Il serpente a sonagli

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IL SERPENTE A SONAGLI

Commedia in tre atti

di EDOARDO ANTON

PERSONAGGI

SONIA

MADDY

VANIA

NISIA

DIOMIR

LAUSY

COLLEGIALI

LA DIRETTRICE

LA VICE-DIRETTRICE

L’ISPETTORE

L’AIUTANTE

IL PROFESSORE DI CHIMICA

IL PROFESSORE DI BALLO

IL CUOCO

IL DOTTORE

IL GIOVINOTTO

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

Il dormitorio del primo atto ha sei letti, tre per lato. Un settimo letto, nell'angolo in fon­do, a sinistra, è mascherato da una tenda bianca ad angolo: è quello dell'istitutrice. Nel fondo, inmezzo al­la corsia, la comu­ne che porta nello studio delle « grandi». A destra, tra i letti, una finestra. A sinistra, in alto, due finestrelle piccolissime che danno luce al corridoio. In prima, a destra, dopo qual­che gradino, la porta che dà ai lavabo, al dì qua di un angolo retto del muro. All'alzarsi del si­pario è accesa soltanto una piccola lampada notturna e nessuna luce entra dalla finestra, perché sono le sei di un mattino d'autunno. Le sei collegiali dormono nei loro letti tranquillamen­te. Soltanto Sonia non dorme: si alza a sedere sul letto, si guarda in giro e si corica di nuovo. Dopo qualche istante suona a lungo la campana della sveglia. Gesti del risveglio in tutte, tranne in Nisia e Sonia. Chi sbadiglia, chi si stira, chi si volta pigramente dall'altra parte e mette la testa sotto il cuscino; Vania mette i piedi a ter­ra rimanendo seduta sul letto. Ma nessuna si decide ad alzarsi.

Sonia                               - Nessuna si alza stamattina?

Diomir                             - Il «rospo» non ha accesa la luce!

Lausy                               - (alzando un poco la voce) Forse è di là, al lavabo.

Diomir                             - Non avrà sentita la campana.

Sonia                               - Oh, figurati! Proprio lei! Piuttosto, io credo che sarà una giornata strana, oggi, per la nostra signorina! Maddy! Chiama Maddy.

 Vania                              - (sporgendosi a scuotere Maddy) Perché fai finta di dormire? Ti chiama.

Maddy                             - Io facevo finta di dormire?

Vania                               - Avevi gli occhi aperti. Ho visto io!

Sonia                               - (a Maddy che si è messa a sedere sul letto) La signorina non ha ancora accesa la luce! Non deve avere tempo, stamattina!

Maddy                             - Zitta, stupida! (Tra Lausy e Diomir si è accesa intanto una piccola zuffa a colpi di cuscino e a risate).

Vania                               - Allora l'accendiamo noi, questa luce?

Nisia                                - (che si è destata) Ma no. Una volta che ci capita di poter fare le poltrone per cin­que minuti!...

Maddy                             - Tanto, prima o poi...

Sonia                               - A me piace tanto crogiolarmi nel letto al mattino! Quando avrò un marito si al­zerà per primo e mi porterà a letto la cioc­colata.

Vania                               - (piagnucolando) Io dovrei ripassare il latino.

Maddy                             - E alzati, se vuoi. Non ci vedi?

Nisia                                - Il « rospo » verrà subito, sta' tran­quilla. Sarà a fare una toilette accurata: oggi è d'uscita.

Lausy                               - (che ha abbattuta sul letto Diomir, mentre la pigia con le ginocchia soffocandola sul cuscino) Sì, sì. Ho visto il telegramma alla solita zia.

Nisia                                - (lievemente ironica) Già, la zia. De­v'essere poco affettuosa con la nipote, perché ho visto che per farsi rispondere ha spedito il telegramma con risposta pagata!

Diomir                             - (che è riuscita per un momento a li­berare il viso dal cuscino. Con pietà enfatica) Oh, Nisia! Sarà povera! O, forse, mendicante! Sì, sì, deve essere mendicante! Poverina! (Lau­sy la rimette sotto).

Nisi4                                - Chi sa, forse indovini!

Vania                               - Non avrebbe un indirizzo.

Sonia                               - Già, è vero.

Diomiu                            - (quasi soffocata, si libera ed urla) Ma lasciami! No, lasciami, sii buona; finirai con l'uccidermi e avrai rimorso di vedermi pao­nazza con la lingua fuori!

Lausy                               - (la lascia) Sempre esagerata, tu!

Maddy                             - Ssst! Farete arrivare la direttrice.

Nisia                                - Eh! Tra poco sarà qui lo stesso: ve­drà il buio dal corridoio (accenna alle finestrel­le in alto) e dirà: «Là, là, là! Che cosa fanno queste ragazze? ». (Risa).

Sonia                               - Perciò era meglio accendere.

Maddy                             - (rifacendo la direttrice) Là, là, là, il « rospo » ritarda un po' troppo!

Tutte                                - (in coro) Là, là, là! Dove sarà? Dove sarà?

Vania                               - Ssst! La direttrice! (Tutte si nascon­dono sotto le coperte).

La direttrice                     - (entra; accende la luce) Là, là, là! Che cosa fanno queste ragazze? Andia­mo, su! Svegliatevi! Nel nome del Padre, del Figliolo e dello Spirito Santo...

Tutte                                - (rapidamente si sono messe in ginoc­chio sul letto) Così sia.

La direttrice                     - Ma dov'è la vostra signo­rina?

Nisia                                - Dev'essere ancora alla toilette.

La direttrice                     - (va ai lavabo, ma non vede nes­suno; allora torna indietro, scosta la tenda dalla parte della porta in modo che le ragazze non possano vedervi dentro) Signorina! (Le ra­gazze trattengono le risa. La Direttrice, che è rimasta pochi secondi dietro la tenda, ne esce con un viso sconvolto) Ragazze, su, presto, vestitevi in fretta e andate nello studio. La si­gnorina non... non sta troppo bene, quindi... Tu      - (a Lausy) va subito a chiamare la Vice­direttrice.

Lausy                               - Così? Con l'accappatoio?

La direttrice                     - (impaziente) Non discutere. Fa quello che ti ho detto. (Lausy esce. Le al­tre con gli accappatoi sulle spalle vanno leste a lavarsi, dopo aver tratto dai tavolini da not­te saponi, pettini, spazzolini, ecc. Sonia e Mad­dy si danno sguardi d'intesa spaventate. A que­ste due che indugiano) Presto, presto, voi due. Fra cinque minuti dovrete essere pronte. Verrà il... dottore.

Sonia                               - Sì, signora Direttrice.

La direttrice                     - Non avete sentito, stanotte, la vostra signorina lamentarsi?

Maddy                             - Io no.

Sonia                               - Neanch'io. Ma si sente male molto?

La direttrice                     - Un poco... Un poco...

Sonia                               - Vuole che domandi alle altre?

La direttrice                     - No. Vedremo più tardi. An­date, presto. (Le due ragazze via. La Direttrice, quando è sola, si fa forza e guarda attraverso un lembo alzato della tetida, ma si ritrae subito con un viso terrificato, all'entrare di Lausy e della Vicedirettrice).

La vicedirettrice              - Ecco, signora; che cosa c'è?...

La direttrice                     - La signorina... si sente male. Molto male. Bisogna chiamare il nostro medico qui di fronte. (Dà uno sguardo a Lausy per far capire che non può parlare, e la sorprende men­tre sta per scostare un lembo della tenda dalla parte del suo letto. Allora con veemenza) No! (Lausy fa un salto indietro spaventata; la Di­rettrice, addolcendo la voce, continua) No, non disturbare la signorina. Corri a lavarti. (Lausy, spaurita, via).

La vicedirettrice              - (facendo un passo per al­lontanarsi dalla tenda) Ma che cosa e' è, dunque?

La direttrice                     - Chiami il medico. Fra un minuto deve essere qua.

La vicedirettrice              - Oh, Dio! (Altro passo indietro).

La direttrice                     - Dica che è accaduto un gra­vissimo accidente.

La vicedirettrice              - Ma, insomma... (Altro passo).

La direttrice                     - Per carità, faccia presto.

La vicedirettrice              - Ma... (È ormai in un angolo e s'appoggia alla spalliera di una seg­giola).

La direttrice                     - È morta.

La vicedirettrice              - (che è caduta a sedere con le mani sulla faccia) Oh, Gesù!

La direttrice                     - (sempre sorvegliando la porta dei lavabo) Andiamo, su, andrò io. Non fac­cia capir nulla alle ragazze. Mi raccomando! Vado a telefonare e torno subito, ha capito?

La vicedirettrice              - Ma come, è morta?

La direttrice                     - Non faccia domande stupide. Se glielo dico io... (Via).

La vicedirettrice              - (si avanza un poco verso la tenda come per andare a guardare, ma non ne ha il coraggio e s'arresta appoggiandosi alla spalliera del letto e facendosi in fretta il segno della croce. Quando si è fatta animo e sembra decisa a sollevare la tenda, sobbalza di scatto al rumore del sapone che Maddy, silenziosa­mente, rientrata dal lavabo, mentre fruga nel suo comodino come se avesse dimenticato qual­che cosa, lascia sbadatamente cadere) Che fai tu qui?

Maddy                             - Ho dimenticato il sapone per il viso.

La vicedirettrice              - E quello lì, cos'è?

Maddy                             - Quello non è per il viso. Fa male alla pelle.

La vicedirettrice              - Quante frivolezze! (Qua­si a se stessa) Tanto, quando una meno se lo aspetta, un bel mattino la trovano morta: e non se ne parla più!

Maddy                             - Chi è morta?

La vicedirettrice              - (con veemenza) Cosa ti salta in testa?

Maddy                             - Lei ha detto... ,

La vicedirettrice              - (c. s.) Io non ho detto niente, io! E tu sei una stupida che dice delle parole sconce assolutamente inadatte a una si­gnorina allevata in un istituto come questo!

Maddy                             - Io?

La vicedirettrice              - Sì, sì, basta! Va' a la­varti. (Si volta verso la tenda e di nuovo sobbalza al rumore del cassetto che Maddy sbatte violentemente con rabbia andandosene. Sedendo affranta sulla sponda di un letto) Ma guarda un po' che modi! (Trae dalla tasca un rosario e borbotta una inintelligibile « Ave Maria » che chiude sospirando forte) « Requiem aeternam, dona ei Domine »! (Qualche ragazza fa capo­lino per un istante e si ritira).

La direttrice                     - (che, rientrando, l'ha sorpresa nella preghiera funebre) Bel modo di non far capire niente a nessuno, quello!

La vicedirettrice              - Sono così impressionata!

La direttrice                     - Il dottore credo che stia già attraversando la strada.

La vicedirettrice              - Oramai minuto più, mi­nuto meno!...

La direttrice                     - Come si vede che lei non ha il senso della responsabilità. Vada incontro al dottore e me lo conduca subito. (Vicediret­trice via. Ritornano dai lavabo Vania, Nisia e Diomìr, con aria circospetta). Ragazze, qualcuna di voi ha sentito la signorina lamentarsi, sta­notte?

Vania, Nisia e Diomìr      - (insieme) No, no, signora.

La direttrice                     - (a Lausy, che ritorna dai lava­bo) E tu, Lausy, che sei la più vicina?

Lausy                               - Che cosa?

La direttrice                     - Hai sentito rumori o lamenti questa notte?

Lausy                               - No. Cioè... no, mi pare proprio di no. (Maddy e Sonia, con gli asciugamani in­torno al collo sono scese silenziosamente per i gradini e spiano dietro l'angolo del muro).

La direttrice                     - Vestitevi, intanto. (Poi, an­cora a Lausy) E l'hai udita alzarsi, per caso?

Lausy                               - No, signora.

La direttrice                     - Nessuna di voi si è alzata, stanotte? (Gesti di diniego con il capo. Sonia e Maddy si danno uno sguardo di intesa, come preoccupate, e Maddy cerca la mano della com­pagna stringendola con forza. Poi entrano con disinvoltura). E voi due vi siete alzate, sta­notte?

Maddy                             - No.

Sonia                               - Io no, signora Direttrice.

La vicedirettrice............. - (entrando in fretta seguita dal Dottore) Ecco il Dottore.

Il dottore                         - (inchinandosi alla Direttrice) Buongiorno.

Tutte le ragazze               - (in coro) Buongiorno, signor Dottore!

La direttrice                     - (accennando alla tenda) Là,

 (Il Dottore e la Direttrice entrano. La Vice' direttrice rimane sulla soglia della comune. Lei ragazze si vestono guardando alla tenda e par­lottano leggermente fra loro. Soltanto Sonia, Maddy e Nisia sono inquiete e dimostrano una certa ansia. Alcune fanno dei cenni interroga­tivi a Lausy che è la più vicina alla tenda, come per chiederle se ode qualche cosa. Ma questa, sorvegliata dalla Vicedirettrice, non può avvi­cinarsi e fa cenno di non sentire nulla).

La vicedirettrice              - Ssst! Silenzio!

La direttrice                     - (esce in fretta dalla tenda, si avvicina alla Vicedirettrice, le sussurra qualche cosa e la sospinge fuori dalla comune. Poi le grida appresso) Ma, subito! E qualcuno che sappia farlo con discrezione, per carità! (Alle ragazze) E voi, cosa state lì a fare? Vestitevi.

Diomìr                             - (avvicinandosi) Scusi, signora Di­rettrice, come sta la signorina?

La direttrice                     - (imbarazzata) Meglio, me­glio...

Il dottore                         - (dall'interno della tenda) Si­gnora! (La Direttrice si precipita dietro la ten­da e ne esce dopo qualche istante in tempo per far fuggire ai loro posti un paio di ragazze che si stavano avvicinando).

La direttrice                     - Un catino d'acqua e un asciu­gamano pulito per il signor Dottore. (Tutte fan­no per precipitarsi al lavabo). Una, una sola. Va' tu (a Vania).

Maddy                             - Signora, da due o tre giorni la si­gnorina si è spesso lamentata con me di sen­tirsi male.

La direttrice                     - Ebbene?

Maddy                             - (imbarazzata) Non so. Dicevo così, perché forse il Dottore... Forse la signorina non è in grado di dirlo...

La direttrice                     - (dal di fuori) Dottore, una allieva mi dice che la signorina si sentiva male da qualche giorno. Ma, allora...

Il dottore                         - (dal di dentro) In ogni modo, purtroppo, non c'entra.

(Vania giunge con il catino e l'asciugamano; si dirige verso la tenda, ma con suo rammarico la Direttrice le prende dalle mani gli oggetti e li porta al Dottore).

Sonia                               - (a Maddy) Maddy, perché hai detto questa bugia?

Maddy                             - (seccata) Io non dico bugie. E tu sei una sciocca.

Sonia                               - (mortificata, quasi piangendo) Mi tratti sempre male!

Maddy............................ - (dura) Non avrei mai dovuto. Non avrei mai dovuto prenderti per amica, fidarmi di te.

Sonia                               - Oh, Maddy! Sei ingiusta!

Maddy                             - E tu sei melensa come lo zucchero filato. Non capisci mai niente.

Nisia                                - (a Maddy) Ha ragione lei. Perché hai mentito? La signorina stava benissimo.

Maddy                             - Non è vero. A voi non ha detto nulla: a me sì.

Nisia                                - Ma se non vi potete vedere! E ades­so sei la sua confidente! (A Sonia) Non ci fare caso: Maddy mente sempre!

Maddy                             - Tu taci. Tu che sei funebre come un cipresso, non sei viva! Hai il cuore come una tomba! Chissà cosa c'è dentro!

Nisia                                - (tristemente) Può essere che sia vuoto.

Maddy                             - (aggressiva) Se ce n'è una della quale non mi fiderei, sei proprio tu. Ti credo capace di qualsiasi cosa.

Nisia                                - (c. s.) Chissà. Forse è proprio così.

DioivfiR                          - (a Lausy) Dammi il tuo specchio, per piacere.

Lausy                               - Toh! (Glielo porge).

Vania                               - (raccoglie una forcina da terra presso la tenda dalla parte della comune. Poi, a Nisia) È tua questa forcina?

Nisia                                - Sì, grazie.

Il dottore                         - (uscendo dalla tenda con la Di­rettrice e asciugandosi le mani) Signorine, la loro istitutrice sta molto male; non si avvi­cinino dunque alla tenda e non facciano baccano.

La direttrice                     - Siete pronte, allora?

Diomir, Lausy e Maddy  - (insieme) Un mo­mento. Un momento!

La direttrice                     - (al Dottore) Sarà meglio che lei aspetti quel...

La vicedirettrice              - (entrando di corsa) Ec­co... quel signore. (Entra dietro di lei l'Ispet­tore e subito ella se ne va).

La direttrice                     - Ah, di già?

(Le ragazze lo guardano stupite poi rimboc­cano in fretta i letti e si assestano capelli e vestiti).

L'ispettore                       - (s'inchina) Signora...

La direttrice                     - Ma... le ragazze...

L'ispettore                       - No, no. Prego, le lasci.

La si­gnora                        - (rivolgendosi alla porta dalla quale è uscita la Vicedirettrice) mi ha sommariamente informato per le scale. Un po' confusamente, è vero, ma vedrò da me.

La direttrice                     - (all'Ispettore) Questo è il nostro Dottore.

L'ispettore                       - Lei è venuto adesso, no?

Il dottore                         - Sì, abito di fronte.

L'ispettore                       - (indicando la tenda) Qui, ve­ro? (Il Dottore annuisce). Vogliamo vedere? (Entrano nella tenda seguiti dalla Direttrice).

Lausy.............................. - (che intanto cautamente ha accostato l'orecchio alla tenda ed è riuscita ad ascoltare quanto si dice nell'interno, si ritrae e, appoggiandosi al muro con raccapriccio, dà in un urlo freddo, quasi sillabando) È morta! È morta avvelenata! (Le altre ragazze, che stanno ter­minando di vestirsi, rimangono a mezzo del ge­sto iniziato come inebetite, poi danno in un urlo acutissimo).

Diomir                             - (ripetendo con un grido) È morta!

Nisia                                - (come folle, corre nel mezzo del dormi­torio a braccia levate e grida) Si è uccisa! Vi dico che si è uccisa! Oh, povera me! (Cade a piangere).

Sonia                               - (corre ad afferrarsi a Maddy e ripete stupidamente sotto voce) È morta. È morta. È morta. (Poi si svincola da Maddy che è ri­masta in piedi impietrita e alla Direttrice e alle compagne, girando su se stessa, grida) Non sono stata io! Non sono stata io!

(Tutte le ragazze ripetono più sommessamen­te le loro battute, atterrite).

La direttrice                     - Calma, ragazze, calma! An­date in cappella a pregare e a raccogliervi un poco. Su, coraggio.

L'ispettore                       - (che sin dal primo grido è uscito dalla tenda e ha seguito attentamente ogni pa­rola e ogni espressione di ciascuna) Un momento! Io debbo interrogare queste ragazze.

La direttrice                     - Ma, più tardi, saremo sem­pre in tempo, no?

L'ispettore                       - L'atteggiamento di queste si­gnorine non mi è chiaro. Chiedo pochi minuti.

La direttrice                     - Non vorrà credere, spero...

L'ispettore                       - Lei speri pure, signora. Ma qui sono state dette parole troppo gravi, perché io possa lasciare disperdere il valore psicologico di questo momento rimandando l'interrogatorio.

La direttrice                     - E va bene. Ma badi di ri­manere nei limiti più riguardosi, altrimenti sa­prò con chi protestare.

li, dottore                         - (all'Ispettore e alla Direttrice) Hanno ancora bisogno di me?

L'ispettore                       - (che nel dialogo precedente non ha mai abbandonato con gli occhi le sei ra­gazze) Mi pare di ricordare che lei abita di fronte, no? Mi faccia quell'analisi allora, per favore.

Il dottore                         - (s'inchina) Benissimo, sempre a loro disposizione.

L'ispettore                       - Per cortesia, signora, faccia accompagnare quel mio aiutante che ho lasciato di sotto, in quell'aula lì (accenna alla comune).

La direttrice                     - Nello studio delle « grandi?».

L'ispettore                       - Quello è lo studio delle « gran­di»? Ossia queste? Bene, sì, lì. E che non lasci entrare o uscire nessuno... tranne lei, s'intende. E giù in portineria che il portiere controlli ac­curatamente chi esce e chi entra. (Dottore e Di­rettrice via). Dunque, signorine, su, su! (Batte le mani). Cominciamo subito a fare amicizia. Io voglio che tra cinque minuti loro mi conside­rino un vecchio amico. Va bene? Allora cominciamo dalle presentazioni. Loro rimangano se­dute, ciascuna sul suo letto, perché io per ora le riconosco soltanto dalla posizione. (Prende una seggiola e vi si mette a cavalcioni nel mezzo del dormitorio. Le ragazze intanto si sono un poco rianimate).

Lausy                               - (avvicinandosi all' Ispettore) Io, però, là non ci sto.

L'ispettore                       - Va bene, va bene: è ammesso questo piccolo spostamento. Si metta là con lei (accenna al letto di Diomir). Dunque, io mi chiamo Franz. Non è un gran che, lo so, ma chiedo perdono. Loro? Il nome soltanto: per il cognome c'intenderemo poi. (Le ragazze, an­cora piangenti, non rispondono). Cominciamo di qua (accenna a Sonia). Lei?

Sonia                               - (dopo molti sforzi, come se confessasse una colpa, con uno scoppio di pianto) Sonia!

L'ispettore                       - (dopo aver guardato fisso Sonia, a Diomir) Lei?

Diomir                             - (sospirando) Diomir!

L'ispettore                       - Lei?

Lausy                               - (decisa) Lausy!

(L'Ispettore seguita, indicandole una per una e a ogni nome ripassa tutti gli altri per impararli a memoria).

Nisia                                - Nisia.

(L'Ispettore si ferma a considerarla).

Vania                               - (semplice) Vania.

Maddy                             - (a voce bassa) Maddy.

L'ispettore                       - Ditemi se mi sbaglio. (Indi­candole una dopo l'altra) Sonia, Diomir, Lausy, Nisia, Vania, Maddy. Va bene?

Voci                                 - Sì.

L'ispettore                       - Dunque, signorine, bisogna che loro si sforzino di aiutarmi. Loro non sono più delle bambine, ma delle donne. Delle donne che hanno un cuore, un'anima e della sensibi­lità. Ecco: soprattutto, faccio appello alla loro sensibilità. Qualcuna di loro mi sa dire qualche cosa che possa indirettamente allacciarsi all'im­provvisa morte della loro istitutrice? (Silenzio). No? Allora domanderò io. La loro istitutrice è morta avvelenata: hanno ragioni per credere che si sia uccisa? Era da un po' di tempo triste o preoccupata? (A Sonia) Lei, che ne dice?

Sonia                               - Io?

L'ispettore                       - Sì, lei: che ne dice? Qual'è la sua opinione?

Sonia                               - Ma io non ho un'opinione, signore!

L'Ispettore                       - Ci pensi.

Sonia                               - No, non mi pare. Era come al so­lito... (Con una smorfia).

L'ispettore                       - Perché? Aveva un brutto ca­rattere? Era cattiva? Troppo severa?

Maddy                             - Odiosa!

(L'Ispettore dà uno sguardo circolare, quasi a chieder conferma).

Vania, Diomir e Lausy    - (insieme) È vero. È vero.

L'ispettore                       - Dunque devo concludere che se si fosse uccisa sarebbe una sorpresa per tutte. (A Nisia) Anche per lei?

Nisia                                - Perché? Sono dello stesso parere delle mie compagne.

L'ispettore                       - Allora perché un momento fa lei ha gridato: «Si è uccisa! Povera me!»?

Nisia                                - lo ho gridato così? Non mi ricordo. Del resto, capirà, l'impressione...

L'aiutante                        - (facendo capolino dalla comune) Ha bisogno di nulla?

L'ispettore                       - Sì, guardati una per una le carte dell'istitutrice. (Alle ragazze) Dove le te­neva?

Maddy                             - Nel cassetto del suo tavolino, nello studio.

Lausy                               - Le chiavi le aveva sempre in tasca.

L'ispettore                       - (all'Aiutante) Hai capito?

L'aiutante                        - Sì, va bene. (Avviandosi alla tenda). Qui, vero?

L'ispettore                       - Sì. (L'Aiutante prende le chiavi e se ne va dalla comune. A Nisia) Allora lei nega che le sue parole rispondessero a un pensiero?

Nisia                                - Ma sì, io non ne so nulla.

L'ispettore                       - Strano. Ma per il momento lasciamo andare. Mi dicano, piuttosto, l'istitutrice aveva l'abitudine di prendere qualche cosa alla sera?

Vania                               - Sì, un cachet per l'insonnia.

L'ispettore                       - Quelli di quel tubetto di vetro sul comodino?

Lausy                               - Sì, quelli. Ne ha comprato uno ieri nel pomeriggio.

L'ispettore                       - Verso che ora?

Diomir                             - È tornata verso le sei.

L'ispettore                       - Quanti anni aveva la signo­rina?

Sonia                               - Oh, era vecchia! Almeno trenta.

L'ispettore                       - Eh, sì! Era proprio vecchia!

Maddy                             - Ne aveva esattamente trentuno.

L'ispettore                       - E sanno se avesse qualcuno che... l'amasse molto?

Sonia                               - Lei vuol dire se... Ho capito. Ho capito. No, no. Era...

Diomir                             - Un mostro!

L'ispettore                       - E qualcuno che... l'odiasse molto?

Vania, Diomir, Lausy e Maddy          - (insieme) Oh, sì, sì! Questo può essere.

L'ispettore                       - Perché, loro la odiavano?

(Diomir e Lausy fanno un gesto come per dire: « Così, così! »).

Lausy                               - Un pochino così... (Gesto).

L'ispettore                       - (grave) Ma, signorine, io par­lo di un odio che possa far uccidere! (Guarda Sonia).

Maddy                             - Oh, no, signore! Non guardi So­nia! Ella è innocente come me, come le altre!

L'ispettore                       - (alzandosi di scatto e incombendo su Sonia con la persona) Eppure lei un momento fa ha urlato: «Non sono stata io! Non sono stata io! ». Perché?... Non risponde? (Sonia cade a piangere sul letto disperatamente. A Maddy) E lei perché sente il bisogno di difenderla?

Nisia                                - Ma come fa lei a pensare una cosa simile? Ebbene, io prima le ho detto che le mie parole: «Si è uccisa » non rispondevano a un mio pensiero: è la verità. Però non mi erano uscite di bocca a caso: rispondevano, invece, a una mia impressione.

L'ispettore                       - E su quali basi?

Nisia                                - Nessuna che sia tanto precisa da potersi esprimere.

L'ispettore                       - È poco.

Nisia                                - Non ha detto lei che faceva appello soprattutto alla nostra sensibilità?

L'ispettore                       - Toccato! E da una collegiale! I miei complimenti; lei è forte, signorina. Ma deve anche ricordare che ha anche aggiunto: «Povera me»! Che significa?

Nisia                                - (spaurita) Questo non lo ricordo.

L'ispettore                       - È comodo.

L'aiutante                        - (entrando) Ecco, d'interessan­te ho trovato queste carte. (Consegna e via).

L'ispettore                       - (mette in tasca) Adesso guar­derò. Nessuna di loro, signorine, mi sa riferire qualche particolare che l'abbia colpita ieri sera o nelle prime ore della notte? Qualche cosa, magari insignificante, che loro non si sono spie­gato o che ha rotto le loro abitudini?

Voci                                 - No. No.

L'ispettore                       - Una interruzione di luce, un'ombra che si nasconde, che so io... un ru­more strano...

Diomir                             - (guardando le altre) No, no...

L'ispettore                       - Di qua sono i lavabo e le toilettes, vero? Non è possibile che qualcuno ieri sera vi si sia nascosto, senza che loro lo abbiano visto? (Rapidamente sale i gradini ed esce).

Voci                                 - No, no! Non c'è nulla che offra un nascondiglio.

Sonia                               - (battendo le mani) Ah, io ho sentito un rumore strano, ieri sera!

Lausy e Vania                 - (insieme) E dillo! Dillo!

Sonia                               - Ieri sera, dopo che eravamo andate a letto e la povera signorina o si era già cori­cata o era alla toilette, ho sentito fare «tin-tin-tin ».

Lausy                               - (veemente) Taci!

L'ispettore                       - (tornando) Che cosa si deve tacere, qui?

Sonia                               - (alzando le spalle a Lausy) Mi ero già addormentata, credo da poco, quando, sve­gliandomi, ho sentito come un tintinnare di so­nagli, ma acuto e leggero.

Nisia                                - Anch'io ho sentito qualche cosa di simile, è vero.

Lausy                               - (con severità) Anche tu?

 L'ispettore                      - (osserva attentamente Lausy e Nisia. Poi, a Sonia) E questo dopo aver dor­mito pochi minuti?

Sonia                               - Non potrei giurarlo, però; alle volte un minuto di sonno sembra un'ora e un'ora un minuto.

L'ispettore                       - Dei sonagli, ha detto?

Sonia                               - Sì, una specie...

Diomir                             - (allarmatissima) Che sia stato un serpente a sonagli?

La direttrice                     - (entrando) Ha finito, signo­re? Desidererei che le ragazze scendessero in cappella per le preghiere. Dopo, prima di co­lazione, potrà interrogarle ancora, se crede. (U Ispettore s'inchina. Le ragazze, spaurite, passando il più lontano possibile dalla tenda, in fila per due escono dalla comune mentre la Direttrice dice loro:) Troverete lì fuori dallo studio la Vice. Andate. (All'Ispettore, che in­tanto ha scorso con interesse le carte che l'Aiu­tante gli aveva consegnato) Ebbene? Credo che non sia poi necessario tenere sotto interrogato­rio per delle ore quelle povere figliole, per sta­bilire che l'istitutrice si è uccisa!

L'ispettore                       - Se si è uccisa.

La direttrice                     - Che cosa vuol dire?

L'ispettore                       - Voglio dire che sinora non ho elementi favorevoli alla tesi del suicidio piut­tosto che a quella dell'omicidio.

La direttrice                     - Ma, per carità, signore, non abbia dubbi! Lei capisce bene che in un simile Istituto, nei quartieri più aristocratici della cit­tà, non è facile introdursi di notte né uscirne. Inferriate, chiusure di sicurezza, porte massic­ce, sorveglianza...

L'ispettore                       - Quante alunne conta l'Isti­tuto?

La direttrice                     - Centoventidue, delle quali sessantasette nelle classi elementari, quaranta-nove in quelle ginnasiali e queste sei al liceo. Quello del liceo è un esperimento che abbiamo iniziato quest'anno.

L'ispettore                       - Poi molto personale, si ca­pisce.

La direttrice                     - Sì, ma per le « grandi », adi­bita soltanto alle grosse pulizie, una sola carne' riera che, del resto, è in infermeria da due gior­ni con un attacco d'appendicite. L'ordine ognu­na se lo tiene da se. Da due giorni, poi, hanno fatto tutto per loro conto. Voglio che vengano su, all'occorrenza, anche donne di casa.

L'ispettore                       - Ma è facile con tanta gente, comprese le insegnanti, che qualcuno possa en­trare nel dormitorio.

La direttrice                     - No, l'insegnamento è tenuto da professori di fuori ed è impartito soltanto nelle aule del piano terreno. Questa, poi, come lei avrà notato, è un'ala separata dal resto del fabbricato. Sotto ha i refettori soltanto. In fon­do al corridoio che passa là fuori (accenna a sinistra) è la cappella. Al principio di qua, c'è un passaggio al corpo centrale del palazzo e conduce alla Direzione.

L'ispettore                       - Questo vuol dire che per an­dare in cappella si passa di qua fuori.

La direttrice                     - Per me e la Vicedirettrice soltanto. Le ragazze del refettorio salgono alla cappella per la scala secondaria che è in fondo al corridoio e per quella stessa ridiscendono. Le « grandi » invece vengono direttamente qui.

L'ispettore                       - Insomma lei esclude che qual­cuno, allieva o istitutrice, si sia potuto intro­durre qui durante la sera di ieri?

La direttrice                     - Lo escludo. Qui, signore, re­gna un ordine perfetto.

L'ispettore                       - Lo credo.

La direttrice                     - Ordine materiale e morale che questa morte improvvisa non verrà a tur­bare, a meno che lei non ci metta della buona volontà!

L'ispettore                       - No, nelle indagini io metto soprattutto della coscienza, signora.

La direttrice                     - Spero che sotto questo nome lei non nasconda la petulante sfacciataggine di tanti suoi colleghi. In ogni modo, la prego di dare alla sua inchiesta, che io credo sarà bre­vissima, un carattere, diciamo così, privato, non nominando mai con le allieve parole come « po­lizia» od altre simili. (Con disprezzo) E non facendosi chiamare Ispettore da quel suo Aiu­tante.

L'ispettore                       - Per questo potrò acconten­tarla... Per quanto non capisca troppo...

La direttrice                     - 11 prestigio di un Istituto di questo genere è fatto soprattutto dai racconti delle allieve alle famiglie. Ora bisogna che da qui a domenica, giornata di visita,         - ci sono cinque giorni di tempo, per fortuna            - le ra­gazze abbiano quasi dimenticato questo episodio o, per lo meno, ne abbiano dimenticato il lato truce. Perciò si deve avere la mano leggera nei gesti e nelle parole, perché nulla troppo s'in­cida in loro. Mi capisce? Le famiglie non deb­bono avere racconti spiacevoli. Qui ci sono i più bei nomi della città: e chi ha un bel nome è sempre suscettibile.

L'ispettore                       - Non dev'essere facile dirigere un Istituto con questi criteri così... sottili!

La direttrice                     - Eh, no! Pensi soltanto all'enorme lavoro di censura su la posta che io compio personalmente!

L'ispettore                       - Certamente io mi uniformerò ai suoi desideri, ma bisognerà aiutarmi, allora, lasciarmi il più possibile solo con le sue allieve, dar loro la sensazione... che io sia di casa!

La direttrice                     - Ma... non è corretto!

L'ispettore                       - Pensi se dovessi farle venire nel mio ufficio, alla Polizia, con tutti i parenti e i giornalisti... Che colpo per la sua... politica interna.

 

La direttrice                     - No, no, per carità. Ma che dice mai? Sarebbe la rovina; faccia come cre­de: mi affido a lei. Spero di non pentirmene. (Si avvia per uscire).

L'ispettore                       - (inchinandosi) Avrei qualche altra domanda da farle.

La direttrice                     - Dica.

L'ispettore                       - C'è del personale maschile, qui dentro?

La direttrice                     - L'unico è il nostro cuoco: un vecchio zoppo che è qui da dieci anni e se ne sta sempre nelle cucine.

L'ispettore                       - Fidato?

La direttrice                     - Per quanto mi consta... Da dieci anni!

L'ispettore                       - Quanti anni avrà?

La direttrice                     - Più di cinquanta.

L'ispettore                       - Allora ne avrebbe avuti più di quaranta a disposizione per darsi al delitto e lei non ne saprebbe niente!

La direttrice                     - Ma, le referenze...

L'ispettore                       - Sciocchezze, sciocchezze... Ma intanto me lo mandi. E ieri qualche altro uomo è venuto in Direzione?

La direttrice                     - Sì, il professore di chimica e quello di ballo a riscuotere lo stipendio.

L'ispettore                       - E la Direzione, mi ha detto, è qui vicina?

La direttrice                     - Sì.

L'ispettore                       - A che ora sono venuti?

La direttrice                     - Dunque... Il primo alle set­te, circa, e il secondo mezz'ora più tardi.

L'ispettore                       - E le ragazze dov'erano a quell'ora?

La direttrice                     - In refettorio, o stavano per andarci. No, no: erano in refettorio di già. Per­ciò i due professori sono venuti dalle sette e mezzo alle otto. Alle otto e mezzo le ragazze sono già tornate nello studio per la breve ri­creazione prima di coricarsi.

L'ispettore                       - E sono qui, adesso, i due pro­fessori?

La direttrice                     - A quest'ora? No, il profes­sore di chimica viene nel pomeriggio. Quello di ballo, poi, oggi non viene.

L'ispettore                       - Bisogna che me lo mandi a chiamare. Li interrogherò in Direzione, se lei permette. Ah, e anche il cuoco!

La direttrice                     - Va bene; per ora, intanto, le mando il cuoco.

La vicedirettrice              - (entrando) Le ragazze sono a colazione. (All'Ispettore) Ha telefonato il dottore di dirle che quell'analisi è risultata nulla.

L'ispettore                       - Grazie,      - (La Direttrice e la Vicedirettrice si avviano).

La direttrice                     - (dalla porta) Tra poco le allieve saranno qui nello studio: se ne ha bi­sogno, non ha che a farle chiamare. (L'Aiutante si fa sulla porta).

L'ispettore                       - Benissimo. S'informi, per fa­vore, chi delle allieve « grandi » ieri sera, nell'ora di studio, dalle sei e mezzo alle sette e mezzo, ha chiesto di venire alla toilette.

La direttrice                     - Ma certamente tutte: verso quell'ora si fa un turno e, una alla volta, han­no il permesso di far toilette prima di scen­dere a cena.

L'ispettore                       - Grazie. (Direttrice e Vicedi­rettrice via. All'Aiutante) Qui l'affare è diffi­cile. Queste ragazze ne sanno qualche cosa, ma appena le tocchi si mettono a piangere e non ne cavi più nulla.

L'aiutante                        - Io le arresterei tutte, poi in guardina parlerebbero di sicuro!

L'ispettore                       - Ho avuto ordine dal Capo di trattare delicatamente, se ci fossero state com­plicazioni. Ci sono i più bei nomi della città. Poi l'analisi dell'acqua e del bicchiere è risul­tata nulla: potrebbe veramente trattarsi di sui­cidio.

L'aiutante                        - Sarà...

L'ispettore                       - Ma le ragazze ne sanno qual­che cosa... (Guarda la ricevuta di un telegram­ma, una delle carte consegnategli prima). Come si chiama questo tale? Fritz Aurora? Bel nome. Telefona al paese di costui e chiedi informa­zioni. (Gli consegna la ricevuta). Poi guarda tra i quaderni delle ragazze di chi è la scrittura di questo interessantissimo biglietto. (Porge altro foglio).

L'aiutante                        - Ho già guardato.

L'ispettore                       - Ebbene?

L'aiutante                        - Di Nisia... Nisia... (Come cer­cando il cognome).

L'ispettore                       - Basta: ho capito. (Si volge verso il letto di Nisia). Mettiamo un po' d'or­dine... A proposito, ricordati che qui dentro non mi dovrai mai chiamare ispettore.

L'aiutante                        - Va bene, mi ricorderò di quan­do eravamo a scuola insieme e le davo del tu, piantandole i pennini nella bassa schiena dal banco di dietro: così mi sarà più facile.

L'ispettore                       - Adesso non esagerare!

L'aiutante                        - Ma me ne ricorderò rispetto­samente!

L'ispettore                       - Dunque, un po' d'ordine: o suicidio o omicidio per veleno. Se è suicidio si troveranno le ragioni, e sarà facile. Facciamo, invece, l'ipotesi dell'omicidio.

L'aiutante                        - Facciamola pure.

L'ispettore                       - Possiamo senz'altro presumere colpevoli tutti quelli che abitano o sono venuti ieri nell'Istituto.

L'aiutante                        - Tutti, tutti!

L'ispettore                       - È una parola! Ma intanto li dividiamo in due gruppi; primo gruppo: le sei allieve che conosciamo. Secondo gruppo: gli al­tri, quelli insomma che non vivevano accanto alla vittima.

 L'aiutante                       - E adesso che li abbiamo di­visi...

L'ispettore                       - Adesso il primo problema che si presenta è quello del luogo dove è stato in­gerito il veleno e del come.

L'aiutante                        - E a questo penserà il nostro medico, tra poco, dicendoci quanto tempo pri­ma della morte è stato preso.

L'ispettore                       - Benissimo. E se è stato som­ministrato durante il pasto, in refettorio, i due gruppi si fondono: se invece qui di sopra...

L'aiutante                        - Ma non mi ha detto che l'ana­lisi dell'acqua e del bicchiere è risultata nulla?

L'ispettore                       - Sì, va bene: il bicchiere può essere lavato e l'acqua cambiata. Dunque dice­vo, se è stato somministrato qui di sopra un gruppo esclude l'altro.

L'aiutante                        - Perché?

L'ispettore                       - Perché le ragazze, standosene qui o nello studio, possono agire; ma sinché ci sono, impediscono l'azione di un estraneo, dato che per entrare qui si deve passare dallo stu­dio. L'estraneo acquista la possibilità di prepa­rare il delitto soltanto quando le ragazze non ci sono.

L'aiutante                        - E allora?

L'ispettore                       - E allora, a seconda dell'orario che ci darà il dottore, noi potremo eliminare l'uno o l'altro gruppo; e, dato che qui la vita si svolge a orario perfetto, non ci sarà da sba­gliare.

L'aiutante                        - Ma una delle ragazze come avrebbe potuto procurarsi il veleno?

L'ispettore                       - Non hai visto, salendo, una porta vicino alla Direzione?

L'aiutante                        - Io, no.

L'ispettore                       - Io, sì. C'è un cartello con sopra scritto grosso così: «Farmacia».

Il cuoco                           - (annunziandosi da lontano con il ru­more della sua gamba di legno) È permesso?

L'ispettore                       - Avanti.

Il cuoco                           - Mi ha detto la signora Direttrice di salire.

L'ispettore                       - Sì, va bene. Voi siete il cuoco, vero? Come vi chiamate?

Il cuoco                           - Simon Molar, per servirla.

L'ispettore                       - Quanti anni avete?

Il cuoco                           - Cinquantasette.

L'ispettore                       - Da quanto tempo siete nel-nell’Istituto?

Il cuoco                           - Da nove anni, signore. Ed è la prima volta che accade un simile fatto!

L'ispettore                       - Come sapete, voi, quello che è accaduto?

Il cuoco                           - Ma...

L'ispettore                       - Presto, come lo sapete?

L'aiutante                        - Come lo sapete?

Il cuoco                           - Ma... se non mi lasciano par­lare...

L'ispettore                       - Avanti, dite.

Il cuoco                           - La signora Vicedirettrice mi ha detto...

L'ispettore                       - Bene, bene: ho capito. Avete notato nulla di anormale, ieri sera, nelle cu­cine?

Il cuoco                           - Nulla, signore.

L'ispettore                       - Nessun estraneo vi si è intro­dotto?

Il cuoco                           - Nessuno.

L'ispettore                       - Come fate ad essere certo?

Il cuoco                           - Io ci sto tutto il giorno, tranne il venerdì, che mi tocca l'uscita. Ma capirà, con la mia disgrazia non mi muovo mai...

L'ispettore                       - Avete aiutanti in cucina?

Il cuoco                           - Sì, due aiutanti e tre sguattere: cinque donne in tutto.

L'aiutante                        - C'è da impazzire.

Il cuoco                           - (sussultando) Eh?... Come ha detto?

L'ispettore                       - Che comunicazioni ci sono dalla cucina al refettorio?

Il cuoco                           - C'è una porta, ma durante i pa­sti, per le vivande, abbiamo una bussola.

L'ispettore                       - E le porzioni si fanno in cu­cina?

Il cuoco                           - Eh, no; si starebbe freschi. La cameriera ci dice attraverso la bussola il nu­mero della sua compagnia, e noi facciamo gi­rare il piatto di portata.

L'ispettore                       - Ogni allieva si serve da sé?

Il cuoco                           - Dalla prima ginnasio in su, sì: prima si serve l'istitutrice e poi le allieve.

L'ispettore                       - Dallo stesso piatto di portata?

Il cuoco                           - Sì, dallo stesso.

L'ispettore                       - Non c'è nulla di personale? Che so, pane, bottiglia del vino... Qualche cosa che si possa sapere da chi sarà mangiata o bevuta?

Il cuoco                           - (sospirando) Eh, vino qua den­tro, niente! C'è, sì, una certa acquetta colorata per le istitutrici, che se ne sta in bottigliette da un quarto al loro posto a tavola.

L'ispettore                       - E chi distribuisce questo vino?

Il cuoco                           - (c. s.) La Vicedirettrice in per­sona. Soltanto lei ha la chiave della cantina. Se così si può chiamare una cameretta dove c'è una bottiglia piccola così, e un rubinetto d'ac­qua corrente...

L'ispettore                       - Alla sera, fino a che ora ri­manete nelle cucine?

Il cuoco                           - Alle otto e mezzo mangio, quan­do hanno finito le convittrici. Poi alle nove, nove e mezzo vado a dormire.

L'ispettore                       - Dove?

Il cuoco                           - Col portiere, nella sua casetta.

L'ispettore                       - E ieri sera, come sempre?

Il cuoco                           - Sì.

L'ispettore                       - Bene, per ora potete andare.

Il cuoco.......................... - (goffamente inchinandosi) Servo vostro, signori. (Via).

L'ispettore                       - Umh, c'è troppa gente qua dentro...

L'aiutante                        - C'è di buono che a noi ne basta uno!

L'ispettore                       - Va' a telefonare alla centrale per il dottore e per il trasporto. Vorrei che per le prime ore del pomeriggio si avesse il risultato dell'autopsia. Poi controlla quello che ci ha raccontato costui.

L'aiutante                        - (tendendo l'orecchio) Mi pare che siano tornate le ragazze.

L'ispettore                       - Ricordati anche di informarti di quel Fritz. (Mentre l'Aiutante s'avvia rima­ne pensieroso). Senti, passando dallo studio, domanda forte alle allieve se mi hanno visto in Direzione: capito? (Segno d'intelligenza).

L'aiutante                        - (rispondendo al segno) Capito! (Via).

(L'Ispettore si nasconde presso i gradini del lavabo, visibile al pubblico, ma non dalla scena. Dopo qualche istante dalla comune entra cauta­mente Sonia che, in ginocchio, alzando il suo lettino di ferro tubolare, da un piede cavo trae una chiave con un cartellino appeso. Sta per alzarsi, ma si riabbassa per nascondersi a Nisia che rapidamente entra e da sotto al suo mate­rasso trae un quaderno, lo sfoglia in fretta, straccia una pagina e con un cerino le dà fuoco. L'ispettore balza dal suo nascondiglio, afferra Sonia per mano e si precipita a calpestare il foglio spegnendolo; poi, dalla mano di Sonia, strappa la chiave e legge sul cartellino).

L'ispettore                       - « Farmacia »! (Guarda Sonia). E così siamo a posto! (Osserva il foglio appena bruciacchiato. Poi, fissando Nisia) Cioè, non ancora... (Sempre guardando or l'una or l'altra delle due ragazze, via dalla comune).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

Lo studio della Direttrice: ampio, chiaro; poltrone e tavolino in un angolo, per le visite; tavola da lavoro con poltrona ad alto schienale. In fondo, la comune; a sinistra, la porta che dà alla camera da pranzo riservata alla Diret­trice. Sono in scena il Professore di chimica, maturo, brutto, barba e baffi ispidi che gli na­scondono buona parte del volto; il Professore di ballo, specie di mummia elegantissima dai movimenti meccanici; la Direttrice e l'Ispet­tore.

Il professore di chimica   - Eppure le assi­curo che sono uscito subito.

L'ispettore                       - (alla Direttrice') Lei, ieri sera, ha consegnata la sua busta al Professore di bal­lo prima che al Professore di chimica, mi ha detto?

La direttrice                     - Sì, abbiamo chiacchierato qualche minuto tutti e tre, poi il Professore di ballo è uscito.

L'ispettore                       - E il Professore di chimica?

La direttrice                     - Gli ho consegnato la sua busta ed è uscito subito.

L'ispettore                       - Qualche minuto dopo?

La direttrice                     - No, no. Immediatamente: il tempo di firmare. Sarà stato un minuto.

L'ispettore                       - (al Professore di ballo) E lei che cosa ha fatto non appena è uscito dal can­cello?

Il professore di ballo       - (ironico) Non credo di aver fatto nulla di eccezionale: forse avrò sbadigliato, ma non ricordo. Poi mi sono re­cato a casa della baronessa Boroc per una lezio­ne privata alla figliola. Controllabile. Del resto, il portiere dell'Istituto mi ha salutato mentre uscivo e ricorderà.

L'ispettore -                     - È andato a piedi sino alla casa della baronessa?

Il professore di ballo       - Oh, mai più, si­gnore! I miei piedi servono all'arte! Mi guar­derei bene dall’avvilirli nel volgare podismo! Ho preso l'autobus alla fermata dinanzi al can­cello.

L'ispettore                       - E l'autobus è giunto subito?

Il professore di ballo       - Oh, mai più! Ma dove vive, lei, signore! L'ho aspettato almeno per venti minuti! Ma non vedo... tutte queste domanduzze, sciocchezzuole, futilità...

L'ispettore                       - Lasci giudicare a me, Profes­sore. Mi dica piuttosto: mentre lei attendeva l'autobus, non ha visto uscire il Professore? (Indica il Professore di chimica).

Il professore di ballo       - No, no.

L'ispettore                       - (al Professore di chimica) Al­lora lei non è uscito subito, come pretende! È rimasto nell'Istituto armeno altri venti mi­nuti. Che cosa ha fatto in questo tempo?

Il professore di chimica   - Eppure il por­tiere...

L'ispettore                       - No, no: il portiere dice di non averla vista uscire affatto. Ma confessa di essersi allontanato qualche minuto. Resta però il fatto che il Professore (indica il Professore di ballo) non l'ha incontrata, pure essendo rimasto circa venti minuti, mettiamo anche un quarto d'ora, ad attendere l'autobus dinanzi al cancello.

Il professore di chimica   - Io proprio non ricordo, ecco. Giurerei di essere uscito subito, ma, di fronte a quanto asserisce il mio collega (con ironia) non so che cosa dire. Forse avrò fatto il viale con molta lentezza.

L'ispettore                       - Eh, via! Cento metri di viale! E non ha incontrato nessuno?

Il professore di chimica   - Non mi pare.

L'ispettore                       - E uscito di qui, dov'è andato?

Il professore di chimica   - A casa mia, mez­z'ora da qui.

L'ispettore                       - Mezz'ora a piedi?

Il professore di chimica   - Sì.

L'ispettore                       - E lei è professore di chimica?

Il professore di chimica   - Sì, chimica e matematica.

L'ispettore                       - (alla Direttrice) Il Professore va qualche volta alla farmacia qui accanto alla Direzione?

La direttrice                     - No, mai. Il nostro dottore si occupa, quando occorre, di prendere dalla farmacia i preparati di uso più comune.

L'ispettore                       - È molto tempo che il dottore non va nella farmacia?

La direttrice                     - Dunque... da quando si è messa a letto la cameriera: due giorni fa.

L'ispettore                       - E ha una sua chiave, il dot­tore?

La direttrice                     - No. La chiave è in quel pic­colo armadio lì, appesa al suo gancio. (Apre l'armadietto, come per, mostrarla). Oh Dio, non c'è più!

L'ispettore                       - Eccola. (Fa vedere la chiave e se la rimette in tasca).

La direttrice                     - Ma, come mai l'ha lei? L'ha presa poco fa?

L'ispettore                       - (mentendo) Sì, ecco, l'ho pre­sa poco fa. (La Vicedirettrice fa capolino dalla comune).

La vicedirettrice              - Signora!

La direttrice                     - Permette?

L'ispettore                       - Prego. (Direttrice e Vicedi­rettrice, via).

Il professore di ballo       - È ancora necessaria la mia presenza qui? Avrei degli impegni.

Il professore di chimica   - Anch'io, veramente dovrei far lezione, se si potesse... sono le cinque.

L'ispettore                       - Sì, vadano pure. Se avessi an­cora bisogno di loro so dove trovarli, vero?

Il professore di ballo       - Oh, non è certo un uomo conosciuto come me, che può fuggire! (Si avvia).

Il professore di chimica   - Allora, buon giorno. (Via. L'Aiutante, entrando di corsa, pesta un piede al Professore di ballo che esce).

L'aiutante                        - Oh, scusi!

Il professore di ballo       - (saltando su di un piede solo) Aih! Non vi darei mai una le­zione, giovanotto! (Via).

L'aiutante                        - Ispettore...

L'ispettore                       - Che c'è?

L'aiutante                        - È arrivato due ore fa un tele­gramma indirizzato alla vittima. Ma il fattori­no, saputo dal portiere che la destinataria era morta, non ha voluto lasciarlo.

L'ispettore                       - E quel cretino del portiere lo dice adesso! Dev'essere di quel Fritz; la ri­sposta al telegramma del quale abbiamo trovata la ricevuta nelle carte della vittima.

L'aiutante                        - Ma il bello è che la polizia del suo paese mi ha risposto adesso che da due giorni era partito per la città.

L'ispettore                       - Ma, allora, come ha potuto rispondere al telegramma?

L'aiutante                        - Avrà lasciato l'incarico a qual­cuno.

L'ispettore                       - Perché aveva interesse a far credere che ieri sera era al suo paese ed invece era qui?

L'aiutante                        - E chi lo sa?

L'ispettore                       - Bisognerebbe pescarlo. Ma in­tanto rintraccia quel telegramma.

L'aiutante                        - Va bene. (Via).

L'ispettore                       - (siede alla scrivania, cerca nel piccolo prontuario dei numeri di frequente uso e compone un numero) Pronto. C'è il dot­tore? Me lo chiami, per cortesia. Dica: «Dal collegio». Pronto, dottore? L'ispettore che lei ha conosciuto stamattina. Sì, grazie, mi hanno riferito. No, la salma è già stata trasportata per l'autopsia. Sì, già fatta. Il dottore giudizia­rio... le dirò a voce. In ogni modo un alcaloide. Sì, infatti è d'accordo con lei. Sì, anche sull'ora. Ma io volevo chiederle se un alcaloide capace di tanto si trova qui nella farmacia del collegio. Sì? Il solfato di atropina? Si tratta proprio di questo. E a che uso serviva? Per?... Ah, per i colliri! E quanto bastava per... Solo tre milli­grammi! Accidenti! Ho capito; grazie, dottore. Va bene: l'aspetto. (Posa il ricevitore).

La direttrice                     - (entrata prima della fine della comunicazione) C'è qui fuori un'alunna che chiede di parlare con lei.

L'ispettore                       - Chi è?

La direttrice                     - Nisia, quella...

L'ispettore                       - Va bene, la faccia venire e se la tenga lei qui per qualche minuto. Io devo andare un momento in questa benedetta far­macia.

La direttrice                     - Ma non c'è già stato? Se aveva la chiave! (Siede alla scrivania).

L'ispettore                       - Sì, ma è sempre bene tornarci. (Apre la porta per uscire e si fa da parte per far passare Nisia che attendeva). Venga, venga. L'aspettavo! (Via).

La direttrice                     - Ebbene? Che vuoi tu?

Nisia                                - Signora Direttrice, io desidererei sa­pere...

La direttrice                     - Di', di'.

Nisia                                - Come è morta la nostra istitutrice?

La direttrice                     - Ma non vedo le ragioni per le quali tu ti debba occupare di cose che non ti riguardano.

Nisia                                - Mi riguardano.

La direttrice                     - Come sarebbe a dire?

Nisia                                - Signora, io debbo sapere. Da stamat­tina io non vivo più. Non posso più resistere.

La direttrice                     - Ragazza, tu sei molto ner­vosa, lo sai. Devi cercare di non pensarci, di distrarti. Hai fatto un viso patito da qualche tempo. Oggi, poi!

Nisia                                - Non m'importa d'avere un viso pa­tito, quando patisco tanto dentro...

La direttrice                     - Ma che cosa c'è?

Nisia                                - Mi dica come è morta. Si è uccisa, vero? (Assorta) Sì, lo so, si è uccisa. E allora io debbo scontare.

La direttrice                     - Ma, insomma, non capisco!

Nisia                                - Ci sono delle creature su le quali pesa una specie di maledizione. Anche se sono oneste, anche se sono buone, non vuol dir nien­te: tutto quello che toccano diviene brutto; tutto quello che fanno diviene cattivo. Io sono una di quelle. È stato sempre così, sin dalla mia prima infanzia.

La direttrice                     - Ma, bambina mia...

Nisia                                - No, no, è inutile cercare di conso­larmi. Ci sono i fatti che parlano, che gridano contro di me! È sempre stato così. Da piccina, mi ricordo, amavo tanto i gatti. Cercavo dap­pertutto nella grande nostra casa solitaria i mi­cetti appena nati e per la grande tenerezza me li soffocavo tutti sul petto. Poi piangevo.

La direttrice                     - Andiamo, su, tu sei impres­sionabile. Scriverò a tuo padre di venirti a pren­dere. Una settimana di vacanza ti rimetterà.

Nisia                                - Sarà lo stesso. Ovunque vada, la mia disgrazia la porterò con me. Ed è troppo greve per le mie spalle... se voglio fare del bene a qualcuno gli faccio del male; se voglio compie­re un'opera di giustizia, diventa... delitto! (Si inginocchia ai piedi della Direttrice scoppiando in singhiozzi sul grembo dì lei).

La direttrice                     - Che c'è, ragazza mia? Che c'è?...

Nisia                                - Mi mandi via, signora, mi mandi via! Lei non potrà mai perdonarmi!

La direttrice                     - Ma, calmati; che cosa è suc­cesso?

Nisia                                - È tutta colpa mia!

La direttrice                     - Di che?

Nisia                                - Di quello che è successo alla... alla povera signorina...

La direttrice                     - Ma che cosa dici!

Nisia                                - Sì, io sapevo. Avevo trovata una let­tera di quell'uomo.... amico della signorina. Allora... lei non mi poteva vedere... Era così cattiva con me! Con tutte era cattiva, ma con me, poi... Mi angariava più che poteva, nelle più piccole cose, sempre... Mi puniva continuamente...

La direttrice                     - Ebbene?

Nisia                                - Nelle lunghe ore di silenzio, mentre le altre giocavano... nel digiuno, mentre le altre mangiavano, io covavo un odio terribile... Quan­te volte ho pensato che sarei stata contenta se fosse morta... Quante notti mi sono svegliata di soprassalto, tutta spaurita, perché avevo sognato di spingerla nello stagno del parco... Sempre lo stesso sogno, sempre lo stesso! Eravamo sole dinanzi allo stagno a guardare le alghe e le grosse foglie galleggianti illuminate dalla luna. Io ero dietro a lei. A un tratto un grosso rospo saltava nell'acqua: allora io le davo una spinta e la buttavo dentro... Se di giorno passavo ac­canto allo stagno ero atterrita e affascinata insieme. Ero tanto infelice! Non lo dicevo che al mio diario...

La direttrice                     - Ma spiegati. E allora?

Nisia                                - Allora, quando trovai quella lettera, dove lui le chiedeva anche dei soldi, la minac­ciai di portarla a lei. «La darò alla direttrice - le dissi - e sarà mandata via».

La direttrice                     - E lei?

Nisia                                - Mi pregò di non farlo dicendomi che aveva la mamma vecchia... che non avrebbe tro­vato lavoro... Ma io non mi piegai: la detestavo troppo. Le lasciai soltanto la scelta di licenziarsi da sé. Ieri mattina, poi, dal momento che non si decideva, le infilai nel cassetto un bigliettino nel quale la minacciavo. Non mi disse niente. Ma alla sera si uccideva per colpa mia!

La direttrice                     - Ma sei sicura?...

Nisia                                - Sì, sì, è per questo che si è uccisa! Se loro avessero visto com'è impallidita quando ha letto il mio biglietto! Pareva che svenisse! È inutile che quel signore si affanni a cercare: ecco, questa è la storia e adesso... adesso sono tanto più infelice di prima! (Scoppia di nuovo in singhiozzi).

La direttrice                     - Su, su, ragazza mia. Parlerò io con quel signore: gli spiegherò.

Nisia                                - Debbo scontare, duramente, una vol­ta per tutte. Soltanto così potrò liberarmi, for­se, da questo destino tanto tanto pesante...

La direttrice                     - Cerca di dimenticare questa brutta faccenda. Tu ne sei punita gravemente dal rimorso che ne hai. Non potrò fare altro che perdonarti. Su, coraggio!

Nisia                                - No, no!

L'ispettore                       - (entrando) Ebbene? Che cosa ha questa signorina?

La direttrice                     - Adesso le dirò.

L'ispettore                       - Ma lo so, lo so! Signorina, mi stia bene a sentire: la certezza che la fa tanto infelice è invece tanto lontana dalla verità che lei neppure lo immagina.

Nisia                                - Lei non sa!

L'ispettore                       - Ma sì! Ho trovato il suo bi­glietto nel cassetto della istitutrice, le ho tolto di mano la pagina incriminata del suo diario e vuole che non sia perfettamente informato?

Nisia                                - Allora!?

L'ispettore                       - Allora le dico, signorina, è inutile che lei si disperi per una colpa non sua. Le cose sono andate ben altrimenti, purtroppo. Purtroppo per me e fortunatamente per la sua coscienza. Perciò si asciughi i suoi begli occhi castani, se non sbaglio... Li faccia vedere, su, così. Ecco, vede che sono castani? E vada, vada con le sue compagne che stanno facendo ricrea­zione in giardino. E non ci pensi più, eh! Stia allegra. Le dico io che può stare allegra. Che vuole di più? Arrivederci! (Nisia, che le parole dell'Ispettore hanno piano piano rasserenata, ancora con le lagrime agli occhi sorride ed esce). Va bene così? Ho avuto quello che lei chiama « mano leggera »? La prima volta che la sua Vicedirettrice muore assassinata, mi offre il suo posto qui dentro?

La direttrice                     - Ma che dice lei?

L'ispettore                       - Ho detto «assassinata»; non dovrò adoperare « la mano leggera » anche con lei?

La direttrice                     - Lei vuole insinuare...

L'ispettore                       - Proprio così.

La direttrice                     - Ma è una pazzia! La signo­rina si è uccisa!

L'ispettore                       - No, la signorina non si è uc­cisa. È stata assassinata. Non si compra nel po­meriggio un tubetto di cachet contro l'insonnia e se ne prende uno per dormire tranquilla­mente quando si ha intenzione di sopprimersi! Non si mandano telegrammi con risposta pa­gata al proprio amante, probabilmente per fis­sargli un convegno, quando si ha intenzione di uccidersi! Non si paga una lira per rimandare al giorno dopo il pagamento di una cambiale di cento lire quando si ha intenzione di ucci­dersi!

La direttrice                     - Una mia istitutrice aveva un amante?

L'ispettore                       - Già; e, come poteva, lo man­teneva.

La direttrice                     - Oh, che scandalo!

L'ispettore                       - E delle cambiali. Piccole, è vero, ma le aveva...

La direttrice                     - Orrore!

L'ispettore                       - Beh, se fosse solo per questo, tre quarti dell'umanità farebbe orrore...

La direttrice                     - E allora?

L'ispettore                       - Come vede molte cose acca­devano intorno a lei, a sua insaputa.

La direttrice                     - È vero, è vero... Ancora un po' che lei rimane qui e non sarò sicura nean­che di me stessa!

L'ispettore                       - Il grave non è che ci sia io, ma che il delitto è ancora qui! Quando io avrò afferrata la verità, e con essa il colpevole, al­lora tutta la casa riacquisterà la sua innocenza e lei potrà ricominciare a fidarsi di tutti, com­presa se stessa.

La direttrice                     - In fondo, lei, per essere un poliziotto, mi è abbastanza simpatico.

L'ispettore                       - (s'inchina) È che, vede, un ispettore di polizia e la direttrice di un colle­gio si assomigliano: hanno un po' la stessa anima. Hanno tutt'e due attitudine a sorveglia­re, a osservare la vita degli altri e ad assumer­sene la responsabilità.

La direttrice                     - Ha ragione. Ha perfetta­mente ragione. Per esempio, non si offenda, oggi a mezzogiorno io mi sono informata presso il suo Capo sul suo conto. Oh, è tenuto in grande considerazione, lei! Casi celebri! Que­sto, francamente, non lo avrei creduto: ha la faccia del buon uomo!

L'ispettore                       - Grazie. E io mi sono infor­mato così, senza parere, non si offenda, di quello che lei ha fatto ieri dalle sette e mezzo alle otto e mezzo.

La direttrice                     - Ah!

L'ispettore                       - E poiché tutto è a posto, mi permetto di chiedere la sua attenzione per le conclusioni cui sinora sono giunto.

La direttrice                     - Molto volentieri, mi dica. Ma perché dalle sette e mezzo alle otto e mezzo?

L'ispettore                       - Perché lei appartiene al se­condo gruppo.

La direttrice                     - Cioè?

L'ispettore                       - Ricapitoliamo, signora. Dall'autopsia è risultato che l'istitutrice è morta dalle dieci alle dieci e mezzo di ieri sera per una formidabile dose di solfato di atropina. La morte dev'essere stata fulminea: in un mi­nuto circa il veleno, che attacca i centri e che prima non le ha permesso neppure un gemito, ha compiuto la sua opera.

La direttrice                     - Dunque ella ha ingerito il veleno dalle dieci alle dieci e mezzo, mentre era a letto.

L'ispettore                       - È chiaro. Che cosa c'era sul suo tavolino da notte? L'acqua e il tubetto dei cachets contro l'insonnia. Ora, il loro dottore prima e il nostro poi hanno analizzato l'acqua della bottiglia e quella rimasta nel bicchiere e non hanno trovato nulla.

La direttrice                     - E dove, allora?

L'ispettore                       - Nel cachet. Guardi. (Trae di tasca un cachet). Questo è uno di quelli. È come una minuscola scatola; io apro, posso togliere il contenuto e sostituirlo con un centigrammo di atropina. Tre milligrammi bastano per uc­cidere! Se io lo metto nel tubetto, così, per primo, sono sicuro che l'istitutrice stasera pren­derà questo. No?

La direttrice                     - È spaventoso! Chi ha pre­parato tutto questo doveva conoscere bene le abitudini della povera signorina!

L'ispettore                       - Certo, certo. E da che ora era possibile preparare il delitto?

La direttrice                     - Non saprei...

L'ispettore                       - Ma evidentemente da quando il tubetto è stato lasciato sul comodino! La vit­tima lo ha comprato ieri e l'ha appoggiato sul tavolino alle sei e mezzo circa. Da questo mo­mento incomincia la possibilità per l'assassino di truccare il cachet.

La direttrice                     - È chiaro.

L'ispettore                       - Ora, qualcuno che non fosse una delle « grandi » avrebbe potuto soltanto dalle sette e mezzo alle otto e mezzo, mentre le allieve erano a cena o in cappella. È vero?

La direttrice                     - Esattissimo.

L'ispettore                       - Invece una delle sei ragazze poteva preparare il cachet nell'ora di studio. Mi ha detto lei che prima di scendere a cena fanno un turno per la toilette. Ma quale del­le sei?

La direttrice                     - Ma...

L'ispettore                       - Io lo so.

La direttrice                     - Gesummaria! Una delle mie allieve è un'avvelenatrice! E lei lo sa e la lascia ancora tra le sue compagne!

L'ispettore                       - La cosa non è tanto semplice quanto lei crede... Le dispiace farmi chiamare la signorina Sonia? È inutile che lei mi guardi in quél modo sospettoso: non ho detto che sia stata la signorina Sonia che ha avvelenato. Ho detto soltanto: «Le dispiace farmi chiamare la signorina Sonia? ».

La direttrice                     - Va bene, gliela mando su­bito. (Via).

L'ispettore                       - (passeggia per la scena pensie­roso. Poi trae di tasca la chiave della farmacia e la fissa a lungo. Dalle sue riflessioni è tratto dallo squillo del telefono) Pronto. Sì. Sono io. Ma, insomma, questo Fritz, l'hai trovato o no? Al solito siete degli inetti! Beh, vieni qua. Vedremo. E il telegramma? Ah, sì? Vado giù io a prenderlo subito. (Posa il ricevitore e via). (Dopo qualche istante entrano Sonia e Maddy spaurite, quasi abbracciate).

Maddy                             - Non c'è.

Sonia                               - Non mi lasciare, Maddy.

Maddy                             - No, no... Ma ha mandato a chia­mare te...

Sonia                               - E con questo? Che cosa vuoi dire?

Maddy                             - Niente voglio dire...

Sonia                               - Come faremo? Ah, Dio mio, come siamo disgraziate! Se ci ha mandato a chiamare vuol dire che sa che noi...

Maddy                             - Noi, noi! È a te che vuol parlare. Finiscila con, quel «noi». Sembra quasi ch'io c'entri in qualche cosa!

Sonia                               - Ah, sì, che c'entri! E quanto me! Adesso vorresti cavartela, vero? Lasciare tutta la colpa a me? Hai una bella faccia tosta! Ma no, cara!

Maddy                             - (veemente) Io non ne so nulla, capisci! Nulla! Chi ha fatto tutto? Tu! Io con te avevo parlato di altra cosa. Poi tu hai agito e la signorina è morta. Chi l'ha assassinata? Tu! Soltanto tu! Io non ha nessuna colpa. Io sono innocente.

Sonia                               - Io ho eseguito quello che avevamo combinato insieme. Tu sei vile! Sei vile! Ma non credere che io non lo dica!

Maddy                             - Intanto non devi dire niente. Devi negare, negare assolutamente.

Sonia                               - Ma non sarà possibile! Egli sa già troppo!

Maddy                             - Quanto a me, se sarò interrogata, ti salverò il più possibile.

Sonia -                             - Stai sicura che quanto farai per me lo farai anche per te. La mia sorte sarà la tua! Se dovrò dire la verità, la dirò intera; e allora vedremo dove andrà a finire la tua in­nocenza!

Maddy                             - Benissimo, vedremo. Intanto io adesso me ne vado, perché nessuno mi ha chia­mata qui.

Sonia                               - Vattene! Vattene!

Maddy                             - E io che avevo pietà per te! Ti ho accompagnata perché mi facevi pena! E in­vece sei una vipera! (Via).

Sonia                               - (singhiozzando disperatamente) Vi­le! Vile!

L'ispettore                       - (entra rivolgendosi a guardare Maddy che esce; va a sedere alla scrivania) Venga, venga avanti. Dunque, signorina, cer­chiamo di mettere in chiaro, dicendo la verità, la faccenda della chiave. Lei dove l'aveva pre­sa? Lì?

Sonia                               - Ma io non...

L'ispettore                       - Andiamo, via! È inutile ten­tare di mentire: gliel'ho trovata in mano! L'a­veva nascosta nel piede del suo letto! Lei l'ha presa lì! Quando?

Sonia                               - Ieri. Ma le giuro, signore...

L'ispettore                       - Non si tratta di giurare: si giura davanti al magistrato. Adesso si tratta di rispondere. Perché lei ha sottratta la chiave della farmacia?

Sonia                               - Per... Ah, è orribile, è orribile! (Siede in una poltrona in singhiozzi).

L'ispettore                       - Avanti, avanti! Che cosa ne ha fatto di questa chiave? Che cosa è andata a prendere tra i veleni della farmacia? Non vuol rispondere? Allora glielo dirò io: lei è andata a prendere il veleno per uccidere la sua istitutrice!

Sonia                               - No, no! Non è vero!

L'ispettore                       - E allora che cosa ne ha fatto?

Sonia                               - Sono sicura che non vorrà credermi, se le dico la verità...

L'ispettore -                     - Intanto cominci col dirla.

Sonia                               - Volevamo fare uno scherzo all'isti-tutrice. Soltanto uno scherzo, glielo giuro!

L'ispettore                       - Perché «volevamo»? Chi vo­leva con lei?

Sonia                               - Io e Maddy.

L'ispettore                       - Va bene, continui.

Sonia                               - Conoscevamo la sua abitudine di prendere ogni sera un cachet contro l'insonnia. E allora abbiamo pensato di sostituire il contenuto del cachet.

L'ispettore                       - Lei vuol farmi credere che è per fare uno scherzo che le hanno fatto pren­dere quella dose di solfato di atropina?

Sonia                               - Solfato di atropina? Ma no, no! Polvere di gialappa! Volevamo soltanto farla star male un poco, per cattiveria, perché sape­vamo che doveva uscire.

L'ispettore                       - Eppure la loro istitutrice è morta avvelenata dal solfato di atropina.

Sonia                               - Ma che dice! Non è possibile! L'ho presa io! Sul barattolo di vetro c'è scritto il nome.

L'ispettore                       - Allora si è sbagliata: ha cre­duto di prendere la gialappa e ha preso invece l'altro barattolo.

Sonia                               - Non mi sono sbagliata!

L'aiutante                        - (entrando) Eccomi. Niente da fare. Ho saputo soltanto che è stato tutto ieri e ieri sera con delle... (si accorge di Sonia) ...con degli amici. In ogni modo, alibi di ferro.

L'ispettore                       - Va bene, mi dirai dopo. Lei metta le dita qua sopra. (Le porge un tampone da timbri dalla scrivania). E poi qua. (Le con­duce e preme la mano su di un foglio di carta). Tu va' nella farmacia e senza rimuovere nulla, specialmente la polvere che è sugli scaffali, os­serva le impronte digitali che troverai su di un barattolo di vetro con sopra scritto: « Solfato di atropina». Se non trovi nulla guarda su di un altro con la scritta: «Gialappa». Confronta con queste. Ecco la chiave; di' a qualcuno che mi mandi subito su la signorina Maddy. (L'Aiu­tante via).

Sonia                               - Ma io non sono colpevole! Io non volevo...

L'ispettore ..................... - Vedremo, vedremo subito. In­ tanto, che lei sia colpevole è certo. Lo ha Confessato! Si tratta soltanto di stabilire se si tratta di omicidio colposo o premeditato.

Sonia                               - Oh, Dio mio! Dio mio! (Singhiozza).

L'ispettore                       - Ma è morta o non è morta l'istitutrice?

Sonia                               - Ma noi ere davamo... Io non ho messo quella cosa che dice lei: ho messo la gialappa.

L'ispettore                       - Ma no.

Sonia                               - Ma supponga ch'io avessi messa la gialappa.

L'ispettore                       - Ebbene?

Sonia                               - Se ne avessi adoperata troppa, sa­rebbe morta lo stesso?

L'ispettore                       - Prima di tutto ce ne voleva una dose fortissima; in secondo luogo sarebbe morta lentamente con dei dolori da svegliare tutto il collegio. Dunque, vede...

Sonia                               - Allora non c'è scampo? Sarò pro­cessata come un assassino! No! No! La mia mamma ne morirà! Ne morirà! (Piange dispe­ratamente col viso nascosto fra le mani).

Madds                             - Permesso? Voleva me, signore?

L'ispettore                       - Sì, proprio lei. Dunque, con la sua compagna aveva progettato di assassinare l'istitutrice! (Dall'uscio, che Maddy ha lasciato socchiuso, sporge per un momento la testa di Lausy e subito si ritira).

Maddy                             - No! Non può aver detto questo! Avevamo pensato di fare insieme uno scherzo. Poi lei ha sbagliato...

L'ispettore                       - Continui, continui.

Maddy                             - Volevamo mettere la polvere nel cachet e farla star male tutt' oggi. Avevamo guardato sull'enciclopedia: c'è scritto che venti centigrammi fanno l'effetto di una forte dose di olio di ricino. Sonia ha pesato con cura. E invece è morta. Una disgrazia.

L'ispettore                       - Chi ha eseguito tutto questo? Tutt'e due insieme?

Maddy                             - No, Sonia soltanto! La mia parte sta nell'aver pensato con lei allo scherzo. Ma se nell'eseguirla, per un errore, questa burla uc­cide, io che non ho agito non ne sono respon­sabile!

L'ispettore                       - A che ora è stato preso il veleno?

Maddy                             - Alle cinque e mezzo, circa. Subito dopo la ricreazione in giardino. Sapevamo che la Direttrice non era qui. Sonia è salita a pren­dere la chiave.

L'ispettore                       - E perché non l'ha rimessa a posto?

Maddy                             - Perché mentre era nella farmacia, la Direttrice è tornata. Allora ha nascosta la chiave: l'avrebbe rimessa a posto oggi.

L'ispettore                       - E a che ora ha messo la pol­vere nel cachet'!

Maddy ........................... - Verso le sette, in tempo di studio, quando le è toccato il turno della toilette.

 L'ispettore                      - E il... il... come si chiama la polvere? Di che colore era?

Maddi'                             - La gialappa? Giallastra. Ma me l'ha fatta vedere un momento solo.

L'ispettore                       - (pensieroso) Ecco, gialappa, sicuro... E non ne hanno ancora un poco di quella roba?

Maddy                             - No, non credo. (A Sonia che, sem­pre scossa dai singhiozzi, non risponde) Ne hai ancora? Credo che abbia presa solo la dose pe­sata in farmacia.

L'aiutante                        - (entrando) Ho trovato.

L'ispettore                       - Allora?

L'aiutante                        - (guardando le ragazze) Posso parlare?

L'ispettore                       - Di', di'.

L'aiutante                        - Le impronte della signorina sono visibilissime. Ma soltanto sul barattolo della gialappa.

L'ispettore                       - E sull'altro?

L'aiutante                        - Sull'altro, niente. Nessuna im­pronta.

Sonia                               - Lo vede? Non ho mentito. Non mi sono sbagliata!

L'aiutante                        - Però...

L'ispettore                       - Però?

L'aiutante                        - Però dev'essere stato preso con un guanto o un fazzoletto. La polvere dello scaffale ha un cerchio fresco: è stato certa­mente spostato oggi, o ieri.

L'ispettore                       - Hai osservato altro?

L'aiutante                        - Una piccola cosa. Tra il guan­to o il fazzoletto o lo straccio, propendo per quest'ultimo sistema. Il bordo dello scaffale, dinanzi al barattolo, è spolverato come se un panno vi avesse strisciato.

L'ispettore                       - (quasi a sé stesso) Ma allora... Chi, oltre loro, sapeva dello scherzo che ave­vano progettato?

Maddy                             - Nessuno; perché?

Sonia                               - Nessuno, assolutamente. Ma mi dica, mi dica, adesso, che crede che sono innocente!

L'ispettore                       - Vedremo, vedremo... (Sulle ultime battute si odono dal di fuori le voci con­citate di Lausy e Nisia).

Nisia                                - Ma lasciami! Lasciami! Non è vero! Te lo giuro!

Lausy                               - Ah, no! Tu verrai con me! Ti ho visto io! Ti ho visto io! (Nisia e Lausy entrano seguite da Vania e Diomir sbigottite).

L'ispettore                       - (accorrendo) Che cosa c'è?

Lausy                               - Bisogna che parli! Se non avessi vi­sto accusare Sonia e Maddy, avrei taciuto. Ma adesso non posso: è mio dovere.

Nisia                                - Non è vero niente!

Lausy                               - Taci. (All'Ispettore) Signore, io ho vista questa notte Nisia alzarsi dal letto e, in in camicia, entrare nella tenda dell'istitutrice.

Nisia                                - Non è vero! Mente! Vi giuro che mente!

Lausy                               - Sono sicurissima di quello che dico. Vorrei che la mia mamma morisse se non dico la verità.

L'ispettore                       - A che ora, questo?

Lausy                               - Non potrei precisarlo. Mi parve di aver dormito molto poco. Forse un'ora, forse mezz'ora. Saranno state le dieci o anche meno quando mi sono svegliata e l'ho vista.

L'ispettore                       - E poi?

Lausy                               - Non ho dato importanza. Mi sono subito addormentata.

Nisia                                - Ma perché, perché tu mi fai questo male?

Lausy                               - Non posso lasciare accusare due in­nocenti! E poi, chi sei tu? Un'assassina! (Nisia afferra un oggetto sulla scrivania e sta per lan­ciarsi contro Lausy, ma l'Ispettore l'afferra a volo).

L'ispettore                       - Buona! Buona!

Lausy                               - Ah, vorresti uccidere anche me?

Nisia                                - (svincolandosi) No. Non sono un'as­sassina! Non mi date questa colpa che non è mia. Poco fa, quando credevo di avere una re­sponsabilità, io sono pur venuta spontaneamen­te, non è vero? Lo dica, lo dica lei... Non mi sono sottratta alla voce della mia coscienza. Ma adesso perché s'inventa questa menzogna con­tro di me? Mi si accusa di un delitto che non ho commesso. Io non mi sono mai alzata l'al­tra notte!

Maddy                             - Non credetele: è una commediante perfetta.

Vania                               - Un momento: prima non potevo dare importanza a un particolare, ma adesso sì.

L'ispettore                       - Dica, signorina.

Vania                               - (a Nisia) Ricorderai che stamattina, prima che sapessimo, io ti ho data una forcina da capelli: era tua?

Nisia                                - Sì, mi pare...

Vania                               - Eh, sì! Te l'ho chiesto e mi hai detto: «È mia». Poi, nessuna di noi ha le for­cine così bionde.

Nisia                                - E con ciò?

Vania                               - Sapete dove ho trovata quella for­cina? Spuntava da sotto la tenda della povera signorina!

Nisia                                - Mi sarà caduta la sera andando a letto...

Maddy                             - Ah, ecco quel tintinnire come di sonagli che ho sentito io! Era lei nella tenda che... Oh, Dio mio!

L'ispettore                       - È inutile che lei voglia arram-picare sui vetri: dica la verità una buona volta! Lei sapeva dello scherzo che le sue compagne avevano preparato e ha sostituito con il veleno la polvere messa da Sonia nel cachet.

Nisia                                - Non so che cosa voglia dire.

L'ispettore                       - Nel turno di ieri sera, prima di cena, per andare a far toilette, chi è andata prima in dormitorio? Nisia o Sonia?

 

Sonia                               - Io sono andata prima di tutte.

L'ispettore                       - Ecco. È chiaro. Confessa? (La prende per le braccia).

La direttrice                     - (entrando, seguita dalla Vice­direttrice) Nisia!

Nisia                                - No! No! È una congiura contro di me! Ma che cosa ho fatto di male al mondo? Che cosa vuole che confessi? Io sono colpevole, sì, di questo delitto, ma per averlo sognato! Quasi ogni notte io l'ho commesso sulle rive dello stagno! (Quasi vaneggiando) Ma voi, per questo, non mi potete punire! O ditemi che è per quell'intenzione che io devo scontare e al­lora, sì, mi rassegnerò a patire. Per la prima volta sarei colpita per una cattiva intenzione... E allora, se sono colpevole, punitemi, punitemi duramente, purché io sia salva finalmente dall'ingiustizia che mi perseguita, implacabile, ac­canita... Punitemi, poiché sono colpevole... (Cade a terra estenuata).

L'ispettore                       - (all'Aiutante) Bisogna rin­chiuderla, intanto, in qualche posto. (Alla Di­rettrice) C'è una cameretta... che so?

La vicedirettrice              - C'è la cella.

L'ispettore                       - Ecco, benissimo. Vuole ac­compagnarli?

(L'Aiutante trascina via e sorregge Nisia. La Vicedirettrice li precede. Le ragazze, sino a que­sto momento, sono rimaste impietrite dall'an­goscia. Sonia, stretta a Maddy, adesso piange sommessamente).

La direttrice                     - Nisia!... Chi l'avrebbe mai detto?

Maddy                             - Io l'ho sempre creduta capace di tutto.

L'ispettore                       - (passandosi una mano sulla fron­te) Brutta, triste faccenda.

La direttrice                     - Non so capacitarmi come sia potuta scoppiare una simile tragedia qui, tra delle ragazze, in un ambiente di serenità...

L'ispettore                       - E invece la colpa è proprio dell'ambiente. Questo è un piccolo mondo chiu­so al di fuori del mondo. Qui dentro si perde il senso delle proporzioni. Tutto ciò che nasce nello spirito, si sviluppa e ingigantisce, perché mancano i termini di confronto con altri valori. Questo vivere ai margini della vita, senza aver­ne i contatti, fa di ogni scintilla un incendio, di ogni pensiero una mania, di ogni impulso un incubo.

La direttrice                     - Ma gli impulsi e i pensieri devono essere buoni.

L'ispettore                       - Dovrebbero! Ma chi può con­trollarli, dirigerli, far nascere un pensiero buo­no piuttosto che cattivo? Quando ci se ne ac­corge è già nato, è già tardi. Fuori, nel mondo, ci pensa la vita: vediamo patire, vediamo mo­rire, vediamo dei bimbi nascere, degli ideali sorgere e tramontare. E quelle grandi cose an­negano automaticamente le piccole idee malate e i piccoli impulsi contorti che si affacciano in noi. Qui no, qui è tutto immobile. Quante volte, in una notte insonne, sorgono in noi dal pro­fondo dei mostricciattoli che nel silenzio, piano piano mettono radici, assorbono il nostro pen­siero e lo asserviscono! Ma al mattino usciamo di casa, attraversiamo la strada, ossia attraver­siamo la vita degli altri e tutto si cancella. Ab­biamo ritrovato il nostro equilibrio.

Il dottore                         - (entrando) Ho saputo, signora. Sono arrivato adesso. L'ho vista giù. Sono deso­lato. L'hanno chiusa in cella. Ho detto che le portassero un brodo. (Quasi scusandosi) Era così abbattuta!

La direttrice                     - Che vuole che le dica, dot­tore, mi sembra di vivere un incubo.

Il dottore                         - Capisco. (All'Ispettore) È stata una rapida inchiesta la sua.

L'ispettore                       - Già. (Con tristezza) Ma... vor­rei non averla compiuta.

La direttrice                     - E adesso, come faremo?... Quando lei la... la farà portar via?...

L'ispettore                       - Ah, non so! Non me ne vo­glio più occupare. Andrò subito alla Direzione di polizia. Ci penseranno loro. Io... io non sto bene, stasera. (Va a prendere il cappello all'at­taccapanni). Buona sera, signori. (Si avvia, ma è fermato da un urlo acutissimo che la Vice­direttrice lancia al di là della porta prima di entrare, affannata e sconvolta).

La vicedirettrice              - Là, là... giù... Nisia... come l'altra... È morta! Ecco... ecco la chiave. (Il Dottore l'afferra; grida, voci).

L'ispettore, il dottore, la direttrice      - (insie­me) Ma come? Dove? Che dice? (Il Dottore via dalla comune).

La vicedirettrice              - Sotto i miei occhi. Le ho fatto portare il... il brodo... E l'ho chiusa dentro... Prima di risalire, ho guardato dallo spioncino della porta... Era riversa sulla seggio­la con il viso... con il viso come quell'altra. Sono entrata, l'ho scossa: era morta! A terra, accanto a lei, da una busta piegata era uscita una polverina bianca.

La direttrice                     - Non si doveva... Non si do­veva...

(Tutte guardano l'Ispettore, quasi a chieder­gli qualche cosa, schierate da un lato della sce­na dinanzi a lui. Egli rimane un momento im­mobile. Poi si toglie il cappello, va ad appen­derlo di nuovo all'attaccapanni e, scandendo le parole con forza, grida:)

L'ispettore                       - Non può, non deve essere così! (Via di corsa dalla comune).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

Il giardino del collegio: angolo nel quale fan­no ricreazione le ce grandi ». A sinistra, dalla prima al fondale, una siepe che segna il limite del viale. In fondo, esce da destra un pezzo della facciata posteriore del fabbricato, con due fine­stre a inferriata curva in fuori al piano terreno. Sotto ciascuna di queste, una finestrina infer­riata che dà nel seminterrato. Contro il muro una panchina che avrà la spalliera il più possi­bile ad angolo retto con il sedile, per quello che si vedrà. L'Ispettore, seduto su di un'altra panchina, con il cappello in testa, fuma. Dopo qualche istante giunge il Dottore.

L'ispettore                       - Oh, buongiorno, Dottore! La ringrazio di essere venuto.

Il dottore                         - Buongiorno, Ispettore. Sono stato lieto della sua telefonata, perché anch'io ho qualche cosa da dirle.

L'ispettore                       - Si segga qua.

Il dottore                         - (sedendo) Adesso che tutto è finito le sembrerà ozioso che io abbia ancora delle opinioni personali, ma, insomma, credo mio dovere esprimerle un dubbio.

L'ispettore                       - Dica, dica. Ci sono tante zone oscure in questa storia!

Il dottore                         - Quando si faranno i funerali della ragazza?

L'ispettore                       - Domani, credo.

Il dottore                         - Lei crede che Nisia sia stata una colpevole o una vittima? Insomma, si è uccisa o è stata uccisa?

L'ispettore                       - Oh, Dio! Le testimonianze contro di lei hanno un serio valore... Ma non mi sono spiegato come avrebbe potuto prendere il veleno, se l'unica chiave l'aveva nascosta Sonia! E poi lei sa che due ragazze avevano combinato uno scherzo...

Il dottore                         - Sì, lo so. Me l'ha detto la Di­rettrice.

L'ispettore                       - Ebbene, negano assolutamen­te che qualcuno ne sapesse qualche cosa. Le pare possibile una coincidenza simile? Nella stessa sera, con lo stesso sistema del cachet, due ragazze, senza sapere l'una dell'altra, propi­nano chi un drastico, chi un veleno mortale all'istitutrice!

Il dottore                         - Certo, sarebbe strano.

L'ispettore ..................... - Eh, via! Il caso gioca alle volte dei tiri pazzi: ha un ruolo importante negli avvenimenti, ma tanto sfacciatamente no! Mi rifiuto di crederlo senza delle prove mate­riali di maggior peso.

Il dottore                         - Tanto più che l'essere stata vi­sta di notte girare per il dormitorio io me lo spiego assai diversamente.

L'ispettore                       - E come?

Il dottore                         - lo l'ho visitata molte volte quella figliola. Era il classico temperamento dell'isterica. Insomma, secondo me, nulla di più facile che fosse talvolta sonnambula.

L'ispettore                       - Bravo, Dottore! Era proprio l'idea che volevo sottoporle. Ma questo com­plica le cose...

Il dottore                         - Già.

L'ispettore                       - È evidente che non si può commettere un delitto simile, un delitto, diremo così, di precisione, in istato di sonnambulìa.

Il dottore                         - Ah, no certamente!

L'ispettore                       - Senza questa interpretazione, che credo esatta, bisognava ammettere che l'i-stitutrice fosse andata alla toilette molto tardi, prima di coricarsi, dando così tempo a Lausy di addormentarsi e di vedere Nisia operare, svegliandosi all'improvviso. Questo sarebbe do­vuto accadere verso le dieci, se fosse stata col­pevole. Ora, le pare possibile che una che pre­para un delitto scelga un'ora nella quale non è sicura che tutte le compagne già dormano? Col pericolo di vedersi tornare l'istitutrice da un momento all'altro?

Il dottore                         - No, Nisia si è alzata incoscien­temente molto più tardi, quando il delitto era già stato compiuto, perciò.

L'ispettore                       - Chi sa!

Il dottore                         - La busta con il veleno era ai suoi piedi nella stanza chiusa!

L'ispettore                       - Mah!

Il dottore                         - E poi...

L'ispettore                       - Zitto, Dottore. Finga di cre­dere nella responsabilità di Nisia. Tutti si sen­tono più tranquilli, così, anche gli innocenti! (Alla Direttrice, che dal fabbricato si avvia ver­so il viale) Buongiorno, signora!

La direttrice                     - Senta, Ispettore... (Al Dot­tore) E lei?

Il dottore                         - Vado in infermeria a dare una occhiata a quella cameriera e alle collegiali da visitare stamattina.

La direttrice                     - lo, per queste due morti, sono con la testa in subbuglio. Però avrei una idea...

L'ispettore                       - Una sola? Beata lei! Io ne ho tante...

La direttrice                     - Allora è inutile che le dica la mia.

L'ispettore                       - Sì, forse è inutile.

La direttrice                     - In ogni modo questa è una situazione dalla quale bisogna uscire.

L'ispettore                       - Qui sono pienamente d'accor­do. Bisogna uscirne.

La direttrice                     - E presto. Le ragazze sono tutte agitate... Nervose... Hanno perso la bussola... Se non rientriamo presto nella normalità non so dove andremo a finire. Che cosa conta di fare?

L'ispettore                       - Vede, sinora ho guardato le cose dall'interno. Ossia mi sono immerso nella vita e nella psicologia delle allieve. E, se devo dire la verità, mi sono smarrito.

La direttrice                     - E allora?

L'ispettore                       - Ma adesso voglio osservare la buccia di questo elementare e pur complicato mondo che è un collegio di ragazze, per cercar di scoprire il punto nel quale è vulnerabile dall'esterno... Mi capisce?

La direttrice                     - (non troppo convinta) Sì. Sì... Ma adesso qui verranno le «grandi» in ricreazione.

L'ispettore                       - Non le mangerò!

La direttrice                     - Bene, bene. Mi affido a lei! Devo andare a sorvegliare perché questo scom­piglio non si propaghi anche alle altre. (Via a destra).

L'ispettore                       - Arrivederla. (Nel viale passa verso la casa silenziosamente il cuoco, con un cesto sotto il braccio. L'Ispettore si accorge di lui quando è quasi completamente passato). Oh, mastro Simon! Non vi avevo sentito.

Il cuoco                           - Buongiorno, signor Ispettore. An­cora qui?

L'ispettore                       - Perché, vi dispiace?

Il cuoco                           - A me? È sempre piacevole vedere intorno a noi gli uomini della legge: ci si sente protetti.

L'ispettore                       - Sono qui per salutare, ormai...

Il cuoco                           - Già, ormai... Che avvenimenti spaventosi, in questi due giorni!

L'ispettore                       - Che avete di bello, lì dentro?

Il cuoco                           - Zucchini del nostro orto per la signora Direttrice. Bisogna tenerla leggera: è tanto scossa! Adesso vado al lavoro. (Via).

(Irrompono dalla casa le cinque allieve nella loro divisa grigia).

Sonia, Maddy, Lausy, Diomir, Vania - (insie­me) Buongiorno, oh signor Franz! Come mai? Ci avevano detto...

L'ispettore                       - Perché tante meraviglie, si­gnorine? Come va?

Sonia                               - Così così... Ancora un po' impau­rite...

Maddy                             - Intanto, stanotte, nessuna di noi ha quasi dormito...

Sonia                               - E dire che ci hanno cambiato dor­mitorio!

L'ispettore                       - (tra se) La mano leggera!

Voci                                 - Come? Come?

L'ispettore                       - Niente. Una riflessione.

Sonia                               - Io, per me, chiederò ai miei di por­tarmi via, almeno per qualche giorno.

Diomir                             - Certo che quando viene'il buio...

Sonia                               - A me, stanotte, pareva ogni momen­to di udire quel tintinnìo...

Maddy                             - Tu, poi sei fatta apposta! (All'Ispet­tore) Lo sa che a un certo punto si è messa a gridare, seduta sul letto: «Il serpente! Il ser­pente a sonagli! ».

Sonia                               - Mi ero addormentata un poco e so­gnavo. Mi rimarrà sempre impresso...

L'ispettore                       - Ma no, ma no: quando si ha la loro età si dimentica tutto facilmente.

Diomir                             - Ma lei...

L'ispettore                       - (in tono lieve, come per disto­glierle dal loro pensiero fisso) Ecco, io che sono tanto più vecchio, avevo già dimenticata una cosa, ieri.

Tutte                                - Che cos'è? Che cos'è? Non abbia­mo trovato niente...

L'ispettore                       - Ma no! Non è una cosa che si trovi. Mi ero dimenticato di fare la pace con loro.

Maddy                             - La pace?

L'ispettore                       - Eh, sì! Con qualcuna avevo seriamente litigato...

Sonia                               - (comicamente) Se è per me, io sono generosa...

Maddy                             - Ma sì, non ne parliamo più!

Diomir                             - (in acuto isterico) Non ricomincia­mo con questa storia, se no mi sentirò ancora male!

Vania                               - (con falsa disinvoltura) Su, su! Tut­to è finito adesso.

Maddy                             - Ci dica la verità: che cosa è venuto a fare ancora qui?

L'ispettore                       - (misterioso) Non lo dicano a nessuno: aspetto una visita.

Sonia                               - (quasi gelosa) Donna?

L'ispettore                       - Uomo. Un giovanotto.

(Sonia alla chetichella se ne va dal fondo).

Diomir                             - Qui?

L'ispettore                       - Sì.

Diomir                             - La Direttrice ci manderà di sopra, sicuramente.

L'ispettore                       - Tanto più che è un vero gio­vanotto. Non come me...

Maddy                             - Non è poi tanto vecchio, lei! (L'I­spettore, distratto, s'inchina).

Diomir                             - Perché non ci racconta delle sto­rie? Deve saperne di bellissime!

L'ispettore                       - È vero. Ma le mie storie non sono troppo... adatte per signorine.

Tutte                                - Meglio! Meglio!

L'ispettore                       - Come meglio? Così dopo la Direttrice... Ma, dico, vogliono farmi passare dei guai?

Maddy                             - L'ha visto?

L'ispettore                       - Chi?

Maddy                             - Lo sparviero!

L'ispettore                       - Lo sparviero? Chi è lo spar­viero?

Maddy                             - La Direttrice.

L'ispettore                       - Sì, è andata già di là.

Maddy                             - Non ha sigarette da regalarci?

Tutte                                - Sì, sì.

L'ispettore                       - Non posso.

Vania                               - Sonia ce l'ha.

L'ispettore                       - Male.

Maddy                             - Ma dov'è Sonia?

Lausy                               - Era qui adesso.

Maddy                             - Ci faccia almeno vedere che siga­rette fuma.

L'ispettore                       - (trae il portasigarette) Cattive. Cattive, ecco.

Maddy                             - Oh, ma è brutto! È di ferro!

L'ispettore                       - Sì, non è bello, ma è un ri­cordo di guerra. Allora ero un ragazzo, quasi, e mi salvò la vita.

Maddy, Lausy e Diomir  - (insieme) Raccon­ti, racconti!

L'ispettore                       - Non c'è niente da raccontare: vedono quell'ammaccatura? Una palla di stri­scio...

Maddy                             - Se lo terrà caro!

L'ispettore                       - Eh, sì!

L'aiutante                        - (da dietro la siepe guarda e tos­sisce discretamente) Sono qua.

L'ispettore                       - Oh, ecco! Permettono un mo­mento, signorine? (Via con l'Aiutante).

Diomir                             - Però è simpatico.

Lausy                               - È vero.

Diomir                             - Non sembra neppure che si occupi di così brutte cose...

Vania                               - È sempre un poliziotto.

Diomir                             - Sì, ma è diverso dagli altri: è più distinto, più...

Vania                               - Che ne sai di come sono gli altri?

Maddy                             - (a Diomir, con malignità) Ho letto tanti libri dove sono prepotenti e villani.

Lausy                               - (a Diomir) Di' la verità che ti piace!

Diomir                             - Sei proprio indiscreta!

Sonia                               - (rientrando con l'alta divisa, azzurra con il collettino bianco) È andato già via?

Maddy                             - No, no, sta' tranquilla!

Lausy                               - Ecco quest'altra che s'è andata a cambiare, adesso!

Sonia                               - L'altro era tutto pesto!

Vania                               - Ma a chi lo vuoi far credere?

Maddy                             - È per piacergli, che diamine!

Diomir                             - Non ha torto: con questo sembria­mo delle forzate.

Maddy                             - Dal momento che oggi nessuno ci bada, potremmo andare a cambiarci tutte, no?

Lausy                               - Tanto, per chiacchierare non lo rovineremo!

Maddy, Lausy e Vania    - (insieme) Sì, sì, andiamo! (Via tutte, tranne Sonia e Maddy).

Maddy                             - (a Sonia) Tu rimani, naturalmente!

Sonia                               - Sì.

Maddy                             - Sonia! Non ti vergogni?

Sonia                               - Di che?

Maddy                             - Dopo che sono la tua amica da tre classi!

Sonia                               - Ebbene?

Maddy                             - Oh, sei volubile! Non ti ricordi più di niente! Non mi vuoi più bene...

Sonia                               - Io? Ma che cosa ti metti in mente? Io lo so a che pensi! Ma non è vero!

Maddy                             - E allora perché hai capito subito?

Sonia                               - Di quell'uomo non me ne importa niente.

Maddy                             - A parole. Ma i fatti! Sono due gior­ni che ti osservo. Sei civetta con lui.

Sonia                               - Non lo dire! Anche quest'estate, ero in campagna con mio cugino, te l'ho detto... Ebbene, niente. Niente: lo giuro. Che cosa vuoi di più?

Maddy                             - Ma non lo vedi che menti? Ti sei anche andata a mettere l'alta divisa! Oh, do­vevo aspettarmelo! Dai tutta la tua amicizia, la confidenza, la tenerezza a una creatura, e poi, al primo uomo che passa, come una co­meta...

Sonia                               - (con rimprovero) Maddy! (Poi, cam­biando tono) Dove l'hai letta questa frase della cometa?

Maddy                             - Non ti riguarda. Domandalo al tuo poliziotto.

Sonia                               - Sei crudele.

Maddy                             - Ma sì! Un poliziotto!

Sonia                               - Oh, senti! Sai cosa ti dico? Non ne voglio più sapere di te! Nel momento del peri­colo, quando tutto congiurava contro di me, tu mi hai creduto colpevole. E mi hai lasciata sola! Dove era andata a finire la tua amicizia? Non ha resistito &\ primo urto!

Maddy                             - E lui no, vero? Lui non ti ha cre­duta un'assassina?

Sonia                               - No, non lo posso credere. Sono si­cura che in fondo al suo cuore mi assolveva.

Maddy                             - Ah, povera illusa; già credi di co­noscere il fondo del suo cuore! Non c'è più ri­medio: sei sua.

Sonia                               - (sorridendo felice) Credi? E poi, anche se mi sbagliassi, è il suo mestiere di so­spettare.

Maddy                             - (con enfasi comica) Basta, basta. Non voglio sentir altro. Sei sua! Non abbiamo più nulla da dirci noi due. Addio! Sii felice! (Si avvia rapida).

Sonia                               - Maddy!

Maddy                             - (c. s.) Addio!

(Sonia alza le spalle, prende una sigaretta da un portasigarette nascosto nella giarrettiera).

L'ispettore                       - (sorprendendola china) Che cosa fa lì, signorina Sonia? Che cosa guarda?

Sonia                               - Non guardavo... Mettevo a posto le sigarette... (Accenna alla gamba).

L'ispettore                       - Bellissimo posto. E là dentro che cosa c'è? (Si china a guardare la finestrella a sinistra del piano interrato).

Sonia                               - La cucina. (Fa di tutto per far no­tare il vestito).

L'ispettore                       - Ah, ecco! Ma come si è messa elegante! Perché?

Sonia                               - Oh! Uno strappo... uno strappo nell'altro vestito.

L'ispettore                       - È graziosa con quell'azzurro... Senta, è da ieri che volevo dirle una cosa...

Sonia                               - (con civetteria) Dica, dica pure...

L'ispettore                       - Lei e Maddy dove hanno com­binato lo scherzo?

Sonia                               - (delusa) Ah, sì! Qui.

L'ispettore                       - E non ne hanno poi parlato altrove? Con nessuno?

Sonia                               - No, assolutamente.

L'ispettore                       - E dove erano precisamente? In che punto?

Sonia                               - Dunque, Maddy era castigata... (Si guarda intorno). Io mi sono avvicinata a lei... Ecco qui. (Segna un punto accanto al muro).

L'ispettore                       - Ah! Grazie. E questa finestri-na dove dà? (Indica quella più a destra dell’'interrato).

Sonia                               - (gravemente) Nella cella dove...

L'ispettore                       - Ah!

Sonia                               - Ma perché mi domanda? Non so­spetterà ancora di me! (Prossima a piangere).

L'ispettore                       - Ma no! Lei è una cara e bella ragazza.

Sonia                               - (rasserenata) Lo dica ancora, per piacere...

L'ispettore                       - È una cara e bella ragazza.

Sonia                               - (civetta) Intanto ieri voleva farmi processare!

L'ispettore                       - (comicamente mentendo) Mac­ché! Avevo subito capito che lei non c'entrava!

Sonia                               - Davvero? Non posso tollerare l'idea che lei, anche per un momento, abbia potuto pensare che io...

L'ispettore                       - (c. s.) Ma no, le assicuro...

Sonia                               - Lo giura?

L'ispettore                       - (c. s.) Giuro, giuro.

Sonia                               - Questo mi fa piacere. (Civetta) Mi sento come ringiovanita!

L'ispettore                       - (coprendosi il volto con le mani) Oh, Dio! (Va a porsi dinanzi alla finestrina della cella e la fissa a lungo).

Sonia                               - A che cosa pensa? Ho detto qualche cosa che non va?

L'ispettore                       - (distratto) No, no. Eppure qualcuno vi deve aver udite mentre concerta­vate il vostro scherzo. (Va ad agitare una mano tra le sbarre).

Sonia                               - (offesa) Ecco che si occupa di nuovo di quella terribile faccenda!

L'ispettore                       - (distratto) Non ci badi: è l'a­bitudine!

Sonia                               - (come prendendo il coraggio a due mani, in tono melodrammatico, avvicinandoglisi all'improvviso) Franz!

L'ispettore                       - (sussultando) Eh?

Sonia                               - (vergognosa) Oh, signor Franz!

 L'ispettore                      - Che cosa c'è, piccola?

Sonia                               - Lei è passato di qui come una co­meta... Io sono sua...

L'ispettore                       - Oh, Dio!

Sonia                               - E stasera, forse tra poco, se ne sarà andato...

L'ispettore                       - È probabile.

Sonia                               - Senza domandarsi nemmeno che cosa lascia dietro di sé!

L'ispettore                       - Senta, cara ragazza...

Sonia                               - Mi lasci dire: non la vedrò più! Io ho abbandonato... tutto per lei!

L'ispettore                       - Andiamo! Lei ha fatto malis­simo ad abbandonare... tutto! Poteva almeno dirmelo prima! Domandare il mio parere.

Sonia                               - È vero. Sono una sciocca. Forse mi sono illusa... Ma lei è il primo uomo della mia vita! (Piange su la sua spalla).

L'ispettore                       - (imbarazzatissimo) Oh, pove­ro me!

Sonia                               - (continuando) E sarà anche l'ultimo!

L'ispettore                       - Sarebbe terribile, è vero. Ma adesso non pianga più! Io non posso veder piangere le belle ragazze. Mi viene subito vo­glia di arrestarle.

Sonia                               - Oh, Dio! Perché?

L'ispettore                       - Perché diventano brutte.

Sonia                               - No, no, non piango. Ma almeno mi dica che... mi vuol un po' di bene...

L'ispettore                       - Ma certo! Come si potrebbe fare altrimenti?

Sonia                               - Si ricorderà qualche volta di me?

L'ispettore                       - Sì.

Sonia                               - Lo promette?

L'ispettore                       - Lo prometto.

Sonia                               - E... quando?

L'ispettore                       - Tutte le volte che sospetterò di un innocente!

Sonia                               - (felice) Sempre, allora!

L'ispettore                       - (inchinandosi) Eh!

Sonia                               - La ringrazio. Oh, lei forse non è il solito mascalzone...

L'ispettore                       - (c. s.) Troppo buona, signo­rina...

Sonia                               - (si allontana, poi torna indietro in fret­ta e dice piano) Franz! Io, questa notte, in­sieme al serpente a sonagli, ho sognato di lei! Caro! (Gli fa una rapida e timida carezza sui capelli e via dì corsa imbattendosi nella Diret­trice, mentre l'Ispettore, passandosi una mano sugli occhi dice:)

L'ispettore                       - Però, è commovente! È com­movente...

La direttrice                     - Sonia! Perché ti sei messa l'altra divisa?,

Sonia                               - Avevo fatto uno strappo...

La direttrice                     - E le altre, dove sono?

Sonia                               - Non so... Forse... sono andate a cambiarsi.

La direttrice                     - Anche loro avevano uno strappo? Tutte? Via. Corri a dire che si ten­gano il solito vestito di tutti i giorni.

Sonia                               - Va bene, signora direttrice. (Si av­via).

La direttrice                     - E dopo faremo i conti! (So­ma va facendo di nascosto un segno d'addio all'Ispettore). Non si possono lasciare mai sole. Domani, se Dio vuole, arriverà la nuova istitutrice.

L'ispettore                       - Eh, queste ragazze!

La direttrice                     - (fulminandolo con lo sguardo) Già, è quello che dico io!

L'aiutante                        - (entrando) L'ho accompagna­to. Dice che... Riverita, signora!

La direttrice                     - Si è portato anche l'Aiutan­te! Cerchi di sbrigarsi perché non è corretto. Non è corretto... (Via per il viale).

L'ispettore                       - Sì, sì, lo so!

L'aiutante                        - È arrivato adesso. Lo faccio aspettare?

L'ispettore                       - No, portalo qui. Poi va a spasso qui intorno. Ma non guardare le ragazze.

L'aiutante                        - Oh, per chi mi prende? A quelle un po' grandine bada lei! (L'Ispettore lo guarda male). Per servizio, s'intende, per ser­vizio! E. a me rimane l'infanzia. (Fa segno con la mano come a indicare l'altezza).

L'ispettore                       - Beato te che non hai niente cui pensare!

L'aiutante                        - Ha trovato qualche cosa?

L'ispettore                       - (quasi a sé stesso) Avrei tro­vato, sì, una via. Ma mi sono imbattuto in un muro! Hai mai provato, tu, a imbatterti in un muro? No, tu non hai mai provato!

L'aiutante                        - Lo scali.

L'ispettore                       - Non si può: è fatto di orari, precisi come quelli dei treni! Beh! fammi ve­nire quello là.

L'aiutante                        - (verso il viale) Venite, giova­notto! Eih, venite! (Via).

Fritz                                 - (entrando dal viale, vestito e modi ri­cercati e nello stesso tempo volgari del mante­nuto tipo) Sono felicissimo di esserle presen­tato, signor Ispettore.

L'ispettore                       - Umh! Come si chiama, lei?

Fritz                                 - Fritz Radic. Ma il mio nome di bat­taglia è Fritz Aurora.

L'ispettore                       - Per che cosa? Varietà? Caffè-concerto?

Fritz                                 - No, no.

L'ispettore                       - Che cosa fa, insomma?

Fritz                                 - Ho.. mio fratello impiegato al Co­mune.

L'ispettore                       - Ah! E per questo lei ha un nome di battaglia?

Fritz                                 - La vita è tutta una battaglia.

L'ispettore                       - Allora ne ha persa una ieri.

Fritz                                 - Oh, non me ne parli! Quella povera donna! Tanto cara, tanto affezionata! Morire così!

 L'ispettore                      - (sedendo sulla panchina contro il muro) Come, così?

Fritz                                 - Io non lo so. Si dice sempre così. È un modo di dire. Permette? (Spolvera accura­tamente la panchina, distende il fazzoletto e siede accanto all'Ispettore).

L'ispettore                       - Non porta il lutto? Ma già, non può ereditare nulla...

Fritz                                 - Oh, tra me e la defunta c'era una relazione platonica, con purezza, con fraternità.

L'ispettore                       - E con quattrini.

Fritz                                 - Era un'anima eletta, sensibile agli affanni del prossimo.

L'ispettore                       - E il prossimo era lei! È un altro nome di battaglia?

Fritz                                 - Ma io la ripagavo di tanto sincero affetto!

L'ispettore                       - Com'è quella storia del tele­gramma dal paese mentre lei era qui?

Fritz                                 - Lei è un uomo e mi potrà capire...

L'ispettore                       - No, io certe porcherie non le capisco mai.

Fritz                                 - Ma, infine, non aveva doti di natura. Non si poteva certo dir bella, povera anima cara...

L'ispettore                       - Ebbene?

Fritz                                 - Sapevo che mi avrebbe telegrafato di venire a trovarla, come accadeva un paio di volte al mese; allora sono venuto prima e ho lasciato l'incarico a mio fratello...

L'ispettore                       - Quello del Comune?

Fritz                                 - Sì, quello. Doveva rispondere a mio nome e telegrafarmi l'appuntamento in città.

L'ispettore       - E qui, lei, che cosa faceva?

Fritz                                 - Lo ripeto, non era bella... Ho qual­che piccola amica...

L'ispettore                       - Quelle con le quali rimase l'altro ieri tutto il giorno e la sera all'« Albergo del Fiore»?

Fritz                                 - Vedo che ci si interessa di me. Ma si metta nei miei panni...

L'ispettore                       - Me ne guardo bene. Ma ritor­niamo al suo famoso alibi: a me consta che non è vero, come vuol farci credere, che lei sia rimasto sempre con quelle ragazze. Dalle sette alle otto, lei non era in albergo. Dov'era?

Fritz                                 - Ma... io...

L'ispettore                       - Dov'era?

Fritz                                 - Ecco, vede... Sono andato a passeg­giare...

L'ispettore                       - Non dica cose stupide. Lei non poteva aver voglia di passeggiare!

Fritz                                 - Le assicuro...

L'ispettore                       - Lei è venuto qui al collegio!

Fritz                                 - No!

L'ispettore                       - Ne sono certo.

Fritz                                 - Le giuro...

L'ispettore                       - Questa storia non mi persuade affatto... Verificheremo...

Fritz                                 - Infine, non vedo...

L'ispettore                       - Lei sa che è stata assassinata?

Fritz                                 - Assassinata? Povera anima cara! E chi è stato?

L'ispettore                       - (evasivo) Abbiamo già fatto le nostre indagini...

Fritz                                 - Qui dentro c'era qualcuno... Lei sa che aveva firmato delle cambiali? Per tremila lire! Proprio levate di bocca, poverina! E sa per chi?

L'ispettore                       - Me lo immagino.

Fritz                                 - No, non per me, le do la mia pa­rola d'onore!

L'ispettore                       - Oh, allora!

Fritz                                 - Per la persona che qui dentro sa­peva della nostra relazione e minacciava di farla mandar via, ricattandola.

L'ispettore                       - Eh, via! Che bugie mi sta rac­contando! Sa chi fosse?

Fritz                                 - No, non me l'ha mai voluto dire. Conosceva il mio carattere e sapeva che io...

L'ispettore                       - Eh, mi immagino! Si trattava, in certo modo, di denaro sottratto a lei! Sa al­meno se fosse un uomo o una donna?

Fritz                                 - Non so nulla, proprio. (L'Ispettore estrae dalla tasca il portasigarette e ne prende una). Permette? (Senza aspettare la risposta prende una sigaretta. L'Ispettore depone il por­tasigarette accanto a se, sulla panchina).

L'ispettore                       - (tra se) Qui c'era chi sapeva e, in certo modo, minacciava...

Fritz                                 - Ecco.

L'ispettore                       - (scattando) Ma era un'allieva: una signorina di famiglia. Il denaro non può entrarci.

(Maddy, dalla finestra sovrastante la panchi­na, si affaccia un momento; vede il portasiga­rette e si ritrae in fretta).

Fritz                                 - Non ho ancora conosciuta una per­sona alla quale non facesse gola il denaro.

L'ispettore                       - Non ne dubito: con la sua specie di conoscenze! Ma ce ne sono, ce ne sono. Bene. Allora lei può anche andarsene.

Fritz                                 - (alzandosi) Sempre a sua disposi­zione, signor Ispettore. E... felicissimo di aver­la conosciuta. (Porge la mano che l'Ispettore non stringe).

L'ispettore                       - Speriamo d'incontrarci pre­sto! (Fritz via. L'Ispettore rimane solo a fu­mare su la panchina. Dalla finestra che sovrasta appare il gruppo delle ragazze. Soltanto Sonia è in alta divisa. Maddy cala di tra le sbarre, appesa a un filo, una grossa calamita, sino a impadronirsi del portasigarette che sta appog­giato accanto all'Ispettore. Questi non si accorge della burla che quando l'oggetto è a mezz'aria e sta per giungere alle ragazze). Brave! Proprio a me?... (Cenno scherzoso di minaccia, alzan­dosi, mentre le allieve ridono. Poi, con improv­visa veemenza) Un momento! Ah, perbacco! Dove hanno preso quella calamita?

Maddy                             - È sempre stata qui.

L'ispettore                       - E che cos'è quella stanza?

Latjsy                              - Il gabinetto di fisica e chimica.

L'ispettore                       - Vengano giù, per favore. Mi portino quell'ordigno così legato. E mi chiami­no la Direttrice, subito! (Le ragazze si ritirano). Andry! Andry!

L'aiutante                        - (giungendo di corsa) Eccomi, signor Ispettore.

L'ispettore                       - Il muro! Il muro!

L'aiutante                        - Il muro?

L'ispettore                       - Ho trovata una breccia nel muro! Adesso bisogna agire. Ho un'idea. Tu sta' bene attento a quello che farò.

L'aiutante                        - Va benissimo.

L'ispettore                       - Intanto va' a telefonare alla Centrale. Domanda, se tra gli oggetti riportati, il... (Entra la Direttrice, seguita dalle ragazze).

La direttrice                     - Che c'è ancora?

L'ispettore                       - (all'Aiutante) Domanda se... (Finisce la frase nell' orecchio. Aiutante via. Alla Direttrice) C'è che, signora, ho inventato un bel giochetto di società. (Prende dalle mani di Sonia la calamita e il filo mentre Maddy, senza farsi vedere dalla Direttrice, gli restituisce il portasigarette).

La direttrice                     - Ma...

L'ispettore                       - Un bellissimo gioco, vedrà, signora. (Fa ballonzolare la calamita tenendola per il filo).

La direttrice                     - Ma le pare il momento?

L'ispettore                       - Aspetti a giudicare! (E’ preso da una specie di eccitazione). Ma voglio molto pubblico! Molto! Lei, signora, dovrebbe avere la cortesia di chiamarmi un po' di gente. Il Pro­fessore di chimica, per esempio, quello di ballo, la Vicedirettrice, il Cuoco.

La direttrice                     - Ma il professore di ballo non c'è.

L'ispettore                       - Pazienza: mi contenterò degli altri.

La direttrice                     - E va bene! Tu (a Diomir) chiama la Vicedirettrice, il Professore di chi­mica, che sta facendo lezione in quarta, e il Cuoco. (Diomir via).

L'aiutante                        - (entrando di corsa) Hanno det­to di sì. Per l'altra cosa ho verificato: è esatto.

L'ispettore                       - Non ne dubitavo. Allora si può incominciare. (All'Aiutante) Aiutami a spo­stare questa panchina. (Spostano verso il cen­tro della scena quella addossata al muro). Ecco, così.

La direttrice                     - Ma che cosa significa?

L'ispettore                       - Signora, siamo in ricreazione! È un gioco. Quando io ne invento uno si può star certi che riuscirà: si tratta sempre di un gioco a penitenza; e questa, in generale, si fa all'ergastolo. Ma ci pensa il magistrato.

(Entrano il Cuoco e il Professore di chimica, seguiti da Diomir e dalla Vicedirettrice).

La direttrice                     - Insomma, io non capisco a che cosa possa servire tutto questo. Ma se lei lo ritiene necessario... pur di uscirne presto...

L'ispettore                       - Signora, chi ha assassinato l'istitutrice e Nisia è qui tra noi, in libertà.

(Ognuno si guarda con diffidenza intorno, e cerca di rimanere isolato il più possibile for­mando così un ampio semicerchio intorno alla panchina. E sul volto di ciascuno il terrore).

Il cuoco, il professore, la direttrice, la vicedirettrice   - (insieme) Che cosa dice? Ma come?... Oh, Vergine santa! Oh, Gesù!

L'ispettore                       - Il serpente a sonagli, che qual­cuno di loro ha udito nella notte, è ancora an­nidato nell'ombra. Ma per poco. Loro sanno che cosa fanno certe tribù di selvaggi, quando accade un delitto, per scoprire chi è stato? Lo stregone distribuisce a ciascuno una bacchetta di legno, tutte della stessa lunghezza. Poi recita delle preghiere, brucia del pelo di scimmia e delle unghie di leone. E annunzia che all'assas­sino si sarà allungato il bastoncino di quattro dita. Il colpevole ha paura e accorcia il suo della stessa misura della quale dovrebbe cre­scere: e così è scoperto. Io qui non adopero lo stesso sistema, perché avrei timore di trovare tutte le bacchette accorciate! Incominciamo: pongo su questa panchina il mio portasigarette. Ciascuno di loro dovrà, stando dietro la spal­liera, calare questo filo con la calamita, sino a che questo non si attacchi al portasigarette, e dovrà tirarlo su. Nient'altro. Come vedono non è difficile. Cominciamo. Prima la signora Diret­trice, naturalmente. (La Direttrice esita, si guarda intorno). Su, su, andiamo, con decisio­ne: in tutti i giochi ci vuole soprattutto deci­sione! (Ella prende il filo ed eseguisce). Per­fettamente. La signora sa giocare benissimo. (Rimette a posto il portasigarette; poi, alla Vi­cedirettrice) A lei.

La vicedirettrice              - Oh, Gesù! (Alla Diret­trice) Devo? (La Direttrice si stringe nelle spal­le. La Vicedirettrice eseguisce).

L'ispettore                       - Benissimo. (La Vicedirettrice sorride intorno, come a un complimento. A So­nia) A lei.

Sonia                               - Anch'io?

L'ispettore                       - È una formalità... (Sonia ese­guisce). Sapevo che sarebbe stata bravissima. Lei? (a Maddy, che eseguisce). Oh, ci eravamo dimenticati del Professore! (Gli porge il filo).

Il professore                    - Io proprio non capisco... Mi meraviglio di lei, signora!

L'ispettore                       - Avanti, avanti! Il serpente è ancora annidato!

Il professore                    - (eseguendo) Benedetto il serpente!

L'ispettore                       - Grazie, Professore. E mastro Simon che se ne sta tutto il giorno ai fornelli? Una piccola distrazione, che diamine!

Il cuoco                           - Io sono vecchio...

L'ispettore                       - Appunto, appunto! Prima di morire è bene conoscere un po' di vita! (Porge il filo al Cuoco. Questi lo prende, ma lo cala verso il portasigarette con mano tremante, così che la calamita, urtando contro la spalliera di pietra della panchina, manda un tintinnio: nell'udirlo Sonia arretra urlando, mentre indica la calamita).

Sonia                               - Ah! I sonagli! I sonagli! Il serpente a sonagli! Ecco, è lo stesso rumore che ho sen­tito l'altra notte!

(Cenno dell'Ispettore all' Aiutante).

Il cuoco                           - (lasciando cadere la calamita spau­rito) No! Non sono stato io! Non sono stato io! (L'Aiutante gli afferra i polsi e li amma­netta).

L'ispettore                       - È inutile che tu neghi, ormai. Vorrei avere uno specchio per farti vedere la tua faccia che confessa. Tu hai uccisa l'istitu­trice perché non voleva darti più denaro e perché la tua follia omicida che già vent'anni fa ti portò al manicomio criminale ha rotto di nuovo gli argini!

Il cuoco                           - (comincia a contorcersi sotto una crisi) Ah! No! No!

L'ispettore                       - Soltanto un pazzo lucido e pericoloso come te poteva architettare un simile delitto! (All'Aiutante) Che cosa ti hanno ri­sposto, adesso, al telefono?

L'aiutante                        - Che di Simon Latzlò, fuggito da quindici anni dal manicomio, non si è più saputo nulla. Deve avere una... (Gli scopre il polso sinistro) Ecco la cicatrice!

L'ispettore                       - E la tua forza di dissimula­zione ha covato la tua follia per undici anni accanto a delle ragazze e delle bimbe! Quante volte, di', hai avuto la tentazione di alzarti dal tuo letto, di notte, e uscire a uccidere? Quante volte, in cucina, non hai dovuto resistere al pro­getto di avvelenare in un sol colpo tutto il col­legio? Ma la paura d'essere ripreso era l'unica cosa ancora vigile in te! Intanto, però, com­mettevi piccole disonestà e ricattavi l'istitutrice. E quando ella si è ribellata, la tua natura di pazzo ha preso il sopravvento! Sei stato di nuovo travolto!

Il cuoco                           - (rimettendosi) Ma se sono rima­sto nelle cucine sino alle nove! Tutti possono testimoniarlo.

L'ispettore                       - È questo che mi ha ingannato sino a poco fa. Come potevi tu, mettere l'atro­pina nel cachet dopo che le ragazze erano entrate nel dormitorio? Il caso e la fantasia di Maddy mi hanno messo sott'occhio la calamita. Tu altre volte dovevi aver visto i tubetti dei cachets che l'istitutrice adoperava e ricordavi che avevano il coperchio di ferro. Dal corri­doio, verso le nove e mezzo, mentre le allieve sono già a dormire e l'istitutrice o ancora pas­seggia o è alla toilette, sali sino alla finestrella che sovrasta il letto della vittima, ti sporgi ap­pena un poco, fai scendere la calamita con un filo, tiri su il tubetto, cambi la polvere e con lo stesso mezzo cali di nuovo, scuoti un poco e la calamita lascia il tubetto. Ma la tua mano di vecchio trema. Trema sempre, guarda! L'ho osservato appena ti ho visto. Ma allora non sa­pevo. La calamita tintinna contro il muro: ecco i sonagli!

Il cuoco                           - Ma come un infermo può salire sino alla finestra? È assurdo.

L'ispettore                       - (all'Aiutante) Di' tu che cosa sei andato a verificare adesso.

L'aiutante                        - Nel corridoio c'è una cassa vuota alta così: basta tirarla sotto la finestrina...

L'ispettore                       - Perché in fondo alla tua gam­ba di legno c'è quel cerchio chiaro? Te lo dico io. Perché lì fa presa un tampone di gomma per non scivolare, che tu hai tolto sin dal primo interrogatorio per farmi sentire che nel cam­minare facevi rumore. Era un modo abile di insinuarmi l'idea che tu non potessi far nulla silenziosamente, di nascosto, senza essere udito e riconosciuto. Lì, però, hai sbagliato, perché poco fa quando sei passato lo avevi rimesso cre­dendo che tutto fosse finito. Ed io, istintiva­mente sorpreso di non averti udito passare, l'ho notato. Vedendomi ancora qui, l'hai tolto di nuovo, vedi? Non dici più niente?

Il cuoco                           - (contorcendosi sotto un principio di crisi) No, non io. Latzlò! Ha voluto Latzlò! È stato lui a commettere tutti i delitti...

L'ispettore                       - Ed anche Nisia, hai ucciso! Perché si credesse al suo suicidio e si avvalo­rassero i sospetti su di lei!

Il cuoco                           - No, Nisia no!

L'ispettore                       - Ah, Nisia no, vero? Dunque l'istitutrice sì!

Il cuoco                           - (definitivamente sotto la crisi) No, Nisia no! L'altra sì! È vero! È vero! E se fosse ancora viva lo rifarei! Ho tanto sofferto, rinchiuso prima... poi qui... Lo rifarei perché è Latzlò che comanda. Io non posso che ubbi­dire... Lo rifarei! Lo rifarei!

L'ispettore                       - (all'Aiutante) Via! Portalo via! (L'Aiutante lo trascina via. Pausa). Signora Direttrice, quella povera figliuola si è veramen­te uccisa. Nessuno ha notato, scritte a matita sul muro della cella tre parole: «Mi punisco. Nisia».

La direttrice                     - Povera bimba! Ma perché lei non ce l'ha detto prima?

L'ispettore                       - Non l'ho detto prima perché volevo che al colpevole potessi attribuire anche il delitto che non aveva commesso. Questo lo avrebbe esasperato in modo da farlo scattare alla prima scintilla. È così è avvenuto.

La direttrice                     - Ma come, la poverina, ha potuto procurarsi il veleno?

L'ispettore                       - Chi sa da quanto tempo il suo spirito malato lottava contro l'idea del sui­cidio, dinanzi alla piccola busta chiusa!

La direttrice                     - È su di me che pesa la re­sponsabilità di queste fanciulle... Che cosa po­trò dire di fronte al mondo?

Diomir                             - (tristemente) Oh, signora! Ed io, allora? Era come una sorella... L'ho accusata ingiustamente... e l'ho perduta!

L'ispettore                       - (prendendo Diomir affettuosa­mente per le spalle) Non ha resistito... ma lei non aggravi la sua pena di sorellina... Nes­suno poteva prevedere quali reazioni si sareb­bero scatenate in anime trepide e fragili al con­tatto del delitto! (Alla Direttrice) Forse voi le difendete troppo dalla vita!... Insegnate loro ad averne paura... E la paura della vita non è sempre il migliore insegnamento che si possa dare alla giovinezza. Ma adesso, signora Diret­trice, ho finito davvero. Arrivederla. Signorine! (Si inchina, prende il cappello e si avvia).

Il professore di chimica   - (gli grida dietro) Ah! Mi sono poi ricordato di quello che ho fat­to in quel quarto d'ora. Sono rimasto...

L'ispettore                       - Bene, bene, Professore! Me lo racconterà un'altra volta! (Via).

(Tutti lo seguono con lo sguardo mentre scen­de per il viale. Quando non lo scorgono più, Sonia appoggia il capo sulla spalla di Maddy con un alto pianto sconsolato).

La direttrice                     - (impaurita) Oh, Dio! Che c'è ancora?

Sonia                               - (piangendo comicamente) Se n'è andato!

(Tutti alzano le braccia verso di lei con un gesto di comica protesta).

FINE