Il sacrificio (1555)
Di Agostino Beccari
[Dedica]
Alla Illustrissima Madama Lucretia et alla Illustrissima Madama Leonora da Este.
Chi dubita, illustrissime et eccellentissime signore che quando havessi havuto ardimento di mettere in publico questa mia favola pastorale, senza il favore di alcuna virtosa et gran persona, ch'io non havessi parimente data ampia materia di dire a tutti coloro che stanno tuttavia in su'l mordere i componimenti altrui? Et tanto più quando l'havessero ritrovata altramente divisa ne gli atti da quello in che due volte fu rappresentata in scena! Onde considerando più volte circa ciò havea fatto pensiero di ritenerla appresso me tal qual'ella si fosse, senza che più s'havesse a far vedere. Ma per che continuamente mi trovo stimulato da alcuni miei amici, desiderosi che si veggano le mie fatiche, a i quali mi conosco non poco ubbligato, non possendo negar loro questa gratia, non senza grandissimo cordoglio, mi son lasciato volgere di lasciarla pur uscire. Ma veggendola et conoscendola inculta et rozza, come cosa nata tra i boschi et tra le spine, dubitando ch'ella non sia schernita et beffata da questi schivi giovanetti, consueti a vedere cose civili et reali, ho pensato esserle mestieri d'un appoggio riguardevole et tale che possa far sì che le sia havuto alcun rispetto. Onde non trovando a cui potessi meglio raccommandarla che alle illustrissime signorie vostre, come quelle che con lo splendore delle virtù la potrano far comparire senza che sia molestata, ho deliberato di farne a loro un presente sì per che desidero d'essere lor devotissimo servo, com'anche perché non potea trovare scudo più atto delle eccellenze vostre a potere rintuzzare et indebolire le acute et velenose arme di coloro che stanno ogn'hora avidi per ferire. A loro adunque humilmente porgo questa mia compositione et con ogni debita riverenza la inchino.
Di Ferrara il dì primo aprile. M.D.LV.
D. V. Illustrissime Signorie Humilissimo servo Agostino Beccari.
IL SACRIFICIO
Favola pastorale di Agostino Beccari da Ferrara.
Fu rappresentata due volte a Ferrara, l'anno 1554, nel palazzo dello illustrissimo signor Don Francesco da Este: la prima adì XI febraro allo illustrissimo; et eccellentissimo signor il signor Hercole II da Este Duca IV di Ferrara et allo illustrissimo figliuolo il signor Donn'Aluigi; l'altra, adì 4 marzo alla illustrissima et eccellentissima madamma et alle illustrissime figliuole, insieme con lo illustrissimo signor Don Francesco et con lo illustrissimo signor Donn'Alfonso da Este. Fece la musica M. Alfonso dalla Viuola. Rappresentò il sacerdote con la lira M. Andrea suo fratello.
L'ARGOMENTO.
Erasto ama Callinome nimpha, ben che si vegga da lei sprezzato. Carpalio ama Melidia et è da lei ugualmente amato, ma temeno d'un fratello di lei; et Turico persegue nel già conquistato amore di Stellinia, la quale havendo lasciato lui, si è data a seguire Erasto novo amante. I quali diversi amori ultimamente pervengono al desiato fine con intramissione d'un Satiro che con piacevoli inganni cerca godere di queste nimphe et con inganni parimente vien da loro schernito.
LA SCENA É 'N ARCADIA.
LE PERSONE CHE PARLANO.
Prologo
Tra infiniti decreti et varie leggi
che 'l buon vecchio Saturno pose 'n luce, questa si trova da notar più degna, la qual contien che qualunqu'huom che vegga a studio, overo alcuna dea, (s'ella però d'esser veduta schife) perder subito dee la vi ta o gli occhi, poiché nel ver non par che si convenga che chi beltà del ciel vide una volta habbia a scorger giamai cosa men degna. E quindi habbiam che 'l misero Attheone, il qual vide bagnar ne l'acque ignuda la dea Diana, in bestia fu converso et da' can propri lacerato et morto. Tiresia che talhor di maschio in donna, talhor di donna in maschio, fu converso, perché vide in un fonte con sue nimphe scherzar Minerva, ne divenne cieco. Che fia dunque di me, signore illustri, se per veder sol queste dee a caso gli occhi perdete l'un, l'altro la vita? Essendo io qui comparso a studio innanzi a voi del cielo dee, che fate a quelle con la vostra beltà scorno et infamia? Ma m'imagino, et parmi il ver, che seco ogn' huom mormori et dica: la deità è maggior che di quell' convien ch'ancor l'auttorità e la forza habbian molto maggior, onde, se l'hanno, perché non perdi parimente o gli occhi, o la vita, o la forma, ov'hor ti trovi, poiché l'ordine passi in contemplarle? Ben risponder vi posso che 'n principio, se vi rimembra ben, dissi tal caso intravenir alhor ch'elle sdegnose schifavano da l'huomo esser vedute, ma chiunque facean di veder loro degno, non pur la luce non perdea, anzi maggior sovente l'acquistava e talhor doppia vita. Ecco che 'l grande pastor troiano, innanzi a cui co i corpi ignudi comparir non si sdegnaro quelle tre dee del gran signor del cielo moglie, figlia, e sorella e pur mirava di lor membra bianchissime ogni parte, non sol non fu accecato, ma il vedere gli accrebbero assai più, che vide quanto più nmmmmmmm.....llrave; degno fosse 'l pregio d'una beltà di donna che di quante perle et oro possede Hibero et Gange: et di quanta prudenza et virtù puote a corpo humano destinar il cielo; et se come comandano tai leggi non fu punito, fu perché lor piacque al giudice pastor far di lor copia. Così queste signore, anzi pur dee, che di proprio voler qui son comparse per udir le querele de gli amanti nostri afflitti pastori de l'Arcadia verso le nimphe loro, non pur gli occhi o l'alma non mi tranno, ma più tosto mi rindriccian l'ingegno et l'intelletto, e mi raddoppian le perdute forze. Però datevi pace, o miscredenti, che questo sovra natural potere è 'n lor assai, ma il voler hor n'è lungi che con dolce et piacevole natura create fur, ne curansi sformarmi, né far da quel ch'io son punto diforme. Ma, lasciando da parte ogn'altra cosa, dicasi homai di che trattar vogliamo. Una favola nova pastorale, magnanimi et illustri spettatori, hoggi vi s'appresenta, nova in tanto ch'altra non fu già mai forse più udita di questa sorte recitarsi in scena, et nova ancor perché vedrete in lei cose non più vedute: e 'l SACRIFICIO vogliam si chiami, poic'hoggi è quel giorno, nel qual si fanno i sacrificii e i giochi a Pan Liceo che su tal monte nacque. Il loco è Arcadia, ove 'l fior di pastori felice albergo tiene. Eccovi il monte Menalo, la cui cima al cielo aggiunge, famoso per la cerva c'Hercol( prese c'havea le corna d'oro e i piè di bronzo). Quest'altro è l'Erimanto, ove 'l medesmo prese vivo il cinghial di cui fe' dono di Steleno al figliuol re di Micene. Quindi poco lontan Parthenio posa, il monte ove Diana con le nimphe cacciando fugge gli amorosi inganni, ma l'altezza de i pini et la gran copia de gli altri alberi fa che non si vede questo sì altero e sì honorato monte. Non vi starò a narrar altro argomento, che da sé si dichiara a poco a poco. Questo restami a dir, che l'auttor nostro pregar vi vuol che, tralasciando in parte per due o tre hor quella grandezza vostra, che ne' theatri et ne' real palagi tener solete, in questi alpestri boschi vi diate a rimirar quella rozzezza, quel viver primo della prima etade, il che vi porgerà forse diletto non men ch'apportar soglia ogn'altra festa. Hor, per non più tenervi in lungo, i' vado, per dar l'aggio d'uscir' a' pastor nostri.
ATTO PRIMO
SCENA I
Erasto giovine. Orenio vecchio
Erasto
Horrida selva, in cui piangendo spargo
gli ardenti miei sospir, gli accesi lai,
le focose fiammelle ond'io tutt'ardo,
deh, dimmi, ond'avien mai ch'arrida essendo
et atta a pigliar foco, che più tenghi
alcuna fronde o ramo alcun o sterpo
ch'adusto in polve non si trovi et arso?
Rispondi e dì "de gli occhi tuoi,
che, lacrimando, ognhor un fonte, un rio
si fan sempre d' intorno et non dan loco
a fiamma che m'incenda", che dirai
cosa del sol più chiara; e questo, o Amore
è sol per tua cagione et da te pende,
ch'ognun tal seme del tuo campo miete.
Ma com'avien che sì benigna pianta
(qual è tua madre) un sì maligno frutto
(come tu sei) habbia prodotto al mondo?
Non credo già che nella nostra Arcadia,
né più lontano, il velenoso tasso
produr si scorga frutti sì mortali,
come sei tu, tu che gli amanti attoschi.
Orenio
Se 'l chiaro giorno a me non è nimico
contro lo stile suo, questi ch'io veggo
è l'infelice Erasto, che sua vita
mena con tristi et angosciosi pianti.
Erasto
Ben so, Vener gentil, se 'l ciel t'havesse
dato tanto poter quanto al tuo figlio,
c'havendo homai pietà de' miei lamenti
faresti sì che la mia nimpha altera
Ma tu non puoi, che pur vorresti aitarmi,
e 'l figliuol, possendo, non si cura.
Ah perché non son' io dunque appo 'l fonte
onde chiunque d'Amor punto puote
senza altra lesion, beendo, il foco
estinguer, sì ch'oblia quanto dentro arse,
poich'amo e seguo chi mi fugge et odia?
Orenio
Misera gioventù, poi che 'l disio
di goder con amaro un poco dolce
qua e là girando ti trasporta et move,
qual posta al vento una minuta canna.
Erasto
Ben ti fu contra il ciel, misero Erasto,
a porti in servitù d'una crudele,
e men pietosa d'una hircana tigre
e 'ngrata poi quant'esser donna possa.
Che cosa è haver a governar un tauro
usando 'l sotto 'l giogo appresso questa,
che d'alterezza ogn'altra nimpha passa?
Si scorge pur co 'l tempo il fer leone,
re de gli altri animai superbo e altero,
placar, sì che benigno al cibo viene;
ma incrudelisce più costei co 'l tempo.
Ho già più volte con la mia sampogna
fatti i venti fermar, seguirmi i sassi,
gli alberi e ogn'animal, quantunque fero,
di contrada in contrada, tal che 'l tracio
poeta che solea cantar sovente
d'intorno al gran mont'Ismaro sonando
al par di me sì smarriria nel viso.
Né posso (oimè) questa mia nimpha tanto
fermar co 'l suon, ch'io possa un dì scoprirle
la fiamma che 'l mio cor gran tempo serba,
e la gran piaga che mi fece Amore.
Però chi fu di me mai pi[ù] infelice?
Orenio
Tanto è misero l'huom quant'ei si tiene.
Erasto
Ai Callinome ingrata, ai quanti scorni
per te patisco, poi che la gran fama
e 'l glorioso nome c'havea preso
appresso ogni pastor, così del suono
come del coltivar, per te si scema
e va mancando, qual accesa lampa,
cui sia negato il nutritivo humore.
Orenio
Costui non può addolcire un cor di donna
e faria per pietà movere i sassi.
Erasto
Chi havea più grassa et più lanosa greggia?
Chi armento più felice et prosperoso?
Chi 'l più fornito campo d'ogni frutto?
Chi havea i più bei montoni e più cornuti,
che co' Sirii e co' Caspi havrian zuffato?
Chi i tauri vincitori in ogni zuffa,
sol che 'l meschino e sventurato Erasto?
E chi una greggia sparsa hor veder vuole,
un campo inculto et pien di mille sterpi,
un'armento infelice e senza cura
che più non entra ne l'usata mandra,
il mio veng[a a] veder, né vadi altrove.
Orenio
Che meraviglia, s' un che di sé cura
o nulla o poca tien lascia l'agnelle
in bocca al lupo in questa e 'n quella selva.
Se qualche buon consiglio o qualche aiuto
io non porgo a costui ch'odia sé stesso,
potria cader in qualche stran pensiero.
Ha tanto il senso il misero lontano
che vicin gli favello, né mi sente.
Et sol questa cagion da Amor deriva.
Erasto, Erasto.
Erasto
O 'l mio gentil Orenio
Orenio
Erasto, ov'è la tua prudenza e 'l senno?
Ov'è 'l tuo bel governo et la gran cura
c'haver solevi a la tua greggia intorno?
Erasto
Orenio mio gentil, se 'l grand' amore
che tu portasti in vita a la tua Crinia
ti soccorresse, tal parlar, che 'l core
mi trafige, da parte lascieresti.
Sovengati de l'hore che tu in vano
spendesti, Orenio, et del perduto tempo.
Orenio
Ti prego, Erasto, per quel dolce nome
della nimica tua che t' sì ingrata,
lascia per sempre 'l r[amme]ntarmi quella
che morta adoro come dea del cielo.
Tu vedi ben che senza lei son fatto
selva senza ombra et senza corso fiume,
che qual tauro a gli armenti et vite a l'olmo,
qual ondeggianti biade a i campi, tale
al choro pastoral sempre fu Orenio
mentre vivea la già sua amata Crinia,
che ancor gli altari per le agnelle uccise
in sua memoria (o degno sacrificio)
si pon veder tutti sanguigni et grassi.
Erasto
Quant'Orenio son' io di scusa degno,
seguendo alma immortal degna d'impero,
da prepor degna a tutte l'altre 'n cielo,
se tu la morte di colei (già tante
volte si son raccolte 'n campo spiche)
nella memoria ancor porti e nel petto?
Orenio
Tal fu il mio amor verso colei che tanto
ardendo amai, che tempo, hora o stagione
non fia cagion che questo petto lasci
il segno ov'Amor pose il primo dardo;
e pria nel mar vietato la fredd'Orsa,
già nimpha di Diana et madre al nostro
re che diè 'l nome a la felice Arcadia,
tuffar vedrassi con quell'altre stelle,
che 'n parte scemi il grand'amor portato
verso chi il mio pregar mai non fu indarno,
poiché nel ver' hebbi io cagion non mai
d'odiar la Crinia mia, c'havea nel core
sola fede scolpita e amor perfetto.
Erasto
Se ben dura è la mia, convien, Orenio,
volendo o no, che questa ingrata segua,
che ben duro sarei s'io non l'amassi.
Ch'ella è più bianca del ligustro assai,
più lieta e amena d'un fiorito campo,
del capriuol più lascivetta et molle,
del ghiaccio più lucente, et via più grata
che 'l sol d'inverno, et dolce più del'uva
matura, et nobil più de' pomi, e 'l cigno
di dolce canto al par di lei non vale.
Orenio
Lasciamo, Erasto, il dolce ragionare
onde più tosto la nostr'alma langue
e ascolta il breve dir de le mie note.
Tu sai che quando al nostro Pan Liceo
(qual sia lodato ognhor per mille lustri)
si fan gli antichi giochi, e i sacrificii
convien che sia purgato da ogni macchia,
qual di pura colomba, il nostro core;
però lasciam da parte Amor lascivo,
che potria mover Pan a giusto sdegno,
onde gli armenti et le lascive agnelle
porrian di mal in peggio andar, di modo
che 'l più infelice c'hor qui in selva alberghi
al par di noi saria beato al mondo.
Sai ben che non bisogna ove va il culto
Divin, por cosa maculata e 'mmonda.
Erasto
Amor, Amor non vuol ch'io lasci tempo,
né che 'ntrametta alcun momento d'hora
ove non pianga la mia dura sorte.
Amor è dio et Pan Liceo è dio,
però, seguendo l'un, lascio quell'altro,
farò piacer a l'uno, a l'altro ingiuria.
Ambeduo a un tempo non potrò servire,
che mal fa chi duo lepri a un tempo caccia;
però che mi consigli in simil caso?
Orenio
Questo intraviene una sol volta a l'anno
di far tai giochi et celebrar tai voti,
per l'altro tempo Amor si può seguire.
Però da loco al ricordar d'Amore
sol per quel poco che t'avanza et poscia,
qual dolce Philomena, al lungo pianto
ritornerai sotto la trista pece,
sotto la noce o sotto il fral cupresso,
che simil ombre tua sciagura merta.
Erasto
Andiamo, Orenio, et la tua chioma bianca
sia fida scorta a la mia verde etate.
SCENA II
Carpalio giovine
Carpalio
Quando vedrai, Carpalio, pascer l'api
in queste parti de l'Arcadia il thimo,
o che 'n oblio porranno i fior' hiblei,
alhor con chiara et non confusa speme
estinguer tu potrai l'ardente foco
c'homai t'abbruscia le midolle e l'ossa.
Non credo già che ne l'oscura valle
stia con tanto disio Tantalo afflitto,
mentre lo allettan le bramate poma
e le labbra gli van radendo l'onde,
con quanto (oimè), Carpalio, Amor ti tiene,
mentre la tua Melidia, che tant'ami
pascer ti cerca di quel dolce frutto
ove tutto 'l disio d'amor intende.
Ai sorte iniqua, ai scelerata sorte,
perché mi vieti, onde sì bella nimpha
ricco mi vorria far, piacendo al cielo?
Misero inver si può chiamar l'amante
che quant'opra in favor de la sua dea
tutto gli va come 'n arena grano.
Ma più infelice si può dir quell'altro,
che dopo i passi sparsi et le fatiche,
dopo i sospir che da l'interna parte
uscendo accenderiano 'l mar et l'aria,
quando l'amata sua vuol darli il merto
e 'l guiderdon di tutto ciò che spese
in seguir lei, da qualche strano intoppo
resta impedito. O lagrimabil caso
che può duo amanti sol privar di vita.
A tal termine sei, Carpalio, giunto
tu e la Melidia tua, che muore e langue,
poi che posar non può ne le tue braccia.
SCENA III
Turico giovine. Carpalio
Turico
Parmi la voce d'un pastor tra queste
selve sentir, che 'n lamentevol note
qualche gran caso sospirando esponga.
Carpalio
Questi è Turico, a l'habito, a la voce.
Ben venga quel Turico et quel pastore,
di cui non ha tra tutti gli altri alcuno
il più felice e aventuroso tempo.
Turico
Era ben già che la Stellinia mia,
ove havea posta mia tranquilla pace,
mi fea pastor più d'alcun altro lieto,
ma perché 'ndegno er'io di tal bellezza,
che a la madre d'Amor può far invidia,
o che a l'instabil dea (de gli altrui beni
invidïosa troppo) così piacque,
ella, obliando quanto fer quest'occhi
per lei mentre cacciaro largo fiume
di sé che 'l petto e 'l sen potea far molle,
se 'l lungo e ardente sospirar gli havesse,
ove spargea, lasciato far indugio,
mostrando quanto l'amoroso foco
stia nel petto di donna poco acceso,
me, che l'amava più che le mie luci,
più che l'hedera il tronco ove s'inserpe,
e più che 'l pelicano e figli morti,
seguendo l'orme d'un pastor che l'odia
non altramente che 'l leone il gallo,
lasciò sdegnosa ne' primieri lai.
Dove dunque dee l'huom por la sua fede,
se così poco appresso donna dura?
Carpalio
Come può star che così bella nimpha,
come si sa, che t'havea dato il core,
ad altro amor, ad altro van disio
habbia rimesse nove penne et ali?
Turico
Per questa sacra e 'mmaculata selva,
ove non pose mai l'empia bipenne
pastor alcuno, e per quel sacro monte
ov'hoggi fansi i sacrificii a Pane,
per quest'arbor, cagion che l'alma dea
che rende i frutti più felici a i campi
ritrovasse a l'inferno il caro pegno,
io giuro a te che la mia nimpha, mia
non già poi ch'ella sì mi sprezza et odia,
mia in quanto a me, perché l'amor mio in lei
né tempo, né stagion può estinguer mai,
tant'oltraggio m'ha fatto et tanto scorno
quanto questo pastor' hoggi ti dice.
Carpalio
S'io credessi, Turico, che la mia
fosse a la tua di fede tal conforme,
non, come tu, mi nutrirei nel seno
così nocivo e sì contrario foco,
ma tal odio nel petto et sì sanguigno
rinchiuderei, che con lo sguardo a guisa
del basilisco, la trarrei del mondo,
che dir si suol che a chi la fede rompe
parimenti si dee romper la fede.
Ma inver la mia, se si può dar credenza
a i segni e al ragionar, mostra d'amarmi
quanto stender si pon forze di donna.
Turico
Deh, se grave non t'è, pastor felice,
se la dimanda è lecita, et se mai
calde preghiere in cor gentil fer nido,
dimmi qual'è questa tua bella nimpha
tanto gentile et tanto ben acconcia
al tuo desire, e a le tue voglie presta,
et che ti sprona in sì sonore note
in queste selve a ricordar d'Amore?
Carpalio
Turico, vero honor di queste selve
et di pastori alta corona et pregio,
s'io ti dirò quel c'hor dentro mi celo
meco piangendo resterai confuso,
che felice son' io quanto altri ch'erga
da questi boschi la sua fama al cielo;
ma l'esser parimente conoscendo
in cui mi trovo, tu dirai ch'al mondo,
non che 'n Arcadia, altri non è che 'n parte
s'agguagli al mio destin' empio et rubello,
poiché l'infima parte de la rota
onde scorger si ponno i gradi humani
mi preme 'l piede, e a la sublime 'l braccio
quasi vittorioso in parte stendo.
Turico
Come star pon questi contrari insieme,
ch'a un tempo sii infelice e aventuroso?
Carpalio
Io ti dirò; felice son, che i cieli
la più leggiadra che di selva in selva,
di poggio in poggio a l'honorata caccia
vadi più intenta, più vicina e ardita,
la qual d'amor non disuguale al mio
ver me si strugge et arde, ond'ambeduoi
quasi a prova facciam chi di noi possa
amar più l'altro. Ond'invido Amor fatto,
post'ha la spina a questa rosa in mezo.
Turico
Onde vien et di qual dea è la tua nimpha?
Carpalio
Questa mia nimpha, anzi del ciel pur dea,
nacque nel mondo ben di qualche dio,
con un fratello insieme, a un parto solo,
come Diana e Apollo, e 'n queste selve
trovati fur et hebbegli in governo
il vecchio Ophelio, il qual mi porta tanto
affetto che con altri occhi non vede,
né conosce altro ben, ch'ambeduo noi.
Turico
Ben, ben conosco e l'uno e l'altro. O bella,
o bella, so che 'l fiore hai conosciuto.
Ma chi s'oppone a questo vostro amore,
poich'ella t'ama et parimente Ophelio,
et essendo, com'è, libera et sciolta?
Carpalio
Hor odi: il suo fratel tanto si mostra
a me nimico fuor d'ogni ragione
che lei per mia cagion non può vedere.
Ma l'ho per iscusato, poi ch'a' furti
notturni e alle rapine è sempre intento.
Giovin crudel più ch'altro Licaone,
che gli dia un giorno Dio l'ultimo crollo.
Sì che quest'huom malvagio, et quasi un Cacco
che sparga mortal fiamma, empio s'è opposto
a questo nostro sì felice amore
et me rifiuta com'un vil capraro.
Turico
Forse 'l fratell', onde ambeduoi sian nati,
da qualche dio esser discesi al mondo,
però si sdegna ch'un pastoral seme
si sparga in questo sì celeste campo.
Carpalio
Ma ecco Ophelio mio, ecco il buon vecchio
d'ambo e gemelli, che non men si duole
ch'io faccia, in conseguir sì ricca preda.
SCENA IV
Ophelio vecchio. Carpalio. Turico
Ophelio
O buon principio: ecco Carpalio mio.
Carpalio
Che vuoi, gentil' Ophelio, che mi nomi?
Ophelio
S'Amor hoggi non dà quel lieto fine,
Carpalio figliuol mio, che tu et Melidia
già tanto tempo desiate invano
a i vostri amori et a i desiri vostri,
vuò che lasciamo di seguir più in oltre.
Tu sai c'hoggi si fan gli usati giochi
al nostro Pan Liceo, onde 'l fratello
di lei Pimonio, fuor d'ogni sua usanza,
hoggi ha conchiuso di voler trovarsi
a simile spettacolo e a tai giochi.
Però, mentr'egli a que' be' giochi intento
starà, tu con Melidia tua potrai
dar fine al tanto desiato amore.
Carpalio
Ma se fortuna, come suol, nimica
noi si facesse, discoprendo quello
che tra noi potria star sempre celato,
che faremo? Qual fia po 'l pensier nostro?
Ophelio
Diremo, ch'alcun satiro o alcun fauno,
o ver, che meglio fia, alcun dio del cielo
sotto mentita forma l'habbia presa,
levandole quel fior ch'altri havrà colto.
Turico
Merita peggio, poich'è sì malvagio,
né di rispetto se gli dee haver punto.
Così potessi io fin porr'al mio male
come al ben tuo principio dar potrai.
Ophelio
Andiamo, andiamo, che ciascun si pone
in ordine per ire al sacrificio.
Carpalio
Turico, se ti par ch'io possa aiuto
porgerti nel tuo amor, comanda pure,
ch'io son pastor ch'agevolmente servo
chiunque l'opra mia chiede 'n soccorso.
Turico
Di questa offerta i' ti ringratio e anch'io
mi t'offero per quanto pon patire
le forze mie. Deh, quando havrà mai fine,
miser Turico, il lamentar che fai
mentre vai dietro a sì veloce tigre?
I sospir, le querele e i gran pensieri
mi travagliano sì, che questa salma
regger più si può a pena, onde conviene
che qui riposi alquanto, che potrei
in questo mezo, comparendo quella
che n'è cagion, mentre sì bell'oggetto
mirassi intento, racquistar' i sensi
e 'l mio primo vigor de i lassi membri.
SCENA V
Satiro. Turico
Satiro
O, o, qualche pastor che si querela
di sua sorte infelice. Altro tra queste
selve hor non s'ode che d'amor lamenti.
Turico
Possibil fia ch'un'altra volta Amore
non potrà intenerir quel duro petto,
ch'entro il velen d'ogn'aspra serpe inchiude?
Satiro
Salvo sii, bel pastor.
Turico
Satiro a dio
Satiro
così forte d'Amor?
Turico
Non tel vuò dire.
Satiro
Come, che nol vuoi dir?
Turico
No, che tu forse
me 'l vorresti vietare.
Satiro
Anzi, vuò darti
(se n'hai bisogno) qualche aiuto.
Turico
Il tuo
aiuto poco curo, ch'al mio male
rimedio non havresti.
Satiro
Dimmel dunque
per cortesia.
Turico
Ti dico che non voglio.
Satiro
Tel farò dir mal grado tuo.
Turico
Tu buono
sarai per farmel dir non volend'io?
Satiro
O, in quanta poca riverenza siamo
noi satir, hor che più non siam tenuti
né dei né semidei. Dunque ch'io possa
farloti dir non credi?
Turico
Tu, né quanti
vorran saperlo a forza, il saperanno.
Satiro
O incredulo, o malvagio, a questo modo?
Lascia, che mi dirai più che non voglio.
Che ci va, che ti fo dormir tutt'hoggi
con questo soporifero secreto
ch'addormentar non pur faria il dracone
che 'ntorno i pomi d'or desto sta sempre,
ma Cerbero trifauce, il fer custode.
Costui forse non sa ch'a punto a punto
io tengo in mano un palpitante core
di gufo c'hora ho ucciso, il qual dormendo
ponendoglilo adosso farà dirli
tutto quel ch'io vorrò. Non vuò più stare,
appenderò fra tanto a questa quercia
con l'altre tue bagaglie. O o del vino
vi sento. Bacco, Bacco, di letitia
padre, sii benedetto. O com'è buono,
o come è saporito. Dormi pure
sin c'ho vuota la fiasca. Se qui fosse
Vulcan con la fucina, et i suoi strali
temprasse a Giove, a pena sentirebbe,
sì forte dorme. Hor lasciami sedere.
Comincia. Dimmi il nome di colei
che lamentar ti fa.
Turico
Stellinia ha nome.
Satiro
Di qual color si veste?
Turico
Di vermiglio.
Satiro
Ove suol praticare?
Turico
Qui d'intorno.
Satiro
Horsù, sta ben, tu non l'hai detto a un sordo.
Di qual arbor' ha l'arco?
Turico
Egli è di tasso.
Satiro
Non so che chiederl'altro. Dimmi, è bella?
Turico
Bellissima.
Satiro
É cortese?
Turico
A me non troppo.
Satiro
Sarà al proposto. Hoggi vuò in ordin porre
la mia trappola e qui stenderla, e quante
nimphe quinci hoggi passeran, tenerle
e pigliarle co i lacci, et se lei trovo
vorrò cosa da lei che tu non pensi.
O fa tu oltraggio a' satiri; cagione
tu medesmo del tutto sol sei stato.
Non ti vuò far già star così tutt'hoggi,
che non ti fesse oltraggio alcuna serpe,
over' altro animal. Quest'herba a punto
è da svegliarti buona. Par balordo.
Horsù me 'n vuò fuggir, che non mi vegga.
Ben gli vuò dar' il zaino et la sua fiasca,
che sonnacchioso non la vederebbe.
Tanto fa, se gli do ben ne la testa.
Turico
Oimè. Che vuol dir questo? Ove son' io?
Satiro
Guardati i piedi, guardati le gambe.
SCENA VI
Turico solo
Turico
Oimè son morto, oimè che cosa è questa?
O come son fuori di me, mi sento
tutto insensato. Chi m'ha qui condotto?
Come mi son così qui addormentato?
Chi m'havea tolto il zaino e la mia fiasca?
Com'è leggiera? Oimè non c'è pur vino.
O satiro malvagio, o traditore.
É stato certo quel c'hora era meco.
Egli è stato, egli è stato, havrammi qualche
incanto fatto, e m'havrà tolto il tutto
per farmi questo scherno; sempre qualche
impaccio e noia a noi pastori fanno.
Pur ti ringratio di quel che m'hai fatto,
che pensando tu farmi mal, di bene
cagion sei stato, che mentr'ho dormito
da me si scosse in parte il gran dolore
che per Stellinia mia desto sostegno.
Ma assai mi meraviglio che costui
habbia havuto ardimento di far cosa
che 'n spiacer torni altrui, perch'egli suole
essere il più codardo et il più rozzo
satir che ne l'Arcadia hora si trovi,
et si crede tra noi ch'egli non habbia
parte di deità seco, né punto.
Ma non vuò star più qui, che non tornasse,
che sforzato sarei di vendicarmi.
ATTO SECONDO
SCENA I
Erasto. Callinome nimpha di Diana
Erasto
Havea deliberato hoggi di starmi
al sacrificio in compagnia d'Orenio,
il qual so che mi può dar buon consiglio
come regger mi deggia nelle cose
divine e humane per la lunga etade.
Ma venendomi detto che la mia
nimpha crudel è per venir fra poco
quinci cacciando, perché sa che intento
al sacrificio io son con tutti gli altri,
onde temer potea; fingendo io certa
iscusa con Orenio, ho da lui tolta
licenza per tentar s'Amor pur vuole
essermi favorevol, sì ch'io possa
hoggi vederla et ragionar con seco,
ch'io spererei di poter pur far tanto
che m'ascoltasse per un'hora almeno.
Ma veggio in qua venir da questa parte
una nimpha, e mi par ch'ella sia apunto.
Io mi vuò ritirar et star a udire
ciò che seco ragiona, e a l'improviso
discoprirmele poi. Ecco ch'è giunta.
Callinome
Sciolta da ogni pensier, da ogn'alta cura
solinga me ne vo di selva in selva,
senza punto pensar a quel nimico
del nostro sacro santo stuolo: Amore,
onde Diana nostra gran reina
insino al cielo se n'essalta et gloria.
E se lo stimol de' pastor non fosse,
e de' cornuti e semicapri dei,
ch 'n questa e 'n quella guisa ci dan noia,
qual più felice e aventurosa vita
saria di quella d'una nimpha tale
qual'hora i' mi ritrovo? Et qual più certa
et breve via di salir sopra il cielo,
ove l'alme beate han posto il seggio?
Erasto
Se per esser crudel s'acquista il cielo,
tu più d'ogn'altra ti puoi dir beata,
poi che sì cruda sei.
Callinome
Lodato Dio,
c'hoggi non temerò che quel capraro
d'Erasto mi dia noia, poi che tutti
i pastor' hoggi vanno a i sacrifici.
Erasto
Misero Erasto, a che congiunto sei?
Callinome
Però qui posso riposarmi senza
haver tema di lui. Ma chi veggo io
nascosto in quel cespuglio? Ai che gli è Erasto.
Ai povera Callinome, ai meschina,
dove condotta sei, sola in sì folta
selva, dei tu fuggir? O pur con l'arco
farloti star lontan? Se le saette
non mi vengano men, non credo ch'egli
mi si accosti. Egli vien. Ma vuò mostrare
di non temere.
Erasto
Io vuò venirti in contra
perché bramo morir con le tue mani,
scocca pur l'arco tuo, mille saette
aventami, che morte mi fia grata
quando venga da te.
Callinome
Sta' pur lontano.
Erasto
Perché cerchi fuggir? Perché paventi?
Di che vuoi tu temer? Deh, ferma il piede.
Eh, degnati, Callinome gentile,
d'ascoltar' un che te più che se stesso
riverisce et honora, et che ti tiene
più che la vita sua cara et accetta.
Callinome
Che mi potrai tu far quando non voglia?
Horsù di ciò che vuoi, di', che t'ascolto.
Erasto
Quando fia mai, o dolce mia nimica,
ch'io venga al fin de le mie pene amare,
et che mi trovi in più gioioso stato?
Lasso, non mai, perché non altramente
mi fuggi che la damma o 'l capriolo
fugga l'aquila altera o 'l fero lupo.
Sappi, crudel, che un pastorel non fuggi,
non un capraro vil, non un bifolco,
ch'a questi, e non a me, che nato sono
del buon Aminta e de la bella Clivia,
giustamente negar puoi l'amor tuo.
Devresti pur saper che mille capre,
mille capretti et ben duo milia agnelli
pascono i campi miei senza l'armento,
cui numero non è, noveri il suo
il povero Montan, Menete, e Aglauo,
ch'io non lo posso far, onde gran copia
di latte fresco tengo sì di state
come d'inverno. Et ho la mia capanna,
cui porta invidia ogni pastor del sito,
che 'l caldo sol, ne i freddi venti oltraggio
vi posson far. Vi ho poi sì bel giardino,
cinto di fiori e d'odorose herbette,
che non invidio le più fresche rive
del Gange o de l'Idaspe. Né mi curo
che credi al mio parlar, ma tu in persona
vienlo a toccar con mano et a chiarirti,
che troverai via più di quel c'ho detto.
Callinome
Sei molto ricco, Erasto. Hai tu fors'altro
da dir? Perché vuò andar' al mio viaggio.
Erasto
Non t'ho ancor detto com'un capriolo
ti serbo e duoi capretti di sì fatta
bianchezza che con lor la neve e 'l latte
perderia. Un fregio ner lor cinge 'l collo
sì maestrevolmente che diresti
haver natura in ciò posto ogni studio.
Ambeduo li ti serbo et in tuo nome
li fo nutrir, quali Stellinia cerca
lusingandomi ognhor levarmi, et vuole
in contracambio un ricco vel donarmi,
ma senz'altro tuoi fiano e li ti dono.
Callinome
Non me ne curo, Erasto, se ben fila
d'argento i velli havessero, e le corna
d'oro. Tienlili pur, o dalli altrui,
fanne pur ciò che vuoi, poiché son tuoi.
Erasto
Ai, Callinome dura più che un sasso,
so ben ch'i doni miei sprezzi e non curi.
Ma dove vai? Dove ne volgi il passo?
Non ti partir, volgi la fronte alquanto.
Callinome
La riverenza ch'a la mia reina
debitamente porto vuol ch'io serbi
la castità mia intatta, e ad ascoltarti
più del dover' assai qui ho fatto indugio.
Però cerca altra via, cerca altro amore,
se vuoi disacerbar questi tuo' affanni.
Erasto
Te, Callinome ingrata, il ciel mi diede
ch'amassi e non altrui. Né pensar ch'io
sia così rozzo che non sian tra questi
boschi nimphe leggiadre e che star ponno
a parangon di te così nel corso,
come nel tirar arco (di bellezza
non vuò già dir) le quali mi si fanno
et mi si mostran vaghe, et mille preghi
spargon talhor, perché lor porti amore,
e lor per te, crudel, fuggo et disprezzo.
Callinome
Fai male, Erasto, a non seguir chi t'ama.
Io son brutta appo lor, segui pur quelle.
Erasto
Anzi più bella, e tra lor sembri quale
tra le stelle minori il chiaro sole.
Et ben si vede, poi che come neve
mi struggo appresso te, né te ne cale.
Callinome
Perché più non ti sfacci, io me ne vado.
Erasto
Deh, fammi don nel tuo partir di questa
sol gratia per li tanti miei dolori
et per gli affanni che per te sopporto:
contentati ch'io t'ami com'io faccio,
ch'altro non bramo. Eh, non fuggir, deh, resta.
Oimè se 'n fugge qual veloce damma.
Ai sorte mia crudel, perché mi posi
a seguir nimpha così cruda e 'ngrata?
Et che sparisce 'nnanzi a gli occhi miei
com'un baleno? Che non corri Erasto?
Che non ti movi a seguitarla? Forse
l'aggiungerai correndo, hai pur più volte
superato nel corso il buon Carpalio,
più veloce d'ogn'altro; e quante volte
Harpalago, il buon cane di Licaste?
Ma, oimè lasso, ch'ogni mio vigore
et ogni forza m'ha levata e tolta;
tal che una cerva errante et fuggitiva
cerco cacciar con un can vecchio e zoppo.
Ma meglio fia ch'io vadi al sacrificio,
ove Orenio m'aspetta, cui promisi
di tosto ritornar, e qui ho tardato
e 'n van le mie parole ho sparse al vento.
SCENA II
Satiro solo
Satiro
Poich'è sì lieto e sì tranquillo il giorno,
non può far che le nimphe per li boschi
scherzando liete ir non si veggan' hoggi,
qual cacciando una cerva, qual cunigli,
qual caprioli et simil' altre fiere,
qual più animosa un d'età verde orsacchio,
ond'ho fatto pensier anch'io di porre
tutto questo bel giorno in prender fiere,
ma da queste diverse e d'altra forma,
con la trappola mia, che di fortezza,
e di bontà può star' appresso ogn'altra,
sia qual si voglia, perché, poi che m'hanno
le nimphe a scherno, in vece de le fiere
tutte prese saran con questi lacci.
Ne vorrò ch'indi partano, fin tanto
che mi dian qualche saporito bascio,
o quel che più vorrò, mal grado loro.
Quel pastorel che dianzi fei dormire
mi disse che la sua nimpha sovente
quinci passar' è solita, e se cade
ne la mia rete, per suo amor vuò farle
cosa ch'egli non mai forse le fece,
ned ella il pensò mai, che parimente
hanno i par nostri a schifo, et lor putiamo
non altramente che la ruta al serpe.
Ma a che tardo io di dar principio a questo
stabilito pensier? Qui starò ascoso.
Lungo a questo sentier porrò le fila.
Tristi pastori et disdegnose nimphe,
vi farò haver a' satiri et a' fauni
quel sommo honor et quella riverenza
che si convien. Sentir vuò con l'orecchio
se per sorte ne venga ancora alcuna.
Una ne sento. Io vò a pormi in aguato.
O bella, o bella. O questo è 'l bel principio.
SCENA III
Melidia nimpha. Satiro
Melidia
Quando, Melidia, havran le tue querele
qualche tregua o conforto? E quando lieta
in compagnia del tuo fidel Carpalio
coglier potrai più coloriti fiori,
per tesserne ghirlanda e 'mpirti il grembo,
onde poi orni le sue belle tempie?
Quando l'herbette, che son fatte molli
del pianger tuo, potranno alzarsi liete
dando lor il vigor con un sol riso?
Quando fien liete Philomena et Progne,
che più volte con lor piangendo a prova
mostran la tua, più che la lor tristezza?
Deh, Dio se 'n ciel salir pon giusti preghi,
perché non lievi il fratel mio del mondo
per salvar duoi così fideli amanti?
Satiro
Nota, nota che vuol, che 'l fratel muoia
per darsi in preda a qualche vil pastore.
Melidia
Deh, perché Amor mi fusti sì benigno?
Perché mi fusti sì contrario e averso?
Benigno in darmi sì leggiadro amante,
contrario in darmi sì crudel fratello?
Ove imparasti sì maligne leggi
di dar sì lunghi affanni a' tuoi seguaci?
Satiro
Ti seguirò ben' io. Vien pur innanzi.
Melidia
Non negherai già, Amor, che tu non sappi,
che sanlo i boschi, le campagne e i fiori,
sallo la troppo a te nimica schiera,
che più volte Diana hammi voluta
tirar nel suo felice et casto albergo,
e lei schernendo sol per tua cagione
quasi a me stessa son venuta in odio.
Ma, poich'io son dal querelarmi stanca,
io vuò veder di riposarmi alquanto
sotto questa robusta et alta quercia.
Satiro
Vieni un poco più innanzi. Ancora un poco.
Melidia
Attendendo se 'l mio dolce Carpalio,
rinovellando le sue antiche piaghe,
quinci prendesse quest'usato calle.
Satiro
Senza troppo macchiar questa ho nel pugno.
Siedi pur, c'hora vengo. Ma vuò prima
sentir se venga alcun, poi vi do dentro.
Oimè, veggo un pastor, che ratto viene.
SCENA IV
Ophelio. Melidia. Satiro
Ophelio
Quando il lasso bifolco il campo pieno
intorno intorno di verdette biade
vede ondeggiar a guisa di chiar'acque
leggier commosse da soave vento,
si va rodendo e contro 'l sol s'adira,
poiché tanto ritarda il farle bionde
per riportarle 'n più sicuro loco,
per che teme 'l meschin che senza pioggia
mista con aspri folgori di Giove,
tempesta horrenda non lor caggia sopra,
onde poi gli convenga e feri venti,
che fur cagion di questa tal ruina
senza rispetto maledire i cieli.
Così son' io di bestemmiarti, Amore,
costretto, poiché 'l tempo ove sperava
d'haver' accoppiar questi duo' amanti
vai prolungando per più nostra pena.
Satiro
Sei pur venuto, Amore, a buon mercato,
ch'ognun vuol giocar teco a la civetta.
Ophelio
Le selve, i boschi e le palustri valli,
quasi mosse a pietà, rispondon meste
il nome di Melidia, et Echo insieme
ripetendo la voce mi risponde
quante fiate 'n van chiamo Melidia.
Melidia
Qualche gran caso a questo miser vecchio
è intravenuto, che sì forte cerca
chiamando il nome mio, me 'n queste selve.
Ophelio
Se ti rimembra punto, o sacro Apollo,
l'acuto dardo che ti punse 'l core
mentre qui intorno ad abbracciar' il lauro
innanzi al padre suo Ladon ti stavi,
dammi soccorso in ritrovar Melidia,
c'homai le membra mie son lasse et stanche.
Satiro
Povero Apollo, ognun ti dà in su 'l viso,
col rimembrarti la selvaggia Daphne.
Melidia
Mi vuò scoprir, né più tenerlo in tempo.
Ophelio, in queste selve (si com'hora
mi par d'haver' udito) grandemente
mi vai cercando et di chiamar non cessi.
Ophelio
T'ho ricercata sì; quanto facesse
pastor giamai smarrita pecorella.
Satiro
Alza i piè, vecchio, che tai barbagianni
prender non vuò con la mia stesa rete.
Melidia
Eccomi.
Ophelio
Io ne ringratio il nostro Giove,
qual salva ci mantien l'amata greggia.
E s'hoggi a tempo a i sacrificii aggiungo
gli vuò offerir un don degno di lui,
poic'hor m'ha scorto ove tu fermi il piede.
Melidia
Dimmi, Ophelio gentil, padre honorando,
dico padre d'amor' a me e a Pimonio,
e padre d'anni et di costumi ornati:
che bisogno hai di me, che di trovarmi
tanto bramoso mi ti sei scoperto?
Ophelio
Tu sai con quanto amor, con quanto zelo,
con quanta carità, con quanta fede,
per quanto s'han potuto stender forze
d'un pastor vecchio qual son' io, gravoso
et ripien di molt'anni, c'ha cosperso
il capo e 'l petto di gelata brina,
ho cerco sempre compiacerti in quello
ove più vago il tuo desir s'è mostro.
Onde scorgendo ov'hor lieto ti mena
Amor, che fe' di te già et di Carpalio
preda honorata, et quanto sia il disio
d'ambiduoi di raccor quel dolce frutto
che può sol dar' Amor, poiché si mostra
il tempo a questa sì honorata impresa
atto e opportuno, a te ratto correndo
son venuto sin qui debole et stanco,
pur' il disio c'havea di ritrovarti,
mi fea parer la via molto più breve
Satiro
per correr più leggier, vecchio ubbriacco.
Melidia
Certa sempre ne fui, benigno Ophelio,
che 'l tuo disio di compiacermi tanto
et tal era qual hor cerchi mostrarmi.
Però, per quelle bionde et crespe chiome
onde tu, Pan, fosti annodato e avinto,
ti prego che 'n compensa di tal merto
(poiché, per esser donna, non son tale
ch'io possa il guiderdon renderli a pieno)
facci la greggia e gli altri suoi armenti
felici sì, che non invidi alcuno
che pasca in questa sì felice Arcadia.
Ophelio
Lasciam, Melidia, questi preghi a tempo
più commodo di questo, et attendiamo
a quel c'hor ci prepara Amor e 'l cielo.
Tu sai c'hoggi si fan quei giochi dove
lo stuolo pastoral tutto concorre,
chi una gratia chiedendo a Pan Liceo
et chi un'altra. Ove ognuno, ignudo, in mano
una face portando, et un flagello,
se 'n va sferzando hor questa hor quella donna
acciò più lieve 'l partorir consegua.
Ivi tu sai che quel pastor et questo
al contrasto si pone de la lotta.
Un'altro al corso si dispon leggiero.
Altri col suon de la sampogna arguta
invita quel ch'a simil canto è pronto.
Quell'altro chiama al paragon chi vuole
porsi seco a lanciar' il pal di ferro.
Ond'hor Pimonio, il tuo fratel, si pone
in ordine per ir' a simil festa.
Et io, che 'l caso tuo nel petto serbo
la notte e 'l giorno, hor veggo che benigno,
partendosi il fratello, il tempo s'offre
ove tu possi il tuo Carpalio, quanto
per te si può, far più contento et lieto.
Satiro
Lieto io sarei se ti vedessi morto,
et lei ne' lacci miei vedessi presa.
Melidia
Egli dov'è?
Ophelio
Non è troppo lontano,
che di nascosto il tuo fratello attende
fin che si parta per andar' a i giochi.
Satiro
Costei vuol far morir certo il fratello.
Melidia
Tu vecchio sei, tu ben conosci et sai
come tu guidi questi duoi amanti.
A te lascio il pensier, a te l'affanno
ch'indi potrebbe a qualche tempo uscire.
Ophelio
No, no, Melidia, mentre 'l cacciatore
si vede haver la fera circondata,
cessar non suol fin che 'n sue man non l'habbia.
Che chi tempo ha e l'aspetta, al fin lo perde.
Satiro
Se tu non mi impedivi, anch'io voleva
quest'ordine tener' a' miei disegni.
Ophelio
Melidia, andrò correndo a dar la nov[a]
al tuo Carpalio, com'io t'ho trovata.
Melidia
Va' pur oltre, ch'anch'io mi pongo in via.
Satiro
Ei parte, ella rimane. O buona nova.
Melidia
Se con accenti folli,
ho fatte un tempo risonar le valli
in questi obliqui calli,
e con sospiri ardenti ho accesi i colli,
s'ho fatti un tempo languidetti e molli
col pianto i fiori, a guisa di cristalli
che irrigan d'ogn'intorno
qualche bel prato adorno,
io spero, Amor (se 'l mio pensier non falli),
che i colli homai potrai, le valli e i fiori
ritornar lieti ne' lor primi honori.
Satiro
Finisci tosto, e movi i lenti passi.
Melidia
S'io porsi un tempo in vano
a te, dolce signor, le mie fiscelle
con ghirlande novelle
d'eletti fiori fatte di mia mano,
s'un tempo tu solingo il monte e 'l piano
(e per chi, non convien ch'io ne favelle)
con gli strali et con l'arco
sei scorso in ogni varco
seguendo fere pargolette et snelle,
facendone a me don senza costrutto,
sper'h[or] ch'entrambi ne corremo il frutto.
Satiro
che potria sovraggiungere alcun'altro.
Melidia
Se la tua sovra human
sampogna cacciò un tempo oscure note,
homai sonando puote
trar molli gli orsi e i tigri da lontana,
s'a la tua greggia un tempo fu lontana
la dolce cura in selve più rimote,
hor ne' più verdi prati
di varii fiori ornati,
lungo un rio che soave aura percuote,
potrai, dolce Carpalio, con Melidia
star sì ch'ogni pastor ne senta invidia.
Satiro
Vien pur' innanzi. Il tordo è ne la ragna.
Melidia
Sian maledetti i cespi. Oimè, ch'a un laccio
son presa, oimè.
Satiro
Non dubitar, sta' salda.
Melidia
Deh, lasciami. Ritorna, Ophelio, Ophelio.
Satiro
Pensa pur che partir quindi non puoi,
se non mi dai un bascio a bocca a bocca.
Melidia
Deh, satiro mio bel, non far, ti prego,
che se 'l sapesse il fratel mio Pimonio
m'uccideria, tanto è crudel et empio.
Però facciamo prima ciò ch'io voglio
dirti in secreto, e ti fia tanto a grado
quanto altra cosa mai.
Satiro
Di' prima, et poi
ti lascio, se fia cosa ch'a me tochi.
Melidia
Satiro mio cortese, io vuò che sappi
ch'un certo mio fratello, anzi un serpente,
sempre 'n guerra mi tiene. Ma di' prima,
si pon gli huomini ancor pigliar con questa?
Satiro
Huomini e donne e tutti gli animali.
Melidia
Sarà al proposto. Io vuò, se tu vorrai,
pigliar con questa questo mio fratello,
che non mi vuol lasciar far del mio corpo
quanto m'aggrada. Se satiro alcuno
a battaglia amorosa mi richiede,
overo alcun pastor, forza è ch'io neghi
simil bel gioco, ond'io, come l'ho preso
con questi lacci, non slegarlo prima
intendo ch'ei promettami non mai
darmi fastidio alcun, né alcun disturbo,
et che mi lasci far ciò che a me piace,
e fatto ciò, subito a te mi volgo,
e me per tua, io te per mio (se piace
a te questo partito) piglierai,
purché per esser tu di me più degno,
ch'io vil son femminella, non ti spiaccia,
né ti curi accettar questa mia offerta.
Satiro
Anzi, m'aggrada quanto dir si possa.
Ma avertisce ch'io vuò, prima che parti
da me, come caparra de l'offerta,
che tu mi fai un bascio di quel modo
che so che saprai darmi.
Melidia
Egli è 'l dovere.
Ma perché non vidi io mai simil cosa,
però contento sii ch'io provi prima
come regger mi reggia, e tu m'insegna.
Et per che deve tosto uscir di casa
per ir' al santo sacrificio e a i giochi,
però fa tosto et slegami.
Satiro
Ma sappi
c'huomo alcun non è buon mai di snodare
questi lacciuo', quando si tiran troppo.
Ma uopo è alhor che si ricida il nodo.
Melidia
Fai bene ad avertirmi d'ogni cosa.
Satiro
Hor vedi et nota ben, guardami bene.
Prima farai così. Così dopoi.
Poi ti nascondi. Et com'ei vuol passare,
tirerai questo laccio, sì che preso
ivi lo scorgerai di piedi privo.
Ma acciò che possiam viver più sicuri,
lo puoi lasciar là preso insin che cibo
venga a gl'ingordi lupi e a gli avoltori,
ch'altramente, slegato ch'egli fosse,
ti potria dar la morte.
Melidia
Tu ben dici.
Io non havea avertito a questo punto.
Satiro
Ma se fossi quell'io che lo prendessi?
Perché par non convenga che tu dii
morte ad un che ti sia (com' ei) fratello?
Melidia
Deh, se tu fossi, com'io sempre sono,
mal trattata da lui, tu parimente
vorresti, et non altrui lasciar tal cura.
Io quella istessa esser vorrò che 'l traghi
di questo mondo, poi che mille volte
per lui convien ch'io morte chiami l'hora.
Satiro
Fa' dunque tu, pur che tu sappi fare.
Melidia
Aspetta, io starò ascosa, tu va' innanzi,
passa, ch'io tirerò tanto che impari.
Satiro
Non è fuor di proposto, tira pure.
Non tirar tanto, non tirar: che fai?
Melidia
Così chi inganna altrui vien' ingannato.
Satiro
Ai malvagia, ai rubalda, a questo modo?
Rispetto non s'ha a' satiri? Tu fuggi?
Lascia pur, lascia pur. O pecorone.
Non t'avedevi che quell'ampie offerte
apportavano seco alcun' inganno?
Ho perduto l'honor, perduto ho il tempo,
et quasi anche la rete. O fui pur pazzo.
O ben, nissun si creda d'ingannare
alcuna donna mai, c'han di malitia
quanto si puote haver. S'io non sapessi
la via di svilupparla, o come bene
restava qui legato per tutt' hoggi.
Meglio è ch'io vadi altrove, che la sorte
propitia mi s'è mostra qui non troppo.
ATTO TERZO
SCENA I
Turico solo
Turico
Turico, che ti val l'esser sì destro,
far prove ognhor con la tua stanca vita
su l'Erimanto e 'n queste selve oscure,
ne le concave grotte et ne' foschi antri,
ne le paludi et ne' più strani balzi,
hor con orsi feroci hor con cinghiali,
(cosa nel ver' a pensar sol' orrenda,
strana a veder et mostruosa a udire)
e ogni fatica tua nel fin sia indarno,
come s'habbi le reti al vento stese,
o contra l'ombre habbi slanzati i dardi?
Et che ti val, per far ch'ella ritorni
al reciproco amor, ch'era tra noi,
por la tua vita a mille morti il giorno?
Dimmi, che guiderdon, che pregio o merto
sei per portar, poi che ti fugge et schiva
qual perdice falcon, qual serpe incanto?
L'altrhier, perché lasciasse un novo amante,
le promisi donar' il più bell'arco
che si vedesse mai, qual'Athalanta
solea portar. Et le promisi ancora,
quando voglia tornar, sì bella coppa
di faggio, con due orecchie del medesmo,
che fa parer di minor pregio ogn'altera,
Panecon Siringa, et quel d'Egle con Sileno,
qual mi lasciò morendo Alcimedonte,
dicendo: "Habbila cara, il mio Turico,
ch'altra simil non hebbe mai l'Arcadia".
Ai, non cura Stellinia questi doni,
che più di me le ne può dar quell'altro.
Ma a che sto qui a cianciar, perché non seguo
d'ir cercando Carpalio, che s'offerse
sta mane a far per me quanto mi piace?
E lo vuò ritrovar, perché mi sia
d'aiuto in porr'in opra un mio disegno
c'ho fatto per veder ch'ella pur m'ami.
SCENA II
Callinome. Stellinia nimphe
Callinome
Io mi credea c'hoggi le selve e i boschi
devessi ritrovar senza lamenti
de gli amanti pastori, et più che 'n altro
tempo n'ho uditi, et questo avien che poca
riverentia et honor portano a Pane.
Meraviglia non è se la lor greggia
vien furata da i lupi, et s'ogni cosa
lor va al contrario. Oimè quanta lascivia,
quanta dishonestà regna hor tra loro.
Si trovan certe lascivette nimphe,
non troppo lungi in questi boschi, c'hanno
certe lor cure et certi lor pensieri
che non ponno adempir, certe lor voglie
che farian meglio a porre altrove il core.
Io pur son bella et non invidio un'altra,
e son' amata da pastori assai,
ma, non di meno, in me non puot'Amore,
ch'io non mi lascio volger di leggieri.
Che bell'udir talhor una di queste
che segua un pastorel che lei non curi,
et ch'ella lui più che se stessa brami.
Stellinia
Che fa qui sì soletta questa nimpha
cui porta tanto amor' il crudo Erasto,
Ben che lo fugge più ch'agnella lupo?
Callinome
L'altrhier, porgendo a le mie stanche membra
dolce riposo sotto ombroso faggio
per la caccia ch'io fei dietro una cerva,
senti' spiegando in lamentevol voce
uscir del petto alti et profondi amori
a una nimpha che 'n vano Erasto segue,
qual me che 'l fuggo, se non può col corpo,
di seguir con lo spirto al men non lascia.
simil' a queste o tai parole usando,
fea d'ogn'intorno risonar' i boschi.
Stellinia
A tempo qualche cosa a udir son giunta.
Callinome
"Perché vuoi tu lasciar, benigno Erasto,
d'amar nimpha sì bella com'io sono,
che tanto t'ama, sol per seguir quella
Callinome crudel', e 'n amor fredda
via più che 'l ghiaccio, cui non cedo punto
di bellezza et d'ardir? Deh, che non vedi
che seguendo costei segui il tuo danno
et la ruina tua? Tienti pur morto,
s'avien che la sua dea mai se n'avegga."
Stellinia
Costei dice di me certo et d'Erasto.
Callinome
"Per te, crudel più che selvaggio toro,
lasciato ho il mio Turico, pastor tale
che per cantar con la sampogna in versi,
per innestar diversi et varii frutti
sopra un sol' arbor, non invidia alcuno.
Hor mi sovien, ch'essendo io al par di lui
vidi ne l'unghie a pellegrin falcone
vicina a morte timida colomba,
et ei col suon de la sua dolce canna
fe' rifermar il predator su un mirto,
lasciando il volo a l'acquistata preda,
et, lei lasciata, ripigliar lo spirto.
Perché dunque mi fuggi, Erasto altero?
Perché non degni così bella nimpha?"
Stellinia
So che di passo in passo, ad una ad una
notò le mie parole, hor segui pure.
Callinome
"Perché, lassa,"dicea, "perché rifiuti
ciò che ti dona chi per te si strugge?
Lassa, pur feci io, pur con queste mani
quel velo ch'io ti porsi in van, che tanto
tra ogn'altra ch'opri l'ago è havuto in pregio,
ove si può veder Venere, a caso
punta dal figlio Amor con un suo strale,
seguir pensosa il giovinetto Adone.
Quivi veder' i dolci abbracciamenti
puoi, mentre aviticchiati entrambi stanno.
Più in oltre puoi veder de i preghi i gesti
ch'ella gli fa con ammonirlo et farlo
più cauto, ch'egli lasci il seguir fere
c'habbiano in sé qualche nociva parte.
Oltre di ciò si scorge il bel garzone
star' in battaglia col cinghial feroce,
che, stratiato da quel, riman' essangue.
Quindi schietto si vede com'in fiore
purpureo si cangia il bell'Adone,
la dea lasciando sconsolata e trista,
tal che diresti che Natura istessa
si stupiria de l'opra di Stellinia,
sì ben con l'ago sa imitar natura.
Perché vuoi dunque, Erasto, un sì bel dono
sprezzar, che tanti che vedendol solo
si tengono felici, anzi beati?"
E simil' altre parolette usando
c'havrian mosse a pietà l'onde et i venti.
Stellinia
S'io non credessi ancor che 'l vago arciero
t'havesse a trappassar quel duro petto
con mille strali de' più acuti c'habbia,
con le mie man queste mie treccie bionde
troncherei sì che la natura insieme,
volendo, non potria porle 'n mill'anni.
Callinome
Ma non è questa quella bella nimpha
che pur hor nominava? Ella è per certo.
Ecco che verso me vien passo passo.
Stellinia
S'io potessi levarle quella cinta
che porta intorno, Amor potria ferirla.
Nimpha leggiadra, ch'ad ogn'altra togli
debitamente di bellezza il pregio,
dimmi, qual'è l'amor che qui ti mena?
Ch'esser non può, ch'essendo bella, Amore
in te non habbia la sua gratia infusa.
Callinome
Senza ch'altri te 'l dica tu ben sai
nimpha gentil, che 'n me non ha possanza
quel cieco Amor che voi tutt'altre acceca.
Sciolta son' io da ogni pensier d'amore
che cader possa in cor di donna. Ond'io,
quanto per me si può, ringratio quella
a cui la di noi cura ingombra il petto
via più che de l'istessa sua persona.
Stellinia
Ho più volte disio non poco havuto
d'entrar nel vostro choro, ma una nimpha
con false paroline il cor mi trasse
da quella così degna e honesta impresa.
Callinome
Che cosa potea mai dir la malvagia
(sia qual si fosse) che potesse un core
dal suo primo voler trar con parole?
Stellinia
Potria porr'amistà tra il nibbio e 'l corvo,
tanto sa ben parlar. Deh, nota il modo
col quale mi fe' far quant'ella volle,
ch'a punto fu in tal guisa: "O saggia nimpha,
se tu sapessi de le mille parti
sol' una quanto è amor dolce et soave,
tu lasceresti quell'ambrosia ch'usa
tutto il choro divin ne l'ampio cielo.
Altre fragole sono et altre ghiande,
altre poma, altri frutti quei ch'amanti
soglion nel bel giardin coglier d'Amore.
Che qui si vede quanta forza un pasto
sol di quegli habbia, ch'una donna brutta,
brutta quanto si voglia, dopo il gusto
di simil frutto, a guisa di serpente
si spoglia di bruttezza e beltà prende.
Però tu che fra l'altre belle bella
sei, se gustasti un amoroso frutto
a la madre d'Amor faresti invidia,
e alhor vedresti questo et quel pastore,
anzi questo et quel dio sacrarti altari,
et adorarti come dea del cielo."
Ma, oimè lassa, che 'l contrario tutto
di ciò pur m'intraviene, ch'un pastore,
come tu sai, invan seguo et adoro,
onde 'l mel mi si fa fele et veleno.
Callinome
Quando un si sente 'n qualche error' avinto
vorria che 'n quel cadesse il mondo tutto.
Astuta ben saria quella, et accorta,
che me con bel parlar la mente altrove
per volger fosse mai da quel che prima
mi mostrò il cielo in sin da' tener anni.
Stellinia
Deh, se sei nimpha, come mostri, adorna
di cortesia, deh, non negarmi il primo
piacer che 'l troppo ardir mio ti chied'hora.
Callinome
Chiedi ciò che tu vuoi, che se fia cosa
che si possa per me, non te la nego.
Stellinia
Mostra, ti prego, quella benda ch'opra
sì forte contra Amor lascivo, s'io
di veder tal mister però son degna,
tanto che 'ntorno la mi cinga alquanto,
per sentir se l'amor da me si parte,
ch'a seguir quel pastor mi sprona et punge.
Forse a voi ne verrò per prendern' una,
che 'n vero ho invidia al tuo felice stato,
mentre solinga, senza Amor 'intorno
Seguendo vai hor questa fera hor quella.
Callinome
Quantunque espressamente ci habbia imposto
l'alta reina nostra che da torno
non si sleghiamo a tempo alcun tal fascia,
non di men son contenta compiacerti,
tanto che invochi il triplicato impero
de la mia dea che 'n tuo favor si volga.
Poi vuò che tu mi renda il mio legame.
Stellinia
Ah, nimpha più cortese che natura,
non dubitar, farò quanto a te piace.
Callinome
Slegal tu stessa.
Stellinia
O membra delicate.
Eccolo, sii contenta, poic'hai fatto
il più, di far' il men. Legalo, nimpha,
che da me non potrei. Tu stringi forte.
Callinome
Sorella mia lo stringer forte importa,
che se non fosse stretto, il suo vigor,
se non del tutto, in parte perderebbe.
Stellinia
Stringe quanto tu vuoi, quanto ti pare,
che tu ben dei saper come si faccia.
Hor porge a la tua dea qualche preghiera.
Callinome
O alta dea, che i bianchi cervi desti
a un tempo e affreni e arresti,
figlia del re del cielo,
ch'al tuo bel frate 'n Delo
del ventre uscendo aiuto almo porgesti,
pel tempio ove s'accendon tanti lampi,
sì che par che tu avampi,
pe 'l tripartito impero,
il più benigno e 'l fero,
et per l'altro ove noi tue nimphe accampi,
non ti sdegnare che questa virile
saggia nimpha et gentile
venga sotto il tuo freno
nel bel contorno ameno
con noi cacciando, nostro antico stile.
Sappi reina, che le ha tocco il core
lo spirito migliore
con apparente raggio,
qui sotto questo faggio,
ond' ella vuol lasciar Venere e Amore.
Stellinia
Sento pastori assai tra queste frondi
venir con passo frettoloso et presto,
leva, su, non istar più così, nimpha.
Callinome
Chi son costor?
Stellinia
É parte di pastori,
c'hoggi van celebrando intorno intorno
i giochi che si fanno a Pan Liceo.
Callinome
Rendemi, nimpha, la mia benda prima
ch'aggiungano, fa' tosto.
Stellinia
Aspetta, aspetta,
vuoi che veggan che m'alzi e panni al vento?
Tantosto passeranno, ecco son giunti.
Tanto più tempo Amor 'havrà di trarle.
Callinome
Oimè.
Stellinia
Non dubitar, che non dan noia.
SCENA III
Sacerdote. Choro
Sacerdote
Tu, c'hai le corna risguardanti al cielo,
fisse ne l'ampia fronte et spaciosa,
con bianca barba che del petto ascosa
tien la parte maggior col lungo pelo;
Tu, che 'n vece di vesta o d'altro velo
porti il gran cuoio cinto,
di bel color dipinto,
et con macchie distinto,
che stupor grande apporta, o Pan Liceo.
Il Choro risponde in musica.
Choro
O Pan Liceo, o Pan Liceo.
Sacerdote
Tu, che come ver re lo scettro tieni
ne l'una man come celeste dono,
ne l'altra lo stromento onde quel suono
sì dolce trahi ch'ogn'empio cor' affieni;
Tu, che con piè di capra vita meni,
con faccia di colore
tra rosso e nero, il core
mostrane e 'l tuo favore
tanto grato a ciascuno, o Pan liceo.
Choro
O Pan Liceo, o Pan Liceo.
Sacerdote
Habbi del gregge et de l'armento cura,
che va pascendo in queste folte selve,
ove sta d'ogn'intorno d'aspre belve
stuol che l'ancide et di nascosto 'l fura.
Guardalo ognhor da incanto o da fattura,
guardalo da ogni male,
poiché gli è tanto frale,
se 'l pregar nostro sale
in sino a le tue orecchie, o Pan Liceo.
Choro
O Pan Liceo, o Pan Liceo.
SCENA IV
Callinome. Stellinia
Callinome
Deh, dimmi, nimpha mia, perché cagione
Portano que' pastori quel flagello?
Se sai tanto mistero et s'io son degna
di saperlo.
Stellinia
Lo tengono per questo,
che le donne che son gravide vanno
loro incontro et si fan batter le mani,
perché più lieve il partorir lor venga.
Et se vi è donna alcuna che giacendo
con l'huomo divenire non possa madre,
subito par che 'l far figliuoli impetri.
Callinome
Rider tu mi farai. O volentieri
(se però non ti scommodo) verrei
a veder tutto il resto di que' giochi,
che 'ntendo che si veggon belle cose.
Stellinia
Bellissime nel ver. Ma chi ti tiene?
Callinome
Dubito che Diana nol risappia.
Stellinia
Deh, che vuoi star d'haver un giorno lieto,
il qual sì tosto più non vederai,
per dir che temi che Diana il sappia?
Andiamo, andiamo, chi vuoi che le 'l dica?
Callinome
Gl'invidi del mio ben. Se mi prometti
di tacer, ne verrò.
Stellinia
Per questo giorno
tanto solenne ti prometto ch'io
son per tacer. Andiamo.
Callinome
Dammi prima
la cinta mia.
Stellinia
Andiam pur, c'hor te la rendo.
Fatt'ho pur tanto che cagione ancora
sarò di far precipitarla et porla
in disgratia a Diana e a le compagne.
ATTO QUARTO
SCENA I
Erasto solo
Erasto
Ch'oltraggio, Amor, mi puoi tu far maggiore
che pormi innanzi a gli occhi il fonte chiaro,
et l'acqua sia profonda, s'io vuò trarne?
Callinome, la mia nimpha sdegnosa,
mi conducesti innanzi a i sacrifici
in tempo che da me non si potea
far cosa che 'n spiacer fosse di Pane.
Ma non so imaginarmi onde proceda
che fosse 'n compagnia di quella nimpha,
che di pregio due coppie val d'agnelle,
et io, pazzo, il lasciai, che pur devrei
amar chi m'ama et lasciar chi mi fugge.
Ma Amor n'è la cagione, egli non vuole.
Ma lascia, lascia, ingrata, se Diana
può mai saper che 'n mezo di pastori
hoggi sei stata a rimirar lor giochi,
ti darà quella pena che tu merti,
et s'altri non le 'l dice, io sarò quello
che 'nnanzi a lei t'accuserà del fallo.
Ai, duro Erasto, che? Potrai soffrire
d'usar simil oltraggio a la tua nimpha?
Non sai che ben per mal render si deve?
Se ben sin qui s'è mostra a te crudele,
forse lo fa perché a le sue compagne
non dia sospetto alcuno o alcuno inditio.
SCENA II
Orenio. Erasto
Orenio
Deh, perché non mi diede 'l ciel cent'occhi
alhor ch'io nacqui, come diede ad Argo?
O m'havesse egli almen l'acuta vista
del lince data o de l'augel di Giove,
acciò scorger potessi di lontano
il giovinetto Erasto. Ai sorte iniquia,
ai maledetto fato, o giorno oscuro.
Erasto
Misero me, che lamentevol voce
è quella ch'odo del pastor Orenio?
Orenio
Deh, Amor, non ti rincresca, se i miei preghi
vagliono appresso te punto, di pormi
dritto verso il camin dove sia Erasto.
O Erasto infelice, Erasto c'hora
non hai di ben sin qui giamai gustata,
come ti è tolta ogni speranza buona
di poter conseguir mai tuo desio?
Quando saprai, o Erasto, la tua nimpha
in pericol di morte ritrovarsi,
deh, che farai, meschin, di', che farai?
Erasto
Udito non m'ha ancor, né ancor m'ha visto.
Orenio, Orenio.
Orenio
O caso horrendo et strano.
Erasto
Orenio?
Orenio
O, tu se' qui.
Erasto
Più volte, Orenio,
io t'ho chiamato, ma di quei più sordo
sei che sogliono star d'intorno al Nilo.
Orenio
Perdonami il mio Erasto, che 'l gran caso
ove havea posto ogni mio senso e vista
è cagion ch'io non veggo et ch'io non sento.
Erasto
Non altramente che da vento scossa
foglia leggiera, il cor nel petto trema,
quasi presago di futura ambascia.
Ma venga sopra me ciò che di male
può mai fortuna dar' in un sol punto,
pur che sia salva la nimica mia.
Orenio
A punto, Erasto, quella nimpha bella
che tu speravi pur volger col tempo,
hoggi l'ultimo dì fia che la veggi,
(o gran sciagura) eccetto se la sorte
tanto propitia non le fosse, ch'oltre
il giuditio ch'io fo non me 'ngannassi.
Erasto
Oimè, che cosa, Orenio, da te intendo.
Dimmi, ti prego, questa gran cagione,
che più non son per contemplar quel viso,
viso ch'a un tempo mi da vita et morte.
Orenio
Benché, Erasto, mi paia duro et aspro
il raccontarti cosa onde 'l dolore,
che 'l cor t'ingombra ti raddoppiie accresca.
Pur, perché tu, possendo, al caso trovi
qualche rimendio, benché spero invano,
ti farò aperto quel che t'era occulto.
Erasto
Se gli è mal, o gran Giove, che sia senza
qualche rimedio, dammi morte prima
ch'altro dolor al mio dolor aggiunga.
SCENA III
Stellinia. Orenio. Erasto
Stellinia
Ecco il mio Erasto, ecco il mio dolce amante.
Orenio
Erasto mio, gentil come figliuolo,
tu sai c'hoggi Callinome tua nimpha,
condotta da maligna et fera stella,
venne a veder' i sacrifici nostri.
Stellinia
Di Callinome è 'l lor ragionamento,
non può far ch'io non oda qualche cosa.
Erasto
Io la vidi per certo con Stellinia,
et mi parea veder' a punto un tauro
che nel contrasto habbia perduto, et tronco
si senta l'un de' corni, sì smarrita
si mostrava nel viso.
Orenio
Dubitava
di quel che gli è avenuto, che Diana
e le compagne già ogni cosa sanno.
Ma chi si può schifar da male lingue,
che potrian porre tra la pace istessa
ardente guerra? Onde la dea sdegnosa
e piena d'ira in lei di modo è accesa,
che per le nari, a guisa del mont'Ethna,
sparge tal fiamma, che 'l suo proprio cerchio,
quantunque freddo, accenderia volendo.
Erasto
Oimè, ch'io temo che quest'ira et sdegno
non sia cagion di più che d'una morte.
Orenio
Questo non so, so ben ch'a questa nimpha,
per quanto si comprende, incresce assai
di non t'haver per suo compagno tolto,
poiché sovente con parlar sommesso
par che 'l tuo nome sospirando chiami.
Erasto
Amor forse l'ha punta. Ah dunque, Orenio,
s'usa così verso il tuo Erasto, a darli
con tanto amar questa sì dolce nova?
Orenio
Dolce nova ti par ciò ch'io vuò dirti?
Non dei dunque saper perché ti chiami.
Erasto
Aspetto che me 'l dichi.
Orenio
Oimè, Diana,
non sapendo in qual guisa darle morte
onde stratio ne porti et pena molta,
vuol che sola si ponga a sol contrasto
con lo più alpestro e horribile cinghiale
che pascesse giamai su l'Erimanto.
Et perché sa che tu le porti amore,
e ch'altri come tu non è che l'ami,
altro aiuto dal ciel che 'l tuo non chiede,
ond'hor ne le tue man due vite a un tratto
veggio e due morti all'improviso offerte,
che, se morir lasci costei, la morte
A te procuri, e a te la vita serbi
s'a la vita di lei soccorso porgi.
Erasto
Oimè, che è quel ch'io odo?
Orenio
Homai pon fine
a i sospiri, et con fatti et con parole
cerca lo scampo suo, purché l'aiuti.
Erasto
Che vi posso far' io senza tuo aiuto
et senza tuo consiglio? Che ben sai
che in giovenil' età non è 'l sapere
che star suol in canuta. Però pensa
se cosa sai che 'n tal bisogno possa
esser di giovamento alcuno.
Orenio
É vero
ch'appo me già tener solea un secreto
che mi faceva invitto in ogni impresa,
ma perché gli anni et la mia bianca chioma
più non ricercan far di questa vita
prova di simil sorte, a pena credo
che soverrammi dov'i' l'habbia posto.
Stellinia
Fa' pur quanto tu vuoi, che poco aiuto
dar si può a quel che 'n simil caso è posto.
Erasto
Non ti rimembra al men ciò che bisogna
a porlo insieme?
Orenio
Sì, ma non è cosa
che si faccia sì tosto come pensi.
Prima bisogna haver midolla et peli
del capo et de la fronte di leone,
sangue di drago, et schiuma di destriero
che sia stato in battaglia vincitore,
legate ad unghie di cane con nervo
e con cuoio di cervo, over di damma.
Ma hora mi sovien dove l'ho posto,
andiam, ch'io l'ho a man salva.
Erasto
Andiamo, Orenio,
che del più ardito paio di mie' agnelli
ti faccio don, se questo ha buon effetto.
Orenio
Fatt'io la prova ho più di diece volte.
Stellinia
O, fosti per lo collo a un tronco appeso,
Isposto a' corvi in solitario bosco.
Erasto
Andiamo adunque, et non tardiam di gratia,
che s'io soccorro lei con questo aiuto,
ben sarà tigre, od orsa se poi nega
di volermi accettar per suo compagno.
Orenio
Con questo patto pria l'astrengeremo.
Erasto
Fuor di proposto non mi par che sia.
il ciel ne sia propitio, Amor', e Pane.
SCENA IV
Stellinia sola
Stellinia
Misera me, ch'io credea haver la lepre
al veltro posta in bocca, et ne fia lungi
più che non è da questa pianta al cielo.
Che t'è giovata la tua bella industria
per far levar Callinome del mondo,
se questo vecchio le va a dar soccorso?
A te stessa Stellinia hai pur' il male
finalmente trovato. Ah, che farai?
Se costei vince col favor del tuo
gentil' Erasto, a lui si darà in preda,
et tu sarai Stellinia al fin' esclusa,
sì che gli inganni tuoi a te fan guerra.
Ma non poss'io, prima che dia soccorso
questo vecchio a la nimpha, far Diana
del tutto consapevole et narrarle
ciò c'hora ho udito? E in ver parmi un'aviso
molto al proposto. Ma che farò poi?
Com'Erasto mi vegga andar a lei,
o che sappia, che questo habbia io scoperto,
mi vorrà mal da morte. Onde, credendo
far ben, potrei far mal; meglio è ch'io lasci
far fortuna, che forse questo vecchio
ebbriaco non sa ciò che si dica.
Ma se i disegni miei non hanno effetto,
già non senza ragion questo m'aviene.
Pensa, pensa, Stellinia, che Turico,
infelice pastor, senza ragione
et senza alcuna causa abbandonasti.
Hora il ciel vuol punirti, né vuol ch'unque
un tuo disegno a buon' effetto venga.
Dunque, che dèi tu fare? A qual partito
ti dèi tener? Dèi tu seguir' Erasto,
o ritornar' in gratia al tuo Turico?
Qual capriola ch'anzi a gli occhi tenga
il precipitio et a le spalle i lupi,
Stellinia, sei, et qual posto in un bosco
ove sian più sentieri, et qual sia quello
ov'egli intende non conosce punto.
Che debbo i' far', Amor? Che mi consigli?
Qual via debbo tener? Dammi la mano
e mi conduci a quel miglior partito
che tu conosci e che tu già prevedi.
Ma a che, Stellinia, vuoi seguir pastore
ingrato? Volge, volge 'l tuo desio,
e ritorna a Turico e lascia Erasto.
Deh, poiché questa dilettosa erbetta
me 'nvita, non poss'io stender le membra
incontro a questo Zephiro soave?
Che forse Amor, di me pietà prendendo,
mentre sicura in questo bosco ameno
dormirò alquanto, inspirarammi, et quello
ch'io segua o lasci mostrerammi in sogno.
Riposa appresso me, dardo fidele,
e rendemi sicura da ogni oltraggio
che 'ntravenir mi possa in questo loco.
SCENA V
Carpalio. Turico
Carpalio
Considerando il mio gran mal, Turico,
c'ho sofferto sin qui, render s[icuro]
ti puoi che 'n questo son per porr'ogn'opra
(che ch'ella sia) per amor tuo.
Turico
Farai,
gentil Carpalio, ad huom piacer cui tempo
punto non leverà di rimembranza.
Carpalio
Se lei, Turico, aggiungo, et che sia sola,
pensa pur ch'io farò ciò che tra noi
habbiam deliberato.
Turico
Va' pur via,
ch'io farò al detto fonte ch'è qui appresso.
Carpalio
Non in tempo più commodo di questo
poteva intravenir, c'hor non si vede
alcun pastor per bosco né per selva.
Ch'ognuno è ito a quella fera impresa
di quella nimpha di Diana, astretta
a porsi al gran contrasto del cinghiale.
Turico
S'ella ne scampa, fia voler del cielo,
ma non già per sua forza. Ma lasciamo
questo da parte. Va', Carpalio, et cerca,
che non troppo lontan quindi esser deve,
s'a quel pastor creder si dee.
Carpalio
Gli è huomo
da me fidel provato in ogni conto.
Turico
Hor va', che là t'aspetto.
Carpalio
Io vado, io vado.
SCENA VI
Carpalio solo
Carpalio
O Amor, di quante cose sei cagione.
Vedi come tu privi l'huom d'ingegno,
che per haver Turico la sua nimpha
non si cura di por mia fama a rischio.
Che s'io piglio costei, et che per forza
la leghi, si dirà per questi boschi
ch'io son pastor malvagio et ch'io fo cose
crudeli. Che? Per questo poi Turico
si crede di tornarla a le sue voglie?
E far che s'ella vuol ch'ei la disleghi
gli prometta di far ciò che a lui piace?
Carpalio, tu ti metti a un gran periglio.
Se l'huom non pon la vita per l'amico,
per chi porralla? Se 'l buon vecchio Ophelio
non m'havesse la sua man destra porto,
quando havrei dato fine a' miei martiri?
Quando principio al mio gioioso stato?
Per lui pastor son fatto il più felice
che pasca greggia ovunque gira il sole,
et per lui su salito in ciel mi trovo.
Non è nel mondo vita più felice
di quella del pastor, dica chi voglia,
quando ha sue gregge sane, et qualche nimpha
gli porti amor. O incomparabil gaudio,
o soave piacer, o bel diletto
veder' alhor ch'a un fonte, a un chiaro rivo,
che intorno ha varie herbette et varii fiori,
circondato da pini e da alti abeti
da verdi lauri et da ramosa quercia,
una nimpha leggiadra, scalza et scinta,
sovraggiunga, ch'alhor da qualche loco,
ove l'ombra invitava al riposarsi,
se n'era uscita sonnacchiosa et stanca
per qualche caccia, e 'n quel si tuffa et lieta
si rinfresca le man, la faccia, e 'l collo.
Ma non vuò far più indugio, perché quanto
ho promesso a Turico attender voglio.
Ma non veggio io sotto quell'arbor nimpha
che risomiglia a quella di Turico?
Quando vuol far' il ciel contento un huomo,
nulla in contro li può fortunaria.
O, fusti qui, Turico, che potresti,
mentr'ella dorme, a' tuoi desir dar fine.
So che dorme di cor. Come l'herbette
da Zephiro commosse le fan rezzo.
O benedette mani incrocicchiate,
O felice faretra, che quel viso
sì delicato sostener sei degna.
Potrò star io che da sì bella bocca
non spichi un bascio saporito et dolce?
Non posso star: ah, che? Non sai che fede
servar si dee a l'amico? Farò piano,
chi lo saprà, ch'alcun non v'è? Quest'antri
mi scopririan. Deh, basciala. Non voglio,
ch'ancho servar la fé si dee ne' boschi.
Deh, non si serva pur ne le cittadi.
Non vuò far tale scorno al mio Turico.
Potrò soffrir levarla da quel sonno
così soave et dolce? Potrò mai
patir' io d'annodar quelle man bianche?
Horsù, l'amor et la promessa fede
mi sprona, non è tempo ch'io ritardi.
Vuò legar prima i piedi acciò non fugga.
Non ti mover, di gratia, insin che l'opra
non ho compita, e 'nsin che l'una mano
non ho congiunta a l'altra. Farò ancora
di modo ch'ella non vedrà chi l'habbia
legata. So che l'orso, il tasso, e 'l ghiro
perderia seco. Il ciel così ha conchiuso.
Par che si mova. Io me ne vo a Turico.
SCENA VII
Stellinia. Satiro
Stellinia
Oimè, ch'è questo? Oimè, chi qui m'ha avinta?
Chi è stato questo tristo? A questo modo?
Ai, misera Stellinia, oimè infelice.
Deh, che farai, Stellinia sventurata,
così soletta in questo bosco oscuro?
E già la notte s'avicina e 'mbruna?
Deh, perché 'l ciel non manda qui un pastore
che mi venga aiutar' a l'improviso?
Satiro
Io sento lamentarsi fortemente,
et mi par voce feminil. Se cieco
non son, questa è una nimpha ch'è qui presa.
O caso strano.
Stellinia
O satiro malvagio,
O satiro crudele. Certo è stato
egli che m'ha qui avinta.
Satiro
O bella nimpha,
chi è stato quel sì tristo et sì perverso
che qui t'avinse?
Stellinia
Se tu non sei stato,
imaginar nol mi saprei giamai.
Satiro
Non dir già questo, nimpha, ch'io non fui,
et mi vergognerei far tale scherzo.
Stellinia
Se non sei stato tu, slegami adunque.
Satiro
Slegarti? O, o, non sai ch'io son nimico
di voi nimphe, che noi satiri tanto
havete 'n odio.
Stellinia
Slegami, di gratia.
Satiro
Dammi il tuo nome.
Stellinia
Il mio nome è Stellinia.
Satiro
Stellinia?
Stellinia
Sì, Stellinia.
Satiro
A punto è dessa.
Dove è il tuo arco?
Stellinia
Eccolo là.
Satiro
Di tasso.
É questa.
Stellinia
Che vuoi far, di', del mio arco?
Satiro
O, o, che ne vuò far hora il saprai.
Hoggi da me non sei per dipartirti,
che su quest'herba fresca et a quest'ombra
vuò giocar teco a singolar battaglia
del modo che natura e Amor comanda.
Stellinia
Deh, slegami, et dopo ciò che tu vuoi
chiedemi, che l'havrai.
Satiro
Ciò, che t'ho detto
voglio, et non altro.
Stellinia
Io ti farò contento,
ma slegami, di gratia, che le mani
tutte son dormentate, né le sento.
Satiro
Mi prometti di dar ciò che ti chieggio?
Stellinia
Lo ti prometto, dico.
Satiro
Ecco, ti slego,
ma guarda non fuggir, che ben tu sai
quanto son'io di te via più veloce,
onde poi ti farei la più scontenta
donna ch'al mondo o in queste selve sia.
Sei slegata?
Stellinia
Sì sono, et ti ringratio.
Satiro
Ogni promessa è debita.
Stellinia
Gli è 'l vero.
Ma, satiro mio bel, satiro ornato,
sappi, se vuoi con me far cosa alcuna
(come so che vuoi far), vuò pria che tenghi
(per esser donna vergognosa alquanto)
a gli occhi questo velo, che non mai
ardirei discoprirti quel che volle
che 'n donna fosse la natura ascoso.
Satiro
Io son contento far ciò che tu vuoi,
pur che sicuro sia che tu non fugga.
Stellinia
Tien saldo questo lembo de la vesta,
e tienlo stretto, se tu temi ch'io
voglia ingannarti. Sei sicuro ancora?
Satiro
La vuò tener con ambedue le mani.
Stellinia
Tu mostri di fidarti mal.
Satiro
Parole.
Horsù, veniamo al fin, vuoi tu abbendarmi?
Stellinia
Sì voglio.
Satiro
Horsù, di' pur, che vuoi ch'io faccia?
Stellinia
Corcati in terra ch'appo te mi corco
hor' hor' anch'io.
Satiro
Su corcati.
Stellinia
Horsù aspetta,
oimè mi vuoi fiaccare? Aspetta alquanto.
Satiro
Non posso più aspettar.
Stellinia
Sei frettoloso,
aspetta, dico, ch'io vuò prima dire
certi miei preghi a Venere e a Cupido
perché buon fin nostro desio consegua.
Satiro
Di' pur ciò che tu vuoi, purché sia breve.
Mentre la nimpha dice le infrascritte parole, lega la sua sopravesta aperta dinanzi a un albero vicino. Et poi si parte pian piano.
Stellinia
Venere bella, e tu, suo figlio Amore,
concedete a' duo amanti
che mai non gustin pianti,
ma sempre lieti in più fervente amore
(mentre scalda del sol l'ardente raggio)
godino fresco e sempiterno maggio.
Satiro
Hai tu finito? Di'? Tu non rispondi.
O là, sei sorda? Dimmi, hai tu finito?
Costei perduta ha la favella. Il lupo
forse l'ha prima vista. O nimpha, o nimpha.
Che fai? Tu non ti movi. Scoprirommi
il viso. Io romperò i patti. Parla.
Mi slegherò. Tu non me 'l credi? Ai trista,
ai rubaldella, ah pecoron son io.
O sciocco, come sei stato schernito
da queste nimphe. Che? Non ti ricorda
come quell'altra ti beffò stamane?
O feminil' astutia, o inganni rari.
S'io ti potessi haver non scamperesti.
Non più m'ingannerai, se più ti trovo.
Ma a che tard'io? Perché non vo a cercarla?
ATTO QUINTO
SCENA I
Satiro solo
Satiro
Io credo che costei si sia disfatta
o che si sia conversa in fior o in fonte.
Ho ricercati i più riposti luochi,
tutti i cespugli et tutte le caverne,
né l'ho mai ritrovata, et qui pur anche
son le sue robbe. Debbo ritornare
per veder pur s'io trovo alcun vestigio?
Sì ben, ch'io cercherò quest'altra parte.
Ma non è meglio che l'aspetti alquanto?
Perché converrà pur che qui ritorni,
havendovi lasciata la sua vesta.
Ma se fossi veduto qui vicino
a queste robbe ad aspettar costei,
ognun potria pensar c'havessi fatto
qualche oltraggio a una nimpha, onde potrei
portarne alcun' insulto da' pastori.
Ma che? Non se ne vede alcun, che tutti
hor son' intenti a i sacrifici loro.
Tuttavia il tempo è innanzi et si fa sera;
onde, in frotta venendo, potrian darmi
il mal'anno. Ma che? Starò nascosto.
Deh, ch'io non son da tanto che di novo
senza ch'ella mi veggia? Qual migliore,
qual più ispedita, et qual più bella via
fia mai di questa? Se vorrai portarne
quindi queste tue robbe, vuò ti costi.
Ti farò star per tutta questa notte
intiera a far la vegghia a questi boschi.
Non vuò mai che si dica che da donna
sì obbrobriosamente io sia deluso.
Io voglio aprir quest'albero in due parti
e appendervi ogni cosa, et mentre ch'ella
si crederà sicura di levarle,
vuò che vi lasci in pegno ambe le mani,
od una almen, che questo poco importa,
ch'una sol mano, ancora che sia sciolta,
non havrà tanta forza che s'aiuti.
Per forza i' non la vuò, che gli è 'l dovere
pagar l'inganno con un altro inganno.
Che sto dunque a tardare? O, come è duro.
Altra forza, che questa per aprirlo
non bisognava a punto. O, starà bene
come vi ho posto questo legno. O buono,
ch'ella senza alcun dubbio al primo tratto
vi porrà il braccio over le mani sopra,
il qual toccato, l'arbor si rinchiude,
sì che qui rimarrà. Ma se ne scampa,
vuò dir che donne han col diavol parte.
Quindi poco lontan starò nascosto.
A nasconder mi vo, credo che venga.
SCENA II
Stellinia. Satiro
Satiro
Io non lo veggo, certo è andato altrove.
Ah ah, rider conviemmi, questa bestia
che si credea ingannarmi. O gran peccato
ch'io non lo contentassi.
Satiro
Vieni, vieni.
Piglia la vesta, se tu vuoi ch'io rida.
Stellinia
Ma dov'è la mia vesta? Forse questo
buffal per mio dispregio l'havrà tolta.
Ma dov'è l'arco? La faretra, e 'l dardo?
O, o, le veggio. O pecora, ha creduto
Di farmele cercar. Forse ha pensato
Ch'aggiunger non vi possa. O bella prova,
O bello scherno.
Satiro
Senti, senti come
mi vitupera et morde.
Stellinia
O, che vuol dire
che quest'albero è aperto?
Satiro
Oimè, l'aguatto
discoprirà.
Stellinia
Costui nel salir forse
qui sopra per lo peso l'ha schiantato
in due parti.
Satiro
Ha proposo ella et risciolto,
più non temo. Su, spacciati e fa' tosto.
Stellinia
Ma non vuò star più qui, che la disgratia
non rimenasse qui quell'animale,
Ch'egli mi dee cercar per queste selve.
Bisogna che mi slunghi et che m'ingegni.
Oimè son morta, oimè, oimè meschina.
Satiro
Ecco che 'l tordo è dato ne la pania.
Stellinia
O satiro malvagio, oimè, di novo
mi ci ha pur colta. Oimè, questo è un inganno
novo che 'l maledetto qui m'ha [a]tteso.
Oimè, da me non posso, oimè, il mio braccio.
O me infelice.
Satiro
Sì tu vi sei giunta?
A questo modo tu ti pigli gioco
del fatto mio? Così i satiri inganni?
Perfida et disleale.
Stellinia
Oim?eschina
Mi chiamo in colpa, oimè, di ciò c'ho fatto.
Satiro
Colpa a tua posta.
Stellinia
Eh aiutami, ti prego.
Satiro
Aiuto non havrai da me, ch'usarmi
non devevi tal' atto.
Stellinia
Oimè, l'amore
de la mia castità questo volea.
Satiro
L'amor ne i dei maggior dev'esser sempre.
Stellinia
La fede che già diedi al mio compagno
questo non richiedea.
Satiro
La fede c'hebbi
inverso te quando ti diedi aiuto
questo non meritava. Deh, che vuoi
parlar di fede? Poi che fede 'n donna
si può scorger di rado. Fede in donna?
Non mai più crederò, che si ritrovi.
Donna malvagia. "Vergognosa sono."
"Metteti un velo a gli occhi." Tristarella,
sfacciata che tu se'.
Stellinia
Non son per trarre
più da costui pietà, poic'ha sì in odio
il sesso feminil.
Satiro
L'ho in odio a punto
che voi donne cagion sete, che l'huomo
non habbia in questo mondo alcun riposo.
Stellinia
Perché, satiro mio, hai qualche sdegno
d'altra cagion, sol per sfocarti contra
le donne hor ti se' opposto. Ma, ti prego,
lascia quest'ira tua che sì t'acceca
e torna in te, che d'haver noi a schifo
forse ti roderai, et d'haver detto
contra noi cosa che sia men che degna.
Satiro
Favole.
Stellinia
Eh dammi, satiro gentile,
aiuto, che vedrai ch'a servir donna
non si può perder mai, anzi s'acquista.
Satiro
Di' pur ciò che tu vuoi.
Stellinia
Deh, dammi aiuto.
Satiro
Deh sì, per Dio.
Stellinia
E se poi non ti faccio
contento, d'ogni morte fammi rea.
Satiro
Ma che? Havendo costei ne le mie forze,
per suo maggior dispregio, per l'inganno
che m'usò poco dianzi, non debbo io,
senza riguardo haver' a l'honor suo,
adempir le mie voglie?
Stellinia
Oimè meschina.
SCENA III
Turico. Satiro. Stellinia
Turico
Oimè, che fa quel satiro malvagio
qui d'intorno a Stellinia?
Satiro
Pensa pure
che mi vuò contentar senza aiutarti,
ma lasciandoti pur così qui presa
come tu stai, perché sì tosto fuori
non saria di periglio che di novo
con qualche inganno qui mi troverei
deluso. Non mai più mi fido in donna.
Turico
Oimè meschino.
Stellinia
Ai povera Stellinia.
Satiro
Sì tu piangi?
Turico
Ai rubaldo, comportarti
debbo io questo giamai?
Stellinia
Aiuto, aiuto.
Turico
Gli è tempo homai. O là, Silvan, Dametha,
Carpalio, su, pastori, su, correte.
Oimè, la mia Stellinia, adosso, adosso.
Satiro
Oimè rotto è 'l disegno.
Turico
Dalli, dalli.
Satiro
Tempo non è di star più qui.
Turico
Tu fuggi.
Non dubitar, Stellinia, io son Turico,
Ch'a tempo e ad hora ti può dar le mani.
Stellinia
O Turico gentil, gentil Turico,
deh, se calti di me, dammi soccorso
ch'ad altro effetto il ciel qui non ti spinse.
Turico
Ecco ch'io vuò aiutarti, tu fa poi
ciò che ti piace: assai mi basta ch'io
ti mostri l'amor mio tanto più verde
quanto fu il tuo ver me sempre più secco.
Stellinia
Quando potrò giamai, anima mia,
conforto mio, di questo sì bel merto
farti pago et contento? Che se i cieli
mi concedesser di mill'anni vita,
renderti il guiderdon mai non potrei.
Turico
O giorno aventuroso, o giorno lieto,
tanto più accetto quanto men pensato.
Ecco la vesta tua, ecco ogni cosa.
Stellinia
Aiutami, Turico, a rivestire,
ch'io non ho forza.
Turico
Che? Ti duole? Lascia
veder, non dubitar. Eh, non vi hai male.
Deh, se'l duol non è tal che ti rincresca
il raccontarmi, come a questa guisa
con tanto obbrobrio sei qui stata presa
a periglio di perder l'honor tuo,
nol mi negar, poich'ogni tuo scontento
m'annoia e ogni piacer tuo mi diletta.
Stellinia
Due volte, anima mia, qui in picciol tempo
son con due scorni stata avinta et presa.
La prima sallo Dio sol, ch'io non vidi
ch'egli si fosse, che dormiva; e l'altra
quel satiro malvagio mi ci accolse,
il qual'ha fatto tutto ciò c'hai visto
sol perch'a lui di me copia non feci
alhor che m'aiutò, legata essendo.
Turico
O bella cosa s'io vi fossi stato.
Ma il tristo ha havuto ardir di farti oltraggi
sì enormi perché ben sapea che tutti
noi altri eramo intenti al sacrificio.
Ma s'io non era da un compagno mio
nel camin ritenuto, i' giungea a tempo.
Stellinia
Ma chi è questo pastor che 'n qua ne viene?
Turico
Quest'è Carpalio mio, pastor cortese,
qual satio di lodar non sarò mai.
SCENA IV
Carpalio. Turico
Carpalio
Ho sentito gridar' ad alta voce
e mi parea Turico. Ma lo veggio
ch'egli sostien col collo assai contento
a la sua nimpha un braccio; egli già deve
con lei redintegrata haver la pace.
M'incresce esser venuto a disturbarli,
ma li vuò salutar, poiché m'han visto.
Prospera il ciel conservi questa copia
et le lor greggie ognhor felici accresca.
Turico
Di simil gratia ancor te parimente
faccia il ciel degno, poiché tu lo merti.
Carpalio
Tra me godo, Turico, sommamente
sol per tuo amor, poiché sì ben condussi
la lepre al varco ch'è rimasa presa.
Turico
Sopra questo con teco un'altra volta
vuò ragionar, un caso, o se sapesti.
Carpalio
Basta, quanto tu vuoi. Ecco Melidia,
et par sì mesta et sconsolata in viso.
Oimè pur che 'l fratel non habbia intesa
la cosa che tra noi tanto fu occulta.
SCENA V
Melidia. Carpalio. Turico. Stellinia
Melidia
O cieco mondo, o pien d'inganni Amore,
tu m'hai pur presa come pesce a l'hamo.
Ho commesso col mio Carpalio quanto
commesso haver mi trovo. Ma mi è stato
il duol sempre dopoi nel core, il duolo
che mio fratel dar mi potria quand'egli
sappia la cosa come stia tra noi.
Carpalio
Come senza ragion sospira et geme.
Melidia
Se ben dirò ch'un satiro selvaggio
(com'anco quasi inver m'è 'ntravenuto)
m'habbia tolto l'honor, onde noi donne,
come spogliate siamo, altro di buono
in noi non resta, creder non vorrallo.
Carpalio
O, come teme.
Melidia
A posta mi son tolta
di casa, ch'io non vuò la sua fierezza
aspettar sola, io vuò cercar Carpalio,
con cui sicura son per star mai sempre.
Carpalio
Melidia, o là, Melidia.
Melidia
Chi mi chiama?
O il mio Carpalio, di mia vita vero
sostegno, ne le braccia tue mi pongo.
Carpalio
Che vuol dir questo? Di che cosa hai tema?
Onde procedon queste tue querele?
Melidia
O quanto poco è per durar' il nostro
dolce piacer' e 'l nostro bel diletto.
Oimè, ch'io temo del fratel mio crudo
l'aspre minaccie et la vendetta horrenda.
Carpalio
Non dubitar, conforto mio, non darmi
questo sì mal contento, te ne prego,
che sì afflitta vedendoti non lasci
ch'io prenda alcun piacer del mio conforto.
Turico
Quando l'huom pensa haver la rota in mano,
e a suo bel grado di girarla crede,
alhor trabocca in qualche strano abisso,
ove sia d'ogn'intorno il duolo e 'l pianto.
Io mi credea Carpalio il più felice
pastor del mondo, ed hor non mi par desso.
Melidia
Deh, che farem Carpalio? Oimè, Carpalio
dammi conforto, ch'io mi sento l'alma
venir' a meno et liquefarsi il core.
Carpalio
Non dubitar, non dubitar, Melidia,
che se per te bisognerà ch'esponga
questa misera vita, a tutte l'hore
pronta sarà. Deh, lascia il porti affanno.
Lascia questi sospir, questi singulti.
Stellinia
Tutta mi sento alleggerita et scarca
poi che son ritornata al mio Turico,
che pria parea che su le spalle havessi
il mondo, et mi piegasse insino in terra.
Turico
Ti veggio, il mio Carpalio, in gran fastidio.
La cagione non so, la cerco meno,
ma se per te convien mia vita isporre,
comandami, che pronto sarò sempre.
Carpalio
Non accade, Turico, io ti ringratio.
Questa piaga non è cui uopo sia
d'altrui rimedio; se, Melidia, temi
il tuo fratel, con questo legno il tolgo
(purché tu vogli) hor hor di questa vita.
Melidia
Oimè, debbo io del sangue mio medesimo
(ch'a un tempo nati siamo) divenire
micidial? Che mi consigli in questo?
Ma che consiglio? Poiché dee la donna
per lo compagno porr'a morte il padre,
la madre, i suoi fratelli et le sorelle.
Muoia pur egli, et viviam lieti noi.
Turico
Ben fe natura a non dar forze a donna
che invitta e' inespugnabil saria sempre.
Ma chi è costui che vien sì lieto in viso?
Melidia
Gli è Ophelio nostro, che credea di porne
in bel giardino e 'n selva oscura siamo.
SCENA VI
Ophelio. Carpalio. Melidia. Turico. Stellinia
Ophelio
Dove potrò trovar Carpalio mio?
Dove Melidia da me tanto amata?
Vuò pur esser quell'io ch'a'mbedui porti
questa (come mi credo) grata nova.
Carpalio
Senti, Melidia, il nostro vecchio Ophelio,
che noi cercando va con buona nova.
Melidia
Chiamiamilo.
Ophelio
Non credo che più a tempo
cosa sì grata ad huom avenir possa.
Carpalio
Ophelio.
Ophelio
Io ne ringratio il sommo Giove
c'ha morto un sol per conservarne duoi.
Benché morto non è, pur come morto
starà da noi lontan qualch'anno intiero.
Carpalio
Ophelio.
Ophelio
Chi mi chiama?
Carpalio
Il tuo Carpalio
et la Melidia tua, che te più a petto
han che la vita lor.
Ophelio
Carpalio mio,
Melidia mia, che nova, o Dio, che nova
v'apporto a l'improviso.
Turico
Su, Stellinia,
andiamo ancora noi a udir tal nova,
che rallegrar mi possa con Carpalio.
Stellinia
Non ascoltiam, Turico, e fatti loro.
Carpalio
E perché no, s'amici siam? Venite.
Che nova è questa?
Ophelio
Il tuo fratel, Melidia,
mentre stava a mirar intento il porco
da quella nimpha di Diana ucciso,
temendo la sua furia, che già fero
contro lui ne veniva, ratto un olmo
salì, e l'arbor piegosse, anzi si ruppe.
Et ei cadde col tronco in mezo l'onde
del lago, il qual chiunque a nuoto passa
subito divien lupo, onde s'havesti
al misero veduto il capo prima
mutarsi in quel d'un lupo e 'l resto poi
di membro in membro, havresti quel piacere
(mi credo) preso che chiunque alhora
per la sua mala vita a tempo prese,
come diè inditio il batter palma a palma.
Onde se l'infelice per nov'anni
carne humana non gusta, potrà allora,
ripassando quel lago, ne la prima
sua humana forma ritornar, sì ch'ambi
in questo mezo vi potrete dire
i più felici giovani del mondo.
Carpalio
Ben v'ha provisto il cielo, c'havevamo
dat'ordine levarli hoggi la vita.
Meledia
Dunque ha da ritornar dopo nov'anni
huomo com'era prima?
Ophelio
Sì, purch'egli
non gusti, com'ho detto, carne humana,
mentre lupo starà tra gli altri in schiera.
Melidia
Oimè, saran pur pochi sol nov'anni.
Ophelio
Non dubitar, ch'egli potria fra tanto
giunger' al fin de la sua trista vita.
Melidia
Io stupisco del caso.
Carpalio
Et io, Melidia,
non so se questo sogno o desto senta
narrarmi.
Ophelio
O voi felici, o gratia rara.
Non so per amor vostro ch'io mi voglia,
che 'n ver vedendo l'un e l'altro mesto
e mal contento com'erate, il core
sentia che 'n mille pezzi era diviso,
sì come tra più veltri è un picciol lepre.
Turico
Carpalio, mi rallegro del tuo bene,
che sì insperatamente ti è avenuto.
Carpalio
Ben possiam dir, Turico, hoggi che 'l cielo
ci ha rimenati a nova vita al mondo.
Turico
Senti, senti, Carpalio, ecco qui Erasto
che sospirando viene.
Stellinia
Ecco 'l crudele
ch'al fin non vien d'alcun contento suo.
SCENA VII
Erasto. Ophelio. Carpalio. Turico
Erasto
Che vuoi tu far più in questo mondo, Erasto,
poich'ogni stella a' tui disegni è contra?
Che mi puoi far più, Amor? C'hai che tu serbi,
che sia per darmi maggior duol di questo?
Ophelio
Ecco, chi lieto in su la rota siede
in questo mondo et chi nel basso cade.
Questo pastor' al mio giuditio ha cosa
che lo tormenta quanto dir si possa.
Erasto
Ai fortuna malvagia, ai fero Amore,
o Amor malvagio, o instabil dea, o dea
ch'a un colpo hai tronco ogni disegno mio.
Carpalio
Tu che 'l più vecchio sei, chiamalo, Ophelio,
e offerisce di noi l'opra, s'è buona.
Ophelio
Gentil pastor, che 'n questi boschi hai preso
così solingo aspro sentier da mille
angosciosi sospiri accompagnato,
dolendoti d'amor et di fortuna
più del dover' assai, più che non sogli,
dimmi, se dir si può, questa sì horrenda
cagion che di tal duol ti fa sì pieno.
Erasto
Saggio pastor, più non convien ch'io dica
l'alte querele e i gran sospiri e pianti
che per nimpha crudel' ho spesi invano,
che 'n questo tronco è scritto et in quel sasso.
Ma hor, quando credea d'haver nel pugno
la fera che gran tempo ho invan seguita,
più lontana è da me che 'l ciel dal centro.
Non so se sappi la sanguigna zuffa
di Callinome mia poc'anzi havuta
contra un crudel cinghial postole 'n contro
da la dea Diana.
Ophelio
Anzi sì. sciolla,
e so ch'ella è rimasa vincitrice.
Erasto
Però questo è cagion ch'io vuò con questo
dardo darmi nel cor con le mie mani;
ch'ella m'havea promesso (anzi che posta
fosse 'n battaglia) la sua fede, e 'o
questa benda che già portava intorno
mi diede, et io le ho data la fortezza
con certi miei secreti che pon fare
in ogni impresa qualunque huom'to.
Ma dopo che Diana l'uta
star contro quel cinghial sì forte, ch'
quasi al primo incontrar l'to in terra,
l'he prima havea contro costei
tutto ha converso in più fervente amore.
Ophelio
Non suol Diana già rimetter l'
a chi l'e una sol volta; sai
tu di certo che gratia habbia et pietà
costei trovata appresso la reina?
Erasto
Non lo vuò già affermar, ma ben vuò dirti
ch'i me n'to alcun inditio,
havend'to innanzi a la sua dea
andar lei dopo questo, ond'sato
che sia per perdonarle. Havrei ben'
lo fin di ciò aspettato, ma, temendo
di non cader'alche strano errore,
mi son partito, e ciò ch''a,
ancor non so, ma temo sia in mio danno.
Ophelio
Ancor non sai, come la cosa passi
et già ti tieni più che disperato.
Erasto
Ai, s'essi, s'essi contra
pormi a Diana, o che farei. O mondo,
mi sei pur stato sepoltura eterna.
Ophelio
Che vuoi tu far, poi che così a la dea
piace: ben sai che contra i dei non ponno
le forze humane, però ti consiglio
A lasciar questa impresa.
Erasto
Ai che consiglio?
Ai maledetto Amor cieco et nefando,
che nel principio di sì stran camino
m'stri i lieti fiori et gli arbuscelli,
ch'e et spine ha poi nel fin'e.
Turico
Non por la cosa tanto disperata,
che forse ancor potresti haver un giorno
da lei qualche conforto: il ciel sa fare,
fratello, quando vuol, mirabil cose.
Carpalio
Chi è questo vecchio sì felice al mondo,
al par di cui vien così bella nimpha?
Erasto
Questa è la nimpha mia, questa è colei
che lo stame a mia vita accorcia et slunga.
Ophelio
Se ti bisogna aiuto o di parole
o d' qui per te son preparato.
Carpalio
part="I">E noi tutti altri.
Erasto
Stiamo qui in disparte
et ascoltiamo et, come 'o è buono
d'e 'ro, siate meco tutti.
O Dio, come può star ch'ì tosto
sia con Orenio, s'r con Diana.
SCENA VIII et ultima.
Callinome. Orenio. Erasto. Turico. Ophelio. Stellinia. Carpalio. Melidia
Callinome
Non si può inver dir'mente ch'
fosti accorti et prudenti in darmi quello
sì degno et salutifero secreto,
ch'alcun non se n'avide
Orenio
Ben più saggia
fosti tu, nimpha, in dar quel velo in pegno
al giovinetto Erasto.
Callinome
Io credea bene,
che Diana dopo sì gran vittoria
mi devesse accettar con buona pace,
vedendomi sì forte; ma a noi nimphe
non convien deviar da la sua legge
pur un sol punto, che mai non perdona.
Orenio
Che volontà ti venne di venire
hoggi a que'i sacrifici?
Callinome
Causa
ne fu quella Stellinia, che 'me
che noi nimphe portiam cinto d'o,
il qual (come tu sai) diedi ad Erasto,
scinger mi fece, ond'Amor hebbe alhora
forza di far gustarmi a poco a poco
odor de l' e alhor disio mi venne
stato è cagion.
Orenio
Deh dimmi, che pensiero
è ' poi che Diana ti rifiuta?
Erasto
Andiamo tutti insieme e siate meco
in volgerla, accadendo, che mi tolga
per suo compagno.
Callinome
Oimè, che turba è questa?
Turico
Non dubitar.
Callinome
Oimè.
Turico
Non hai temuto
un sì forte cinghiale, e temi hor noi?
Orenio
Erasto, vieni innanzi et hor contempla
quanto tu vuoi la tua leggiadra nimpha.
Callinome, non parmi che convenga
c6apos; mostri più ingrata a chi sì a tempo
t'ha donata la vita, però ascolta
ciò che 'e parlar ti vuò far chiaro.
Tu sai che la tua dea più non ti vuole,
onde, se viver vuoi per questi boschi
senza compagno, o che 'e vita.
Questo pastor cui tu donasti
la cinta che portar solevi intorno,
quasi offerendo a lui quel primo fiore
che già con quella fu sì casto et santo,
vogliam (com'e; 'r) sia tuo compagno,
poiché t'to sempre amor non poco,
e già glie 'ettesti, e qui non valti
alcuna scusa, che se tu vuoi dire
che brutto sia (benché sia il falso), pure
Vener, la dea de la beltà, col zoppo
Vulcan non si sdegnò porr'taglia.
Oltre di ciò, non ti sdegnar che sia
pastor, che tutti gli huomini di pregio
o fur pastori, o da pastor discesi.
Se vuoi dir che lo star tra'i è vile,
a sdegno non l' che la ciprigna
dea col suo bel giovinetto Adone
tra arbuscelli et herbette ignuda giacque,
e in Ida fe'eacute; copia ad Anchise.
Et sappi che divina cosa è amore,
et non humana, poiché i proprii dei
se gli son sottomessi. Io potrei dirti
simil' parole, ma ben veggio
che la tua buona volontà nol chiede.
Erasto
O, quant' tengo con costui.
Non le hai pur detto, Orenio, come ricco
et ben fornito io sia più d'altro
et di greggie et d'i et d'beni,
ch'reder nol vuol.
Orenio
Si fa tuo conto
ch'ol dee saper sì ben com'
Callinome
Quanto forza d'Amor sia grande et forte
ne la persona mia fatt'prova,
et render testimon ne posso a ogn'
ma da quel che su in ciel Giove ha prescritto
nissun su può schifar. Chi mai m'be
fatto creder ch'Amor' devesse
far di me preda in così poco tempo?
Ma tu, Stellinia, principal cagione
d'osa sei stata.
Stellinia
É stato pure
lo tuo sprezzar Amor che t'uto
hoggi mostrar quanto sua forza vaglia.
Callinome
Horsù lasciam da parte tai parole.
Erasto, poiché tu fosti cagione
ch'a ancor, et poiché la mia fede
ti diedi in pegno, ti vuò far contento,
et in segno di ciò questo è l'o.
Ophelio
Ha perduta la voce d'ezza.
Melidia
Tutta mi sento lieta per suo amore.
Erasto
O dilettevol giorno, o giorno ameno.
Ridono i prati, le campagne e i fiori,
et gli augelletti col cantar fan festa.
O Amor, se detto t'a che sia
in parte alcuna contra l'tuo,
perdonami, ti prego, et di'l duolo
stato è cagion d'arola ingrata.
Voi che qui sete a mia felice sorte
presenti, non vi incresca questa sera
con me tutti venir'o tugurio
ove festa farem con canti e suoni.
Carpalio
Venite pur voi tutti al mio, che sorte
a me non men ch6apos,a te stata è propitia
Turico
Anzi, con me venir non vi sdegnate,
che di sorte miglior' non ciedo.
Orenio
Horsù, così si faccia. Hoggi noi tutti
andiamo con Erasto, et con Carpalio
domani, et dopo andremo con Turico.
Carpalio
Così è conchiuso?
Turico
E così sia.
Erasto
E sia.
O il mio gentil'Orenio, la mia vita
e ciò ch'e; mio, vuò che sia tuo per sempre.
Turico
Deh, poiché qui è Carpalio e 'hio Orenio,
la mia Stellinia e 'uoso Erasto,
che tra gli altri pastori tien nel canto
il primo loco, una canzone in lode
di sì felice giorno andiam cantando.
Erasto
Egli è 'r, cantiamo pur.
Carpalio
Cantiamo.
Ma tu, Turico, c'oposo, dinne
pria la canzon che vuoi che noi cantiamo.
Turico
Io son contento, horsù, poiché a voi piace.
Carpalio
O dei silvestri, s'ui d'o
è stato a udir le nostre fiamme vive
su le più fresche rive,
date alcun segno d'ezza e festa,
né quella nimpha et questa
danzando in lieto corno,
si sdegni d'r così bel giorno.
Orenio
Andiam, non più, che l'de la notte
qui non ci sovraggiunga. E voi, madonne,
andate a casa, che tra queste selve
il satiro di notte non vi trovi.
Et se la nostra favola aggradita
vi sia, fate hora sì che si conosca.
IL FINE.
Sonetto dello auttore in morte di uno de i recitanti
Voi, vaghe nimphe, che più volte ascose
vi degnaste ascoltar'ci accenti
del Falco, il buon pastor per cui son spenti
tutti gli honor di queste selve ombrose,
ben've; ragion che le più belle rose
cogliendo andiate con sospiri ardenti,
per adornarne l'ue innocenti
che furo in questa età sì gloriose.
Voi, muse, che 'l e 'l manto
l' conosciuto un Rosio e un Polo,
volgete il lieto in più lugubre canto.
Et tu, compagno a lui già mesto stuolo,
sian sempre i tuoi desiri al lungo pianto,
poiché morte è cagion di tanto duolo.
FINE