Il richiamo

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IL RICHIAMO

IL RICHIAMO

Commedia in tre atti

Di GIAN PIETRO GIORDANA

PERSONAGGI

ING. FRANCESCO ANTELMI

CLELIA ANTELMI

ALBERTO

IL NONNO

PIETRO

ANNITA

UN AUTISTA

A Roma, oggi.

Cateragia per il Sito GTTEMPO

Di questa commedia, il Littore per la  critica  drammatica,  NICOLA MANZI, ha scritto: « La maternità, intesa come slancio vittorioso e potente dell'essere, co­me sentimento che ha le radici più vive nella carne, ma dalla propria esperienza dolorosa di vita attinge la forza per salvare il figlio fatto uomo da un'amara disillusione, questo il nucleo drammatico umano ed  universale  della  commedia  di Giordana « Ciò basta per comprendere di quanta freschissima attualità sia questa commedia, che è un inno al focolare: quel focolare di cui la ma­dre è custode e Vestale a un tempo. Se essa abbandona la casa, il fuoco sacro agonizza, poiché essa e non altri può alimentarlo; ma fate che un figlio sia in pericolo e la madre ritornerà, obbedendo a quel richia­mo profondo come l'istinto di vita. « Una vicenda dunque di valore uni­versale e perennemente umano. E che altro deve essere il teatro della nostra Era se non rivelazione - riaffermazione di una verità fonda­mentale dello Spirito, - un atto di fede nei supremi valori della vita? « Siamo lieti che una tale esaltazio­ne della famiglia ci venga da un giovane e che la prima commedia premiata ai Littoriali, aderisca cosi intimamente  all'etica  morale  del Fascismo. « La commedia ha trovato nella ro­tazione della compagnia di Nella Sonora sufficiente rilievo. La Sono­ra ha dato alla figura della madre palpiti di vita e con una recitazione sobria e vorremmo dire scarna, ha reso l'intima sofferenza del perso­naggio in  maniera  convincente e mai impetuosa ».

ATTO PRIMO

La sala da pranzo di casa Antelmi alle otto della sera. La camera, piuttosto vasta, è in om­bra, in modo da rendere molto cospicuo il cer­chio di luce che fa sulla tavola il lampadario di centro, chiuso da un grande paralume. La parete di fondo è interrotta da una tavola di ser­vizio bassa, ma in alto è libera. Un grande fine-strane alla maniera di Sant'Elia, a sinistra. Due porte a destra. Fra le porte un mobile qua­lunque che regga un orologio a soneria. In un angolo il telefono.

Quando si alza il velario, Annina sta introdu­cendo il Nonno. E' un vecchio d'aspetto nor­male fuorché per una scatoletta nera che gli pende sul petto e che è evidentemente una bat­teria collegata alle orecchie con cordoni neri molto visibili.

Il Nonno                     - Mia figlia è in casa?

Annina                        - (a voce alta) A quest'ora, certo.

Il Nonno                     - Non è certo! Va' a vedere.

Annina                        - (parlandogli all'orecchio) C'è, c'è! Ora la chiamo. (A parte) Che fatica con questo povero vecchio! E' sordo come un tronco e da che ha l'apparecchio pretende di sentire. (Esce a destra).

Il Nonno                     - (si siede al tavolo e trae di tasca due placchette lucenti che si mette ad osservare sotto la lampada con una lente).

Clelia                          - (entra e gli viene di fianco senza che il Nonno mostri di accorgersene. La figlia lo bacia sul capo che il Nonno ha chino sulle plac­chette) Papà, sempre la solita manìa!

Il Nonno                     - Vedi! Queste sono le aggiunte di oggi. Un San Cristoforo è belga e l'altro inglese, ma provengono tutti e due da automobili ita­liane.

Clelia                          - (ridendo si è seduta al suo fianco e gli parla all'orecchio) Quanti ne hai di San Cristofori?

Il Nonno                     - Seicentottantadue.

Clelia                          - Sei sempre il solo collezionista al mondo di questa roba?

Il Nonno                     - Ma no! Figurati che sono già in corrispondenza con uno di Monaco di Baviera che ha già oltre mille placchette e con uno di Interlaken che ne ha quattrocentotrenta. Ora li scambieremo i doppioni... E' per San Cristoforo che sono venuto a trovarti.

 Clelia                         - (sempre ridendo) Per San Cristo­foro?

Il Nonno                     - Sì! L'amico d'Alberto, Claudio Rizieri, ha avuto questa mattina un incidente d'automobile...

Clelia                          - Niente di male?

Il Nonno                     - Niente di grosso male, ma la macchina è fracassata.

Clelia                          - Come lo sai?

Il Nonno                     - Naturalmente ho i miei agenti. In questura c'è un telefonista che mi avverte in tutti questi casi. E poi ho un altro informatore agli ospedali. Ora che la mia collezione è dive­nuta importante mi telefonano anche i cronisti dei giornali...

Clelia                          - Non è per prendersi giuoco di te, papà?

Il Nonno                     - (indignato) Prendersi giuoco di me? Ma la mia collezione ha un interesse enor­me! D'arte prima di tutto, poi di storia, poi di costume...

Clelia                          - E che cosa dovrebbe fare Alberto?

Il Nonno                     - Mio nipote dovrebbe cercare di farsi dare il San Cristoforo della macchina sfa­sciata...

Clelia                          - Glielo dirò.

Il Nonno                     - Sai, dopo un incidente, gli au­tomobilisti non sanno più che farsene del loro San Cristoforo... Basta suggerire loro che non ha funzionato come protettore perchè non as­somigliava affatto al vero San Cristoforo, e te lo danno subito... E poi ne comprano un altro, e se tu stai attento poco dopo rie*sci ad avere anche quest'altro...

Clelia                          - Proteggesse almeno te!

Il Nonno                     - Macché! Con tutte le effigi che ho in casa di questo santo viaggiatore - sai che quando era ancora pagano si chiamava Ofero? - l'altro giorno un'automobile è slittata con­tro il muretto del mio giardino e me ne ha but­tato giù un pezzo.

Clelia                          - E l'automobile?

Il Nonno                     - Sfasciati i parafanghi, il mon­tato jo, rovinata la carrozzeria...

Clelia                          - Il tuo muro?...

Il Nonno                     - Me lo rifaranno a loro spese. E, naturalmente, m'hanno regalato subito il San Cristoforo!

Clelia                          - E allora perchè ti lamenti?

Il Nonno                     - Per le rose che erano dietro al muro.

Clelia                          - Poverette!

Il Nonno                     - E ora che t'ho visto, ti saluto e me ne vado a pranzo.

Clelia                          - Vuoi restare con noi?

Il Nonno                     - No, grazie! Sai che sono a re­gime. Da solo, posso accontentarmi di un caffè e latte, ma se vedo mangiare gli altri... Ti rac­comando la placchetta di Rizieri... Dillo ad Alberto.

Clelia                          - Mi meraviglio che non sia ancora qui. Buona sera, papà.

Il Nonno                     - (la bacia ed esce. Entra Annina).

Clelia                          - Guarda che il Nonno se ne va.

Annina                        - Ho visto che l'accompagna Pietro. A furia di raccogliere protettori degli automo­bilisti il padrone si comprerà l'automobile.

Clelia                          - (scuotendo il capo) Credo invece che si stia proprio mangiando le economie che gli permetterebbero di prenderla!...

Annina                        - (si avvicina alla vetrata) Oh, ecco il signorino...

Clelia                          - Oggi è rimasto al laboratorio ben tardi!

Annina                        - (sempre guardando) Ad ogni modo ne è stato ricompensato.

Clelia                          - Perchè?

Annina                        - Perchè una bella signorina l'ha accompagnato sino al portone di casa.

Clelia                          - (alzando gli occhi) Chi è?

Annina                        - Non l'ho mai vista prima.

Clelia                          - (va al Minestrone).

Annina                        - Troppo tardi; si sono già salutati.

Clelia                          - (guardando giù) Ha una bella linea. Si vede dal modo come cammina. (Torna al suo lavoro).

Annina                        - (che ha finito di chiudere) Io ca­pisco sempre meno.

Clelia                          - Di che?

Annina                        - Del tempo, della gente. Queste ge­nerazioni nuove crescono troppo in fretta.

Clelia                          - E' il mondo, adesso, che va in fretta...

Annina                        - Che c'entra! L'automobile, l'aero­plano, la radio... Questa roba può andare in fretta finché vuole... ma sono le macchine degli uomini... L'uomo è creazione di Dio, e Dio - ai miei tempi - non doveva avere fretta. Ades­so i ragazzi crescono come le zucche; da un mat­tino all'altro ci si sveglia e sono già grandi...

Clelia                          - (ridendo) Alberto, no. Hai dovuto diventar bianca per stare a vedere come cre­sceva...

Annina                        - Proprio il signorino!... mi sembra ieri che me lo hanno messo fra le braccia ap­pena nato da lei. Aveva già i capelli... per non perdere tempo. Quando mai i bambini sono nati con i capelli?

 Clelia                         - Erano neri, gli sono caduti e sono diventati biondi...

Annina                        - Ma ora è bruno. I suoi capelli, i suoi capelli veri, erano quelli che aveva quando è nato... (Dopo una pausa, tornando alla sua idea) Guardi un po', signora. Una volta erano gli uomini che accompagnavano le signorine... Oggi sono loro che portano a casa i giovanotti...

Alberto                       - (entra impetuosamente) Allò, mamma... Si mangia? Buona sera, Annina.

Annina                        - Buona sera, signorino.

Clelia                          - Papà non c'è ancora... Con chi sei venuto a casa?

Alberto                       - Con Laura Errani, una mia com­pagna di laboratorio. M'aiuta nei miei studi sull'atomo.

Clelia                          - (sorridendo) Avrà delle mani pic­cine...

Alberto                       - Piccole, sì, e così belle, che è un vero peccato che studi chimica e se le guasti con gli acidi.

Clelia                          - Chi è?

Alberto                       - Mah! Una collega. Non sono mai stato in casa sua e non conosco la famiglia.

Clelia                          - E' bella?

Alberto                       - Sì. Forse è bella. Per lo meno mi piace. Perchè, tu sai, la bellezza ora...

Clelia                          - Che cosa, la bellezza?...

Alberto                       - Dipende dalla moda. Quando le donne grassocce sono alla moda, come si po­trebbe dir bella una donna magra?

Clelia                          - (sorridendo) La tua collega è alla moda?

Alberto                       - Sì.

Clelia                          - Magra?

Alberto                       - Sì! Ah! scusa. Credevo che mi chiedessi se si preoccupa della moda. Sì. E', del resto, una di quelle donne che stanno sempre bene, comunque siano vestite.

Clelia                          - Quelle sono le donne veramente belle. Quelle che resistono agli straccetti ed alla roba fatta in serie...

Alberto                       - (si è messo a disporre sulla parete di fondo una tovaglia).

Clelia                          - Che fai?

Alberto                       - Aspetta. (Va nella stanza accanto e torna con una macchina da proiezioni che dis­pone in primo piano, appena di fianco alla buca del suggeritore, in modo che il fascio dei suoi raggi non sia interrotto dal lampadario) Abbi pazienza, mamma. Visto che papà non c'è, vorrei mostrarti la scena dei bambini. Ti farà effetto, l'ho ottenuta con un piccolo trucco.

Clelia                          - Pietro dovrà mettere tavola...

Alberto                       - Non ancora; e poi non c'è papà.

Clelia                          - Quel povero papà! Non ti sembra che lavori troppo. Da un po' di tempo viene a casa tardi e stanco...

Alberto                       - Oh mamma, non preoccupartene: tu eri con lui prima che io venissi al mondo, ma non lo conosci ancora! Papà non farebbe una cosa che lo stancasse...

Clelia                          - Che cosa significa?

Alberto                       - Che papà fa soltanto le cose che gli piacciono. Anche il suo lavoro gli piace. Di­segnar case, farle sorgere dal terreno come una vegetazione portentosa, decorarle di rossi e di gialli... Hai notato come papà ami i colori gio­condi? Anche questo è un segno del suo carat­tere... (Nella stanza accanto si sente da un oro­logio Westminster suonare le otto. La musica è appena finita che le ore battono anche all'oro­logio della stanza da pranzo).

Clelia                          - Hai sentito? Sono le otto.

Alberto                       - Ho sentito i gemelli. Io li chiamo i gemelli perchè vanno sempre perfettamente d'accordo.

Clelia                          - Ma tu non sai quanta cura ci vuole a mandarli così a tempo! Quasi ogni giorno, quando spara il cannone, mi ricordo di aggius­tarli.

Alberto                       - Questo di sala da pranzo mi piace.

Clelia                          - E' il vecchio di casa, io l'avevo nella mia stanza da letto quando ero ragazza.

Alberto                       - E ti lasciava dormire?

Clelia                          - Si dorme sempre quando si è sani e senza pensieri.

Alberto                       - Vero. Questo è l'orologio serio. Immagino che se dovesse andare a spasso lo fa­rebbe con gravità. Solenne. Cercherebbe il cap­pello a stajo prima di uscire. L'altro, l'orologio di salotto, è più allegro. E' un buontempone. Somiglia a papà, è straordinario come somiglia a papà. Le ore lo mettono di buon umore e ci fa sempre su una cantatina.

Clelia                          - E' giovane e non dà ancora al tempo il valore che ha.

Alberto                       - Posso spegnere un momento, mamma?

Clelia                          - Sì, se si tratta proprio di un mo­mento.

Alberto                       - Trenta metri di pellicola (spegne). Noi siamo dei ragazzi ignoranti, sì, di tecnica cinematografica, ma anche senza pregiudizi.

Clelia                          - Interessante questo concorso fra studenti!...

(Infatti sulla testa del fondo è apparsa la facciata di un asilo da cui escono bimbi ininter­rottamente. Qualcuno è vestito da balilla).

Clelia                          - Bello. E quanti! Ma come quella piccola casa può contenerne tanti?

Alberto                       - Ce li rimettevamo, e si ricomin­ciava a girare. Le nostre masse non ci sono co­state tre chili di caramelle. (Per un momento non si ode che il brusìo della macchina da pro­iezione, poi, nell'ombra, la voce di Pietro).

Pietro                          - Posso mettere tavola, signora? Sono le otto passate.

Clelia                          - Hai ragione. Alberto, smettila. Mi farai vedere il resto dopo pranzo. E tu, Pietro, accendi la luce.

Pietro                          - (eseguisce).

Clelia                          - E' una scena interessante.

Alberto                       - Fresca; non è vero? Qtiando ci sono dei bambini sullo schermo, il pubblico si interessa sempre. E' come quando ci sono dei cani nei romanzi: se io ne scrivessi, ci metterei dentro addirittura un canile. (Si sente suonare un campanello) Forse è papà.

Clelia                          - No, ha le chiavi.

Alberto                       - Allora chi può essere a quest'ora?

Annina                        - (entra) C'è una commessa di Ousset che cerca del padrone.

Clelia                          - Una commessa di Ousset che cerca di mio marito? Che cosa vuole?

Annina                        - Ma! Dice che si deve far pagare una nota.

Clelia                          - Una nota da Ousset? Biancheria per signora? Ah! Le mie combinazioni... Sì, va bene. Di' alla ragazza che l'ingegnere non c'è e che passerà a pagare.

Annina                        - (esce).

Clelia                          - Papà mi ha regalato l'altro giorno due combinazioni deliziose.

Alberto                       - A me non fa mai regali.

Clelia                          - Perchè tu gli domandi sempre dei soldi. E poi, non è vero. Tutte le volte che fa un viaggio ti porta qualche cosa.

Annina                        - (rientra) Ecco la nota: la metto sulla scrivania del signore?

Clelia                          - Sì. (Con una improvvisa curiosità) No: dammela.

Annina                        - (eseguisce ed esce).

Clelia                          - (apre la nota e fa, leggendola, un moto di sorpresa).

Alberto                       - Caro?

Clelia                          - Sì, molto caro...

Alberto                       - E si dice « una combinazione » per dire un buon affare!...

Clelia                          - (tace. Il domestico ha finito frattanto di mettere tavola e se ne va).

Alberto                       - Papà ritarda...

Clelia                          - (c. s.).

Alberto                       - - Quella fattura ti ha impressionata.

Clelia                          - No: ma c'è una cosa che hanno dimenticato di portare. Chiama Ousset al te­lefono.

Alberto                       - (eseguisce) Parlo con il negozio Ousset? Aspetti un momento. (Mettendo una mano sul microfono, alla madre:) Vieni tu?

Clelia                          - Inutile. Domanda dove hanno por­tato le combinazioni azzurre.

Alberto                       - (al telefono) Ousset? Casa del­l'ingegner Antelmi. Vorrei sapere dove sono state portate le combinazioni azzurre... (inter­rogativamente alla madre).

Clelia                          - ...che ho ordinato l'altro giorno e per cui mi avete mandato la fattura...

Alberto                       - (ripete al microfono, poi alla madre) Vanno a vedere... Perchè tu non le hai an­cora ricevute? Che buona amministrazione! Pri­ma il conto e poi la roba (ascoltando al tele-fono e ripetendo:) ...alla signora Bianca No-vati... (alla madre:) ...la tua amica. Non c'è altro?

Clelia                          - (fa segno di no).

Alberto                       - (al telefono) Va bene. Non oc­corre altro (posa il ricevitore; alla madre:) Un equivoco. Vuoi che telefoni alla signora Bianca?...

Clelia                          - No, no, non importa. La vedo do­mani.

Alberto                       - (ripensandoci) Forse papà è an­dato da Ousset con la signora Bianca, trattan­dosi di scegliere biancheria femminile.

Clelia                          - (si alza) Certo l'equivoco è nato così...

Alberto                       - (prendendo sul tavolo un grissino e mettendosi a mangiarlo) Io ho fame. Se papà ritarda tanto, non potremmo cominciare noi?... Sai che papà si arrabbia sempre quando lo aspettiamo... Dice che, dalle sette in poi, è obbligato a precipitar tutto perchè noi non ci decidiamo mai a metterci a tavola senza di lui. (Si sente chiudere una porta nell'interno) Ec­colo; è qui... (Muovendosi per andare ad in­contrarlo) Papà, chissà che appetito anche tu... (Esce).

Voce dall'interno        - (allegra) Fame!... Spe­ro che sarete già seduti...

Clelia                          - (guarda un momento intorno esitante. Depone la fattura presso un coperto ed esce precipitosamente dalla destra).

Francesco e Alberto    - (entrano tenendosi per le spalle).

 Francesco                   - Dove è la mamma?

Alberto                       - Era qui adesso...

Francesco                    - (sempre allegro) Almeno sarà pronto. Direi che vengo sempre un po' in ri­tardo con la speranza di trovarvi già a man­giare, ed essere servito subito. Ci sono due cose che detesto: i trams pieni e il piatto vuoto... E poi, oggi non ho preso il tè. (Vedendo la | macchina di proiezione) Come va il lavoro?

Alberto                       - Bene. Mostravo alla mamma la scena dei bambini.

Francesco                    - (mettendosi a ridere) Ah! I bambini sfornati dall'asilo come il pane!... (Sedendosi vede la fattura, l'apre e legge. Con altro tono) La mamma ha visto questa roba?

Alberto                       - Sì.

Francesco                    - Ahi.

Alberto                       - Perchè hanno portato le sue com­binazioni dalla signora Bianca...

Francesco                    - (fra il comico e il contrito) ... e le combinazioni erano quattro...

Alberto                       - Già...

Francesco                    - Due per la mamma, e le altre...

Alberto                       - - Per la signora Bianca..., avevo capito. Vado dalla mamma...

Francesco                    - (si alza) Sarà una tragedia!

Alberto                       - Temo. (S'avvia per uscire. In que­sto, Clelia entra. Ha la pelliccia e il cappello).

Francesco                    - Esci? A quest'ora?

Clelia                          - No, me ne vado. Ma prima vorrei dirti una parola... da solo a solo...

Alberto                       - (abbracciandola) Mamma...

Clelia                          - Fammi il piacere di andare un mo­mento di là. Devo dire una cosa a tuo padre.

Alberto                       - (alla mamma) Perchè mi hai fatto telefonare ad Ousset? Sei stata cattiva.

Clelia                          - (con un sorriso forzato) Un po' per uno. Noi non siamo cattivi finché non lo vogliono gli altri... Ma vai via adesso, un mo­mento...

Alberto                       - (esce a malincuore).

Francesco                    - (fa un passo verso sua moglie).

Clelia                          - (tendendo le mani come per respin­gerlo) Sta lì...

Francesco                    - E' una sciocchezza...

Clelia                          - Voi dite sempre così, voi uomini. Avere un'amante per voi è una sciocchezza...

Francesco                    - Ma io non ho un'amante!...

Clelia                          - La biancheria intima non si regala che ad una moglie o ad un'amante. (Ridendo nervosamente) Tu sei equanime: tu la regali a tutte due. Grazie di non avermi trascurata... Hai creduto di alleviare così il tuo rimorso, non è vero?...

Francesco                    - Non crederai che io ami la tua amica?

Clelia                          - Vorrei. Perchè mi offenderebbe meno. Perchè avresti l'amore almeno per scu­sa... (Francesco fa per aprir bocca) Già... sento quello che stai per dirmi... i sensi...

Francesco                    - Niente. Non ho aperto bocca.

Clelia                          - I sensi! Non siete capaci di domi­narli... Dite sempre così, voi. Ma io credevo di aver sposato un uomo che avesse una sua vo­lontà, che sapesse comandare al suo corpo.

Francesco                    - Esageri, diavolo! Che cosa sai tu! Per un regalo... Tu hai una mentalità trop­po vecchia, troppo provinciale e non ti rendi conto dei tempi...

Clelia                          - Rifletti un po': che cosa diresti se un uomo mi regalasse una combinazione?

Francesco                    - (fa un sorriso stupido).

Clelia                          - ... sei anche maleducato. Sono vec­chia, vuoi dire; nessuno pensa a farmi simili regali!

Francesco                    - Ma non pensavo a questo. Tu non sei affatto vecchia. Non hai ancora qua-rant'anni e ne dimostri appena trenta. Mi fa­ceva ridere l'idea. Perchè - è vero - tu sei diversa da Bianca. Bianca è senza pregiudizi...

Clelia                          - ...senza scrupoli...

Francesco                    - ...senza scrupoli... sa prendere la vita come viene. Tu sei austera. Tu non ridi mai... o meglio, non scherzi mai. Non ammetti che si scherzi, con te. E se questo regalo delle combinazioni fosse uno scherzo soltanto?

Clelia                          - Bianca è venuta con te da Ousset?

Francesco                    - (sorpreso) No, perchè?

Clelia                          - Perchè allora, forse, avrei potuto capire... Ti aiutava a scegliere una combina­zione per me e tu gliene offrivi un'altra eguale. No, non eguale... (ironica) a me rosa perchè sono bruna, a Bianca azzurra perchè è bionda... Rispetto ai colori complementari... E poi no! Non avrei capito nemmeno in questo caso per­chè un uomo che mi facesse un regalo di tal genere dimostrerebbe di non rispettarmi!

Francesco                    - Ridicolo. Togliti il cappello. Vieni a tavola... Alberto ha fame.

Clelia                          - Me ne vado dal babbo. Non rimet­terò mai più i piedi qui dentro. (Si siede sulla stessa seggiola dove prima lavorava, prende il lavoro in mano, guarda su alla lampada. Si ca­pisce dall'orrore che appare sul suo viso, che è ossessionata da una immagine fisica).

Francesco                    - Via, Clelia! La tua è un'im­pressione. Una impressione falsa. Lascia che ti spieghi, che ti persuada...

Clelia                          - Che cosa vuoi spiegare e come credi di persuadermi? Mi hai tradita. Ecco tutto. Come, quando, dove, da quanto tempo? Che importa! Mi hai tradita. Mi hai sempre tra­dita. Hai un'altra donna. Prendi un'altra don­na... (Riassalita dall'ossessione fisica, con un riso quasi folle) Ah, ah! ti vedo, ti vedo, che le provi la combinazione azzurra... le hai chiesto, come a me, che si guardasse nello specchio? Ah, ah! (Con un altro tono, grave) E io, io che cre­devo in te, che avrei giurato su di te nonostante le ansie che erano paura, sì, ecco, erano - e non lo sapevo - il preavviso istintivo della tua infedeltà! Perchè ti amavo oggi come venti anni fa quando ci siamo sposati... io che una volta, quando potevo averne la tentazione, mi sarei rimproverata persino di guardare un altro uomo con una curiosità diversa da quella del suo vestito! Io, che quando tornavi a casa stanco, avevo compassione di te... credevo che fossi af­faticato dal lavoro e ti volevo più bene... e tu uscivi forse allora dalle braccia di un'altra donna!... Che schifo! E che stupida sono stata!

Francesco                    - Prima di tutto non è vero niente. E poi, se anche fosse vero... Noi uo­mini non amiamo mai tanto le nostre donne, le nostre mogli, se le amiamo, come dopo averle tradite; per pietà, per rimorso, per rimpianto, per amore!...

Clelia                          - (ironica) Grazie.  Ma  preferiamo non essere tradite... (Dopo una pausa) Come sa­pevi mentire bene! Per non essere sospettato t'eri scelto l'amante in casa nostra, una delle mie amiche più care. Uscivi con lei? Mi sem­brava naturale. Arrivavi con lei? T'avrei rin­graziato d'aver fatto compagnia alla mia amica. Che vigliaccheria...

Francesco                    - Ma tu non sai quel che dici, Clelia. Calmati.

Clelia                          - Tradire! Che cosa è per voi uo­mini? Tu me l'hai detto una volta, non so più a proposito di chi o che cosa: « Si fa un bagno e si dimentica anche la sensazione di epider­mide ». Un bagno! Ci si lava e tutto è finito!... Ah! ah! ah! Infatti, quando tornate a casa, che cosa avete più indosso di quell'altra donna? Nulla. Un'ombra di profumo. Un profumo, e nuli'altro! (Ridendo forzatamente) L'altra, la brava donna, non sa nulla, non sospetta nulla. Ma quando l'altra lo viene a sapere? Se c'è un cuore rotto, un'esistenza spezzata... chi se ne interessa? Se un uomo ruba, se un uomo uccide, ci sono delle pene terribili. Ma se qual­cuna ruba ad un'altra il suo amore che è la sua vita, devasta il suo focolare, che è la sua vita, le toglie ogni ragione d'essere, ogni scopo nell'esistenza, ogni sorriso, ogni gioia, ogni spe­ranza, l'uccide, sì, l'uccide moralmente... Oh! allora! Chi se ne interessa? Che giudice può punire?... (Scuotendo la testa con ira) Niente, niente!...

Francesco                    - Calmati, Clelia, calmati. Ti esalti... A che serve?

Clelia                          - (più calma) Sì, forse è vero. A che serve? Sono davanti all'irreparabile. Non ti ho più. Peggio, non ti credo più ...Una cosa perduta si può ritrovare, un uomo perduto si può riprendere... ma bisogna aver fede in lui. E io non ti credo più. Non posso più vivere in questa casa dove mezz'ora fa tutto mi sembrava bello, dove respiravo come in un giardino, con la gioia di respirare, di sentirmi vivere... dove ti avevo amato per venti anni inutilmente... Bi­sogna rassegnarsi... (Si alza) Non c'è niente da fare, niente da fare, niente da fare... (Si avvia verso la porta).

Francesco                    - Clelia!

Clelia                          - Alberto verrà con me.

Francesco                    - Con te? Ma dove?

Clelia                          - Vado da mio padre. E Alberto viene con me. (Chiamando) Alberto!

Alberto                       - (entra e si ferma sulla soglia guar­dando alternativamente il papà e la mamma) Mamma...

 Clelia                         - (si siede presso la porta e parla a stento, adagio, dominandosi, come per impe-dire alla voce di diventare un singhiozzo) Non posso più restare qui...

Alberto                       - Ma perchè?...

Francesco                    - (fa per parlare ma:)

Clelia                          - (lo previene) Tuo padre... Tu puoi sapere e devi sapere... tuo padre mi tradisce... mi tradisce... (piange) ecco... mi tradisce... ha distrutto tutto. Me ne vado. Vado dal nonno. E tu vieni con me. Vieni con me, non è vero?

Alberto                       - (scuotendo il capo con dolcezza) No, mamma.

Clelia                          - Come? Tra la mamma e tuo padre che le ha fatto tutto questo male, tu scegli così? Tu resti con tuo padre? E la mamma... e la mamma? Non le vuoi più bene? No, non dirmi che non mi vuoi più bene... No, oggi no. Mi getterei dalla finestra...

Alberto                       - Ma, mamma! Che cosa dici, che cosa pensi? Io non ti ho mai voluto bene come ora. Ma quel che tu dici non è vero, non può essere vero; e quando tu sarai persuasa, tor­nerai, tornerai subito...

Clelia                          - (con convinzione) Non c'è errore possibile!

Alberto                       - (c. s.) Ebbene, mamma, se fosse vero, se il papà avesse commesso una colpa verso di te che avrebbe dovuto venerare, quanto dovrebbe soffrire! Tu, tu te ne vai a fronte alta, ma lui? Lui, se ha torto?... Bisogna che io resti con lui, perchè lui è quello che dovrebbe sof­frire di più.

Clelia                          - (facendo uno sforzo per alzarsi) Al­lora, addio...

Alberto                       - T'accompagno.

Clelia                          - No, non mi accompagni, se non vuoi venire con me. Me ne vado sola, come sono stata sola. Addio. (Esce di furia).

Alberto                       - (la rincorre, ma si sente subito dopo il rumore di una porta che si richiude e il gio­vane resta in iscena).

Francesco                    - (andandogli incontro con le brac­cia aperte) Alberto, figliuolo mio!...

Alberto                       - (stendendo le mani come per evitare l'abbraccio, pure con dolcezza) No, papà. No, non ringraziarmi. Non l'ho fatto per te: l'ho fatto per la mamma, l'ho fatto per noi. Perchè se me ne fossi andato con lei, non sa­rebbe tornata più... (Si avvicina alla vetrata per guardare giù in istrada).

Francesco                    - (fa altrettanto).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

In casa del Nonno. Mentre, nell'atto preceden­te, la scena rappresenta una stanza con mobilia moderna, un'intera parete è tagliata da una ve­trata e l'ambiente si direbbe attuale se non fosse per la vecchia lampada che non è stata sostituita dalle luci indirette, qui tutto è deliziosamente vecchio, medio ottocento. La mobilia ed i so­prammobili indicano però la casa ricca; la pen­dola sotto la campana di vetro e i due candelieri a tre bracci che la fiancheggiano luccicano an­cora di ori sopra un fondo costellato di minia­ture. Qualche quadro. Ricami bianchi sulla pol­trona Voltaire. Cuscini ricamati a mano su ca­novaccio, a colori vivi, se è possibile a rilievo. Un tappeto sul tavolo. Un telefono al muro.

Poco prima che si apra la scena, dietro al ve­lario, il quale, alzandosi, scopre il Nonno se­duto ad una piccola scrivania d'angolo con un plaid sulle ginocchia si sente parlare concitata­mente. Annina è a portata delle orecchie del vecchio il quale non ha l'apparecchio, ed un au­tista in piedi, con il berretto in mano, sta de­clamando la scena dell'investimento, a gran voce.

L'Autista                     - ... le due macchine venivano così ad incrociarsi allo svolto. Nessuno dei due guidatori aveva suonato; le automobili erano nuove e non facevano nessun rumore. Quella che veniva da destra correva velocissima; sarà an­data a ottanta chilometri l'ora, il che, in città, è enorme...  l'altra camminava  a quindici,  al massimo. Quando si sono scontrate, quest'ultima ha fatto un giro su se stessa dov'era, e la mac­china investitrice è finita nel negozio d'angolo, da quel tabaccaio che ha fatto i milioni con il cinematografo...

Il Nonno                     - (che ascolta serio) E poi? poi?  Niente.

L’Autista                    - (smontato) E L'automobile che si era incastrata nella vetrina è inservibile. E' da questa qui che ho preso il San Cristoforo, e siccome so che lei ne fa col­lezione...

Il Nonno                     - (c. s.) E poi?

L’Autista                    - (dà un'occhiata ad Annina, che si tocca le orecchie) Ah! è sordo!

Il Nonno                     - (e. s.) No.

L'Autista                     - Ma ci sente!

Annina                        - Chissà che cosa ha sentito! Gli faccia vedere la roba.

L’Autista                    - (trae di tasca una placchetta e la mostra al vecchio che sembra molto interessato).

Il Nonno                     - Quanto vuoi?

L’Autista                    - (a voce altissima) Cento lire!

Annina                        - Non si vergogna d'approfittare così d'un povero maniaco?

Il Nonno                     - (che non ha sentito il prezzo) Al massimo ti posso dare duecento lire.

Annina                        - (gli grida nell'orecchio) Ma ha chiesto cento lire!

Il Nonno                     - Va bene. Adesso gli do cento lire.

L’Autista                    - (ad Annina) No, gli dica che ne voglio duecento.

Annina                        - (al Nonno) Lasci fare a me, pa­drone... (All'Autista) Ti dò cinquanta lire, non un soldo di più...

L'Autista                     - Ma se il signore me ne ha of­ferte duecento! Il signore se ne intende; ciò vuol dire che la medaglia vale anche di più.

Annina                        - Il signore è matto e noi della fa­miglia non possiamo permettere che faccia delle sciocchezze...

L'Autista                     - Ma lei è una serva!

Annina                        - No, sono della famiglia. Vuoi que­ste cinquanta lire?...

L’Autista                    - (riprendendosi la placchetta) Nemmeno per sogno!...

Annina                        - Bada che ti conosco e che ti de-nunzierò per furto. Devi averlo rubato, quel San Cristoforo...

Il Nonno                     - Due.

Annina e L’Autista     - (stupiti) Che dice?

Il Nonno                     - Due.

Annina                        - (nell'orecchio) Che dice?

Il Nonno                     - Non un foro; due. Sono tutte così.

L'Autista                     - Per non perdere tempo, mi dia le cinquanta lire. (Escono insieme).

Il Nonno                     - Annina... (Alzandosi per seguire l'Autista).

Annina                        - (tornando in iscena gli dà la meda­glia per tenerlo tranquillo ed esce di nuovo. Il Nonno sta esaminando la placchetta quando la vecchia rientra) Ecco fatto.

Il Nonno                     - Quanto gli hai dato?

Annina                        - (nell'orecchio) Cinquanta lire.

Il Nonno                     - Vale molto di più, è smaltata su argento, di Mappin and Webb. Sarà costata al­meno cinque sterline...

Annina                        - (spaventata) Ma allora gli abbiamo dato troppo!...

Il Nonno                     - Poco. (Pulisce la placchetta). Quando ha detto che sarebbe tornata Clelia?

Annina                        - Dopo colazione. Fa colazione con la signora Giulia.

Il Nonno                     - Ah Giulia! Viene con lei?

Annina                        - No! (Sempre all'orecchio) Hanno fatto colazione insieme, fuori... (Si allontana).

Il Nonno                     - Povera Clelia! Meno male che ormai si è rassegnata!

Annina                        - (si ferma ad ascoltarlo e parla forte per suo conto, sicura di non essere intesa) Che cosa mi sta brontolando adesso quel vecchio matto?...

Il Nonno                     - Sono tre mesi, non è vero, da che siete venute qui? In principio Clelia sem­brava inconsolabile; ora s'è ristabilita abbastan­za bene. Tutte le volte che ho provato a par­larle di tornare da suo marito - oh, non per­chè mi desse fastidio, no, ma soltanto per riu­nire la famìglia! - ha protestato che non avreb­be più rimesso i piedi laggiù.

Annina                        - (c. s.) Stai fresco!

Il Nonno                     - E con che energia! Clelia mi ha sempre dato l'impressione del mare che di so­lito è calmo, ma che se si mette in tempesta!... Apriti cielo!

Annina                        - (rifacendolo) Tempesta!

Il Nonno                     - (che ha letto la parola sulle sue labbra) Sì, tempesta, prima, e quando le si parlava della sua casa. Ma ora siamo in bo­naccia.

Annina                        - Va là, che capisci bene!

Il Nonno                     - (che ha frainteso) Certo che ho ragione. Si è disinteressata di tutto. Persino di suo figlio che pure non c'entra...

Annina                        - Vecchio stupido!

Il Nonno                     - Dirò a Clelia che licenzi Annun­ziata. Siamo in due soli e tu basti.

Annina                        - Tutti i vecchi sono senza cuore. (Avvicinandosi e parlandogli all'orecchio) Dove andrà la povera Annunziata?

Il Nonno                     - Che so io?

Annina                        - (a parte) Egoistaccio! (Nell'orec­chio) Aspetti ancora un po'!

Il Nonno                     - Lo dirò a Clelia. Tu basti per noi due.

Alberto                       - (facendo irruzione nella stanza) Allò, Nonnetto!

Il Nonno                     - Oh! Alberto... Sai che la mam­ ma è fuori? ,

Alberto                       - Mamma è fuori? Ma tornerà!

Il Nonno                     - (che non ha sentito) Che cosa dici?

Alberto                       - (all'orecchio) Che l'aspetterò, la mamma.

Il Nonno                     - (fa un cenno d'assenso).

Annina                        - (esce),

Alberto                       - (c. s.) Vedo che stai bene, Nonno. E la collezione come va?

Il Nonno                     - No, è andata a colazione coni Giulia.

Alberto                       - Dicevo: la collezione.

Il Nonno                     - (avvicinandosi) Tu sei il solo che se ne interessi. Anche tua madre crede che sia una manìa... E, allora, quelli che raccolgono francobolli?... e i numismatici?... La gente s'è abituata a questo genere di collezione, perchè è vecchia, mentre San Cristoforo è venuto con l'automobile... Ma io sono moderno! (Mostran­dogli la placchetta che ha appena comprato) Vedi questa?

Alberto                       - Bellissima!

Il Nonno                     - Non è vero? Guarda: è la ripro­duzione del celebre quadro di Elzheimer: il Santo che ha Gesù bambino in collo e si ac­cinge ad attraversare il fiume.

Alberto                       - La corona di smalti sembra rob-biana.

Il Nonno                     - (entusiasmandosi) Ti dico: è una meraviglia...

Alberto                       - Ormai, anche in argento metallo devi averne un bello stock.

Il Nonno                     - (che ha frainteso) Toc? Ma no, le placchette sono quasi tutte in argento. In toc, stagno o bronzo, ne avrò un centinaio.

Alberto                       - Volevo dire: quanto argento hai? In peso.

Il Nonno                     - (fiero) Una diecina di chili. (Si sentono delle voci dall'interno).

Alberto                       - Oh, la mamma...

Clelia                          - (entrando in iscena ancor vestita da passeggio) Ah, sei tu, Alberto... (Abbrac­ciando il Nonno) Come stai, papà?

II Nonno                     - Ora che ci sei tu, vado a fare il mio solito sonnellino.

Clelia                          - Bravo papà.

Il Nonno                     - Addio, Alberto. Ti ritroverò più tardi.

Alberto                       - Certo, Nonnino.

Clelia                          - (lo guarda. Si toglie lentamente il cap­pello e la pelliccia e li posa sopra una sedia, ad Alberto) Da un pezzo non s'aveva l'onore di vederti...

Alberto                       - Ma se sono venuto l'altro ieri! (Con un tono contento) Meno male! Si vede che ti manco...

Clelia                          - (fa un cenno d'indifferenza. Suona).

Annina                        - (entra) Mi ha chiamata, signora Clelia?

Clelia                          - Non è venuto niente per me sta­mattina?

Annina                        - Ah! La posta. Ci sono due lettere. Le ho messe sul comodino nella stanza da letto. Ora vado a prenderle.

Clelia                          - No, vado da me. (Esce portando con se pelliccia e cappello).

Annina                        - (ad Alberto) Lei che è un ragazzo di cuore, signorino...

Alberto                       - Ebbene?

Annina                        - Lei non vuole certo essere respon­sabile del licenziamento di Annunziata!

Alberto                       - Oh, no! Povera Annunziata... Ma che c'entro io?

Annina                        - C'entra. Se la mamma resta qui ed io resto con lei perchè non ho cuore di la­sciarla, il Nonno licenzia Annunziata. Se sa­pesse quanto ho fatto per persuadere la mamma a tornare con loro! Faccia un altro sforzo an­che lei...

Alberto                       - (scoraggiato) Non so più che cosa dirle!

Annina                        - Vede; la mamma ha saputo che la signora Bianca è a Capri...

Alberto                       - Ah, ha saputo?

Annina                        - Naturalmente. Gliel'ho detto io. E non mi smentisca perchè le ho detto che è partita per Capri subito dopo la scena di quella sera... Ma... ecco la mamma...

Clelia                          - (rientra leggendo la lettera).

Annina                        - Non ha bisogno d'altro, signora?

Clelia                          - (fa cenno di no con il capo).

Annina                        - (dopo un'occhiata a Clelia, ad Al­berto) Vuole un caffè, signorino?...

Alberto                       - Un caffè? Certo, un caffè...

Annina                        - (esce).

Clelia                          - (continua attentamente a leggere le sue lettere).

 Alberto                      -  Posso  domandarti  come  stai, mamma?

Clelia                          - Benissimo.

Alberto                       - (ridendo) E d'umore?

Clelia                          - Non posso essere sempre d'ottimo umore come tuo padre.

Alberto                       - (come tra se) Da un po' di tempo non è più di buon umore nemmeno lui. (Alla madre) Tu non hai idea di quello che sia una casa senza donna! Soprattutto quando c'è gente...

Clelia                          - Ora ricevete?

Alberto                       - No, affatto! Ma siccome abbiamo il piano a coda, Tofani ieri sera ci ha portato un maestro che voleva farci sentire un'opera, e, con il maestro, una dozzina di amici... Intanto, papà non aveva pensato a niente; per fortuna me ne sono accorto io e sono corso giù a com­perare delle paste, una torta... Poi, nessuno pensava ad offrire... Non era affar nostro e non c'eravamo abituati. E poi si capiva che gli invitati cercavano la padrona di casa e non osa­vano chiederne notizie, visto che non c'era... Ti assicuro, mamma, che era desolante: io in un salotto e papà in un altro, ad occuparci di quel­la gente che tu avresti animato con un niente, messo a suo agio, e che sembrava invece sem­pre imbarazzata...

Clelia                          - - Forse era la musica...

Alberto                       - La musica era buona. Strauss...

Clelia                          - Come, Strauss?

Alberto                       - Sì, il maestro aveva saccheggiato Salomè, ed io adoro Salomè.

Clelia                          - (riprende a leggere. Alberto gira per la stanza in cerca di qualche cosa che non tro­va) Che cosa cerchi?

Alberto                       - Sigarette.

Clelia                          - Non ce n'è. Il Nonno non fuma.

Alberto                       - Allora mi permetti di fumare un sigaro?

Clelia                          - Come, un sigaro? Da quando in qua fumi sigari?

Alberto                       - Da un po'...

Clelia                          - Da quando me ne sono andata. Ecco almeno un vantaggio della casa senza donne! Ma qui mi fai il piacere di rinunciarci.

(Suona il telefono).

Alberto                       - Vado io?

Clelia                          - No, dev'essere per me. (All'appa­recchio) Casa Gennari... Con chi parlo? (Sor­presa) Sì, è qui. (Ad Alberto) E' te che voglio­no. E' una voce femminile.

Alberto                       - (al telefono) Ah, sei tu, Laura! Naturalmente! Non ero riuscito a trovarti, stamattina... Ah!... Ma lo sai che non mi piace che tu faccia così tardi la sera... anzi al matti­no, se è vero che sei tornata a casa alle quat­tro... Geloso? No. Nemmeno per sogno. Ma ti fa male, sei stonata dopo per tutto il giorno... Scontento, così... non so spiegarti adesso, scon­tento perchè... mi capisci, vero? (Mano a mano che parla la madre si fa attenta e stupita al suo dialogo. Alberto se ne avvede, ma finge di non accorgersene) Dopo pranzo, subito non posso, o più tardi verso le sei, sei e mezzo... troppo tardi? perchè esistono dei tardi o dei presto per noi due? non mi sembra. Esiste: vedersi e non vedersi... (ride) e tu allora? (ride più forte) fantastico, mi par di vederlo (ride an­cora e per riflesso, poiché è sempre attenta, anche la mamma sorride). Va bene, va bene, cercherò di fare prima, ma non posso preci­sarti quando... Sì, sì, cara, mi aspetti... sì, ad­dio... sì, addio... (Toglie la comunicazione).

Clelia                          - Chi è?

Alberto                       - (con semplicità) La mia fidanzata.

Clelia                          - Hai detto?

Alberto                       - La mia fidanzata.

Clelia                          - Tu scherzi.

Alberto                       - Nemmeno per sogno!

Clelia                          - E io non ne so nulla?!

Alberto                       - Proprio oggi te lo volevo dire, ma mi hai fatto un'accoglienza!...

Clelia                          - Dimentichi che hai vent'anni.

Annina                        - (entrando con il caffè) Ecco il caffè, signorino... (Posa ed esce).

Alberto                       - (si serve).

Clelia                          - Naturalmente, tu scherzi?

Alberto                       - (andando a sederle accanto) Scherzo? Ma perchè dovrei scherzare?

Clelia                          - Non sarebbe serio alla tua età.

Alberto                       - Non serio una cosa così seria? Oh, mammina, perchè fingi di non credermi?

Clelia                          - Non ti credo, altro che fingere!

Alberto                       - Vediamo, vediamo...

Clelia                          - Sì, vediamo, che cosa intendi tu per matrimonio?

Alberto                       - (cacciandosi, ridendo, le mani nei capelli) Che domanda, che domanda! Vuoi forse la definizione di Modestino? « Matrimo-nium est... ».

Clelia                          - Non scherziamo, sai tu che voglia dire?

Alberto                       - (serio) La vita in due.

Clelia                          - (velocemente) Poi?

Alberto                       - La casa.

Clelia                          - (c. s.) Poi?

Alberto                       - I figli, la tenerezza, la famiglia.

 Clelia                         - E per aver tutto questo?

Alberto                       - Basta l'amore.

Clelia                          - (gesto vago).

Alberto                       - (convinto) L'amore.

Clelia                          - E se l'amore muore?

Alberto                       - (testardo) L'amore.

Clelia                          - Ti dico, ma se muore?

Alberto                       - Se tu vuoi andare a Roma e prendi la via per Roma, dove arrivi? a Roma! Se[ tu ami e prendi la via dell'amore, dove arrivi? all'amore.

Clelia                          - Che esempio! Ma le vie traverse?

Alberto                       - Non sono asfaltate come la prin­cipale e te ne avvedi, le eviti.

Clelia                          - Sposarti alla tua età!... Ma è paz­zesco! Sei libero, puoi goderti la vita, e godila, sciocco che sei!

Alberto                       - Bisogna vedere che cosa è che ti fa godere.

Clelia                          - La vita.

Alberto                       - Quale vita? Non basta dire la vita, bisogna definire; la propria vita. No, ascol­tami, sono passati i tempi della gioventù forma­lista, i tempi del Nonno, quando tutto era in­casellato, e dalle esperienze suddivise negli anni con metodo. Ora si vive più in fretta, tutto si interseca, si sovrappone, in poco tempo tu ap­prendi tante cose; alcune per esperienza, altre per intuito, e l'intuito ti basta, ti soddisfa, spes­so ti toglie persino la curiosità di sapere.

Clelia                          - Poi col tempo la curiosità torna.

Alberto                       - Non è vero.

Clelia                          - Sì, torna. Non è per te che parlo; è per questa creatura che dici di amare e che domani, un domani vicino farai soffrire senza avvedertene, senza dare importanza alla tua cat­tiveria. Del resto se tu avessi avuto fiducia in me e me lo avessi detto prima, te ne avrei scon­sigliato subito.

Alberto                       - Già, mammina, come se si an­dasse incontro a una donna convinti che quella sarà la nostra futura moglie!

Clelia                          - Ma naturalmente.

Alberto                       - E no, invece, qui sta il tuo sba­glio; si va incontro a una donna perchè è ca­rina, perchè ci piace, che so, perchè si è at­tratti da lei, e poi a poco a poco ci si avvede di amarla, di cominciare a non poter più fare a meno di lei; l'atmosfera di lei ci circonda, entra lentamente in noi, si sovrappone a tutto, impronta tutto della sua immagine.

Clelia                          - Sì, capisco, ma questo può essere un elemento dell'amore e non del matrimonio.

Alberto                       - Mamma, non esistono elementi del matrimonio come dici tu, esiste soltanto e soprattutto l'amore. Sì, comprendo quello che vuoi dirmi; a un certo punto l'amore si intie­pidisce e allora se si è giovani, troppo giovani, la famiglia si sgretola.

Clelia                          - (tristemente) Ecco.

Alberto                       - E io ti rispondo che non è vero. Quelli che tu hai chiamato gli elementi del ma­trimonio vengono in un secondo tempo, forse a questo punto preciso di intiepi dimento, e sono questi che salvano...

Clelia                          - E che cosa sono, secondo te?

Alberto                       - Ti ho detto: sono la casa, i figli. Perchè è la voce della casa che ci chiama e ci trattiene, e la voce della casa è quella della donna che l'abita, l'abbellisce e la riscalda. Ci si attacca a tante piccole cose, così piccole che sembrano insignificanti, ma che hanno presa sulla nostra anima.

Clelia                          - Ma come puoi intuire tutto questo fin da ora, come puoi essere certo dell'avvenire?

Alberto                       - Sono certo perchè sento che non potrei amare di più. Come dirti, mamma? Tu sai che se vi è una cosa al mondo che proprio non si può tradurre con le parole questa è l'a­more. Non so dirti; se sapessi dubiterei della mia sincerità. Tante volte per gioco Laura mi ha domandato: « Perchè mi ami? ». Non ho mai saputo rispondere nemmeno a lei. E' un in­sieme d'impressioni confuse e disordinate, in­traducibili, ma in questo disordine io sento ben chiara la forza del mio sentimento...

Clelia                          - E del tuo amore chi ti dà la cer­tezza?

Alberto                       - Potrei risponderti: la mia fede, meglio ancora, il mio amore...

Clelia                          - Non hai paura d'essere accecato dalla tua passione?

Alberto                       - Ma non è passione, mamma! (Sor­ridendo) Come si può avere una passione per una fanciulla? Un vecchio forse, potrebbe, ma non un giovane. No! Non è questo; è qualcosa di più bello, di meglio, è tenerezza. Mi ama, mamma, sì, mi ama, lo sento, lo so.

Clelia                          - Bada: a vent'anni si ama con ge­nerosità. Si amano tutte le donne belle. Tu stes­so dici che non si tratta di passioni. Sono degli innamoramenti passeggeri, che durano una sta­gione, un periodo di bagni, un inverno di neve o di balli...

Alberto                       - Domani sarò stanco? No, ci ho pensato. Oh, se tu sapessi con che intensità ci ho pensato prima di decidermi! Il mio senti­mento non è nato dalla solita curiosità o da un capriccio. Niente colpi di fulmine. Soltanto l'a­bitudine d'ogni giorno. E sei stata tu - guarda mamma, il caso - proprio tu con una tua frase a farmi accorto di come l'avessi già in me. Ri­cordi quando m'hai detto scherzando perchè mi aiutava nelle mie ricerche sull'atomo: « Chissà che mani piccole »! Ricordi ?

Clelia                          - No, non ricordo.

Alberto                       - Sì, m'hai detto così, proprio così, e io allora ho cominciato col risponderti sol­tanto: sì piccole, poi in me l'idea si è evoluta, mi spiego? Ho pensato che si sarebbero sciu­pate maneggiando gli acidi. Anzi, debbo averti detto anche questo.

Clelia                          - Non ricordo assolutamente.

Alberto                       - Ma è logico che tu non lo ricordi tutto questo; non aveva importanza per te.

Clelia                          - Non dirlo; per una madre tutto quello che riguarda il proprio figlio ha sempre importanza...

Alberto                       - (quasi sottovoce) E allora, mam­ma, perchè mi hai lasciato?

Clelia                          - Ti ho voluto con me. Sei tu che hai preferito restare con tuo padre...

Alberto                       - Dunque, ti dicevo... Allora, ero soltanto un po' stupito delle mie attenzioni per Laura, stupito di sentirla in me viva come se fosse costantemente presente. La coscienza del­l'amore è venuta più tardi, non saprei dirti nemmeno come e quando sia venuta. Senza di­chiarazioni complicate, senza preamboli, come se lentamente durante la nostra convivenza di colleghi noi ci fossimo preparati spiritualmente alla comprensione. Tu non c'eri già più, mam­ma, tu te ne eri andata...

Clelia                          - Vorresti farmene un rimprovero, adesso? Non potevi venire come oggi da me?

Alberto                       - Non potevo. Tu eri ostile.

Clelia                          - Oh, Alberto, io ostile!

Alberto                       - Sì, mamma, ostile; come se non mi avessi perdonato il fatto d'essere rimasto con papà.

Clelia                          - Ma naturalmente!

Alberto                       - No, mamma, perchè hai giudicato il mio gesto come una presa di partito, e non era invece che una voce interiore...

Clelia                          - Come, una voce interiore?

Alberto                       - Sì, ho sentito che il destino po­neva nelle mie mani la felicità nostra, e che di­pendeva da me evitare l'irreparabile...

Clelia                          - E per questo sei rimasto? Non hai pensato piuttosto che aumentavi col tuo gesto la mia sofferenza?

Alberto                       - Sì, l'ho capito, ma bisogna in certi momenti essere così forti da non aver paura di un dolore, soprattutto se ci si attende il bene da quella sofferenza.

Clelia                          - Un bene? Come puoi dire questo? Non si può ricostruire un cuore.

Alberto                       - Non dirlo, mamma, tutto si può ricostruire.

Clelia                          - Hai sbagliato, anche se il tuo gesto era fatto a fin di bene, hai sbagliato nel lasciar­mi andare via sola. E poi come puoi dire ehe tutto si può rifare?

Alberto                       - Rifare? Forse non è nemmeno il termine giusto, perchè nel fondo nulla è di­strutto...

Clelia                          - Oh questo poi!

Annina                        - (entra) Signora...

Clelia                          - Che c'è?

Annina                        - Posso dirle una parola?

Clelia                          - Ma certo!

Annina                        - E' che...

Alberto                       - Io me ne vado in laboratorio...

Clelia                          - (sorridendo) E poi da Laura...

Alberto                       - (sorridendo a sua volta) La trovo prima... Mi dai un bacio, mamma?

Clelia                          - (abbracciandolo) Ma sì, figliuo­lo mio!

Alberto                       - Di' a Nonno che non ho voluto disturbarlo. (Si avvia per uscire).

Annina                        - (con premura) Le dispiace uscire per la porta di servizio? Di qui s'è rotta la chiave...

Alberto                       - (un po' sorpreso) Ma certo! (Via da destra con Annina).

Francesco                    - (entra da sinistra) Ho visto che Annina tardava e ho temuto che non mi vo­lessi ricevere... Mi sono permesso di entrare.

Clelia                          - (facendogli segno di sedere) C'era qui Alberto.

Francesco                    - Non so se ti ha detto...

Clelia                          - Ho sentito per caso una sua tele­fonata a Laura.

Francesco                    - Già. E' per questo che sono venuto.

Clelia                          - Dunque, Alberto si vuole sposare. E' serio?

Francesco                    - Temo di sì. Ecco, io non vorrei che tu dovessi fraintendere la mia venuta...

Clelia                          - Come fraintendere?

Francesco                    - Sì... insomma... che io fossi ve­nuto per tentare ancora di convincerti... sì... per pregarti di tornare.

Clelia                          - Ebbene?

Francesco                    - Sarebbe inutile, lo so, ti co­nosco: non torni più sulle tue decisioni... Per questo parlarti ancora di noi... di quello che è  stato, sarebbe soltanto penoso e umiliante...

Clelia                          - Orgoglio, dunque?

Francesco                    - (risolutamente) No; per certe cose e fra certe persone non può e non deve  esistere orgoglio... Ti dicevo, sono venuto per Alberto.

Clelia                          - Mi sembra abbastanza normale che  alla sua età si innamori.

Francesco                    - Sì, a condizione che vi sia qualcuno al suo fianco a guidarlo.

Clelia                          - Non ci sei tu?

Francesco                    - Sì, ma io sono un uomo. Che cosa vuoi che io capisca dei sentimenti di un ragazzo? Tutti i ragazzi alla sua età hanno delle! simpatie, ma di solito non pensano al matrimo­nio. E Alberto non mi ha messo al corrente sei non il giorno in cui si è fidanzato. « Sai, papà,!

                                    - mi ha detto   - mi sposo... In questa casal non c'è una donna, e in ogni casa ci vuole una donna... ».

Clelia                          - (pensosa) Ha detto così?

Francesco                    - Ha detto così. Ti devo aggiun-j gere che ci manchi realmente?

Clelia                          - (non risponde).

Francesco                    - Vedi, è necessario che lo segua, tu, tu a cui si confida, tu che lo capisci, tu chef gli hai fatto il cuore... E' necessario che tu lol segua per evitargli in tempo un errore.

Clelia                          - Come se gli errori si potessero prevenire! E allora chi sbaglierebbe più?

Francesco                    - Tu sai che bisogna preparare! lo spirito al matrimonio, anzi gli spiriti perchè ci si possa sempre... capire.

Clelia                          - (ironica) Capire?

Francesco                    - Sì, capire, Clelia, per sapere) fin dove arriva l'amore.

Clelia                          - (come se d'improvviso non potesse più\ trattenere quello che le rode dentro da tempo)

                                    - Fin dove arriva l'amore, sì, ma bisogna an-J che prepararsi l'animo a dei sacrifici, capire anche che cosa vuol dire: rinuncia.

Francesco                    - Sì, naturalmente.

Clelia                          - (c. s.) Sì? E che esempio hai dato tu a tuo figlio, allora, quale rinuncia hai tu fat­to, quale?

Francesco                    - Non sono qui per riprendere la mia difesa, Clelia, ma per pregarti di voler gui­dare Alberto in un momento difficile... Il mio esempio... (Si ferma perchè è evidente che non vuol terminare la frase che sarebbe una di­scolpa).

Clelia                          - Difendersi, accusare, capire... quan­te parole! Voi uomini siete generosi nelle parole, conoscete il significato preciso di ognuna, ma le lasciate sempre nel campo dell'astrazione.

Francesco                    - Non capisco.

Clelia                          - Ecco, finalmente! Non mi compren­di, non comprendi nulla di me... ecco perchè mi hai tradito, ecco perchè mi hai serenamente ingannata, ecco perchè tu che poc'anzi parlavi di comprensione, hai agito soltanto sotto l'im­pulso dell'egoismo!

Francesco                    - Ma, Clelia, tu rinneghi così tutto il passato e vi sono stati dei momenti fe­lici. Momenti? di più, anni!

Clelia                          - T'ingannavi credendomi felice. Ti eri fatto un'idea tutta tua della felicità come ben presto dopo il matrimonio t'eri fatto una formula dell'amor coniugale. Hai definito quel­lo che non si può definire. Hai posto intorno a me dei confini, ti sei convinto che mai li avrei potuti varcare e questo ti è bastato. E l'amore non si può definire perchè ogni giorno, ogni ora esso ha delle esigenze nuove. Il nostro è stato un matrimonio d'amore, soltanto d'amore, questo mi martella sempre dentro e non posso dimenticarlo. Amore, amore, ecco la parola che tu m'hai detto senza tregua; amore, amore, è stata la magìa che ha creato Alberto... Poi, dopo la nascita del bimbo, io non ho sentito che il mio compito di madre, e tu ti sei trasformato. Mi hai detto: « Bisogna che una donna non ci­vetti, bisogna che non esca troppo, che non si faccia vedere troppo...». Civettare, flirtare?... Io non ti capivo... tu eri tutto. Così a poco a poco mi hai posto i confini che non dovevo var­care. Questi ti bastava. Che io potessi amarti meno, che io avessi dei desideri, non ti spaven­tava. Purché non varcassi i confini. Definendo il matrimonio credevi di definirmi l'amore.

Francesco                    - Io credevo che tu fossi felice... anch'io ti amavo, quelli che tu chiami i confini non nascevano forse che dalla mia gelosia.

Clelia                          - - Oh, gelosia! Non ti ho mai cono­sciuto geloso, mai! L'uomo geloso è cattivo e tu eri buono invece, ma non basta essere buoni, bisogna ripagar d'amore chi ama. Tu invece, tu che dici d'avermi amato, tu disperdevi ogni giorno quello che era mio... Felice! Già, felice... convinto della mia felicità perchè tacevo, per­chè tu sapevi nasconderti bene, perchè non avevo prove, come se servissero le prove della infedeltà a chi ama!

Francesco                    - No, Clelia, tu non mi lasci spie­gare... Le prove non potevano esistere, io ti amavo... io ti avevo dato nella mia vita il po­sto più alto, ti ero fedele...

 Clelia                         - Allora, sì, forse, ma non ne sono più certa, non ti posso più credere ora, basta la colpa di un giorno per far crollare la fede di anni... Prove non ne ho avute, non le ho cercate, ma le ho sentite in me talvolta per istinto. Lungamente ho atteso che tu tornassi, ma tu non tornavi perchè non sapevi di esserti allontanato...

Francesco                    - Non m'ero allontanato, nem­meno un'ombra era fra noi, una sensazione, che so... tu oltre che mia moglie eri anche la mam­ma di Alberto... l'amore s'era accresciuto della gratitudine.

Clelia                          - Forse trasformato in gratitudine, vuoi dire. La nostra vita tu l'hai fatta uscire dall'imprevisto dell'amore per farla entrare nel­la normalità coniugale; ma insensibilmente, così insensibilmente che per te la trasforma­zione non appariva anche perchè sapevi dis­trarti... Voi pensate che l'affetto possa bastare dopo qualche tempo e non capite che così si rinnega la giovinezza.

Francesco                    - Perchè rinnegar la giovinezza? Io ti sentivo sempre vicina a me, così vicina che non ho mai un momento pensato che tu non mi dovessi più credere. Tu vuoi distruggere il passato o meglio vuoi fartene un'immagine nuova del passato come se sempre io non avessi veduto al di là del mio egoismo di uomo.

Clelia                          - E allora come non ti sei avveduto della mia sofferenza? come hai creduto sol­tanto alle apparenze del mio viso?... Perchè se il mio viso, quando tu tornavi, era sorridente, io avevo forse pianto aspettandoti...

Francesco                    - Vedi, Clelia, io non mi so spie­gare. Io non so come persuaderti che il tuo è stato un equivoco... Bianca non è più a Roma. Se fosse stato vero quello che tu credi...

Clelia                          - (/a un gesto come per dire che era vero).

Francesco                    - E mettiamo che sia stato vero. E' assurdo, perchè io, libero, se avessi amato la tua amica sul serio non l'avrei lasciata par­tire così, o l'avrei seguita. Mettiamo che sia stato vero. Queste cose prendono gli uomini come accessi, come malattie. Mi vuoi tenere re­sponsabile di una malattia? 0 non piuttosto vuoi avere compassione di me?

Clelia                          - (gira per la stanza, spostando gli og­getti, prendendo un libro e gettandolo, mo­strando a mille segni la sua nervosità).

Francesco                    - Quello che è stato è stato. Ora c'è Alberto al di sopra di noi. Ammetto che sia stato per mia colpa, che tu hai lasciato la casa. Ma non ti pare che ora sia venuto il momento di rientrarvi?...

Clelia                          - Mai!

Francesco                    - Guarda che un'altra donna prenderà il tuo posto nella tua casa, ti pren­derà il figlio, e tu non saprai chi sia...

Clelia                          - Ma tu la conosci?

Francesco                    - Io no.

Clelia                          - E non hai cercato di conoscerla?

Francesco                    - Come avrei potuto? Pensa bene, Clelia, a quella che è la mia situazione. Come posso andare incontro ad una ragazza che desi­dera di farsi una casa con mio figlio quando la mia famiglia è disorganizzata? E che senso di fiducia avrei potuto dare io a questa creatura?

Clelia                          - E per me, non c'è forse la mede­sima situazione?

Francesco                    - No, tu sei la mamma e la mam­ma è la casa medesima.

Clelia                          - (assorta) Ma io sono la mamma che se ne è andata!

Francesco                    - E' vero, forse nemmeno tu po­tresti avvicinarti a Laura in queste condizioni. Chissà, potrebbe pensare che tu hai disertato...

Clelia                          - Adesso m'accusi d'aver disertato!

Francesco                    - No, non mi sono spiegato, vo­levo dire che forse potrebbe pensare... insom­ma potrebbe vedersi nella tua situazione, im­maginare che un giorno, sposando nostro figlio, anche lei potrebbe o dovrebbe andarsene... per quanto le ragazze moderne abbiano una menta­lità diversa da quella che era la vostra.

Clelia                          - Sì, bisogna vedere la fanciulla... ma dove? Qui è impossibile. Dove allora?

Francesco                    - Dove tu vorrai, Clelia; fuori... nel laboratorio... non so.

Clelia                          - Fuori... (Con tristezza) Ma la ma­dre è la casa.

Francesco                    - Non so, Clelia, tu indendi bene che io non posso darti un consiglio... ma ti ri­peto, bisogna che tu pensi ad Alberto... (Pausa) Io me ne vado, ora... Addio.

Clelia                          - (rimane assorta. Francesco s'avvia len­tamente; esce) Sì... bisogna pensare ad Al­berto... (Si scuote, vede che Francesco non c'è più, e si guarda intorno come se volesse rico­noscere la stanza, come se fosse stupita di tro­varsi lì, poi va al telefono, compone un nu­mero) Pronto? Il Laboratorio di Chimica Microscopica? C'è il signor Alberto Antelmi?... Non è ancora venuto? Ebbene gli dica allora, per favore, che ha telefonato la mamma.

FINE DEL SECONDO ATTO

ATTO TERZO

La scena del primo atto, la sera del giorno seguente al terzo momento, Annina è occupata a spolverare con Pietro.

Annina                        - Non c'è molto di cambiato: ritrovo tutto al posto di prima. E così puoi andartene se hai qualcosa da fare.

Pietro                          - Non ho niente da fare.

Annina                        - Hai bene da badare ai fornelli... Tu sei il cuoco, ora!

Pietro                          - Sai, mi sono accorto presto di non saper fare cucina, di essere un pessimo cuoco.

Annina                        - Protestavano gli uomini?

Pietro                          - Un po'! Devo riconoscere che erano anche troppo bravi, siccome mangiavo anch'io, la roba che avanzava ai signori, avevo modo di accorgermi che non valeva proprio niente!

Annina                        - (aprendo il cassetto del canterano) Anche le posate al solito posto; tutto al posto di prima.

Pietro                          - Io no. Io sto ai fornelli, invece di guidare l'automobile. La portano l'ingegnere e il signorino. Io la lavo. E tu non puoi immagi­nare quanto si soffra a lavare una macchina che guidano gli altri!

Annina                        - Ora va tutto a posto. Io starò in cucina e tu al volante.

 Pietro                         - (battendo le mani) Bene! Ma come è stato?

Annina                        - Che so io! Ieri sono venuti prima il signorino e poi l'ingegnere; hanno parlato tutti e due con la signora, poi l'ingegnere se n'è andato. Allora la signora mi ha chiamato - si vedeva che l'avevano fatta piangere perchè aveva gli occhi rossi           - e mi ha detto: « An­nina, domani si torna a casa ». Poi s'è messa a piangere di nuovo. Ed ora eccoci qui...

Pietro                          - Deve essere successo qualche cosa...

Alberto                       - (entra. Ha in mano il lavoro a ma­glia che la madre stava facendo la sera del primo atto. Lo depone sulla tavola allo stesso posto di allora).

Pietro                          - Vado in cucina. (Esce).

Alberto                       - Mia veccchia Annina, non sono mai stato così felice di vedervi come stasera!

Annina                        - Eh! signorino... Lei non mi ha visto quando valeva la pena di guardarmi...

Alberto                       - La mamma dov'è?

Annina                        - Nella sua stanza.

Alberto                       - Purché papà non faccia niente di storto!... Non ho potuto telefonargli. (Esce da destra).

Clelia                          - (entra da sinistra. Vede subito il suo lavoro, lo alza un momento, lo bacia, lo ripo­ne) Annina...

Annina                        - Padrona...

Clelia                          - Niente; ho il cuore in bocca.

Annina                        - Già, ma è contenta?

Clelia                          - Sai, tutto è ancora come prima! E non si può dire che mi aspettassero...

Annina                        - Oh, l'aspettavano certo!

Clelia                          - Ma non proprio stasera! E tutto è allo stesso posto. Sul piano c'era ancora aperta la sonata di quella sera... Eppure c'è stata gente, hanno adoperato il piano. Si direbbe che qual­cuno ha voluto sentire sempre la mia presenza qui... Alberto? Francesco? E sai, Annina, ho avuto paura... Una paura, stasera!...

Annina                        - Che cosa, padrona?

Clelia                          - Di non ritrovarmi più, di trovar qui qualcun'altra, un'altra donna...

Annina                        - Ma che dice? Il padrone...

Clelia                          - (sinceramente) Non il padrone. Al­berto, Alberto che si vuole sposare.

Annina                        - Ha ancora il latte sulle labbra.

Clelia                          - Mah! Gli uomini non possono vi­vere soli! Erano soli: (suona VWestminster clock del salotto. Contando) Uno, due, tre, quat­tro, cinque, sei, sette, otto... Ecco la mezza... Ecco il carillon... le stesse voci... Aspetta, ora suona  questa  pendola,  la  gemella...  (pausa). Non suona. (Andando alla pendola) Ecco che ritarda ancora cinque minuti... A questo non hanno pensato; ci pensavo io. (Rimette la pen­dola a posto e suonano le ore. Attenta) Ecco il passo di Monsignore qui sulla nostra testa. C'è di certo ancora il Monsignore; è il suo passo lento, un po' strascicato. Anche questo faceva parte delle voci della casa.

Annina                        - E le automobili che strombet­tano...

Clelia                          - No, quelle sono le voci della strada. Qui dentro vi sono altri suoni, più lievi, ap­pena percettibili, intimi, come battiti di cuore. E' strano; vi sono dei rumori a cui ci si abitua, vivendo nella casa; a cui non si bada, che si crede di non sentire. Ma se si sta assenti appena un po', quei rumori ci mancano, e quando si torna sono i primi che si cercano e i primi che si sentono.

Annina                        - I tarli.

Clelia                          - Già, certi tarli. Scricchiolii di pa­vimenti di legno, echi nelle stanze quando una certa porta si chiude, si apre. Correnti d'aria che fanno frusciare una tenda. (Passando la mano sopra il vecchio comò) Vedi questi mo­bili, come sono logorati agli angoli? Le mani dei nostri nonni, quelle di papà e mammà, le nostre, sono passate qui sopra ed hanno fatto queste smussature, questi luccicori; qualcosa di loro è rimasto attaccato al legno. E' per questo che continuiamo ad amare i mobili vec­chi, anche quando sono passati di moda... (Si sente in cucina un rumore argentino, di piatto metallico che cade. Allegra) Che piacere: Ecco Pietro che ha fatto cadere qualche padella. Ma ha risuscitato un'eco. Mi ha fatto risentire una delle voci che conosco...

Annina                        - Come ha potuto andarsene, si­gnora?

Clelia                          - (guardandosi intorno) Già, come ho fatto?

Annina                        - Che dirà l'ingegnere? Come sarà contento!

Clelia                          - (fra se) Vorrei che non mi dicesse niente. Non posso pretendere che, come Al­berto, si metta a piangere, quando mi rivedrà qui, ma vorrei che facesse come al solito, come se non me ne fossi mai andata. E' curioso, ho un'impressione bizzarra: per la prima volta oggi mi metterò a tavola in casa mia senza sa­pere quello che c'è da mangiare... Dov'è Al­berto ?

Annina                        - Glielo chiamo subito. (Esce).

Clelia                          - (come se Annina fosse ancora presente) Ha capito che avevo bisogno di restai facile? sola,  di  orientarmi  da  sola,  di  rimettermi i di lei, posto, ed è scomparso... Ah! Annina, ero at pensi e taccata alla casa con tutte le vene del mio corpo   Albe e non lo sapevo...  (Accorgendosi che Annirw   Clel. non c'è) Toh! Annina non c'è più. Albe

Alberto                       - (entrando) Sai, mamma, non sono me a p ancora riuscito a pescare papà. Non c'è in uf- fuso; i ficio e al Cantiere l'hanno appena visto. Sai, Clel papà non è più lo stesso. Finito il suo buon Albe umore! Ti assicuro che i nostri pranzi non Vuoi r. erano allegri. Appena tu sei mancata, tutto è Clei diventato farraginoso, complicato. Dopo due Albi giorni, la casa era in disordine come dopo un io risp trasloco. Uscivo di stanza e inciampavo in un Clei tappeto arrotolato; nel bagno non c'era gas per lo scaldabagno... Clei

Clelia                          - Come, non c'era gas?

Alberto                       - Pietro chiudeva la sera il conta­tore, e la mattina si dimenticava di riaprirlo.  

Clelia                          - Ma ora mi sembra tutto a posto.

Alberto                       - Oh, Dio! Mammina, sono le ottoì e tre quarti, quasi, e Pietro ha avuto tutta lai giornata davanti a sé per mettere un po' le cose in ordine... Ma se fossi venuta questa mat-l tina!...

Clelia                          - Che cosa facevate dopo cena?

Alberto                       - Niente. Papà leggeva il giornale, io uscivo. Qualche volta uscivamo insieme e sii andava al cinematografo o al teatro. Sai, lai vita era diventata un po' automatica, senza ga-1 sto. C'era da domandarsi perchè si viveva...

Clelia                          - E Laura?

Alberto                       - (un po' incerto) Laura...

Clelia                          - Parliamone pure. Sai, ho ripensato! al nostro discorso  di ieri, alle tue parole, ai tuoi sentimenti.

Alberto                       - (nervoso) Ebbene?

Clelia                          - Tu hai ragione, ed ero io che mi| sbagliavo quando dicevo che era una pazzìa.

Alberto                       - (commosso) Mamma...

Clelia                          - (con tenerezza) Ma bisogna perdonarmi,  sai;  noi mamme non sappiamo rasse­gnarci all'idea che voi crescete e diventate uomini;  vi vediamo sempre bambini e viviamo di un'ansia sospettosa. Vorrei conoscere Laura.

Alberto                       - (scattando in piedi) Le telefono!

Clelia                          - A quest'ora? E poi non c'è biso­gno che io la veda per conoscerla; basterà che tu mi parli di lei.

Alberto                       - (imbarazzato) Parlarti di lei? Sì, mamma, ma come?... Non è facile così d'im-l prowiso...

Clelia                          - (con un falso stupore) Come non è facile? Tu mi dicevi ieri che la tua vita è piena di lei, che qualunque cosa tu intraprenda non pensi che a lei...

Alberto                       - (c. s.) Sì, vero.

Clelia                          - E allora?

Alberto                       - Non so; sento troppe cose insie­me a proposito di Laura e tutto mi diviene con­fuso; immagini sovrapposte...

Clelia                          - (con semplicità) E' grave.

Alberto                       - No, mamma, non scherzare... Vuoi piuttosto aiutarmi tu?

Clelia                          - Io?

Alberto                       - Sì, tu: mi farai delle domande ed io risponderò.

Clelia                          - Pigrone!

Alberto                       - Dunque?

Clelia                          - (grave) Tu mi hai assicurato ieri della profondità dei tuoi sentimenti, e ripen­sandoci ho dovuto inchinarmi di. fronte al tuo amore. Hai il senso della casa e della famiglia, dei figli, soprattutto; hai diritto a questo tuo amore che è il tuo destino, anche. Ma lei? Tu mi hai parlato del suo amore come se fosse l'immagine riflessa del tuo, mi hai detto che trovavi in te le prove del suo sentimento, ed è in questo, vedi che io stento a seguirti.

Alberto                       - E a me sembra così chiaro! L'a­more ci fa leggere nel cuore della creatura che amiamo.

Clelia                          - Veggenti?... (Si interrompe un se­condo come per non incominciare il discorso che le viene d'istinto) Sì, forse, ma non basta. Bisogna andare anche al di là dell'amore nel matrimonio, per i figli, se non per noi. Per una donna è la missione.

Alberto                       - Lo so.

Clelia                          - Ma Laura ama divertirsi...

Alberto                       - Anche.

Clelia                          - Adora l'automobile...

Alberto                       - Sai anche questo?

Clelia                          - Che c'è di male?

Alberto                       - (sopra pensiero) Che cosa sai?

Clelia                          - Mah! probabilmente quello che sai anche tu.

Alberto                       - Per esempio?

Clelia                          - Per esempio, dove è stata ieri Laura nel pomeriggio?

Alberto                       - Ha fatto delle visite...

Clelia                          - Nell'automobile nuova del tuo ami­co Rizieri.

Alberto                       - Non me l'aveva detto.

Clelia                          - E hanno avuto un incidente a Porta Cavalleggeri. Polizia a beneficio delle placchette del nonno.

 Alberto                      - (sembra preoccupato).

Clelia                          - Vedi perchè entro in particolari? Alla tua età ci si innamora dell'amore. E' tutto nuovo, è una vita dello spirito impreveduta, piena di sorprese e di dolcezza. Ma si ama per amare e ci si illude di voler bene a chi ci ha messo in quello stato di grazia. Se tu osser­vassi, ti saresti accorto che le donne che si amano quando incomincia la vita sentimentale, non sono così belle, di corpo o d'anima, come quelle che si sposano. Laura...

Alberto                       - (convinto) Laura è bella.

Clelia                          - Lo so. Ma come è il suo cuore? E' docile, hai la sensazione che si sperda, che si annulli in te?

Alberto                       - Oh no! Ha una personalità e la mantiene.

Clelia                          - Che cosa pensa della vita?

Alberto                       - E' una domanda complessa. In­tanto, è felice di vivere.

Clelia                          - Frivola?

Alberto                       - Che cosa vuol dire frivola? C'è nella donna una frivolezza che è una grazia.

Clelia                          - Ama le feste, i balli, Rosati a mez­zogiorno e la taverna del Quirinale a mezza­notte?

Alberto                       - (fa cenno di sì col capo).

Clelia                          - Non mi piace.

Alberto                       - Nemmeno a me. Ma ora tutte le ragazze sono così.

Clelia                          - Per fortuna, no. Che cosa pensa della famiglia? Dei figli?

Alberto                       - Laura è giovanissima, mamma, non vivrà della casa soltanto, vorrà anche diver­tirsi. E' naturale.

Clelia                          - Naturale no.

Alberto                       - Laura studia chimica, una scienza esatta... ha una mentalità diversa dalla comune...

Clelia                          - La scienza può modificare il cer­vello di una donna, ma non il cuore. Non ca­pisco che cosa vuoi dire.

Alberto                       - Volevo dire, per esempio, che Laura troverebbe più pratico che si andasse a vivere in un albergo... (Guarda il viso della mamma che rimane impassibile; pure sente il bisogno di giustificarsi) Sai, meno preoccupa­zioni...

Clelia                          - Certo. E' questione d'intendersi sul valore delle cose.

Alberto                       - Vuoi dire?

Clelia                          - Voglio dire... Niente, ma non posso fare a meno di pensare alle tue frasi di poco fa, alla melanconia che provavi in questa casa dove la mia presenza mancava, dove tutto era disordine.

Alberto                       - (un po' confuso) In realtà, solo oggi Laura mi ha espresso questa sua idea.

Clelia                          - (trionfante) Dunque! vedi che t'eri ingannato quando dicevi che il suo cuore era un'eco del tuo? (Suona il telefono).

Alberto                       - Sarà papà.

Clelia                          - Aspetta, vado io. Voglio sapere che cosa risponde al telefono quando sente la mia voce. (All'apparecchio) Casa Antelmi... (La si vede sorridere) Sì, sono io... Sì, tornata... per sempre... per sempre. (Ascolta grave) Fa pure. Non c'è fretta... (Ripone il ricevitore. E' seria) Viene subito. Aveva una riunione con gli im­prenditori e la Società Costruttrice... (Riprende a sorridere) Li manda al diavolo.

Alberto                       - Certo ha detto così.

Clelia                          - (sempre sorridente) Quando ha sentito la mia voce, ha risposto - mi pare senza sorpresa, ma al telefono non si vedono le fac­ce: - «Ah, sei tu. Bene». E dopo un mo­mento: ce Ti sono grato, infinitamente grato ». Certo pensava a te. Ma riprendiamo il nostro discorso: non ti ha stupito questa idea della tua fidanzata di andare a vivere in un albergo? Non ti ha addolorato?

Alberto                       - (dopo una pausa, con imbarazzo) Ecco, ti confesso: abbiamo avuto una piccola lite.

Clelia                          - La prima?

Alberto                       - Sì.

Clelia                          - Cosa da nulla.

Alberto                       - Ecco, da nulla, no... e forse per­chè era la prima volta... Ma certo per me deve essere stata quasi una rivelazione... Un lato nuovo delle relazioni dell'amore...

Clelia                          - Hai sofferto?

Alberto                       - Molto e non per l'idea in sé del­l'albergo. Sciocchezze che passano presto di mente! Ma per un complesso di sentimenti as­solutamente nuovi e inaspettati che ho provato anche contro il mio desiderio... Mamma, io non volevo dirtelo: perchè mi hai fatto parlare? (Durante tutta questa scena la confessione di Alberto deve giungere progressiva anche per il tono di voce. Incerta, sulle prime, dovrà diven­tare precipitosa verso la fine, come uno sfogo improvviso. Clelia resterà sempre serena, senza mai apparire ostile a Laura).

Clelia                          - Io ti ho fatto parlare? E del resto perchè mi avresti dovuto tacere questa piccola lite? Non vedo nulla di eccezionale.

Alberto                       - C'è invece, c'è. Mi sento più incerto. L'amore è una fede, anzi è un complesso di fedi che non si devono scalfire nemmeno per giuoco... Laura mi ha detto che non vorrebbe   figli, per i primi anni almeno.  

Clelia                          - Ha detto?

Alberto                       - Sì, e io invece me li sogno già.  I figli,  sono il cemento di un amore, il suo scopo ultimo, la forza della vita.

Clelia                          - Ma Laura stessa non penserà a questo seriamente?

Alberto                       - La conosco, conosco la sua forza di volontà. Sarà così.

Clelia                          - E' strano; mi sembra di sentiri parlare di un'altra donna; non più della stessa. Laura che mi dipingevi ieri.

Alberto                       - (implorante) Mamma... dimmi qualcosa piuttosto che mi aiuti a giustificare il mio sentimento e la sua ostinazione.

Clelia                          - Addirittura giustificare? Ma allori è stata una piccola tragedia, ieri!

Alberto                       - Ci sono giornate piene di avvenimenti ed altre vuote, così vuote che sembra di non aver vissuto... mi spiego?... Quante cosi oggi! Il tuo ritorno... (non finisce). Se fossi un romano antico, di quelli che segnavano con in sassetto bianco i giorni felici e con uno nera quelli tristi, che farei oggi?

Clelia                          - Due sassetti bianchi...

Alberto                       - Sei buona, mamma, troppo buona... (Sono commossi entrambi. Si sente un movimento in anticamera e la voce di Annina)!

Annina                        - (dentro) C'è la signora!

Francesco                    - (dentro) E ci sei anche tu! (Entra, allegro ed esuberante come nel primo atto) Scusatemi tanto, ma credevo che mi te nessero lì fino a notte. Fortuna che ho avuto! l'idea di telefonare! Se aveste visto le loro facce quando ho detto: «Domani!... Devo andar­mene subito » e sono scappato via!... L'impren­ditore, sai, Clelia, quel grassone di De Rosa, è stato a guardarmi con le gote gonfie come se scoppiasse... Quando sono con lui in una stanza ho sempre l'impressione che da un momento all'altro si sollevi da terra e vada a finire sotto il soffitto come i palloncini dei bimbi... (Una pausa. Clelia si è seduta e ha ripreso il suo un­cinetto, come se niente fosse cambiato). Ab­biamo avuto l'ordine di finire per il Natale di Roma, e per la data le case operaie saranno pronte...

Alberto                       - Senti, mamma, a proposito del Natale di Roma, ti mostro l'ultima scena del mio film.

Clelia                          - E' finito?

Alberto                       - Sì. (Esce).

(Momento di silenzio. Francesco continua a guardare di sottecchi la moglie che muove velo­cemente le dita intorno all'uncinetto).

Clelia                          - Sai, Francesco. Vedo che hai ca­pito perchè sono tornata.

Francesco                    - (la guarda interrogativamente).

Clelia                          - Sì, quando m'hai detto: ti sono grato. Non l'hai detto per te, non è vero? L'hai detto per Alberto.

Francesco                    - (un po' stupito fa segno di no).

Clelia                          - Ah, credevo.

Francesco                    - Certo, ti sono grato anche per Alberto, ma per me soprattutto. Tu sei molto umile, Clelia, tu non sai ciò che vali e non puoi immaginare quello che sia stato per me per­derti... Tu sei buona...

Clelia                          - Forse ora sì, sono diventata buona. Ma soltanto perchè ho terribilmente sofferto. Ogni bontà non è che un riflesso di dolore. Si è buoni perchè si sa per esperienza che cosa sia il dolore e si vuole risparmiarlo agli altri.

Francesco                    - (parla a bassa voce, lentamente) Vedi, io non ho vissuto un periodo della mia vita così deserto, come quest'ultimo. Dire triste è dire troppo poco, o un'altra cosa. E poi, forse; no. Io ho sofferto in questi mesi, senza che apparisse, forse senza che Alberto se ne accorgesse... Ti ringrazio tanto tanto d'essere tornata. Hai dimenticato?

Clelia                          - Dimenticare? E' difficile. Non ci penso; e ciò è come perdere la memoria. Ma non per questo sono tornata...

Francesco                    - Non per questo?

Clelia                          - Non per questo soltanto... E' l'idea di Alberto, di Alberto che si vuol sposare così giovane...

Francesco                    - E' il momento più delicato nella vita di nostro figlio.

Clelia                          - Il momento che decide di tutta la sua vita. Che importano i nostri dissensi, i no­stri rancori, le nostre vite medesime? Potevo lasciarlo proprio a questo punto il nostro po­vero Alberto?

Francesco                    - Te lo dicevo ieri!

Clelia                          - (fa cenno di sì col capo) Di fuori non lo potevo assistere. Prima di tutto non ve­devo. E poi non avevo autorità... o ne avevo meno. L'autorità di una mamma non le viene soltanto dai legami del sangue, ma anche dal marito, dalla casa, dall'ambiente che ha sa­puto formare e sa mantenere. Una madre non è tale che nella casa sua. Qui è come in soglio. Qui è meglio ascoltata. Ora capisci, ora?

 Francesco                   - Hai ragione.

Clelia                          - Gli ho appena parlato, ma ho avuto l'impressione che Laura non sia la moglie per lui. Il nonno ha saputo per caso certe cose...

Francesco                    - Vedi? E tu sola puoi aprirgli gli occhi, perchè tu sola, mamma che ha sof­ferto, puoi arrivare al suo cuore senza che egli si adombri. Adesso ritroverà la sua strada di fianco a te, serenamente. Non sei contenta ora d'essere tornata?

Clelia                          - (accenna di sì con il capo, poi) E sento anche un po' di rimorso... Pur avendo tutte le ragioni d'andarmene non dovevo. Quan­do si ha la responsabilità dei figli, i nostri sen­timenti non importano; servono soltanto a ren­derci più o meno felici. E' affar nostro. Quello che importa è il nostro dovere, il nostro com­pito; accompagnare il figliuolo, sino alla soglia della sua nuova casa, accompagnarlo con l'e­sempio, dargli il senso dell'unità indissolubile della famiglia. Non so se Alberto sposerà Lau­ra, o un'altra.

Francesco                    - Alberto ha intenzione di pren­dere moglie e l'idea gli è venuta forse anche perchè in casa non c'era più una donna.

Clelia                          - Io sono tornata al richiamo della nuova famiglia che si deve formare intorno a lui. Mi sono accorta che non avevo il diritto di spegnere un focolare, il fuoco sacro, perchè era come interrompere la vita. Ti ho sempre vo­luto così bene...

Francesco                    - Prima.

Clelia                          - ... ti voglio ancora così bene che non mi ero accorta di volertene meno.

Francesco                    - (la guarda stupito).

Clelia                          - Ecco. Non mi ero accorta che il mio amore per te diventava il mio amore per Alberto. Che l'amore per Alberto era più forte che l'amore per te.

Francesco                    - Era un'altra cosa.

Clelia                          - Come poteva, Alberto, con quale spirito poteva, Alberto, farsi una casa nuova se la sua, quella in cui era nato, non c'era più?

Francesco                    - Forse aveva bisogno di una casa...

Clelia                          - (accennando con il capo) Sì, della sua...

Alberto                       - (rientra).

Clelia                          - (gli corre incontro, con voce com­mossa) Di' su, quando rivedrai Laura?

Alberto                       - (si arresta sorpreso', poi sorride) Laura? Non so, mamma...

FINE DELLA COMMEDIA