Il pretore De Minimis

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IL PRETORE DE MINIMIS

Commedia in tre atti

di GUGLIELMO GIANNINI

PERSONAGGI

CONSALVO DE MINIMIS

GIULIO ROBERTI

DONATO CABOTINO

ANDREA BARSANI

OTTAVIO QUIZIO

FORTUNATO INNOCENTI

INES BARSANI-TONENGHI

SABINA MORELLI

MADDALENA ROVATI

L'azione si svolge in uno Stato europeo, nella casa di Consalvo: dal primo al secondo atto trascorrono due mesi, dal secondo al terzo altri due. Epoca presente. scena unica.

ATTO PRIMO

 (Studio in casa di Consalvo. Ambiente borghese, non privo di gusto, agiato senza esagerazione. Un'entrata in prima a sinistra, comune al fondo, altra entrata in prima a destra. Librerie e scaffali in alto a sinistra, ai due lati del fondo altre librerie. I libri sono rilegati con lusso di colori, con i dorsi in pelle, e riempiono le librerie di sinistra e quelle del fondo. Quella a destra contiene materiale di cancelleria e segreteria; in più serve da armadio per la segretaria. Grande scrivania, con penne, libri e poche carte nel massimo ordine, a sinistra, di tre quarti, con sedia e due poltrone. A destra scrivania in senso normale alla ribalta, con telefono, penne, molte carte e libri. Dietro la scrivania di destra, tavolino con macchina da scrivere; davanti, verso sinistra, sedia; verso destra altra sedia. Le undici del mattino. Autunno).

Maddalena                    - (cinquant’anni, abito da casa, entra dalla sinistra con un vassoio sul quale sono gli avanzi d'una prima colazione e le stoviglie relative; depone il vassoio sulla scrivania insieme a un giornale in cui sono stati raccolti i vari rifiuti d'uri accurata pulizia dei mobili: pezzi di caria appallottolati, una botti­glietta d'inchiostro vuota, un piumino per spolverare o altro di simile).

Sabina                           - (venticinque anni, bellissima ragazza, entra dal fondo; cappellino, eleganza discreta, passo rapido e deciso, volto sorridente) Buon giorno, signora Lena. (Depone sulla scrivania a destra un pacchetto di corrispondenza che ha in mano).

 Maddalena                   - Buongiorno, signorina Bina.

Sabina                           - (stupita) Bina? (Comprendendo) Ah già... scusatemi, dimentico sempre che non vi piace d'esser chiamata Lena. (Si sta sfilando i guanti; poi si toglierà il cappello).

Maddalena                    - È così bello Maddalena... Almeno fu una peccatrice.

Sabina                           - Questa è la parte meno bella.

Maddalena                    - Più bella. Avrà avuto qualcosa da raccontare, almeno. Mentre io... (Alza le spalle, sec­cata) Beh. (Prende il vassoio; fa per muoversi verso la destra) È tornato.

Sabina                           - Lo so, me l'ha detto il portiere. Come sta?

Maddalena                    - Benissimo: ottimo umore, grande appetito.

Sabina                           - La cura gli ha giovato, insomma.

Maddalena                    - È ringiovanito. Potessi farle anch'io queste cure, questi fanghi...

Sabina                           - (sta mettendo a posto le sue cose in uno scompartimento della libreria, poi va alla scrivania a destra incominciando a scartabellare) Chiedetegli un permesso.

Maddalena                    - Volete scherzare.

Sabina                           - È così buono, comprensivo.

Maddalena                    - Ma non è del permesso che ho bisogno; m'occorrerebbero i soldi, per fare la cura. All'Albergo Reale gli hanno preso seimila corone al giorno.

Sabina                           - Oh!

Maddalena                    - Ho visto il conto. L'aveva nella tasca della giacca. Naturalmente senza contare le mance, il bar e le altre spese.

Sabina                           - Santo Cielo, dove prende tanto danaro?

Maddalena                    - Lo studio legale rende. Magari ci avesse pensato prima, ad aprirlo.

Sabina                           - Non dico che non renda, ma non tanto da poter fare queste spese. Ci sono altri alberghi, oltre al Reale, dove si sta benissimo con molto meno.

Maddalena                    - Quanto?

Sabina                           - Anche duemila corone, e c'è uno sconto per gl'inscritti ai sindacati.

Maddalena                    - E le cure sono le stesse?

Sabina                           - Il fango è sempre quello; il caldo è naturale perché c'è la sorgente a 87 gradi uguale per tutti, ricchi e poveri.

Maddalena                    - Vorrei proprio andarci. .Ho le gambe che alle volte mi fanno arrabbiare.

Sabina                           - Volete che gli parli io?

Maddalena                    - Ve ne sarei proprio grata. A ve­derlo tornare così bello, dritto, forte, alla sua età, m'è venuta come una nostalgia. Dieci, quindici giorni, a duemila corone, potrei pagarmeli anch'io.

Sabina                           - Lasciate fare a me.

Maddalena                    - Grazie, signorina Sabina.

Sabina                           - Prego, signora Maddalena.

Maddalena                    - (andando alla destra) Vi andrebbe una tazza di caffè?

Sabina                           - Perché non dovrebbe andarmi?

Maddalena                    - Ve la preparo, e appena chiamo venite a prenderla in cucina. Qui è meglio non...

Sabina                           - Certamente, grazie.

Maddalena                    - Di niente. (Esce dalla destra).

Sabina                           - (ispeziona vari fascicoli, fra ì quali dividerà poi la corrispondenza che aprirà. È di buon umore e fischietta; improvvisamente smette di fischiettare, si guarda intorno spaurita, poi, come imitando qualcuno, atteggia il viso a blanda, severità) Signorina, vi prego di non fischiare. È antiestetico e m'infasti­disce...

Fortunato                      - (dall'interno al fondo) Permesso?

Sabina                           - Coraggio e avanti. (Non volge la testa).

Fortunato                      - (entra dal fondo. È portiere dello sta­bile; ha quarant’anni. Si toglie il berretto entrando; è in tuta azzurra che reca tracce di un assiduo lavoro) Signorina...

Sabina                           - (lavorando, senza voltarsi) Eh?

Fortunato                      - (spiegando) Sono io, Fortunato...

Sabina                           - (c. s.) ... portiere dello stabile, di anni quarantuno, ammogliato con una figlia; l'ho capito perché ho un orecchio perfetto oltreché bellissimo. Ditemi tutto.

Fortunato                      - Signorina, non scherzate, io non so come fare col dottore.

Sabina                           - Quale dottore? (Fischietta).

Fortunato                      - Il dottor Barsani.

Sabina                           - Ah, nostro nipote. Ditegli che lo zio è ancora a fare i fanghi.

Fortunato                      - Sa che è tornato.

Sabina                           - (lavorando e non dando importanza a quanto riferisce Fortunato) Chi glie l'ha detto?

Fortunato                      - Ha telefonato all'Albergo Reale.

Sabina                           - È un indiscreto. Ditegli che abbiamo ordine di non farlo salire.

Fortunato                      - (seccato) Il commendatore dà l'or­dine, poi lo incontra in tribunale e si lascia accom­pagnare a casa. Sembra che siamo noi a opporci, io... Che me ne importa, a me?

Maddalena                    - (appare sulla destra) Volete venire un momento, signorina?

Sabina                           - Subito, grazie. (Si alza).

Maddalena                    - (vede Fortunato, si rivolge a lui con voce più aspra) Che c'è?

Sabina                           - (a Maddalena) Niente, sciocchezze. (A Fortunato) Torno subito. (Maddalena esce dalla destra dopo aver data un'occhiata diffidente al portiere. Sabina la segue).

 Fortunato                     - (gestisce seccato, col berretto in mano, s'avvicina alla scrivania, allunga il collo per leggere  qualcosa in una lettera).

Andrea                          - (appare sul fondo; trentacinque anni molto elegante, cappello in testa, guanti in mano)Beh?

Fortunato                      - (volgendosi di scatto) Oh... scusate, dottore; la signorina è andata un momento di là.

Andrea                          - Non m'importa niente della signorina, Voglio sapere di mio zio.

Fortunato                      - Non so dirvi nulla.

Andrea                          - Si può sapere che n'è successo? Lo tengono sequestrato? Debbo rivolgermi alla polizia?

Fortunato                      - Per carità, dottore, come vi viene in mente...

Andrea                          - E allora perché tanti misteri? Debbo cercarmelo da me, entrare nella sua stanza senza farmi annunziare?

Fortunato                      - No, no, questo no, potrebbe sec­carsi; sapete com'è.

Andrea                          - È appunto perché so com'è che vorrei essere annunziato. Chiamate la signorina.

Fortunato                      - Ma...

Andrea                          - Vado io. (Si muove verso la destra).

Sabina                           - (appare sulla destra, quasi si urta coni Andrea) Ehi, dove andate?

Andrea                          - In cerca di voi, signorina Morelli.

Sabina                           - Eccomi. (A Fortunato) Avete finito col farlo salire!

Fortunato                      - È salito da sé.

Sabina                           - Signor Andrea, spero che l'innegabile intelligenza di cui siete dotato vi abbia ormai messo in grado di capire che la vostra presenza qui non è gradita.

Fortunato                      - Io me ne torno giù.

Sabina                           - (accennando la porta in fondo, ad Andrea) Volete?

Andrea                          - Io rimango su.

Fortunato                      - (con insistenza) Signorina, io..,

Sabina                           - (interrompendo) Ho capito, desiderate andarvene; e andate. Cosa vorreste, un bacio d'addio!

Fortunato                      - Oh! (Esce dal fondo alzando le spalle).

Andrea                          - (a Sabina) Vi spiacerebbe dirmi perché la mia presenza vi è così sgradita?

Sabina                           - A me non è sgradita affatto; dal punto di vista biologico potrei dire anzi che mi è gradita.

Andrea                          - Vi ringrazio.

Sabina                           - Bel portamento, abito di buon taglio, profumo di marca, fianchi stretti, torace notevole, capelli lucidi, insieme leggermente ridicolo...

Andrea                          - Ah?

Sabina                           - Quel tanto che basta a render simpatico un bell'animale maschio.

Andrea                          - Vi sono tanto riconoscente. Adesso volete annunziarmi a mio zio?

Sabina                           - No.

Andrea                          - Perché?

Sabina                           - Perché è a lui che siete sgradito.

Andrea                          - Come lo sapete?

Sabina                           - Lo intuisco.

Andrea                          - Da che cosa?

Sabina                           - Da qualche sua vaga espressione. Una volta che avete telefonato m'ha sgridato: «Dite a quel cialtrone che non ci sono ». Un'altra volta m'ha ordinato: « Non fatemi mai trovar qui quel birbante ». Altre volte ancora m'ha detto frasi del genere e allora io, ruminando, pensandoci e ripensandoci, sono venuta alla conclusione che la vostra presenza non gli è gradita.

Andrea                          - Debbo entrare nella sua stanza senza essere annunziato, e svegliarlo se dorme?

Sabina                           - Provateci.

Andrea                          - Non penserete d'impedirmelo con la forza...

Sabina                           - Nemmeno per sogno. Sono una segre­taria, non una lottatrice. Voi entrate da lui malgrado il mio consiglio d'astenervene, lui mi chiederà spie­gazioni e io glie le darò; lui vi metterà alla porta e questa casa sarà finalmente liberata dal vostro assedio.

Andrea                          - (è pensoso, cava una sigaretta, l’accende) Perché ce l'avete con me?

Sabina                           - Non ce l'ho con voi. Non avete sentito che vi trovo simpatico?

Andrea                          - Anche voi mi siete simpatica, ma per davvero.

Sabina                           - Grazie.

Andrea                          - Un po' chiacchierona, ma non sgra­devole.

Sabina                           - Nessuno è perfetto.

Andrea                          - Perché non mi può soffrire, mio zio?

Sabina                           - Un motivo, uno almeno, c'è: la vostra insistenza a volergli parlare mentre lui non vuole.

Andrea                          - Devo pure parlargli per dirgli ciò che gli devo dire.

Sabina                           - Scrivetegli.

Andrea                          - Signorina... quante volte gli ho scritto?

Sabina                           - Questo anche è vero.

Andrea                          - Mi tocca fargli la posta in tribunale...

Sabina                           - Ecco.

Andrea                          - ... quando ci va. Mi accoglie gentil­mente, sorride, parla del più e del meno, ma ci sono sempre dieci persone presenti. Lo accompagno a casa, ma trova sempre modo di piantarmi al portone; e se m'ostino a salire fa salire anche il portiere, o chiama Maddalena, o voi, o quella belva in sembianze umane ch'è il suo ex cancelliere. Alle volte questa stanza è piena di gente. E allora mi getta come un rottame fra la clientela in attesa. Mi credete, se vi dico che ne soffro?

Sabina                           - (con simpatia) Ne sto soffrendo io.

Andrea                          - (guarda l'orologio, poi) Sentite, Sabina, ho un'idea S ete capace d'inventare una scusa per venire a cena con un giovanotto?

Sabina                           - Chi è il giovanotto?

Andrea                          - Io.

Sabina                           - Non ho bisogno d'inventare scuse; se voglio venire vengo.

Andrea                          - Volete venire?

Sabina                           - Ditemi il vostro piano. Non vi credo capace d'immolare l'enorme somma che costa oggi una cena per due senza un obbiettivo preciso.

Andrea                          - Ho l'obbiettivo preciso: creare un'ami­cizia fra noi per servirmene nei rapporti con mio zio.

Sabina                           - Soltanto?

Andrea                          - Soltanto.

Sabina                           - Poi, dite voi, da cosa nasce cosa.

Andrea                          - Non lo dico, lo dice la Storia dell'Uma­nità. Va bene per stasera?

Sabina                           - Non lo so ancora. Provate a telefo­narmi nel pomeriggio.

Andrea                          - Qui?

Sabina                           - Qui.

Andrea                          - Sabina... (Ma un brevissimo sospiro) Grazie.

Sabina                           - Avete incominciato col chiamarmi signo­rina Morelli, poi signorina, poi Sabina senz'altro. Adesso dite Sabina sospirando. Non vorrei che v'am­malaste.

Andrea                          - Non lo vorrei nemmeno io. Allora stasera, è deciso?

Sabina                           - Quasi; telefonate.

Andrea                          - Porse sarà meglio non dirgli che sono stato qui.

Sabina                           - Non chiedetemi mai di mentire.

Andrea                          - Sul serio?

Sabina                           - Sono così distratta che debbo dir sempre la verità per non contraddirmi.

Andrea                          - (si muove verso il fondo, poi si volta) Se fossimo più amici vi darei un bacio.

Sabina                           - Datelo al portiere che vi è amicissimo.

Andrea                          - Arrivederci.

Sabina                           - Buona passeggiata.

Andrea                          - (esce dal fondo).

Sabina                           - (si rimette al lavoro contentissima, e invo­lontariamente ricomincia a fischiettare),

Consalvo                       - (sessant’anni, molto elegante, agile, forte, entra dalla sinistra) Signorina, vi prego di non fischiare; è antiestetico e m'infastidisce.

Sabina                           - (s'è alzata, un po' confusa) Scusatemi, commendatore, dimentico sempre. (Lo guarda stupita).

Consalvo                       - Buongiorno.

Sabina                           - Buongiorno.

Consalvo                       - State bene?

Sabina                           - Benissimo. Benché non come voi, che apparite in forma perfetta.

Consalvo                       - (contento) Ah sì?

Sabina                           - Agile, fresco...

Consalvo                       - Ben trovata la parola « fresco ». Non cercatene altre.

Sabina                           - Sì, commendatore. È per questo che ho potuto sembrarvi un po'... Per stupore, non per timidezza.

Consalvo                       - Molto bene. I timidi m'indispongono; sono anch'io terribilmente timido e la timidezza degli altri m'eccita come una provocazione. Guardate sull'agenda: il 13 febbraio vi dissi di superare il vostro complesso di timidità.

Sabina                           - Sì, commendatore. (Sa aperto l'agenda) C'è il nastro a segnare la pagina. Rileggo spesso la raccomandazione ricordando l'indimenticabile lezione di quel giorno.

Consalvo                       - Aprite l'agenda al 19 maggio.

Sabina                           - Sì, commendatore. (Apre l'agenda al giorno indicato, legge, fissa Consalvo un po' smarrita).

Consalvo                       - Leggete.

Sabina                           - Ho letto.

Consalvo                       - Leggete ad alta voce.

Sabina                           - (leggendo) Non dare mai del commen­datore al... (Si ferma).

Consalvo                       - Dunque perché insistete a chiamarmi così? Fra l'altro le varie rivoluzioni succedutesi nel nostro paese hanno abolito quel titolo; perché me lo date?

Sabina                           - Commendatore... Signor De Minimis... è un'abitudine, qualcosa di sciocco e d'irresistibile...

Consalvo                       - Soprattutto di sciocco.

Sabina                           - Guardate come ho scritto la raccoman­dazione. (Gli mette l’agenda aperta sotto gli occhi).

Consalvo                       - (leggendo) Non dare mai del commen­datore al commendatore... (Guarda Sabina) Che cosa avete contro la dizione « signor De Minimis »?

Sabina                           - Niente, ma non mi viene.

Consalvo                       - Mi chiamo Consalvo; vi piace Con­salvo?

Sabina                           - Sì... (Fa per dire «commendatore» ma si ferma in tempo e ripete) Sì.

Consalvo                       - Comincia con la sillaba « co », come « commendatore ».

Sabina                           - Sì.

Consalvo                       - Quando state per dire commendatore fermatevi al « co », fate una piccola pausa, e con­tinuate « nsalvo ».

Sabina                           - (con gli occhi sbarrati) Sì.

Consalvo                       - La cosa vi riuscirà più facile se aggiungerete un « signore ». In fondo la propensione dei più a servirsi dei titoli nasce dalla curiosa ripu­gnanza d'adoperare il vocabolo « signore ». Si dice «buongiorno, avvocato », « come state, ingegnere », « auguri, commendatore », per non dire « buongiorno, signor Tizio », « come state, signor Caio », « auguri, signor Mevio ». Vi pare?

Sabina                           - Sì, signor Consalvo.

Consalvo                       - Bene: novità?

Sabina                           - Molta posta con richiesta di pareri e molte offerte di cause.

Consalvo                       - Che avete respinte.

Sabina                           - Tutte. Ma hanno tutti riscritto insi­stendo, alcuni scongiurando. La vostra fama ormai si sparge come una macchia d'olio.

Consalvo                       - (ironico) Una macchia? (Scuote la testa, come negando qualcosa a se stesso, nauseato) Io do pareri, non faccio cause. Rispondete questo, e se si ostinano cestinate senz'altro.

Sabina                           - Lo farò, signor Consalvo.

Consalvo                       - Come vi viene naturale quel « signor Consalvo ». Avrei dovuto pensarci prima.

Sabina                           - (mette a posto l’agenda, poi torna) Mi regolerò secondo i vostri ordini, ma con dispiacere.

Consalvo                       - Perché?

Sabina                           - Rifiutare le cause. Non s'è mai visto in un ufficio legale.

Consalvo                       - Questo non è un ufficio legale.

Sabina                           - E che cos'è?

Consalvo                       - Un covo, una tana, un rifugio, un luogo dove mi piace stare senza essere seccato. Le cause mi seccano e quindi non faccio cause.

Sabina                           - Per gli altri. Le vostre, però, le fate.

Consalvo                       - È un'altra faccenda. Comunque ne faccio raramente e quasi sempre le transigo senza arrivare alla sentenza.

Sabina                           - Sfido, le impiantate in modo così perfetto che gli avversari si precipitano a proporre la transazione.

Consalvo                       - È questo il segreto d'ogni azione giudiziaria: mettere l'avversario nella necessità di cedere.

Sabina                           - Bene; perché non mettete nella necessita di cedere anche gli avversari delle cause non vostre?

Consalvo                       - (con lieve fastidio) Perché è impos­sibile.

Sabina                           - (alza le spalle, non convinta) Perché non volete.

Consalvo                       - Dire « non posso » o « non voglio » è lo stesso. Chi non vuole non può. (Si muove, seccato) Mi spiace davvero di perdervi.

Sabina                           - (sussultando) Eh?

Consalvo                       - Sentirò la vostra mancanza.

Sabina                           - (sbalordita) Mi licenziate?

Consalvo                       - Non vi licenzio io; vi licenzierete voi.

Sabina                           - Non capisco; se non mi metterete in condizioni di dovermene andare...

Consalvo                       - Vi ci sto mettendo, e non posso far diversamente. Voi non siete venuta qui con il solo e banale scopo di guadagnare uno stipendio.

Sabina                           - (protestando) Scusate...

Consalvo                       - (continuando) ... modesto, lo riconosco. Ma anche per far pratica legale.

Sabina                           - Esclusivamente per quello.

Consalvo                       - Fate Legge, quest'anno vi laureerete, sperate nel brillante avvenire a cui vi dà diritto la vostra intelligenza. (S'interrompe, alza un dito) Oh, anche la vostra laboriosità, perché l'intelligenza da sola non serve a niente. Avete sentito dire in Facoltà e in Tribunale che il pretore De Minimis è un pozzo di scienza giuridica, un genio del cavillo, un padre­terno della pratica giudiziaria...

Sabina                           - (con dolcezza) ... un maestro del Diritto..,

Consalvo                       - Concesso anche questo; e siete en­trata nello studio che ha aperto quando è stato cacciato dalla Magistratura.

Sabina                           - Cacciato?

Consalvo                       - Mandato in pensione, messo alla porta per limiti d'età, sbattuto fuori come uno che non serve più. È assai più semplice dire « cacciato ».

Sabina                           - (scuote la testa, sorridendo) Dite come volete, signor Consalvo.

Consalvo                       - Grazie. Voi speravate di far pratica.

Sabina                           - (con animo) Ne ho fatta tanta, e così buona, che sono certa di laurearmi con trenta e lode.

Consalvo                       - (dubbioso) Anch'io mi laureai con trenta e lode. A che m'è servito?

Sabina                           - A diventare quello che siete.

Consalvo                       - Bella roba. Un vecchio pensionato,

Sabina                           - È colpa della laurea?

Consalvo                       - Senza dubbio. Senza la laurea non avrei fatto il magistrato ma il fattorino telegrafico, o l'usciere di banca. Non dico il calciatore perché ai miei tempi non era un'attività redditizia. Con l'in­telligenza che m'ha dato il Signore avrei continuato a studiare e imparare. Invece che pretore sarei diventato capo fattorino, capo usciere, presidente del sindacato postelegrafonici, galoppino di borsa, agente di cambio... Oggi sarei miliardario, forse deputato, ministro delle Poste o delle Finanze: chi sa?

Sabina                           - Signor Consalvo, un grande scrittore inglese ha detto che la pena più acuta dell'uomo è il continuo rimpianto dell'avrebbe potuto essere: « it might have been ». I forti lo superano.

Consalvo                       - Sapete anche l'inglese?

Sabina                           - Sì, signor Consalvo.

Consalvo                       - Non me l'avete mai detto.

Sabina                           - Non me l'avete mai chiesto.

Consalvo                       - E’ vero. Una ragione di più per lasciarmi.

Sabina                           - Non me ne andrò a meno che non mi scacciate.

Consalvo                       - Allora vi aumenterò lo stipendio.

Sabina                           - Nemmeno; guadagno già troppo con ciò che imparo sui pareri che date.

Consalvo                       - (brusco) Io non do pareri.

Sabina                           - (stupita) Come, non date pareri?

Consalvo                       - Quelle formulette che vi detto e che voi spedite agli imbecilli che le pagano così care, non sono pareri, sono... (Ha un gesto nervoso) Oh! stupidaggini... imparaticcio, praticacela d'ufficio, ri­cordi di vecchi processi. In una parola, e tenendo conto del prezzo che ne pretendiamo, sono poco meno che truffe, ecco. Truffe.

Sabina                           - (inquieta) Signor Consalvo, non so come vi vedo, oggi. Mi siete apparso così bene poco fa, e adesso...

Consalvo                       - Mi sono turbato al pensiero di per­dervi. Vi voglio bene, sapete.

Sabina                           - Anch'io ve ne voglio.

Consalvo                       - Vi voglio bene con frenesia, in modo esclusivo e assurdo.

Sabina                           - (lo fissa, un po' allarmata).

Consalvo                       - (continuando) Mi sono abituato a voi, non so se resisterei a non vedervi più, non sen­tirvi camminare, scrivere a macchina, fischiettare. Sì, fischiettare; non è vero che mi secca; mi diverte, anzi, quando vi fermate all'improvviso ricordandovi che ve l'ho proibito. Sapete che da qualche tempo ho incominciato a pensare di darvi marito.

Sabina                           - (stupita, rassicurata) Cosa?

Consalvo                       - Trovare un bravo giovine che vi voglia bene e che accetti di vivere qui con voi. La casa è così grande. Avreste dei bambini e mi fareste straordinariamente felice.

Sabina                           - (commossa, sorridente) Signor Consalvo... Io... non so... state dicendo delle parole che... mi emozionano...

Consalvo                       - E che emozionano anche me.

Sabina                           - Vi sono tanto grata.

Consalvo                       - Sono io che vi sono grato, e lo sarò assai di più se manterrete la promessa di non la­sciarmi.

Sabina                           - Non ci penso nemmeno come ipotesi. Ditemi adesso perché spregiate tanto i vostri pareri.

Consalvo                       - Perché sono spregevoli.

Sabina                           - Questo è il dispositivo della sentenza; datemene la motivazione.

Consalvo                       - (si muove, ha un gesto di fastidio, poi) Ma sì, perché non dirvelo Siete qui per imparare, dunque imparate. Quando non è sacerdozio, la nostra funzione degenera facilmente in mestiere, che si fonda sull'imbecillità e sulla disonestà della clientela. Non esiste un cliente che voglia onestamente e sin­ceramente un parere, o, se esiste, non è ancora venuto da me. Il cliente non vuole che vincere la causa, indipendentemente dal fatto d'aver torto o ragione. Il parere egli se lo è già fatto; non cerca il nostro, ma la conferma del suo. Basta consigliargli quello che egli ha già deciso di fare, per incontrare la sua piena approvazione e indurlo a pagarvi senza fiatare. E più vi fate pagare, più vi stima.

Sabina                           - Questo, per la clientela ricca, posso anche capirlo, ma per la povera gente...

Consalvo                       - Con la povera gente non bisogna avere a che fare.

Sabina                           - È crudele ciò che dite.

Consalvo                       - È logico... e poi no, non è crudele. La povera gente non può vincere le cause; dunque non le faccia.

Sabina                           - Ma 'se ha ragione!

Consalvo                       - Non basta. Avere ragione senza mezzi serve solo a farsi venire il mal di fegato. D'altra parte io debbo insegnarvi a far l'avvocatessa, non la suora di carità. Così, dunque, tutta la conclamata eccel­lenza dei miei pareri sta in questo: nel dire di comprare a chi vuol comprare, vendere a chi vuol vendere, transigere a chi è proclive alla transazione, litigare a chi preferisce il litigio. Chi ha deciso di fare una cosa la fa, e spesso la fa bene perché sa di che si tratta ed è fortificato dalla determinazione. Il più delle volte vince, e il merito è mio che l'ho consi­gliato bene; se perde, è lui che ha sbagliato nell'e-seguire.

Sabina                           - Comincio a capire perché non volete fare le cause: per non correre il rischio di perderle...

Consalvo                       - Soprattutto per non lavorare. La consulenza, il parere, non mi stancano; pensare a quella roba lì non è un lavoro per me, ma un giuoco, un divertimento... un hobby, come dicono i vostri amici anglosassoni. Io vivo del mio hobby, e per ironia della sorte ci guadagno venti volte più di quanto guadagnavo facendo il magistrato, lavorando come un bue a presiedere la pretura di questo grande e operoso centro.

Sabina                           - Quanta amarezza c'è nelle vostre parole. Non vi avevo mai udito parlare così.

Consalvo                       - M'avete sorpreso in un momento di debolezza che non si ripeterà.

Sabina                           - Non parlate mai di voi, e io non so informarmi, spettegolare. Non avete dei parenti, qualcuno?

Consalvo                       - Avevo mia moglie. (Come se dicesse una cosa grave, certa ma non verosimile, per cui fosse necessario un particolare tono di verità) L'ho amata profondamente.

Sabina                           - Non ne dubito.

Consalvo                       - Era bella, e anche buona, d'una dolcezza inebriante. Il suo solo difetto era la steri­lità. O forse ero sterile io: è mancato un controllo. Lei era ciò che si usa dire una donna onesta, io... un «uomo» onesto. (La guarda).

Sabina                           - Ho capito.

Consalvo                       - Grazie. La sposai che avevo trenta­cinque anni; mi lasciò che ne avevo cinquantotto portandosi via tutta la mia vita. Non avevo niente prima, non mi rimase niente dopo. Spiritualmente voglio dire, perché materialmente mi lasciò tutto quello che possedeva, a cominciare da questa casa. I suoi genitori le avevano dato una bella dote. Moglie di magistrato, si sa, se non ha del suo, come può cavarsela?

Sabina                           - Avete un curioso gusto di mischiare il bello e il meno bello, il sentimento con... È come una doccia scozzese, caldo, freddo...

Consalvo                       - Sono fatto a spigoli, un altro dei miei tanti difetti. Amavo mia moglie perché mi sopportava senza mai rimproverarmi. Qualche altro parente che credo d'avere non m'interessa. In fondo non si tratta che di eredi, e m'indispongono. Ho una cugina, un nipote...

Sabina                           - Il dottor Barsani...

Consalvo                       - Andrea, figlio di quella cugina, nipote per modo di dire...

Sabina                           - Un bel giovine.

Consalvo                       - Sì. Un cialtrone.

Sabina                           - (stupita) Un cialtrone?

Consalvo                       - Delinquente potenziale. Il suo certi­ficato penale ha la verginità di certe svagate fan­ciulle d'oggi. Oh, anche di ieri e di ieri l'altro, non voglio diffamare ingiustamente l'epoca. Credo d'averne un po' paura. Lo ritengo capace di qualunque effe­ratezza. Peccato, perché sua madre non è una cat­tiva donna. Vogliamo provare a far qualche cosa? M'avete detto che c'è della posta.

Sabina                           - (vivamente) Ah sì, un mucchio di lettere. (Torna alla scrivania) Tutte repertate, naturalmente.

Consalvo                       - Benissimo; mettetemele sulla scri­vania; le vedrò dopo pranzo e stasera vi detterò le prime risposte. Voglio andare in Tribunale a farmi vedere.

Sabina                           - Chiamo un tassì? (Fa per prendere il telefono).

Consalvo                       - No, farò quattro passi. La cura mi ha disintossicato, togliendo ogni ruggine dalle gambe.

Sabina                           - State benissimo.

Consalvo                       - E mi sento benissimo. È un'ingiu­stizia sociale, questa, che solo chi ne ha i mezzi può mantenersi in buona salute, ma sarebbe assurdo non approfittarne. Oh, prendete nota che la Società delle terme di San Pantaleo è nostra cliente.

Sabina                           - (prende appunti, contenta) Hanno appro­fittato della vostra presenza per assicurarsi la vostra collaborazione.

Consalvo                       - (non convinto) Sì, all'incirca. C'è stato qualche incidente il primo giorno; un vetro rotto; sì, abbastanza segnato, dal quale filtrava un'aria che avrebbe potuto farmi prendere una pol­monite. Poi sono scivolato sul fango col rischio di rompermi una gamba; altri due o tre inconvenienti che ho elencati in una protesta su cui avrei potuto fondare una causa...

Sabina                           - (sorridendo) Che avreste vinta...

Consalvo                       - Senza dubbio. Il capo dell'ufficio legale delle Terme, un buon avvocato, s'è trovato d'accordo con me dopo una breve discussione, e così, per evitare strascichi, m'hanno offerto la consulenza dell'Azienda di cura e io ho accettato.

Sabina                           - (ha un altro sorriso) Ho capito.

Consalvo                       - Grazie. Allora a più tardi.

Sabina                           - A più tardi... Mi consentite di ringra­ziarvi per tutto quanto di bello, d'intelligente, di affettuoso... m'avete detto oggi?

Consalvo                       - (è quasi sul fondo, si ferma, guarda Sabina) Tocca a me ringraziarvi per avermi fatto parlare; m'avete dato alcuni istanti preziosi di cui non potete immaginare quanto vi sia riconoscente. (La guarda ancora, le sorride con dolcezza) Arrivederci.

Sabina                           - (incantata) Arrivederci. (Consalvo esce dal fondo. Sabina raccoglie varie lettere e ne forma un fa­scicolo che mette in una copertina colorata; va a deporre la copertina sulla scrivania a sinistra, prova le penne, le pulisce, le prova ancora e le rimette soddisfatta negli astucci parapunte; toma alla sua scrivania riordinando le altre carte).

Maddalena                    - (entra dal fondo, eccitata) Ma cos'ha?

Sabina                           - Chi?

Maddalena                    - Il padrone. Era allegro come una Pasqua; quando gli ho dato il cappello e i guanti, m'ha detto che oggi ha appetito e m'ha battuto la mano sulla spalla, così. (Si batte una mano sulla spalla).

Sabina                           - Un miracolo.

Maddalena                    - Proprio. Poi m'ha salutato: addio, Maddalena; e se n'è andato fischiettando.

Sabina                           - Fischiettando?

Maddalena                    - Che bene gli ha fatto la cura!

Sabina                           - A proposito della cura, ho idea che la farete anche voi, prestissimo e a prezzo ridotto se non gratis. Siamo consulenti delle Terme.

Maddalena                    - Che testa ha quell'uomo!

Sabina                           - Ah.

Maddalena                    - Gli preparerò un pranzetto da. leccarsi le dita; che ne dite se gli faccio trovare anche un po' di vino in tavola?

Sabina                           - Non più di un quarto.

Maddalena                    - Ah certo; rosso.

Sabina                           - Senza dimenticare l'acqua minerale.

Maddalena                    - Gli parlerete della cura per me?

Sabina                           - V'ho detto dì sì.

Maddalena                    - Quando?

Sabina                           - Proverò subito dopo pranzo. A stomaco pieno si è sempre più generosi.

Maddalena                    - Basterà un quarto di vino?

Sabina                           - Basterà, non esageriamo. (Squilla il campanello dall'interno, insistente. Maddalena esce per il fondo. Sabina continua il suo lavoro e senz'accor­gersene fischietta).

Maddalena                    - (rientra dal fondo) C'è Cabotino con un signore.

Sabina                           - (senza voltarsi) Avanti. (Maddalena fa cenno a chi la segue di venire avanti; lascerà passare e uscirà dal fondo).

Donato                          - (entra dal fondo, cinquant’anni, antico ufficiale giudiziario, pantaloni scuri, scarpe nere con calze di colore, giacca marrone, cappello chiaro eh non si toglie se non quando rivolge la parola a Consalvo  rimettendoselo appena finisce di parlare, camicia e cravatta in armonia col resto dell'abbigliamento; appare agitato, fremente) Buongiorno, signorina.

Sabina                           - (senza voltarsi) Buongiorno, signor Cabo­tino. (Ottavio segue Donato, cinquant''anni, aspetto decente ma non ricco, borsa di cuoio, cappello in mano, umile, spaurito, a volte addirittura tremante, convulso, evidentemente in preda al timor panico, saluta inchi­nandosi senza parlare).

Donato                          - Signorina, dobbiamo assolutamente parlare col consigliere, non mi dite che non c'è.

Sabina                           - Non c'è.

Donato                          - Santo Cielo, sapete che non sono allar­mista, si tratta d'un affare grave e urgente.

Ottavio                          - (come chi annunzi una sventura che si va man mano ingigantendo) È quasi mezzogiorno.

Donato                          - E c'è tempo solo fino all'una. Annun­ziatemi.

Sabina                           - Non c'è.

Donato                          - Assumo io la responsabilità del...

Sabina                           - Non c'è davvero, è andato in Tribunale.

Ottavio                          - (lamentoso) Lo sapevo, lo sentivo, dovrò tirarmi un colpo di rivoltella.

Donato                          - (nervoso) Signor Quizio, per favore... Ho già un nervoso addosso che farei a cornate con un toro. (A Sabina) Non sapete in quale ufficio è andato? Si potrebbe telefonare.

Ottavio                          - (disperato) In Tribunale. Chi volete che risponda1?

Sabina                           - Non è andato in nessun ufficio. Almeno non m'ha detto che andava in un particolare ufficio...

Donato                          - È andato a farsi vedere.

Sabina                           - Ecco.

Donato                          - Poi passerà nella sala degli avvocati o entrerà in qualche aula. (A Ottavio) Bisogna cor­rere in Tribunale a cercarlo.

Ottavio                          - (c. s.) Come si fa a trovare un uomo in Tribunale, fra duemila persone?

Donato                          - Allora aspettiamolo qui; deve pur venire a pranzo.

Ottavio                          - E se tarda? (Ha guardato l’orologio) Mancano cinquantatre minuti all'una; è finita, è finita.

Donato                          - A meno che non accada qualcosa di straordinario, il consigliere si siede a tavola all'una precisa.

Ottavio                          - (lamentoso) Vedrete che oggi accadrà qualcosa di straordinario. Io sono maledetto, iellato.

Donato                          - (di pessimo umore) Proprio la chiamate, la iella! La portate a voi e agli altri

Ottavio                          - (disperato) Oh mio Dio, Dio mio, non mi rimane che gettarmi dalla finestra. Per fortuna sto al quinto piano.

Donato                          - Ma volete finirla? Mi state facendo andar via anche quel po' di coraggio.

Sabina                           - Ma cos'è successo?

Ottavio                          - (a Sabina, lamentoso) Dovete sapere che le Ferrovie del Nord...

Donato                          - (interrompendo, seccato) È troppo lungo a spiegarsi, e poi alla signorina non interessa. (A Sabina) Il signor Quizio è nei guai, questo è tutto. Può salvarlo solo il consigliere De Minimis, se lo troviamo prima dell'una. Bisogna andare in Tribunale a cercarlo, oppure aspettarlo. (Decidendo, a Ottavio) Facciamo così; io corro in Tribunale, e voi l'aspettate.

Ottavio                          - (quasi con un urlo) No. (Meno forte) Non mi lasciate solo, non avrei il coraggio di par­largli.

Donato                          - (rabbioso) E allora decidete: andiamo a cercarlo o lo aspettiamo?

Ottavio                          - (prendendosi la testa fra le mani) Oh Dio mio, mio Dio, che guaio, che catastrofe. (Si dà dei pugni sulla testa).

Donato                          - (trattenendolo) E state fermo, accidenti. (A Sabina) Mi sta facendo impazzire da stamattina. (A Ottavio) Se m'aveste detto tutto con quattro parole, saremmo venuti qui un'ora prima e avremmo trovato il consigliere.

Ottavio                          - (sconvolto, a Donato) Avete ragione, avete ragione, ma io non capisco più niente, non connetto più, mi sento impazzire!

Sabina                           - (impietosita, mettendosi il cappello) Andrò io a cercarlo, prenderò un tassì.

Donato                          - Siete un angelo...

Sabina                           - Tornerò o telefonerò comunque prima dell'una. (Va al fondo, si ferma) Signor Cabotino, per favore... Se fumate non gettate la cenere per terra.

Donato                          - Non fumerò.

Sabina                           - (dubbiosa) Mah. (Esce dal fondo).

Ottavio                          - (scuote la testa, affranto) È finita, è finita... Sono stato un imbecille, è vero, ma anche perseguitato da una sfortuna accanita e spropor­zionata.

Donato                          - (anche lui addolorato e seccato) Dove­vate aspettar velo.

Ottavio                          - (rabbioso) Non dovevo aspettarmelo, non dovrei aspettarmelo nemmeno adesso. Le Fer­rovie del Nord debbono salire, non possono non salire; lo so con certezza.

Donato                          - Per ora non fanno che scendere.

Ottavio                          - Perché c'è una manovra in corso. La situazione della Società la conosco, la mia banca ne ha praticamente il controllo. Ci sono stati utili fortissimi durante la congiuntura, e dovranno aumen­tare il capitale gratuitamente, almeno raddoppiarlo. Le azioni debbono saltare da duecento a quattrocento.

Donato                          - Per ora sono saltate a centoquaranta.

Ottavio                          - È l'effetto della manovra. Si vuole svalutare il titolo per indurre chi lo ha a disfarsene. Poi, quando ne avranno ramazzato il maggior numero possibile, annunzieranno l'aumento gratuito del capitale, e chi ha venduto s'accorgerà d'essere stato giuocato. Bisognerebbe comprare, non vendere. Mi basterebbero cinque milioni per resistere, cinque modesti, miserabili milioni per guadagnarne dieci in due mesi... in un mese, forse.

Donato                          - Sentite, Quizio, sarà forse per la mia mentalità: ho fatto l'ufficiale giudiziario trentacinque anni, ma secondo me chi si mette a fare queste spe­culazioni senza il danaro necessario per resistere in caso di disgrazia, è un incosciente.

Ottavio                          - Non è una disgrazia, è una manovra, una gigantesca manovra al ribasso condotta da gente che dispone di miliardi.

Donato                          - E non è una disgrazia mettersi a competere con gente che dispone di miliardi senza mi­liardi? Significa non avere la testa.

Ottavio                          - Io ho visto il colpo sicuro. Lo perdo solo perché non ho soldi.

Donato                          - E vi pare niente.

Maddalena                    - (entra dalla destra, guarda al 'posto vuoto di Sabina) E dov'è la signorina?

Donato                          - È andata a cercare il consigliere.

Maddalena                    - Oh, santa pazienza, perché non m'ha detto che usciva?

Donato                          - Vedrete che tornerà subito col con­sigliere.

Maddalena                    - Può darsi benissimo che se ne vada a mangiare alla latteria, mentre poteva... (S’interrompe, seccata) Oh! quando capitate voi portate sempre la rivoluzione.

Donato                          - Scusate, se avete preparato anche per la signorina, come mi pare d'aver capito, non avete bisogno di disperarvi: posso mangiare io in vece sua.

Maddalena                    - (seccata) Sì. Adesso apriamo l'osteria addirittura. Badate che fra un quarto d'ora sarò pronta e servirò senza far raffreddare; lui dorme sempre un'oretta dopo pranzo, vi conviene andar­vene! (Squilla il campanello della porta dall'interno).

Donato                          - Eccolo. (Maddalena esce dal fondo. Ottavio ha sussultato, e ora è convulso. Ad Ottavio) Ricordatevi le mie raccomandazioni: organizzatevi bene nella testa quello che dovete dire e ditelo senza parole inutili. Il consigliere non può soffrire la gente che parla troppo.

Ottavio                          - (tremando) Manca un quarto all'una.

Consalvo                       - (entra dal fondo. È un po' seccato, ri­sponde con un breve cenno della testa al profondo inchino di Ottavio e si rivolge a Donato) Cosa c'è, Cabotino? La governante mi dice che state bivac­cando qui da mezz'ora, che avete mandato via la signorina...

Donato                          - (senza smontarsi) Signor consigliere, si tratta d'una faccenda gravissima; questione, è pro­prio il caso di dirlo, di vita o di morte, altrimenti non mi sarei permesso, sapete come sono rispettoso, e quale stima ho del...

Consalvo                       - (tagliando) Venite al fatto.

Donato                          - (senza smontarsi, indicando Ottavio) Il signor Ottavio Quizio, mio amico... potrei dire mio parente perché ha sposato una mia cugina, si trova, sì, s'è messo in un guaio tremendo. Vogliamo e dobbiamo aiutarlo non solo per lui, che è stato sempre un lavoratore, ma anche perché ne va del buon nome di tutti noi. È come se fosse una cosa mia, insomma; pregandovi di consigliare lui, è come se vi pregassi di consigliare me.

Consalvo                       - (a Ottavio) Sentiamo.

Ottavio                          - (inghiottendo, confondendosi) Io sono... ci entrai nel '19... uno dei più anziani... Vinsi su trecentodieci concorrenti e fui il terzo... Oggi, dopo trentun anno... Mai un appunto, mai un rimprovero o una punizione... mi trovo in questa tragedia. (Con­salvo si volge a guardare Donato).

Donato                          - (a Consalvo) Se permettete spiego io.

Consalvo                       - Sì, è meglio.

Donato                          - Il signor Quizio è cassiere capo alla Banca regionale, ha prelevato dieci milioni per speculare su un titolo che doveva salire e che invece è sceso. Oggi all'una incomincerà una verifica di cassa alla Banca e scopriranno l'ammanco.

Ottavio                          - (prima inebetito, adesso urlando) Ma è questo il modo di dirglielo?

Donato                          - Come glielo devo dire?

Consalvo                       - (tagliando corto) Il fatto è vero!

Ottavio                          - Sì, ma...

Consalvo                       - (a Donato) Allora proseguite.

Donato                          - Lui ha saputo ieri della verifica di cassa, e s'è dato da fare per realizzare i titoli che però hanno perduto sessanta punti, circa il trenta per cento. Aiutato dall'agente di cambio, che è una brava persona, è riuscito a racimolare sette milioni e mezzo.

Consalvo                       - Ossia due milioni e mezzo meno del necessario.

Donato                          - S...ì, senza contare la cauzione che Quizio ha in deposito alla Banca, e che è di cinque­centomila corone. L'ammanco si riduce a due milioni,

Ottavio                          - (esplodendo) Una cifra misera, ridicola.

Consalvo                       - Per chi l'ha. Per chi non l'ha è!  enorme. (A Donato) Dunque?

Donato                          - Dunque si tratta di questo: non si può andare in galera per due milioni.

Consalvo                       - Perché? Ci si va per molto meno.

Donato                          - (con pazienza rabbiosa) Voglio dire...

Consalvo                       - So quello che volete dire. Vediamo un po', dunque. Da quanti anni il signor...

Ottavio                          - (rispettoso) Ottavio Quizio.

Consalvo                       - Il signor Quizio è impiegato alla. Banca?

Ottavio                          - L'ho detto, è dal '19 che...

Donato                          - (interrompendo) Trentun anno.

Consalvo                       - Che liquidazione gli spetta?

Donato                          - (colpito, subito entusiasmato) Ma certo,: c'è la liquidazione        - (a Ottavio), ve lo dicevo io che il consigliere avrebbe trovato una via...

Ottavio                          - (scuote la testa, amaro) Non c'è la liquidazione. Intanto ne presi la metà anni or sono per la cooperativa edilizia e per farmi l'appartamento che mi toglieranno se, com'è probabilissimo, sarò! condannato anche alla rifusione del danno. In secondo luogo, il diritto alla liquidazione si perde in caso di licenziamento in tronco per motivo... sì, per il motivo mio. Io sono rovinato, signor consi­gliere, irremissibilmente rovinato. Non mi rimane che tirarmi una revolverata, per impietosire... peri indurli a trattare con indulgenza almeno i miei bambini e mia moglie. E son loro che m'uccidono, capite? Quelli per cui ho lavorato trentun anno, per i quali ho tante volte fatto cose che non avrei dovuto fare... firme di comodo, acquisti e vendite che l'Istituto non avrebbe potuto fare direttamente. Questo colpo l'ho tentato perché ci sono persone, più grosse e potenti di me, che lo stanno facendo: al sicuro da ogni rischio, col danaro degli altri. Loro possono aspettare e io no, quésto è tutto.

Donato                          - Può capitare una verifica dì cassa anche a loro.

Consalvo                       - No, perché si tratta di fìnanziamento non d'appropriazione indebita.

Ottavio                          - Ecco, è la situazione esatta, fotografata. Ora io direi... (Esita, poi a Donato) Ditelo voi, io ho la testa che mi gira. (Guarda l’orologio).  

Donato                          - (a Consalvo) Quizio vorrebbe evitare lo scandalo. In tutti i casi non essere arrestato, e a questo ci penserei io, so dove nasconderlo. Propor­rebbe alla Banca di restituire subito i sette milioni e mezzo, più la cauzione fanno otto. Per gli altri due darebbe venti cambiali da pagare in due anni. Se voi accettate di rappresentarlo, la transazione si può fare. Gli avvocati della Banca non possono non avere per voi il rispetto che hanno tutti. Nel caso disperato potreste dire che assumerete la difesa di Quizio se lo processeranno, e questo potrà indurli a pensarci due volte.

Consalvo                       - (fa cenno a Donato di tacere, s'immerge in una breve riflessione, poi) Dov'è il danaro?

Ottavio                          - (anelante) Qui, nella borsa... (Batte sulla borsa).

Consalvo                       - Datemelo. Chi è l'avvocato della Banca?

Ottavio                          - Ce ne sono diversi. Il capo dell'ufficio legale è l'avvocato Lupi.

Consalvo                       - Chiamatelo al telefono.

Ottavio                          - (sbalordito) Come, volete?...

Donato                          - (spazientito) Ma non perdete tempo a discutere quando il consigliere ci ha fatto la grazia d'occuparsi di noi. Che numero ha la Banca?

Ottavio                          - L'ufficio legale è 43-8-16.

Donato                          - (va al telefono, forma il numero, parlerà a bassa voce, gestendo moderatamente).

Consalvo                       - (a Ottavio) Dov'è il danaro?

Ottavio                          - Eccolo! (Apre la borsa, ne cava varie carte, con otto assegni bancari, sette da un milione, uno da cinquecentomila, e porge gli assegni a Consalvo) Sette assegni da un milione, uno da cinquecentomila.

Consalvo                       - (esamina gli assegni minuziosamente, senz'affrettarsi, anzi osservandone uno con una lente che prende dalla scrivania; poi li conta) Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette... otto, va bene, tutti al latore; non c'è bisogno di firma. Questo da cin­quecentomila... (Guarda nuovamente l’ultimo assegno, noi cava un piccolo portafoglio, vi mette l’assegno e lo intasca di nuovo) Questi due a voi... (Gli porge due assegni).

Ottavio                          - (sbalordito) A me?

Consalvo                       - Sì.

Donato                          - (forte, porgendo il ricevitore del telefono) L'avvocato Lupi al telefono.

Consalvo                       - (va al telefono, ha i cinque assegni in mano. Prende il ricevitore) Caro Lupi, come state? È un secolo che non vi vedo. Io benissimo, sono tor­nato da San Pantaleo ieri sera. Oh, una cosa magnifica, dovete provare, fanghi radioattivi... E poi bellissima gente, molte signore. si, sì... Eh sì, dopo la cura non c'è niente fare. Dunque sentite, caro Lupi, la vostra Banca ha un funzionario... Una brava persona, galantuomo, perseguitato dal destino... il signor Ottavio Quizio. No no, è perseguitato. Vi dico ch'è perseguitato, lasciatemi spiegare. Ha speculato sulle azioni delle Ferrovie del Nord. Eh sì. Eh sì. Purtroppo. Calate di sessanta punti. Sì, debbono risalire, ma ormai le ha vendute. Il danaro, eh, caro Lupi, qui sta la parte delicata della cosa. Proprio così, avete indovinato, siete d'un'acutezza... Dieci milioni... No, no, la cifra è precisa, non un centesimo,di più. So benissimo che sarà arrestato...

Ottavio                          - (quasi vien meno) Oh Madonna... (Donato lo sorregge, gli fa cenno di tacere indicandogli Consalvo).

Consalvo                       - (continuando) ... che lo farete pro­cessare e condannare, ma questo non vi farà recu­perare il danaro. Certo che c'è modo di sistemare, altrimenti non vi avrei telefonato. Il disgraziato ha perduto tutto, e poco fa sono riusciti a stento a impedirgli d'uccidersi. Sicuro, uno scandalo. Natu­rale, discredito per tutti. La famiglia, gli amici, si sono quotati e hanno messo insieme una somma notevole.

Ottavio                          - (con voce sommessa) Sette milioni e mezzo... (Donato gli fa cenno di tacere).

Consalvo                       - (al telefono) Cinque milioni... (Ottavio ha un balzo. Donato lo trattiene). Oh, no, caro Lupi, non è poco. È il cinquanta per cento, e ci sono falli­menti che si concordano con molto meno. Poi non c'è lo $ scandalo, i fastidi, la perdita di tempo d'un processo che non vi farebbe recupe­rare niente anche incaso di condanna. Eh, sì, sarei costretto a difenderlo, è parente d'un amico. Ma no, la sistemazione si può fare anche subito, oggi stesso. Vi dico di sì, ho io la somma... ve ne rispondo. Va bene, domandate alla Direzione gene­rale. Sì, ma non limitatevi a domandare, consigliate. Ecco, benissimo. Siete sempre quel magnifico cer­vello. V'aspetto alle quattro, sì. Arrivederci... (Riat­tacca il ricevitore. Ottavio ha trattenuto il pianto fino a questo punto, ora scoppia in lagrime e copre di baci le mani di Consalvo. Consalvo ritira le mani, infa­stidito).

Donato                          - (con emozione, sollevando un po' il cappello) Io lo sapevo…

Ottavio                          - (riafferrando le mani di Consalvo, riba­ciandole) M'avete salvato da un inferno... Ditemi che cosa debbo fare, qualunque cosa...

Consalvo                       - Darete cinquantamila corone a Cabotino...

Ottavio                          - Ma glie ne darò cento...

Maddalena                    - (appare sulla destra. Ha messo un altro grembiale più bello e i guanti bianchi di filo per servire a tavola) E pronto.

Consalvo                       - (a Ottavio) Bene, buongiorno. (A Donato) Venite verso le sei a ritirare l'atto di tran­sazione.

Donato                          - Sì, consigliere. (A Ottavio) Andiamo.

Ottavio                          - (a Consalvo) Vi sarò eternamente rico­noscente. (Fa per riprendergli la mano e ribaciargliela) Permettetemi...

Consalvo                       - (infastidito) No, basta.

Donato                          - (prende per il braccio Ottavio) Andiamo. (Va al fondo, esce. Ottavio lo segue, stordito).

Maddalena                    - (con lieve, affettuoso tono di rimpro­vero) Si raffredda...

Con salvo                      - Grazie, servite pure. Vado a... (Si guarda con ribrezzo le mani) lavarmi le mani. (Esce per la sinistra).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

 (Consalvo siede sul divano, in giacca da camera, leggendo lettere e prendendo appunti; sulla scrivania, a portata di mano, ha un codice, qualche rivista giu­diziaria e altre pubblicazioni del genere che ogni tanto consulta).

Donato                          - (s'affaccia sul fondo; ha un'altra cravatta e un'altra camicia, ha cambiato cappello o giacca; ma è sempre nel suo siile) Permesso?

Consalvo                       - Oh, siete voi, Cabotino, avanti.

Donato                          - (viene avanti) Disturbo?

Consalvo                       - Se ho detto « avanti ».

Donato                          - (avanza ancora, siede sulla sedia davanti al divano, si frega le mani soddisfatto, strizzando un occhio).

Consalvo                       - Sentiamo.

Donato                          - Fatto.

Consalvo                       - Fatto cosa?

Donato                          - Tutto. Saranno contumaci.

Consalvo                       - « Saranno » è un futuro, e il futuro è sulle ginocchia di Giove.

Donato                          - Saranno contumaci perché non rice­veranno la citazione.

Consalvo                       - Ne siete certo?

Donato                          - Al novantanove per cento.

Consalvo                       - Ahi.

Donato                          - Vi assicuro che, a meno che non accada un miracolo, quella gente non riceverà la citazione e non si presenterà in udienza, per cui si potrà senz'altro chiedere di dichiararla contumace.

Consalvo                       - Come fate a esserne così sicuro?

Donato                          - Signor consigliere... So quello che faccio.

Consalvo                       - Allora ditemelo.

Donato                          - Non vorrei che mi rimproveraste.

Consalvo                       - L'avete fatica tanto sporca?

Donato                          - Tanto sporca, no. Non molto pulita, ecco.

Consalvo -                     - Ditemi tutto.

Donato -                        - Signor consigliere, se non vi dico niente non avete responsabilità, se vi dico tutto...

Consalvo                       - M'interessa sapere se non avete commesso qualche errore.

Donato                          - Nessun errore, tutto s'è svolto nei limiti della più stretta legalità. Quella gente abita in via Aureliana 239, la citazione è stata mandata in via « Aurelia » 239. Aureliana, Aurelia, lo sbaglio è spiegabile...

Consalvo                       - Bisogna vedere chi abita in via Aurelia 239...

Donato                          - C'è un negozio di ferramenta.

Consalvo                       - (alza le spalle) Avranno sempre modo di riprendersi e riaprire i termini. Poi c'è l'appello.

Donato                          - Intanto è sempre bene avere una sentenza favorevole.

Consalvo                       - Se sarà favorevole. Mah. Come sta quel vostro amico cassiere, Pizio, mi pare?

Donato                          - Quizio. Ha fatto un affare enorme. Sempre convinto che le Nord dovessero risalire ha ricomprato a centoquaranta, allo scoperto, gettando allo sbaraglio i due milioni che gli erano rimasti... che gli avete regalati.

Consalvo                       - Sono a trecentosessanta, mi pare.

Donato                          - Trecentosettanta e andranno a quattro­cento. Guadagnerà una quindicina di milioni in due mesi, l'amico Quizio. Più di quanto non ha guada­gnato in trentun anno lavorando come un bue.

Consalvo                       - Il che dimostra che è perfettamente inutile lavorare come un bue. Bene, Cabotino, grazie; speriamo che la vostra trovata funzioni.

Donato                          - Funzionerà. Dov'è la signorina Sabina? Vorrei darle una noticina spese.

Consalvo                       - È di là; s'è sentita poco bene, tor­nerà subito. Date a me la noticina.

Donato                          - (porgendo un pezzo di carta) Ecco, sono tremilaquattrocento.

Consalvo                       - (prende il pezzo di carta, lo mette da parte senza guardarlo) Va bene, la signorina vi] verserà cinquemila corone.

Donato                          - Grazie.

Consalvo                       - Volete aspettare o preferite ripassare domani?

Donato                          - Ripasserò, grazie, consigliere. (Si alza) Allora arrivederci.

Consalvo                       - Arrivederci; e grazie.

Donato                          - Oh. (Solleva il cappello per gualche centimetro, esce per il fondo. Consalvo riprende a leg­gere lettere e a prendere appunti. Squilla il campanello del telefono sulla scrivania di Sabina. Consalvo alza gli occhi, guarda il telefono, ma non si alza; il telefono continua a far sentire la sua suoneria, e Consalvo guarda dì nuovo l’apparecchio sulla scrivania dì Sabina; poi decide di non occuparsene affatto, e lascia che la suoneria continui senza curarsene, continuando a prendere appunti).

Sabina                           - (entra dalla destra; appare un po' sofferente. Va alla sua scrivania, stacca il ricevitore) Pronto... Pronto... (Aspetta, poi, a Consalvo) Hanno staccato,

Consalvo                       - Richiameranno.

Sabina                           - Scusatemi.

Consalvo                       - Ma vi pare.

Sabina                           - Non vorrei che fosse stata una chia­mata importante.

Consalvo                       - Non me ne importa niente. Come va sentite, piuttosto?

Sabina                           - Bene... meglio.

Consalvo                       - Volete andare a casa?

Sabina                           - Finiamo prima.

Consalvo                       - Ci vorrà almeno un'ora. Andate a casa e domattina riprenderemo.

Sabina                           - Preferirei finire stasera e domani venire un po' più tardi.

Consalvo                       - Come volete.

Sabina                           - (prende il blocchetto d'appunti stenografati, siede alla scrivania di Consalvo, sfoglia il blocchetto, legge, poi) Eravamo rimasti alla questione della polizza-vita. (Legge ad alta voce) Onorevole Compagnia Generale d'Assicurazioni e Riassicurazioni, piazza Indipendenza 37...

Consalvo                       - (dettando, calmo, adagio, ma sicuro, coinè chi ha ben meditato ciò che vuol dire) La pre­sente per confermarvi integralmente la mia del 27 ultimo scorso alla quale peraltro non avete dato ancora riscontro. Non volendo attribuire a scortesia tale silenzio e nel dubbio che detta mia lettera non vi sia giunta ho provveduto a farvela notificare per ufficiale giudiziario (come concedendo una frase non indispensabile ma che non guasta) a norma di legge.

Sabina                           - (ha stenografato velocissima; e con tono conclusivo) Distinti saluti. (Stenografa).

Consalvo                       - No. Ossequi.

Sabina                           - Ossequi. (Corregge) Ora bisognerebbe rispondere all'avvocato Sandrini per il ricorso Nicoletti...

Maddalena                    - (entra del fondo) C'è il dottor Barsani.

Consalvo                       - (stupito) Cosa?

Maddalena                    - Suo nipote.

Consalvo                       - (seccato) E venite ad annunziarmelo?

Sabina                           - (alzandosi) ~ Vado a dirgli che siete occupato.

Maddalena                    - Ma è con la madre, la signora Ines.

Consalvo                       - (colpito) Ah. (Sabina s'è fermata, aspettando. Consalvo decidendo) Va bene, fate passare. (Si alza) Pregateli d'aspettare qualche minuto. (Esce dalla sinistra).

Maddalena                    - (alza le spalle) Va a farsi bello.

Sabina                           - Per la madre di Andrea?

Maddalena                    - È una vecchia fiamma.

Sabina                           - Come, dice che adorava la moglie.

Maddalena                    - La Ines la conosceva prima di sposarsi. È sua cugina. (Come scusandosi) Non posso1 non farli entrare.

Sabina                           - Fateli entrare.

Maddalena                    - Mi dispiace, ma l'anticamera è così piccola e buia... (Esce per il fondo. Sabina vacilla. si sente soffocare, s'appoggia alla scrivania, poi s'asciuga il sudore col fazzoletto e si porta una mano al cuore. Maddalena rientra dal fondo. La seguono Ines, bella donna sui quarantacinque anni, assai ben portati, molto elegante, e Andrea, molto riguardoso per la madre, ma esagerando un po' nel riguardo che appare voluto, segue).

Sabina                           - (s'è ripresa) S'accomodi, signora, il consigliere verrà subito.

Ines                               - (gentile, ma non cordiale) Grazie. (Esamina Sabina senza curarsi di dissimularlo).

Sabina                           - (ad Andrea) Buongiorno, dottore.

Andrea                          - (distratto) Buongiorno.

Sabina                           - (pungente) Non mi presentate a vostra madre?

Andrea                          - (la guarda, e sembra solo adesso ricono­scerla) Oh, la signorina Morelli.

Sabina                           - (c. s.) Sabina Morelli.

Andrea                          - Non vi avevo riconosciuta. (A Ines) La signorina Morelli, mamma, segretaria dello zio Consalvo, un'aiutante preziosa, per lui.

Ines                               - (gentile, fredda) Soprattutto graziosa. Molto piacere, signorina.

Sabina                           - Piacere mio di poterla finalmente cono­scere suo figlio m'ha parlato molto di lei.

Ines                               - Ah sì? Siete amici?

Andrea                          - (con lieve fastidio) Amici? Ci cono­sciamo. Poi ci siamo un po' perduti di vista.

Sabina                           - Perché voi avete smesso di vedermi. Vi ho telefonato spesso. L'ultima volta credo d'aver parlato proprio con la signora. (Guarda Ines).

Ines                               - (senza turbarsi) Sì, mi pare di ricordare...

Sabina                           - Mi disse che il dottore era partito per la Svizzera.

Ines                               - Sì, dev'essere stato allora. (Sabina ha un capogiro, s'afferra alla scrivania).

Maddalena                    - (allarmata) Signorina, ma voi state male...

Sabina                           - (riprendendosi) Sì, c'è qualcosa che non va. Nervi, forse. (A Ines) Permesso, signora. (Fissa Andrea, ostile) Buongiorno. (Esce dalla destra. Mad­dalena la segue stupita, senza salutare Ines e Andrea).

Andrea                          - (guarda alla destra, poi si volge a Ines) Ma cos'ha?

Ines                               - Ha innanzi tutto ch'è una gran maledu­cata. Poi mi sembra troppo in intimità con te.

Andrea                          - (infastidito) Mamma, le avrò parlato un paio di volte.

Ines                               - Dipende da come le hai parlato. Il giorno in cui smetterai di darmi pensieri e preoccupazioni sarà un bel giorno.

Andrea                          - (c. s.) Non incominciamo.

Ines                               - Ti ho raccomandato, per anni, di colti­vare questo nostro parente, e tu ti metti a far l'asino alla sua segretaria.

Andrea                          - lo non faccio mai l'asino, mamma. In quanto alle tue raccomandazioni di coltivare, non è colpa mia se dalla coltivazione non è nato ancora niente. Quasi non sapevo d'avere questo zio; te ne sei ricordata improvvisamente pochi mesi fa.

Ines                               - Due anni fa.

Andrea                          - Meno. Un anno e mezzo, son sempre pochi mesi. Un parente da cui si vuole ereditare si coltiva per decenni.

Ines                               - Prima non sapevo che avesse un'eredità da lasciare. (Cava una sigaretta. Andrea le si avvi­cina porgendole fuoco. Accende, fuma) Vorrei proprio sapere come ha fatto a diventare così ricco improv­visamente.

Andrea                          - (alza le spalle) È chiaro.

Ines                               - Chiaro?

Andrea                          - Non è diventato ricco all'improvviso ma lentamente, giorno per giorno, finche è stato in servizio. Poi, passato in pensione, ha gettato la maschera. Questo studietto legale è solo una scusa; credi davvero che gli renda? Non fa una causa, non ha un sostituto, sfrutta quella ragazza che paga come una dattilografa... e che chissà quali altri servizi deve rendere...

Ines                               - (con lieve disprezzo) Oh! Consalvo è inca­pace di pensare a certe cose.

Andrea                          - (non convinto) Sì, va bene.

Ines                               - È incapace. (Andrea fissa Ines che fuma tranquillamente guardando altrove).

Consalvo                       - (rientra dalla sinistra; s'è messo la giacca. Va incontro a Ines) Buongiorno, cara Ines...

Ines                               - (si alza, con un radioso sorriso) Caro, caro il mio vecchio Consalvo... Posso dirlo senz'offenderti perché son vecchia anch'io.

Consalvo                       - Se è una civetteria è di gran buon gusto... (È costretto ad accorgersi di Andrea).

Andrea                          - (s'è inchinato già due o tre volte) Buon­giorno, zio...

Consalvo                       - (lo saluta con la mano) Caro... (Siede accanto a Ines e indica ad Andrea una poltrona lon­tana) Siedi, senza cerimonie. (A Ines) Come va, come state?

Ines                               - Mi dai del voi?

Consalvo                       - (ha un'occhiata per Andrea) Dimen­tico sempre. Poi c'è lui che mi dà soggezione.

Ines                               - Non mi chiederai di mandarlo via.

Consalvo                       - Eh, quasi quasi.

Ines                               - Non sarebbe conveniente per me: sola in casa d'un signore solo.

Consalvo                       - Con una governante, una segretaria...

Ines                               - L'ho vista, troppo carina.

Consalvo                       - (contento) Graziosa, vero?

Ines                               - In modo eccessivo. Se non sapessi che sei casto...

Consalvo                       - Ma lo sai; dunque non mortificarmi.

Ines                               - Non ti mortificherò. Veniamo a noi, caro cugino.

Consalvo                       - Veniamo a noi.

Ines                               - Al motivo della mia visita.

Consalvo                       - Ecco.

Ines                               - Non me lo domandi?

Consalvo                       - Aspetto che tu me lo dica.

Ines                               - Sono venuta a vederti per colpa tua.

Consalvo                       - Colpa mia?

Ines                               - Perché tu non vieni a vedere me.

Consalvo                       - Ho sempre da fare, e poi... (Gesto vago).

Ines                               - Poi?

Consalvo                       - Non sono mai stato un uomo di mondo, e ora lo sono meno che mai. La solitudine m'ha reso ancora più scontroso.

Ines                               - Ragione di più per reagire, veder gente; i parenti, almeno.

Consalvo                       - Non ho pensato che una mia visita potesse riuscirti gradita.

Ines                               - Hai avuto torto. Vedersi è sempre un conforto, un... Mah! Non hai avuto bisogno di noi, ecco tutto.

Con salvo                      - Per fortuna. Aver bisogno degli altri è terribile.

Ines                               - Secondo. Noi, per esempio, Andrea e io, abbiamo bisogno di te e non ne siamo terrorizzati. Conosciamo il tuo senso di giustizia. Io sono certa della tua affettuosità.

Consalvo                       - Non mi spaventare; dimmi di che si tratta.

Ines                               - Andrea... (Si ferma come cercando le parole).

Consalvo                       - (senza entusiasmo) Si tratta di lui?

Ines                               - E di chi dovrebbe trattarsi? Se una madre chiede qualcosa la chiede per il proprio figlio. È naturale, questo.

Consalvo                       - Naturalissimo. Che debbo fare per tuo figlio? Spero si tratti di cosa nelle mie possibilità. ' Ines   - Andrea... vuole sposarsi.

Consalvo                       - (guarda Andrea, seccato) Ah.

Ines                               - La fidanzata è Clorinda Berri.

Consalvo                       - Berri.

 Andrea                         - Figlia del conte Berri.

Consalvo                       - (quasi con disgusto) Quello dell'olio?

Andrea                          - Appunto.

Consalvo                       - Debbo averlo condannato per ban­carotta.

Andrea                          - (insieme a Ines) Bancarotta?

Ines                               - (insieme ad Andrea) Ma cosa dici?

Consalvo                       - ... poi, in appello, riuscì a farsi assolvere; mi pare per insufficienza di prove.

Andrea                          - Adesso capisco. (Guarda Ines).

Ines                               - (guarda Andrea) Si spiega perché ha posto quella condizione. Ma Consalvo non dirà di no, ne sono sicura. (Guarda Consalvo).

Consalvo                       - Non dirò di no a che cosa?

Ines                               - Alla preghiera che ti rivolgo con tutta l'anima, di voler andare tu dal conte Berri a chie­dergli la mano di sua figlia per Andrea.

Consalvo                       - (è stupito, quasi indignato. Guarda Andrea, poi Ines) Scusa, perché io?

Ines                               - Andrea è orfano.

Consalvo                       - Di padre, ma la madre...

Ines                               - Il capo della famiglia sei tu.

Consalvo                       - Io sono il capo della famiglia De Minimis, che purtroppo muore con me.

Ines                               - Che non morrà, perché Andrea la conti­nuerà. È lui l'erede del titolo.

Consalvo                       - Quale tit... Ah già. Dovrei essere barone.

Ines                               - Lo sei.

Consalvo                       - Non mi sono mai curato di fare le pratiche necessarie. Mio padre nemmeno ci ha fatto mai caso.

Ines -                             - Il titolo è trasmissibile anche per linea femminile.

Consalvo                       - Ma davvero?

Ines                               - Andrea s'è informato. (Consalvo guarda Andrea come se volesse picchiarlo).

Andrea                          - Sì, zio, è così.

Consalvo                       - Mi sarebbe bastata anche una figlia.

Andrea                          - Appunto.

Consalvo                       - E il bancarottiere, sì, il conte Berri vuole che io...

Ines                               - Ecco.

Consalvo                       - Non capisco la necessità del mio intervento. Se tiene al titolo deve pur sapere che andrà a tuo figlio anche contro la mia volontà.

Ines                               - Come, contro la tua volontà?

Consalvo                       - Voglio dire, ammesso per ipotesi che io non volessi lasciar niente ad Andrea, che facessi testamento in favore d'un ospedale, i pochi soldi che ho andrebbero ad altri, ma il titolo non potrebbe che andare a lui.

Andrea                          - Ma zio, io non considero nemmeno per comodità di discussione un'ipotesi simile. Vi rispetto troppo per pensare soltanto alla possibilità d'influire sulla vostra volontà che eserciterete come quando e se vorrete, e fra cento anni. Il danaro è l'ultima cosa. Bisogna anche considerare che sposando Clorinda...

Consalvo                       - Ah, certo. La bancarotta e il contrabbando dell'olio danno miliardi. E naturalmente tu sei innamorato pazzo di questa Clorinda.

Andrea                          - Non posso vivere senza di lei.

Consalvo                       - Ne sono convinto.

Andrea                          - Le voglio bene al punto da non esitare a... Non vorrei che mi giudicaste male, poco rispet­toso verso la santa memoria di mio padre. (Si ferma, come volendo superare la propria emozione).

Consalvo                       - (a Ines) Cos'ha?

Ines                               - È commosso.

Consalvo                       - Perché?

Ines                               - Per quello che deve dirti. Vuole aggiun­gere al cognome di Barsani quello di De Minimis.

Consalvo                       - Barone Andrea Barsani De Minimis.

Ines                               - È bellissimo.

Consalvo                       - E lei baronessa Clorinda Barsani De Minimis.

Ines                               - Capisci?

Consalvo                       - Capisco. Bene, ci penserò. (Ines ha un gesto di preoccupazione e di disappunto).

Andrea                          - (dopo una rapida occhiata a Ines) Zio Consalvo, non vi nascondo che speravamo di sen­tirvi accettare subito.

Consalvo                       - Non ho rifiutato.

Andrea                          - Ma non avete accettato. Si tratta in sostanza di fare una visita di cortesia al conte Berri...

Consalvo                       - ... chiedergli la mano della figlia per te, promettergli che farò testamento in tuo favore, che acconsentirò a farti assumere il mio nome me vivente, il che significa adozione implicita.

Ines                               - Scusa, che c'è di male?

Consalvo                       - Niente. Voglio pensarci.

Andrea                          - Non mi pare un problema difficile.

Consalvo                       - Non lo è. Ma io sono un pensatore lento.

Ines                               - (incredula) Suvvia.

Consalvo                       - (sincero) È vero. Nell'azione sono rapido. Qualche volta sono stato fulmineo e potrei forse esserlo ancora. Ma sempre dopo aver pensato a lungo, ruminato come un bue.

Andrea                          - Se mi dicono che date pareri perfetti su questioni intricatissime in pochi minuti.

Consalvo                       - Si tratta sempre di analogie. La pratica, tanti anni di magistratura... Non insistere, ti prego.

Andrea                          - (spaventato) Me ne guardo bene.

Consalvo                       - E fammi un piacere...

Andrea                          - Cento.

Consalvo                       - Vattene. (Andrea lo guarda inter­detto; Ines è sbalordita) Desidero parlarne con tua madre...

Andrea                          - (respirando) Ah.

Consalvo                       - Capisci che a quattr'occhi...

Andrea                          - (rassicurato) Oh, capisco benissimo. (Si muove) L'aspetterò giù, nella macchina.

Consalvo                       - Ha già la macchina?

Andrea                          - È del conte.

Consalvo                       - Una di quelle del conte. Bene, vai, caro, vai.

Andrea                          - Vado. Mi permettete di baciarvi la mano?

Consalvo                       - Baciala a tua madre.

Andrea                          - (bacia la mano a Ines, abbozza un inchino a Consalvo) Arrivederci, zio.

Consalvo                       - Ciao. (Lo saluta con la mano. Andrea esce dal fondo).

 Ines                              - Ma cos'hai contro Andrea?

Consalvo                       - Non m'è simpatico.

Ines                               - (ferita) Si direbbe che lo odii.

Consalvo                       - E lo odio un po'.

Ines                               - (sbalordita) E me lo dici così?

Consalvo                       - Come dovrei dirlo? La sua presenza mi turba; egli lo sente e cerca d'impormela più che può, con un istinto di cattiveria di cui m'accorgo come d'un pericolo. Se dovessi un giorno dipendere da lui m'ucciderei. Sono certo che non esiterebbe a maltrattarmi...

Ines                               - (c. s.) Ma cosa stai fantasticando?

Consalvo                       - ... a picchiarmi. M'è capitato più volte questo tipo di giovine portato dalla sua natura contro chi gli sta avanti per età e posizione sociale. È una specie d'impaziente patologico, pare sempre che dica al padre, al nonno, allo zio: «Ma perché non muori? Che aspetti? ».

Ines                               - (turbata) Ma è mostruoso; vengo a chie­derti d'aiutarmi e tu...

Consalvo                       - Non rifiuto d'aiutarti, ma mi hai domandato cosa ho contro il tuo Andrea, e rispondo alla tua domanda.

Ines                               - Con una sincerità paurosa.

Consalvo                       - Preferiresti l'ipocrisia?

Ines                               - No, ma un minimo di forma.

Consalvo                       - Non ho mancato alle forme.  Se non m'avessi interrogato non t'avrei risposto. Il tuo Andrea non mi piace ed è solo per te che lo tollero. Se non fosse per te forse arriverei a fargli del male.

Ines                               - (esasperata) Ma insomma che t'ha fatto, quel ragazzo?

Consalvo                       - (subito) È tuo figlio.

Ines                               - Non capisco. È per me che non gli fai del male, ma lo odii perché è mio figlio.

Consalvo                       - Io non ho figli. (Ines apre un po' le labbra, come per dire, « Ah! », ma non lo dice) Anna non era in grado d'averne. I suoi lo sapevano e lo sapevi anche tu.

Ines                               - Che c'entro io?

Consalvo                       - Era una tua amica. V'accordaste tutti per farmela sposare. Poveretta, è stata una santa; ho finito con l'amarla appassionatamente.

Ines                               - E allora perché ti lagni?

Consalvo                       - Per l'inganno di cui fui vittima. Una ragazza fisiologicamente incapace di procreare non si può, non si deve offrirla a un uomo che si sposa con lo scopo e il desiderio d'avere dei figli. È come vendere una merce per un'altra, spendere una moneta falsa sapendo che è falsa.

Ines                               - (turbata) Tu parli sempre come un giurista.

Consalvo                       - Come dovrei parlare, come un astro­nomo? Sono queste truffe della vita, degli amici, dei parenti, alle volte perfino dei genitori, che ci esasperano, ci nutrono di rancore per anni e anni, durante i quali ci rode il tarlo dell'« avrebbe potuto essere ». Se non avessi fatto quello, oggi non mi tro­verei così. Se avessi fatto quell'altro, oggi sarei in una situazione diversa. E ricordiamo il consiglio che ci fu dato quel giorno, l'incontro che fu combinato per noi e tutto il complesso di mezzi e d'astuzie messo in opera per indurci a seguire una via anziché un'altra. Finché si tratta d'un affare, passi; c'è sempre modo di fermarsi, tornare indietro. Ma quando si tratta di sposare una donna, legarsi per tutta la vita, il delitto che si commette in questo caso è spaventoso.

Ines                               - (disperata) Ma scusa, se tu stesso rico­nosci che Anna è stata un angelo.

Consalvo                       - Se fosse stata un demonio me ne sarei liberato in qualche modo e avrei comunque ricostruito la mia vita. Ma è stata un angelo: l'angelo della delusione. Mi è costantemente mancata, m'ha costantemente deluso. M'ero abituato a lei, avevo imparato ad amarla, e proprio quando m'era diven­tata indispensabile, quando, ormai rassegnato alla mancanza dei figli, mi sarei accontentato di lei sola, è morta.

Ines                               - Non è colpa sua.

Consalvo                       - Ma nemmeno mia. Se n'è andata quando ero già troppo vecchio per incominciare una nuova vita, ancora tanto giovine per desiderarlo pazzamente.

Ines                               - (esita, poi) Avresti potuto... (S'interrompe, ha un gesto vago).

Consalvo                       - Non avrei potuto; ho il cervello che ho, e manco di fantasia. Tu, invece...

Ines                               - Io sono stata sventuratissima.

Consalvo                       - (ha un breve riso a bocca chiusa) Scom­metto che lo credi.

Ines                               - È la verità.

Consalvo                       - Sventuratissima. Non so proprio di quali sventure puoi lagnarti finché non sei rimasta vedova.

Ines                               - Quella è stata la minore delle sventure.

Consalvo                       - (sorpreso) Ah?

Ines                               - (imbarazzata, tentando di rimediare) Sì, voglio dire che...

Consalvo                       - (con breve riso) Ho capito. Se nem­meno quella fu una sventura, io mi domando di che ti lamenti. Hai fatto tutto ciò che hai voluto.

Ines                               - (seccata) Non sempre.

Consalvo                       - Sempre. Hai incominciato col cal­pestare il mio amore che era immenso. Mi ci sono voluti degli anni per volgerlo su Anna.

Ines                               - Mio povero Consalvo. Non avevamo che sogni tu e io; Anna t'ha portato una dote che...

Consalvo                       - Ma io non discuto, faccio una con­statazione. Tu potevi pensare che non avevamo niente. Io pensavo che avevo te e credevo d'aver tutto.

Ines                               - (involontariamente civetta) Mi serbi rancore1?

Consalvo                       - (subito) Sì.

Ines                               - In fondo è carino quello che dici.

Consalvo                       - Non è carino. Strano come tu non abbia ancora capito che in fondo io sono un imbe­cille... (Ines lo guarda e ha un'espressione di vago spavento)... sì, un imbecille che prende tutto sul serio, sempre, cominciando da te, dall'amore frenetico che ti portavo, del quale non saprei dire nemmeno adesso se mi sono liberato.

Ines                               - (esclamando, col tono di chi, trattando un affare, scopre che può concedere qualcosa di cui gl’importa poco al contraente che lo desidera molto) Ma santa pazienza, se davvero hai continuato ad amarmi così intensamente, perché sei scomparso, sparito dal mio orizzonte come un morto o un emigrato?

 Consalvo                      - Non volevo soffrire.

Ines                               - (c. s. più tenera) E perché avresti dovuto soffrire1? E chi ti dice che t'avrei fatto soffrire?

Consalvo                       - (è stupito) Oh, guarda.

Ines                               - (c. s. quasi irritandosi) In un caso simile, quando si ha un tormento nell'anima e nel sangue, si tenta, almeno.

Consalvo                       - (ancora più stupito) Tu avresti...

Ines                               - Ti ho mandato delle cartoline, ti ho invi­tato ai miei tè, ti ho telefonato venti volte...

Consalvo                       - (la guarda, sorride) Nove volte...

Ines                               - Cos'altro dovevo fare?

Consalvo                       - Tu saresti venuta a letto con me?

Ines                               - (seccata) Non sapresti trovare parole un po' meno banali?

Consalvo                       - (la guarda continuando a sorridere; poi incomincia a ridere sempre più forte ) Ah!  Ah!

Ines                               - (irritandosi) Smetti di ridere.

Consalvo                       - (continua a ridere, poi) Ti portavo rancore per il figlio che hai avuto con un altro e che avevo tanto sperato per me. Pensare che fino a un minuto fa credevo ancora d'amarti.

Ines                               - (in un estremo tentativo di riprendere quota) Mentre adesso...

Consalvo                       - (ride) Lascia perdere. Ciao, cara.

Ines                               - Mi mandi via?

Consalvo                       - Ho tanto da fare. Poi non abbiamo più altro da dirci; m'hai chiesto un favore, te lo faccio...

Ines                               - (animandosi, di nuovo sperando, ansiosa) Tu accetti di...

Consalvo                       - Perché no? Il conte Beni se lo merita. Ciao.

Donato                          - (appare sul fondo) Permesso?

Consalvo                       - (seccato, voltandosi) Cosa c'è?

Donato                          - Volevo dire... La governante è andata ad accompagnare la signorina a casa.

Consalvo                       - (vivamente) Sta ancora male?

Donato                          - Sì, ma niente di grave; stanchezza. Così m'ha pregato di scendere e stare attento alla: porta. C'è l'avvocato Roberti.

Consalvo                       - (infastidito) Oh.

Donato                          - Dice ch'è molto urgente; ha tanto insistito.

Ines                               - Io vado...

Consalvo                       - Scusami, cara. (A Donato) Accompagnate.

Ines                               - Oh, non occorre; telefonerò per fissare 1 ' appuntamento.

Consalvo                       - Ecco, benissimo.

Ines                               - Arrivederci.

Consalvo                       - Arrivederci. (Fa cenno a Donato d'accompagnarla. Ines, con un cenno di testa per I Donato, esce per il fondo. Donato la segue. Consalvo ha una smorfia; si tocca, quasi si massaggia la gola, e si muove verso la destra).

Donato                          - (riappare sul fondo) Faccio passare l'avvocato?

Consalvo                       - Sì, ma pregatelo d'aspettare un minuto. Vado a farmi un caffè. Qualcosa... Ho la gola stretta. (Esce per la destra. Donato esce per il fondo; poi rientra, facendo rispettosamente strada a Giulio).

Donato                          - S'accomodi, avvocato, il consigliere viene subito.

Giulio                            - (segue dal fondo; sui quarantacinque o cin­quanta anni, molto elegante, tinto con abilità. Cappello e guanti in mano) Grazie. (È di buon umore, e accenna con la testa al fondo) È ancora un gran bel pezzo di donna.

Donato                          - (convinto) Oh.

Giulio                            - Ha una causa?

Donato                          - Non saprei.

Giulio                            - Vedendola qui ho pensato...

Donato                          - (come chi dà un avvertimento) È parente del consigliere.

Giulio                            - (più attento) Ah. (Volendo cambiar di­scorso) Voi lavorate con lui?

Donato                          - Saltuariamente; il consigliere esercita poco.

Giulio                            - Sì, ma quel poco, eh? Rende molto.

Donato                          - Non saprei, non seguo. Mi trovo qui per caso oggi, perché la segretaria s'è sentita male.

Giulio                            - Ah? Cos'ha?

Donato                          - Non ne ho idea, i soliti vapori di queste ragazze; aveva un singhiozzo nervoso. S'è messa anche a piangere, e così la governante l'ha accom­pagnata a casa.

Giulio                            - Consalvo è sempre quel caratteraccio, duro, severo...

Donato                          - Con la segretaria? Nemmeno per sogno; le vuole un bene dell'anima.

Giulio                            - (stupito) Il pretore De Minimis, come lo chiamavamo noi, che vuol bene a qualcuno? Deve essere molto cambiato.

Donato                          - Ah sì, molto cambiato, ma in meglio. Ora è più... come dire?, più umano, più vicino alla gente.

Giulio                            - Non è più spietato, insomma.

Donato                          - Ecco. (Correggendosi) Per quanto non fosse spietato nemmeno prima. Era giusto.

Giulio                            - (beffardo) Come la statua della giustizia.

Donato                          - (concedendo, non molto convinto) Sì.

Giulio                            - Che però se è statua non è giustizia. (Consalvo rientra dalla destra) Mio caro Consalvo... (Gli va incontro, gli stringe la mano).

Consalvo                       - Caro Roberti. (Lo squadra) Stai benone.

Giulio                            - Quello che stavo per dire a te.

Donato                          - (ha sistemato meglio una poltrona e s'avvia al fondo) Metto il telefono di là?

Consalvo                       - Sì, grazie. (Donato esce per il fondo. Consalvo siede dopo aver fatto sedere Giulio) Dunque. A che debbo l'onore di questa visita... graditissima ma inaspettata?

Giulio                            - Sai benissimo che sono qui per la tua diffida alla Compagnia Generale d'Assicurazioni. La causa che vorresti impiantare non ha alcun fon­damento.

Consalvo                       - Se non avesse fondamento tu non saresti qui.

Giulio                            - Sono qui per cercare d'evitare una cosa antipatica.

Consalvo                       - Scusa, è una cosa antipatica o infon­data? Non pretendo d'essere simpatico ma infon­dato non posso lasciarmelo dire senza protestare.

 Giulio                           - L'azione che vorresti esperimentare contro le Assicurazioni Generali è non solo anti­patica ma infondata giuridicamente e moralmente. Tu assumi d'avere un contratto d'assicurazione vita con la Compagnia...

Consalvo                       - Non lo assumo, ce l'ho.

Giulio                            - Tu pretendi che alla scadenza, ossia fra tre mesi, ti sia pagato l'importo della polizza calcolato non al valore attuale della moneta, ma a quello che la moneta aveva quando fu stipulato il contratto.

Consalvo                       - Precisamente.

Giulio                            - È assurdo. La Compagnia s'è impegnata a pagarti duecentomila corone ed è tenuta a pagarti duecentomila corone.

Consalvo                       - Ma io mi sono assicurato quando con duecentomila corone si poteva comprare un appartamento di otto camere e servizi, mentre oggi ci si comprano sì e no seicento pacchetti di sigarette; io voglio l'appartamento, non le sigarette. Non fumo.

Giulio                            - C'è un principio che hai dimenticato; l'assicurazione non può avere fini di lucro.

Consalvo                       - D'accordo: ma se l'assicurato non deve aver fini di lucro non deve averne nemmeno l'assicuratore.

Giulio                            - Dovrebbe assicurare in perdita? E le spese generali? E le tasse? E le...

Consalvo                       - Scusa, non t'appassionare. Tu le sposi, le cause.

Giulio                            - È mio dovere sposarle.

Consalvo                       - Ma le sposi tutte; e più d'una sposa non si deve avere, specie a una certa età.

Giulio                            - Ti prego di non prendermi in giro.

Consalvo                       - Me ne guardo bene, ho un grandissimo rispetto per i tuoi capelli che dovrebbero esser bianchi. Non mi riferisco alle spese, alle tasse, allo stipendio del portinaio. La Compagnia ha comprato una quan­tità di palazzi e d'altri beni immobili con la massa premi.

Giulio                            - Ha l'obbligo d'investire in immobili.

Consalvo                       - D'accordo; senonchè un palazzo che prima valeva dieci milioni oggi vale un miliardo; ha comprato quei palazzi con i miei soldi buoni; perché vuol restituirmeli cattivi?

Giulio                            - Senti, caro, io non sono un cretino...

Consalvo                       - Non l'ho detto.

Giulio                            - Anche ammettendo, in dannata ipotesi, la fondatezza d'un tuo diritto nascente dalla svalu­tazione, è certo che questa svalutazione non s'è determinata di colpo. Dovresti incominciare a cal­colare di quanto il cosiddetto danaro buono dei premi, che tu hai pagato, è andato man mano svalutandosi.

Consalvo                       - Hai finito?

Giulio                            - Per il momento sì.

Consalvo                       - Allora mi permetterai d'obbiettarti che la « tua » argomentazione è priva di fondamento giuridico e morale.

Giulio                            - Scusa...

Consalvo                       - Lasciami dire. La Compagnia ha comprato la massima parte degl'immobili di cui oggi è proprietaria non per contanti, bensì mutuando, spesso con rateizzazioni che, fra parentesi, hanno rovinato i venditori. Ciò che ha comprato per dieci milioni lo ha pagato dieci milioni, anche quando la moneta è calata; e l'ha pagato con i premi che io ho continuato a versare.

Giulio                            - Che c'entri tu in un affare eventual­mente buono che può aver fatto la Compagnia?

Consalvo                       - L'affare eventualmente buono l'ha fatto col danaro mio e io non dovrei entrarci?

Giulio                            - (seccandosi) Scusa, caro, scusa, questa è una discussione giuridica.

Consalvo                       - E io sto facendo solo una discussione giuridica, che d'altra parte non capisco perché deve essere fatta fra noi, vecchi amici. Facciamo la causa. Quando non sì è d'accordo è il magistrato che deve decidere.

Giulio                            - Noi non vogliamo fare la causa. Io, tuo vecchio amico, non voglio fare la causa.

Consalvo                       - Ne sono davvero contento; prega la Compagnia Generale di venirmi incontro, e...

Giulio                            - (con una minaccia nella voce e nel gesto) E non voglio fare la causa per te, non per la Compagnia.

Consalvo                       - Non capisco.

Giulio                            - Stai attento. Sai che sono vice presi­dente dell'Ordine. Al consiglio sono giunte notizie di altre tue cause.

Consalvo                       - Mi fa davvero piacere che la mia attività sia così affettuosamente seguita.

Giulio                            - (contando sulle dita) Hai mosso causa alle Terme di San Pantaleo e l'hai transatta facen­doti nominare consulente di quella Società.

Consalvo                       - Non ho potuto dir di no. Erano così ansiosi d'avermi...

Giulio                            - Ti sei ben guardato di pagare il conto dell'albergo, hai mandato a curarsi gratis la tua governante, uno zio della tua segretaria...

Consalvo                       - Cosa vuoi, sono fanghi miracolosi e non ho voluto privarne gente bisognosa...

Giulio                            - Hai fatto causa alla Società del gas per una piccola esplosione che t'ha danneggiato un fornello...

Consalvo                       - ... già, ma che ha rivelato il difetto dell'impianto che per anni ha messo in pericolo di vita i miei familiari e il personale di cucina.

Giulio                            - Hai transatto questa causa con non so bene quale compenso.

Consalvo                       - Il giusto.

Giulio                            - Hai fatto causa alla Radio sostenendo la tesi che l'abbonamento tu lo paghi per sentire dei programmi vari e non della pubblicità...

Consalvo                       - Non ti pare una bella prepotenza farci pagare per ascoltare quella roba?

Giulio                            - Hai fatto causa alla Società dell'acqua, dei tram, dei telefoni, alla Società elettrica, sempre per pretese violazioni, pretese inadempienze, pretesi danni.

Consalvo                       - Caro, non tanto pretesi se ho sempre avuto ragione.

Giulio                            - Hai avuto ragione dagli uffici legali di quelle Società che hanno consigliato accomodamenti amichevoli, non dal magistrato.

Consalvo                       - Dunque ho avuto la ragione perfetta, ossia quella che gli stessi avversari m'hanno data.

 Giulio                           - Perché hanno avuto paura non di fare le cause, ma dello scandalo che sarebbe nato dalle cause.

Consalvo                       - Che colpa ho io se dei legali intelli­genti si sono resi conto ch'era meglio transigere?

Giulio                            - Bene, io sono venuto a dirti che la Compagnia Generale non transigerà.

Consalvo                       - Come vuoi, faremo la causa.

Giulio                            - E la perderai non solo in sede civile, ma anche in sede penale.

Consalvo                       - Sono curioso di sapere come farai a portarla in sede penale.

Giulio                            - Questo è un ricatto.

Consalvo                       - (interrompendo, con gesto indulgente) Lo so, ma perché drammatizzare? Sei obbligato a farmelo, questo ricatto, ma io non mi formalizzo.

Giulio                            - Il ricatto è quello che stai facendo tu.

Consalvo                       - (sbalordito) Io?

Giulio                            - Tu, che ti proponi di costringere la Compagnia a una transazione per evitare che mi­gliaia, diecine di migliaia d'assicurati rifacciano il tuo gioco.

Consalvo                       - Non so come puoi pensare una cosa simile, e non so come io possa continuare ad ascol­tarti. Io non ho proposto mai transazioni a nessuno» tanto meno alla tua Compagnia, e rifiuterò netta­mente qualsiasi offerta del genere da parte della tua rappresentata. E adesso, se non hai altro... (Si alza).

Giulio                            - (senza alzarsi) Se intendi mettermi alla porta è un conto, se intendi ragionare...

Consalvo                       - Non posso ragionare con chi non è ragionevole.

Giulio                            - Sei ragionevole tu, che trascini nel fango, senza nemmeno la scusante della necessità perché sei ricco, il tuo nome onorato, la tua reputazione di magistrato che per tutta una vita è stato d'esempio, facendo sempre e in pieno il suo dovere?

Consalvo                       - (interrompendo, vibrato) Ottenendo quale compenso? Io sono stato truffato non solo dalla tua Compagnia di predoni ma da tutti. Ho lavorato quarantacinque anni, dovevo avere una pen­sione, e mi si danno pochi e avari soldini invece del giusto premio che m'era stato promesso.

Giulio                            - Permetti...

Consalvo                       - Non permetto. Mia moglie mi lasciò la sua dote. Non so commerciare ne speculare: la investii in buoni della Cassa Nazionale che avreb­bero dovuto darmi duecentomila corone all'anno di rendita. Me le danno, riscuoto queste duecentomila corone, ma invece di viverci un anno larghissimamente non mi bastano due mesi.

Giulio                            - Ma scusa, con la pensione, con questa rendita, sei in grado dì lavorare...

Consalvo                       - Non voglio lavorare, non debbo. Il patto era che avrei lavorato fino a quel giorno; da quel giorno in poi avrei vissuto dei frutti del mio lungo lavoro.

Giulio                            - Ma con chi te la vuoi prendere se c'è stata l'inflazione?

Con salvo                      - Me la prendo con chi l'ha deter­minata.

Giulio                            - Non è stata la mia Compagnia a deter­minarla.

. Consalvo                     - Però ci ha guadagnato miliardi.

Giulio                            - Perché l'inflazione ha preso quel parti­colare aspetto che ha super valorizzato gl'immobili. Se non ci fosse stata l'inflazione non avresti perduto: t'è andata male. Avresti anche potuto vincere.

Consalvo                       - Ma io non dovevo né vincere né perdere, io non ho giuocato, non volevo giuocare, ho contrattato: rispettate il contratto; è questo l'obbligo vostro.

Giulio                            - Non puoi impiantare una causa su questo fatto. Puoi farci un discorso, trasformare l'udienza in un comizio...

Consalvo                       - Può anche darsi, ma alla fine il comizio si trasformerà in corteo, che si dirigerà verso la Direzione generale della Compagnia, vi farà irruzione e vi butterà dalla finestra, quanti siete. Ti piace questa prospettiva?

Giulio                            - Mio caro Consalvo, ma come fai a non renderti conto che l'inflazione ha colpito tutti, è stata quello che è un terremoto, un'inondazione...

Consalvo                       - No, il terremoto è opera di Dio, e i terremotati sono indennizzati. Io sono inflazionato per colpa di alcuni idioti, pazzi criminali che hanno messo tutto a soqquadro. Mi s'indennizzi se non si vuole che faccia anch'io il diavolo a quattro.

Giulio                            - Questa è predicazione rivoluzionaria, ribellione, manifestazione d'idee anarchiche che pos­sono anche... (Si ferma: ha un gesto vagamente minac­cioso).

Consalvo                       - Cosa?

Giulio                            - Darti gravi dispiaceri.

Consalvo                       - Affatto. Io non predico rivoluzioni, non stampo giornali sovversivi, non faccio discorsi incendiari. Reclamo il mio diritto in forma legale: faccio causa. Ho l'arma della profonda conoscenza della legge e me ne servo per difendermi.

Giulio                            - Nessuno ti attacca.

Consalvo                       - Nessuno m'attacca? E il vitto spe­ciale, le cure costose che mi sono necessarie per mantenermi in buona salute e che mai i mezzi che mi si danno potrebbero pagarmi, non è un attacco il negarmeli? Dovrei mangiar male, vestir male, morire più presto per far risparmiare qualche mese, se non qualche anno, della pensione che mi spetta? O  sei pazzo o fingi di esserlo.

Giulio                            - Mi rendo conto del tuo stato d'animo. Mi rendo conto anche che avrei dovuto cercare parole più felici per venire a capo di questa brutta faccenda. Ma non posso pensare che tu, fino a ieri custode della legge, possa calpestarla, ignorarne lo spirito. Questa non è una causa ordinaria; involge interessi colossali...

Consalvo                       - Lo so. Scoppierà uno scandalo enorme.

Giulio                            - Ammessa quest'eresia, cosa guadagnerai?

Consalvo                       - Moltissimo: mi divertirò; è tanto che m'occorre un po' di svago.

Giulio                            - (vibrato) Dimmi invece che con questo scandalo conti di far più paura agli altri, e indurli a cedere senza nemmeno tentare di discutere le tue tariffe.

Consalvo                       - Fammi il piacere, vattene. La tua probità sta perdendo ogni pudore e incomincia a nausearmi.

Giulio                            - Me ne vado. Ma tengo a dirti che quello che vuoi fare non è onesto.

Consalvo                       - T'ho detto vattene.

Giulio                            - Me ne vado. Ma quello che fai non è onesto. Non si adopera la legge come un grimaldello.

Consalvo                       - Ossia « io » non dovrei farlo. Vuoi andartene sì o no?

Giulio                            - (è sul fondo, furente) Te ne pentirai. E sarò io che te ne farò pentire. Bada che non avrò riguardi; non lagnarti se anch'io smetterò d'essere un galantuomo, una persona onesta...

Consalvo                       - È tanto che l'hai smesso. (Donato appare sul fondo, inquieto. Maddalena lo segue; ha il cappello; è un po' spaventata. Consalvo li guarda, seccato).

Giulio                            - (sta per replicare a Consalvo, ma tace ve­dendo Donato e Maddalena) Buongiorno. (Si calca il cappello in testa, ed esce per il fondo. Donato lo segue).

Maddalena                    - (ancora un po' spaventata) Cosa è successo?

Consalvo                       - (aspro) Niente. Voi, piuttosto, dove siete andata?

Maddalena                    - (lo fissa, e ha come un sospetto, un'in­tenzione nello sguardo) Ho accompagnato Sabina a casa; sta male, quella ragazza...

Consalvo                       - (alza le spalle) Cos'ha?

Maddalena                    - (c. s.) Non vorrei sbagliare, ma sospetto... (Si ferma, esita).

Consalvo                       - (incredulo, infastidito) ... un tumore, la malattia di moda?

Maddalena                    - (c. $., con qualche asprezza) Se ha un tumore è benigno. È incinta!

Consalvo                       - (immediatamente e fortemente colpito, addolorato, indignato, rifiutandosi di credere) No!

Maddalena -                  - Vorrei sbagliarmi... ma è così evidente!

Consalvo                       - (è atterrito, come chi ha visto cadere e infrangersi un idolo; poi l’amarezza, il disgusto, l’istintiva gelosia del maschio superano in lui ogni altro sentire, incomincia a ridere prima quasi con sforzo, poi con furia beffarda) Tutte uguali, tutte...

Maddalena                    - (c. s.) Si fa presto a dire.

Consalvo                       - Non c'è niente da dire. Domattina le porterete lo stipendio e le direte di non farsi più vedere.

Maddalena                    - (stupita, indignata) La scacciate?

Consalvo                       - E che debbo farle da balia asciutta?

Maddalena                    - (scoppiando) Non è onesto quello che fate.

Consalvo                       - (scoppiando anche lui, urlando, e con un disperato dolore nella voce) Non è onesto! Niente di quanto faccio io è onesto! Sono onesti quelli che m'hanno sfruttato tutta la vita! È onesto quel cial­trone ch'è venuto a ricattarmi! Siete onesta voi che fate la spesa!

Maddalena                    - (ferita) Cosa?

Consalvo                       - (c. s.) È onesta quella ragazzaccia che si lascia andare come una baldracca! È onesto quel miserabile che ne ha approfittato...

Donato                          - (appare sul fondo, allarmato) Ma cosa c'è?

Consalvo                       - (al colmo dell'ira) Niente. Siete onesto anche voi, per caso?

Donato                          - (sbalordito) Direi di sì.

Consalvo                       - (c. s.) E direste una grande scioc­chezza, capite? Una sciocchezza grande come una casa! (Va furente verso sinistra) Onesto! (Esce. Donato e Maddalena si guardano stupiti).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

Donato                          - (è in nero, con bombetta, sempre nel solito stile; si muove nervoso, alza le spalle, gestisce) Signo­rina Sabina, vi dovete decidere a... decidervi. (Guarda l'orologio) Rimarremo soli per altri dieci minuti, un quarto d'ora al più... poi torneranno il consigliere e Maddalena e avremmo finito di discorrere. Il matri­monio era fissato per le undici; è mezzogiorno e un quarto e a quest'ora avranno finito d'ingozzarsi. (Più seccato) Chissà poi perché non ha portato anche me alle fauste nozze di suo nipote. M'ero anche bardato. Maddalena sì, e voi e io qui a sgobbare!

Sabina                           - (sta ordinando un mucchio di corrispondenza, annotando, repertando) Io non ci sarei andata per nessuna ragione.

Donato                          - Ma io ci sarei andato, invece, e volen­tieri. Se non altro per sbafare a spese del conte Berri, a titolo di parziale restituzione.

Sabina                           - È vostro debitore?

Donato                          - È uno sfruttatore del popolo; io sono popolo, e prendergli magari un aperitivo significava prendermi una parte di ciò che m'è stato tolto. (Guarda di nuovo l'orologio) Signorina, ci rimangono otto minuti.

Sabina                           - (un po' spazientita) Che posso farci, signor Cabotino? Non sono cose da decidere su due piedi.

Donato                          - E perché no? A voi servono, questi soldi.

Sabina                           - Ne ho un bisogno acuto.

Donato                          - E io un bisogno cronico. Ci promettono centomila corone se lo convinciamo; dividiamo a metà.

Sabina                           - Non ci pensate nemmeno.

Donato                          - (seccato) Volete di più?

Sabina                           - (offesa) Ah, scusate.

Donato                          - (conciliante) Lo capisco, e lo trovo anche giusto.

Sabina                           - Incominciate a irritarmi, adesso.

Donato                          - Lo trovo sinceramente giusto perché riconosco che non è facile indurlo a transigere con la Compagnia, ora che s'è impuntato e ne fa una questione d'amor proprio. Sessanta a voi e quaranta a me. È una divisione onesta. »

 Sabina                          - Ma come debbo dirvi che non me la sento nemmeno d'incominciare a parlargliene?

Donato                          - Signorina, io conosco bene il pretore De Minimis. È un brav'uomo, e fa la faccia feroce per evitare che gli altri se n'accorgano. Sono convinto che s'è già pentito del dirizzone che ha preso, pentito del guaio in cui ha messo l'avvocato Roberti ch'è suo vecchio amico. (Irritandosi) Quell'altro animale! C'era bisogno di venirlo a provocare, di mettersi a fare il gradasso? Non poteva rivolgersi a me, prima, dandomi il tempo di preparare il terreno? Nossi­gnore, doveva creare prima il pasticcio e poi correre a tutti i ripari per uscirne. La causa è stata impian­tata magistralmente dal consigliere, la citazione è un capolavoro di narrativa e d'argomentazione. Gli offrono una transazione bellissima e convenientissima: perché non dovrebbe farla?

Sabina                           - Perché non vuole.

Donato                          - Bisogna farglielo volere, e voi potete riuscirci. È una fortuna che vi cade addosso; ses­santacinque a voi, trentacinque a me.

Sabina                           - Oh!

Donato                          - (furente) E sono disposto a far cifra tonda: settanta a voi, trenta a me. Ma dateci sotto, subito.

Sabina                           - (esasperata) E va bene, tenterò. Ma sono certa di fare un buco nell'acqua; non ho alcuna influenza su di lui.

Donato                          - (grave) L'avete, e grandissima.

Sabina                           - Non scherzate.

Donato                          - Non scherzo. Vi vuol bene.

Sabina                           - Che c'entra, questo?

Donato                          - Vi vuol molto bene. Un paio di mesi fa; ricordate quel giorno che vi sentiste male?

Sabina                           - (turbandosi) Ah.

Donato                          - E Maddalena v'accompagnò a casa! Voleva licenziarvi. Sabina  - (stupita) Cosa?

Donato                          - Voleva mandarvi via; si mise a gridare con la governante, e poi anche con me. Ci trattò da ladri tutti e due. A Maddalena disse: portatele lo stipendio a casa e ditele di non farsi veder più.

Sabina                           - (indignata) Ma davvero?

Donato                          - Stette due giorni via e lui incominciò a soffrire. Poi tornaste, e lui parve che impazzisse | di gioia. È innamorato di voi.

Sabina                           - Signor Cabotino, non dite sciocchezze. Potrebbe essermi padre.

Donato                          - Potrebbe esservi anche nonno; e con questo?

Sabina                           - È un uomo troppo serio, e troppo onesto anche. Poi c'è madama Ines.

Donato                          - Non la può vedere.

Sabina                           - Lo dite voi, ma non io; e nemmeno Maddalena. Noi donne comprendiamo un'altra donna in un attimo; ci basta un'occhiata dove per voi ci vuole un ragionamento. La Ines si farà sposare, gli sta intorno, se ne occupa; vedrete. (Squilla il cam­panello dalla porta all'interno).

Donato                          - Eccoli. (Sabina fa per muoversi) Vado io. (Esce dal fondo. Consalvo entra dal fondo; abito da cerimonia, pastrano, cappello in mano, enormemente seccato e stanco, particolarmente infastidito di Ines che gli si è messa a braccetto. Ines, abito di circostanza, cappello eccetera; aspetto di vera madre felice, dolo­rante nella sua gioia, attaccata al braccio di Consalvo come a una preda; Donato segue, grattandosi la testa sopra l’orecchio senza togliersi il cappello. Maddalena, abito di circostanza anche lei, un grosso cartoccio di dolci, fa subito cenno a Donato e a Sabina che sono per loro).

Sabina                           - Buongiorno, consigliere.

Consalvo                       - Buongiorno, cara.

Sabina                           - (a Ines) Buongiorno, signora.

Ines                               - (secca) Buongiorno.

Maddalena                    - (a Consalvo) Vuol darmi... (Fa per togliergli il cappello e s'imbroglia col cartoccio).

Ines                               - (seccata) Non occorre, penso io. Provvedete invece a dividere la vostra provvista con la signo­rina e... l'usciere.

Donato                          - Ufficiale giudiziario, prego.

Ines                               - Come volete. In cucina, però, non qui.

Maddalena                    - (alza le spalle) Oh, per me. (Esce dalla destra. Donato la segue).

Sabina                           - Non avete bisogno di me?

Consalvo                       - Più tardi. (Sabina saluta con un cenno di testa Ines, esce per la destra).

Ines                               - Che noia, sempre questa gente intorno.

Consalvo                       - L'hai mandata via.

Ines                               - Volevo rimanere un po' con te. Non ho avuto modo di dirti una parola a quattr'occhi.

Consalvo                       - Dimmela.

Ines                               - Lasciami prima respirare.

Consalvo                       - Respira.

Ines                               - Non vuoi andare di là  (guarda verso (a sinistra) a spogliarti, a...

Consalvo                       - Ah sì, ne ho un bisogno estremo. Sono stanchissimo.

Ines                               - E allora... (Fa per muoversi).

Consalvo                       - Ci andrò appena te ne sarai andata.

Ines                               - (delusa) Non vuoi?

Consalvo                       - Cosa?

Ines                               - Che t'aiuti, che...

Consalvo                       - Cara, devi essere stanca anche tu.

Ines                               - Mortalmente. Dall'alba in piedi, e poi le ultime corse, la funzione. santo Cielo, quella funzione!

Consalvo                       - A me l'incenso dà alla testa.

Ines                               - Quel prete, bravissima persona, ma non finiva mai. Ho le gambe spezzate.

Consalvo                       - Dunque va a riposarti.

Ines                               - (ha un sospiro) A casa mia... che ora è così grande, così vuota...

Consalvo                       - Che vuoi farci?

Ines                               - Quasi ti serbo rancore per... Andrea era ancora così giovine; mi faceva tanta compagnia.

Consalvo                       - Scusa: m'hai tanto pregato, e sem­bravi contenta.

 Ines                              - Sai come siamo noi donne, creature illo­giche, istintive. Adesso m'accorgo che sono sola, disperatamente sola... (Appoggia la testa sul petto di Consalvo) Tu non mi dimenticherai, spero?

Consalvo                       - (guardingo, senza muoversi, evitando ogni pretesto atto a far precipitare la scena in tene­rezza, e tuttavia non volendo essere scortese) Perché dovrei dimenticarti?

Ines                               - Mi terrai un po' di compagnia?

Qonsalvo                       - Ho tanto da fare: l'ufficio, le cause...

Ines                               - M'avevi detto che non volevi farle, le cause.

Consalvo                       - Tutte no, ma qualcuna si deve pur farla.

Ines                               - (si stacca da lui, nervosa) Ho capito; hai intenzione di riprendere la tua esistenza d'eremita.

Consalvo                       - Cosa vuoi, son tant'anni che vivo così.

Ines                               - Non illuderti che te lo permetterò.

Consalvo                       - (come chi non ha capito bene) Come?

Ines                               - Sono la tua sola parente, così come tu sei il solo parente mio, e non intendo abbandonarti in mano a gente pagata. Non ne ho il diritto.

Consalvo                       - Cara, io non ti chiedo nulla, e non voglio che tu ti preoccupi per me. Volevi mettere a posto tuo figlio e te l'ho messo a posto. Il conte Beni...

Ines                               - (interrompendo) Non lo posso soffrire.

Consalvo                       - (la guarda, poi) Alle volte bisogna adattarsi, sopportare con pazienza le persone moleste. Sei molto più parente a lui che a me.

Ines                               - Chi ti sentisse penserebbe che vuoi but­tarmi fra le braccia di Berri.

Consalvo                       - Non voglio buttarti fra le braccia di nessuno. D'altra parte sei maggiorenne, perfetta­mente in grado di regolarti da sola.

Ines                               - So benissimo di non essere una bambina, ma so anche che posso essere interessante per un uomo d'età adeguata... della tua età, per esempio.

Consalvo                       - Cara, alla mia età non interessa più niente.

Ines                               - Ho capito, sei di cattivo umore. Me ne vado ; non trattenermi.

Consalvo                       - Me ne guardo bene. (Va a premere il bottone d'un campanello).

Ines                               - Quando potrò rivederti?

Consalvo                       - Quando vorrai. Telefona e...

Ines                               - ... e la tua segretaria mi dirà che non ci sei. Piomberò all'improvviso.

Consalvo                       - Ecco, piomba.

Ines                               - Non ci diamo un bacio in questo giorno così pieno di eventi?

Consalvo                       - Diamoci un bacio. (Si baciano, lei fingendo passione, lui con la più fredda correttezza; poi si separano).

Ines                               - (sospira) Ah, Consalvo, quante cose potrei dirti!

Consalvo                       - Me le dirai quando piomberai. Adesso... (Sa un cenno, un'occhiata alla sinistra).

Ines                               - (esasperata, ma contenendosi) ...sei stanco, ho capito!

Consalvo                       - Davvero, sai!

Ines                               - Arrivederci. (Sabina entra dalla destra).

Consalvo                       - (a Ines) Arrivederci. (A Sabina) Accompagnate la signora Barsani, per favore.

Ines                               - (brontolando) Per favore! (Esce dal fondo. Sabina la segue. Consalvo sbuffa, scuote la testa, 'muove le mani come se dicesse: a Santo Cielo, chi mi libera di questa seccatrice! ». Esce dalla sinistra. Sabina rientra dal fondo, torna alla scrivania e riprende il suo lavoro).

Donato                          - (entra dalla destra con un cartoccio più piccolo di quello che ha portato Maddalena, si mette un pasticcino in bocca e s'avvicina a Sabina masti­cando) Sono orribili.

Sabina                           - Perché li mangiate?

Donato                          - Per dispetto. Li darò alla figlia del portiere; fa sempre tanto strepito in cortile! Mi meraviglio che un miliardario come Berri se la sia cavata con quattro pasticcetti rancidi.

Sabina                           - I pasticcetti erano per il buffet, ma per gl'invitati di riguardo c'è il pranzo.

Donato                          - Guarda un po' cos'ho perduto.

Sabina                           - L'avreste perduto lo stesso perché il consigliere non è rimasto.

Donato                          - Sarei rimasto io; credete che abbia paura a star solo'?

Sabina                           - Sarà per un'altra volta. Vi rifarete alle nozze del consigliere con madama Ines!

Donato                          - Sì, avrò tutto il tempo per morir di fame se aspetto quel pranzo lì. (Pausa; giunge le mani tenendo con una di esse il cartoccio, poi, con tono di preghiera) Signorina Sabina...

Sabina                           - Settanta a me e trenta a voi, lo so a memoria.

Donato                          - Sono certo che se prendete il toro per le corna...

Sabina                           - V'ho promesso che tenterò.

Donato                          - Deve riuscire. D'altra parte a me questi danari servono.

Sabina                           - Figuratevi a me.

Donato                          - (andando al fondo) Il Signore v'assista...

Sabina                           - ... e la Madonna v'accompagni. (Donato esce dal fondo; Sabina riprende il suo lavoro).

Consalvo                       - (entra dalla sinistra. Ha ancora i pan­taloni e le scarpe con cui è uscito, ma s'è liberato del colletto duro che ha sostituito con un fazzoletto di seta e s'è messo in veste da camera che finisce di stringersi alla vita entrando. Consalvo è evidentemente ansioso di rivedere Sabina, di parlarle; questo suo sentimento accentua col sorriso sempre un po' malinconico, con la voce che si studia di render più dolce) Che sfac­chinata... e che noia. Sono pieno di rimorsi per le persone che ho costretto ad assistere al mio matri­monio tanti anni fa. In compenso sono contento di non avervi obbligata ad accompagnarmi a questo.

Sabina                           - (seria) Vi avrei pregato di dispensarmene.

Consalvo                       - Capisco, siete evidentemente più pra­tica di me, e allora... (Ha un gesto per finire la frase; sta diventando quasi allegro) Bene, bene, ormai è finita. Avete qualcosa da farmi fare?

 Sabina                          - Qualcosa da farvi fare? Ci sono due mesi di corrispondenza da evadere, buona parte della quale non avete nemmeno voluta leggere.

Oonsahyo                      - (pensa ad altro) trarrete ietta voi.

Sabina                           - Non basta, bisogna che vi decidiate a... (Esita, si ferma).

Consalvo                       - (c. s.) Bisogna proprio che mi de­cida... Vedremo, in questi giorni.

Sabina                           - È qualche settimana che lo dite.

Consalvo                       - Temete di non lavorare abbastanza? Non vi preoccupate di questo.

Sabina                           - Non mi preoccupo di questo.

Consalvo                       - D'altra parte se io non ho voglia di far niente non se ne può dar colpa a voi.

Sabina                           - Non è vero che non fate niente; state anzi lavorando intensamente... (Consalvo ha un guizzo di sorpresa) ... cercando una soluzione che non avete ancora trovata, o che per lo meno non vi soddisfa...

Consalvo                       - (la fissa, con indagine) Fosse questo soltanto; è tutto da ricominciare.

Sabina                           - Compagnia Generale d'Assicurazioni. La pratica è ferma e con quella si son fermate tutte le altre.

Consalvo                       - Volendo la potrei risolvere in mezz'ora, in modo positivo o negativo.

Sabina                           - Lo so. Perché non lo fate?

Consalvo                       - È la domanda che mi rivolgo anch'io. Perché non lo faccio? Porse perché sono uno stu­pido, e anche un vile. Tutti i vili sono fondamental­mente stupidi; la viltà impedisce di ragionare sere­namente, dal che la stupidaggine... (Sorride a Sabina che tace) Che ne dite?

Sabina                           - Niente. Potrei dire che oggi vi va di conversare e conversate, senza rispondermi perché avete deciso di non rispondermi. Se non v'andasse di conversare non conversereste e non mi rispon­dereste lo stesso.

Consalvo                       - (giocondamente) Sono un osso duro da rodere, insomma.

Sabina                           - Sì, ma nemmeno per ipotesi ho mai pensato a... Vorrei che capiste; (esita) mi piacerebbe! che v'accorgeste quale e quanto sia l'affetto che hoper voi.

Consalvo                       - (con lievissima emozione) Credete che non me ne renda conto?

Sabina                           - Vi ringrazio. Ho cose importanti da dirvi, e m'è più facile dirle dopo questa premessa.

Consalvo                       - Sentiamo.

Sabina                           - Sono state offerte centomila corone ; per indurvi a transigere la vertenza con la Compagnia Generale.

Consalvo                       - E quegl'idioti pensano... A chi èl stata fatta l'offerta?

Sabina                           - A Cabotino...

Consalvo                       - (sdegnoso) Oh.

Sabina                           - ... e a me.

Consalvo                       - (sorpreso) A voi?

Sabina                           - Settantamila a me, trenta a Cabotino.

Consalvo                       - E voi avete bisogno di questa somma?

Sabina                           - Signor Consalvo, come potrei dirvi, senza mentire, che non ne ho bisogno?

Consalvo                       - Voglio dire che una giovine donna come voi può aver bisogno d'una somma simile solo se deve fare qualcosa d'importanza, direi di grande importanza.

Sabina                           - Debbo far qualcosa di grande impor­tanza.

Consalvo                       - (con una sfumatura di nervosismo) Bene, avrete la somma anche se deciderò di non transigere.

Sabina                           - (interrompendo) Scusate...

Consalvo                       - ... non è un problema per me. Poi?

Sabina                           - Poi vorrei pregarvi di sbrigare tutto il lavoro arretrato.

Consalvo                       - C'è tempo.

Sabina                           - Non c'è tempo. Non posso... non vorrei... (esita, è addolorata di quanto sta per dire) lasciarvi in imbarazzo.

Consalvo                       - (sorpreso, allarmato) Lasciarmi?

Sabina                           - (subito) Sì, signor Consalvo.

Consalvo                       - (sembra essere stato fisicamente percosso e aver piegato sotto il colpo; guarda Sabina disperato, poi china la testa) Ora capisco.

Sabina                           - (inquieta) Che cosa?

Consalvo                       - (c. s.) Perché m'avete detto che v'occorre quel danaro.

Sabina                           - (insorgendo indignata, col pianto nella voce) Voi potete pensare che io v'imponga...

Consalvo                       - (interrompendo, addolorato) Ma no.

Sabina                           - (continuando e, s. e con maggiore irruenza) ... che vi abbia fissato un prezzo, fatto una mi­naccia...

Consalvo                       - (disperato) Ma no, no, no! Com'è difficile capirsi... farsi capire anche dalle persone più vicine, con le quali c'è la comunanza più consueta. C'è una parete di ghiaccio fra noi, non si riesce, non s'arriva a far sentire il... sì, il calore di un affetto che... (Ha un gesto che è quasi di furore, e che subito si modera in profonda tristezza) Che m'importa di quella somma? Darei volentieri dieci volte tanto per continuare ad avervi vicina così come mi siete stata fino a oggi, senza chiedevi altro che di sorridere, camminare fra questi mobili col vostro passo leggero. È ben altro ciò che volevo dire.

Sabina                           - (attenta) Cosa?

Consalvo                       - Non è facile, non è tale da non susci­tare in voi una reazione ancora più forte. Che pure debbo affrontare, ormai, perché non è più possibile continuare a tacere. Voi mi lasciate, andate senza dubbio lontano...

Sabina                           - In Svizzera.

Consalvo                       - Naturale... perché intendete libe­rarvi da... dal... sì, dalla situazione imbarazzante in cui vi trovate...

Sabina                           - (profondamente stupita) Voi sapevate?

Consalvo                       - Da due mesi.

Sabina                           - Chi ve l'ha detto?

Consalvo                       - Questo non importa.

 Sabina                          - Credevo non lo sapesse nessuno... oltre al medico, naturalmente, che credevo un galantuomo.

Consalvo                       - Per mio conto lo è sempre. Non lo conosco nemmeno di nome. so perché so.

Sabina                           - Era per questo che volevate mandarmi via due mesi fa?

Consalvo                       - Sì.

Sabina                           - Perché non lo avete fatto?

Consalvo                       - Non ho potuto. Dopo una crisi di furore in cui c'era tutto, anche della gelosia insensata, mi sono accorto di volervi ancora più bene, con una tenerezza che non conoscevo. (Sabina gli è vicina; scoppia in pianto, appoggia la fronte sul petto di Consalvo. Consalvo la stringe lievemente, per sorreg­gerla e non per carezzarla, in una castità piena, intensa).

Sabina                           - (si stacca da lui, s'asciuga gli occhi) Vi ringrazio. Avrete compreso, adesso, perché debbo andarmene.

Consalvo                       - Non approvo ciò che volete fare. Non lo trovo giusto; quest'uomo deve pure...

Sabina                           - (interrompendo) È un uomo che non esiste per me.

Consalvo                       - Non c'è risentimento che non si possa superare quando si tratta d'un bambino, d'un...

Sabina                           - C'è qualcos'altro d'insuperabile. sapete chi è questo... quest'uomo?

Consalvo                       - Vorrei saperlo, gli parlerei, lo scon­giurerei di...

Sabina                           - (interrompendo, brusca) È vostro nipote.

Consalvo                       - (scattando) Andrea?

Sabina                           - Andrea.

Consalvo                       - E me lo dite adesso, un’ora dopo che s'è sposato? (Furente) E sposato per me, perché io l'ho messo in grado di sposarsi? Ma se aveste par­lato appena in tempo lo avrei costretto...

Sabina                           - A che cosa? Non lo avrei sposato per tutto l'oro della terra!

Consalvo                       - Ma è assurdo, dovete pure averlo amato per...

Sabina                           - Non l'ho amato, ho solo accettato un invito, una corsa in automobile per far colazione in una di quelle simpatiche, innocenti osterie di cam­pagna. Vostro nipote mi ha semplicemente e pura­mente fatto bere qualcosa, una droga... che m'ha tolto ogni controllo e m'ha messo in stato d'inco­scienza per mezz'ora. Sono risalita in macchina senz'accorgermi di nulla, credendo solo d'avere un males­sere. M'ha portata gentilmente al portone di casa, m'ha salutata e non l'ho più visto.

Consalvo                       - (atterrito) È enorme. sì, rassomiglia perfettamente a quel cialtrone di cui vi dissi di dif­fidare, perché capace di tutto per ottenere ciò che vuole. Ma questo sorpassa ogni limite, è roba da reclusione, da... Siete... siete certa di... non sba­gliarvi?

Sabina                           - Ossia sono certa di non aver fatto confusione fra un uomo e un altro?

Consalvo                       - Non voglio dir questo...

Sabina                           - Avete detto proprio questo e non me n'offendo. È una domanda così naturale. No, signor Consalvo, non posso esser caduta in quest'equivoco. Non m'è stato rivolto nessun invito ad altre colazioni. Mi ci è voluto del tempo per incominciare a sospet­tare di trovarmi nelle mie condizioni. Quando il medico m'ha detto ch'ero incinta di due mesi sono rimasta fulminata.

Consalvo                       - (anelante) Quando... siete andata a farvi visitare?

Sabina                           - Il giorno seguente a quello in cui mi sono sentita tanto male e Maddalena m'ha accom­pagnata a casa. (Fissa Consalvo) È stata lei che v'ha detto!..

Consalvo                       - Sì.

Sabina                           - L'avete saputo ventiquattr'ore prima di me. si vede, dunque, si capisce. E chissà quanti altri lo sanno. (Ha un gesto di furore, vorrebbe impre­care) Non posso rimanere, debbo andarmene, al più presto.

Consalvo                       - Incinta... di quattro mesi? È rischio­sissimo interrompere in questo stadio. Vi sembra ragionevole mettere in pericolo la vostra vita per...

Sabina                           - (interrompendo) La mia vita? Voi pen­sate ch'io voglia abortire?

Consalvo                       - (sbalordito) Io...

Sabina                           - (con forza) Ma la mia vita appartiene al figlio mio! Perché credete ch'io abbia rinunziato a perseguitare quel miserabile? Porse che a me sa­rebbe mancato modo di ricostruire i fatti, trovare dei testimoni, rintracciare la trattoria? Forse che non avrei saputo stendere da me una querela e farlo impacchettare? Ho rinunziato perché non m'im­porta niente di lui, perché preferirei andare a far l'operaia, la serva per mantenere il figlio mio, sola­mente mio!

Consalvo                       - (scuote la testa, pensoso, intimamente contento) Che nome darete al bambino?

Sabina                           - Il mio.

Consalvo                       - E se è una bambina?

Sabina                           - Cosa cambia?

Consalvo                       - Quando sarà grande, e vorrà spo­sarsi... in quale imbarazzo si troverà con la famiglia dell'uomo che amerà? E quando dovrete mandarla o mandarlo a scuola? Presentare certificati di nascita e altri documenti? E quando i compagni di scuola, e poi i colleghi dell'università, gli chiederanno di suo padre?

Sabina                           - Risponderemo a fronte alta.

Consalvo                       - Voi. Ma lui... o lei? Non pensate all'amarezza a cui condannate questa creatura che deve ancora nascere e già appare toccata dal dolore?

Sabina                           - (si torce le mani) Signor Consalvo, io non ucciderò mio figlio per nessuna ragione. Fra l'altro credo in Dio, pur essendo una donna molto moderna.

 Consalvo                      - Anch'io credo, pur essendo un uomo, molto antico. (Pausa) Sentite, Sabina, accettereste I di sposarmi? (Sabina sussurra, lo fissa, sgrana gli occhi in preda a una pazza speranza) Oh, solo per dare un nome a questa creatura, e quant'altro ali nome è legato. In fin dei conti sono un suo parente, t un po' lontano, ma non tanto da non volerle bene, (Sabina rimane ancora un attimo impietrita, poi cade in ginocchio davanti a Consalvo che è seduto su una poltrona, abbraccia le ginocchia di Consalvo piangendo dirottamente, scossa dai singhiozzi. Consalvo con maggiore dolcezza dopo la pausa) Accettate?

Sabina                           - (con voce rotta) Cosa ho fatto... cos'ho fatto per essere così felice?

Consalvo                       - (le accarezza i capelli) Partiremo fra! un paio di giorni, appena ottenuto le carte necessarie... I Chissà che faccia faranno la mia cara cugina, il conte Berri... quando sapranno di questa mia disonestà...!

Sabina                           - (scattando) Non è una disonestà!

Consalvo -                     - Lo è. Avevo promesso. Ma è coni intensa felicità che manco alla parola data. La mia è una di quelle rare azioni disoneste che restaurano la giustizia, non l'offendono. (Ha un gesto, un’espressione di fastidio che si modifica poi in lieto disappunto) D'altra parte non posso essere disonesto, noni mi riesce. Per diventare un buon cialtrone bisogna j incominciare da giovine. Mi basterà fare quello che! so fare, e cioè l'avvocato, il grande avvocato, per riparare a tutte le ingiustizie che ho sofferto... (Le accarezza di nuovo i capelli) E poi... bisogna sbrigarsi.! Io non ho... troppo tempo per godere le gioie che1 mi darete.

Sabina                           - (disperata) Perché dite questo, perché?

Consalvo                       - Cara, perché ci pensiamo, tutti e due, benché con diverso sentimento. Voi ci soffrite, io no. Ci penso con una serenità che comprenderete pienamente in seguito, senz'ombra di malinconia, ma!  anzi con contentezza.

Sabina                           - Contentezza... perché?

Consalvo                       - (con francescana letizia) Per tutto. Per questa mia vita che si chiude così bene; peri questa proiezione nel futuro che ottengo per mezzo-vostro... per questa ineffabile gioia di donare qualche cosa; di lasciare, a chi voglio bene, un ricordo, il frutti d'una lunga fatica ormai non più durata in­vano. È questo che importa. Tutto il resto non conta.

FINE