Il povero suberbo

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IL POVERO  SUPERBO

Carlo Goldoni

Dramma Giocoso per Musica da rappresentarsi nel Teatro Grimani di S. Samuel nel Carnevale dell'Anno . Dedicato all' Eccellentissime Dame Veneziane.

PERSONAGGI PARTI SERIE

DORISBE figlia di Pancrazio.

La Sig. Giovanna Baglioni.
IL CONTE di Montebello, amante di Dorisbe.

La Sig. Angela Conti Leopardi detta la Taccarini.

PARTI BUFFE

PANCRAZIO uomo smemoriato.

Il Sig. Francesco Baglioni.
LISETTA cameriera in casa del suddetto.

La Sig. Clementina Baglioni.
IL CAVALIERE dal Zero, povero superbo, di vile estrazione,

lasciato ricco dal padre, e reso miserabile dal fumo di

nobiltà.

Il Sig. Francesco Carattoli. MADAMA vana e capricciosa.

La Sig. Anna Zanini.
SCROCCA servo del Cavalier dal Zero.

Il Sig. Giacomo Caldinelli.

La Scena si finge in una Villa vicina a Milano, in casa di Pancrazio. La Musica è del celebre Maestro Sig. Baldassare Galuppi detto Buranello.

BALLERINI

La Sig. Giovanna Griselini              Il Sig. Giovanni Guidetti.

detta Tintoretta.                          Il Sig. Alvise Tolato.

La Sig. Anna Lapis.                          Il Sig. Vicenzo Monari.
La Sig. Anna Franceschini.

La Sig. Giovanna Bonomi.               Il Sig. Giovanni Belmonte.

La Sig. Elisabetta Morelli.                Il Sig. Domenico Morelli.

Inventore e Direttore de' Balli il Sig. Giovanni Guidetti.


MUTAZIONI DI SCENE

NELL'ATTO PRIMO

Stanza vicina alla cucina, in casa di Pancrazio.

Sala nella detta casa.

PER IL PRIMO BALLO Giardino d'Armilla che si trasforma in bosco e spiaggia deserta.

NELL'ATTO SECONDO

Camera in casa di Pancrazio.

Gabinetto in detta casa.

PER IL SECONDO BALLO Campagna con carro trionfale.

NELL'ATTO TERZO Gabinetto suddetto.

Le Scene sono d'invenzione del Sig. Gio. Francesco Costa. Il Vestiario è opera ed invenzione delli Sig. Demetrio Grazioli, detto Guastalla, ed

Antonio Maurizio.


ATTO PRIMO

SCENA PRIMA

Stanza contigua alla cucina, in casa di Pancrazio.

Lisetta e Scrocca che mangia.

LIS.                        Via, mangiate e bevete,

E vi faccia buon pro: statevi allegro,

Né temete di nulla.
SCR.                      Generosa Lisetta,

Io vi sono obbligato:

Toccano il cuor questi bocconi al fresco

La mattina bonora.
LIS.                        Mangiate, amico, pur, bevete ancora:

Volentieri lo do, questo è il mio genio,

Ed aiutar chi n'ha bisogno ho in uso.
SCR.                      Alla vostra salute. Oh benedetto! (beve)

Alla vostra salute nuovamente.

Che balsamo, che nettare perfetto!
LIS.                        Ditemi un poco. Il Cavalier dal Zero,

Vostro padron, come vi tratta?
SCR.                                                                      Male.

Io servo per disgrazia un animale

Ch'è povero e superbo.
LIS.                        Eppur io non credei

Che fosse in stato tal.
SCR.                                                        Quando discorre,

Par che sia ricco magno,

Ma però v'assicuro

Che fa più d'un digiuno,

E che nella scarsella non ne ha uno.
LIS.                        Fosse nobile almen.

SCR.                                                      Per nobiltà,

Da dare agli altri ei ne ha, chi sente lui.
LIS.                        Questo è il costume

Di chi, ignobile e ricco,

Si vede corteggiato e che, credendo

Che mai debba finire,

Spende tutto, e poi fa questa comparsa.
SCR.                      La cassa è vuota, e la sua tasca è arsa.

Un povero superbo

È peggior della peste.


SCR.                                                          Un'altra volta,

Carissima Lisetta.

(Volendo bere, arriva il Cavaliere, ed egli spaventato gli cade il gotto di mano)

SCENA SECONDA Il Cavaliere in abito di confidenza, bastone lungo da campagna, e detti.

CAV.

Animalaccio...

SCR.

(Oh poveretto me!) (con timore)

CAV.

Tu che fai qui?

SCR.

Se la comanda anch'ella...

CAV.

Parti di qua subitamente.

LIS.

Almeno

Permettete, signor, ch'egli finisca.

CAV.

Via di qui, villanaccio,

Indiscreto ghiottone,

O che io ti farò andar con il bastone.

SCR.

Lustrissimo, ha ragione:

Alla salute sua. (beve) Or me ne vo,

E quando chiamerà, ritornerò.

Che fumo stupendo

Che soffron certuni

Sbasiti, digiuni.

Danari non hanno,

Ma spender ben sanno

La lor nobiltà.

Ed esser credendo

Del ceppo d'Enea,

Ricuopron d'idea

L'antica viltà. (parte)

SCENA TERZA

Il Cavaliere e Lisetta

CAV.

Che indegno, che briccon!

LIS.

Via, compatite.

Non sa cosa si dica.

CAV.

Il mio bastone

Gli farà far ragione. Impertinente!

Non pensano costoro

Che a mangiar, divertirsi,

Né di servir si curano il padrone.

Guardate se colui

Il suo padrone è nel servir attento;


S'alza dal letto, e fugge

Senza darmi neppur la cioccolata.
LIS.                        La cioccolata, eh? Di qual colore,

Lustrissimo signore?
CAV.                     Come? come? non bevo

Forse la cioccolata ogni mattina?

Prenderla soglio appunto in su quest'ora;

Io non ceno la sera,

E se a prenderla tardo,

Ho lo stomaco mio meno gagliardo.
LIS.                        Se comanda, la servo in un istante.

CAV.                     Briccone! il fuoco forse

Acceso non avrà; tempo ci vuole,

Prima che fatta sia.
LIS.                        Se comanda, signor, gli do la mia.

CAV.                     O via, giacché v'è pronta,

Di beverla da voi no, non ricuso.
LIS.                        (Già lo sapevo). È scura di colore

La nostra cioccolata.
CAV.                                                       Come a dire?

LIS.                        Io non vorrei ch'ella prendesse un fallo,

Credendo che l'avesse il color giallo.
CAV.                     Vi piace di scherzar? Voi vi credete

Che non sappia che sia la cioccolata?
LIS.                        Oh, so ch'ella lo sa.

E so ch'è dilettante,

E so che in quante case ella conosce,

Suole andarla assaggiando.
CAV.                                                                E quando io dico

Che sia buona, ella è tale.
LIS.                        In conoscerla so che non ha eguale.

Vado a servirla, e torno in un momento;

Può trattenersi qui, s'ella è contento. (parte)

SCENA QUARTA Il Cavaliere solo.

Oh che perfetto odore

Che vien da quel salame! Ah, mi rapisce

A forza il cuor dal petto.

Mi viene l'acqua in bocca: oh benedetto!

Mi piaceria provarlo,

Ma mi vergogno. E di chi avrò vergogna,

Che qui non v'è nessuno? Presto, presto:

Due fette di salame ed un bicchiero

Ber di vin, non sconviene a un cavaliero.

Oh fame, oh fame! oh dolorata fame!

Oh buono! ancora il meglio (mangia)

Io mangiato non ho, ma le vivande


Condisce l'appetito.

Proviamo questo vino. Oh saporito, (mangia e beve)

Oh prezïoso, oh caro...!

SCENA QUINTA

Lisetta e detto.

LIS.

Buon pro vi faccia.

CAV.

Oh maledetta tosse!

Se la tosse mi prende,

Non bevendo m'affogo.

LIS.

Vi piace questo vino?

CAV.

Oibò, è cattivo.

LIS.

Eppure è del migliore

Che si trovi in cantina del padrone.

CAV.

Assai meglio si trova

Nella cantina mia.

LIS.

Con permissione:

Mi vien detto che il suo

Abbia un difetto grande.

CAV.

E qual difetto?

LIS.

Che troppo asciutto sia, m'è stato detto.

CAV.

Date la cioccolata.

LIS.

Eccola presto.

La sua sarà più buona.

CAV.

È troppo dolce.

LIS.

Per esser perfetta

Sarà forse la sua anco amaretta.

CAV.

Siete di questa villa?

LIS.

Son nata qui, ma de' padroni in casa

Son allevata.

CAV.

Dunque

Allevata in Milano?

LIS.

Per l'appunto.

CAV.

Oh, questa è la ragion che siete astuta.

LIS.

Eppur sono innocente come l'acqua.

CAV.

Come l'acqua però de' maccheroni.

LIS.

Oh giusto, come l'acqua

Con cui suol vossustrissima

Lavarsi l'illustrissima sua faccia.

CAV.

Voi troppo v'avanzate.

LIS.

Oh compatisca:

In questo ell'ha ragione;

Desidero, signor, sua protezione.

CAV.

Via, buona. Son chi sono;

Se vi portate bene, io vi perdono.

Cara, fo pace,

La mano toccate


Al vostro signor.

Quel viso mi piace;

Voi tutto sperate

Da un buon protettor. (parte)

SCENA SESTA

Lisetta ed il Conte

LIS.

Oh che grossa e badiale,

Gran bestia originale! È dalla fame

Mezzo morto e stordito;

Eppur di nobiltà sente il prurito.

CON.

Lisetta!

LIS.

Che comanda?

CON.

Ov'è Dorisbe?

LIS.

Io dirlo non saprei.

CON.

Lisetta, se vi piace, andate a lei;

Ditele che l'attendo in questo luoco.

LIS.

Vi servo in un istante.

(Questo per la padrona è un buon amante). (parte)

SCENA SETTIMA

Il Conte solo.

Oh tormentosa vita

Di chi ben ama! Ogni momento è lungo,

E prova ogni momento

Per un poco di speme aspro tormento.

Dorisbe è l'idol mio,

Ma non so che sperar dal padre suo.

Ah, guidi amor benigno

I nostri cuori al sospirato porto,

E sia la speme ad ambedue conforto.

Belle del mio tesoro, Belle pupille care, Dove ad amare - appresi, Se per voi sol m'accesi, Voi sole adorerò. Del vostro almo splendore Sempre ripieno il cuore, Ogni periglio acerbo Costante incontrerò. (parte)


SCENA OTTAVA Sala in casa di Pancrazio. Dorisbe e Pancrazio

DOR.                     È degno del mio affetto

Di Montebello il conte,

Ma dubito che voglia il ciel tiranno

Negarlo all'amor mio. Ma qui s'appressa

Il caro genitor. Scoprir qual sia

Vuò la sua volontà.
PAN.                                                     Figliola mia,

Ben trovata, che fai?

(Pancrazio vien camminando, e nel passare vede la figlia)
DOR.                                                       Padre diletto,

Come vi ritrovate in questo giorno?
PAN.                      Sto bene, e son venuto... (pensa)

A che far?... Non lo so.
DOR.                     Oh che bella memoria!

PAN.                      Non mi sturbate; or or ci penserò...

Affé, che mi sovviene:

   venni... Ma a che far?

DOR.                                                            Così va bene.

(Vuò parlargli, e impegnarlo a mio favore).

Amato genitore,

Poss'io sperar dall'amor vostro un pegno?
PAN.                      Parla, figliola mia, tutto otterrai.

DOR.                     Ah, caro genitor...

PAN.                                                   Mi ricordai

   perché venni qui.

DOR.                                                     Siamo da capo.

PAN.                      Ma parla.

DOR.                                      Se m'udite,

Io tutto vi dirò.
PAN.                                              Parla, t'ascolto.

SCENA NONA Madama e detti.

MAD.                    Cari, affé che v'ho colto: ah, che ne dite?

Vi ho fatto pur la burla.
DOR.                                                         Brava, brava.

PAN.                      Mi dispiace che voi

Burlata vi sarete.
MAD.                                               E perché mai?

PAN.                      Perché mal voi starete.

MAD.                                                         Eh, son contenta.

Avete ancor bevuto il cioccolato?


PAN.

L'ho bevuto, ma pur, se comandate...

MAD.

Se lo fate portar, piacer mi fate,

Con quattro o cinque biscottini almeno;

Il viaggio m'ha fatto venir fame.

PAN.

Lisetta.

SCENA DECIMA

Lisetta e detti.

LIS.

Che comanda?

PAN.

Portate il cioccolato a questa dama.

LIS.

Or vi servo, madama.

MAD.

Porta de' savoiardi.

LIS.

(Oh maledetta!

Che cosa è questo porta?)

Parlate voi con me? (a Madama)

MAD.

Sì, cara, io dico a te.

LIS.

Te, te, perduto avete

Il vostro cagnolino?

MAD.

Oh, perdonate

Se v'ho dato del tu; son così avvezza

Colla mia cameriera.

LIS.

E il tu le date?

Ed essa lo comporta?

DOR.

Orsù, Lisetta,

Madama è stanca, e il cioccolato aspetta.

LIS.

Vado. (Se vien la mia,

Conoscer le farò che donna io sia).

Madama, or ora

La cioccolata

Vo a preparar.

(Noi altre femmine

Siamo assai perfide

Per la vendetta;

Tempo s'aspetta,

Purché sia facile

I nostri affronti

Di vendicar.

Così con questa

Penso di far).

Madama, or ora

La cioccolata

Vo a preparar. (parte)

SCENA UNDICESIMA


Pancrazio, Madama, Dorisbe e poi Scrocca

MAD.

Mi pare una ciarliera

La vostra cameriera.

PAN.

È spiritosa.

DOR.

Credo che così presto

Da noi non partirete.

MAD.

Io qui mi tratterrò quanto vorrete.

SCR.

Oh di casa! Si può...

DOR.

Chi è di là?

PAN.

Venga avanti, e lo vedrò.

SCR.

Servitore umilissimo

Del signor illustrissimo.

PAN.

Buon giorno a voi.

SCR.

Padrona mia illustrissima,

Le faccio riverenza profondissima. (a Dorisbe)

DOR.

Vi saluto.

MAD.

A me nulla?

SCR.

Ancora a lei

Ossequïoso faccio i dover miei.

Lustrissimo padron, che bella ciera!

Che siate benedetto!

Quando vi veggo, il cuor mi brilla in petto.

PAN.

Grazie, amico, vi do: cosa v'occorre?

SCR.

Un'ambasciata sola io devo esporre.

A voi mi manda il cavalier dal Zero,

L'illustrissimo mio signor padrone

Che venir brama alla conversazione.

Io ho fatto l'ambasciata mia brevissima

E sono servitor di vossustrissima.

PAN.

Ma amico mio, con tanti

Stirati complimenti

Fate serrare il cuor, stringere i denti.

Dunque il marchese vuol...

DOR.

No, il cavaliero.

PAN.

Venire a visitarmi?

SCR.

Sì, illustrissimo.

PAN.

Che venga pure, è mio padron carissimo.

SCR.

Io vado a riferir le grazie vostre

All'illustre, illustrissimo padrone.

(Ei con tale occasione

Procurerà bel bello

Il danaro che aver cerca a livello). (da sé, e parte)

SCENA DODICESIMA

Pancrazio, Madama e Dorisbe

MAD.

Oh che pazzo galante!

DOR.

Con vostra buona grazia, io vado un poco


Nell'orto a divertirmi.

Se vuol, venga madama a favorirmi.
MAD.                    Resto un poco a parlare

Col caro sior Pancrazio.
DOR.                                                            Ebben, restate:

Gradita certo compagnia gli fate.

Al garrir de' lieti augelli, Al soffiar de' venticelli E dell'onde al mormorio, La sua pace il petto mio Forse forse troverà.

Il mio dolce amato bene, Di vedermi colla speme, Tra le piante e tra i fioretti Dolci affetti porterà. (parte)

SCENA TREDICESIMA

Pancrazio e Madama

MAD.                    Siamo soli, o Pancrazio,

E questi pochi istanti

Perder noi non dobbiamo.

Del nostro matrimonio discorriamo.
PAN.                      Come volete.

MAD.                                          Or ben, nel vostro cuore

Vi sentite d'amor il pizzicore?
PAN.                      Assai.

MAD.                               Caro, bramate esser voi mio?

PAN.                      D'esser vostro, madama, io penserò.

MAD.                    Né risolvete ancor?

PAN.                                                     Risolverò.

MAD.                    Ma se tempo abbiam noi...

PAN.                                                                 Si penserà.

MAD.                    Come? di me coi scherni

Voi beffe vi farete?
PAN.                      Di che meco parlate, e che volete?

MAD.                    Eh Pancrazio crudele,

Vedo che non mi amate,

Vedo che voi scherzate,

Eppur spero che un dì

Voi mi direte: madamina, sì.
PAN.                      Io non so nulla, e se il mio ben vi piace,

Lasciatemi, madama, un poco in pace.

Cara padrona bella, Non vi capisco, no. Forse sarete quella, Ma ben ci penserò.


Vorreste burlarmi eh!

Non è così facile,

Non son così tondo;

Cospetto del mondo,

Ben ben penserò. Son troppo vecchio, e voglio

Serbarmi in libertà.

Oh dolce libertà!

Con voi, non dubitate,

Giammai la perderò. (parte)

SCENA QUATTORDICESIMA

Madama sola.

Con che delicatezza

M'ha detto i fatti suoi! Questo mi basta.

Or convien con giudicio

Usar ogni artificio

Acciò quel scimunito

Diventi a suo dispetto mio marito.

Un uomo smemoriato

A una moglie sagace

È un buon medicamento,

Quando lo sa girare a suo talento.

Se siamo fanciulle,

Abbiamo cento occhi

Perché non ci tocchi

Ardito amator. Se vedove siamo,

Cent'occhi troviamo

Disposti a osservare

Gli affetti del cuor. Ma questa ricetta

È sempre perfetta,

Legarsi ad un vecchio

Già stanco d'amor.

A letto va presto,

Ne sorte ben tardi,

E lascia frattanto

A noi libertà.

D'un vecchio legame

Piacere più bello

Inver non si dà. (parte)

SCENA QUINDICESIMA


Stanza vicino alla cucina.

Il Cavaliere con alcuni fogli in mano, e Scrocca

SCR.

Signore, io non ne ho colpa.

Questi son tre saluti

Che col mezzo de' lor procuratori

V'hanno mandato i vostri creditori.

CAV.

Indegni disgraziati,

Se vado alla città,

Voglio lor insegnar la civiltà.

SCR.

Volete ch'io v'insegni

A farvi rispettar da vostro pari?

CAV.

Di', che ho da far?

SCR.

Dategli i lor danari.

CAV.

Sono trecento scudi.

Qualche volta ne ho che me ne avanzano;

Qualche volta mi mancano.

Ed ora, per esempio...

SCR.

Già non ci sente alcuno:

Or, per esempio, non ne avete uno.

CAV.

Scrocca, porgimi aiuto.

Se un caso tal si sa,

Perde la nobiltà del suo decoro.

Fanno trecento scudi il mio martoro.

SCR.

Osservate, signore,

Chi vi potrà aiutar quando il volesse.

CAV.

Chi? Lisetta?

SCR.

Ella appunto.

Ella, che del padrone

Maneggia il cuor, non che l'argento e l'oro,

Che un picciolo tesoro

Sotto le chiavi sue tien custodito,

Ella vi può aiutar presto e pulito.

CAV.

Come li chiederò?

SCR.

Vi vuol cervello:

Si chiedono a livello,

Si esibisce di dare il sei per cento.

Si fa un bell'istromento;

Si nascondon i guai,

E il capitale non si paga mai.

Eccola qui, vi lascio.

Sono trecento scudi, e rammentate

Che anderete in prigion se non pagate. (parte)

SCENA SEDICESIMA

Il Cavaliere, poi Lisetta

CAV.

Diavoli come ho da fare


A chiedere e pregare?

Come potrò a costei

Dir le miserie ed i bisogni miei?

LIS.

Che fa qui il cavalier? (Mi par turbato).

Serva sua, mio signor.

CAV.

Schiavo obbligato.

LIS.

Troppo gentil.

CAV.

Le donne

Tratto con civiltà.

Voi meritate assai.

LIS.

Troppa bontà.

CAV.

(Come principierò?)

LIS.

Che ha, mio signore?

Par di cattivo umore.

CAV.

Vi dirò.

Tra me pensando vo

A una compra de' beni

Che deggio far per quattromille scudi.

Oggi dee stipularsi l'istromento,

E mi mancano ancor scudi trecento.

LIS.

(Ho capito che basta). (da sé)

CAV.

I miei fattori

Sono lontani assai.

LIS.

E quando preme, non arrivan mai.

CAV.

È ver; se si potesse

Trovar questo danaro...

LIS.

E perché no?

CAV.

Lo trovereste voi?

LIS.

Lo troverò.

CAV.

So che il vostro padrone

È un uom ricco, riccone.

LIS.

È vero, e il padron mio

È solito di far quel che vogl'io.

CAV.

Tanto meglio; per voi

La mancia vi sarà generosissima:

Vi darò dieci scudi.

LIS.

Obbligatissima.

CAV.

D'una cosa vi prego, in confidenza:

Non fate che si sappia

Questa richiesta mia;

Non ne state a parlar con chi si sia.

LIS.

Non dubitate, or vado

A chiamar il padrone.

(Se tu speri il danar, sei ben minchione). (parte)

SCENA DICIASSETTESIMA

Il Cavaliere, poi Scrocca

CAV.

Scrocca, Scrocca, ove sei?

SCR.

Signor, son qui.


CAV.

Ho parlato.

SCR.

Che ha detto?

CAV.

Ha detto sì.

SCR.

Me ne rallegro.

CAV.

Ora verrà il danaro;

Sono tutto contento.

SCR.

Affé, l'ho caro.

SCENA DICIOTTESIMA

Lisetta, Pancrazio e detti.

LIS.

Venga, signor padrone,

La vuol pregare il signor cavaliero.

CAV.

Non prega alcuno il cavalier dal Zero.

SCR.

(Un poco d'umiltà). (piano al Cavaliere)

PAN.

Se non comanda,

Dunque me ne anderò.

CAV.

Ascoltate, Pancrazio.

PAN.

Ascolterò.

SCR.

(Siate un poco più dolce

In grazia del bisogno). (piano al Cavaliere)

CAV.

(Ho da chieder danari? Ah, mi vergogno).

Signor, mi conoscete:

Son nobile, il sapete.

Bisogno non avrei,

Se avessi i beni miei...

Parlate voi per me. (a Lisetta)

SCR.

(Superbia maledetta). (da sé)

PAN.

Che mi vuoi dir, Lisetta?

LIS.

Padron, badate a me.

Questo signor mio caro

Bisogno ha di danaro.

CAV.

Il cavalier dal Zero

Misero mai non fu.

PAN.

Dunque, se non è vero,

Non ne parliamo più.

SCR.

(Uh maledetto,

Lo scannerei).

PAN.

Signori miei,

Buon servitor.

CAV.

No, non andate.

SCR.

Signor, restate.

LIS.

Questo signore

CAV.

Vi vuol pregar.

Vuò domandare,

Non vuò pregare;

Non chiedo in dono,

Io son chi sono.


State in cervello:

Voglio a livello

Scudi trecento,

E il sei per cento

Vi pagherò.

Che risolvete?

PAN.

Io non ne ho.

LIS.

Padron mio caro.

PAN.

Non ho danaro.

SCR.

Padron mio bello.

PAN.

Non do a livello,

Non vuò impicciarmi

Con chi trattarmi

Meglio non sa.

CAV.

Signor Pancrazio,

Per cortesia.

PAN.

Io riverisco

Vossignoria.

SCR.

Signor Pancrazio

Vi prego anch'io.

PAN.

Schiavo divoto,

Padrone mio.

LIS.

Lisetta vostra,

Padron gentile,

Vi prega umile

Per carità.

PAN.

Trecento scudi

Eccoli qua.

SCR.

Vengono, vengono.

CAV.

Vengono affé.

PAN.

Ma sicurezza...

LIS.

Dateli a me.

Signor, la quaglia canta: (al Cavaliere)

Qua, qua, qua, qua, qua, qua. (facendo cantare la bocca)

CAV.

Contatemi il danaro.

LIS.

Or or si conterà.

SCR.

L'abbiamo per contato,

Così si prenderà.

PAN.

Lisetta, sicurezza.

LIS.

Or or ce la darà.

Signor mio caro, (al Cavaliere)

Questo danaro

Vuol sicurtà.

CAV.

I miei poderi.

LIS.

Non ci son più.

SCR.

Il suo palazzo.

PAN.

Vuol cascar giù.

CAV.

I miei giardini.

LIS.

Pochi quattrini.

SCR.

L'argenteria.

PAN.

È andata via.

CAV.        } a due        Ci resta il titolo

Di cavalier.


SCR.

LIS.

} adue

Questo capitolo

PAN.

Non può valer.

CAV.

Dunque, che dite?

SCR.

Dunque, che fate?

LIS.

} adue

Cercando andate

PAN.

La sicurtà.

LIS.

La quaglia canta: Qua, qua, qua, qua.

CAV.

Son disperato, Non c'è pietà. (partono)


ATTO SECONDO

SCENA PRIMA

Camera in casa di Pancrazio.

Pancrazio solo.

È bene una gran cosa

Che viver non si possa a modo suo,

E che cerchi ciascuno i fatti altrui,

Senza pensare, e provedere i sui.

Vengo in campagna, e qui goder io bramo

La dolce libertà;

E in questa casa a forza ognor vien gente.

Vengo per divertir la mia figliuola,

Che sempre non stia sola

Serrata in quattro mura,

Ma neppur qua so ben se sia sicura.

Vengo alfin per scoprire

A Lisetta il mio cuor tenero e caldo,

E finora parlarle

Non potetti, e il mio amor manifestarle.

Più lontano anderò, sì, più lontano

E nascosto ad ognun... Ma poi Lisetta

Che farà? Verrà meco

Lisetta ancor; ma s'avvicina... Oh quanto

È vaga ed ammirabile!

Oh quanto, oh quanto sei, Lisetta, amabile!

SCENA SECONDA Lisetta e detto.

LIS.                        Che fu, signor padrone?

Che v'ho fatt'io? Mi pare Che più ben, come pria, non mi volete.

PAN.                      Perché dite così? perché temete?

LIS.                        Perché questa mattina

Voi detto non m'avete una parola;

Ero usata a sentirmi

In camera chiamare, ed ordinarmi

La cioccolata ed il caffè,

Ma questa mane poi,

Nulla, caro padron, feci per voi.


Quando vi sono accosto,

Solo giubilo e godo,

E provo doglia ben sì cruda e strana

Quando al caro padrone io son lontana.
PAN.                      Anch'io se teco sono,

Cara Lisetta mia, vivo contento;

Ma non vedi che folla

Di forestieri è stata ad imbrogliarmi?
LIS.                        Che volete voi far? vi vuol pazienza.

PAN.                      Tutto va ben, ma con più pace, e senza

Disturbi, io viver voglio,

E perciò ritirarmi più lontano.

Non dormir la mattina il suo bisogno,

Cenar tardi, e star sempre in soggezione,

Non è buon per mia debol complessione.

Io spendo, e in complimento

Mi rovino per gli altri, e però penso

Allontanarmi più: che te ne pare?

Su questo che sapresti consigliare?
LIS.                        Non so che dir: padrone,

Voi ben dite e pensate,

Per quanto a voi conviene,

Ma di me, poveraccia,

Che cosa sarà mai? (piange)
PAN.                                                     Cara Lisetta,

Non pianger, per pietà. Di che paventi?

Ch'io ti lasci giammai? Oh non temerlo.

Meco, meco verrai;

Meco, Lisetta mia, tu resterai.
LIS.                        Ma in questo che direbbe

La gente avvezza a mormorar per nulla?

Un'onesta fanciulla

Sola in casa d'un uom, lontana ai suoi,

Con un padron non tanto vecchio ancora...

Basta...
PAN.                                  Tu dici bene;

Se fossi vecchio assai,

Nulla da sospettar non vi sarebbe.

Ma pur v'è la mia figlia.
LIS.                                                              È ver, ma presto

Maritarla dovrete.
PAN.                                                   Io dovrò farlo.

LIS.                        E allora resterem noi soli in casa?

Oh poveretta me! cosa vorrete

Che di noi dica il mondo?
PAN.                      Dunque restar potresti

Così senza di me?
LIS.                                                     Restar potrei?

Eh no, signor padrone!

Se mi lasciate qua, certo morrei;

Allevata da voi,

Vi stimo come padre.


PAN.                                                       Ed io da figlia.

Eppur, se non volete

Meco venire, vi vorrà pazienza;

Veggo ben che di me poco vi preme,

E che qualche genietto

Vi tiene il cuor tra' lacci suoi ristretto.
LIS.                        Padrone, se ho morosi,

Il diavolo mi porti, e prego il cielo

Che... Basta, io non penso

Ad alcuno...; ma piano

Con questi giuramenti: oh, che purtroppo

Penso a persona che mi sta nel cuore.
PAN.                      Ah? brava! non l'ho detto?

Si può saper del vostro amor l'oggetto?
LIS.                        Io lo direi... Ma...

PAN.                                                   Dite

Con libertà.
LIS.                                           Che ve lo dica; e poi?

PAN.                      Parlate pur, dite, chi è?

LIS.                        L'oggetto del mio amor siete sol voi.

PAN.                      Io, cara?

LIS.                                      Signor sì.

E voi potresti poi lasciarmi qui?

Voi lasciarmi? Oh questo no; Caro, caro padroncino, Quel visetto tenerino M'ha ferito il coricino. Voi lasciarmi? io morirò. Padroncino dolce, dolce, O d'amarmi risolvete, O rendetemi il mio cor.

Lo vedete, son ferita, Sono morta... Oimè, pietà... Voi lasciarmi? Oh questo no, Padroncino bello, bello, Voi vedete La mia vita...

Più non posso, oh dei, soffrire Il martire - dell'amor. (parte)

SCENA TERZA

Dorisbe e Pancrazio

PAN.                      Oh quanto è cara e buona

Quella ragazza mia!
DOR.                                                     Padre diletto,

Tempo mi par che risolviate un poco

Del mio stato futuro.


PAN.

Oh sì, ci penso, figlia mia, sicuro;

Ma tu sei giovanetta,

Né manca tempo a cercar stato ancora.

DOR.

È vero, genitor, ma gli anni miei

Cominciano a lasciare il più bel fiore,

Ed inquïeto in seno io sento il core.

PAN.

Ami tu forse?

DOR.

Oh dei! Padre, purtroppo

Amor mi strinse in sue ritorte amiche.

PAN.

E chi ami tu?

DOR.

Di Montebello il conte.

PAN.

Ed ei ti corrisponde?

DOR.

Io così spero.

PAN.

E ben, sposa sarai del cavaliero.

DOR.

E di qual cavaliero?

PAN.

Non dicesti

Che tu ami il cavalier di Montefosco?

DOR.

No no, di Montebello

Il gentil conte adoro.

PAN.

E vuoi tu quello?

DOR.

Se vi piace così, son paga anch'io;

E questo, io dico il vero, è il genio mio.

SCENA QUARTA

Scrocca e detti.

SCR.

È permesso venir?

DOR.

Che vuol costui?

PAN.

Venite pur, cosa volete?

SCR.

A voi,

Lustrissimo signor, con permissione

Vorrei spiegare un mio concetto solo.

PAN.

Parlate, che volete?

SCR.

A vossustrissima

Umilmente perdono

Chiedo, padrona mia riveritissima.

DOR.

Vi son ben obbligata.

SCR.

Ah, mi condanni

Il disturbo, illustrissima padrona.

DOR.

Nulla, nulla, parlate.

SCR.

Io non sapevo

Che la fosse qui sola

Con il nobile suo padre illustrissimo. (a Dorisbe)

PAN.

Ma via, cosa volete?

Abbastanza lustrato ormai m'avete.

SCR.

Non vorrei che diceste

Che questo è troppo ardir.

DOR.

Ma via, parlate

Con libertade.


SCR.

Oh, per amor del cielo,

La mi scusi, signore.

PAN.

Oh che seccaggine!

Ma dite che volete, e le parole

Buttate fuori...

SCR.

Io qui sono mandato

Dal cavalier, lustrissimo padrone.

PAN.

Che vuol da me?

SCR.

Parlarvi.

PAN.

E tanto vi voleva?

SCR.

Oh dei! forse è sdegnato,

Lustrissimo signor? Ei m'ha mandato.

PAN.

Nulla, nulla, che venga.

SCR.

Se vado dunque, e lui verrà fra poco.

DOR.

(Oh che tormento, io me ne sto nel fuoco). (da sé)

SCR.

Umilissime grazie

Alla bona grandissima

Di vostra signoria sempre illustrissima.

PAN.

Andate pur, non occorr'altro.

SCR.

Ho inteso.

PAN.

Verrà...

SCR.

Permetta intanto.

PAN.

Andate in pace,

Già m'avete seccato.

SCR.

Ah, la permetta...

PAN.

Ho inteso, andate là.

SCR.

Signor, la supplico (vuol baciare la mano a Pancrazio)

A permetter che baci a lei la mano,

Solo perché non l'ho pregata invano.

Vengo, illustrissimo,

Le sue carissime

Grazie a ricevere.

A vossustrissima

Io do il buon giorno,

Di vossustrissima

Grazie ritorno

Alla bontà.

Un cuor ch'è nobile,

Un cuor magnanimo,

Sempre conoscere,

Padron lustrissimo,

Sempre si fa. (parte)

SCENA QUINTA

Dorisbe e Pancrazio

PAN.

Maledetto colui!

Con tante cerimonie ei m'ha stordito,


Né mi ricordo più cosa m'ha detto.
DOR.                     Vi disse che voleva

Parlarvi il cavaliero.
PAN.                      Ho inteso, è ver. Vado al gastaldo, e voglio

Che il bisogno gli dia.
DOR.                     Ma padre, qual sarà la sorte mia?

PAN.                      Sarà la vostra sorte... si farà...

Deh, lasciatemi star per carità. (parte)

SCENA SESTA Dorisbe ed il Conte di Montebello

DOR.                     Oh misera Dorisbe! Il tuo destino

Prende un pessimo aspetto,

E il cuor balzando tel predice in petto.

Oh conte, oh conte mio,

Né ancor vi veggo... Eccolo appunto.
CON.                                                                                 Oh cara,

Qual pena vi conturba

Il sereno del ciglio e insiem del cuore?

A' nostri voti corrisponde amore?
DOR.                     Io lo spero, mio ben, ma il padre mio

Come indur non saprei

A stabilire i vostri preghi e i miei.

Facile a smenticarsi

Le promesse, i pensieri,

Fa che dubiti sempre o poco speri.
CON.                     E dunque, che farem?

DOR.                                                       Soffriamo un poco;

A tentarlo ritorno,

E voglio terminarla in questo giorno.
CON.                     Adorato mio bene,

Volentieri sopporto

Il dolce peso delle mie catene;

Ma se perdo, mia vita, ogni speranza,

Per sostenermi, oh dei, che più m'avanza?
DOR.                     Ma voi parlar non gli faceste?

CON.                                                                     Io credo

Che a quest'ora parlato

Il cavalier gli avrà, se n'è impegnato.
DOR.                     Voglia il cielo che ascolti

Le sue proposte il genitor che m'ama;

E che voglia arricchirmi d'un tesoro,

Concedendomi voi, che solo adoro.
CON.                     Come, ne dubitate?

DOR.                                                     Oh dei! mio bene,

Così sperar e dubitar conviene.
CON.                     Così parlando a chi v'adora, o cara,

Infondete nel sen doglia più amara.


A questo dubbio atroce, Ah, che morir mi sento! Io perdo e moto e voce, E l'aspro mio tormento Non posso più soffrir. Tener l'amato oggetto Vicino agli occhi e al cuore, E aver con esso in petto Di perderlo il timore, È un duol che fa languir. (parte)

SCENA SETTIMA

Dorisbe sola.

Amore, amor fecondo,

Volgi lo sguardo a chi ti sacra il petto.

Se il fato mi divide

Da quello del mio fuoco

Sì pregiabile oggetto,

Quale, oh numi, sarà la vita mia?

Sempre in pene ed affanni

Passerò sospirando i più begli anni.

Se dell'anime fedeli Tu secondi i voti, amore, Deh, seconda del mio cuore Anco i voti in questo dì.

Non soffrir che le crudeli Smanie ree de' sventurati Turbin cuori amanti amati, Cui ragione i lacci ordì Il piacer di questo cor. (parte)

SCENA OTTAVA

Gabinetto in casa di Pancrazio.

Madama e Pancrazio

MAD.                    Io la voglio così, non replicate.

Se vi piace l'offerta,

Abbracciatela tosto, o me ne vo.
PAN.                     Bene, ho inteso. Madama, io penserò.

MAD.                    Non v'è tempo a pensar, via, risolvete.

Io son ricca, il sapete,

Son bella, lo vedete,


Son buona, il proverete; e poi e poi,

Pare che nata apposta io sia per voi.
PAN.                      Grazie, grazie, madama. Io mi ricordo

Assai ben la lezione.
MAD.                                                      Replicatela.

PAN.                      Diceste che volevi

Piante da seminar nel giardinetto.
MAD.                    Il diavol che vi porti!

Parlai del matrimonio progettato.
PAN.                      Della figliuola mia non ho parlato.

MAD.                    Ma scusate, Pancrazio,

Questa maniera vostra è assai incivile;

Non son donna sì vile

Che meriti per scherno esser trattata

Con sì poca creanza.
PAN.                                                       Oh ciel! Madama

Mi torni a replicar ciò ch'ella brama.
MAD.                    V'ho detto di sposarvi.

PAN.                                                          Oh bene, oh bene!

MAD.                    Ma con patto però, che mi lasciate

In libertà di far ciò che mi piace.
PAN.                      Oh brava, oh brava! viveremo in pace.

MAD.                    Di mode e servitù farò provvista;

Io vo' gioie e carrozza,

E come s'usa in oggi dalla gente,

Io doppio voglio il cavalier servente.
PAN.                      Abbiatene anche tre, nulla m'importa.

MAD.                    Nel teatro vuò palco,

E vuò conversazione

Tre giorni almen la settimana.
PAN.                                                                      È giusto,

Madama ha ben ragione, io ci ho gran gusto;

E poi...
MAD.                                 E poi il mio cuore

Solo per voi sarà arrostito e cotto.

Voi sarete il mio ben (oh che merlotto!).
PAN.                      Eh via, rider mi fate.

MAD.                                                      Un altro scherno!

PAN.                      No, madama, vi dico esser il riso

Dell'interno piacer segno ben chiaro.
MAD.                    Io dunque al matrimonio mi preparo.

PAN.                      Ella è padrona.

MAD.                                             A me dunque la mano

Di sposo porgerete?
PAN.                                                       Oh piano, piano.

Le cose non vo' far con tanta fretta,

E consigliar mi voglio con Lisetta.
MAD.                    Oh bella, oh bella affé. Voi posponete

Ad una serva vile una signora

Che vi stima cotanto e che v'adora?

Figlia d'un generale de' cavalli,

Son ricca d'ogni ben che amor comparte;


Orsù, poche parole,

Non mi merita, no, chi non mi vuole.

Un brutto vecchiaccio,

Stizzoso, insolente,

Non speri godere

Di donna gentile

L'amore e la fé.

Il vero vi dico,

Io voglio al mio lato

Un giovin garbato,

Che meriti amor.

Stizzoso vecchietto,

Vi mando e stramando,

Non fate per me. (parte)

SCENA NONA

Pancrazio, poi il Cavaliere

PAN.

Che gran fortuna io perdo!

Pianger mi converrà la mia disditta.

CAV.

Oh galantuomo, quel ch'è stato è stato;

Vi perdono, già il caldo m'è passato.

PAN.

(Oh che boria! Oh che fumo!) (da sé)

CAV.

V'ho da parlar.

PAN.

Lungo negozio?

CAV.

Breve;

Datemi da seder.

PAN.

Se è l'affar lungo,

Più tosto...

CAV.

Io vo' sedere.

PAN.

Oh subito, illustrissimo, la servo.

Lisetta, vieni qua.

SCENA DECIMA

Lisetta e detti.

LIS.

Che volete, signor?

PAN.

Porta una sedia,

Che questo galantuomo

Vuole...

CAV.

Che galantuomo? a chi parlate?

PAN.

Oh, non mi ricordai. Signor, scusate.

LIS.

Ma insomma, che volete?

CAV.

Lisetta, da sedere.

LIS.

Ora vi servo. (Lisetta parte e poi ritorna)


CAV.

Oh! che bella ragazza!

PAN.

È cameriera

Di mia figlia Dorisbe...

CAV.

E insiem di voi...

PAN.

Vuol saper troppo.

CAV.

C'intendiam fra noi.

LIS.

Ecco le sedie: volet'altro?

CAV.

Addio.

LIS.

Che spiantato che siete, o padron mio!

Spennacchiato barbagianni

Mi parete, o padron mio,

Che facendo va così.

(s'alza e s'abbassa, imitando il moto del barbagianni)

Mi parete un civettone,

Che gli augelli abbia desio

D'ingannar sul far del dì.

Ma non son per vostri inganni

Un merlotto, pettorosso:

Vi conosco,

Vi disprezzo,

Di voi rido,

Civettaccio,

Maledetto spiantataccio;

Io di voi non so che far.

Io vi dico in confidenza,

In presenza del padrone,

Se volete, ch'io vi mando

Sino a farvi ben girar. (parte)

SCENA UNDICESIMA

Il Cavaliere e Pancrazio

CAV.

Che insolenza... cospetto! (siede)

PAN.

E via, signore,

Non si riscaldi il sangue.

CAV.

Or ora è stato al mio palazzo il conte

Di Montebello, e mi baciò la mano,

E come che egli gode...

PAN.

Con buona grazia. (siede)

CAV.

La mia protezione,

Egli m'ha confidato,

Che della figlia vostra è innamorato.

Gli ho fatto dar la cioccolata, e intanto

Il tutto mi narrò,

Ed umilmente poi mi supplicò

Che parlar vi volessi. Io consolarlo

Promisi tosto, e come siamo in villa,

Coll'occasion che per di qui passai,


Visitarvi Pancrazio io non negai.

Venni in persona a domandar per lui

La vostra figlia bella,

E fo miei propri i desideri sui.
PAN.                      Attonito rimango

Dell'onor che mi fa

L'illustrissimo... oh bella!

Non mi ricordo il nome...
CAV.                     Il cavalier dal Zero.

PAN.                      Sì, sì, me lo ricordo, è vero, è vero.

Poiché passò di qui, sendo in campagna,

Un onor così grande egli mi fa;

Del resto un tal signor di qualità

Incomodato no non si saria

Di decorar così la casa mia.
CAV.                     Eh, siamo in villa. E ben, che rispondete?

PAN.                      Io gli dirò con libertà sincera:

Ho da fare un pochetto, e la mia figlia

Dar non posso a... chi mai? chi fu mai quello?
CAV.                     Pel conte la chies'io di Montebello.

PAN.                      Ho la bella memoria! un tal soggetto

Merita una gran stima,

Ma colla figlia mia vo' parlar prima.
CAV.                     Bene, ritornerò.

A che ora pranzate?
PAN.                                                     Io non lo so.

CAV.                     Io mi figuro a mezzodì sonato.

PAN.                      Qualche volta a quell'ora ho già pranzato.

CAV.                     Dunque verrò più presto.

Ma se vi trovo a tavola,

Non vorrei aspettar.
PAN.                                                     Se i pari suoi...

CAV.                     Sì, sì, v'ho inteso, io pranzerò con voi.

PAN.                      Mi dispiace che lei...

CAV.                     Sendo a tavola insieme,

Potremo ragionar di quel che preme.
PAN.                      Ragionare di che? non mi ricordo.

CAV.                     Fate lo smemoriato o fate il sordo?

Torneremo da capo a desinare.
PAN.                      Venga. (Per una volta si può fare). (da sé)

CAV.                     E se a pranzo si dee tutto concludere,

L'ora prefissa anticipar conviene.

(Questa mattina io mangierò pur bene). (da sé)

Amico grandissimo,

Io vo' compiacervi,

Voi siete dolcissimo

Nel chieder favori;

Verrò, non temete,

All'ora prescrittami,

A pranzo verrò. Onor così piccolo,


Ad uno che prega

Con grazia ed ossequio,

Conceder si può;

All'ora prescritta,

Pancrazio, verrò.

(E intanto la fame

Così lascierò). (da sé, e parte)

SCENA DODICESIMA Pancrazio e poi Lisetta

PAN.                      Che superbo curioso!

Non sputa che grandezze! Oh quanto è strana

La povertà superba,

Massime in chi pel vizio

Miserabil si trova e in precipizio.

Ei vuol... non mi sovviene.

Ei venne... Oh ciel, perché?

Mi par che venne per sposarsi a me.

Questa sì ch'è graziosa:

Il povero Pancrazio è fatto sposa.

Lisetta, o mia Lisetta,

Vien qua, m'ascolta.
LIS.                                                       Oh buone nuove assai!

PAN.                      Ridi, Lisetta mia.

LIS.                                                  Perché?

PAN.                                                              Trovai

Un uomo che mi vuol.
LIS.                                                         Rido davvero.

Chi è questo?
PAN.                                            Il conte... no.

LIS.                                                                   Né il cavaliero?

PAN.                      Oh sì, fu quello appunto.

Ma dimmi, non sarebbe un matrimonio

Bello invero e gentile?
LIS.                        Veder non si potrebbe altro simile.

PAN.                      Volo a dirlo a Dorisbe.

LIS.                                                            Meno fretta,

Forse avrete sbagliato.
PAN.                      No no, non sbaglio no, son maritato.

Forse non ho un bel viso?

Forse non ho un bel naso?

Il merito ravviso

Di chi m'ha persuaso;

Oh cara, oh bella cosa!

Lisetta graziosa,

Con te mi sposerò. Allora che diranno,


Smorfiose, pontigliose, Tante che l'esser spose Speravano con me? D'invidia creperanno; Frattanto io goderò. (parte)

SCENA TREDICESIMA Lisetta ed il Cavaliere

LIS.

In verità, del mio padrone il genio

Molto allegro mi sembra, e in compagnia

Non può di lui regnar malinconia.

CAV.

Lisetta, a che ora suole

Pranzare il tuo padrone?

LIS.

Ei chiede in tavola

Tosto che è ritornato.

CAV.

(Dunque gli è ben che io abbia anticipato). (da sé)

LIS.

È forse del padrone

Commensale anche lei?

Questa cosa da ver la goderei.

CAV.

Da lui volea saper... Ma siete appunto

Opportuna, Lisetta,

Ad appagare il genio mio.

LIS.

Comandi.

CAV.

Quanto di dote alla sua figlia serba

Questo signor Pancrazio?

LIS.

Io non lo so;

Secondo l'occasione, io crederò.

CAV.

Mille ducati deve darli a me;

Ed allo sposo il pro,

Con un cinque per cento io pagherò.

LIS.

Ma ella vede ben... convien che tutta

La dote egli consegni in man di lui.

CAV.

Siamo intesi fra noi:

Gli fo distinta grazia

Tal somma ad impiegar con sicurezza.

LIS.

Trattandosi di dote,

Veder bisogna i fondamenti.

CAV.

Bene.

Già lo sposo è contento. Egli assicura

Su' suoi beni la dote,

E impedir non si dee ch'egli investisca

Mille ducati, e a me li favorisca.

LIS.

Se matrimonio tal succederà...

CAV.

Succederà, lo so, succederà.

LIS.

Se lo sposo vorrà mille ducati

Dare a voi...

CAV.

Li darà, sì, li darà.


SCENA QUATTORDICESIMA Madama e detti.

MAD.

Dov'è il signor Pancrazio?

Quasi del desinar passata è l'ora,

E non si vede ancora?

LIS.

Sarà pei fatti suoi.

CAV.

Avrò l'onor di desinar con voi. (a Madama)

MAD.

Dorisbe m'ha invitata.

CAV.

Pancrazio m'ha pregato:

Non vado mai a desinar da alcuno.

LIS.

(Ehi, se posso, vuò farlo andar digiuno). (piano a Madama)

MAD.

(Oh, la sarebbe bella!) (piano a Lisetta)

LIS.

(Voi secondate un poco;

Forse non riescirà cattivo gioco). (piano a Madama)

SCENA QUINDICESIMA Scrocca e detti.

SCR.

Sia ringraziato il cielo!

Trovato ho vossustrissima. (al Cavaliere)

Padrona colendissima. (a Madama)

Ragazza gentilissima. (a Lisetta)

LIS.

Bella caricatura sguaiatissima.

SCR.

Una parola in grazia. (al Cavaliere)

CAV.

Tu mi vieni a seccare.

SCR.

(Oggi, signor, non v'è da desinare). (piano al Cavaliere)

CAV.

(Io resto a pranzo con Pancrazio mio). (piano a Scrocca)

SCR.

(Se ci restate voi, ci resto anch'io). (piano al Cavaliere)

CAV.

E quando viene? Un'ora

È dopo il mezzodì.

(Dalla fame languisco).

LIS.

Eccolo qui.

SCENA SEDICESIMA

Pancrazio e detti.

PAN.

Servo di lor signori.

CAV.

Buon giorno, amico mio.

SCR.

La riverisco anch'io.

PAN.

Che vogliono da me?

CAV.

Venuto sono

A desinar con voi.


PAN.

Chiedo perdono.

Sappia vossignoria

Ch'io non faccio locanda in casa mia.

SCR.

(Oh bella!)

LIS.

(Oh buona affé!)

CAV.

Voi non diceste a me

Che venissi a pranzar? non son balordo.

PAN.

Io dissi?...

CAV.

Sì signor.

PAN.

Non mi ricordo;

E voi, signora mia? (a Madama)

MAD.

Sono invitata

Da Dorisbe, che seco aver mi brama.

PAN.

E voi? (a Scrocca)

SCR.

Col piatto servirò madama.

PAN.

Viva; bravi, ne godo.

LIS.

Signor patron, vi lodo;

In villa per goder così si fa,

Usar convien la generosità.

PAN.

(Cara Lisetta mia,

Codesto cavalier non lo vorrei). (piano a Lisetta)

LIS.

(Lasciate fare a me). (piano a Pancrazio)

PAN.

(E il servo?) (piano a Lisetta)

LIS.

(Se n'andrà). (piano a Pancrazio)

PAN.

(Confido in te). (piano a Lisetta)

SCR.

(Che diran fra di lor serva e padrone?) (piano al Cavaliere)

CAV.

(Studiano per trattarmi in soggezione). (piano a Scrocca)

MAD.

Scusate se l'invito

Con ardire ho accettato. (a Pancrazio)

PAN.

Son io che v'ho invitato?

MAD.

No, la vostra figliuola.

PAN.

Ah sì, gli è vero.

CAV.

Amico, colle dame

Siate gentil; questa signora ha fame.

LIS.

E lei? (al Cavaliere)

CAV.

Così e così.

LIS.

E voi? (a Scrocca)

SCR.

Un poco più.

LIS.

Vado a far preparar? (a Pancrazio)

PAN.

Pensaci tu.

LIS.

Vado a far dare in tavola;

Vado, e ritorno subito.

Fatto sarà, non dubito,

Un desinare amplissimo;

Fatto sarà prestissimo:

Tosto ritorno qui. (parte)

MAD.

Frattanto che ritorna,

Che cosa si farà?

PAN.

Si sta in conversazione.

MAD.

Cantiamo una canzone.

CAV.

Ma se cantar non posso.


SCR.

Non posso in verità.

MAD.

Proviamola, Cantiamola, Che intanto venirà.

PAN.

Trovatela, Intonatela, Da noi si canterà.

MAD.

Parole e musica Tenete qua.

a quattro

Viva il cappone, Viva il piccione, Viva il ragù. Oh che sapore, Che buon odore! Non posso più.

(Il Cavaliere e Scrocca, cantando, languiscono dalla fame)

CAV.

Ecco Lisetta.

SCR.

La canzonetta Terminerà.

CAV.

Andiamo, andiamo.

SCR.

Si mangierà.

LIS.

Il cuoco ha fatti Dodeci piatti.

CAV.

Bene, e così?

LIS.

Suppa santè.

SCR.

Buona per me.

LIS.

Carne stufata.

CAV.

Sarà pregiata.

LIS.

Tante polpette.

SCR.

Uh benedette!

LIS.

Polli arrostiti.

CAV.

Sono esquisiti.

LIS.

Tant'altre cose. (Lisetta parte)

SCR.

Tutte gustose.

TUTTI

Si scialerà.

LIS.

Ahi che disgrazia! (Lisetta ritorna)

CAV.

Cos'è accaduto?

LIS.

Ahi che accidente!

SCR.

Ch'è succeduto?

LIS.

È morto il cuoco,

Si è spento il fuoco. Son rotti i piatti

(Tutti: Eh!)

Dai cani e gatti. Non v'è più niente,

(Tutti: Oh!)

Mangiato fu.

(Tutti: Uh!)

TUTTI

Oh che disgrazia! Non mangio più.

MAD.

Se non si mangia, Che s'ha da far?

LIS.

Passar la fame S'ha col cantar.

TUTTI

Viva il cappone,


Viva il piccione,

Viva il ragù.

Oh che sapore,

Che buon odore!

Non posso più (partono)


ATTO TERZO

SCENA PRIMA

Gabinetto in casa di Pancrazio.

Il Conte, poi Pancrazio

CON.

Alfin convien risolvere;

Convien che parli io stesso

Al padre del mio bene,

E chieda il refrigerio alle mie pene.

Spero che da Lisetta

Sarà stato avvisato, e qui l'attendo

Incerto fra la speme ed il timore.

Oh quanto sei crudel, nume d'amore!

PAN.

Chi mi vuol, chi mi chiama?

CON.

Io son...

PAN.

Che vuole?

CON.

Conferire con voi quattro parole.

PAN.

Parli pure; ma prima

Mi dica chi lei è,

Che s'io non lo conosco

Non dee parlar con me.

CON.

Non conoscete

Di Montebello il conte?

PAN.

Mi pare e non mi par che lo conosca. (pensa)

CON.

Dunque del buon Pandolfo,

Che fu vostro fedel sincero amico,

Scordato già vi siete,

O per me ricordar non lo volete?

PAN.

Oimè, che nome! un tal dolor mi sveglia,

Che non so come fare

Il pianto a raffrenare.

Fu quasi mio fratello.

CON.

Or ravvisate il mio buon padre in quello.

PAN.

Sì, lo conosco bene;

Mi dica che gli occorre, e parli libero.

CON.

Signor Pancrazio mio,

Dorisbe vostra figlia

Adoro riverente ed amoroso,

E l'onor bramerei d'esserle sposo.

PAN.

Sì signor.

CON.

Voi sapete

Lo stato di mia casa,

E sapete quant'io sia ritenuto.

PAN.

Oh benissimo, io l'ho riconosciuto.


CON.

L'amabile Dorisbe

È del mio amor contenta,

E solo aspetto il vostro genio udire.

PAN.

Ho inteso, ho inteso tutto;

Dorisbe sarà vostra.

CON.

E quali grazie

Rendere al vostro amor potrei, signore?

Io v'offro in ricompensa un grato cuore.

Padre, nell'alma io sento

Nascere un tal contento,

Che placido mi dice

Che alfin sarò felice

Col caro amato ben.

Quel nero ciglio e il volto,

Ov'è ogni bello accolto,

Stringerà il cuore amante,

Che or va saltando in sen. (parte)

SCENA SECONDA

Madama e Pancrazio

MAD.

Vi proposi il partito

Di cui forse il miglior non troverete;

E voi, signor, perché non risolvete?

PAN.

Mia moglie esser volete?

Oh, questa sì ch'è bella!

Mi giunge inaspettata tal novella.

MAD.

Come? non vi sovviene

Di quel che s'è discorso appunto qua?

PAN.

Non mi ricordo niente in verità.

MAD.

Ho sofferto abbastanza,

In pregiudizio ancor del mio decoro;

Or risolver convien.

PAN.

Qui su due piedi?

MAD.

Rispondete alla prima, sì o no.

PAN.

Sì... no... così e così... ci penserò.

MAD.

Ma ne' pensieri vostri

Siete dubbioso e vario.

PAN.

Non vi trovo, signora, nel lunario. (parte)

SCENA TERZA

Madama, poi Scrocca

MAD.

Mi schernisce, mi burla,

Di me si prende gioco


Per farmi più dispetto?...
SCR.                      Illustrissima, io sono...

MAD.                                                         (Oh maledetto!) (da sé)

SCR.                      (Opportuno son giunto). (da sé)

Io diceva, illustrissima...
MAD.                    Cospetto del gran diavolo!

SCR.                      Illustrissima sì. (L'ora è cattiva). (da sé)

MAD.                    Di chi mi lagno? Tutti

Questi uomini indiscreti

Ci lusingano, e poi

I bricconi si burlano di noi.

Sono certi uomini

Così volubili,

E solo apprezzano

L'infedeltà.

Sempre s'aggirano

E qua e là. Amor promettono,

E fedeltà,

E poi c'ingannano,

Povere femmine.

Da lor guardatevi,

Per carità. (parte)

SCENA QUARTA

Scrocca solo.

Dopo averla lustrata a questo segno,

Non depose la collera e lo sdegno?

Pur nella donna il fumo

E l'ambizion prevale;

Ma quando è irata, è un perfido animale.

Quando la donna è in collera, Convien lasciarla star; Peggiore è del gran diavolo, Se non si può sfogar.

Se voi non mi credete, Se voi non ne ridete, Andatela a provar. (parte)

SCENA QUINTA Dorisbe, il Conte e poi Pancrazio

DOR.                     Impaziente attendo


CON.

DOR. CON. DOR. CON.

DOR. PAN. DOR.

CON. PAN.


Del genitore i sensi Propizi al nostro amore... Quanto tarda a venir...

Idolo mio, Di liete nuove apportator son io. Ben mel predisse il core. Le nostre nozze approva il genitore. Oh quanto lieta io sono! Ma conviene affrettarle, acciocché poi, Essendo il padre vostro smemorato, Non resti il dolce nodo disturbato. Ei ne saria capace. (esce Pancrazio) Bravi; amatevi sempre in buona pace. Padre, il ciel vi conceda Quegli anni fortunati Che a voi dal vostro amor son preparati. Sì, vi conceda il cielo Veder da tal momento La prole fortunata e me contento. Siete marito e moglie: or terminati Saran tanti sospiri, affanni e duoli; Or pensate a far nascer dei figliuoli. Amatevi del pari e rammentate Questo antico e verace sentimento: L'amor del matrimonio è il condimento.


DOR.

Più bramar non mi lice.

CON.

Momento fortunato.

DOR. CON.

} adue

O me felice!

CON.

Oh dolce amabil pegno Di mia felicità!

DOR.

Oh sospirato segno, Che vita alfin mi dà!

CON.

Idolo del mio seno.

DOR.

Mia vita, mio diletto, Ti stringo a questo petto Colmo per te d'ardor.

a due

Non si rallenti mai, Vezzosi amati rai, Né men per gioco Il foco Che vi feconda amor. (partono)

SCENA SESTA

Il Cavaliere in abito di gala, poi Lisetta


CAV.


Signor sì... mi sta bene... è di buon gusto. (pavoneggiandosi) È moderno il vestito... è bello assai.


Ma queste nozze non si fanno mai?

Son dal conte invitato,

Spero mangiare ed esser ben trattato.
LIS.                        (Oh che figura!) (da sé)

CAV.                                                       Par che questa sia...

Schiavo, Lisetta mia.
LIS.                                                         Uh, uh.

CAV.                     Tu ridi?

LIS.                                    Sì signore,

Ho sempre un poco d'allegria nel cuore.
CAV.                     Ridere in mia presenza

Mi par che sia un po' d'impertinenza.
LIS.                        Scusate, quando io vedo

Certe caricature...

Ah, ah. (ride)
CAV.                                  Sei troppo audace.

LIS.                        Io vo' rider, signor, quanto mi piace.

CAV.                     T'insegnerò il trattare.

LIS.                        Mel potete insegnare,

Se siete un cavalier così compito. (ironicamente)

Ma dite, come state d'appetito?
CAV.                     Son stanco di soffrirti.

Cospetto! ...
LIS.                                           No, signor, non v'alterate,

E se siete affamato,

Io vi consiglio a risparmiare il fiato. (parte ridendo)
CAV.                     L'affronto è memorando,

Ed io dovrò soffrir, dovrò tacere?

No... mi vo' vendicar da cavaliere.

Corpo di Bacco... io voglio

Andar sopra le furie.

Pazza... ragazza... a me

Sai dir cotante ingiurie?

Non son, se non mi vendico,

Non son un cavalier. Più duro di uno scoglio

Ho il cor per vendicarmi,

Io vo' che d'oltraggiarmi

Ti passi ogni pensier. (parte)

SCENA SETTIMA Lisetta, poi Pancrazio

LIS.                        (Ecco il padron che viene;

Alla fortuna mia pensar conviene). (da sé)

Fortunati quegli occhi

Che vi posson veder!
PAN.                                                       Con tanti intrichi


Sono stordito affatto.

Questo momento dunque

Non si perda, mia cara, inutilmente.

Mi vuoi tu bene?

LIS.

Niente.

PAN.

Come? Perché?

LIS.

Son io

La cameriera e voi il padron mio;

S'io v'amassi, dovrei

Troppo di poi patir per vostro amore.

Ho sì tenero il cuore,

Che lasciato una volta in libertà,

Più legarsi non sa.

PAN.

Dunque io non sono

Quello di cui tu pensi?

LIS.

Ma se vi penso, e poi?

PAN.

L'aggiusteremo presto fra di noi.

Vuoi tu che intero, intero,

Io ti spieghi il mio cuor?

LIS.

Parlate pure.

PAN.

Desideri esser mia?

LIS.

Volesse il ciel... ma poi, se son schernita?...

PAN.

Ben, sposiamoci dunque, ed è finita.

LIS.

Che poca carità ch'è mai la vostra!

Burlare un'innocente!

PAN.

Io ti parlo col cuor sinceramente.

LIS.

Se mi burlate poi, mi parrà strano.

PAN.

In pegno del mio amor, ecco la mano.

Lisetta carina,

In questa mattina

Ti giuro la fé.

LIS.

Vecchietto - caretto,

La fede, l'affetto

È tutto per te.

PAN.

Quel tutto mi piace,

Ma dubito ancor.

LIS.

Amatemi in pace,

Lasciate il timor.

PAN.

Quegli occhi son miei.

LIS.

Son vostri, si sa.

PAN.

Quel core vorrei.

LIS.

Prendetelo, è qua.

PAN.

Mio bel coricino,

Ti voglio, carino,

Deh vieni da me.

LIS.

Ma senza del core,

Signore, - si more.

PAN.

Vi dono il cuor mio.

LIS.

Ma questo dov'è?

PAN.

Il mio coraccione

Con tutto il polmone


Vi dono così.

Amor lo ferì.
LIS.                                 Mi piace così.

a due                               Il cambio del core

Che ha fatto l'amore

Contento mi dà.

SCENA ULTIMA Pancrazio, Dorisbe, Lisetta, il Conte, il Cavaliere, Madama e Scrocca

PAN.

Anche questa faccenda è accomodata.

E voi venite qui:

Siete marito e moglie. (a Dorisbe e al Conte)

CON. DOR.

} a due        Amore, io ti ringrazio.

CAV.

Quando, signor Pancrazio, (esce il Cavaliere)

A tavola si va?

Affrettiamoci un po', per carità.

LIS.

(Mancava quest'arsura). (da sé)

CAV.

Farem poi la scrittura.

MAD.

Ancor io ci sarò, se permettete. (esce Madama)

LIS.

Madama, troppo tardi giunta siete.

PAN.

È tutto accomodato,

E le nozze di far si è terminato.

CAV.

Come, senza di me?

LIS.

Tardi è venuto.

PAN.

Io non avrei creduto

Che fosse necessario a tal faccenda.

Sposo Dorisbe il conte, ed io Lisetta.

MAD.

(Ha voluto sposar quella fraschetta). (da sé)

CAV.

Il maneggio era mio. Io son chi sono.

Voi mi trattate male.

LIS.

Bisogno non abbiamo di sensale.

CAV.

Tu sei troppo importuna.

MAD.

(Ed io restar dovrò così digiuna?) (da sé)

SCR.

Mi rallegro, illustrissimi padroni.

CAV.

Io saprò far valer le mie ragioni.

PAN.

In grazia, una parola: (lo tira a parte)

Questi trenta ducati son per voi.

CAV.

Mi maraviglio... ma però li accetto,

Acciò sappiate che vi porto affetto.

PAN.

Obbligato davvero.

LIS.

Oh che compito cavalier dal Zero!

PAN.

Ora staremo tutti in allegria.

CON.

In così lieto giorno

Tutti gli affanni miei più non rammento;

Se voi siete mia sposa, io son contento.

DOR.

Men lieta non son io

Se, come vostra io son, voi siete mio.


LIS.

Ed io col mio vecchietto

Passerò i giorni miei lieti e felici.

PAN.

Ed io, poiché fa freddo, ho già pensato

Che una moglie in età così fiorita

Sarà opportuna, e mi darà la vita.

LIS.

Spiacemi che madama...

PAN.

In questo giorno

Consolarla desio...

Udite, se vi piace, un mio pensiero:

Ditemi, prendereste il cavaliero? (a Madama)

MAD.

Per mantener il lustro

Alla mia nobilissima famiglia,

Non per altri pensieri...

PAN.

E voi la sposereste? (al Cavaliere)

CAV.

Volentieri.

MAD.

Via, datemi la mano.

CAV.

Eccola, o cara;

Questo nobile acquisto mi consola.

MAD.

(È meglio prender lui che viver sola). (da sé)

CON.

Cavalier, mi rallegro.

CAV.

Conte, amico,

Della mia protezion siete sicuro.

MAD.

Amore e fede io vi prometto e giuro.

Della mia nobiltà, de' beni miei,

Padrone voi sarete;

Ma prometter dovete di cangiare

Il superbo trattare;

Poiché nel mondo tutto

D'un povero superbo

Non si può dare un animal più brutto.

CAV.

Qual vorrete, sarò.

MAD.

Dolce marito!

LIS.

(Che bella union di fumo e d'appetito!) (da sé)

PAN.

Quante gioie in un punto!

CAV.

(A satollar la fame alfin son giunto). (da sé)

CORO

Vivano i sposi Lieti, amorosi, E amore serbino E fedeltà.

E 'l dolce e amabile Laccio d'amore, Legando il core, Formi una stabile Felicità.

E viva gli sposi Graziosi, amorosi, E sentirò eterno Dell'alma l'ardor.


Fine del Dramma Giocoso.