Il segreto d’Arvers

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IL SEGRETO D’ARVERS

Commedia in un atto

di JEAN-JACQUES BERNARD

 (Traduzione di Enzo Gariffo)

PERSONAGGI

ARVERS

FONTANEY

CARLO NODIER

IL CUSTODE DELL’ARSENALE

MARIA NODIER

LA SIGNORA NODIER

Commedia formattata da

Lo studio di Carlo Nodier nella Biblioteca dell'Arsenale, nel febbraio del 1831. Nel fondo, due alte finestre danno su un balcone. Fuori, il cielo è grigio. Si vedono le cime degli alti pini che sono lungo le rive della Senna. A destra, il cami­netto, largo, profondo, sormontato ola due lampade. A sini­stra, di fronte al caminetto, è un piccolo pianoforte. In primo piano, è la porta che dà nell'anticamera. In fondo, sono due porte: quella di destra dà nella camera di Nodier, quella di sinistra dà nella camera della signora Nodier. Tra le due fine­stre del fondo è appeso un quadro che rappresenta un pae­saggio alpestre. Tanto la tappezzeria che le sedie sono di stoffa rossa.

(Un giovane è seduto presso il caminetto. E' solo. Ha il cap­pello e il bastone tra le ginocchia. Veste il costume dell'epoca, senza alcuna ricercatezza. Gli pende sul petto  un monocolo, del quale non si serve mai. Ha ventiquattro anni. E' di figura avvenente. Il suo sguardo è dolce, i capelli sono abbondanti e bruni, la barba è molto corta. Dopo qualche minuto,  entra dalla sinistra un altro giovane. Dimostra la medesima età del primo. Ha il viso pallido, e veste con molta ricercatezza. Il suo atteggiamento è fortemente romantico. Il primo giovane si volta al rumor dei passi del secondo giovane).

Il secondo giovane       -  Arvers!

Arvers                           -  Fontaney!

Fontaney                       -  Che fate qui, solo solo?

Arvers                           -  Come vedete, aspetto.

Fontaney                       -  Chi aspettate? Il Messia, il ritorno di Carlo X, la morte dell'ultimo classico o semplicemente i padroni di casa?

Arvers                           - (deponendo il bastone e il cappello) La signora Nodier è presso una parente. Nodier non è ancora rientrato.

Fontaney                       -  Non è ancora rientrato. L'Arsenale è vuoto, oggi. Nel giorno sacro al buon Dio,         -  non è domenica, oggi?  il buon Dio dell'Arsenale è fuggito. Questo sarebbe ancora niente, se non mi avesse dato appuntamento qui, per le tre.

Arvers                           -  Voi conoscete già Carlo Nodier. Vi avrà dimen­ticato.

Fontaney                       -  Ah! egli ha varcato le regioni più inaccessibili della distrazione. E io che gli portavo un lavoro... Vuol dire che aspetterò con voi. Tanto peggio. O... tanto meglio. (Si siede). Lietissimo di rivedervi, caro Arvers.  Come state?

Arvers                           -  Bene.

Fontaney                       -  Anch'io. O piuttosto, malissimo. Ritorno -  non lo sapete?  dal paese delle More e delle Andaluse.

Arvers                           -  Me l'hanno riferito.

Fontaney                       -  Ritrovarmi qui... (Si guarda attorno) Qui... Mi capite? In questo salone... senza Maria.

Arvers                           -  Sì.

Fontaney                       -  Ah, questa casa dell'Arsenale! Nodier davanti al caminetto mentre ci raccontava delle storie... E Maria...Ma­ria a quel pianoforte. Giorno sacro a Dio. Oh, come tutto ciò mi pareva lontano e vicino, laggiù... Tra poco, cade un anno ch'ella s'è maritata.

Arvers                           - Un anno al 17 febbraio, dopodomani.

Fontaney                       -  Un anno! Fenomenale! Alme­no, ditemi subito ch'ella non si è mai disabituata alle belle domeniche di suo 'padre. La si rivede qui, qualche volta? Ohimè! non do­vrebbe più essere così, non vi pare?

Arvers                           -  Ma, in tutto questo tempo, ella è stata a Metz. Appena da una settimana è rientrata a Parigi. (Dopo una pausa) Del resto, frequento da poco tempo questa casa. Ella fa­ceva i suoi preparativi di matrimonio, quando Paolo Foucher mi presentò.

Fontaney                       -  E' vero. Ah! mio povero Arvers, io sono ancora innamorato di lei.

Arvers                           -  Ah!

Fontaney                       -  A voi lo posso dire: se l'anno scorso andai in Spagna fu per Maria. Voi ca­pite che l'ambasciatore non aveva alcun biso­gno di me. Fu... per allontanarmi. Avevo l'ani­ma malata, caro mio. Ma la fuga non è sempre un buon rimedio. M'illudevo che il tempo e la distacea potessero molto sui miei sentimenti. Ah, per l'inferno! ero un fanciullo. Laggiù non avevo altro scopo che quello di ritornare. E, a furia di rodere il freno, son riuscito a scappare. Ma qui, il disinganno m'annienta. Maria lon­tana, a Metz. Ripartire? Ho avuto il coraggio di scriverle, sapete? Che cosa le dicevo? Che sognavo un lungo viaggio dal quale poter ritor­nare un giorno con i capelli, bianchi. (E' agi­tato. Parla, passeggiando) Sì. (Si accorge che Arvers lo fissa intensamente) Che cosa avete? Perché mi guardate così?

Arvers                           -  Io?

Fontaney                       -  Certo, non vi ho ancora detto che quello fu un amore del quale si può morire. D'altronde, state tranquillo che... non morirò. (Si tocca il petto) La tisi non mi lascia il tem­po di morire d'amore. Ma, credetemi, è un sen­timento serio, duraturo, fraterno.

Arvers                           -  Fraterno...

Fontaney                       -  Bisogna che sia così. La mia fiamma ba preso una forma dispettosa. Essa si alimenta dell'ardore che debbo a Maria. Io so­no l'ammiratore oscuro d'una bella incantata. Non esagero. Sì, sì, avete sorriso. No? Voi do­vete capirmi, voi. Non credete che noi siamo un po' solidali davanti a ciò che è accaduto a Maria Nodier?

Arvers                           -  Che cosa le è accaduto?

Fontaney                       -  Ma, mio caro Arvers, la più tri­ste storia del secolo. Sul mio onore di legitti­mista, vi giuro che l'anno 1830 sarebbe stato ancora un arano bellissimo, se non ci fosse stata la caduta di Carlo X. Ma riflettete, dunque: lamusa dell'Arsenale avrebbe potuto sposare l'uo­mo che desiderava. Ninfa del Romanticismo, ella ne sarebbe diventata certamente la dea. Non è per me, povera e misera ombra, che piango. E' per l'Arte. Come Adele Foucher, Maria non avrebbe potuto essere la degna com­pagna di Hugo? Immaginate il destino di Ma­ria legato a uno dei nostri 'più grandi poeti. E invece, catastrofe. Ella sposa un funzionario di finanza e si chiama signora Ménessier.

Arvers                           -  Ma è un buon marito...

Fontaney                       -  Oh, che tetro punto di vista! Fulmini e tuoni! Piuttosto che condurre Maria nello stato attuale, sarebbe stato meglio spez­zare le nostre penne e fischiare Emani. E che cosa ne ha pensato il nostro povero Nodier?

Arvers                           -  Parola mia, prima ha avuto pau­ra; ora è felice.

Fontaney                       -  No! Che uomo! (Sognatore) E che lezione, forse... Quali sorprese ci prepara un uomo simile... Il peggiore imprevisto a lui sembra cosa naturale. Nessun padre, voi mi capite benissimo, nessun padre avrebbe osato concepire per sua figlia così alte speranze. E nessun padre, dopo averle concepite, si sarebbe adattato a cedere la sua creatura a un funzio­nario... Ah, filosofo!... (Va verso il piano).

Arvers                           - (suo malgrado) Che cosa volete fa­re? (Fontaney, che era in procinto di scoprire la tastiera del pianoforte, s'arresta e lo guar­da) Lasciate stare quel pianoforte. Voi non ca­pite... Vi dichiarate innamorato... e... Lasciate stare  il pianoforte.

Fontaney                       -  Il mio gesto vi è parso sacrile­go. Forse non avete torto. Ah! quando riudre­mo questo strumento? Pianoforte di Maria No­dier, quando ritornerai a vibrare sotto le sue dita?

Maria                            - (che è entrata dalla sinistra in primo piano, e che ha udito l'ultima frase) Ma og­gi stesso, Fontaney!

                                      - (Maria ha diciannove anni, bruna, graziosa).

Fontaney                       -  Siete qui?

Maria                            -  Come vedete. E voi? Solo solo, si­gnore?... Buon giorno, signor Arvers. Voi non siete affatto mutato, Fontaney.

Fontaney                       - (baciandole la mano) Sono com­mosso. No, no, nulla è mutato in me... signora.

Maria .......................... - (ridendo) Come soffrite a dire si­gnora... (Imitandolo) « Signora... ». Povero Fointaney... Bravo Fontaney, sono contenta di rivedervi. La vostra ultima lettera mi ha fatto piacere. Bisogna che mi parliate del vostro sog­na un giorno in Spagna. Ma non assumete codesta aria triste. Mi divertite. Avete sempre l'abitudine di giocare al moribondo? Ricordate i volumi che facevate ornare di segni funerari?

Fontaney                       -  Voi siete sempre adorabile. Ah! avrei tante cose da dirvi. Ma entrando in que­sta sala          -  vuota per me, poiché voi eravate assente   -  non credevo di dovervi rivedere co­sì presto. Nulla è mutato, e Maria è sempre qui.

Maria                            -  In visita.

Fontaney                       -  In visita... (Dopo una pausa) Come state, signora Ménessier?

Maria                            -  Bene. Anche mio marito: bene, gra­zie. E' il migliore dei mariti e io gli rendo cen­tuplicato un affetto che, di giorno in giorno, m'è più caro. (Ridendo) Il mio povero Fonta­ney! Ebbene, signor Arvers, non dite nulla?

Arvers                           - (trasalendo) Ascolto. (Pausa) Per­mettetemi di deporre...

Maria                            -  Aspettate entrambi mio padre?

Fontaney                       -  E' uscito.

Maria                            -  Andiamo a vedere. (Si mette al pia­noforte e comincia a suonare. I due uomini la guardano. Dopo qualche minuto, appare sul balcone Carlo Nodier. È  un uomo alto. Ha braccia e mani lunghe. Picchia discretamente ai vetri della finestra, ed. entra nella sala. Ri­mane urti attimo ad ascoltare la figlia. Maria si volta, lo guarda e sorride) Ah! sapevo che non era fuori di casa... (Si alza e gli va incontro) Buon giorno, papà.

Nodier                          -  Sei qui da  molto tempo, Maria?

Maria                            -  Io no. Ma questi signori...

Nodier                          - (si avvicina ai visitatori, e stringe loro la mano) Buon giorno, Fontaney. Come sta­te, Arvers? Scusatemi... Avevo dato degli ordi­ni, ma non per voi. Essi non sono mai per voi.

Arvers                           -  Siete troppo buono.

Nodier                          -  Non sono affatto buono. Sono un povero novelliere che, quando è preso da un soggetto, non sa essere altro che un cattivo uo­mo distratto e burbero. Sono stato assalito da un'idea e ho dimenticato che aspettavo Fontaniey e che Arvers aveva il diritto di' disturbarmi in qualunque ora del giorno...

Arvers                           -  Ma nient'affatto...

Nodier                          -  ...e della notte, mio caro ragazzo. Dunque, ho detto che sono uscito... e sono usci­to davvero sul balcone, malgrado il freddo. Sì, ho approfittato dell'assenza di mia moglie          -  ti prego di non riferite, Maria e ho sognato. Nostra Signora e la Senna sono le migliori ispi­ratrici del mondo. Non conosco altro luogo di meditazione che sia comparabile a quel balcone. Si vede il cuore della città, sebbene si sia molto distanti da Parigi. Sono stato, per circa un'ora, in compagnia con me stesso e... non mi sono annoiato.

Fontaney                       -  E noi avremo prestissimo qual­che nuovo Trilby...

Nodier                          -  E' un alessandrino, Fontaney. Se Dumas fosse qui, vi abbraccerebbe. (S'è addos­sato al caminetto) A proposito, il mese scorso, con Emilio Deschamps, Dumas e Hugo, abbia­mo parlato in versi per circa venti minuti, sen­za che fosse possibile fare altrimenti. Se non fosse stato per il custode dell'Arsenale che, aperta la porta, mi disse:  « C'è un signore che desidera parlare col bibliotecario... », chissà quanto sarebbe durato l'incantamento. Eravamo sul punto di perdere definitivamente il ritmo della prosa e di affrontare il ridicolo di chiede­re le nostre pantofole in versi...

Fontaney                       - (rapito) Bellissimo.

Arvers                           - (c.  s.) Adorabile.

Fontaney                       -  Meraviglioso, formidabile...

Nodier                          -  Versi di tre piedi a rime alterna­te. Attenzione! La poesia è traditrice, miei ca­ri ragazzi.   Diffidate  di lei.

Fontaney                       -  Per meglio amarla...

Nodier -                        -  Naturalmente. Figuratevi che il signore che mi rivolgeva le domande era un giovane storiografo di un certo talento. Veniva ili questo luogo pieno di ricordi per ritrovare l'atmosfera dell'Arsenale di Sully. Ma dubito del risultato. E' strano come gli uomini si illu­dano sul loro destino. Io, ad esempio, non sono che un naturalista mancato... (sorride) o come pensate voi: ira perfetto chiacchierone.

Arvers                           -  Oh!

Fontaney                       -  Come potete supporre...

Nodier                          -  Ebbene, Maria, non credevo di do­verti rivedere  così presto. Che bella  sorpresa.

Maria                            -  Papà, tutta la mia giornata è tua. Non mi muoverò di qui. Mio marito sarà qui per il pranzo, e io riceverò con te e la mamma, stasera, i soliti amici delle nostre domeniche. Proprio come un tempo.

Nodier                          - (con un sorriso quasi infantile) Avete ascoltato, signori...

Maria                            -  Voglio assicurare i nostri amici    -  poiché tu già sei sicuro  -  che non hai perso nulla della tua figliola, da quando s'è spo­sata.

Nodier                          - (c. s.) Ascoltale... ascoltate... che avvenimento! E' necessario che mi consigliate molto. Oh! avrei bisogno d'un servizio... Po­treste avvertire Soulié, Hugo, Balzac, Guirand,

Danzate, SaÌKit»-B»uve? E Gerard d© Nerval e Boulay-Paty?... Mio Dio! mi® Dio! E Lamar-tine che attualmente è fuori di Parigi...

Fontaney                       -  Picchieremo a tutte le porte...

Arvers                           -  Ohimè!...

Nodier                          -  Che cosa, dunque?

Arvers                           -   Questa sera sono di turno. Turno di famiglia.

Nodier                          -  Non c'è turno che conti, oggi, miei buoni ragazzi. Arrangiatevi. Se no, non è vero che voi amate Maria. (Arvers apre la bocca, ma non dice niente) Andiamo, caro Fontaney, poiché ho la fortuna di avere mia figlia per tut­ta la giornata, posso consacrarvi qualche mi­nuto. Che cosa volete mostrarmi? Versi, prosa?

Fontaney                       -  Cifre...

Nodier                          -  Eh?

Fontaney                       -  Quanto costerebbe la collezione spagnola  della quale intendo  parlarvi.

Nodier                          -  Allora, con l'immaginazione, cer­cherò di respirare l'aria del mio paese. Figu­ratevi che Hugo pretende che i ragazzi di Besanijon sono un poco spagnoli. E vedrete che quell'animale troverà il mezzo di farcelo cre­dere. Ma ecco che chiacchiero ancora. Vogliate seguirmi nella mia camera, Fontaney. Ma vi avverto che non vi ascolterò, se non vi espri­merete col ritmo appropriato alla cosa della quale volete parlarmi, e cioè: in decasillabi.

Fontaney                       -  Se vi fa piacere...

                                      - (Nodier e Fontaney escono).

Maria                            -  Non vi pare che sia delizioso il mio grani ragazzone? Non pensate che egli deb­ba rimanere un fanciullo per tutta la vita?

Arvers                           -  Che fanciullo, però!

Maria                            -  Sì, credo che voi gli vogliate bene.

Arvers                           -  Come non volergli bene? Ah! non so esprimere quel che provo per lui. Tutto ciò che proviene da Nodier mi è... Ascoltate! Se non credessi di disobbligarvi, vi ripeterei una parola di... di Fontaney. Il più grande capolavoro di vostro padre è... 

                                      - (La guarda).

Maria                            -  Sua figlia! Se è Fontaney che ha avuto questa trovata, il povero ragazzo manca d'immaginazione. Quante volte ho ascoltato questo banale complimento... Vedete che non mi fa alcun effetto. E non dovrei neppure ri­dere. Il complimento non è neppure lusinghie­ro per mio padre. Sono così poco degna di lui.

Arvers                           -  Ma...

Maria                            -  Sì, sì, so bene che cosa vorreste dirmi. Non nego che possiedo un piccolo, pic­colissimo fascino. Vedete, vi parlo a cuore

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Arvers                           -  Credete... che il passato possa ri­tornare ?

Maria                            -  Ma sì. Mi metterò al pianoforte. Es­si balleranno. E sarà meglio d'un tempo, perché avremo in casa un nuovo ragazzo: mio marito.

Arvers                           - (dopo una pausa) Sì...

Maria                            - (mettendosi al piano) Che cosa do­vrò suonare? (Tenta di ricordare qualche fra­se) Questa... la, la, la... o questa quadriglia... la, la... o questa danza... Ascoltate: musica del giovane Reber. (Arvers non risponde. S'è ap­poggiato al pianoforte e la guarda. Ella solleva gli occhi verso di lui, e s'arresta bruscamente) Che cosa avete? (Chiude il piano).

Arvers                           - (scotendosi) Io?

Maria                            -  Avete lo sguardo d'un uomo pieno di neri progetti, signor Arvers. Non volete dir­mi nulla?

Arvers                           - (abbassando il capo) Ebbene, la verità, signora... la verità è che... m'annoio terribilmente presso il notaio.

Maria                            -  Vedete! sapevo già che c'era qual­cosa. Mio povero amico, non soffrirete più, ora che mi avete confessato ogni cosa. Pregheremo mio padre di volervi togliere da quel luogo triste. Egli vi troverà un'occupazione migliore. E vi presenteremo a Scribe. Avete fatto bene a parlarmi francamente. Avevate un'aria così tri­ste, da lasciarmi dubitare che si trattasse di un'afflizione di cuore. Bisogna venir spesso all'Arsenale. I vostri affanni saranno presto gua­riti.

Arvers                           - (senza guardarla) Vengo sempre con gioia, qui. Vi ringrazio. Io sono, bisogna che lo dica, solo. Forse, non potete capire ciò, voi che siete stata sempre corteggiata, adulata, circondata...

Maria                            -  Andiamo, non tormentatevi più. Noi distruggeremo la vostra noia.

Arvers                           -  Grazie... (I suoi occhi sono fissi sul pianoforte).

Maria                            -   Guardate il mio album?

Arvers                           -  E' vostro?... Sì. (Sfoglia l'album macchinalmente).

Maria                            - (allontanandosi dal piano) L'ho la­sciato qui, perché i nostri amici hanno insi­stito. « Sarà un po' di voi », ha detto Dumas. Si poteva resistere a una simile espressione? Mio padre mi ha scritto che mai è stato tanto sfogliato, quanto dopo la mia partenza. Era per i miei amici uns mezzo di parlare con me. D'altronde, potete vedere: vi sono delle cose nuove:  versi di Hugo, tre o quattro poemi diEmile Descliampis e... una dichiarazione di Guttinger per render geloso Fontaney.

Arvers                           - (che ha cessato di sfogliare l'album, legge qualche nome a caso) Musset, Ernest Fouinet, Vigny... tutti vostri adoratori.

Maria                            - (ridendo) Un adoratore, De Vigny? Perché ha scritto sul mio album la sua storia amorosa durante una partita di caccia? No... Ha molto talento, sebbene sia un po' superbo.

Arvers                           -  ... Hugo... Sainte-Beuve...

Maria                            -  Non manca che qualche vostro ver­so. (Arvers non risponde) Leggete gli ultimi di Emile Deschamps.

Arvers                           - (distratto) Sono bellissimi.

Maria                            -  Li avete letti?

Arvers                           -  No, no... Li leggo. (Prende una penna d'oca che è sul piano, e apre un piccolo calamaio).

Maria                            - (che è seduta dall'altro canto della scena. Senza guardarlo) Conoscete l'ultima barzelletta di  Dumas sul   grande  Saint-Valry?

Arvers                           - (senza smettere di scrivere) No...

Maria                            -  Il grande, l'immenso Saint-Valry aveva un raffreddore di testa. Allora Dumas... (ride) Dumas gli domandò se non avesse preso freddo ai piedi l'anno prima... (Dopo una pau­sa) Non la trovate buffa?

Arvers                           -  Sì, sì...

Maria                            -  Dumas non risparmia mai niente a quel pover'uomo. Saint-Valry ha l'abitudine di non offendersi. Ma non tollera che si parli della sua alta statura. Conoscete quel che ha scritto Méry su di lui? « Egli si curva e spazza un uccello nel cielo... » (Ride da sola; poi si volta verso di lui) Che bellezza! scrivete sul mio album...

Arvers                           - (arrestandosi) Ho creduto che vi facesse piacere... (Entra. Fontaney).

Maria                            -  Finalmente, avete finito, Fontaney.

Fontaney                       -  Vostro padre s'è interessato vi­vamente alla mia idea. E' entusiasta, e certo rimarrà occupato fino all'ora del pranzo, al­meno...

Maria                            -  Che cosa avete fatto? E' la mia festa...

Fontaney                       -  Permettete che vi spieghi...

Maria                            -  Ma non voglio saper nulla. Mio padre, questa sera, non parlerà che di libri spagnoli. (Durante questo dialogo Arvers con-tinua a scrivere).

Fontaney                       -  Mi tenete rancore?

Maria                            -  Mi credete così cattiva?

Fontaney                       -  Vi credo, come dirvi?... molto adulata,

Maria                            -  Qualcuno mi diceva ciò, or non è molto... Arvers, sicuro. (Voltandosi) Guardate. Scrive dei versi sul mio album. Benissimo. Ci tengo ad avere una raccolta di scritti di tutti gli amici. (Ad Arvers) Il vostro mancava. Non dimenticate di firmarvi soprattutto col vostro Dome, Felix... Felice, non è vero? Come vede­te, conosco un po' di latino. (A Fpntaney) An­che voi, recentemente, avete scritto qualcosa. Non vi ho ancora detto nulla?

Fontaney                       -  Non ho avuto ancora questo piacere.

Maria                            -  Mia madre è molto contenta dei versi! che le avete scritto. Voi guastate la fa­miglia, Fontaney.

Fontaney                       -  Voi mi coprite d'ironia.

Maria                            -  Nient'affatto.

Fontaney                       -  Ciò che è delizioso in voi, è che parlate sempre seriamente. 11 paradosso fiorisce sulla vostra bocca come una cosa naturale.

Maria                            -  Che graziosa sciocchezza! (Voltan­dosi) Ebbene, vanno avanti questi versi, signor Arvers ?

Arvers                           -  A momenti, ho finito.

Maria                            -  Non cancellate troppo, vi prego.

Arvers                           - (scrivendo) Non ho cancellato af­fatto.

Maria                            - (a Fontaney) Andate via?

Fontaney                       -  E' necessario. Sapete bene che vostro padre mi ha incaricato di fare il giro dei suoi amici...

Arvers                           -  Ho finito.

Maria                            - (che non ha udito) Ma verrete que­sta sera, non è vero?

Fontaney                       -  Certamente.

Arvers                           - (più forte) Ho finito.

Maria                            -  Avete finito? Vediamo. (Legge) « La mia anima ha il suo segreto, la mia vita ha il suo mistero, un amore eterno concepito in un momento. Il male è senza speranza... ». Ve­do che Fontaney s'impazientisce. Andate pure. Non abbiamo bisogno di voi.

Fontaney                       -  A stasera. (Ad Arvers) Scusate­mi, caro, di non potervi attendere. Sono in ri­tardo. Ora bisogna che corra. (Esce).

Maria                            -  Sempre lo stesso, quel buon Fon­taney... Non cambierà mai, credo. Ma ha una brutta cera. Ciò m'inquieta. Povero ragazzo, ciò m'inquieta... (Vedendo Arvers silenzioso, e dopo averlo guardato un momento) Vi rin­grazio  dei  versi, signor  Arvers. Sono  graziosi.

Arvers                           -  Ma voi non li avete ancora...

Maria                            - Sì, si... li ho letti. Li ho scorsi ra­pidamente.   D'altronde... (Si   avvicina   all’album e legge) «... concepito in un momento. Il male è senza speranza, così che ho dovuto te­nerlo celato. E colei che l'ha provocato non saprà mai... ». Ma sì, sono bellissimi quesiti versi. Rispondono forse a qualche cosa, a una idea, a un ricordo?

Arvers                           -   E'  un'imitazione...   dall'italiano.

Maria                            -  Dall'italiano? Ah! (Pausa. Poi, al momento di riprendere, presta orecchio a una voce distante) Ma... ma... mi pare di udire la voce della mamma... (Abbandona l'album, ed esce rapidamente. Arvers rimane solo. Guarda la (torta dalla quale essa è uscita, guarda l'al­bum e poi, a testa bassa, va a prendere il ba­stone e il cappello. Maria rientra con sua ma­dre. La signora Nodier porta dei fiori che de­pone su  una sedia).

La signora Nodier         -  Che sorpresa trovarti qui di buon'ora... Oh, signor Arvers! Come state? Perché non mi hai avvertita? Non sarei uscita.

Maria                            -  Non ho potuto avvertirti. Mio ma­rito ha avuto la visita d'un suo collega, Poiché m'annoiavo, m'ha detto: «Va' dai tuoi geni­tori. Ti raggiungerò ». Eccomi dunque. Oggi soix) la vostra figliola. Sai che pranziamo qui?

La signora Nodier         -  Immagino la felicità di tuo padre. L'hai già veduto?

Maria                            -  Sì, ma Fontaney l'ha sprofondato in un lavoro dal quale chissà quando uscirà.

La signora Nodier         -  Se lavora, non distur­batelo. Spero di vedervi questa sera, signor Arvers.

Arvers                           -  Sì... Probabilmente... (Avanzan­dosi) Permettetemi di...

La signora Nodier         -  Non sono io a farvi an­dar via, spero. Ne sarei molto mortificata. Non voglio proibirvi di rimanere con Maria. Ma vogliate scusarmi Ufi istante: il tempo di sbri­garmi. Ebbene, Maria, poiché ho la fortuna di averti tutto il giorno, prej) areremo insieme il ricevimento.

Maria                            -  Oh, sì, mamma... Ma dimmi... Un momento, signor Arvers... (Prende il braccio di sua madre ed esce. Arvers rimane solo, esita un istante, poi va rapidamente a chiudere l'al­bum) Eccomi di ritorno... (Ella va verso l'al­bum. Non ha neppure un movimento di sor­presa vedendolo chiuso. L'apre distrattamente e legge) « Son passato sempre inosservato e so­litario, accanto a lei... » (Cessa di leggere e rimane uri attimo in attitudine sognante. Poi) Sapete se Francis Wey è tornato a Parigi?

Arvers                           -  Forse...

Maria                            -  Vi dispiacerebbe passare un< mo­mento da lui? Sono sicura che mio padre sa­rebbe felice di vederlo stasera. (Guarda l’album distrattamente) « E posso dire d'aver com­piuto il mio cammino... ».

Arvers                           - (vivamente) No...

Maria                            -   Che  cos'avete?

Arvers                           -  Scusatemi, bisogna che me ne vada subito. (Pausa) Passerò da Francis Wey.

Maria                            -  Allora,  venite questa  sera?

Arvers                           -  Sì... no... non credo.

Maria                            -  Tanto peggio. In ogni caso, vi rin­grazio per i vostri bei  versi.

Arvers                           -  Poca cosa, quei versi...

Maria                            -  Perché? Li studierò con/ attenzione, prima di parlarvene lungamente. Qui si è sem­pre disturbati. Dunque, andate via subito. Vo­glio leggerli con comodo.

Arvers                           -  Li leggerete?

Maria                            -  Sì, sì, subito.

Arvers                           - (la guarda un istante, le prende una mano e gliela bacia. Esce rapidamente. Ma rientra subito) Verrò,  questa sera... (Esce).

Maria                            - (dopo una pausa) Che cosa si può fare di quel ragazzo? (Ritorna all'album) « E posso dire d'aver compiuto il mio cammino sul­la terra, per non aver osato chiedere e per non aver nulla ricevuto... ».

La signora Nodier         - (rientrando) Che cosa leggi?

Maria                            -  Dei versi.

La signora Nodier         -  Ah, questi tuoi amici! Il tuo album si è molto arricchito dal giorno della tua partenza... Il signor Arvers è andato via?

Maria                            -  Sì.. Hai visto il bel poema di Emile Deschamps? Hai letto gli ultimi versi? Sono mirabili. (Legge con entusiasmo) « Le belle so­no delle regine; è necessario che queste sovra­ne ascoltino qualche verità... ». Il poema è un po' lungo. E' questo il solo difetto. Il signor Arvers è stato un po' più discreto. I suoi versi in verità non li ho ancora letti tutti... Vuoi ascoltarli?

La signora Nodier         -  Non ne ho il tempo, mia cara. Bisogna che questa sera riesca a fe­steggiare la vostra presenza con qualche piatto speciale. Leggi senza affaticarti. Poi prepare­remo insieme. Le sedie, come ai solito. Cambieremo ifiori.

Maria                            -   Com'è bello! Tulio ciò mi ringio­vanisce...

La signora Nodier         -  Sciocchina.,. Alla tua beata età... (Esce).

Maria                            - (leggendo con un sorriso sulle labbra, ma con atteggiamento distratto) « Poiché Id­dio l'ha fatta buona e tenera, ella passerà di­stratta e non ascolterà il lamento d'amore che accompagnerà il suo cammino ». Chi è? (Al custode che entra con un libro in mano) Siete voi, signor Emilio?

Il custode                      -  Signora, questo libro mi è stato consegnato da parte del signor Hugo.

Maria                            -  Del signor Hugo? (Si avvicina, e prende il libro) Ah! «Le foglie d'autunno ». Che bella sorpresa... C4pre il libro), ce A Carlo Nodier... mio grande amico e maestro ». Vado subito a consegnarlo a mio padre. Come sarà contento...

Il custode                      -  Anche gli ospiti saranno con­tenti  di avervi con loro, questa sera.

Maria                            -  Siete molto gentile, signor Emilio.

Il custode                      -  La partenza della signora rese tutti tristi. Ma l'essenziale è che voi siate felice.  Sì, sì. I miei rispetti, signora... (Esce).

Maria                            - (rilegge la dedica di Victor Hugo, e picchia alla porta di suo padre) Papà... (Apre appena, ma richiude subito) E' troppo occupato, in questo momento. Victor Hugo aspetterà. (Posa il libro sulla tavola che è da­vanti alla porta. Poi ritorna al piano e legge) « A l'austero dovere piamente fedele, ella dirà, leggendo questi versi pieni di lei: " Chi è mai questa donna?... ", e non comprende­rà ». (Rimane un attimo con gli occhi fissi da­vanti a sé, e poi) Ah! bisogna mettere in or­dine i fiori. (Allora toglie i fiori appassiti da ciascun vaso e li getta in un cesto che ha preso da un angolo. Il suo atteggiamento è soddi­sfatto e un po' distratto, come di vecchia abi­tudine familiare alla quale è dolce abbando­narsi. Poi impercettibilmente si mette a can­tare sul motivo di « Malborough ») « E non comprenderà... e non comprenderà... ». (Ha finito di togliere i fiori secchi. Prende ì fiori freschi che sua madre ha deposto su una sedia e comincia a separarli. E continua a cantare) «E non comprenderà... e i»n compren­derà... ».

                                      - (Nodier entra dolcemente. Maria non se ne accorge. Egli rimane in fondo alla scena. La guarda e l'ascolta un istante con un sorriso sulle labbra).

Nodier                          -  Che cosa canti, Maria?

Maria                            - (voltandosi, sorpresa, con i fiori in mano)   Io? lo canto ?

                                     

 


 

                                     

FINE