra). I domestici di Talvis pare che si vogliano battere coi tuoi vicino ad un muc­chio di valigie e di involti.

La Contessa                  - Evidentemente sono gli effet­ti di un ordine che mio marito deve aver dato uscendo. Il guardaroba di quel mostro viene gettato nella strada. E non è che l'inizio.

La Marchesa                 - Il maresciallo farà certamente ben di più. Dispotico com'è per suo carattere e così geloso dell'onore francese, darà certo un grande esempio. Ma ecco tuo marito.

SCENA V

II Conte, la Contessa e la Marchesa

Il Conte                         - Sono andato a casa del marescial­lo di Richelieu per parlargli, ma non ha vo­luto neppure lasciarmi aprir bocca: mi ha abbracciato e mi ha piantato in asso. Ho in­contrato Gisors che si è studiato di evitarmi. tenendo il viso coperto con le mani. Vi assi­curo che quell'adorabile giovane fa pietà. Deve avere l'animo in uno stato ancora peg­giore del nostro. Un aiutante di monsignore mi ha detto che tutti gli ufficiali francesi sono in giro alla ricerca di Talvis che dovrà essere messo in prigione incatenato. Ma in­tanto ho regolato le cose in un modo spero soddisfacente... Che c'è? (Un paggio conse­gna un biglietto alla Contessa).

La Contessa                  - È del signor maresciallo. (Legge a voce alta) « Se la signora contessa vorrà passare la sera in casa sua a ricever gente, il maresciallo di Richelieu avrà l'ono­re di vederla insieme al suo seguito ».

Il Conte                         - A meraviglia. Il duca di Richelieu è quel che si dice un uomo di spirito. Scri­vigli subito che sei onorata della sua richie­sta e che non uscirai di casa. (Mentre la Con­tessa scrive) Così va il mondo, bella mar­chesa: capitano delle cose inevitabili e tali da sconvolgere la buona società. E non c'è prudenza la più consumata che possa scon­giurarle. Cose che, a prima vista, sembre­rebbero da coprire col più profondo silen­zio, ripensandoci, si capisce che invece è meglio farle risplendere alla luce del sole.

La Contessa                  - (consegnando al paggio la ri­sposta). Tu sai (al marito) che il maresciallo cena.

Il Conte                         - Ci ho già pensato. Ma non te ne preoccupare: cerca solo di riprendere, se ti è possibile, tutto il tuo buon umore.

La Marchesa                 - Devo tornare un momento a casa mia per dare qualche ordine. Ma ecco la carrozza del Maresciallo nel cortile. Allora rimango.

Il Conte                         - (alla moglie). Si vede che aspet­tava qui vicino la risposta al tuo biglietto.

SCENA VI

Il Maresciallo, la Contessa, il Conte e la Marchesa (in disparte)

Il Maresciallo                - Vengo a rendere omaggio all'onestà oltraggiata. Fra due ore tutta la nobiltà di Cremona lo saprà. Vengo anche ad applaudire, signora contessa, una presen­za di spirito della quale non vi sono esempi nella storia. Avete trionfato facendo vincere la scommessa a un mostro che avreste potuto impunemente far gettare dalla finestra.

La Contessa                  - Sono veramente felice, mon­signore, di vedere la mia condotta approvata dal più grande uomo di Francia.

Il Maresciallo                - C'è qualcuno fra i miei amici, signora, che vorreste escludere da questa compagnia?

La Contessa                  - Nessuno, signor duca, fosse pure un mio nemico.

Il Maresciallo                - In tal caso sarebbe anche il mio! Voi permetterete dunque al figlio del maresciallo di Belle-Isle di entrare in casa vostra? È in anticamera.

Il Conte                         - Andrò io stesso a prenderlo. Tutte le illustrazioni per la com­media inedita di Casanova sono tratte dalle opere di Pietro Lon- ghi: 1) « Dama e cavaliere sul di­ vano »; 2) « La lettera del moro »; 3) « La seduzione »; 4) « L'indi­screto »; 5) « Due gentiluomini in vestaglia ».

SCENA VII

Gisors e detti

Il Maresciallo                - (mentre Gisors entra tenuto per mano dal conte). Viene a ringraziarvi signora, di avergli fatto pagare con cento luigi la prima storditezza, credo, che abbia commesso nella sua vita. (A Gisors) Non è vero? Confessate che non vorreste averli gua­dagnati.

Gisors                            -  Vorrei pagarne mille, monsignore, ed essere stato tanto accorto da non accet­tare la scommessa.

La Marchesa                 - (a Gisors). È incredibile che col vostro buon senso siate caduto in una trappola destinata a compromettere la con­tessa.

Gisors                            -  Il buon senso, signora, non serve più quando è offuscato dalla collera. Ho perso tutta la fiducia che avevo nel mio, quando mi sono accorto di non aver saputo prevedere le conseguenze che potevano de­rivare da un falso ragionamento. Vorrei pro­prio essere ammesso a domandar perdono alla rispettabile dama che la mia sventatezza ha indotto in errore.

La Marchesa                 - Non avete bisogno di fargli le vostre scuse. Essa ha dimenticato tutto e vi rivedrà sempre con piacere, tanto più che è in obbligo verso di voi, perché gli avete insegnato a temere per sempre... chi dice le bugie.

Il Maresciallo                - (dopo aver sentito in un an­golo ciò che gli ha riferito un aiutante). È strano che non si trovi Talvis in nessun po­sto. Ma finiremo con lo scoprirlo, perché deve essere degradato. È una soddisfazione che bisogna dare a tutto il suo reggimento. Occorre un esempio spettacolare, affinché la cortesia francese possa mantenere la sua reputazione di superiorità su quella italiana. Ancora un biglietto. Sempre grane... (Legge a bassa voce) Mi pare di averne già avute abbastanza. (Dopo aver finito di leggere) C'è da stupire, ma solo per rapidità, per­ché il resto me lo aspettavo. Ascoltate tutti: è molto interessante. Chi mi scrive è l'uffi­ciale di guardia alla porta di Milano. (Legge) « Un caporale, mentre si recava con quattro soldati a dare il cambio alle sentinelle, ha trovato a cinquanta passi dal bordo della strada il cavaliere di Talvis morto stecchito e l'ha fatto trasportare in questo momento al mio quartiere di guardia. L'ho fatto spo­gliare e non gli ho trovato alcuna ferita. Non è stato derubato, apparentemente, perché sono stati trovati su di lui una borsa di danaro e degli orologi. P.S. Viene notato in questo momento il segno quasi impercetti­bile di una puntura in corrispondenza del polmone sinistro. Un chirurgo che è pre­sente dice che deve trattarsi di un colpo di lesina che gli ha forato il cuore ». Farò cercare l'assassino per farlo arrotare, ma con questo non si potrà far risuscitare il pazzo, che poteva fare a meno, proprio oggi, di andarsene a passeggiare a piedi fuori della città. Mi dispiace, signora contessa, che que­sto assassinio mi obblighi a rimandare ad un altro giorno il piacere di cenare con voi... Comprenderete certo i miei obblighi. Debbo andare ad emanare degli ordini per scoprire il colpevole di questo delitto. Voi vedete, si­gnora, che il cielo ha fatto le vostre ven­dette, ma sono sicuro che il vostro cuore dovrà soffrirne, anche se la vendetta fosse opera vostra.

Epilogo di Piero Chiara

 La commedia casanoviana che abbiamo riesumato dopo quasi due secoli e che forse non fu mai portata in scena, sembra ap­partenere a un genere imprevedibile di « teatro aperto »; il suo finale appare infatti suscettibile di ulteriore svolgimento. È chiaro che la morte di Talvis è stata « comandata » dal Con­te e che il maresciallo di Richelieu non lascerà impunito il de­litto, ma la conclusione del dramma sembra affidata alla fan­tasia dello spettatore, la quale potrebbe coincidere con quella del Casanova, che aveva probabilmente pensato a un suo finale, ma che si era guardato bene dallo sceneggiarlo per timore di

 offendere i suoi protettori con lo spettacolo di un cinismo e di una amoralità che poteva più impunemente riversare nelle sue memorie autobiografiche.

Piero Chiara, che dopo aver curato la prima edizione integrale italiana della Storia della mia vita del Casanova, l'epistolario e le opere minori dell'avventuriero veneziano, ha riscoperto e tradotto II polemoscopio, si è preso l'arbitrio di un'aggiunta, o meglio di una conclusione, che mette in linea l'opera con la morale casanoviana e con il clima dell'epoca libertina.

 

ATTO QUARTO       

(EPILOGO)

SCENA I

Il Duca di Richelieu, il Conte, la Contessa, la Marchesa, i servi Mirabeau e Nanette

Il Duca                          - (è seguito da due ufficiali francesi in divisa, armati di spade che tengono sguai­nate e puntate verso terra). I miei ufficiali, dopo avere ispezionato il cadavere di Talvis, si sono dati alla ricerca del suo assassino. Raccolti alcuni indizi importanti, sono per­venuti all'arresto di un giovane calzolaio del­la città, il quale interrogato da me e messo alle strette, non ha potuto continuare a lun­go nel negare la sua partecipazione all'assas­sinio di

Talvis                            - Era evidente che il giovane non poteva aver agito di propria iniziativa, e che dietro al suo gesto, al suo barbaro ge­sto, vi era un mandante. Premuto dalle mie interrogazioni, il giovane calzolaio ha rive­lato il nome del suo mandante. Conte, avete nulla da dire?

Il Conte                         - Nulla.

Il Duca                          - Ebbene, proseguirò. Il giovane ha detto di aver avuto duecento luigi da voi, signor conte, per compiere il suo delitto. Egli ha ucciso Talvis per vostro incarico ed è stato compensato con duecento luigi. Signor conte, vi dichiaro in arresto! Il Tri­bunale Militare giudicherà voi e il giovane che dietro vostra istigazione ha compiuto l'assassinio. (Rivolgendosi ai due ufficiali che attendono alle sue spalle con le spade sguai­nate e indicando il Conte) Arrestatelo! (I due ufficiali avanzano, afferrano il Conte cia­scuno per un braccio e lo portano fuori. Ri­volto alla Contessa) Mi dispiace, signora. Sono veramente afflitto! Ma ciò che è accaduto mi obbliga a procedere con tutto il rigo­re possibile. Ho il dovere di portare a fondo le indagini, di individuare e di punire i re­sponsabili. L'onore e l'integrità dell'armata sono affidati alle mie cure. Ero disposto a degradare pubblicamente Talvis per la man­canza di rispetto e per il comportamento scorretto che ha avuto nei vostri confronti. Ma ora debbo agire ben più severamente contro chi lo ha tolto proditoriamente dal mondo, contro chi si è reso colpevole dell'assassinio di un ufficiale francese!

La Contessa                  - Monsignore, l'offesa che io ho ricevuto era gravissima, ma mio marito si sarebbe accontentato, al pari di me, delle riparazioni che voi avevate promesso. Non penso che possa aver voluto la morte del povero

Talvis                            - Sono convinta che è innocente. Confido nella vostra giustizia e spero che rimanderete a casa al più presto.

Duca                             -  Sarà fatta giustizia! Non dubitate. (Esce coi due ufficiali e col conte).

La Contessa                  - (rivolgendosi alla Marchesa). Che ne pensi, mia cara?

La Marchesa                 - Secondo me il duca deve procedere. Ma vedrai che finiranno col giusti­ziare il giovane assassino e mandar libero tuo marito.

La Marchesa abbraccia la Contessa, poi esce. La Contessa si ritira nel suo appartamento. I servi riordinano il locale.

SCENA III

II Duca di Richelieu, Mirabeau, poi la Con­tessa

Il Duca                          - (battendo alla porta). Aprite!

Mirabeau                       -  Eccomi.

 

Il Duca                          - La signora contessa?

Mirabeau                       -  Vado a chiamarla. La Contessa   - (entrando e inchinandosi leg­germente). Monsignore...

Il Duca                          - Contessa, il Tribunale Militare, presieduto dall'ufficiale più anziano della guarnigione e composto da ufficiali superiori, ha sentenziato.

La Contessa                  - Ahimè! Quale triste presenti­mento mi coglie alle vostre parole.

Il Duca                          - Rassegnatevi, contessa. La senten­za è stata durissima, ma quale si richiedeva per un fatto di tanta gravità. Il giovane re­sponsabile materiale dell'assassinio sarà im­piccato. Vostro marito, per mio intervento, sarà passato per le armi con tutti gli onori del suo rango. (La contessa sviene, con un ge­mito) Servi, accorrete! (Accorrono Mirabeau e Nanette e si piegano sulla Contessa.  Il duca esce).

SCENA IV

La Contessa, Gisors e la Marchesa

La Contessa è seduta da sola nel salotto. Entra Gisors.

La Contessa                  - Voi qui, Gisors? Quali no­tizie?

Gisors                            - (scuotendo il capo). Tristi notizie, contessa. Domani all'alba la sentenza sarà eseguita. Vi è stato concesso di incontrarvi con vostro marito per l'ultima volta. Qui fuori vi aspettano due ufficiali che vi scor­teranno fino al carcere. A me è stato dato soltanto l'incarico di riferirvi questa conces­sione del duca di Richelieu.

La Contessa                  - Grazie, Gisors (Gisors esce).

La Marchesa                 - (entrando in quel momento). Amica mia, che orrore! La notizia della sentenza ha atterrito tutta la città. Molti giustificano il conte, altri giudicano severa­mente il suo operato. In quanto a me, non so che dire. Quel povero Talvis ucciso così barbaramente... al margine di una strada e per mano di persona vile...

La Contessa                  - (sedendosi sopra una poltrona e lasciandovisi andare). Tutto ciò che è ac­caduto è stata opera di

Talvis                            - Se quel mi­serabile non avesse tentato di trarre in in­ganno Gisors, se non avesse concepito per me un'indegna passione, se avesse rispettato le leggi dell'ospitalità e dell'onore, oggi non saremmo al tramonto di questo giorno terri­bile, sul quale domani si alzerà un'alba san­guinosa. tu passassi questa notte così sola, abbando­nata da tutti. Posso farti compagnia fino a domattina?

La Contessa                  - Mi fa piacere questa tua vi­sita, ma ti prego torna a casa tua. Preferisco star sola.

La Marchesa                 - Da un momento all'altro può arrivare la notizia che al conte è stata con­cessa la grazia. Si dice che Gisors abbia spe­dito un messo veloce all'accampamento di suo padre, il duca di Belle-Isle. Se il duca di Belle-Isle intervenisse...

La Contessa                  - Non oso sperare. Ma... Vat­tene pure, amica cara.

La Marchesa                 - Addio, mia cara. A domattina

 Gisors                           - (entrando). Contessa.

La Contessa                  - (volgendosi vivamente verso Gisors). Gisors!

Gisors                            - (si guarda attorno, va a guardare dalle porte per assicurarsi che la servitù non è nelle adiacenze. Poi, avvicinandosi alla Contessa). Amore mio!

La Contessa                  - Amore mio! (/ due si strin­gono in un lungo abbraccio).

Gisors                            - (sciogliendosi dall'abbraccio e an­dando verso il proscenio con la Contessa per mano, che volge il capo quasi vergo­gnosa). IlPolemoscopio! Uno strumento, di­cono gli scienziati, che per effetto della rifra­zione consente di guardare in un luogo e di

Gisors                            - (rientrando). Contessa, i due ufficiali vi aspettano.

La Contessa                  - Eccomi.

Uscita la Contessa, la scena si oscura lenta­mente e seguono rumori lontani di ronde che passano, le voci del « Chi va là », il suono delle ore da una torre.

SCENA V

La Contessa, la Marchesa, Nanette e Mirabeau

È notte. La scena è oscurata. La Contessa in désabillé è seduta su di un divano in atteggiamento doloroso.

Nanette. Signora contessa, perché non pro­va a distendersi un momento sul suo letto?

La Contessa                  - Vai pure a dormire, Nanette. Lasciami.

Mirabeau                       - (entrando). La marchesa è al por­tone con due servi che l'hanno accompa­gnata con le fiaccole. Vuole vedervi.

La Contessa                  - (sconsolatamente). Fatela en­trare.

La Marchesa                 - Mia cara, non ho voluto che

Sarò qui prestissimo. (Esce. La scena si oscura completamente. Quando dopo un po' si rischiara, si ode un battere di ore in lon­tananza, poi il canto di un gallo. Si sente, sempre in lontananza, il passo cadenzato di squadroni che marciano, rumore di carrozze e rulli di tamburi. Lentamente la scena si ri­schiara del tutto. Viene la mattina). Nanette          - (entrando con un vassoio). Signora contessa, la cioccolata...

La Contessa                  - (indicando un tavolino). Po­sate là, Nanette. (Nanette esegue poi esce. La Contessa si avvicina prima a una fine­stra poi ad un'altra).

SCENA VI

La Contessa, poi Gisors

La Contessa                  - (è avvolta in veli neri e si muove lentamente per il locale). Tutto è fi­nito. La sentenza è stata eseguita. Nessun intervento ha potuto scongiurare la tragedia. Né il vescovo, né i miei parenti, né i passi del maresciallo di Belle-Isle presso il duca di Richelieu, sono valsi a mutare la severa sentenza.

 vedere in un altro. Nói ne abbiamo appli­cato il principio ai sentimenti o alle loro apparenze. Il povero conte ha visto in Talvis la passione che era in me. La marchesa si è creduta amata da me, che invece pensavo solo a costei. (Accenna alla Contessa). Ed ecco il risultato di quegli effetti prodigiosi : il povero conte fa uccidere Talvis e il mare­sciallo, applicando la legge con giusto rigore, spedisce il conte all'altro mondo. Se questi sono i principi dell'ottica newtoniana, biso­gna dire che li abbiamo saputi usare nel miglior modo possibile. (Si volge verso la Contessa, che ha continuato a tenere per ma­no, si allontana da lei sempre tenendola per mano come in un passo di danza e prova .a guardarla ora volgendo il capo da una par­te ora dall'altra, con l'occhialetto che la Con­tessa gli riconsegna in quel momento to­gliendolo dal petto. Scosta l'occhialetto e di colpo attira a sé la Contessa che stringe in un altro lungo abbraccio. Dietro le spalle della Contessa, il polemoscopio, tenuto nella mano del Conte, brilla vivamente colpito da un riflettore).

Piero Chiara