Il premio nobel

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IL PREMIO NOBEL

Commedia in tre atti e quattro quadri

di HYALMAR BERGMANN

Traduzione dallo svedese di  Astrid Ahnfelt

Riduzione per le scene italiane di Lorenzo Ruggi

PERSONAGGI

ROLF SWEDENHYELM, senior, ingegnere

ROLF SWEDENHYELM, junior, ingegnere

JULIA KOER-NER, nata Swedenhyelm, attrice

BO SWEDEN­HYELM, tenente aviatore

ASTRID, la fidanzata di Bo

MARTA BOMAN, la cognata di Swedenfayelrai

PEDERSEN, giornalista

ERIKSSON

UNA DO­MESTICA a giornata

ALTRA DOMESTICA.

L'azione si svolge a Stoccolma nei tempi moderni.

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

(Un'ampia stanza con antichi mobili, eredità di una grande casa. I tappeti per terra sono un poco logori. A destra due porte, a sinistra tre finestre in fila, quasi co­perte di pesanti tende. In fondo una larga porta che dà alla sala da pranzo; si vede la grande tavola ingombra di sedie e due donne in grandi faccende.

Rolf Swedenhyelm, junior, è seduto in una comoda poltrona, occupato a prendere il suo caffelatte e a leggere i giornali del mattino. Cerca in ogni giornale un dato articolo, che studia con mimica vivace e raschiature di gola; ne getta uno e ne prende un altro. Dalla sala da pranzo viene Marta Boman, acconciata per una pulizia generale. Si avvicina alla poltrona, dove sta seduto Rolf, e comincia a sbottonare la fodera).

Marta                          - Scostati!

Rolf                            - (senza levare gli occhi dal giornale) Zia! Non gli danno il premio Nobel. Che ne dici?

Marta                          - Scostati!

Roi.f                           - E' proprio necessario levare la fodera dove io sto seduto?

Marta                          - E' forse necessario star seduto dove io ho da levare la fodera? Scostati!

Rolf                            - (alzandosi) Oso domandare cinque o sei fette di semplice pane comune, per questo caffelatte annac­quato!

Marta                          - Trovi il pane nella credenza. (Continua a levare fodere).

Rolf                            - (sedendosi di nuovo) Grazie. Ma io non mi scomodo a far ricerche nella credenza. Sono un uomo e posso pretendere d'essere servito, tanto più che in casa nostra le serve non mancano. No?

 Marta                         - Pretendi pure! (Julia entra dalla prima porta a destra, veste un pigiama, tutta freddolosa e piena di moine si avvicina a Marta).

Julia                            - (carezzevole e insinuante) Multi! Cara Mutti! Vorrei caffè! Un caffè più buono del solito! Cara Mutti!

Marta                          - La caffettiera sta sul fornello, il macinino sulla tavola, il barattolo del caffè sulla mensola.

Julia                            - (con un sospiro) Ho capito, grazie! (Va nella sala da pranzo con aria sconfitta).

Bo                               - (gridando dalla sua camera) Mainimi! Mammi!

Marta                          - Che c'è?

Bo                               - Ho fame! Una fame fantastica, che dà le ver­tigini!

Marta                          - E cosa vuoi? (Pausa. Con impazienza ripete) Ho domandato che cosa vuoi!

Bo                               - (viene dalla seconda porta a destra. P in pigiama e spazzola i suoi capélli con due spazzole, che ricordano quelle che si usano per i cavalli) Tas! Zitta! Zitta! Io sono un uomo che pensa prima di parlare. E la mia vec­chietta lo sa. (Si pianta davanti alla zia e la fissa negli occhi. Intanto continua a spazzolarsi i capelli; con un gesto risoluto unisce le due spazzole) Voglio una fetta di pane con formaggio, una con prosciutto, una con salame, una con acciughe, una con carne salata e sei con lingua. Hai capito?

Marta                          - Le pretese non sono poche.

Bo                               - E un gran bicchierone di latte!

Marta                          - E un gran bicchierone di latte! (Va nella sala da pranzo portando sul braccio le fodere).

Rolf                            - Bo! Non gli danno il premio Nobel!

Bo                               - (fa cadere le braccia) Davvero? O lo diciforse per farmi pendere l'appetito?

Rolf                            - Lo dicono i giornali... «Malgrado i grandi meriti dell'ingegner Swedenhyelm per le scienze...».

Bo                               - Che avevo detto io? Il babbo non è professore e non avrà mai il premio. Poi è un autodidatta. La gente non ci tollera. Noi non siamo me abbastanza ceri­moniosi, né abbastanza acri. Ecco come si spiega. (Inco­mincia a canticchiare improvvisamente l'aria dei « Pa­gliacci ») «Il soggetto vi dissi... ora ascoltate i fatti». Sarei curioso di sapere cosa ne pensa la giurìa: come farò io a vivere? Non lo dicono i giornali?

Rolf                            - Un giornale prova,con  una colonna e mezzo,che il lavoro scientifico del babbo manca di personalità. E di questa colonna e mezzo solo tre righe dedicate a me! A me che da dieci anni, da dieci anni, sono al suo fianco nel laboratorio. (Scatta in piedi e va su e già per la scena. Julia viene dal fondo macinando il caffè).

Julia                            - Che c'è, ragazzi, che c'è?

Bo                               - Non gli daranno il premio Nobel!

Julia                            - A chi?

Rolp                            - Al babbo, naturalmente.

Julia                            - Ah, che infamia! Ma l'avrebbe avuto altri­menti?

Rolp                            - Altrimenti? Che intendi dire con altrimenti?

Julia                            - Intendo intendo, se ci furono intrighi.

Rolp                            - Scimmia! Intrighi!

Julia                            - Povero babbino, come sarà dispiacente!... L'avete saputo? Ho dato lo sgambetto ad Axelin! Sì, sì! Sotto il suo naso le ho soffiata la sua parte!

Rolf                            - Scimmia!

Julia                            - Povero babbino! Ma se io avrò un successo colossale, piramidale, tornerà ad essere contento. Non lo credete forse, ragazzi?

Rolf                            - Scimmia!

Julia                            - E avrò successo! L'avrò. L'avrò, mi costasse anche più di quanto possa spendere per i miei vestiti. Axe­lin creperà d'invidia, ve lo assicuro... Non capisco perché siate di cattivo Umore, ragazzi. La vita è tanto bella! Vi trovo proprio sgarbati. Macino, macino, e nessuno mi dice una parola. (Ha fatto un giro per la scena. Ora si trova davanti alla porta di fondo. Si volta e s'inchina a destra e a sinistra con un affabile sorriso. Esce con molta grazia).

Rolf                            - (le grida dietro) Scimmia!!! Benedetta ragaz­za, egoista, non pensa mai che a se stessa, non pensa che a riportare trionfi, lei! Mentre io, io, dopo dieci anni di lavoro indefesso, son liquidato in tre righe. E per giunta mi chiamano Augusto invece di Rolf. Augusto Swedenhyelm! Che cretini! Non posseggono dunque nes­sun elenco di nobili, questi imbrattacarte? E' mancanza di coscienza, è disprezzo per un particolare che può sem­brare, ma non è senza valore. Fan rabbia! Secondo me, la stampa dev'essere riformata, è la mia preterea censeo ». La stampa è affondata in una palude materialista che... (Marta entra dal fondo, portando un vassoio con i panini, che depone su un tavolino. Ha fatto qualche passo per uscire, quando viene fermata da Bo).

Bo                               - (con dolce rimprovero) Mammi! Mammi! Non ci siamo intesi: porti sei panini con prosciutto mentre non ho mai pronunziata la parola « prosciutto ». Non so neanche come si scriva « prosciutto »!

Marta                          - (voltandosi a Rolf) Non diceva forse fette con prosciutto?

                                    - (Questa contemporaneità di battute va concertata).

Rolf                            - ... offrirebbe una missione per noi Svedenhyelm. Qualunque cosa di noi si dica, noi siamo degli idealisti!

Bo                               - E' fantasticamente impossibile che io abbia par­lato di prosciutto. Lo odio. E tu sai, Maimmi, che io sono forte nell'odio come nell'amore. Caviale ho detto, caviale, caviale...

 Marta                         - Ma caro mio! Tu hai certe pretese!... (Esce dal fondo. 1 fratelli si gettano sui panini).

Bo                               - E così il babbo non avrà i soldi. Allora non ci resta che temere Iddio e obbedire alle sue leggi. Ma anche per questo ci vuole un piccolo capitale mobile.

Rolf                            - Lascia andare. Tu, coi tuoi due milioni, non hai di che lamentarti...

Bo                               - (con una mano spazzola i capelli, con l'altra porta una mano alla bocca) Milioni? Addio, milioni! Man­cato il premio Nobel, rompo il fidanzamento.

Rolp                            - Motivo sufficiente?

Bo                               - Io ne faccio, caro mio, una questione d'onore. Un ragazzo in bolletta non sposa per denaro. Sarebbe squalificato.

Rolf                            - Ciascuno vede le cose a suo modo. Io, ven­derei il mio onore anche per misere cinquanta mila lire.

Bo                               - Non troveresti compratori. Donnette allegre e uomini politici, quelli sì, che col danaro lo comprano, ma gente per bene? Gente per bene, deve cederlo a prezzo di svendita...

Rolf                            - Proprio così! Miseria! Miseria! Miseria! E dire che mi sentirei nato per diventare qualcuno anche io! Santo cielo! Qualche invenzione anch'io l'ho pur fatta... Ne feci anzi parecchie, e tutte geniali... Ma io fortuna ne ho sempre avuta poca. Lo ammetterai. Poca, pur avendo ereditato qualche cosa da mio padre del suo piccolo grandioso!

Bo                               - Per me ho ereditato piuttosto del suo grandioso piccolo!

Rolp                            - Ma in questo nostro benedetto paese tutto è così inverosimilmente meschino! Da tutte le parti, tutto stringe, preme...

Bo                               - Dove preme di più?

Rolf '                           - (cambiando voce) Vuoi saperlo? Ma non una sola parola al babbo.

Bo                               - Ti pare!

Rolf                            - Neanche a Julia!

Bo                               - Figurati!

Rolf                            - (mezzo vergognoso) Ho... «amici».

Bo                               - (tranquillamente) E chi non ne ha?

Rolf                            - (stupito) Vorresti forse dire che anche tu?.,. No, non è possibile.

Bo                               - Ti dico di sì.

Rolf                            - Nelle mani di un usuraio?!

Bo                               - E dove troverei, figlio di un genio e di un'in­genua, tutti i soldi che mi ci vogliono per le creme delle scarpe, lo spumante ed altre necessità della vita?

Rolf                            - Roba dell'altro mondo! Un ragazzo che ha cominciato appena ieri a radersi la barba! Io, tanto più vecchio di te, solo a nominare un ius...

Bo                               - Ts! (Marta entra con altre fette di pane).

Rolf                            - Hai sentito, zia? Niente premio Nobel al babbo, neppure quest'anno. Che ne pensi?

Marta                          - Penso che non basta essere pazzo per otte­nere il premio Nobel. (Porge il piatto a Bo). ,

Bo                               - Mammi, la mia povera mamma morì lai mio na­scere, non è vero?

Marta                          - Cosa c'entra?

Bo                               - E tu, Mammi, promettesti di farmi le veci di madre. Non le vero?

Marta                          - Si, ma cosa c'entra?

Bo                               - C'entra. Quando ti chiedo caviale, tu mi porti uova 'di.,.

Marta                          - Dicevi caviale?

Bo                               - Ca-vi-ale.

Marta                          - Vero caviale russo?

Bo                               - Vero - caviale - russo.

Marta                          - (lo fissa, poi piano, ma con sentimento) Sei impazzito! (Sì volta ed esce).

Bo                               - Ci vorrà pazienza. Mangiamo pure queste uova. Son piccole, però mica male. (Poi al fratello) Per quale cifra?

Rolf                            - Imprecisa. (Nervosamente) Storia complicata. E naturalmente le cose andranno anche peggio ora, man­cando il premio Nobel. La stampa intanto imi ha già fregato. Tre righe in tutto. Benone! Ma fa lo stesso. Vengano pure avanti!

Bo                               - Chi?

Rolf                            - Quelle canaglie!

Bo                               - Quali?

Rolf                            - Che ne so io? Quelli che mi son contro. Li sfido tutti! Se poi, per giunta, macchiassero il nostro no­me, imparerebbero allora a conoscere il mio caratterino! Stiano attenti! Vogliamo vuotare un bicchiere?

Bo                               - Alle dieci e mezzo?

Rolf                            - Cosi, per reagire. O usciamo? (Julia entra in scena correndo, gridando di spavento, ma conservando grazia e civetteria).

Julia I                          - Mio   - (Dio, che non mi venga dietro...!

Bo                               - Chi?

Julia                            - Il giornalista! C'è un giornalista in antica­mera!

Rolf                            - Bravo! Bo, fammi il piacere, mettilo alla porta!

Bo                               - Metterlo alla porta? Senz'altro! (Esce con lunghi passi sempre spazzolandosi i capelli),

Rolf                            - E' proprio di questi vampiri, forzare le porte, anche fosse di notte. Ma chi gli ha aperto?

Julia                            - Io.

Rolf                            - Vestita così?

Julia                            - Ma sono subito scappata via...

Rolf                            - Come sai allora che si tratta di un «reporter »?

Julia                            - Me lo ha detto dal buco della serratura. Ebbi appena il tempo di stringergli la mano, e di dargli un sorriso di tre millimetri, alla Duse. Non si può far la sgarbata con un giornalista!

Rolf                            - Scimmia! Perché un imbrattacarte di un gior­nalista qualunque, vuol spettegolare sulle delusioni di nostro padre...

Julia                            - Un giornalista qualunque, dici? E' mandato dal     «Giornale di Svezia »...

Rolf                            - Davvero? Ehm! Vuol dire che se l'individuo sarà proprio insistente, l'accontenterò per qualche minuto.

Bo                               - (entrando) Si 'dileguò. Sparì come la nebbia,

Rolf                            - (Sparito? Allora, non era insistente.

Bo                               - Per nulla!

Rolf                            - (dopo un momento) Ma no! Richiamalo!

Bo                               - Richiamarlo?

Rolf                            - Perbacco! Come si fa a correggere la stampa se si è troppo scorbutici?

Bo                               - Vero anche questo. (Corre ad aprire una finestra) Pst! Pst! Fermo! Fermo! Signor! Sì, proprio voi! Ordini generali cambiati! (Chiude la finestra).

Rolf                            - Lasciatemi solo. Ho bisogno di concentrarmi. E tu scimmia, vestiti più decentemente!

Julia .                          - (offesa) Vuoi forse insinuare che noi, gente di teatro, siamo immorali? Siamo invece impeccabili, te lo dico io!

Rolf                            - Specialmente la mattina.

Bo                               - (sulla porta) Oh! Se per caso si parlasse anche di me, non dimenticare che posseggo il record d'altezza per la Svezia. (Esce).

Julia                            - E dì anche una parola, mi raccomando, della mia nuova parte. Dirai che Axelin combatteva come una belva per strapparmi la parte, (Gli butta un bacio ed esce. Rolf siede alla scrivania e comincia a scrivere).

Bo                               - (fa capolino sulla porta) E dirai anche della mia medaglia d'oro come tiratore!

Julia                            - (fa capolino sulla porta) Cinque vestiti, non scordarlo! Cinque vestiti in tre atti! (Ad un gesto d'im­pazienza di Rolf spariscono Bo e Julia. Il giornalista è sulla porta insieme con una domestica. Rolf volta le spal­le alla porta in fondo. I due fanno i complimenti per chi deve entrare per primo. Poi avanza il giornalista seguito dalla domestica. Rolf si volta e balza in piedi).

Rolf                            - (con voce stentorea verso la domestica) Fuori. (Il giornalista e la domestica indietreggiano; quest'ulti­ma sparisce con i suoi attrezzi; una il giornalista sì fa forza e resta).

Il Giornalista               - Ero io o la vecchia signora, che avrebbe dovuto filar via?

Rolf                            - (con alterigia)  La domestica. Accomodatevi.

Il Giornalista               - Grazie! (Siede vicino alla porta, ma si alza subito e s'inchina) Pedersen. Valfrid Pedersen.

Rolf                            - (inchina appena la testa) i Ingegnere Rolf Swe­denhyelm, junior. (Seggono).

Pedersen                     - Oh, junior. Dunque, non è con l'ingegnere che ho l'onore... ma col figlio dell'ingegnere... Cioè, vo­levo dire che non ho l'onore di parlare con vostro padre, ma con voi in persona.

Bolf                            - Precisamente.

Pedersen                     - Ehm! Swedenhyelm! Bel nome. La mia fa­miglia è d'origine danese, ma già il mio bisnonno s'era stabilito in Svezia come tamburino.

Rolf                            - (molto asciutto) Ah, sì?

Pedersen                     - (interdetto) Sì, sì, come tamburino. Sa­pete, uno di quei piccoli...

Rolf                            - Siete venuto per parlare di questo?

Pedersen                     - Per carità! Niente affatto! Dovete scu­sarmi. Sono... Vi dirò... Vi dirò. Sono alla mia prima intervista.

Rolf                            - Me ne accorgo. Appartenete alla Redazione del «Giornale di Svezia»?

Pedersen                     - No, ma ci aspiro.

Rolf                            - E' già qualche cosa.

Pedersen                     - Ecco... Vi dirò. Non mi manca una grande energia; ho molto spirito d'inizia'iva... Lessi tempo fa sui giornali che il premio Nobel sarebbe toccato quest'anno all'ingegnere Swedenhyelm senior per... per...

Rolf                            - Per la fisica.

Pedersen                     - Sempre dimentico questi termini.

Rolp                            - Ma non avete letto sui giornali di questa mat­tina? Mio padre «non avrà » il premio Nobel.

Pedersen                     - Sul serio? Ma allora è proprio d'attualità... Ho buon fiuto...

Rolf                            - (tirando corto) Cosa desiderate, insomma, di sapere?

Pedersen                     - Magari lo .sapessi! Cos'è, secondo voi, che il pubblico più gradisce sapere intorno a un uomo come vostro padre?

Rolf                            - Forse notizie generali...

Pedersen                     - Ecco, benissimo. Questo si chiama intuire giusto! Aspettate. Aspettate. Ho con me blocco e matita. (Tira fuori l’occorrente, poi si batte sul taschino del pan­ciotto) E qui ho il portalapis e la gomma. Dite pure. Dite pure.

Rolf                            - Mio padre appartiene ad una delle più nobili ed antiche famiglie con antenati illustri in diversi rami. Uno dei miei avi sottoscrisse la pace di Vestfalia e fu forse uno dei personaggi più eminenti del Congresso. Un suo nipote fu un vero eroe al tempo di Carlo Dodi­cesimo e fra quelli più arditi, forse il più ardito...

Pedersen                     - Perdonate se interrompo, chi era la gra­ziosa giovane signora che mi ha aperta la porta?

Rolf                            - Mia sorella, Julia Korner, uno dei talenti più apprezzati dei nostri teatri. Tra breve dovrà creare una parte importantissima che altre attrici invano hanno cer­cato di portarle via. Una parte dove sfoggerà certi abiti, prima d'ora mai visti sulla scena...

Pedersen                     - (timidamente ma interessato) Oh, ditemi una cosa: l'abbigliamento che portava adesso, non era forse da notte?

Rolf                            - (seccato) Credo.

Pedersen                     - Dio, Dio, che cosa graziosa! Dunque, si parlava dell'eroe di Carlo Dodicesimo... «forse il più ardito... ».

Rolf                            - (sgarbatamente, in fretta) Ma anche nel campo scientifico la nostra famiglia brilla, sapete, con nomi celebri. Uno degli allievi forse più promettenti di Linneo...

Pedersen                     - Adagio, prego. Un po' più adagio...

Rolf                            - Perché? Non stenografate?

Pedersen                     - (scrivendo) Per carità!... Troppo diffi­cile!... «Forse uno degli allievi più promettenti...».

Rolf                            - Si chiamava Swedenhyelm, e se vi dico che mio padre è uno dei più grandi inventori di tutti i tempi...

Pedersen                     - Un momento! Abbiamo avuto molti « forse »: « forse » il più eminente  i«forse » il più ardito - « forse » il più grande. Vogliamo addirittura chia­mare vostro padre il più grande inventore di tutti i tempi?

Rolf                            - (stringendosi nelle spalle) Perché no? Ma responsabile voi, intendiamoci.

Pedersen                     - Io, sempre molto bado allo stile. In fondo in fondo sono anch'io uno scrittore. (Con timore) Lo scrittore Pedersen. Mai sentito nominare? Valfrid Pe­dersen.

Rolf                            - (ancora stringendosi nelle spalle) Mi dispiace... Ma come si fa?

Pedersen                     - Eh, non mi sorprendo! Sapeste come vendo male i miei libri!

Rolf                            - Immagino.

Pedersen                     - (passandosi la mano sulla fronte) Oh, perché non rimase in Danimarca il piccolo tamburino? Che razza di recensioni mi fanno! Se pur me ne fanno. La stampa svedese, ingegnere, la stampa svedese...! Perdo­nate l'espressione, ma io dico: al diavolo gli imbratta­carte dei giornali!

Rolf                            - (alzandosi) Condivido la vostra opinione, e considero questa specie d'intervista come già terminata.

Pedersen                     - (balza in piedi spaventato) No, no, no, no! Caro ingegnere! Considerate ciò che significa per me questa intervista! E' il mio debutto nella stampa. An­cora non mi avete raccontato nulla del vostro caro, grande papà. Com'è? Come gli balenò l'idea di far l'in­ventore? Curioso! I miei amici mi dicono alle volte: Sarai un poco tocco, a voler far lo scrittore. Ora, questo di far l'inventore non è forse qualche cosa di simile? No, no, no, no! Non vi arrabbiate! Volevo soltanto dire che un qualche cosa ci dev'essere a spingere un uomo a far l'inventore.

Rolf                            - (con alterigia e leggera ironia) Sì, certo. Una forza. Una forza che si chiama genio.

Pedersen                     - Ah!

Rolf                            - Quanto a mio padre, anche un'altra forza: il senso del dovere, un assoluto bisogno di tenere alte le tradizioni di una grande gloriosa famiglia. Il mio nonno fu sindaco a Nora; il suo stipendio era modesto, il suo patrimonio quasi nullo. Mio padre è in tutto un autodi­datta. Il suo genio ha dovuto vincere inverosimili diffi­coltà economiche e morali. Un eroe del lavoro senza uguali. Gli si potrà togliere il frutto del suo lavoro: mai l'onore!

Pedersen                     - (scrive frettolosamente fino a farsi venire i crampi nelle dita) Onore! Questo si chiama stile! E anche l'espressione genio era magnifica! Non è vero? Si dice, genio! Lo stesso si potrebbe anche dire di noi scrittori. Quando gente cretina domanda anche a noi, perché siamo diventati scrittori, si potrebbe rispondere: Effetto del genio. Genio!

Rolf                            - Chiamatelo come diavolo volete!

Pedersen                     - Un'altra domanda! Nella mia prosa ho per abitudine di usare Ja parola « padre », perché più solenne, mentre nei versi dico «papà», perché più fa­cile trovare la rima. Che consiglio mi date in questo caso?...

Rolf                            - Io? Io vi consiglio d'andarvene!

Pedersen                     - Un momento, un momento solo. Ancora nulla so di voi personalmente...

Rolf                            - La mia persona per il pubblico, non interessa.

Pedersen                     - Oh, non dite così! Sempre interessa il figlio di un grande padre. Su, su. Poche parole che ri­guardino voi, soltanto voi...

Rolf                            - Se si dà un dito al diavolo, ti prende tutta la mano. Se proprio lo volete, diciamo pure qualche cosa anche sulla mia nullità. (Si sprofonda nei suoi pensieri).

Pedersen                     - (pronto per scrivere) Figlio unico?

Rolf                            - (distratto) Sì, cioè no. Ho un fratello più pic­colo... uno di quelli che si alzano per aria...

Pedersen                     - Aviatore?

Rolf                            - (molto impaziente) Aviatore, s'intende. Te­nente. Possiede un record d'altezza con medaglia d'oro.Di lui parleremo poi... (Marta viene dal fondo, seguita da due vecchie che portano una scala).

Rolf                            - (con le spalle al fondo) Ciò che si dovrebbe invece dire della mia nullità non può stare in tre righe, ma non spenderò lo stesso molte parole. Sono riluttante a parlare di me... (Si volta. Furioso) Che... che significa questo?

Marta                          - (che avanza tranquillamente) Leviamo le tende.

Rolf                            - Oggi?

Marta                          - E' l'ultimo del mese.

Rolf                            - Ti proibisco, zia, di disturbarci! Te lo proi­bisco!

Marta                          - E' l'ultimo del mese... (La scala viene innal­zata davanti alla finestra e Marta vi sale).

Pedersen                     - (con curiosità) Chi è? Una vostra zia?

Rolf                            - (nervoso) Non bisogna farci caso... E' un po' tocca! (Indica la fronte, amaramente, ma con calma ri­presa) Si vuol sapere dunque qualche cosa anche su Rolf Swedenhyelm, junior. Oserei sostenere... Oserei soste­nere, capite?... essere io, io, lo scienziato, che ha fatto i più profondi studi...

Pedersen                     - Forse... Vogliamo riprendere il «forse»? E' molto che non l'abbiamo più usato: « forse » lo scien­ziato, che « forse » ha fatti a forse » i più profondi...

Rolf                            - Tre forse?

Pedersen                     - Avete ragione. Son troppi...

Rolf                            - I più profondi studi sull'effetto delle correnti elettriche di cambio...

Pedersen                     - Un momento. Niente termini tecnici! Il pubblico non li gradisce. All'altezza! Bisogna mantenersi all'altezza!

Rolf                            - Siamo brevi allora. Insomma, va detto. L'ul­tima grande invenzione di mio padre, senza i miei lavori preparatori durati dieci anni, non avrebbe potuto com­piersi. Per dieci anni, dico dieci, ho sempre lavorato al suo fianco e, per essere giusti, la gloria di lui certo non scema, anche a riconoscere la parte che io ebbi nella sua fatica. Non faccio per dire, ma senza il mio aiuto, mio padre non sarebbe quell'uomo universalmente noto che è. (Marta fa cadere la tenda all'ultima battuta di Rolf e si volge a lui).

Marta                          - Ma senti un po'!

Rolf                            - (nervosamente) Che... che c'è ora?

Marta                          - (calma, ma marcando le parole) Mi chiedo se sei diventato matto!

Rolf                            - (con impeto) Matto? Cara mia, se il nome Swedenhyelm suona come suona nel mondo scientifico, parte del merito è mio, ne certo forse la parte più pic­cola. Con questo, intendiamoci, non voglio ridurre di così, la gloria di mio padre. Però...

Julia                            - (entrando da destra: è abbigliata da passeggio) Ah, non la vuoi ridurre? Quanto sei generoso! Tuo pa­dre è noto a tutto il mondo, e tu, a conceder molto, in qualche ristorante...

Rolf                            - Ma piantala! Io non sono un buffone! Non creo delle mode io! Io non vendo i biglietti per le grandi lotterie, non vado per il lungomare, non faccio la corte  io alla stampa, non sono autore di scandali  d'intrighi! Lavoro! E in silenzio lavoro. E con tutta la gloria di mio pa...

Bo                               - (da destra. E' in uniforme) E' semplicemente ridicolo che tu ti voglia paragonare al babbo! Cosa do­vrei dire io! Il mio volo da Ystad a Haparanda, vorrei sperare non fosse ancora del tutto dimenticato. Vero, si­gnor... signor...

Pedersen                     - Valfrid Pedersen. Purtroppo non l'ho dimenticato...

Bo                               - Come sarebbe a dire?

Pedersen                     - Non ne ho mai inteso parlare.

Bo                               - Fantastico! Ecco come viene incoraggiata l'avia­zione da noi! Ve lo dico schietto, signor Pedersen: non c'è gusto ad essere un aviatore svedese!

Julia                            - Aviatore? Dovresti provare ad essere un'at­trice svedese! Non s'immagina! L'esistenza più trava­gliata, terribile, che si possa immaginare! Vero, Pedersen?

Rolf                            - (con forza) Signor Pedersen!

Julia                            - Ma io e lui siamo vecchi amici! Ci compren­diamo, vero Pedersen? (Gli dà la mano).

Pedersen                     - Oh, tanto, tanto!

Julia                            - Per esempio... Proprio adesso, mi diedero una nuova parte da creare. Colossale, sapete! Una partona così! (Misura) La voleva anche Axelin. Voi conoscete Axelin, non è vero? Non è forse incantevole?

Pedersen                     - I suoi grandi occhi celesti!

Julia                            - Celesti? Verdi! Con misura che varia! Be', per avere questa parte, l'Axelin lottava come una belva. Io, per me gliel'avrei anche lasciata. Ma gli intrighi sem­pre non riescono. Io soltanto dico: Vada lontano da me questa parte. Mi ammazza!

Pedersen                     - Ma è proprio così grandiosa?

Julia                            - Sentite! Ci sarà il debutto fra quindici giorni. Cinque, cinque vestiti in quindici giorni, sarò costretta a creare, perché per una scena come la nostra, non ci deve essere nulla che non sia stra-or-di-na-rio. Cercare bisogna, brancolare, sognare, soffrire per trovare il giu­sto. E quando finalmente sono persuasa d'aver creato qualche cosa di bello, la commedia, sì e no si regge per una settimana. E i vestiti non servono più. Non è deso­lante?

Rolf                            - E allora perché hai brigato tanto per aver quella parte?

Julia                            - Ma perché ho il senso del dovere! Perché sento che io sola, io sola posso farla!

Rolf i                          - Anche Axelin sentirà di essere soltanto lei a farla come va fatta!

Julia                            - Ma in quindici giorni! No, no, si dica pure quel che si vuole della gente di teatro, ma noi, il senso del dovere, noi ce l'abbiamo. Io posso, io « debbo » fare quella parte. Andrò a stare di casa, se occorre, anche dalla mia sarta. Questa è la vita di un'attrice svedese! (Una donna a giornata con un secchio in una mano e un pacco di posta nell'altra, entra dal fondo. Posa la posta sulla scrivania, poi va alla finestra).

Rolf                            - (passeggiando su e giù) Il diseredato vero della società svedese è poi sempre lo scienziato! Non vuol es­sere noto e non viene reso noto. Non cercando, come non cerca, le facili fortune, la fortuna di lui si dimentica. Ha in odio la pubblicità ed ecco la stampa dedi­cargli tre righe per il lavoro di tutta una vita! Ah, ah, mio caro signor Pedersen, non è divertente sapete, es­sere scienziato nel paese nostro! Ah, no no! Neanche un poco! (Sta per inciampare nel secchio. Alla donna) All'inferno, vecchia!

La Donna                    - Non è divertente lavorare a giornata in case per bene.

Rolf                            - (sedendosi alla scrivania) Volete sapere altro?

Pedersen                     - Grazie; credo che per oggi basti...

Rolf                            - Per oggi? Non sarà pubblicato domani?

Pedersen                     - No, no, no. Bisogna che maturino le im­pressioni. Fra una quindicina di giorni mi metterò al lavoro. Credo comunque che saprò dare della famiglia di Rolf Swedenhyelm un'impressione abbastanza completa. Ancora una notizia: che posizione ha in questa casa la veneranda signora che va sulla scala?

Rolf                            - E' la signorina Marta Boman, la cognata di mio padre, l'apprezzata e fedele direttrice di casa, dopo la morte di mia madre. Una persona che parla poco.

Bo                               - Mammi, ti metteranno sul giornale!

Marta                          - (facendo una riverenza sulla scala) Vi dico, signore, che non è stato sempre facile accontentare mio cognato. E' difficile di gusti per il mangiare, e vuole spesso il vino. Però bisogna convenire che ci sono uomini più difficili di lui. Io con mia sorella non eravamo che figlie del fabbro ad Askersund, se vi è noto. Non era un grande partito per Swedenhyelm sposare mia sorella, seb­bene fosse più povero di noi, ma non è stato mai su­perbo. E lavoro -ce n'è, credetemi pure, signore. Ci vuole una grande pulizia, perché mio cognato è un disordi­nato; sempre questi esperimenti! E i mezzi non sono grandi. Poi ho da pensare ai ragazzi; e quanto costa il più piccolo con le sue uniformi e il resto...

Bo                               - (si slancia verso di lei) Mammi, Mammi! Fai uno scandalo! Cosa ti salta in -mente di dire?

Marta                          - (offesa) Capirai! Se verrò sul giornale... (Pe­dersen annota e si inchina a Marta, che fa la riverenza).

Pedersen                     - Molto prezioso. Un'ultima cosa. Forse c'è in famiglia -qualche celebre cane o gatto?

Rolf                                     - Niente animali!

Julia                            - Ma io ho un bellissimo canarino. Volete ve­derlo?

Pedersen                     - Ne sarei felice. Son del parere che un'in­tervista seria, per piacere al pubblico, esige una chiusa poetica. Un uccellino è tema sempre grazioso...

Rolf                            - (con una lettera in mano) Che vorrà dire? Non capisco! (Porge la lettera a Bo) Non è la scrittura del babbo?

Bo                               - Sicuro. Porta il timbro di Goteborg.

Julia                            - (che soltanto ora ha afferrato) Il babbo? Ha scritto il babbo?

Rolf                            - Che vorrà dire?

Marta                          - Se è vostro padre, è finita per lui.

Julia                            - Sta zitta, Mutti! .

Bo                               - Doveva tornare stasera.

Rolf                            - Non starà bene o vorrà che gli si mandino i soldi.

Bo                               - Non può essere così pazzo! ,

Julia                            - (prende la lettera) Voglio vedere! (Quasi piangendo) Povero babbino, che gli sarà accaduto?

Bo                               - (riprende la lettera) Avesse almeno scritto qual­cosa sul retro della busta. Così non si capisce niente.

Rolf                            - (prende la lettera) Non una parola. E' incom­prensibile! Perché ha scritto? Perché? E che cosa vorrà? Doveva tornare oggi. Non ci capisco niente!

Pedersen                     - (con molto interesse, ma timidamente) Non si potrebbe... Non sii potrebbe... aprire la lettera? (Silenzio. Rolf lo fulmina con uno sguardo, poi prende lentamente un tagliacarte e apre la lettera, ne cava fuori il foglio che spiega con lo stesso ritmo solenne. Fra la tensione degli altri, comincia a scorrere le righe. Si fa serio, e alla fine preoccupatissimo. Passa la lettera a Bo, ma Julia gliela strappa e legge con occhi sbarrati dallo spavento).

Julia                            - Il babbo! E' morto! E' morto! (Spavento generale).

Rolf                            - Perché pensare al peggio? Perché pensare al peggio?

Bo                               - (le strappa la lettera) Calmati, bimba.

Julia                            - (singhiozzando) Si è ucciso!

Rolf                            - Esageri!

Bo                               - Qui non è scritto... (ammutolisce).

Julia                            - Se così fosse, non scriverebbe: «Se non ci rivedremo più... ». (Prende la lettera e legge con voce tremante) « Se non ci rivedremo più, cari figli, perdonate il vostro vecchio babbo, che vi ha amato tanto, ma ha saputo fare così poco... ». (Soffoca i singhiozzi e cade piangendo in una poltrona. Bo l'accarezza. Rolf è spro­fondato in tristi pensieri. Marta è scesa dalla scala, prende la lettera e la scorre. Si asciuga una lagrima).

Marta                          - (piano) Non era forse molto resistente.

Julia                            - Lo hanno ammazzato!

Marta                          - E sembrava tanto forte! (Pedersen si è asciu­gato gli occhi, ora s'inchina a ognuno, soltanto Marta risponde con una piccola riverenza. Egli va verso il fondo e s'inchina con uguale cortesia alla donna a giornata. Sulla porta si volta e si inchina un'ultima volta a tutti. Si volta di nuovo e sta per uscire, ma si ferma di botto. Si sente una voce robusta intonare senza parole la mar­cia del «toreador ». E' Rolf Swedenhyelm senior. Attra­versa la sala con passi elastici. Passando getta uno sguardo penetrante su Pedersen, che fa un profondo inchino. Ju­lia balza in piedi e corre incontro al padre).

Julia                            - Babbo! (Egli le cinge la vita e, senza inter­rompere il tempo grandioso della marcia, descrive con Julia - tenendo nelValtra mano una piccola valigia un semicerchio nella scena).

Swedenhyelm             - (continuando a cantare) Buongiorno, figlioli! Buon -giorno, figlioli! Buon giorno, figliuuuoli! Buon giorno, figliuuuuuoli! (Si ferma in mezzo alla scena) Qui sono io! Dove siete voi?,

Julia                            - (scuotendolo) Ma perché, babbo, spaventarci in questo modo?

Swedenhyelm             - Spaventarvi?

Julia                            - Hai scritto o non hai scritto questa lettera?

Swedenhyelm             - (guarda la lettera un poco vergognoso) Ah, già, è vero! Sì, sì, l’ho scritta io. Ero di così cat­tivo umore in quel momento! Avevo capito che capitali non se ne trovano. Quindi, un viaggio fatto inutilmente... La campagna della stampa che mi aveva chiuso tutte le strade. Il premio Nobel sfumato. Non mi restava cherinunciare ai miei brevetti e venderli a prezzo di stralcio, cedere ad altri il frutto del lavoro dì tutta la mia vita. Eh!... Può venire il cattivo umore anche per molto meno, figliuola mia!

Julia                            - Povero, piccolo bafebino!

Swedenhyelm             - E poi trovarsi solo in un noioso risto­rante, un mangiare cattivo, un «Ghambertin » che sem­brava aceto, neppure una graziosa cameriera... Chi po­teva sentirsi allegro in un momento simile? Buio pesto. Meglio sparire in un modo o in un altro. Non mi sen­tivo più il coraggio di tornare a casa. Non me lo sentivo! Hai capito?

Julia                            - Ho capito! Ora però sei contento!

Swedenhyelm             - Come una Pasqua!

Rolf                            - (vivamente) T'è capitata qualche fortuna?

Swedenhyelm             - No, no. Niente di speciale.

Rolf                            - Denaro, ne hai poi trovato?

Swedenhyelm             - Fu impossibile. Ma capirai, corpo di mille bombe! Non posso mica essere d'umor nero per tutta la vita! La giornata di ieri basta! E che vengano! Li affronterò tutti! Si piglino pure i miei brevetti, i miei mobili, le mie vecchie pantofole! Rubino, rubino pure! Non potranno già rubar me stesso! Ho poi certe riserve, che, se Dio vuole, non possono sequestrarsi!

Ro                               - Ah, sì? Cos'hai, che non ti possono sequestrare?

Swedenhyelm             - Prima cosa: un lungo mascalzone, (gli dà un forte colpo sulla nuca) che finirà generale, solo perché non esiste un grado più alto. Poi una figlia genialissima, bella, elegante, raffinata artista. (La bacia).

Julia                            - Sì, « questo » è vero!

Swedenhyelm             - Poi il mio primogenito, il mio « alter ego », il mio compagno di lavoro, che tira la metà del carro, se non tutto...

Rolf                            - Non dir sciocchezze!

Swedenhyelm             - ... e che debbo ringraziare, se effetti­vamente sono riuscito a far qualche cosa.

Rolf                            - Ma no, babbo, non esagerare fino a questo punto!

Swedenhyelm             - Così è e va detto, e così ha da essere. La nostra vecchia, buona famiglia deve ascendere, non retrocere. Io sono un uomo d'ingegno, ma dietro di me viene il... genio!

Rolf                            - Ti prego, babbo! Non ti vergogni a dir queste cose? Alla presenza per giunta, di un estraneo?

Swedenhyelm             - E chi è?

Pedersen                     - Pedersen, Valfrid Pedersen, giornalista.

Swedenhyelm             - Addio, Pedersen! Ci rivedremo a Fi­lippi!

Pedersen                     - (non comprende).

Swedenhyelm             - (più forte) Addio, Pedersen!

Pedersen                     - Dovevo vedere un piccolo ca..jca...narmo!

Swedenhyelm             - (urlando) Addio, Pedersen! (Pedersen sparisce. Marta è pian pianino tornata a salire sulla scala) Sì, e poi ho Marta. Ma che stai facendo, cara co­gnata? Abbiamo di nuovo la pulizia generale?

Marta                          - (occupata con le tende) E? l'ultimo del mese.

Swedenhyelm             - Già, è vero. Ma è anche il giorno del mio ritorno da un faticoso viaggio. Lo sapevi, Marta!

Marta                          - Il calendario è sicuro, ma di voi non ci si può mai fidare. Io vado col calendario.

Swedenhyelm             - Marta, mi vedi stanco, scoraggiato, disperato. Ti prego, lascia stare le tende! Per oggi, al­meno, lasciale stare!

Marta                          - E' l'ultimo del mese!

Swedenhyelm             - Che l'interno ti... (Si chiude la bocca con una mano) Marta, ti sfido! Non voglio assolutamente arrabbiarmi! Non voglio! Figli miei, vogliono impedirci di star bene in casa nostra. E noi c'inchiniamo alla forza maggiore. Usciamo a far colazione. Dove volete! Niente lusso, niente stravaganze. I tempi non lo permettono. Poco, ma buono!

Bo                               - Caviale!

Swedenhyelm             - Vero russo!

Julia                            - Ma, babbino... Hai danaro per far questo?

Swedenhyelm             - Ah, lascia andare! Avanza sempre una moneta per una bottiglia di spumante.

Fine  del primo atto

ATTO SECONDO

La stessa scena. Le tende e i tappeti sono stati tolti; mobili di altre stanze sono stati portati sulla scena e collocati qua e là: compreso un grande divano con la spalliera voltata verso gli 'spettatori. La porta della sala da pranzo è chiusa.

 (Rolf, Julia e Bo stanno seduti in poltrone dispari. Rolf aspira con piacere un sigaro. Julia, che svogliata­mente fuma una sigaretta, è stanca, ha freddo, e si copre con un tappeto di pecora siberiana. Bo sta con la testa fra le mani; guarda melanconicamente davanti a se. Il si­lenzio è soltanto rotto dai rumori che vengono dalla sala da pranzo, dove scopa e battipanni lavorano senza in­terruzione).

Rolf                            - (rompendo il silenzio) Che dire di una simile colazione? Certo, costa parecchio. Ma d'altra parte... Non solamente il corpo, ma anche lo spirito ci ha gua­dagnato. Certe colazioni... servono. S'impara a non di­sprezzare il proprio valore, difetto comune in noi sve­desi. La fede nella propria capacità ingrandisce! Sì, ammetto... La voglia dì divertirsi indica una certa legge­rezza; altra caratteristica di noi svedesi. Ma questo desi­derio, dopo tutto, ha il suo fondo morale. Insomma, io Bono per una colazioncina, ogni tanto, in un buon ri­storante.

Julia                            - (con un piccolo brivido) Se non facesse tanto freddo!

Rolf                            - E' l'umidità prodotta dal tanto lavare e pulire.

Julia                            - Sai spiegarmi il perché di questa pulizia ge­nerale che Mutti fa tanto spesso? Proprio sporca, la casa non lo è mai.

Bo                               - Ma appunto forse perché la si pulisce.

Julia                            - Debbono pur esser pagate tutte queste donne a giornata. E i soldi, Mutti, dove li prende?

Bo                               - Vende all'ingrosso i barattoli vuoti dei tuoi bel­letti.

Julia                            - Sei molto grazioso, oggi.

Bo                               - Ho sonno.

Julia                            - E allora dormi! Smetterai di tormentare tua sorella.

Bo                               - Non posso. Son troppo di cattivo umore.

Rolf                            - Sta aspettando Astrid.

Julia                            - Oh, allora capisco, piccolo, povero, amato fratello! Attendere Astrid è terribile!

Bo                               - Vergognati!

Julia                            -  Sì, perché è insinuante, sciocca, ignorante, brutta e maleducata.

Rolf                            - Bo ha intenzione di rompere il fidanzamento.

Julia                            - (cadendo dalle nuvole) Come? E’ pazzo? E perché dovrebbe farlo?

Rolf                            - Coscienza.

Julia                            - Romperla con una ragazza che ha due mi­lioni!...

Rolf                            - Da un lato non gli so dar torto. La famiglia Swedenhyelm - inutile farsi illusioni - è ormai sull'orlo della rovina. Il babbo cadrà, io cadrò. Non è serio, non è giusto tenere in piedi un fidanzamento che nacque un giorno in condizioni tanto diverse... Bisogna che la ragazza possa decidere come vuol lei.

Julia                            - E poc'anzi eri tanto ottimista!

Rolf                            - Sì, ma ora comincio a perdere il mio ottimi­smo. (Un russare formidabile invade la stanza. I giovani balzano su).

Bo                               - (con invidia) Lui sì, non è di cattivo umore. Se la dorme!

Rolf                            - E' la sua forza. Quando le speranze sfumano, lui s'addormenta. Risorgono, si sveglia. (La porta in fondo viene spinta. Astrid entra pian pianino e si bilancia tra i mobili. Indossa una magnifica pelliccia. Porta in mano le scarpe. Bo s'alza vedendola. Gli altri restano seduti).

Astrid                         - Come siete accampati! Zia Marta mi guar­dava male, sapete, perché volevo attraversare la zona di pavimento già pulito di fresco. Avrei dovuto togliermi le scarpe, nonostante avessi portato le calosce. (Si siede sulla poltrona di Bo. Egli le prende le scarpe e si ingi­nocchia: le bacia, una dopo l'altra, le mani. S'alza).

Astbid                         - E sulla bocca! (Bo esita un momento, poi bacia) Lì sotto il tappeto chi c'è? Vostro padre? (Bo fa segno di sì) Del resto state bene anche qua dentro!

Julia                            - Sempre stiamo bene noi Swedenhyelm, pur­ché siamo riuniti. Anche in giornate di pulizia generale.

Astrid                         - (ironicamente) Me ne accorgo. (A Bo) Non andiamo in camera tua?

Bo                               - Strofinano anche là.

Astrid                         - Allora andiamo in quella di Julia.

Julia                            - (alzandosi) In quella ci sta Julia. (Va con portamento maestoso a destra).

Rolf                            - (alzandosi) Amabile cognata in « spe », noialtri Swedenhyelm abbiamo oggi ragione di essere un po' su­scettibili, per non dire supersuscettibili. Non ti offendere. (Esce dal fondo).

Astrid                         - Cos'è successo? Infatti... Tutto per aria. Quando domandavo a zia Marta il perché di questa con­fusione, mi rispondeva: è l'ultimo del mese. Cos'è suc­cesso?

Bo                               - Cos'è successo? Il crac!  

Astrid                         - Più del solito? (Bo va piano al divano e si china sopra il padre. In quel momento parte da lui un altro formidabile Tonfo. Bo si volta verso Astrid).

Bo                               - Sì, più del solito. I creditori del babbo hanno mandato il loro « ultimatum »: o quattrini o la vita. Il mancato premio Nobel e ancora più la campagna della stampa contro di lui, rovinano la sua posizione. E' finita, I suoi brevetti non si salvano. Aggiungi poi che anche gli affari di Rolf sono molto ingarbugliati. E anche Julia ha debiti. Come me.

Astrid                         - Proprio grandi debiti?

Bo                               - Antipatici.

Astrid                         - Ma io ho denaro.

Bo                               - Tu. Non io. Dovrò dare... è probabile... le di­missioni.

Astrid                         - (con esitazione) Allora rompo con te!

Bo                               - (piano, con tristezza) Grazie. (Profondo silenzio sulla scena. Si sente scopare e battere furiosamente nelle altre stanze. Di nuovo il padre russa).

Astrid                         - (a mezza voce) Vieni a darmi un bacio! (Bo si avvicina lentamente e la bacia).

Bo                               - Perché mi hai risparmiato una cosa molto pe­nosa: essere io a rompere il nostro fidanzamento.

Astrid                         - Tu! Tu vorresti...?

Bo                               - Sì.

Astrid                         - Sì, eh? Suona bene: è stato lui a rompere il fidanzamento. Povera ragazza...

Bo                               - (interrompendo con vivacità) No. Non suona niente affatto bene! Nel nostro caso è stata lei, non lui...

Astrid                         - (dopo un momento) E perché dovresti rom­pere con me?

Bo                               - Non rispondo a questa tua domanda.

Astrid                         - (pestando i piedi) Devi!

Bo                               - Ts! (Silenzio. Ancora si sente russare) Vuoi asso­lutamente?

Astrid                         - Sì!

Bo                               - Spiacevole a dirsi, ma vero: non sono innamo­rato di te.

Astrid                         - (dopo un momento) Non potevi trovare qual­cosa di meglio? Dunque, non sei innamorato di me? Mai stato?

Bo                               - Mai!

Astrid                         - Neanche un poco così?

Bo                               - Neanche un poco così!

Astrid                         - (a mezza voce) Dammi un bacio.

Bo                               - No. (Si allontana).

Astrid                         - Allora, perché mi hai" chiesta?

Bo                               - O bella! Per i tuoi soldi. Due milioni non son da buttar via.

Astrid                         - (forte) Vergognati!

Bo                               - Tss! (Silenzio. Ancora si sente russare. Rumori dalla sala).

Astrid                         - Son forse diventata povera?

Bo                               - No, ma lo sono diventato io.

Astrid                         - (con dolcezza) E per questo mi pianti? Scusa, ma sei ridicolo.

Bo                               - Niente affatto ridicolo. Abbiamo sempre consi­derato i brevetti del babbo come un vero patrimonio, cioè un patrimonio « in fieri ». Volevo prendere moglie, e naturalmente cercavo una donna in grado almeno di pagarsi l'abbigliamento e contribuire un poco alle spese di famiglia: parità economica coniugale. Un principio sano. Tu sei ricca, sei bella, sei elegante, sei una bravis­sima figliola. Ti ho subito voluto bene e ancora ti vo­glio bene.

Astri»                          - Grazie.

Bo                               - Ma quanto ad essere innamorato, neanche per sogno.

Astrid                         - Non si potrebbe sposare anche senza amore? Metodo nuovo. Pare che venga praticato con successo.

Bo                               - Impossibile. Ormai son povero, ed il ragazzo povero che sposa la donna ricca fa schifo. E' un vendersi. Il cagnolino di una ereditiera, io no, non lo divento.

Astrid                         - Che grazioso cagnolino, lungo un metro e no­vanta. Vieni, piccolo Golia, vieni dalla tua padrona!

Bo                               - Scherza pure. Ilo dipender da te? Aver tutto da te? Ah, non mi garba. Un uomo deve bastare a sé stesso. (Con sempre maggior calore) Ridi pure! Antiquato! Mo­dernamente si vedono le cose in altro modo. Eh, che vuoi farci? Noialtri Swedenhyelm siamo d'antico stampo!

Astrid                         - Ts! Vieni a darmi un bacio!

Bo                               - No! (Silenzio. Russare. Rumori dalla sala).

Astrid                         - (Scambiando di voce) Allora sarà come dici tu, che non sei innamorato di me. E' così?

Bo                               - (con un leggero tremito) Sì... l’ho detto. E' così.

Astrid                         - Ma non dirai mica sul serio... Ti sei inna­morato di un'altra?

Bo                               - (dopo un momento) Non ti rispondo.

Astrid i                       - (con più forza) Ti sei innamorato di un'altra?

Bo                               - (con calma forzata) Non ti rispondo.

Astrid                         - (dopo un momento di silenzio) No... Tu vuoi farmi arrabbiare... Vuoi farmi arrabbiare!

Bo                               - Zitta! che svegli il babbo!   (Silenzio. pi ode russare di nuovo).

Astrid                         - (a mezza voce) Vieni qui a darmi un bacio!

Bo                               - (come prima con un leggero tremito) No... Ti ho detto di no! (astrid balza in piedi, corre in punta di piedi da Bo e gli butta le braccia al collo. Egli si difende, ma debolmente; un momento dopo la stringe da farla soffocare. Silenzio).

Astrid                         - (a mezza voce, carezzevole) Sei molto intel­ligente.

Bo                               - (fra i baci) Che... che vuoi dire?

Astrid                         - M'hai detto sì, con queste stesse labbra che prima dicevano no... (Rolf entra a precipizio dalla porta di fondo. E' molto emozionato e non 's'accorge d'essere importuno).

Rolf                            - (a mezza voce, con fervore) Scusate... Scusate, ma è accaduto qualche cosa di poco piacevole... Ho ri­cevuto una lettera... Bo, conosci qualcuno che si chiama Eriksson?

Bo                               - (confuso)  Eriksson? Conosco tanta gente che si chiama Eriksson. Che cosa succede?

Rolf                            - Succede... Non te lo posso dire. Vieni di là un momento. Astrid, vorrai perdonare. Solo un momento... (Conduce con sé il fratello. Escono dal fondo. Astrid si volta verso il pubblico, ancora calda di baci, sorride fe­lice e trionfante. Sopra la spalliera del sofà emerge U capo di Swedenhyelm con un tappeto che gli pende giù dalle spalle. Si libera dal tappeto, alzandosi in piedi).

Astrid                         - Oh, buon .giorno!

Swedenhyelm             - (avvicinandosi a lei) Buon giorno ai giovani, buona sera ai vecchi. (La bacia sulla guancia e le prende il mento guardandola negli occhi) E così?

Astrid                         -  Che cosa?

Swedenhyelm             - Siete venuti ad un risultato definitivo?

Astrid                         - Vergogna, babbo! Ascoltavi!

Swedenhyelm             - Ma non ho capito gran che. Quando russavo non sentivo assolutamente nulla. Però tra un ronfo e l'altro qualche cosa ho capito.

Astrid                         - Molto furbo il signor tenente, vero?

Swedenhyelm             - Non è forse  molto scaltro, ma è un bravo e onesto ragazzo.

Astrid                         - E così, che ti sembra?

Swedenhyelm             - (dopo un momento) A me sembra che abbia ragione Bo.

Astrid                         - Ragione di rompere il suo fidanzamento? Sei forse tu, babbo, che gli hai suggerito di... di...

Swedenhyelm             - (ridendo) Per carità! I miei ragazzi se le sbrigan da soli le questioni d'onore.

Astrid                         - C'è una questione d'onore, in questo caso?

Swedenhyelm             - Bo ce la vede. Per lui  è una que­stione d'onore. Ma tutti e due perché la prendete in tra­gico? Se aspettate qualche anno a sposarvi... Mio figlio intanto si sarà fatta una posizione...

Astrid                         - Ciò che significa lunghi anni di noia per me...

Swedenhyelm             - Ci vuol altro, caro. Non ci si annoia mai mentre si aspetta cosa che si desidera.

Astrid                         - No, no, papà. Saremmo infelici. E tutto que­sto perché Bo - esagerato!  ha paura di farsi mante­ner da sua moglie.

Swedenhyelm             - Non dir così. Chi sa rinunciare alla felicità è forte e chi è forte è sempre felice. Bo lo co­nosco abbastanza a fondo. Non ha una grande intelli­gènza lui, non ha interessi intellettuali. Ha però ben di meglio: sviluppatissimo il senso dell'onore. Fa il caso che Bo fosse un grande musicista e tu sapessi di poter salvare il suo genio musicale solo rinunciando a lui. Lo faresti?

Astrid                         - Forse sì.

Swedenhyelm             - E allora, non è lo stesso? So non è un genio, ima un giovane d'onore. Perché macchiare il suo onore?

Astrid                         - Sì  babbo, tu dici tante belle cose, mia in­tanto, io con lui, siamo venuti a ben altra determinazione.

Swedenhyelm             - Non rompe più il fidanzamento?

Astrid                         - Mai e poi mai!

Swedenhyelm             - Allora devi farlo tu. E per la tua stessa felicità, devi farlo. La felicità non è poi così ne­cessaria come, cara, tu pensi. Non è affatto necessaria. Comunque immagino che per felicità tu intenderai amore felice.

Astrid                         - Che indovino che sei, babbo!

Swedenhyelm             - Ma l'amore non esisterebbe più il giorno che tu dicessi al marito: Ricordati che i danari sono miei!

Astrid                         - Mai verrà quel giorno, babbo!

Swedenhyelm             - Non metto in dubbio. Ma nella vita, sai, esiste anche il lato pratico. Bo, ha purtroppo delleabitudini un po' costose, e non diventerebbe meno spendereccio, il giorno in cui avesse una moglie ricca.

Astkid                         - Che me ne importa? Te Io assicuro; mi fini­sca anche tutto, non me ne importa.

Swedenhyelm             - E se avrete dei figli?

Astrid                         - Farò qualunque sacrificio, perché non man­chi nulla né a lui, ne a loro.

Swedenhyelm             - E se Bo un giorno ti s'innamorasse di un'altra?

Astrid                         - (offesa) Faccia pure! Anch'io potrei inna­morarmi di un altro.

Swedenhyelm             - Non sposterebbe la situazione. Che faresti in quel caso?

Astrid                         - Divorzio, si capisce!

Swedenhyelm             - E se Bo non volesse divorziare? Ben inteso se l'altra non fosse più ricca o ricca come te. Sup­poni che non ti amasse più. Però che ancora apprezzasse il tuo danaro...

Astrid                         - Assurda ipotesi! Dove andrebbe a finire la sua famosa onestà?

Swedenhyelm             - Ma se tu non dai nessuna importanza al senso dell'onestà! Fa un altro caso. Metti che la sua nuova passione fosse, ad esempio, una donna povera... Lui sarà costretto a mantenerla...

Astrid                         - (furiosa, fulmineamente) Ah, no! Allora gli ricorderei che il denaro è mio!

Swedenhyelm             - Bum! Lo sapevo che l'avresti detto. Non credevo però così presto.

Astrid                         - (quasi piangendo di rabbia) Sei il più tre­mendo vecchio orco che esista! Perché i vecchi debbono essere tanto insidiosi?

Swedenhyelm             - Si nasce uomo e si finisce orco. L'età non ci fa più simpatici. Soltanto più savi.

Astrid                         - Sarebbe segno di saggezza l'avere un esage­rato senso dell'onore?

Swedenhyelm             - Proprio così. E non bisogna, sai, vendere la primogenitura per un piatto di lenticchie. Il senso dell'onore è la nostra primogenitura.

Astrid                         - Ed io sarei il piatto di lenticchie?

Swedenhyelm             - Delizioso, ma non da paragonare alla voluttà che ci procura una tranquilla coscienza. Quando si hanno quarant'anni di duro lavoro dietro le spalle e le mani vuote come un neonato, soltanto allora si capisce il valore dell'onestà. Stammi attenta. Fra qualche mese, un anno, due, vedrai un gran vecchio gironzolare per le strade di Stoccolma; livido di freddo, un po' rimbam­bito: chiacchiera tra sè e sé, è inseguito dai ragazzini, bestemmiato dagli autisti, preso a pugni dagli sfaccendati, compatito dalla gente buona, ammonito dalle guardie, caricaturato dai giornali... Chi è costui? Un povero paz­zo, che ancora si crede un grande inventore. Dove abita? Chi lo sa! Di che vive? Ma! Come si chiama? Ma!... (Con emozione crescente) Si chiama Swedenhyelm, si­gnori. Porta però con onore il suo nome. E' felicissimo. Pensa: gli han portato via tutto: gloria, guadagno, ric­chezza, casa. Ma l'onore no! Lo portava fra le mani, lo vigilava giorno e notte. Fu derubato, ma non rubò. Fu tradito, ima non tradì. Gli uomini lo avevano definito un mancato genio, un pazzo. Ma è un felice pazzo, felice fino alla morte. Onestà e felicità non possono andar disgiunte. (Si siede in una poltrona, un po' vergognoso della propria foga) Eccoti una futura immagine del tuo suo­cero di domani. Pensaci su. Sei ancora in tempo. Ri­nuncia alla parentela!...

Astrid                         - Ma davvero pensi di finir così male?

Swedenhyelm             - Ho forti ragioni per temerlo. (Astrid si è seduta sul bracciolo della poltrona di lui. Swe­denhyelm, giocherellando con una mano di lei, soggiunge) Manine come queste vorrebbero toccar tutto. Ma una cosa non devono toccare: l'onore di un uomo. Per queste manine è troppo duro ed è troppo fragile, troppo forte e troppo delicato, troppo povero e troppo ricco. Non può servire come ornamento, neppure come giocattolo. Non è cimiero, o spada o scudo. E' la camicia bianca di bu­cato, che deve essere pronta e immacolata per l'ultimo sonno.

Astrid                         - (alzandosi) Fisime.

Swedenhyelm             - Sarà: ma che ti salvano dalla perdi­zione.

Julia                            - (entrando da destra) Che succede qui? State recitando una scena?

Swedenhyelm             - Forse. E tu eri lì, fra le quinte, per essere pronta con la battuta. Fortunato quel capocomico, se diventasse in te un'abitudine.

Astrid                         - (tetra) Abbiamo rotto il mio fidanzamento.

Julia                            - Non ci credo!

Astrid                         - Il senso dell'onore di lor signori è ancora più delicato del pavimento della zia Marta. Non può as­solutamente venir toccato.

Swedenhyelm             - Babbo Swedenhyelm par fatto ap­posta per combinarne di buone: rovina il suo figlio mag­giore, non dà il becco d'un quattrino alla figlia e al suo più piccolo fa perdere la sposina. Mancia bene il vecchio! Avanti pure, o destino!

Rolf                            - (entra dal fondo, è molto abbattuto) Babbo...

Swedenhyelm             - Che c'è, figlio mio?

Rolf                            - Ho purtroppo da darti una notizia poco gra­devole...

Swedenhyelm             - (battendosi la fronte con comica mera­viglia) E' la giornata delle sorprese. Poco gradevole? Lasciami indovinare. Perduta qualche causa per i miei brevetti?

Rolf                            - No.

Swedenhyelm             - Nuove rivelazioni sullo scarso va­lore scientifico di Rolf Swedenhyelm senior?

Rolf                            - No... no.

Swedenhyelm             - Lo spettro? Minaccia dì immediata bancarotta?

Rolf                            - Babbo, non potresti smetterla di scherzare una volta tanto?

Swedenhyelm             - Vuoi questo da me? Pretendi troppo, figliolo! Come non scherzo più, sono finito.

Bo                               - (dal fondo) Babbo, ti vogliono al telefono.

Rolf                            - (nervosamente) Fa... fatti attendere!

Swedenhyelm             - Digli che vada all'inferno!

Bo                               - Testualmente?

Swedenhyelm ,           - Testualmente. (Bo esce).

Rolf                            - Sono costretto a darti ragguagli sugli affari privati miei e dei miei fratelli. Non ti so dire quanto ne soffra...

Swedenhyelm             - Salta la sofferenza.

Rolf                            - Cominciamo allora da Bo. Bo ha fatto dei debiti, non molto grandi, ma servendosi di un mezzo... come ho da dire? non del tutto...

Bo                               - (dal fondo, ridendo) Babbo, dice che andrà vo­lentieri anche all'inferno, purché sia sicuro di tro­varci te!

Swedenhyelm             - Dev'essere un simpaticone. Vado a parlargli! (Va nel fondo con passo svelto, canticchiando la marcia del « toreador »).

Rolf                            - (preoccupato) Non si tratterà mica di Ériksson?

Bo                               - (stringendosi nelle spalle) Scordai di domandare il nome.

Julia                            - Che avete ragazzi? Di che cosa state confa­bulando?

Rolf                            - Parlavamo dei nostri debiti. Quelli di Bo non tanto grandi, ma i miei! E mi dispiace tanto di parlarne col babbo proprio oggi; oggi, che mi aveva dette tante cose gentili... Mi dispiace proprio...

Julia                            - Prendila con più calma. Tanto, senti: debito più, debito meno, in una bancarotta conta e non conta. Prudente tu, Astrid, nell'abbandonar la nave prima che andasse a picco. Rallegramenti!

Astrid                         - Ma io, sai, non ho proprio nessuna inten­zione d'esser prudente. (Corre al fianco di Bo).

Julia                            - Non toccarlo. La sfortuna è contagiosa. Pensa al tuo brillante avvenire.

Bo                               - (a Astrid) Non ascoltar quella scimmia!

Julia                            - (velocissimamente) Niente scimmia. Io penso al giorno in cui il povero Bo, allampanato, col suo soprabito liso, s'incontrerà con la baronessa o contessa Astrid, lei seduta al volante della sua sessanta cavalli. Ahimè, la contessa, arrossendo leggermente, distoglierà subito lo sguardo dal suo inganno giovanile per salu­tare con un luminoso sorriso il principe Guglielmo, che intanto passa dall'altro lato. - Ah, venite poi a dirmi che mi manca il fiato per recitare una parte! - Ma nell'animo suo la contessa Astrid ringrazia la Provvidenza di averla salvata dallo sposare il povero, tubercolotico Bo, che solo, dentro il soprabito liso, procede per la sua strada, e diritto va al suo modesto impieguccio, nel mo­desto quartiere con strada... che è una straducola. Ral­legramenti!

Bo                               - Cattiva scimmia!

Julia                            - Non sono cattiva; ho sete di sangue. Dopo essermi disfatta di Axelin, cerco una nuova preda. Ecco tutto.

Rolp                            - Ma perché voialtri non potete mai essere un momento seri? Disgraziato chi dovesse, da morte, aver l'elogio funebre da uno Swedenhyelm! (Marta entra dal fondo, sta guardando ora l'uno, ora l'altro. Involontaria­mente gli sguardi degli astanti si fissano su di lei. Breve silenzio. Si ode qualcuno indistintamente parlare al te­lefono).

Marta                          - Sentite, figlioli, io credo che Swedenhyelm stia poco bene.

Julia                            - Il babbo?

Marta                          - A meno che... (Fa segno di chi ha perduto la testa. Si volta e si fa da un lato. Swedenhyelm attra­versa la sala da pranzo. Cammina piano; ha coperto gliocchi con la destra, con la sinistra fa un gesto come in cerca di un appoggio, e nello stesso tempo come per al­lontanare chi gli volesse andar vicino. Tutti sono impres­sionati. Ma nessuno osa parlare. Entrato in scena, Swe­denhyelm si siede vicino a una tavola. Silenzio).

Swedenhyelm             - (a mezza voce) Vecchio stupido... Imbecille... Buffone... Ciarlatano... Idiota... Scemo! (To­glie la mano dagli occhi, ma la tiene in alto come in atto di difesa. Guarda ad uno ad uno ì figli e dice piano, ma chiaramente) Figlioli... mi danno il premio Nobel. (Tutti sussultano, ma nessuno dice nulla. Swedenhyelm si china sopra la tavola, appoggia il capo sul braccio e scoppia in singhiozzi. I figli con Astrid gli si avvicinano piano. Nessuno dice nulla. Gli accarezzano il capo e le spalle. Alla fine sopravviene anche Marta, fa una piccola riverenza, non veduta da Swedenhyelm, e va nel fondo. Alla fine il silenzio è rotto da Julia).

Julia                            - (piano, implorante) Babbo, non piangere.» Ma su, non piangere...

Swedenhyelm             - (fra i singhiozzi) Pretendi questo? Pretendi troppo! (Ancora silenzio. Swedenhyelm fa alla fine un grande sforzo, vince la propria emozione; alza il capo e fa piccoli cenni. Si alza e comincia a cammi­nare in su e in giù. Pensieroso, si strofina le mani. Poi dice piano e tranquillamente) Sì, cari figli. E' proprio vero. Mi hanno assegnato il premio Nobel, Non mi avevano vo­luto dire niente, prima che fosse una cosa «erta. E' pro­babile che ci sia stata lotta. Forse la maggioranza dei voti non 'grande... E si capisce benissimo...

Rolf                            - Con tanti nemici che hai...

Swedenhyelm             -  Oh, per quello, potevano esserci opi­nioni diverse. Soltanto Dio sa come avrei votato io! In fin dei conti cosa ho fatto di straordinario? Non ho che sviluppato, completato, messo in pratica idee d'altri. Un valore scientifico originale, no. Swedenhyelm non avrebbe avuto il mio voto. Almeno non del senior. Forse del junior.

Rolf                            - Ma che stai dicendo, babbo?

Swedenhyelm             - Comunque il premio mi è stato as­segnato. Ed ormai non mi resta che accettare... e rin­graziare.

Julia                            - (si dà un colpo in fronte) Ma per carità! E' accaduta una cosa molto bella! Non è forse bello questo che capita? Perché non stiamo allegri?

Swedenhyelm             - Verrà, verrà l'allegria. Quando si è felici, del resto, non c'è già bisogno d'essere allegri.

Julia                            - Ora cominceranno tempi buoni per noi.

Swedenhyelm             - Un grande miglioramento, certo. Il sole si sta levando sopra gli Swedenhyelm, E' all'alba che fa più freddo. E si è sofferto tanto freddo! (Si sente suonare alla porta d'ingresso).

Rolf                            - (ha un sussulto e corre verso il fondo).

Swedenhyelm             - Fermo! Dobbiamo prima discutere come degnamente festeggiare questa giornata. Come gra­discono i figli miei di celebrar l'assunzione del loro vecchio tra ì principi delle scienze?

Julia                            - (gridando) Spumante! Spumante! Spumante!

Marta                          - (dal fondo) Ce un uomo nell'anticamera che vuol parlare con Swedenhyelm.

Swedenhyelm             - Giornalista?

Marta                          - Non direi. Ha un aspetto non troppo rassi­curante.

Rolf                            - (con vivacità) Andrò io...

Swedenhyelm             - No. Oggi Swedenhyelm di persona riceve. Almeno oggi Swedenhyelm è bene educato. (Esce dal 'fondo. Silenzio).

Rolf                            - (ad un tratto) Oh, è terribile, è terribile! Non ne posso più. (Si precipita nella stanza di Julia).

Julia                            - Ma che cos'ha?

Bo                               - E' per le cambiali. Ma non capisco perché prenderla tanto tragicamente... (Silenzio che viene spez­zato da una forte risata dì Swedenhyelm e che proviene dal fondo della sala. Chiamando) Rolf! (Rolf si fa sulla porta) Non si tratta di Eriksson. Il babbo ride.

Julia                            - Chi è Eriksson?

Bo                               - (breve) Un usuraio.

Voce di Swedenhyelm           - Per di qui, Eriksson, per di qui. Il pavimento è appena appena lavato, ma non fa nul­la. (Sulla scena tutti sussultano e scambiano occhiate preoccupate. Entra Swedenhyelm seguito da Eriksson. Sweden­hyelm lo afferra con cordialità per le spalle e lo presenta).

Swedenhyelm             - I miei figli, mio figlio Rolf, mio figlio Bo, mia figlia Julia, mia nuora...! E qui, figli miei, ve­dete... l'usuraio Eriksson.. (Rompe in una grande risata, poi) Non è, badate, una mia spiritosaggine. Vado nell'an­ticamera: «Buongiorno, ingegnere. Mi riconoscete?». «No. Chi siete? ». «Io... Io sono... l'usuraio Eriksson! ». E vedete figliuoli, il bello è che si tratta di un autentico usuraio! Un altro avrebbe detto: «Il banchiere Eriks­son », o il possidente, o qualcosa di simile. Fa un in­chino e dice: «L'usuraio Eriksson». .

Eriksson                      - Fin dai lontani tempi passati, so che all'ingegnere gli scherzi piacciono molto.

Swedenhyelm             - Ma adesso, figlioli, sentirete il più bello. Indovinate chi le Eriksson! E' il mio fratello di latte! II... mio... fratello... di latte! E' il figlio della mia cara nutrice. Dite la verità! Quante volte non mi avete sentito parlare della vecchia Eriksson a Nora? Che brava donna. Ecco qui il suo figliolo. Oh, mi ricordo bene com'era una volta. Almeno, press'a poco. Eravamo dei buoni amici, ricordo. Lo credereste? Aveva già fiutato, che il premio Nobel, sarebbe toccato a me quest'anno!

Eriksson                      - Bisogna essere perspicaci.

Swedenhyelm             - E' venuto per congratularsi. Ma dimmi un po', vecchietto mio, perché non farsi mai vivo in tutti questi anni? S'andava a scuola insieme da pic­coli... poi... poi, perché furono divise le nostre strade?

Eriksson                      - L'ingegnere andò alle scuole superiori; ed io ebbi un posto da vostro padre.

Swedenhyelm             - E dove?

Eriksson                      - In una cella.

Swedenhyelm             - In una ce…lia? In che veste?

Eriksson                      - Di 'galeotto.

Swedenhyelm             - Oh, mi dispiace! Vieni di là, adesso?

Eriksson                      - Per carità! Fu un collocamento, di soli due anni e sei mesi. Da quel giorno non ho più avuto a che fare con la giustizia. Passati quasi quarant'anni... Quindi pensavo...

Swedenhyelm             - Che cosa?

Eriksson                      - Che l'ingegnere non si sarebbe più ver­gognato di ricevermi.

Swedenhyelm             - Eh, cosa dici mai! Vergognarmi del mio fratello di latte? No, neanche se tu fossi stato in tutte le prigioni del regno. Ora poi col premio Nobel, posso permettermi di non vergognarmi più di nulla. Adesso dobbiamo passare un'ora simpatica insieme. Che si fa, ragazzi? Si va in qualche posto a prendere qual­che cosa?

Eriksson                      - (spaventato) Ma non potete già mostrarvi insieme con me.

Swedenhyelm             - (un poco imbarazzato) Già, è vero. D'altra parte, bisogna essere un po' in libertà per rievo­care i tempi passati. Che giornata, questa! Prima il pre­mio Nobel, poi l'occasione di riparlare della casa pa­terna! Figli miei, passeremo un pomeriggio delizioso... (Si guarda attorno) Un pomeriggio delizioso, dicevo... (Allarga il petto e grida con tutta la forza dei suoi pol­moni) Marta! (Marta entra subito).

Marta                          - (sobbalzando) Che c'è? O sono sorda, e al­lora non serve «ridare, o ci sento bene e allora lo stesso non serve.

Swedenhyelm             - (piano, ma con forza repressa) Marta, io ho avuto il premio Nobel!

Marta                          - Lo so; e ho anche fatta la mia brava rive­renza.

Swedenhyelm             - Marta, si vede, in questa casa, che io io ho avuto il premio Nobel?

Marta                          - Come dev'essere una casa in occasioni di questo genere?

Swedenhyelm             - Marta, sei la mia più grande disgrazia.

Marta                          - Non è la prima volta che lo sento dire.

Swedenhyelm             - Sei semplicemente la disgrazia della mia vita! Per mezzo secolo mi hai cacciato avanti con le tue scope e con le tue conche d'acqua. Mi hai di­sperso le 'carte, mi hai disturbato nel mio lavoro, mi hai resa amara ogni gioia e miserabile ogni dolore. Se ho voluto dare una festa, hai brontolato; se ho voluto viaggiare, hai brontolato; se ho voluto restare in casa, hai brontolato; se ho voluto alzarmi per tempo, hai bron­tolato; se ho voluto spendere, hai brontolato; e se ho voluto economizzare...

Marta                          - Avete detto e-co-no-miz-za-re?!

Swedenhyelm             - Tre sono le funzioni della tua vita: brontolare, risparmiare e strofinare. Sei la prosa mate­rializzata, sei la povertà silenziosa e opprimente. Ma ora io sono diventato un uomo ricco, e ora lascerai la mia casa!

Marta                          - (tranquilla) Che vorreste fare di me?

Swedenhyelm             - Ti comprerò la casetta rossa più bella in tutta Askrsund. Là potrai brontolare, risparmiare e strofinare...

Marta                          - Per carità! Basta un po' di pulizia e si può star bene dappertutto. Ma che sarà di Swedenhyelm allora?

Swedenhyelm             - Io salirò col direttissimo nel set­timo cielo e là mi aggirerò con ampi mantelli bianchi, che non avranno bisogno mai di bucato...

Marta                          - Vuol dire che ci incontreremo nel paradiso, Swedenhyelm. (Si volta per andar via).

Swedenhyelm             - Ferma! Ascolta l'« ultimatum »: prima che sia passata un'ora, rimettere" tutto in ordine in que­sta casa; tutto torni al suo posto, ogni tenda alla sua finestra. E le stanze han da essere riscaldate e mandate fuori dall'uscio donne a giornata, conche e scope... (Dall'altra porta a destra escono due donne armate di scope, barattoli, strofinacci, ecc. Attraversano tranquilla­mente la scena e spariscono nel fondo).

Swedenhyelm             - (solenne) Ho avuto il premio Nobel e non voglio più farmi tiranneggiare!

Marta                          - (impressionata) Avete detto «in un'ora»?

Swedenhyelm             - In un'ora!

Marta                          - (guarda gli altri come invocando aiuto) Sen­tite, figlioli, vostro padre mi è parso molte volte tocco; ma oggi proprio dev'essere diventato definitivamente matto!

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

QUADRO PRIMO

 (La stessa scena, ma ora tutto è in ordine. La sala da pranzo è fortemente illuminata, mentre il salone è in penombra. Sivedenhyelm e Erihsson sono ancora seduti alla tavola da pranzo, dove ancora ci sono le frutta e il vassoio del caffè. I due uomini parlano cordialmente, ma non a voce alta; ogni tanto Swedenhyelm prorompe in una franca risata accompagnata dalle risatine di Eriksson. Nell'angolo più scuro della scena si sono ritirati Bo con Astrid; sul principio il pubblico non distinguono che le fiammelle delle loro sigarette. Silenzio).

Bo                              - (a mezza voce) Dammi un bacio...

Astrid                         - No.

Bo                              - Ma perché?

Astrid                         - No, ho detto. (La signorina Marta attraversa la sala da pranzo in vestito di gala. Si guarda attorno; ri­tocca e riordina dove passa. Poi esce sulla scena e ac­cende la luce elettrica).

Bo                               - (a mezza voce, ma irritato) Mammi! Spegni, e va a quel paese!

Marta                          - (mettendo a posto oleum oggetti) Ci vado. Io som di quelle che non dan fastidio a nessuno. Ma dato che oggi c'è gente, mi pareva fosse il caso di compor­tarsi in modo diverso. Mi pareva... (Va lentamente e con dignità nella sala e sparisce. Bo si alza con' una be­stemmia trattenuta a metà e va in punta di piedi a gi­rare l'interruttore della luce).

Astrid                         - (severa e con serietà) Se ti permetto di spe­gner la luce è unicamente per uno scopo alto: punire e far arrabbiare la zia. (Imita forte il suono dei baci. In quel momento Marta è rientrata nella sala e passa, tossendo forte, vicino alla porta aperta).

Bo                               - (tornando presso Astrid) Aspetta, voglio esserci

Astrid                         - (fredda) No. Poche ore fa non volevi baci. Invece ora ne vuoi. Cos'è intanto accaduto? Io sono forse diventata più amabile, più bella più affascinante? Niente di tutto questo. Alcuni ridicoli vecchi, di una ridicola vecchia accademia, hanno dato un poco di de­naro al tuo babbo. Sono quei signori dunque a decideredei miei baci...

Bo                               - (patetico) Bimba mia, la Regia Accademia delle Scienze non si sogna neppure di prendersi una libertàdi tal genere!

Astrid                         - Insignificante è per me tutto ciò.

Bo                               - Allora potresti darmi lo stesso un bacio... insi­gnificante.

Astrid                         - Potrei. Ma se per natura si è freddi come lucertole, tali si resta. Non dovevo prima baciarti perché eri povero. Ora non sei più povero. Ma chi poi mi dice che tu sia un ragazzo onesto?

Bo                                - Io!

Astrid                         - Lo voglio credere. Ammetto che tu sia onesto. Possono però esistere dei delinquenti nella tua famiglia. Tuo fratello, ad esempio, può aver falsificato.

Bo                               -  Una pazzia soltanto pensarlo!

Astrid                         - Niente pazzia! Per tutto il giorno fu molto strano: nervoso, distratto, sgarbato. E' il contegno di chi falsifica. Non vorrei 'che finisse in galera...

Bo                               - Lavora meno di fantasia!

Astrid                         - Ed io, povera ragazza, a dover trascinare tutta la mia esistenza con questo grave incubo: d'aver dato baci ad un uomo il cui fratello è in galera! Grazie!

Julia                            - (entra dalla sua stanza. Ha in mano un co­pione. Recita) «Nomina la disgrazia e ci è già sopra! Caro amico, se sapeste quante volte una parola spensie­rata ha sfidato il destino! ». (Con un forte brivido) «Non sentite come l'aria stessa si agghiaccia per l'avvicinarsi dell'inevitabile?... ».

Bo                               -  Senti, Julia, non potresti dire quelle stesse cosein camera tua?

Julia                            - Impossibile! La parte è troppo grandiosa, ha bisogno di spazio. Come credete che Axelin direbbe questa battuta: «Non sentite che l'aria stessa s'agghiaccia per l'avvicinarsi dell'inevitabile? ». Secondo voi, la di­rebbe con brividi e vicina a svenire, o ci metterebbepiù vapore?

Astrid                         -  Come? Vorresti forse imitare Axelin?

Julia                            - Non ci mancherebbe altro! Ma per fare appunto tutto il contrario, bisogna pur aver presente come direbbe lei la battuta... (Porge il copione a Bo) Fammi il piacere. Provami questo pezzo.

Bo                               - Sono impegnato. Dì a Rolf.

Julia                            - Dov'è?

Bo                               - E' di là, al telefono. Sta rispondendo a ohi si congratula. Nel momento il babbo non vuol essere di­sturbato.

Julia                            - (indicando Eriksson, a mezza voce) Quell'oran­gutan, resterà ancora molilo?

Bo                               - Finché il babbo non abbia esaurite le sue 511 sto­rielle di quando andava a scuola con lui, inutile pensarci. Ma Eriksson capirà, no? alla fine d'essere importuno. (Swedenhyelm ride clamorosamente).

Julia                            - (teneramente) Povero il mio babbino, come si diverte oggi! (Va lentamente verso il fondo e recita) «Sir Herbert, cercate di comprendere la mia situazione! Sono madre di due deliziose bambine; amo loro più della mia stessa vita. Dovrebbe forse un delitto essere frapposto fra me e le mie figlie? (No, piuttosto sacrificare amore, posizione, felicità, pace! ». (Entra in sala).

Swedenhyelm             - (applaudendo) Brava, bimba! Questo si chiama recitare la grande tragedia!

Julia                            - (accarezzandolo) No, vecchiétto mio, è com­media, per quanto con intermezzi tragici.

Eriksson                      - Come nella vita, signora, come nella vita.

Julia                            - Sì, press'a poco. (Sparisce sempre recitando. Sulla scena fra Bo e Astrid si svolge una piccola lotta che finisce in un bacio).

Bo                               - (trionfando) Donare è più bello di prendere, ma il meglio è di fare l'una e l'altra cosa.

Astbid                         - (arrabbiata e mezzo soffocata) Ora sei stato bravo!

Swedehnvelm             - (discorrendo con Erikssojn, stirandosi contento) Sì, grazie a Dio, tutti i miei figli hanno dell'ingegno, sebbene in campi diversi.

Astrid                         - Una ragazza inerme non può difendersi, ma ti dico io, che questo bacio manca di senso morale.

Bo                               - Mi darai dei baci morali fra un quarto di secolo :

Astrid                         - Ad ogni modo, oggi, neanche uno di più. (Ne segue /una nuova, piccola lotta nella penombra. Ad un tratto Morta si affaccia sulla porta. Accende la luce elettrica, e comincia a camminare su e giù davanti alla porta, tossendo e raschiandosi la gola).

Bo                               - (a mezza voce) Senti, Astrid! Soltanto per fare inquietare la zia! Soltanto per farla inquietare!

Astrid                         - Sarebbe anche l'unico modo di farmi dire di sì. (Bo l'abbraccia e si baciano. Dopo un momento di esitazione, Marta chiude risolutamente la porta e resta di guardia con le spalle rivolte ai due giovani).

Bo                               - (pateticamente) Com'è dolce amare, quando l'in­dulgente luna veglia i nostri baci... (Finge di distrarsi da un sogno e si dà un colpo in fronte) Dio mio, ci hanno sorpresi!

Marta                          - (voltandosi lentamente, seccamente) Fate così, immagino, perché quell'Eriksson si formi un concetto alto della famiglia...

Astrid                         - Cara zia, devi sapere che noi ce rie infischia­mo di Eriksson.

Marta                          - Adagio, ragazzi. Non è tanto facile infischiarsi di Eriksson, quando ci si chiama Swedenhyelm.

Astrid                         - E perché?

Marta                          - Ma perché Eriksson... ha delle cambiali con la firma dei ragazzi.

Bo                               - (inquieto) Te l'ha detto Rolf?

Marta                          - Poco fa.

Astrid                         - E con ciò? Basta pagare...

Marta                          - Sì, ma' costano care.

Bo                               - (sempre più inquieto) Perché?... Forse Rolf ti ha detto qualche cosa di più? A me, ha soltanto detto...

Marta                          - Sta tranquillo, piccino. Le tue carte sono in ordine.

Astrid                         - E quelle di Rolf?

Marta                          - Non altrettanto.

Astrid                         - Non altrettanto?

Marta                          - E' pallido come un morituro, Rolf. Io non...

Bo                               - (tormentato, con violenza) Zitta! (Silenzio).

Astrid                         - (piano, ferita) La mia presenza v'impedisce forse di parlare di questioni di famiglia?... (Va verso il fondo).

Bo                               - (fermandola) Ma Astrid, capirai che...

Astrid                         - ... che sono un'estranea. Sì, comprendo. (Ma subitamente getta le braccia al collo di Bo e dice piano, ma concisa) Ora la zia deve dire quello che sa!

Marta                          - Pare che Eriksson abbia comprate le cambiali da altri usurai. Quelle di Bo le ha comprate perché sapeva della fidanzata ricca, ima quelle di Rolf, perché credeva che il vecchio Swedenlhyelm le avesse firmate.

Astrid                         - Come poteva credere questo?

Marta                          - Hanno lo stesso nome e scrivono uguale. Lui conosceva già la firma di Swedenhyelm e non ci trovava nessuna differenza.

Astrid                         - Ma qualche differenza c'è pur sempre fra una firma e l'altra.

Marta                          - Si capisce. Rolf aggiunge sempre junior, ap­punto per far capire che si tratta del figlio.

Bo                               - (con animo sospeso) E allora?

Marta                          - (un poco di malavoglia) E allora... Rolf cre­de d'aver dimenticato qualche volta di aggiungere «ju­nior ». (Bo guarda un momento fisso davanti a sé. Poi si scioglie dalle braccia di Astrid e va con lunghi passi verso la porta a destra).

Astrid                         - (a mezza voce, implorante) Bo! (Fa qualche passo per seguirlo, ma si ferma) E non può esserci qual­che spiegazione diversa?

Marta                          - (riflettendo) Se la firma non fosse stata uguale si sarebbe forse potuto credere che qualcun altro l'a­vesse scarabocchiata.

Astrid                         - E invece, è uguale?

Marta                          - Dev'essere uguale... Se no, Eriksson, penso, non ,si sarebbe lasciato ingannare...

Astrid                         - Non c'è dunque nessun'altra spiegazione pos­sibile?

Marta                          - Eh! No. Pare proprio che abbiamo la di­sgrazia in casa, ed è anche per questo che dico: com­portatevi seriamente, ragazzi. Ce ne va della riputazione...

Astrid                         - (fa qualche passo verso la camera di Bo, ma si ferma nuovamente).

Marta                          - (dopo un momento, aspra) Non hai veduto come Bo era afflitto?

Astrid                         - . E come!

Marta                          - (come prima) E non vai da lui?

Astrid                         - (fa ancora qualche passo, nuovamente si ferma) Non vuole...

Marta                          - (con un poco più di dolcezza) Non dar retta in questo caso a quello che dice. (Astrid esce a destra. Dopo aver esitato un momento, Marta va ad aprire la porta della sala. Vi è Rolf con Eriksson, l'uno di fronte all'altro, minacciosi. Non scambiano nessuna parola e subito dopo Rolf siede su un angolo della tavola. Eriksson si scosta un poco, ed ora $i parlano a bassa voce, calmi. Julia entra nella sala leggendo piano il suo copione, qualche volta accompagnandosi con qualche gesto. Esce sulla scena, arrotola il copione e si dà con esso un forte colpo in testa).

 Julia                           - Mutti, l'autore dei miei giorni sta parlando al telefono con un'eccellenza. Che ti pare?

Marta                          - (fa una piccola riverenza)! Non c'è male!

Julia                            - Dove sono i due innamorati?

Marta                          - Nella camera di lui.

Julia                            - Beati loro! (Sospira profondamente e guarda triste davanti a sé. Piano) «Pensate che non ho mai ama­to mio marito ed egli mi trascurò, mi tradì. Pure gli sono rimasta fedele per dieci lunghi anni. Giuro che sono sempre rimasta una donna onesta... ».

Marta                          - (scandalizzata) Tss! Non star a parlare di queste cose adesso...

Julia                            - Sei pazza, vecchia Mutti? Son battute della commedia!

Marta                          - (arrabbiata) Al diavolo i commedianti! Non si capisce mai quando dici sul serio!

Julia                            - Fa il piacere di ripassarmela.

Marta                          - La parte?

Julia                            - Sì, la parte. Ecco, cominciamo col terzo atto. Di qui. (Marta prende il copione e dice con una certa pretesa di recitare, ma senza la minima espressione).

Marta                          - «Perché mischiare amaro nella coppa di gioia? ».

Julia                            - (con fervore) «Perché questa è la vita! Un insieme di dolce bontà e di scherno crudele! ».

Marta                          - (guardando bene il testo) Sì, sta scritto proprio così.

Julia                            - (impaziente) E che c'è di strano?

Marta                          - Niente. L'espressione soltanto mi pareva un po' estrosa. (Continua) «La vostra dolce gioventù...»,

Julia                            - « Oh, sir Herbert, io sono già una martire ».

Marta                          - No, adesso hai sbagliato ; sta scritto: « sono già una donna matura ».

Julia                            - (impaziente) Non te ne incaricare! Voglio rendere la mia parte un poco più giovane.

Marta                          - Sì, eh? (Continua) « ...vi aiuterà a sopportare il vostro destino? ».

Julia                            - «Potrei rispondere: Dio! Ma la parola è troppo sacra per la mia bocca. Io dico l'amore, io dico l'umiltà ».

Marta                          - « Lascia che baci la tua guancia per addio. Addio odiata, addio miserabile!».

Julia                            - (confusa) Sta veramente scritto « miserabile »?  (Strappa il copione) Ma come leggi, zia? Qui sta scritto chiaramente: «Addio, amata».

Marta                          - Avevo visto anch'io, ma pensavo: sarà uno sbaglio, se l'istante prima la chiamava «odiata ». A meno che quell'uomo non sia pazzo.

Julia                            - E' la pazzia dell'amore, non capisci?

Marta                          - Sì, capisco.

Julia                            - Ma leggi dura come un pezzo di legno! Non ti resta davvero una sola goccia di sentimento nel tuo vecchio corpo?

Marta                          - (profondamente ferita) Se non ti accontento, cambia suggeritore!

Julia                            - Avanti. Ripeti!

Marta                          - (con impeto) « Lascia che baci la tua guan­cia per addio! Addio, odiata! Addio, amata! ».

Julia                            - (con ancor più impeto) « Addio, Sir Herbert. Ricorderò una cosa: voi siete veramente un uomo! ».

(Pedersen è entrato nella sala da poco. Si inchina davanti a Swedenhyelm e ad Eriksson, e si avvicina a Ralf con una domanda, ma riceve una risposta seccata. Pe­dersen si trae indietro, sempre inchinandosi, quando scopre Julia. Con passi silenziosi si fa fin sul proscenio, ma resta appoggiato allo stipite della porta e ascolta, ora stupito, ora rapito).

Marta                          - (con sorprendente pathos) « Inutilmente ho lottato, inutilmente ho sofferto!».

Julia                            - « No! Chi veramente lotta, chi veramente soffre, non lo fa mai inutilmente!».

Marta                          - « Ma quando... quando domandavo una ri­compensa? ».

Julia                            - «E' vero, non siete egoista. Molti altri si sa­rebbero stancati! ».

Marta                          - (sempre più veemente) « E non potrai... non potrai mai rinnegare... ».

Julia                            - (sorpresa e indignata) Ma zia, cos'è questa fretta indiavolata che ti piglia? Non mi lasci neppur dir la battuta. Guai se avessi te, come primo amoroso!

Marta                          - (si asciuga il sudore) «Posso se voglio». (A Pedersen) Bevete un goccio di caffè. Ce n'è ancora del caldo.

Julia                            - (si accorge ora della sua presenza) Ma come, abbiamo pubblico? Non si tratta del signor... signor...?

Pedersen                     - Pedersen, Valfrid Pedersen.

Julia                            - Che volete, ora?

Pedersen                     - (avvicinandosi) Signora Korner, signora Julia Korner, si tratta di una cosa molto urgente, cioè per me e per tutta la stampa. Ma vorrei confidarmi per­sonalmente con voi.

Julia                            - Sentiamo! (Pedersen si avvicina, si ferma alla distanza di un passo, mette le mani sul dorso, si china in avanti e bisbiglia nell'orecchio di Julia).

Julia                            - Ho capito... Ho capito... Sì, capisco... Sì, ma, mio gentile signor Pedersen... Ma, mio egregio signor Pedersen... Sì, ma egregio e gentile signor Pedersen... Non so veramente, mio egregio... (Rolf entra dalla sala, in­contra sulla porta Marta che gli dà uno sguardo scru­tatore, poi pian pianino si avvicina a Eriksson).

Rolf                            - (rigidamente) Vuole un'intervista col babbo, ma gli ho già detto che non è possibile. (A Pedersen) Signor Pedersen, abbiate la cortesia di lasciarci in pace!

Julia                            - Che hai detto?

Rolf                            - Questa è la espressa volontà di nostro padre.

Julia                            - Si vede che nostro padre è diventato su­perbo! Ma il signor Pedersen non è venuto per lui. Il signor Pedersen è venuto per vedere il mio famoso ca­narino. Appena si dà il premio Nobel a qualcuno, quello s'immagina subito che tutti corrano per lui. Ma esistono, se Dio vuole, anche giovani, belle, geniali attrici! Venite, venite, Pedersen! (Lo prende per mano e lo conduce a destra).

Pedersen                     - Sono... sono felicissimo.

Julia                            - (che ritorna al suo testo) « Non dimenticate, Sir Herbert, che più bella appare la felicità e più è falsa... ». (Escono a destra. Eriksson fa un gesto negativo verso Marta ed esce sulla scena, lasciandola nella sala).

Eriksson                      - (voltandosi verso Marta) No, no e no! Del resto ho detto che non so chi è stato.

Rolf                            - (ad Eriksson, con contenuta violenza) Perché non volete farmi vedere le cambiali?

Eriksson                      - Ma perché non ce n'è bisogno.

Rolf                            - Io vorrei soltanto vedere se davvero non «'è scritto «junior ».

Eriksson                      - Fidatevi di me, fidatevi di me.

Rolf                            - Le farete vedere a nostro padre?

Eriksson                      - Dipende... Vedremo. (Marta che è rimasta immobile nella sala, comincia a tossire ed a fare qualche passo; Swedenhyelm attraversa la sala e viene sulla scena. Cammina lentamente, sorride di compiacenza. Marta ras­setta qualche cosa e se ne va).

Swedenhyelm             - Era un'eccellenza che amichevol­mente voleva compiacersi.

Eriksson                      - Mi congratulo, mi congratulo.

Swedenhyelm             - Non perché titoli e grandezze ter­rene mi commuovano gran che; ma che volete: sentire la voce del mio vecchio amico Hjalmar Branting, mi ha fatto proprio piacere. Rolf, bada tu al telefono. E non chiamarmi più, mi raccomando! Il troppo storpia!

Rolf                            - (va volentieri. Resta un momento nella sala da pranzo. Esce dal fondo).

Eriksson                      - Volevo dire... Ora non potete salire più in alto, Swedenhyelm!

Swedenhyelm             - (sorridendo) Sì, è vero. Adesso ho toccala la cima delle mie aspirazioni.

Eriksson                      - E quale sensazione vi dà?

Swedenhyelm             - Francamente, piacevole. Riposante e piacevole.

Eriksson                      - Sarà, come suol dirsi, un riposar sugli allori.

Swedenhyelm             - Iddio ne liberi dal riposare! Non ci mancherebbe altro! Lo scopo della vita è tutto nel gua­dagnare stima e reputazione. Non essere mai inferiori a nessuno e un po' superiori alla maggioranza. Ambi­zione che del resto si ha già ida ragazzi. Allora non si tratta che di spiccar salti, d'arrivar primo nelle corse. Poi sono altre bravure.

Eriksson                      - (ridacchiando) Ricordo bene: bravo era­vate a fare i capitomboli, me lo ricordo bene!

Swedenhyelm'            - Ma sai che mi pare un sogno? Capi­tarmi tu, qui, proprio oggi, a risvegliare tanti antichi ricordi!

Eriksson                      - Ma c'è, per così dire, una ragione logica

Swedenhyelm             - Più si va avanti nell'età e più uno si attacca ai ricordi della propria infanzia. Le distanze si accorciano. Si diventa alla fine fratello e compagno del proprio padre e del proprio figlio.

Eriksson                      - (un. poco commosso) Bel pensiero, Sweden­hyelm, proprio bello.

Swedenhyelm             - Quando mi capita qualcosa di vera­mente straordinario... come mi è capitato, per esempio, oggi... allora vado subito a raccontarlo ai figli. Ma sai quel che faccio dopo? Sai cosa faccio? Vado alla vec­chia casa del sindaco a Nora. Mentalmente, beninteso. Passo per la sala e mi fermo dinanzi alla grande porta grigia, ricordi, con la maniglia nera.

Eriksson                      - (con una smorfia involontaria) La porta dello studio del sindaco.

Swedehnyelm             - Appunto. Poi busso: «Avanti». Entro e mi fermo sulla porta-, dritto, con le mani sui fianchi. «Che c'è?» dice il babbo, e mi guarda come faceva lui, sopra gli occhiali. Allora racconto breve econciso. Con lui non servono le belle frasi. Il suo udito non è più come una volta. Devo avvicinarmi fino allo scrittoio, ripetere. E mentre ancora parlo, ecco, viene la mamma... (Tace. Silenzio).

Eriksson                      - (commosso, piano) Era buona, la signora sindachessa... (Swedenhyelm fa segno di sì, sorride. Silenzio).

Eriksson                      - (piano) Il sindaco però era molto severo.

Swedenhyelm             - (raschiandosi un poco la gola) Ah, lo so bene. Nessuno c'era che lo prendesse per la barba. Vorrei avere uno scudo per ogni ceffone che mi buscai!

Eriksson                      - Non sarà poi stato tanto severo con suo figlio!

Swedenhyelm             - Tre volte bastonato, e a letto senza cena, se lo trovava necessario. Ah, non fui viziato, no, grazie a Dio!

Eriksson                      - Ma più che altro vi avrà punito per scherzo...

Swedenhyelm             - Per scherzo?! (Mettendosi tutte e due le mani nella parte più prominente di dietro) Vorrei augurarti d'essere stato figlio anche tu, in quella casa, Eriksson!

Eriksson                      - Me lo sono augurato anch'io. Special­mente una volta...

Swedenhyelm             - Quando?

Eriksson                      - Una volta. Quando anch'io mi trovai di­nanzi a quella porta grigia, dalla maniglia nera...

Swedenhyelm             - In quale occasione?

Eriksson                      - In quale? Quando dovetti confessare al sindaco il vuoto della cassa. (Breve silenzio).

Swedenhyelm             - (spiacevolmente impressionato va da Eriksson e gli dà un forte colpo sulla spalla) Non ri­destiamo ricordi di questo genere!

Eriksson                      - Quel giorno avrei voluto, sì, essere figlio suo.

Swedenhyelm             - Ciò non avrebbe mutata la situa­zione, sai!

Eriksson                      - Ma mi avrebbe risparmiato il carcere.

Swedenhyelm             - (impaziente) Non parliamo più di quella faccenda!

Eriksson                      - Avrebbe potuto regolarsi tutto senza pub­blicità.

Swedenhyelm             - Credi, veramente?

Eriksson                      - Sì; fu il sindaco a non volere. Non ci fu rimedio. In prigione!

Swedenhyelm             - (impaziente) Ma caro mio, l'autore della tua disgrazia, fosti soltanto tu. .

Eriksson                      - S'intende. Tutto però avrebbe potuto re­golarsi senza pubblicità.

Swedenhyelm             - Il babbo ti aveva fatto avere un buon impiego, ti aveva dato prova di una grande fiducia.

Eriksson                      - Mi aveva anche messo in tentazione.

Swedenhyelm             - Tentazioni esistono per tutti.

Eriksson                      - Sì, ma non tutti finiscono in prigione!

Swedenhyelm             - Grazie a Dio, no! Non tutti però cadono in seguito a tentazione.

Eriksson                      - (con amarezza e disprezzo). Quasi tutti.

Swedenhyelm             - Fantasie da delinquenti!

Eriksson                      - (dopo un momento) Cosicché voi trovate... che il sindaco agì bene?

Swedenhyelm             - «Agì bene»... Senti, vecchietto mio:Mio padre non era soltanto il tuo protettore; era anche il tuo superiore in banca. Un'autorità; il sindaco, il giudice. Dar corso alla giustizia, era, in questo caso, suo stretto dovere.

Eriksson                      - Si, eh?

Swedenhyelm             - (va su e giù commosso) Non dico questo per gravar la mano. Ma sai... Ora ricordo bene. Rimasi tanto male, quando imparai la faccenda. Il mio vecchio compagno di giuoco! Nessuna poteva esserne più dispiacente di me!

Eriksson                      - Uno.

Swedenhyelm             - Sì, tu stesso, vuoi dire...

Eriksson                      - Anche un'altra persona: mia madre.

Swedenhyelm             - (dopo un momento) Capisco….Ca­pisco.

Eriksson                      - (dopo un momento) Mia madre andò dalla signora sindachessa.

Swedenhyelm             - (fermandosi) Sì, eh?

Eriksson                      - E chiese protezione.

Swedenhyelm             - Questo non Io sapevo.

Eriksson                      - E vostra madre rispose promettendo che se anche avesse dovuto pregare in ginocchio il sindaco, l'affare si sarebbe regolato a quattr'occhi, senza pubblicità.

Swedenhyelm             - (commosso) Quando due mamme si mettono insieme...

Eriksson                      - Ma invece il sindaco non volle sentir ra­gioni.

Swedenhyelm             - (con forza) Non potè!

Eriksson                      - « Non potè »... Voglio domandarvi una cosa: Non se avesse ragione il sindaco o io, perché era naturalmente il sindaco che aveva ragione; ma aveva ragione dei due: vostro padre o vostra madre?

Swedenhyelm             - Non ti rispondo. Il fatto è accaduto da tanto tempo e non ha più importanza, mi sembra.

Eriksson                      - No, eh? Nella vecchiaia si ritorna con la mente alle cose passale... L'avete detto poco fa. I miei ricordi non sono belli come i vostri, Swedenhyelm; però non sono senza importanza.

Swedenhyelm             - Debbo dunque per forza risponderti? Con tutto il rispetto per la mia cara madre, era mio padre ad aver ragione. Non si può essere elastici in questioni d'onore.

Eriksson                      - (dopo un momento) Così pensate! Bisogna allora che mi dia per vinto. Non lo faccio però volen­tieri.

Swedenhyelm             - (bonariamente) Ti darai per vinto e te ne andrai, mio caro. Comincia ad essere tardi e la giornata è stata un po' faticosa.

Eriksson                      - Certo, certo, anche la gioia stanca. Si dice. (Con umiltà) Forse non è il momento... Ma vorreste dare un'occhiata a queste cambiali?

Swedenhyelm             - Per mille diavoli. Me n'ero dimen­ticato! Guardiamole subito. Di' la verità: Sei venuto per questo?

Eriksson                      - (con forza, seriamente) No, non per que­sto! Non lo dovete pensare! Prima di tutto sono venuto davvero per farvi le mie congratulazioni. Poi per par­lare della nostra infanzia...

Swedenhyelm             - (scherzando) Terzo: per presentarmi delle vecchie cambiali!

Eriksson                      - (aprendo il portafoglio) Nella mia pro­fessione bisogna essere sempre prudenti un poco. Avendo sentito dire, che incasserete presto un bel po' di da­naro.

Swedenhyelm             - ... volevi farti vivo prima che Swe­denhyelm desse fondo al premio! (Gli dà un amichevole colpo sulla spalla) Conosci bene il tuo vecchio fratello di latte. Ti ricordi quando si faceva a pugni per i dol­ciumi alla fiera di Orebro...?

Eriksson                      - (ritirandosi pian pianino) Sì, siete stato sempre un poco largo di mano. (Cerca tra le carte nel portafoglio) Ma dite un po'. Com'è che Swedenhyelm, che ci tiene dunque tanto all'onore, riceve e tratta una persona come me? Uno che fu condannato in Tribunale?

Swedenhyelm             - (sorvolando) Eh! Grazie a Dio, non sono mali che s'attaccano. Dell'onore degli altri, lascio agli altri la cura. Io curo il mio.

Eriksson                      - (sempre cercando fra le carte) E non ci sentite anche un po' d'egoismo in tutto questo? Pensare soltanto al proprio onore! Soltanto al proprio!

Swedenhyelm             - Chiamiamolo pure egoismo. Però di quello di cui non intendo disfarmi.

Eriksson                      - Forse pensava così anche il sindaco, quan­do mi fece arrestare. Dite, non dovrebbero i giovinotti esser presenti e, per dir così, rispondere...

Swedenhyelm             - Tss! Sarà una sorpresa.

Eriksson                      - Una sorpresa?

Swedenhyelm             - (un poco vergognoso) Voglio metterle nelle calze.

Eriksson                      - (senza comprendere) Nelle calze?

Swedenhyelm             - Le farò mettere da mia cognata.

Eriksson                      - Le cambiali?

Swedenhyelm             - (come prima) Che vuoi?! Anche questo è un ricordo della mia infanzia. La sera prima della vigilia di Natale, la marnarla aveva l'abitudine di mettere qualche regalino nelle calze di noi bambini. Non lo faceva anche la tua?

Eriksson                      - Non so dire. Forse mia madre nelle calze non aveva gran che da metterci.

Swedenhyelm             - Era la cosa per me più attraente di tutto il Natale.

Eriksson                      - E ora vorreste... metterci le cambiali? Scusate: non sarebbe una... leggerezza?

Swedenhyelm             - Forse sì. Naturalmente dovrei invece chiamare i miei figli e tener loro un opportuno discor­setto: Figli miei, questo è il modo di condurre nella tomba anzitempo il vostro padre canuto. Ma io, vedi, non sono mai stato per la retorica. Ho sempre vice­versa combattuto con debiti e difficoltà d'ogni genere anch'io, spesso invocando qualche pietosa divinità perché appunto facesse trovare tutte le mie cambiali nelle mie calze. Per questo cedo alla tentazione... d'essere un poco leggero.

Eriksson                      - Una cosa che non avrebbe mai fatta il sindaco.

Swedenhyelm             - Non l'avrebbe fatta, no!

Eriksson                      - Ma invece la signora sindachessa...

Swedenhyelm             - Forse.

Eriksson                      - (subitamente, con commozione trattenuta) Sentite, Swedeinlhyelm, vogliamo fare così: prendiamo tutte queste carte, e le facciamo in pezzi, così, senza guardarle, e mettiamo i pezzi nelle calze? E voi mi pa­gate una somma complessiva.

Swedenhyelm             - Sei matto? (Eriksson gli va vicino e lo tocca con una mossa della mano nervosa e impacciata e che vorrebbe essere una carezza).

Eriksson                      - Non vi strozzerò, Swedenhyelm, crede­temi! Non vi strozzerò! Credetelo! Credetelo!

Swedenhyelm             - Cosa sono questi discorsi? Stai di­ventando sentimentale, adesso?

Eriksson                      - (sempre più commosso, continua col gesto) Credetemi! Credetemi per una volta!

Swedenhyelm             - (un poco infastidito) Ti credo sen­z'altro. Ti credo. Ma c'è qualche cosa che si chiama or­dine. Quando si tratta di danaro, diamine! non si può scherzare.

Eriksson                      - Scherzare?

Swedenhyelm             - Annotare voglio ogni singola cam­biale... Devo farmi un'idea esatta di tutto. (Cerca nelle tasche e prende in mano un piccolo blocco e una ma-tita).

Eriksson                      - (continuando nel gesto) Credevo che avreste compreso...

Swedenhyelm             - Che cosa?

Eriksson                      - Quella volta. Sbagliavo, sì, ma non ero che un ragazzo.

Swedenhyelm             - (indifferente) « Tout comprendre c'est tout pardonner ».

Eriksson                      - Che cosa?

Swedenhyelm             - A capire tutto, tutto si perdona.

Eriksson                      - (piano) Bello.

Swedenhyelm             - Però io non la penso così. Ormai, più vengo a conoscere le colpe degli uomini e meno sono disposto, vedi, a perdonarle.

Eriksson                      - (dopo un momento) Pare di sentire il sindaco. Il sindaco redivivo. (Breve pausa. Egli mette in ordine le sue carte con mani che gli tremano. Poi con voce del tutto cambiata: secca e fredda, ma non offen­siva).

Eriksson                      - Se volete avere la bontà, ecco qua una cambiale del tenente Bo Swedenhyelm: seicento ottanta corone.

Swedenhyelm             - (annotando) Seicento ottanta. Da quando?

Eriksson                      - Da due anni e tre mesi.

Swedenhyelm             - L'accademia.

Eriksson                      - Bo Swedenhyelm: duemila duecento.

Swedenhyelm             - Quando?

Eriksson                      - Nel giugno dell'anno passato.

Swedenhyelm             - Caro! Allora cominciava a volare.

Eriksson                      - Bo Swedenhyelm: tremila ottocento. Gen­naio di quest'anno.

Swedenhyelm             -  Accipicchia! Regali alla fidanzata. Mica cosette da nulla mettiamo nelle calze! Quasi quasi mi pento.

Eriksson ------------- - Poi non ho altre cambiali chiare del te­nente.

Swedenhyelm             - (facendo i conti) Chiare?

Eriksson                      - E' un modo di dire. Le chiamiamo così.

Swedenhyelm             - Il tutto ammonta a seimila seicento ottanta. Dimmi, quanto avrà avuto il povero ragazzo di questa somma?

Eriksson                      - Non lo posso dire... Ho comperate le cam­biali da uno che si chiama Andersson.

Swedenhyelm             - Anche quelle di Rolf?

Eriksson                      - No, quelle le ho comprate da Bergstrom. Lo conoscete?

Swedenhyelm             - Grazie a Dio, no. Ma dimmi, per quale ragione hai comprate queste cambiali?

Eriksson                      - (scansando) Per una ragione che dirò poi. Vogliamo ora passare alle cambiali del giovane inge­gnere?

Swedenhyelm             - Avanti pure. Sudo.

Eriksson                      - Eh sì! Ora le cifre salgono. Ecco qui una cambiale di otto anni fa. E' di quattromila.

Swedenhyelm             - Otto anni fa! Ahi, ahi, Rolf! Furono degli esperimenti un po' cari.

Eriksson                      - Lo stesso anno: tremila.

Swedenhyelm             - (scrivendo) Diavolo! Pazzo! Ra­gazzo!

Eriksson                      - L'anno dopo: cinquemila.

Swedenhyelm             - All'inferno! Dodicimila seicento! Ti assicuro che mi avrebbe fatto meno rabbia se avesse speso questo danaro per donne e corbellerie! Quanti esperimenti sciocchi! Glielo dicevo che non avrebbero avuto nessun buon risultato! Che rabbia! Vediamo ora: seimila seicento ottanta, più dodicimila seicento, fanno diciannovemila duecento ottanta. No, in nome di tutti i diavoli! (Vince la sua indignazione) Non dimenticare, Swedenhyelm, che ora sei un vecchio molto ricco e... « richesse oblige! ». Ora li hai i mezzi per permetterti il lusso di figli che volano, che si fidanzano e fanno gli esperimenti scientifici. Ma francamente quando penso a quel che doveva bastare per me all'età loro, ci sarebbe da... Bah! Consoliamoci pensando che così stanno tanto meglio di quel che non sia stato io! Però... però... potrei anche aver il diritto di farmi dare un momento in pre­stito il battipanni di Marta. Be', be', be'. Comunque sono poi lo stesso dei bravi ragazzi! Fortuna che ho i miei ragazzi! Guai se non li avessi! Occorre però di quando in quando... un piccolo premio Nobel!

Eriksson                      - (che è rimasto perfettamente indifferente ai vari stati d'animo di Swedenhyelm) Ce ne sono altre due.

Swedenhyelm             - Altre due? Ora mi pare che trabocchi il vaso!

Eriksson                      - (asciutto) L'una è di due, l'altra di quattro.

Swedenhyelm             - Mila?

Eriksson                      - No, cento.

Swedenhyelm             - (annotando) Obbligatissimo! Relati­vamente poco. Sono di Bo? Saranno conti del suo sarto. Quelle benedette uniformi!

Eriksson                      - Sono firmate con Rolf Swedenhyelm.

Swedenhyelm             - Ah, sono di Rolf?

Eriksson                      - Alla prima occhiata si potrebbe anche credere che aveste firmato voi...

Swedenhyelm             - Io? Escludo! Che intendi dire?

Eriksson                      - Il giovarne Swedenhyelm ha l'abitudine di aggiungere «junior». Ma in queste cambiali «junior» non c'è.

Swedenhyelm             - Se ne sarà dimenticato.

Euiksson                     -  Cosi crede lui, ma non è cosi...

Swedenhyelm             - (dopo un momento, con violenza) Vorresti dire che mio figlio, apposta...

Eriksson                      - Le vostre firme si assomigliano molto, ognuno può essere ingannato.

Swedenhyelm             - (contenuto) Tu osi dunque affermare, che mio figlio, apposta...

Eriksson                      - No. Io anzi oso sostenere che il giovane ingegnere non abbia firmato affatto quelle cambiali. La firma vorrebbe imitare la vostra, ma è imitata male. Non inganna gente come noi usurai.

Swedenhyelm             - (stupito, ma calmo) Molto gradevole. Sei dunque dell'opinione che qualcuno abbia falsificato il mio nome?

Eriksson                      - Convinto ne sono.

Swedenhyelm             - Fammi veder le cambiali!

Eriksson                      - (Ecco qua le cambiali di Kolf. E queste sono le cambiali chiare di Bo. E qui sono quelle non chiare.

Swedenhyelm             - E' evidente che si tratta di una falsi­ficazione. E tu compri simili carte?

Eriksson                      - Ingegnere, gente come Amdersson e come me, non chiacchiera senza una base. Ne mettiamo nell'imbarazzo i nostri clienti, purché il nostro conto torni. Andersson non ha voluto precisare.

Swedenhyelm             - Qualcosa ti avrà pur detto! Se no, da quella vecchia volpe che sei, non avresti già abboc­cato.

Eriksson                      - S'intende. Disse che per lui la firma « non era » del vecchio Swedenhyelm, ma che il vecchio papà Swedenhyelm avrebbe pagato lo stesso.

Swedenhyelm             - Con ciò si è sbagliato di grosso. Puoi dirglielo da parte mia.

Eriksson                      - Però lo credeva. E francamente lo credo anch'io.

Swedenhyelm             - (tocca nervosamente le cambiali) Perché dovrei io... perché?

Eriksson                      - State esaminando la filigrana della carta?

Swedenhyelm             - (ancor più agitato) Perché dovrei... perché dovrei esaminare la filigrana della carta?

Eriksson                      - E' la stessa, come nelle cambiali chiare del tenente.

Swedenhyelm             - (prorompendo, ma senza alzare la voce) E smettila con quel tuo maledetto «chiare»!

Eriksson                      - (come scusandosi) Non è che un termine tecnico.

Swedenhyelm             - La carta è perfettamente comune.

Eriksson                      - Sì, quella di Lessabo fatta a mano. Mai in alto è stato asportato il nome del tenente. (Dèlia gola di Swedenhyelm esce un suono (minaccioso e va Con le mani levate verso Eriksson, il quale si tira indietro lentamente e senza paura; Swedenhyelm getta allora le carte sopra la tavola e si passa le mani sul )petto, sulla faccia, sulla fronte).

Swedenhyelm             - (piano) E' assolutamente inverosi­mile... (Mormora) Bo... Bo... Bo... il mio ragazzo...

Eriksson                      - Non ve la prendete tanto, ingegnere. Il tenente non è che un ragazzo. Non dovete essere severo come il vecchio sindaco.

ISwedenhyejlM          - (come prima) E'... assolutamente... inverosimile...

Eriksson                      - Ho sentito dire da Bergstroen, che il te­nente è stato anche da lui, ma non ottenne nessun pre­stito. E pare che la prima falsificazione... scusate il termine!... fosse stata fatta in quella stessa giornata. Forse c'era qualche piccolo imbarazzo da superare. Si sa... Un giovane ha le sue tentazioni...

Swedenhyelm             - (di nuovo padrone di sé, ma stanco) Quanto volete?

Eriksson                      - (lieto) Pagate allora anche quelle false?

Swedenhyelm             - (china affermativamente il capo).

Eriksson                      - (con trionfo contenuto) Ne ero sicuro! Ma, per carità, non c'è fretta! A Swedenhyelm si può far credito! Ed io sono di quelli che possono aspettare.

Swedenhyelm             - Credo che diamo i denari lo. stesso giorno della festa. Se così è, venite qui, vi prego, la sera stessa.

Eriksson                      - Per carità! Guastare una serata simile! Per carità!

Swedenhyelm             - ( in tono di comando, quasi con violenza) La stessa sera! Dopo la festa! Avete capito?

Eriksson                      - (spaventato) Sì, sì, signor sindaco! Vo­levo dire, signor ingegnere...

Swedenhyelm             -  Avete qualche cosa in contrario se trattengo queste carte, già adesso?... (dice questo con fa­tica).

Eriksson                      - Affatto! La parola vostra vale più di qua­lunque carta, vera o falsa!

Swedenhyelm             - (prende le carte; ma ad un tratto tutto il suo corpo comincia a tremare. Gualcisce le carte tra le inani, le fa in pezzi sempre più piccoli, che lascia cadere per terra).

Eriksson                      - Un'altra cosa vi debbo dire. Le due cam­biali di due e quattrocento corone debbono essere ricom­pensate un poco generosamente.

Swedenhyelm             - Dite voi.

Eriksson                      - Lo meritano. Fossero cadute in altre mani, non si sa mai, non si sa mai quello che cosa avrebbe potuto succedere. C'è il carcere per una faccenda del genere, a meno che l'affare possa venir regolato senza pubblicità.

Swedenhyelm             - (senza espressione) Dite voi.

Eriksson                      - Vogliamo dire cento per cento? Ma se trovate che è troppo... anche nulla! Più che altro era... per un principio. Il rischio è   - (grande con simili carte. Non si sa mai se i parenti del falsificatore intendano re­golare tutto senza pubblicità. Ci sono anche quelli che pensano che la giustizia, in questi casi, debba aver corso...

Swedenhyelm             - (afono, con fatica) Dite voi.

Eriksson                      - Allora diciamo cento per cento. (Pausa) Ed ora vi ringrazio e vi saluto, signor ingegnere. (Gli va incontro esitando, muove il braccio destro, ma non osa tendere la mano).

Swedenhyelm             - (porge la sua con un gesto stanco e in­differente. Eriksson l’afferra tra le sue e la stringe con tale calore, che se ne vergogna).

Eriksson                      - Credetemi, Swedenhyelm; ero venuto sol­tanto per farvi le mie congratulazioni e per risvegliare le memorie dei tempi passati. Le carte le avevo, così per dire... di riserva. Avrebbe anche potuto succedere che non le avessi tirate fuori. Invece andò diversamente... (S'inchina e va verso la sala. Sulla porta si volta e dice con tono stanco) Non ci rivedremo spesso, Swedenhyelm. Anch'io avrei voluto pensarla diversamente. La gente non È più disumana di quello che viene costretta ad es­sere. (S'inchina di nuovo e prosegue. Swedenhyelm resta immobile. La porta di fondo viene chiusa).

Swedenhyelm             - (esclama, o piuttosto grida) Bo, Bo, il mio, il mio il mio... (Bo si precipita da destra, stupisce, si ferma incerto. Swedenhyelm si volta lentamente e len­tamente gli va incontro. Alza piano i due pugni forte­mente chiusi. Dopo qualche passo si ferma e preme i pugni sugli occhi).

Bo                               - (impaurito, piano) Cosa succede, babbo? Cosa succede? Qualche cosa con Rolf? (Swedenhyelm si volta dall'altra parte, le sue mani ricadono. Dopo qualche istan­te scuote la testa. La sua voce è di nuovo calma, ma come vuota).

Swedenhyelm             - Nulla di speciale. Si, dì a Marta di venire qui.

Bo                               - Babbo, è successo qualche cosa?

Swedenhyelm             - (lo ferma con un gesto imperativo) Fa come ti ho detto. (Bo esce dal fondo. Julia entra da destra).

Julia                            - Hai chiamato, babbo? (Swedenhielm scuote la testa) Mi pareva di sentire che facevi del chiasso. (Ca­rezzevole) Dì, vecchietto mio, sei molto stanco?

Swedenhyelm             - Un poco.

Julia                            - Vedi, sta qui in casa, aspettando, un giovane giornalista... (Swedenhyelm fa un gesto negativo) Mi di­spiace, ma lasciami! finire. E' molto giovane, quasi un ragazzo. Non credo che sia molto intelligente, ma vera­mente è un buon diavolo. Crede di fare la sua fortuna, se ottiene di parlare con te per cinque minuti soltanto. Non più di cinque, sai, me lo ha giurato!

Swedenhyelm             - (stanco) Se posso fare la fortuna di un giovane con così poco...

Julia                            - Grazie, balbfcino! Pedersen! Pedersen! (Va verso la porta e s'incontra con Pedersen) Soltanto cinque minuti e non fategli delle domande... troppo idiote! (Esce).

Pedersen                     - (s'inchina con molta devozione. Piano) Pedersen, Valfrid Pedersen. Vi sono profondamente gra­to!... Vorrei specializzarmi nelle interviste e vedere di trasformare questa usanza giornalistica in una vera forma d'arte. Prima di tutto sono convinto che prima d'inter­vistare, bisogna sapere qualche cosa del soggetto scelto. Se no, son disastri. Oppure si fanno delle domande scioc­che e si ricevono delle risposte sgarbate. Per questo passai in biblioteca la mia giornata: appunto per studiar la storia degli Swedenhyelm, e so già a memoria i titoli delle vostre invenzioni, tutte le date, ecc.. Nei libri di araldica, ho poi studiato le origini della vostra fa­miglia. Caspita, che vecchia famiglia benemerita! Però si ha l'impressione di un retrocedere, non è vero? Il vostro nonno fu generale, il vostro padre sindaco, e voi non siete che ingegnere. Una celebrità, si capisce! Avete la gran croce di Vasa e la Stella del Nord. Tutte queste cose, come sentite, le so a memoria, ma ora vorrei cono­scere i particolari che non si trovali nei libri...

Swedenhyelm             - (indifferente) Esempio?

Pedersen                     - Esempio: che sensazione dà?

Swedenhyelm             - Sensazione?

                                    - (Pedersen  che sensazione dà, ricevere il premio No­bel? Come di essere arrivato sopra una cima. E' così?

Swedenhyelm             - Certo per me è un raggiunger la cima.

Pedersen                     - Senso di vertigine?

Swedenhyelm             - (tranquillamente) No... Senso... di tranquillità, di riposo.

Pedersen                     - Riposo sugli allori?

Swedenhyelm             - Non proprio così. Se non sapessi che domani sarà, per me, di nuovo una giornata di lavoro, forse diventerei pazzo. La vita è una lotta per conquistar stima e posizione. Almeno è stato per me così, sempre. Già! Ora tocco la meta. Non mi resta più da lottare...

Pebersen                     - (meravigliato, ma piano) Ma... questo... non è... molto divertente...

Swedenhyelm             - (calmo) Mi sento però tranquillo. Gran bella cosa! Sento che tutto potrebbe anche andare in fiamme, andar disperso come pezzetti di carta, e non mi darebbe la minima impressione. Tutto non era che nulla!

Pedersen                     - (come prima) Non era che nulla? Ora non comprendo bene»

Swedenhyelm             - Sì, nulla. Si ha magari un bel vecchio nome di famiglia e si fa di tutto, perché resti onorato, quando, un bel giorno, un parente, un fratello, un figlio te lo insudicia. E con ciò? Non bisogna per questo far strepito. Oppure esiste una persona cui si vuol bene molto. Si ha fede in quella come nel Padre Eterno. Bene spesso capita di andar delusi. Tutti siamo tentati e quasi tutti cadiamo. Vogliamo addirittura dire tutti? Sarà fantasia da delinquente, ma rispecchia la verità.

Pedersen                     - (sempre più piano) Non mi sarei mai aspettato che diceste ciò che adesso mi dite...

Swedenhyelm             - (perde a poco a poco la sua calma) Quando si è giovani non si vede chiaramente ancora, come è la vita. Ma state tranquillo, si impara poi con gli anni. Prima o poi. Felici coloro che l'imparano prima. Non proveranno le delusioni riservate agli ingenui. Non ameranno nessuno, ma neppure vengono traditi. Non fa­ticano come schiavi, come pazzi, per poi alla fine restare lì, oppressi dalla stima della gente, afflitti da onorifi­cenze, abbattuti e ridicoli. (Con violenza subitanea) Vo­lete sapere qual'è la sensazione? Come trovarsi alla go­gna! (Silenzio: calino, stanco) Mi sarò espresso poco...  poco... (tace, ride piano)... stavo per dire poco chiaro…Ma la parola « chiaro » ha un suono antipatico. Non pare anche a voi? (Ride) Non bisogna falsificare la verità con parole poco chiare. (Di nuovo serio, stanco) Mi sono espresso male. Ma arrivato alla mia età, arriverete anche voi alla medesima conclusione: Non valeva la pena! Che altro volete sapere?

Pedersen                     - (piano) Nulla. (S'inchina e va verso il fondo. Ma si volta e toma indietro e afferra la mano di Swedenhyelm).

Swedenhyelm             - (sorride) Aveva ragione mia figlia. Non siete una grande mente, mi siete un bravo giovane. Più sentimento che cervello. Poveretto, poveretto! Ma ora vi darò un consiglio: Scrivete: « Swedenhyelm è con­tento di aver finita la sua vita ». Oppure scrivete: « aiver posto termine alla sua opera ». Meno patetico. (Pedersen s'inchina nuovamente e va verso il fondo. Swedenhyelm resta immobile. Marta entra in scena).

Marta                          - Mi avete chiamato?

Swedenhyelm             - (culmo, stanco) Fa il piacere di racco­gliere quei pezzi di carta.

Marta                          - (borbottando, timidamente) Qui non si vede davvero che sia stata fatta pulizia generale. (Raccoglie le carte).

Swedenhyelm             - Bruciale, e fammi il piacere di guar­dare che tutto venga incenerito bene.

Marta                          - Sarà fatto. (Va verso il fondo).

Swedenhyelm ,           - Grazie.

Marta                          - (va su e giù. Sulla porta) Ho cambiato Paria e ho rifatto il letto, se volete andare a dormire. (Esce).

Swedenhyelm             - Grazie! (Resta un poco immobile; la sua grande figura si accascia. Mentre cala il sipario, va verso il fondo con passi lenti e stanchi).

SECONDO QUADRO

 (La stessa scena. Di sera. -Nella salai la grande tavola è occupata da sedie; ma ora non si tratta di pulizia gene­rale. Marta sola è occupata a spazzare. Ha un fazzoletto in testa; spazza e rassetta, appare e sparisce. All'inizio, la sala è fortemente illuminata. La scena invece è poco illuminata. Vi stanno seduti, in attesa, Rolf, Julia e Bo. Rolf in marsina e una decorazione, Julia in abito da grande serata, Bo in alta uniforme. Rolf guarda ogni tanto l'orologio con piccoli scatti nervosi. Julia ha l'aria preoc­cupata. Bo sta un po' accasciato e guarda nel vuoto. Si­lenzio).

Marta                          - (sulla porta) Sentite, figlioli, come andrà a finire se Swedenhyelm si fa ancora attendere?

Rolf                            - (senza guardare su) C'è ancora tempo.

Marta                          - Sì, ma la macchina attende, e la sosta è cara. (Se ne va, ritorna) Se dovesse far tardi, potrebbero an­che dare il premio a qualchedunaltro. Non si sa mai. Per far dispetto. (Se ne va, ritorna) Chi deve riscuotere danaro ha l'obbligo di esser puntuale. Il Re potrà anche stancarsi d'attendere Swedenhyelm.

Rolf                            - Va a sollecitarlo.

 Marta                         - Io da lui? Non ci vado davvero! (Se ne va).

Julia                            - Sarà una catastrofe, una catastrofe pirami­dale. Qualche cosa di unico nella storia della « troupe » Swedenhyelm.

Rolf                            - (burbero) Risparmiaci il tuo gergo teatrale.

Julia                            - Tutti i giorni la stessa faccia. Non una parola, non un sorriso, appena un saluto la mattina, non una carezza, non un bacio. Se dura così, divento matta. Nes­suno proprio sa dirmi cosa gli è capitato?

Rolf                            - Io non so nulla e non vaglio saper nulla. (Bo alza il capo e guarda il fratello. Abbassa di nuovo lo sguardo).

Julia                            - Ragazzi, ragazzi, che brutti giorni abbiamo passati! Noi Swedenhyelm, che siamo invece di solito tanto allegri e simpaticoni. Forse non lo siamo? La gente ha detto sempre: «Ah, quegli Swedenhyelm, come sono allegri, semplici, spiritosi, eleganti, proprio cara gente! ». E ora? Basta 'guardare come stiamo seduti! Come infime comparse di un film! Puah! (Getta una gamba sopra l'altra) Dio, come sono afflitta! Eppure ho avuto un co­lossale successo. Non è vero, forse? Domenica sera il sipario fu alzato tredici volte dopo l'ultimo atto. Che ne dite?

Rolf                            - (indifferente) Sei sempre la solita scimmia;..

Julia                            - Povero babbino! Di che cosa sarà preoccu­pato? Forse si tratta dello stomaco, non digerisce forse bene. Vogliamo chiamare il medico?

Rolf                            - Sì, un medico psichiatra per te.

Julia                            - Io prevedo una catastrofe. Me la sento. Le ginocchia mi si piegano, il cuore mi si ferma, la gola mi si chiude, non posso pronunciare una sola parola. Puah! Perché non rispondete? Quando non si può né piangere, né ridere, né ballare, né cantare, neppure litigare, allora è la fine! Puah! (Cambia posizione delle gambe. Con tono aggressivo) Bo!

Bo                               - (indifferente) Dì.

Julia                            - Dov'è il mio specchietto?

Bo                               - Non lo so...

Julia                            - L'hai preso tu!

Bo                               - Ti ho detto di no.

Julia                            - Tu l'hai preso!

Bo                               - E per farmene che cosa?

Julia                            - Mirarti! Oppure l’hai dato alla tua piccola, antipatica scimmia!

Bo                               - (triste) Non vedo Astrid da quindici giorni!

Julia                            - Da quindici giorni! Sei un vero villano! Hai una piccola fidanzata incantevole e non vai a trovarla tutti i giorni. Come si fa ad essere così flemmatici?

Rolf                            - (amaro, subdolo) Forse anche Bo aspetta una., catastrofe.

Bo                               - (lo guarda, poi abbassa lo sguardo) Io?

Marta                          - (sulla porta) Sentite figlioli, comincio ad aver paura. Speriamo che Swedenhyelm non abbia commessa qualche corbelleria grossa.

Rolf                            - (violento) Non dir stupidaggini!

Marta                          - Mah! L'ho veduto col rasoio in mano. Si è fatto così strano in questi ultimi giorni... (Sparisce).

 Julia                           - Non gracchiare cornacchia! (Quasi piangendo) Sapete dirmi, ragazzi, cosa sta accadendo? Oggi, che avremmo dovuto camminare coi tacchi sulla soffitta...

Rolf                            - (amaro) S'è presa forse troppo in anticipo la gioia.

Julia                            - (come prima) Hai ragione. E' proprio di noi Swedenhyelm prendere anticipi.

Rolf                            - Ma se dovesse avvenire qualche spiegazione o qualche catastrofe, cerchiamo almeno di risparmiare a nostro padre la vergogna del nome Swedenhyelm in certa colonna dei quotidiani.

Bo                               - (lentamente) Cosa intendi dire? Non capisco.

Julia                            - Neppur io. Oh, ma come sono angosciata!

Rolp                            - Voglio dire che qualcuno dovrebbe sacrifi­carsi per l'onore della famiglia e partire, se non dal mondo...

Bo                               - (con un pallido sorriso) Con un aeroplano!

Rolf                            - Basta col treno.

Julia                            - Dio, ragazzi, perché non parlate mai chiara­mente? Son settimane che andate intorno mormorando come preti egizi. E non c'è verso di farvi carotare! Se avete rubato o assassinato, ditelo, ma non distruggete ogni gioia al nostro povero padre.

Rolf                            - Mi sembra già sia distrutta interamente.

Julia                            - Oh, sì, è diventato tanto triste! E se nega di affacciarsi?

Rolf                            - Dove?

Julia                            - Sulla scena, sul podio...

Rolf                            - Tu ti pensi che abbia intenzione di recitare?

Julia                            - Tutte le celebrità lo fanno. Scommetto che sta Seduto davanti allo specchio, studiando che faccia deve fare ricevendo il premio dalla mano del Re. «Molte gra­zie, Maestà, che avete voluto procurare questo onore e questa gioia al vecchio Swedenhyelm. Avete fatto bene, Maestà, perché Swedenhyelm ha sempre fedelmente amato due belle creature: l'onore e l'allegria ». (Scoppia a pian­gere e dice singhiozzando) (Non c'è nessuno che possa spiegarmi perché sono così nervosa?

Makta                         - (entra con aspetto impaurito, piano) Figlioli, figlioli! E' finita. E' finita! Sta seduto immobile e si fissa nello specchio.

Julia                            -  Cosa vi avevo detto io?

Marta                          - Adesso è proprio finita! Quando un uomo vecchio si guarda fisso, è finita! Chi poteva mai immagi­nare che l'avrebbe presa in quella maniera!

Julia                            -  Che cosa?

Marta                          - Ma le cambiali che aveva portato quell'Eriksson.

Rolf                            - (l'afferra per un braccio) Ebbe anche quelle falsificate? Lo sai di sicuro?

Marta                          - Ma sì, esaminai bene tutte quelle cartacce prima di bruciarle.

Rolf                            - (come cercando protezione dalia sorella) Julia, non ne posso più...

Julia                            - (teneramente) Calma, figlio mio!

Marta                          - Eccolo, eccolo! No, non ho il coraggio di rimanere. (Corre nella camera di Julia. Rolf va alla finestra. Julia e Bo restano immobili. Si sentono i passi di Swedenhyelm. Cammina lentamente; entra in sala. E' in marsina e con il nastro Vasa attraverso il petto. La persona è eretta, ma la testa un poco inclinata. Guarda, come se non vedesse nulla. Si ferma in mezzo alla- scena, cava fuori l'orologio e lo guarda a lungo, senza capire che cosa guarda. La voce è vuota).

Swedenhyelm             - Siete tutti pronti?

Julia                            - (cercando di assumere un tono disinvolto) Sì, tutti pronti.

Swedenhyelm             - Allora andiamo. Vogliamo prendere il tram?

Julia                            - Babbo, da una mezz'ora abbiamo giù un tassì che ci aspetta.

Swedenhyelm             - (guarda di nuovo l'orologio) Da una mezz'ora! Allora, andiamo.

Julia                            - Un momento... (Lo rassetta) Come sei bello!

Swedenhyelm             - (sorridendo debolmente) Questo si sa. Son tuo padre. (Cava di nuovo fuori Torologio) An­diamo, dunque. (Si volta lentamente, a malavoglia, verso il fondo).

Julia                            - Dio, come mi brucia la faccia. Si vede che ho pianto?

Swedenhyelm             - (senza voltarsi, con indifferenza) Pianto? Perché?

Julia                            - E dire che non ho il mio specchietto! (Pesta i piedi per terra. A Bo) Che hai fatto dello specchietto?

Bo                               - (impaziente) Ma, cara Julia...

Swedenhyelm             - (con indifferenza) Che c'è?

Julia                            - Bo m'ha rubato lo specchietto!

Bo                               - E' fantasticamente impossibile...

Swedenhyelm             - (voltandosi di scatto) Che cosa è fantasticamente impossibile?

Bo                               - (confuso) Che 'io possa aver rubato...

Swedenhyelm             - (si precipita verso di lui, gridando) Ed è anche fantasticamente impossibile che tu possa aver falsificato cambiali? (La colpisce in faccia. Bo retrocede fino alla parete. Dopo un momento, piano, ma ansando).

Bo                               - Non avresti dovuto colpirmi, babbo. Porto uni­forme.

Swedenhyelm             - (fuori di se) Hai falsificato? Hai fal­sificato? Rispondimi o ti strappo l'uniforme di dosso. Hai falsificato il mio nome?

Bo                               - (si volta verso il fratello, poi verso il  padre e dice piano, ma senza timore) Sì, babbo. (/ muscoli tesi di Swedenhyem si attentano, le braccia cadono lungo la per­sona, china il capo. Silenzio).

Swedenhyelm             - (apaticamente) Perdonami se ti ho colpito. Non volevo farlo, ma era in me diventata l'idea fissa da molti giorni: mi ha stancato.

Rolf                            - (angosciato, incauto) Babbo... forse, non è ben certo che si tratti di Bo... Potrei invece essere io...

Swedenhyelm             - (apatico) Perché no? Se può l'uno, può averlo fatto anche l'altro. (Silenzio).

Marta                          - (entra da destra. Si p stretta uno scialle intorno alla persona, come se avesse freddo; avanza lentamente. Swedenhyelm si fa forza, si drizza sulla persona. Fa qual­che passo su e già).

Swedenhyelm             - No, non posso, Non posso accettare una qualsiasi onorificenza, grande o piccola che sia. Se non ho saputo cavarci dai miei figliuoli della gente one­sta, il resto non ha più valore.

Marta                          - (con calma artificiale) Ma di che si tratta?

Julia                            - (le si stringe vicina tutta tremante) Mutti, succede una cosa terribile. Bo ha falsificato il nome del babbo.

Marta                          - E' Swedenhyelm che dice questo? Del pro­prio figlio?

Swedenhyelm             - (di nuovo apatico) Così!

Marta                          - (lo fissa con infinito disprezzo, poi) Inven­tivo e geniale, questo lo siete stato Sempre. Ma che do­veste pensare proprio al piccino... (indica Bo col pollice) mi fa meraviglia.

Swedenhyelm             - Che intendi dire?

Marta                          - Ancora pensate a quelle cartacce? Io avrei sempre creduto che avendomi ordinato, come faceste, di bruciarle, non se ne sarebbe parlato più. Questo sì, che sarebbe stato generoso!

Swedenhyelm             - Non se ne parlerà più.

Marta                          - « Deo gratias! ». Immagino che Swedenhyelm gradirà sapere ehi ha firmato col suo nome. Una tale che «i chiama Marta Boman, non so se la conosciate... (Si­lenzio).

Julia                            - Multi!!!  Svengo!

Marta                          - Statevi fermi, perché ora sono io che ho: da parlare con Swedenhyelm.

Swedenhyelm             - (l'afferra per le spalle e la scuote) Se dici una bugia, t'ammazzo!

Marta                          - (taglie dal seno una carta) Eccone qua un'al­tra che avevo firmato come mi riusciva, ma è soltanto di cento corone. Mio ritirata onestamente da quel brutto Anderson.

Swedenhyelm             - (tocca nervosamente la carta) Anche questa è su carta di Bo. (Febbrilmente) E perché l'hai fatto?

Marta                          - Per far quattrini, o bella! Lo capisce anche un bambino.

Swedenhyelm             - E per farne che, dei quattrini?

Marta                          - Voi me lo domandate?! Sapete quanto costa tenere aperta una casa per un tenente, un'attrice, e due geni come voialtri due?

Swedenhyelm             - Forse che io non ti ho mai dato danaro?

Marta                          - Sì, quando ne avevate. Ma quando non ne avevate, non mi avete mica detto di lasciarvi morir di fame. E, non faccio per dire, si hanno delle pretese in questa casa! Alla mattina si domanda caviale... (t)à un'oc­chiata terribile a Bo),

Bo                               - (umile, implorante) Mammi...

Marta                          - Del resto non sei solo tu a chiederlo, pic­cino.

Swedenhyelm             - E per queste cose, hai...

Marta                          - (interrompendo) Mandatemi in carcere, Swe­denhyelm!

Swedenhyelm             - Sosterresti forse che io non ti ho dato abbastanza quattrini?

 Marta                         - (interrompendo) Che ne sapete voi di quel che ci vuole o iróh ci vuole in una famiglia? Se dovete fare invenzioni, non potete già occuparvene! Certe volte si ordinava, ad esempio, feste con lanterne giapponesi e spumante, perché qualcuno voleva farsi vedere in luce di bengala!

Julia                            - (come prima Bo) Mutti... Mutti...!

Marta                          - Non si tratta soltanto di te...

Swedenhyelm             - E per simili cose...

Marta                          - (allungando le braccia) Ma sì! Fatemi con­dannare!

Swedenhyelm             - E che ne hai fatto, ad esempio, delle ultime quattrocento corone?

Marta                          - Pagate le camicie di seta del piccino.

Swedenhyelm             - Ca-mi-cie di se-ta!

Marta                          - Dovrebbe andar forse senza camicia? O stare in mezzo agli altri tenenti vestendosi da straccione? Se uno si chiama Swedenhyelm; ci vuole questo ed altro!

Swedenhyelm             - Tu mi fai diventar matto!

Marta                          - E mandatemi in carcere!

Swedenhyelm             - (si fa forza per sembrare imponente) Marta, a quanto risalgono queste... queste... ehm?

Marta                          - Non occorre che lo sappiate. Finora avevo sempre pagato puntualmente. Soltanto queste ultime volte mi è accaduto...

Rolf                            - Cara zia, è necessario si sappia tutto.

Marta                          - (inviperita) Se proprio è necessario... Fu emessa la prima cambiale sette anni fa, quando « qual­cuno » aveva bisogno di vetri e ritorte e stufe a gas e lampade d'inferno e acidi e veleni e che so io, tutto per far conoscere quanto foste geniale!

Rolf                            - (vergognoso) Ma zia, non vorrai mica dire, che i piccoli prestiti che mi facevi, ti portavano a...

Marta                          - Prendila con calma. Non sei stato soltanto tu. Altri geni ci sono in questa casa.

Swedenhyelm             - Vuoi forse far credere di averli pa­gati tu gli esperimenti fatti per me? Addirittura dì che sei stata tu anche a farli!

Marta                          - Per carità! Io non imi ci sarei mai messa a sporcare ed affumicare, come voi fate. Ve lo ripeto: In carcere! Mandatemi in carcere!

Swedenhyelm             - Donna, che debbo fare con te?

Marta                          - (tranquilla, ma un poco stanca) Fate come vi ho detto, Swedenhyelm. In carcere! E così sarà finita una volta per sempre con le pulizie generali, i bucati, i rammendi. Non avrò più da lambiccarmi il cervello per trovare soldi da far la spesa e comperare tante cose inutili. Mandatemi pure in carcere. Sarà per me una vita di riposo. Anche se feci delle pazzie, avrò pure il diritto anch'io d'essere stanca!

Bo                               - (piano, preoccupato) Mammi, Mammi!

Julia                            - Multi...

Swedenhyelm             - (piano) Dimmi ancora una cosa sol­tanto e tutto ti sarà perdonato.

Marta                          - Grazie.

Swedenhyelm             - E perché lasciasti passare tutti questi giorni senza aprir bocca?

 Marta                         - (invelenita) E che cosa avrei dovuto dire?

Swedenhyelm             - Che eri tu... che eri tu che...

Marta                          - Ma potevo io mai immaginare, che voi era­vate così enormemente stupido? Non avete forse veduto le mie gambe di mosca? Un po' d'istruzione l'ebbi per fortuna mia, ma per me non ci fu tempo per fare eser­cizio di calligrafia. Non mi avete forse indicate le car­tacce che stavano per terra, con uno sguardo che trapas­sava l'anima? Potevo io credere che non aveste capito? Potevate ben domandare. Ma voi, si sa, voleste fare il superbo. E la superbia va punita! Io vi compatisco. Com­patisco sì e no mia sorella che sposò un pazzo come Swedenhyelm.

Swedenhyelm             - (le prende il capo fra le mani e le os­serva il viso) Sai, Marta? Qualche volta mi scordo che sei mia cognata.

Marta                          - Non me ne faccio caso.

Swedenhyelm             - Marta, ti ricordi di tua sorella?

Marta                          - E' probabile.

Swedenhyelm             - Molto bella.

Marta                          - E' vero.

Swedenhyelm             - Invece tu non sei bella.

Marta                          - Dicono.

Swedenhyelm             - (posa la sua guancia vicino a quella di lei) Però mai nessuna donna mi ha fatto tanto felice come mi fai felice tu, oggi (Marta viene scossa da singhiozzi).

Julia                            - (spaventata) Ecco che Mutti si mette a pian­gere! Che facciamo?

Swedenhyelm             - (drizzandosi) E così figlioli, ora voglio chiedervi una casa! (Afferra Bo per il petto e lo scuote) Quale demonio t'ispirò di rispondere:  (cari­cando) « Sì, babbo! »?

Bo                               - (confuso) Ecco, avevo un dubbio: temevo che fosse Rolf...

Rolf                            - (irritato e confuso) Che dici, ragazzino?

Swedenhyelm             - E così l'uno ha diffidato dell'altro! Male! Male, diffidare del proprio fratello!

Julia                            - (ingenuamente) Ma, vecchietto mio, è forse meno grave diffidare del proprio figlio?

Swedenhyelm             - (smontato) Dici che io...

Julia                            - Senti, senti! Ha già dimenticato che non meritava il premio Nobel, per aver figli disonesti. E quello che a me sembrava tanto commovente!

Swedenhyelm             - (lui e i suoi due figli si fanno scuri in viso e guardano Julia con indignazione).

Julia                            - (allegramente e con ingenuità) Babbo, hai anche dimenticato che cinque minuti fa desti un gran ceffone al piccolo Bo?

1B0                             - Che ti riguarda?

Rolf                            - Scimmia!

Bo                               - Scimmia!

Swedenhyelm             - Scimmia!!! (Julia si afferra il capo con un gesto plastico).

Julia                            - Sempre questi tre uomini contro di me, po­vera donna indifesa! «Sir Herbert, la mia vita è insop­portabile! ».

Marta ------------------- - (seriamente) Swedenhyelm, non dovete of­fendere i vostri figli. Credete a me: non è facile vivereinsieme con voi! Quando meno ci si aspetta, c'è un'esplo­sione. Ora sembrate saggio, ora tutto il contrario.

Swedenhyelm             - (posa la mano sul capo di Marta) Marta, tu sei la disgrazia della mia vita. Tu sei la po­vertà svedese nel bene e nel male. Tu sei l'Egeria del genio svedese.

Marta                          - Anche questo può essere. Non so che cosa io mi sia...

Swedenhyelm             - Ed ora, figli miei, vogliamo vuotare una bottiglia di spumante in onore di Marta? (Entra correndo Astrid in pelliccia).

Astrid                         - Siete tutti pazzi? (Non sapete che ora è?

Swedenhyelm             - (guarda il suo orologio e fa una smor­fia per la sorpresa. Corre nel fondo in punta di piedi, seguito da Rolf e da Julia).

Astrid                         - (a Bo) Forse già fate aspettare il Re, bene­detta gente! Cosa avete fatto?

Bo                               - (l'abbraccia e la bacia) Abbiamo fatto pulizia generale. (Escono nel fondo).

Marta                          - Basta che il Re non s'arrabbi! Con Swe­denhyelm bisogna avere la pazienza di un santo. (Va nella sala a spegnere la luce, ritorna con una tazza di caffè; il piattino carico di biscotti alla salute. Li posa su un tavolo vicino alla porta. Swedenhyelm rientra in soprabito e col cappello sulla nuca).

Swedenhyelm;            - Marta, tra poco avrai la visita di un signore che ai chiama Eriksson. Lo conosci; è il mio fratello di latte. Ma devi trattarlo come se fosse il mio fratello carnale. Fallo sedere sulla più comoda delle nostre poltrone, offrigli una bottiglia del nostro vino migliore, un sigaro della scatola e, prima di tutto, trat­talo con grande benevolenza! E' il mio fratello di latte, Marta, e non dobbiamo essere superbi. Hai capito?

Marta                          - No, non ho capito un bel niente.

Swedenhyelm             - Questa però è la mia volontà e spero che tu vorrai rispettarla.

Marta                          - Se l'ho fatto per trent'anni, potrò ben farlo ancora una volta.

Swedenhyelm             - Vecchia d'oro. (Corre via. Marta va nella sala. La scena resta vuota un momento. Si sente il  « clakson » dell’automobile che parte. Marta rientra).

Marta i                        - Ecco! Partiti! (Viene avanti e si vede che si è fornita di un robusto battipanni, siede al tavolino e comincia a bere il caffè) E adesso venga pure anche Eriksson! (Il sipario cala lentamente, mentre Marta intinge nel caffè, con compiacenza, i suoi biscotti).

FINE