Il signor Badin

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“IL SIGNOR BADIN”

di

Georges Courteline

Traduzione di Marco Parodi

personaggi:

Il direttore:  

Il signor Badin:  

Rimedia, donna delle pulizie:

                                

,

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L'ufficio del Direttore. Questi,  al suo tavolo di lavoro, sta scrivendo. Ad un tratto s' ínterrompe  e suona il campanello.  La porta si apre; appare la donna delle pulizie.

DIRETTORE Sei tu, Rimedia?

RIMEDIA – Sì, signor Direttore.

DIRETTTORE - E' venuto il signor Badín?

RIMEDIA – Sì, signor Direttore.

DIRETTORE - (stupito) Il signor Badin... è di- là?

RIMEDIA – Sì.

DIRETTORE - Suvvía, sta' attenta, io ti domando se il si­gnor Badin, lo scrivano della terza stanza,  è in ufficio oppure no.

RIMEDIA – C’è, signor Direttore… le dico che c' è.

DIRETTORE – (sospettoso) Tu hai bevuto, __ .

RIMEDIA – (offesa). Io?!

DIRETTORE – Andiamo, dimmi la verità. Non ti farò niente per  questa volta.

RIMEDIA – (con una lacrima nella voce). Gielo giuro, signor direttore, Ho bevuto solo un bicchiere di cocco.

DIRETTORE – (a se stesso) La presenza del signor Badin al ministero costituisce un tale fenomeno, una tale anoma­lia!… Bisognerà indagare. (Forte) Chíamami il signor Badin.

RIMEDIA – Subito, signor Direttore,

Esce. Silenzio. Poi, tre timidi colpi alla porta.

DIRETTORE - Avantí!

BADIN - (inchinandosi profondamente). Signor Direttore.

DIRETTORE -(immerso nelle sue carte e continuandc a scrivere) Buongiorno, signor Badin. Accomodatevi, signor Badin. Prego, prendete una sedia.

BADIN - Troppo buono, signor Direttore, mi confonde,

DIRETTORE - Mio dovere, sedete. Signor Badin oggi, dopo quíndici giorni. Voi tornate per la prima volta in ufficio.

BADIN - (umile), Non me ne parli, la prego.

DIRETTORE - No scusate l E’ proprio per parlarvene che vi ho invitato a venire da me. Dunque dicevo: da quindici gior­ni non vi hanno più visto in ufficio e io, preoccupato per la vostra salute, vi ho mandato sei volte il medico fiscale a casa. Ma ogni volta voi... eravate sceso un momento in birreria.

BADIN – E’ una menzogna, signore! I1 portinaio è un ímpostore e il padrone di casa farà bene a metterlo alla porta!

DIRETTORE  - Certo signor Badín, certo, ma non agitatevi co­sì.

BADIN - Signore, adesso le spiego. Mi hanno trattenuto  gravi motivi di famiglia: la triste perdita di mio cognato.

DIRETTORE - Di nuovo?!

BADIN - Come, prego?

DIRETTORE  - Ah questa! Signor Badín, mi prendete in giro?

BADIN - Oh no!

DIRETTORE - Come no, scusate. Oggi avete perduto vostro co­gnato, come tre settimane fa è morta vostra zia, come del resto vostro zio il mese scorso, vostro padre all'Ascen­sione e vostra madre a Pasqua! E non voglio ricordare, per umana pietà, i vostrí cugini, 1e vostre cugine e gli al­tri lontani parenti che avete sotterrato al ritmo di almeno uno per settimana. Che strage! Si è mai vista una simile moria? E non vi parlo, badate bene, né della sorellina che si sposa due volte l'anno, né della maggiore che partorisce ogni tre mesi. Ora signore, credo che basti. Che ve ne infischiate di tutti, posso anche capirlo, ma ci sono dai limiti. E se pensate che 1'Ammínistrazione vi regali duemilaquattrocento franchi l'anno per permetterví di assistere a funerali o perché possiate fare il testimo­nio a matrimoni o il padrino a battesimi vi dico che non la pensate giusta!

BADIN - Ma signor Direttore. ..

DIRETTORE – Tacete! Parlerete quando io avrò finito. Qui, al disbrigo delle pratiche, abbiamo tre impiegati. Voi, il signor Soupé e il signor DIRETTORE – Fairbatu. Il signor Soupé è con noi da trentasette anni e quindi a lui posso chiedere solo... buona volontà. Quanto al signor Fairbatu, purtroppo ormai lo sanno tutti, non manda più 1e pratiche per posta, ma ci va lui stesso e coglie l'occasione per un piccolo commercio di olio con la provincia. E allora? Foiché sia­mo a questo punto, è veramente inaudito dover constatare cha su tre impiegati, uno sia rimbecillito, l'altro faccía il viaggiatore di commercio ed il terzo assista a fu­nerali dal primo dell'anno a San Silvestro. Avreste per caso idea cha le cose possano continuare così? No, signor Badin, cento volte no! Io sono stanco,  perbacco, di ese­quie, di matrimoni e di battesimi, Ormai bisogna decider­si: essere assiduo o dímettersi, Scegliete. Se volete da­re le dimíssioni, io le accetto. Le accetto in questo stesso istante, Se invece volete rimanere, mi dovete promettere di essere qui ogni giorno, per tutte le ore di ufficio e questo da domani stesso. E’ chiaro? Bisogna i­noltre sappiate che il giorno in cui il destino, questo odioso destino che sembra ci provi un gusto matto a perseguitarvi, tornerà di nuovo a colpirvi negli affetti píù cari, ebbene quel giorno io vi sbatterò fuori!

BADIN - Oh signor Direttore, lei non è contento di me. vero?

DIRETTORE - Vi sbagliate Badin, non è per animosità..

BADIN - E allora, perché vuole ferirmí?

DIRETTORE - Io? E in che modo?

BADIN - Sissignore, mi vuole ferire. Anche lei! Come certi colleghi mattacchioni che mí chiamano "impiegato per burla". "Per burla"? Dio la guardi, signore, dal vivere anche un solo quarto d'ora la mia vita di "impiegato per burla"

DIRETTORE - (stupito), Sentite. Perché non vi spiegate me­glio?

BADIN - Ascolti signore. Ha mai pensato lei alla vita del povero impiegato che sistematicamente, ostinatamente non vuo­le andare in ufficio e che la paura di essere cacciato assale, perseguita, tortura, martirizza continuamente?

IL DIRETTORE - Io no.

BADIN - Ebbene signore, è una cosa spaventosa ed è la mia vita ormai. Tutte le mattine io parlo con me stesso e mi dico: "Va' in ufficio Badin, ormai sono otto giorni che non ci vai più". Allora mi vesto ed esco, mi dirigo verso BADIN -l'ufficio, ma attenzione... entro in una birreria. Prendo una birra, due, tre birre. Poi guardo l'orologio che cammina cammina e penso: "Quando segnerà l'ora giusta andrò       in ufficio".

Disgraziatamente, quando la lancetta segna l'o­ra, io aspetto che segni un quarto, quando ha segnato íl quarto. aspetto la mezza...

DIRETTORE - … e quando è la mezza, vi prendete quindici minuti di tolleranza.

BADIN - Proprio così! Dopo di che mi dico: "E' troppo tardi. Potrebbe sembrare che ne approfitti. Sarà per un'altra vol­ta". Che vita! Che vita! Io avevo uno stomaco di ferro, un sonno facile... ero allegro... Ora non riesco più a provare piacere di niente, tutto quello che mangio mi sembra amaro come il fiele. Se esco di casa striscio lungo i muri come un ladro, l'occhio spaventato, e la paura costante d' incontrare un mio superiore. Quando rientro, ho sempre l'idea fissa di trovare dal portinaio la lettera di licenziamento. Io vivo sotto il terrore del licenzia­mento, come il malato sotto i ferri del chirurgo. Dio mio!

DIRETTORE - Una domanda, signor Badin. Parlate sul serio?

BADIN - Ho proprio voglia di scherzare! Via rifletta, signor Direttore. Qui mi danno duemilaquattrocento franchi   di stipendio l'anno: non ne ho che per vivere. Ma cosa acca­drebbe il giorno, inevitabile purtroppo, in cui non me li dessero più? Perché vede, io non mi faccio nessuna illu­sione; ho trentacinque anni, età terribile, in cui lo sventurato che si lasci sfuggire il proprio pane, deve rinunciare alla speranza di rítrovarlo mai più! Eh sì, non è allegro tutto questo. Signore, io sono dimagrito di dieci chili da quando non vengo più "tanto spesso" in uffi­cio. (Mostrando i polpacci) Guardi piuttosto i miei pol­pacci, sembrano candele steariche. E se lei vedesse le mie reni! Vere reni di gatto affamato, c'è da piangere. Ora ascolti signore - siamo fra uomini – questa mattina ho avuto la curiosità di guardare il mio sedere allo specchio. Ebbene, ancora soffro a pensarcí. Che spettacolo! Un povero piccolo sedere da nulla, appena BADIN - grosso come questi pugni. Io non ho più natiche! Si sono consumate. Le preoccupazioni naturalmente, le angosce continue, gli affanni… E come se non bastasse, la notte ho dalle crisi di tosse e sono continuamente in un lago di sudore. Allora mi al­zo, fino a cinque e sei volte per andare a bere. (Scrol­lando il capo) Ah! Finirà male tutto questo, finirà molto male.

DIRETTORE - (intenerito). Venite più spesso in ufficio, si­gnor Badin.

BADIN – Impossibile, signor Direttore.

DIRETTORE  - Perché?

BADIN - Non posso... mi annoio,

DIRETTORE – Ah! Permettetemi di dirvi che se anche i vostri colleghi la pensassero così...

BADIN - Con il profondo rispetto che le devo, vorrei farle no­tare, signor Direttore, che non è possibile un confron­to fra me e i miei colleghi. I miei colleghi danno all'ufficio il loro zelo, la loro attività, la loro íntellígen­za e il loro tempo, mentre io,  io è la mia vita, capisce, che gli sacrifico! (Affranto ) Creda, signore, così non può continuare.

DIRETTORE - (alzandosi) Avete ragione, Badin, è anche la mia opinione.

BADIN - (alzandosi anche lui) Ah! Lo crede pure lei!

DIRETTORE – Assolutamente. Presentatemi le vostre dimíssio­ní. Sarà mia cura trasmetterle a chi di dovere.

BADIN - Le mie dimissioni? Ma cosa dice? Io chiedo semplicemente un aumento di stipendio.

DIRETTORE - Come, un aumento?

BADIN - (sulla soglia). Per forza,  signore, siamo giusti. Non posso

continuare ad uccidermi per duecento franchi al mese.

- f i n e -