IL RISVEGLIO
di Dario Fo e Franca Rame
Personaggi:
UNA DONNA
Scena:
Nello spazio scenico, un monolocale, sono posti un letto matrimoniale, un comodino con sveglia e abat-jour, un attaccapanni, un armadio, una credenza sulla quale sono posati vari barattoli, un tavolo, una cucina a gas, un frigorifero, una lavatrice, un lavello. Appeso, bene in evidenza, un calendario. C’è anche un lettino con dentro un bambino (bambolotto). Sul letto dormono un uomo e una donna. L’uomo, dal momento che non ha battute, può essere sostituito con un pupazzo.
Questo brano viene attualmente recitato da Franca Rame con un unico elemento di scena, una sedia o una panca, a indicare il letto. L’arredamento scenico è stato soppresso, per motivi pratici, lungo il corso delle recite tenute durante gli scioperi e le occupazioni delle fabbriche. Ne è nata una versione, quella attuale, completamente mimata, in cui gli oggetti sono sostituiti dai gesti che li indicano.
ATTO UNICO
DONNA - (Nella luce bassa, la donna sogna come in un incubo) “Tre pezzi, una saldatura, un colpo di trapano… due bulloni, una saldatura, un colpo di trancia… (Urlo) Oddio! Mi sono tranciata le dita! Le mie dita… fammele tirare su… il padrone non vuole… fanno disordine! (Si sveglia di soprassalto: è ancora sotto l’incubo del sogno) Le mie dita… non potrò più metterle nel naso… (Si guarda la mano) Ce le ho!!… Ho sognato!… Porca miseria, adesso mi sogno di lavorare anche quando dormo, non basta in fabbrica? Che ore sono? (Guarda la sveglia) Le sei e mezza?! (Si alza dal letto infilandosi velocemente pantofole e vestaglia) Non ha suonato ‘sta bastarda! Oh mamma, come è tardi! (Corre al lettino e prende tra le braccio il bambino) Forza bambino, forza! Che comincia la nostra giornata. (Si dirige verso il tavolo che sta vicino al lavello) Sveglia! Sveglia, bel topolino della tua mamma, andiamo! La pipì, ti sei fatto la pipì addosso… saranno tre ore che ti ho cambiato! Pisone di un pisone… con la premura che ho! Dobbiamo correre all’asilo-nido, che se arriviamo dopo le sette la suorina ci rimanda a casina! (Spoglia il bambolotto) Adesso la tua mamma ti lava il culascino… (Apre il rubinetto dell’acqua) L’acqua calda… macché, non c’è acqua calda… Vuoi vedere che quel rintronato del Luigi ieri sera ha spento il boiler? No, non è rintronato, ecco l’acqua calda… (Prende il bimbo in braccio e va al lavello) Laviamoci il faccettino, zitto, non piangere che se no svegli il papà… lasciamolo dormire per una mezz’oretta ancora, beato lui! Che poi deve scattare alla Sandokan: aaaaaaaaahhaahh! (Si rende conto di aver urlato, ripete l’urlo sottovoce) Aaahhh… correre a prendere il tram, il treno e poi in fabbrica (depone il bimbo sul tavolo e con un asciugamano lo asciuga) e via a far ginnastica come una scimmia ammaestrata, alla catena di montaggio: (esegue i movimenti della catena di montaggio) un, due, tre… (Ride) Ah, ah come ride il mio bambino… ti piace la tua mamma che fa la scimmia ammaestrata. Ora ti asciugo bene… (Prende un barattolo di borotalco e ne versa abbondantemente sul culetto del bambino) Una bella spolveratina di… (si blocca allibita) formaggio grattugiato! Chi mi ha messo il formaggio grattugiato al posto del borotalco?! Mamma mia che disordine! Aspetta che lo tiro su… con quello che costa! (Mima di raccogliere dal sedere del bambolotto il formaggio versato) Tanto il sedere del mio bambino è bello pulito! (Veste velocemente il bambino) Presto, presto, pisottone mio! Eccolo pronto!
Che ore sono? Oddio com’è tardi! Stai tranquillo un attimo che anche la tua mamma si dà una lavatina. (Va al lavello e apre il rubinetto; mimando d’insaponarsi mani e viso, canta) Camaj, sapone delle stelle. Camaj, sapone… (S’interrompe) L’acqua, non c’è più acqua! Maledizione! Una famiglia come questa, che sta in una casa come questa, con trecento famiglie come questa… con tutti che hanno la mania di lavarsi alla stessa ora! Con che cosa mi sciacquo adesso?! Accidentaccio… come brucia il Camaj nell’occhio… questo la pubblicità non lo dice. (Afferra un asciugamano e si libera del sapone) Beh, mi laverò un’altra volta, tanto a me chi mi guarda… (Si dà una pettinata veloce) Non mi guardano, ma mi annusano… Mi darò un po’ di spray… (Prende un barattolo di spray) Che bella invenzione lo spray! Mettiamoci un po’ di spray. (Esegue) Come brucia!! Che ho messo? (Legge sul barattolo) Vernice per termosifoni!! Ho l’ascella d’argento?! Come me la tolgo? Me la toglierò in fabbrica col solvente. (Indossa velocemente gli abiti. Raccoglie il figlio, lo avvolge in una coperta e si avvia alla porta) Presto, via in fretta, correre! Le sei e quaranta… ce l’abbiamo fatta.
Prendiamo la borsetta della mamma… la giacchetta della mamma… (Si dirige verso la porta. Si blocca) La chiave? La chiave? Dove ho messo la chiave? Tutte le mattine il dramma della chiave! Devo passare il tempo a cercar la chiave… coi minuti contati che ho… (Rovista freneticamente nelle tasche, si guarda intorno) Calma, stiamo calme, cerchiamo di ricostruire tutto quello che ho fatto ieri sera.
Dunque, sono arrivata a casa, il Luigi non c’era. Ho aperto io la porta. Il bambino era nel braccio destro della mamma, la borsetta e la chiave nella sinistra della mamma. La borsetta e la giacchetta le metto qui, (indica l’attaccapanni) il bambino lo metto nella culla. Torno fuori. Prendo le borse della spesa, la chiave sempre in mano… il pacchetto del latte sotto l’ascella… entro in casa… la borsa la metto qua… il latte lo metto nel frigorifero… Vuoi vedere che nel frigorifero ci ho messo pure la chiave? (Va al frigorifero e lo apre) No, non c’è… neanche nel portauovo, nel portaburro… ma non c’è nemmeno il latte… in compenso ci ho messo il detersivo al limone per la lavastoviglie… È giusto: il limone si mette sempre nel frigorifero, altrimenti va a male! Sono pazza! Sono pazza! Se ho messo il detersivo nel frigorifero, il latte l’avrò messo nella lavastoviglie… (Guarda nella lavastoviglie) Non c’è… meno male… Dove ho messo il latte? Sul gas… sì, per la pappa del bambino… tant’è vero che per avere libere le mani per poter aprire il cartone, mi sono messa la chiave tra i denti e mai saprò perché ho messo la chiave tra i denti e non sul tavolo.
Prendo il pentolino… verso il latte nel pentolino per la pappa del bambino… accendo il pentolino… accendo il bambino, voglio dire, accendo il latte… accendo il gas! Lascio il latte lì a bollire e, sempre con la chiave tra i denti, vado a sfasciare il bambino… nel senso che gli tolgo le fasce. (Va verso la culla, mima quanto dice) Prendo il bambino, lo metto sul tavolo… anzi no, col bambino in braccio vado all’armadio e prendo la vaschetta per fare il bagno, la chiave sempre tra i denti… metto la vaschetta qui, cerco il bambino… non c’è più il bambino! Ho perso il bambino!
Dove ho messo il bambino? (Corre verso i vari mobili che nomina, apre e chiude velocemente gli sportelli) Nel frigorifero… nella lavastoviglie… nell’armadio! Avevo messo il bambino nell’armadio!! Per fortuna si è messo a piangere, altrimenti chissà quando l’avrei trovato! Povero il mio bambino! Ho preso uno spavento tale che mi sono precipitata a bere un bicchier d’acqua… (Si blocca di colpo, deglutisce spaventata) Ho ingoiato la chiave! Eh già… se ce l’avevo tra i denti… No, non posso averla inghiottita… la mia chiave ha il buco, avrei fischiato tutta la notte e il Luigi chissà che scenata mi avrebbe fatto… Dove ho messo la chiave… Calma, stiamo calme. (C.s) Prendo la bacinella, vado a riempirla d’acqua calda, prendo il bicarbonato, (prende un barattolo) che io ci metto sempre due cucchiai di bicarbonato per il bagno del mio bambino… Fosse caduta qua dentro? (Guarda il contenuto del barattolo con attenzione) Zucchero!! Chi ha messo lo zucchero nel barattolo del bicarbonato… (controlla in un altro barattolo) e il bicarbonato in quello dello zucchero? Quanti giorni sono che faccio il bagno al bambino con lo zucchero? Ecco perché la suora all’asilo mi ha detto: “Devo tenere il suo bambino sempre chiuso, come lo metto all’aperto api, calabroni e mosche gli volano adesso…” Povero bambino… E il Luigi, la scenata che mi ha fatto per il caffè… ci aveva messo il bicarbonato! Certi rutti! E la chiave, dove ho messo la chiave? Ma che scema… no, sbagliato, tutto sbagliato. Non ho mai tirato la chiave fuori dalla toppa… Eh sì, perché quando stavo facendo il bagno al bambino ho sentito il Luigi ravanare nella serratura, perché io quando sono entrata avevo richiuso la porta, lasciando la chiave nella toppa… così lui non poteva aprire… ravanava, ravanava e cominciava a tirare santi.
Ho tolto la chiave dalla porta… lui è entrato… gridava come un pazzo, io la chiave l’avevo in mano, sono sicura… gli sono andata sotto il naso e gliela ho messa tra gli occhi… che quasi volevo levargliene uno… e ho detto: “Ho dimenticato la chiave nella serratura… e allora? Uccidimi moglicida!!!” “Lasciami stare”, mi fa lui, “non è per la chiave che sono arrabbiato… è che ‘sto maledetto treno dei pendolari m’ha fatto un ritardo di un’ora… un’ora e mezza per fare 20 chilometri! Tutto tempo che il padrone mica mi paga… né mi paga il viaggio d’andata, né quello di ritorno, né mi paga il tram. Tutti viaggi che io faccio per lui, mica per villeggiatura!”
“E te la vieni a prendere con me?”, gli faccio io, sempre con la chiave in mano, “A parte che il padrone non si chiama più padrone, si chiama multinazionale! Oggi il padrone ce l’hanno soltanto i cani! Noi siamo esseri liberi, oggi! Il padrone multinazionale ti frega le ore che viaggi e te la prendi… ma non te la prendi per le ore che frega a me… a me, che oltre a lavorare per otto ore come una bestia per lui, ti faccio anche la serva gratis! Per lui, per il multinazionale!” E intanto ho dato il latte al bambino. (Va alla culla) L’ho preso in braccio… (Prende il bambino in braccio e cerca nella culla) Mi fosse caduta qui… No, non c’è… (Nel riporre il bimbo nella culla gli tasta il sedere) Oh mamma, l’ha fatta! L’ha fatta, l’ha fatta un’altra volta! Cagone di un cagone… (Tenendo il bimbo tra le braccio va al tavolo vicino al lavello) Quante volte ti devo dire che tu la cacca devi farla all’asilo! Alle sette e due minuti devi farla, così ti cambia la suorina! (Così dicendo spoglia velocemente il bambino e lo lava) Che ore sono?… Oddio com’è tardi… non ce la faccio, non ce la faccio… perdo la giornata… Cagone di un cagone… io poi non capisco come si faccia con un sedere così piccolo a fare una cacca così grossa!!
(Riprende, mentre lava il bambino, la sua tirata polemica col marito) “La famiglia, la sacra famiglia… l’hanno inventata apposta perché tutti quelli come te, sballati dalla nevrosi dei ritmi bestiali di lavoro, ritrovino in noi mogli tuttofare, il materasso su cui sfogarsi! (Ha finito di lavare il bambolotto, l’asciuga e lo riveste) Noi, vi rigeneriamo… per lui, gratis! Per essere pronti all’indomani a tornare belli e scaricati a produrre meglio per lui, il multinazionale! Lui è il padreterno! È lui che fa boom, poi fa il contro-boom! Poi la deflessione, poi l’inflazione, la crisi galoppante, la crisi strisciante… la caduta della lira, il dollaro, l’eurodollaro, il petrodollaro… poi spalanca le braccia e grida: Che ci posso fare? È fatalità! È fatalità!” Il Luigi si mette a ridere: “Ehi, ci ho una moglie femminista-estremista e non lo sapevo… Da quando è che vai a scuola dalle femministe?” “Senti deficiente”, gli faccio io, “mica ho bisogno di andare a scuola dalle femministe per capire che la vita che facciamo è una vita di merda! Lavoriamo come due cani e mai un attimo per scambiarci due parole, mai un attimo per noi. Mi chiedi mai: sei stanca? Vuoi una mano? Chi fa il mangiare? Io. Chi lava i piatti? Io. Chi fa la spesa? Io. Chi fa i salti mortali per arrivare a fine mese? Io, io, io! Eppure lavoro anch’io! Le calze che sporche chi, chi le lava? Io! Quante volte hai lavato le mie calze? È questo qui il matrimonio? Io voglio poter parlare con te. Io voglio vivere con te… non abitare con te! Ti viene mai in mente che anch’io possa avere dei problemi? Mi va bene che i tuoi problemi siano i miei, ma vorrei che anche i miei problemi fossero i tuoi e non soltanto i tuoi i miei, e i miei sempre i miei! Io voglio poter parlare, parlare con te… ma quando torni dal lavoro ti butti a dormire. La sera: televisione! Alla domenica, partita! A vederti ventidue cretini in mutande, che si danno scarpate intorno a un pallone, con in mezzo un altro ritardato dell’oratorio, anche lui in mutande, ma con la giacca e il fischietto!” Lui, il Luigi, paonazzo, offeso come se gli avessi parlato male della sua mamma, mi fa: “Ma cosa vuoi capire tu di sport!” Che non era proprio la risposta giusta! Non ci ho visto più! Gridavo come una matta! Ho tirato fuori tutto! Gridavo io, gridava lui… io pesante, lui più pesante, più pesante io… ancora più pesante lui… finché ho detto: “Se questo è il matrimonio, vuol dire che ho commesso un errore…”
Ho tirato su il mio errore… (prende in braccio il bambino e si avvia decisa alla porta) e via che me ne sono andata. A questo punto la chiave, sono sicura, ce l’avevo io, perché ho aperto la porta. Il Luigi viene lì… ci aveva una faccia, povero Luigi, era bianco, col magone… Mai avevo fatto una scenata così e mica scherzavo… e lui l’aveva capito.
Mi tira dentro in casa: “Su, non fare così, aspetta…” “Lasciami stare!” “Parliamo, prima parliamo, se poi te ne vuoi andare va bene… ma prima parliamo! C’è la dialettica no? C’è la dialettica, per dio!” E mi spingeva verso il (si siede sul letto) “dialettico”… e mi dice che sì, avevo ragione… ma che lui era abituato con la sua mamma… che credeva che fossi anch’io come la sua mamma… che aveva sbagliato, che doveva cambiare… insomma, si è fatto la… cosiddetta “autocritica”. Ma così bene, così bene… che io piangevo… E più si autocriticava e più io piangevo, e più piangevo e più si autocriticava… come era bello piangere ieri sera! E la chiave? (Guarda per l’ennesima volta l’orologio) Non ce la faccio… (Di colpo si ricorda) Sicuro… me l’ha presa lui, sono sicura… nella tasca della giacca… se l’è messa in tasca… (Scorge la giacca appesa all’attaccapanni, fruga nelle tasche) Eccola, la mia e la sua! Che ore sono? Sette meno dieci, forse ce la facciamo ancora… Forza patatino che ce la facciamo! (Prende il bambino in braccio, si muove freneticamente) Il bambino della mamma, la giacchetta della mamma, la borsetta della mamma… (sta per uscire, si blocca di colpo) il tesserino del tram… Aspetta bambino, fammi cercare il tesserino, che se poi il tram è pieno mi tocca metterti per terra e ti schiacciano tutto… (Fruga in borsetta) Eccolo… Bello, il mio bel tesserino! (Lo guarda stranamente) Sei buchi? Sei buchi di andata e sei buchi di ritorno! (E allibita) Sei buchi di andata sei buchi di ritorno?! Chi m’ha bucato così il mio tesserino? Sei buchi… Ma che giorno è oggi… (Guarda il calendario appeso alla parete, non apre bocca, è stravolta, avvilita. Quasi senza voce dice) Domenica?! (Urlando) Domenica!! (Al bambino) E tu non mi dici niente! È domenica! Roba da pazzi, volevo andare a lavorare anche di domenica! Sono pazza!! (Cantando) Di domenica non si lavora e fino a tarda ora si sta a dormire! A letto, bambino, a letto! Dormire!! (Depone il bambino nel letto matrimoniale, corre in proscenio e si rivolge direttamente al pubblico) Voglio fare un sogno dove c’è un mondo che tutti i giorni è domenica! Tutta una vita di domeniche! È la fine del mondo… È scoppiata la domenica eterna! Non ci sono più gli altri giorni della settimana… Il lunedì l’hanno impiccato, il giovedì fucilato, il venerdì affettato!… Tutti i giorni sono domenica… (Corre al letto, s’infila sotto le coperte) Dormire bambino! Dormire! E se mi sogno un’altra volta di lavorare, mi strozzo da sola! Dormire! (Sulle ultime parole, con il lenzuolo si copre tutta, testa compresa)
Buio. Stacco musicale. Canzone.
IL SOGNO
L’altra notte mi sono sognata
che ero in fabbrica a lavorare
e vicino al mio telaio
lavorava anche l’ingegnere
e io gli insegnavo come si fa andare il pettinile,
e lui perfino mi ringraziava,
lui perfino era gentile.
Non c’era quel gran baccano
e non c’era il puzzo di tintoria,
i tempi li dava una mia zia,
si andava comodi, si andava piano.
Senza neanche domandare sono andata
perfino in gabinetto
e seduta comoda ho perfino letto
un gran giornale
dove c’era un titolo fenomenale:
“Lavorare poco, vivere molto”.
Poi sono andata
a farmi un giretto
in un gran parco pieno di bambini
e dentro un giardino
c’era che giocava il mio bambino;
il mio bambino mi ha preso per mano
e mi ha portato nella nostra casa,
al primo piano,
che però non era nel casermone
dove stiamo adesso, come in prigione.
Mio marito era già tornato,
era di festa e faceva il bucato
faceva il bucato e non era arrabbiato
m’ha portato al cinema come da fidanzato
e c’era il cinema, ma nella pellicola
non recitavano degli artisti,
eravamo noi i protagonisti.
Recitava tutta la gente che sta nel mio quartiere:
uno s’alzava e ci chiedeva
quello di cui aveva bisogno;
tutti si discuteva,
e poi ogni cosa, tranquillamente
si risolveva.
Non c’era nessuno che faceva il prepotente,
nessuno con l’aria di comandare,
ognuno era sorridente.
E c’era un gran cartello da guardare
con su scritto: “proibito proibire”
e ho notato così che la gente parlava perfino diverso
nessuno diceva: “questo è mio e quest’altro è tuo”
non c’era più né mio né tuo
era tutto nostro, nostro di tutti,
perfino l’amore era diverso
non era più una roba
fra me e te contro gli altri
era con gli altri,
amore per stare più insieme all’amore degli altri…
non c’era più l’egoismo,
c’era proprio
il comunismo.
Non c’era più l’egoismo,
c’era proprio il comunismo.
SIPARIO