Il signor Pigmalione

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IL SIGNOR PIGMALIONE

Bizzarria tragicomica di uomini e fantocci

In un prologo e tre atti

Di GIACINTO GRAU

PERSONAGGI

Uomini:

PIGMALIONE - IL DUCA D'ALDURCARA

GIULIA

LUCIO

                                      SAVERIO,              impresari

OLEGARIO

AGOSTINO

PONZANO - DONNA ORTENSIA

TERESITA - UN PORTINAIO

Fantocci:

LA BELLA POMPONINA - DON LINDO

URDEMALAS

IL CAPITANO ARAGNA

LUCINDA

                                      CORINNA            dame dì Pomponina

MARILONDA

DONDINELLA

MINGO

PACO

PIETRO GRULLO

BERNARDO DALLA SPADA

AMBROGIO DALLA CARABINA

IL NANO DELLA BETTOLA

PERIQU1TO

LUCA GOMEZ - GIANNI LO SCEMO

PROLOGO

Ufficio dell'impresa, nel teatro Aldurcara. Una sola porta nel fondo, praticabile, foderata di cuoio e con cristallo ovale in alto. Scrittoio chiuso. Due tavolini con macchine da scrivere. Divani e poltrone di cuoio. Alle pareti: manifesti appesi e sovrapposti, ritratti di artisti e un manifesto enorme che annunzia «Pigmalione e i suoi fantocci», con queste parole: «Successo mondiale! Prodigio di meccanica mai visto! Avvenimento unico, sensazionale e meraviglioso dei tempi moderni!». Due altri manifesti, riproducenti ciascuno un ritratto diverso di Pigmalione, e vari striscioni col nome di Pigmalione a grosse lettere colorate. Sono le due del pomeriggio.

Il Portinaio                    - (con berretto gallonato, aprendo la porta e precedendo Ponzano) Avanti, avanti.

Ponzano                        - (un attore comico in voga, con molto sus­siego e una grande soddisfazione di se stesso, chiara­mente visibile. Entra dietro il portinaio, parlando con tono autoritario)  Finiamola una buona volta con tutte queste menzogne su Pigmalione! Ne ho abbastanza di Pigmalione! Sono arrivato a sognarmelo perfino la notte, capisci?

Il Portinaio                    - Eppure è l'uomo del giorno!

Ponzano                        - Avvisa il signor Olegarìo.

Il Portinaio                    - Il signor Olegario non è arrivato an­cora: ci sono i signori Lucio e Saverio.

Ponzano                        - Ebbene, di ad uno di loro due, fa lo stesso, che desidero parlargli subito. Ma subito, eh?

Il Portinaio                    - Sì, signore.

Ponzano                        - Digli che Ponzano... Ponzano, eh?...

Il Portinaio                    -  Sì, signore; Ponzano...

Ponzano                        - Che Ponzano li attende per un affare urgente.

Il Portinaio                    - Sì, signore. (Esce chiudendo dietro di se la porta).

Ponzano»                      - (si sdraia in una poltrona, si toglie il cap­pello, che posa di malumore sul divano vicino, consulta l’ora al suo orologio e batte il piede sul pavimento con rabbia. Cava di tasca una sigaretta e l’accende. Pausa. Infine, stanco, si rialza e passeggia da un'estremità all'altra della scena, parlando fra sé) Se mi parlano di nuovo di Pigmalione, li mando al diavolo! Credono forse che la presenza di questo signore, debba far scom­parire tutti gli altri artisti? Che noi non si conti più nulla? (Consultando di nuovo l'orologio) E non si vedono ancora... Peggio per loro! (Si dirige al divano, sul quale si lascia cadere) La prendono con calma... Che gente! Non sanno fare gli impresari. (Distendendosi) E che villanzoni! (Entra dalla comune Donna Ortensia con Teresita. Donna Ortensia sembra un poco irritata, ma conserva un'aria dignitosa. Teresita è una ragazza ingenua).

Donna Ortensia             - (a Ponzano) Oh! Voi qui?

Ponzano                        - (in tono dì protezione, senza alzarsi e restando sdraiato) Oh, Teresita! Che c'è di nuovo, Donna Or­tensia?

Donna Ortensia             - C'è che giovedì debutterà Pigma­lione, il quale darà tre rappresentazioni straordinarie.

Ponzano                        -  Lo so, che incubo! E' un mese intero che si parla di questo messere, che sarà poi uno dei tanti ventriloqui. Tre esauriti, salvo complicazioni, ecco tutto!

Donna Ortensia             - E quanta pubblicità! E chi è? II Padreterno?

Teresita                         - Hanno speso un patrimonio in manifesti.

Ponzano                        - (consultando di nuovo il suo orologio) Sono stufo di attendere e me ne vado. (Levandosi in piedi ad un tratto, e cacciandosi il cappello in capo) Fatemi il favore di comunicare all'impresa che ho atteso abbastanza. Oggi intanto non verrò alla prova. Sbagliano quei signori se credono di prendermi di punta!

Donna Ortensia             - (piena di interesse) Che vi è ac­caduto, Ponzano?

Ponzano                        - Nulla. Nulla. Vi dico che anche se non sono Pigmalione, l'impresa sbaglia con me! Buona sera. (Esce).

Donna Ortensia             - Sta fresco, se crede che io porti le sue ambasciate.

Teresita                         - Che boria! Ma si spiega. Lo applaudono troppo, guadagna molto e non c'è giornale che non si occupi di lui.

Donna Ortensia             - (facendosi vento col fazzoletto) II teatro è in crisi, mia cara, poiché si esaltano i falsi valori.

Teresita                         - (contemplando il manifesto di Pigmalione)  E' così, zia... Che bell'aspetto ha questo Pigmalione. Deve viaggiare come un principe e seminare il denaro a palate...

Donna Ortensia             - Si fermerà, oh, si fermerà!

Teresita                         - E sembra ancora giovine. A vederlo lì, si direbbe un personaggio di grande autorità, circon­dato da un'aureola di gloria.

Donna Ortensia             - La gloria sfuma anche se solida; sfuma sempre. Ti basti il caso della Villalobos, ragazza mia: le feci da madre, l'aiutai a sopportare le sue pene, e il giorno in cui divenne celebre, mi trattò peggio d'un cane. Questo non c'entra però. Bene. L'hai veduta adesso? Vecchia decrepita e di nuovo nella miseria! La gloria passa presto, mia cara.

Teresita                         - Ma zia, Pigmalione è una celebrità mon­diale!

Donna Ortensia             - Tanto peggio! Sono appunto queste celebrità che fanno più fracasso quando precipitano a terra.

Agostino                       - (è un agente dell’impresa. Entra spingendo piano la porta. Scorgendo le due donne si toglie il cap­pello con cortesia. E' un tipo cerimonioso e che fa molti gesti) Voi qui?! Scusate... Ma sanno gli impresari che voi li attendete?

Donna Ortensia             - (alzandosi) Sì, lo sanno.

Agostino                       - Vogliate scusarli. Con la venuta di Pig­malione tutti hanno perduto la testa...

Donna Ortensia             - Ah! E' già arrivato Pigmalione?...

Teresita                         - (con grande curiosità) E' arrivato?

Agostino                       - Sì, è arrivato stamattina.

Teresita                         - Somiglia al ritratto del manifesto?

Agostino                       - Non l'ho visto. Il Duca d'Aldurcara è andato a riceverlo alla stazione. Si dice che abbia un aspetto imponente. Egli del resto non lavora: lavorano solo i suoi fantocci.'

Donna Ortensia             - Vedremo questi famosi fantocci. Un'altra cosa. Noi siamo qui, come saprà, per le ultime due recite.

Agostino                       - Oh! Sono veramente dolente che vi siate disturbate; vi faccio molte scuse a nome dell'impresa, ma è stato deciso di non dare più le due recite di addio.

Donna Ortensia             - Ma queste sono cose...

Agostino                       - Vi spiego, signora. Pigmalione vuole far le prove da solo, notte e giorno, sul palcoscenico con i suoi fantocci. L'impresa l'ignorava. Forza maggiore.

 Donna Ortensia            - Mi dica piuttosto, signor Ago­stino... L'impresa si propone tirar avanti con questo Pigmalione fino all'estate?

Agostino                       - Anche di più, se sarà possibile.

Donna Ortensia             - Ma in quindici giorni costui sarà esaurito!

Agostino                       - Non credo, signora. Viaggia con molti fantocci che rappresentano oltre duecento commedie. Una meraviglia! Cosa mai vista fra noi! Come è facile supporre ve ne sarà per un pezzo.

Donna Ortensia             - E' vero che questi fantocci parlano?

Agostino                       - Come noi.

Donna Ortensia             - Meglio degli artisti, poi no!

Agostino                       - Signora, per gli artisti che abbiamo oggi! L'arte è in ribasso. Non parliamo poi degli autori!

Donna Ortensia             - A noi non resta che andarcene.-Ci rifaremo sulla penale.

Agostino                       -  A tutto è stato provveduto. Ai loro or­dini. (Le due donne escono. Egli si siede davanti ad uno dei tavolini, preparando un foglio di carta per scrivere a macchina. Bussano alla porta) Avanti.

Il Portinaio                    - (aprendo la porta, togliendosi il berretto e mostrando un pacchetto di carte) I ritratti, i pro­grammi e i manifestini a mano per lo spettacolo del signor Pigmalione.

Agostino                       - Posali sul tavolo.

Il Portinaio                    - Va bene.

Agostino                       - E' venuto Olegario?

Il Portinaio                    - Non ancora. Desiderate altro?

Agostino                       - Niente altro. (// portinaio esce. Agostino continua ad accomodare il foglio nella macchina. Nuovo silenzio. Si apre la porta, e entrano Lucio e Saverio).

Saverio                          - Olà!

Lucio                             - Che state facendo?

Agostino                       - (alzandosi in piedi)  Volevo scrivere quelle lettere...

Saverio                          - Lasciate tutto sospeso per ora. Andate al botteghino e telefonate alla ditta della pubblicità lumi­nosa. Vogliamo» da domattina, quattro annunzi inter­mittenti e continui alla Puerfa del Sol; cinque alle Cuatro Galles, due in Via Mayor e altre due in Vìa Carretas. Qua, nella piazza del teatro, tre striscioni lu­minosi sulla facciata e un altro di fronte.

Agostino                       - Non si è mai fatta tanta pubblicità. Il preventivo sarà superato certamente!

Saverio                          - Non importa. Pigmalione è una miniera. Solo a Boston ha incassato un milione, e a San Fran­cisco di California altrettanto...

Agostino                       - Ma voi conoscete Madrid: ci vorranno per Io meno una cinquantina di sere, perché tutti ve­dano questo spettacolo. E poi con i prezzi così alti, non so veramente...

Lucio                             - Si tratta d'un avvenimento mondiale e per­fino scientifico.

Saverio                          - Una cosa mai vista. Pigmalione ha creato l'uomo artificiale. Andate a telefonare per la pubblicità luminosa.

Agostino                       - Subito. Ho visto Ponzano e...

Saverio                          - Sì, sì, già lo sappiamo. Niente! Fra Pon­zano e Morales, Ponzano. Diamo la preferenza al ge­nere comico.

Lucio                             - (a don Saverio) Vedrai come Morales ci metterà in ridicolo sulla stampa. Ha molti amici tra i cri­tici...

Saverio                          - M'infischio del ridicolo! Quel che conta è la « cassetta »!

Lucio                             - Su questo argomento non si ammettono di­scussioni.

Saverio                          - Del resto, dopo l'avvenimento di Pigmalione, anche il nostro nome di impresari avrà il suo valore. (Volgendosi verso Agostino) E Olegario?

Agostino                       -  Non si è visto. Strano!

Lucio                             - In un giorno come questo! Se la prende con comodo. Invece di telefonare alla ditta della pubblicità luminosa, andateci personalmente; trattandosi di una ordinazione non consueta, cercate di farvi fare uno sconto.

Agostino                       - Ho capito. (Esce rapido),

Lucio                             - (sedendosi davanti lo scrittoio, aprendolo e rileggendo lettere e carte) L'aspettativa è enorme.

Saverio                          - Questo Pigmalione ha fatto incassare ovun­que fior di quattrini, ovunque ha dato delle rappresen­tazioni. A proposito: l'anno venturo ci vorrà un altro teatro. Questo non fa più per noi.

Lucio                             - Senza questo Pigmalione e senza il suo in­teresse di iniziare il suo giro dalla Spagna, quest'anno avremmo chiuso male il bilancio!

Saverio                          - Ci occorre un teatro completamente li­bero... Mi spiego?

Lucio                             - Senza un proprietario come il Duca che ci impone le direttive degli spettacoli.

Saverio                          - Ad ogni modo, bisogna per ora sopportarlo perché all'occasione potrà farci un grosso prestito!

Lucio                             - Per questo lo sopporto.

Saverio                       - Vedi? Ora ha voluto essere solo a ricevere Pigmalione, e condurlo in giro per la città. Non si è - neppure degnato d'informarci dell'arrivo. E Olegario che non si vede!     

Lucio                             - L'assenza di Olegario è inesplicabile. Lui non doveva andare a ricevere nessuno. Il caso del Duca è differente. Prende queste cose a pretesto per distrarsi.

Saverio                          - E' naturale: con cinquecentomila <pesetas » di rendita si vedono le cose ben diversamente da come le vediamo noi.

Lucio                             - (alzandosi) Se il Duca dovesse tardare an­cora, andremo ad incontrare Pigmalione al « Palace ».

Saverio                          - (alzandosi a sua volta) Lo pensavo anch'io. Vado a chiamare un taxi. (Entra il Duca, molto in fretta, E' un nobile molto decorativo, non senza un fiore all'occhietto. Si toglie il cappello e gli impresari fanno altrettanto).

Il Duca                          - Buona sera, signori.

Lucio                             -  Finalmente, signor Duca.

Saverio                          - Stavamo per andare da Pigmalione.

Il Duca                          - Sono entusiasta! Da quando Pigmalione è arrivato, non mi sono separato un momento da lui, salvo quei pochi minuti che si è ritirato nella sua stanza. Che uomo straordinario! Vedrete. Un nuovo Cagliostro.

Saverio                          - E' un nuovo Cagliostro?!... E quando po­tremo vederlo?

Il Duca                          - Ci raggiungerà presto.

Lucio                             - Ebbene? Che uomo è?

Il Duca                          - Magnifico! E sapete? E' spagnolo!

Saverio                          - Spagnolo?!

 Lucio                            - Male! Interesserà meno il pubblico. Non conviene dirlo.

Saverio                          - E’ meglio che lo credano straniero.

Il Duca                          - Parla però con leggero accento esotico.

Saverio                          - Meno male. E che non dica di essere spa­gnolo, fino alla fine della scrittura.

Lucio                             - Sì. Non sembra, ma queste inezie hanno la loro importanza nei nostri affari.

Saverio                          - Somma importanza.

Il Duca                          - Mi ha detto che partì dalla Spagna da ra­gazzo, per guadagnarsi la vita, e da solo ha fatto pro­digi; il più grande dei prodigi nel mondo: ha creato la creatura umana artificiale! I suoi fantocci vivono come noi. Una meraviglia!

Saverio                          - Interessantissimo.

Il Duca                          - Meno male che vi interessa qualche cosa, oltre il denaro.

Saverio                          - M'interessa dal punto di vista del denaro, precisamente.

Lucio                             - Ne avete veduto qualcuno dei fantocci di Pigmalione?

Il Duca                          - No. Solo le fotografie e scene delle conti medie riprodotte in molti giornali illustrati. Mi ha vera­mente entusiasmato. E' un vero artista, un vero feno­meno.

Saverio                          -  Speriamo che non sia troppo artista. Per mia disgrazia, gli artisti li conosco troppo! L'artista è sempre un esaltato che crede tutti imbecilli, meno lui. Se poi ha davvero una fama mondiale, come questo Pigmalione, diventa addirittura un essere intrattabile! (Entra Olegario: un tipo un poco ordinario, attempato, con un viso simpatico di buona persona).

Olegario                        - (spingendo la porta e scoprendosi poco a poco) Buona sera, signori. Fermi là! Nessuno si muova.

Saverio                          -  Finalmente!

Lucio                             - Se l'è presa con calma!

Il Duca                          - Capita nel momento opportuno.

Olegario                        - E' arrivato Pigmalione?

Lucio                             - E' arrivato, ma il Duca afferma che è un vero artista e se è proprio così staremo freschi.

Il Duca                          - Voi impresari siete gli unici a disconoscere la merce che negoziate: l'arte.

Saverio                          - Non parlate dell'arte, signor Duca, per amore di Dio!

Il Portinaio                    - (annunciando) Il signor Pigmalione.

Il Duca                          - (alzandosi) Che entri, che entri subito.

Olegario, Lucio e Saverio- (si alzano ugualmente in piedi. Il portinaio scompare un istante e ritorna prece­dendo Pigmalione. E' un uomo di mezza età, aVaspetto ancora giovine; viso rasato, interessantissimo, occhi scru­tatori e vivi; veste un abito scuro e porta U monocolo col cerchio di tartaruga. Entra salutando, togliendosi il mo­nocolo. Fa alcuni passi. Grande scioltezza di modi. Parla, come s'è detto, con un leggero accento esotico).

Pigmalione                    - Buona sera, signori.

Il Duca                          - (andandogli incontro) Caro Pigmalione! Benvenuto. Questi signori sono gli impresari. Se non sono venuti a ricevervi è per colpa mia: desideravo vedervi per primo e da solo.

Pigmalione                    - (inchinandosi dinanzi ai tre soci) Si­gnori...

Il Duca                          - (presentando) Olegario Andrate, Lucio Ibanez, Saverio Talavera.

Saverio, Lucio e Olegario- (si inchinano, danno la mano a Pigmalione, dicono i convenevoli d'uso: piacere, for­tunatissimo, onorato, ecc.).

Lucio                             - Quando potremo vedere i fantocci?

Saverio                          - Parlando commercialmente, quanto calcolate che i fantocci potranno rendere in un teatro come questo?

Olegario                        - Che numero di rappresentazioni hanno raggiunto in altri teatri?

Il Duca                          - Ma così lo stordite; calma, calma...

Pigmalione                    - Il denaro che rendono i miei fantocci, mi lascia del tutto indifferente.

Saverio                          - Vogliate perdonarci se non siamo del tutto del medesimo parere; noi abbiamo la gestione di un teatro e non possiamo parlare di astronomia con chi deve dare degli spettacoli da noi.

Pigmalione                    - Come ho già dichiarato al Duca, a me premono solo i miei fantocci, e la loro vita è più inte­ressante di quella di molti uomini. Avrete modo di convincervene.

Lucio                             - Ma senza il molto denaro che vi occorre non potreste condurre la vita che noi sappiamo voi con­ducete e ritenete necessaria.

Pigmalione                    - Posso assicurarvi che quando costruii, parecchi anni fa, il mio primo fantoccio con l'aiuto di un operaio meccanico, languivo nella più squallida mi­seria; tuttavia né allora, né ora che guadagno molto senza quasi avvedermene, il danaro ha avuto per me né attrattiva né valore; credete a me: il denaro è ciò che vale meno di tutto nel mondo.

Olegario                        - Sarà: questione di punti di vista... di opinioni. E... quando volete incominciare le rappresen­tazioni?

Pigmalione                    - Domani l'altro.

Olegario                        - E noi quando vedremo agire i vostri fantocci?

Pigmalione                    - Domani.

Olegario                        - Perfettamente.

Il Duca                          - Ma noi siamo tutti in piedi. Sediamoci. (Torna al suo divano).

Lucio                             - Le nostre scuse, signor Pigmalione...

Saverio                          - Il naturale interesse dell'affare...

Pigmalione                    - Se permettete, rimarrò in piedi. E vi dirò subito, per tranquillizzarvi, giacché capisco quanto l'« affare » vi sta a cuore, che se non avete la fiducia assoluta e necessaria, non è il caso di fare complimenti: io mi offro fin da questo istante di sostituirmi a voi nell'impresa: posso prendere in subaffitto il teatro per una somma da destinarsi.

Lucio                             - Molto bene. Così si trattano gli affari!

Saverio                          - In questo modo, potrete debuttare quando vi piacerà.

Olecario                        - (con altrettanta soddisfazione) Benissimo!

Il Duca                          - Se davvero vi accorderete per il subaf-fitto del teatro e dell'impresa io vorrei poter essere as­sociato con voi.

Pigmalione                    - Come volete, e se vi fa piacere. Non faccio una questione di maggior utile. Il denaro è così stupido che si lascia guadagnare facilmente anche da fantocci.

 Lucio                            - Hanno già fruttato molto i vostri fantocci?

Pigmalione                    - Mi hanno reso varie volte milionario.

Lucio                             - (lasciandosi scappare la parola, suo malgrado) Perbacchissimo!

Saverio                          - Ma che hanno di particolare i vostri fan­tocci?

Olegario                        - Benché avremo presto occasione dì vederli, pure vorremmo sapere qualche cosa.

Il Duca                          - Sì, Pigmalione, vi preghiamo.

Pigmalione                    - Con piacere. E', naturalmente, il mio argomento preferito. Nulla al mondo mi interessa più dei miei fantocci. Io li ho inventati fra molte ansie, ma adesso ch'essi vivono' e stupiscono il mondo come un prodigio sconosciuto fino ad oggi, si sono impadroniti di me. Da padrone sono diventato lo schiavo dei miei balocchi.

Lucio                             - (infantile) Non si rompono mai i vostri fantocci?

Pigmalione                    - Si rompono, sì, come noi, quando siamo ammalati. Io li accomodo; ma se il guasto è grave, allora bisogna distruggere il fantoccio e farne uno nuovo. Finiscono come noi, come tutti gli esseri umani.

Olegario                        - E' incredibile!

Pigmalione                    - Sono riuscito ad infondere loro una tale vita, che ho bisogno di tenerli sempre sott'occhio, di vigilarli, trattarli con attenzione. Credo che quando sono soli escano dalle loro casse tramando delle dia­volerie. E poi mi odiano. Soprattutto Pomponina. L'ho costruita bellissima, come una principessa da favola, leggera e vana come una chimera. Non è nulla, lei, ep­pure si è impossessata della mia vita. Allo stesso modo che il re di Cipro, da cui ho preso il nome, s'innamorò della statua da lui scolpita, io mi sono innamorato di Pomponina. Sarebbe impossibile ideare qualche cosa di più bello e di più fragile. Per costruirla, ho scelto e fuse insieme per lei le più armoniose forme, e dal suo essere emana l'incanto che affascina!

Olegario                        - Davvero?

Il Duca                          - Ne sono incantato. Vorrei poter vedere la vostra Pomponina!

Pigmalionne                  - Giudicherete voi stessi. Io non posso supplicare Venere, sull'esempio dell'autentico Pigmalione, di animare Pomponina, come animò la famosa statua, perché i miei fantocci sono già esseri animati, vivi, e pas­serebbero per vere persone, se non stessero con me.

Lucio                             - Che genere rappresentano i vostri fantocci?

Pigmalione                    - Commedie comiche, per lo più.

Lucio                             - (con entusiasmo) Comiche? Siete un vero mago. Nel comico c'è sempre interesse e denaro.

Il Duca                          - Scusate, ma questa è la frase fatta più stupida che io possa sentir ripetere agli impresari. Non è il comico che fa il denaro, come dite voi, è lo spet­tacolo che deve essere teatro. Il pubblico ama piangere quanto ama ridere, ma che a farlo piangere sia Shake­speare ed a farlo ridere sia Goldoni. Poi la cassetta si riempie in tutti e due i casi, allo stesso modo. (A Pig­malione) Quando vedremo dunque la bella Pomponina?

Pigmalione                    - Presto, disgraziatamente, Duca, perché appena l'avrete vista, la simpatia che adesso mi dimo­strate si cambierà in odio.

Il Duca                          - Che dite mai, Pigmalione?...

Pigmalione                    - Voi non sapete come sono nati i miei fantocci. Da ragazzo ebbi occasione di visitare qui, a Madrid, per combinazione, la collezione privata di uno straniero ricchissimo, contenente fra l'altro alcuni fan­tocci antichi, di legno. Meravigliosi fantocci costruiti dal celebre orologiaio di Carlo V, e da Vaucanson. Questi automi si muovevano e camminavano in modo perfetto. Mi impressionarono profondamente. In seguito, come se il destino me li avesse messi davanti, ebbi modo di vedere fantocci giapponesi e cinesi e due bam­bole fatte da Lafitte Daussat, che erano una completa imitazione della donna. Partii dalla Spagna, e a Norim­berga, il paradiso dell'infanzia, dove si creano tanti giocattoli, mi interessai della fabbricazione dei fantocci. Ma un giorno, vedendo in un museo maschere di De­bureau, visi scoloriti di Pierrots, maschere giapponesi di legno laccato, maschere dell'antica Commedia Ita­liana, alcune di cera a colori, altre di seta e altre an­cora di velo disteso sopra fili di rame, nacque in me l'idea di creare artificialmente l'attore ideale, mecca­nico, senza vanità ne ribellioni, sottomesso al suo poeta creatore, come l'argilla nelle mani degli scultori...

Il Duca                          - Stupenda idea! Il teatro subirebbe una vera trasformazione!

Pigmalione                    - Poi volli andare più in là nel mio proposito, e fui tentato di sorpassare la meccanica e produrre fantocci-creature, di un'argilla sensibile che avesse qualche cosa di umano.

Il Duca                          - (con lo sguardo fisso a Pigmalione, pendendo dalle sue labbra) Audace proposito!

Picmalione                    - Molti l'hanno avuto: a me la provvi­denza ha fatto il dono di attuarlo. E spero di ottenere molto di più: creare qualche cosa di superiore all'uomo.

Il Duca                          - Diavolo!

Picmalione                    - Mi anima il risultato ottenuto dal mio primo saggio. I miei fantocci hanno nell'interno arterie, nervi, viscere e perfino una linfa che fa le veci del sangue. (/ tre impresari ne hanno abbastanza della spie­gazione e sono impazienti di andarsene, ma costretti a rimanere, si distraggono, si sdraiano alla meglio ed a poco a poco, mentre Pigmalione parla solo al Duca, essi si assopiscono) Cercai quindi le materie che si sa­rebbero potute combinare meglio per il mio scopo ; alcune rarissime o ancora sconosciute, e cominciai a comporre le mie figure. Radium, lamiere calamitate d'un acciaio speciale, combinato e reso sensibile da me, secondo un procedimento speciale; tutti hanno una rete complicatissima... (Pigmalione guarda gli impresari e interrompe il suo discorso).

Il Duca                          - (con gesto compassionevole per i tre addor­mentati) Venite con me. Fuori, seguiterete a spie­garmi. E' così interessante!

Pigmalione                    - (indicando gli impresari) Sono come i miei fantocci: danno ciò che hanno. Ogni uomo non può essere diverso da come è stato creato.

Il Duca                          - (prendendo Pigmalione a braccetto e condu­cendolo lentamente verso la porta) Sono degli ani­mali. Ecco ciò che sono!

Pigmalione                    - (lasciandosi condurre) Fanno la loro parte. Ognuno, al mondo, deve fare la sua parte. Noi due stiamo recitando la nostra. Chi ha ragione fra tutti? (Escono silenziosamente),

FINE DEL PROLOGO

 

ATTO PRIMO

Un apparato di tende, in fondo ed ai lati, di colore scuro, ricadenti in ampie pieghe. Il soffitto, ugualmente in stoffa pieghettata, del medesimo colore. Accostate alle tende del centro, nove alte casse, dipinte in chiaro, ab­bastanza larghe per contenere un fantoccio delle propor­zioni di una persona di statura normale. A ciascun lato, accostate anche alle tende, altre quattro casse iden­tiche. Tutte tenute con cura, sembrano nuove e spiccano sullo scuro delle tende, portando nel mezzo del co­perchio, che è come una porta praticabile, e in un punto molto visibile, due grandi cartelli, facilmente leggibili. Quello in alto dice: «Attenzione! Fragile!»; quello in basso che è collocato quasi al centro, porta il nome del fantoccio racchiuso nella cassa. Sulla cassa di Pomponina, invece di «Attenzione! » si leggerà « Massima atten­zione! », e invece di «Fragile!», «Fragilissima! ». Le casse saranno disposte nel seguente ordine: al centro, Pomponina; a destra della cassa di Pomponina, quella di Lucinda, Marilonda, Don Lindo, Periquito; a sinistra della cassa di Pomponina quelle di Corinna, Dondinella, Bernardo dalla Spada e Ambrogio dalla Carabina. Al lato sinistro, primo termine, cassa di Gianni lo Scemo, seguita da quella del Capitano Aragna, Pietro Grullo e Mingo. Al lato destro, primo termine, cassa di Urdemalas, seguita da quella del Nano della Bettola, Paco, e Luca Gomez. Un tenue chiarore rischiara lievemente tende e casse. Solitudine completa.

(I tre impresari entrano da sinistra, primo- termine, quasi sulla linea del sipario).

Lucio                             - Pigmalione non è ancora arrivato.

Saverio                          - E neppure il Duca.

Olegario                        - (consultando l'orologio) Sono sempre così puntuali: non tarderanno.

Lucio                             - (camminando indietro fino quasi alla ribalta, per vedere l'effetto delle casse, che spiccano nell'ombra delle tende) Non potrebbe essere più semplice la sce­nografia.

Saverio                          - (imitando Lucio) E' vero: ridotta ai mi­nimi termini.

Olegario                        - (raggiungendo i suoi due colleghi e osser­vando con essi le casse e le tende) Questo sistema di Pigmalione di rappresentare le sue commedie con tende per decorazioni, è molto economico.

Saverio                          - Ho una grande curiosità di vedere questi fantocci.

Lucio                             - Anch'io. (Si ode un cigolio scordato).

Olegario                        - (facendo un salto indietro) Avete sentito?

Saverio                          - Sì, un rumore in questa cassa. (Indica quella di Luca Gomez, vicino a quella di Paco, e vi ac­costa l'orecchio. Anche gli altri due ascoltano).

Lucio                             - Si sarà allentata, qualche molla o qualche vite del fantoccio.

Olegario                        - (cercando di aprire la cassa e scuotendola) Non si ode più nulla.

Saverio                          - (trattenendo Olegario) Ma che fate?... Siete matto? Lasciate stare.

Lucio                             - Volete rovinare il fantoccio? Saremmo nei guai; col teatro già tutto venduto.

Saverio                          - Bell'affare!

Olecario                        - (guardando un'altra cassa attraverso le fes­sure) E' strabiliante!

Il Portinaio                    - (col berretto in mano, entrando dalla stessa parte di dove sono entrati gli impresari) Il signor Agostino ha telefonato, e dice che, se non avete bisogno di lui, questa sera non verrà perché è raf­freddato.

Saverio                          - Sta bene: che non venga.

Il Portinaio                    - (si incammina per ritirarsi, poi tornando indietro) Ah, me ne ero dimenticato... II signor Pigmalione ha detto che, se si odono dei rumori nelle casse, di non farci caso        - (scandendo molto le sillabe) perché al minimo cambiamento di temperatura, o alla più lieve oscillazione del suolo, i meccanismi complicatissimi...

Saverio                          - Sta bene! Abbiamo capito. Portami piut­tosto qualche sedia.

Il Portinaio                    - II signor Pigmalione non vuole seg­giole in scena, si è raccomandato...

Saverio                          - Ah! Se lo ha detto Pigmalione... basta. (// portinaio esce).

Olegario                        - (tirando fuori l'orologio) Le dieci e mezzo!... (// Duca e Pigmalione, entrano da sinistra, primo termine).

Il Duca                          - (salutando allegramente nell'entrare) Buona sera.

Pigmalione                    - Signori.

Lucio                             - (andando loro incontro, premuroso) Come mai così tardi? (Scambio dì strette di mano).

Saverio                          - Siamo tutti in una grande curiosità, signor Pigmalione.

Il Duca                          -  Impazienza giustificata.

Pigmalione                    - Ebbene, i vostri desideri verranno su­bito appagati.

Olegario                        -  Sia ringraziato Iddio!

Pigmalione                    - Vi mostrerò prima i fantocci; poi le bambole, una semplice presentazione. Fino a che non vanno in scena, non li vedrete lavorare.

Saverio                          - Non potreste farci assistere a qualche breve scena d'insieme, per esempio?

Pigmalione                    - Non è possibile. Prima di tutto perché, per recitare, queste casse ingombrano: non debbono mai esser in vista del pubblico e non varrebbe la pena rimuoverle adesso. Poi, perché i miei fantocci, quando lavorano, bisogna vederli a distanza e possibilmente con occhi di fanciullo; che è il modo migliore di veder l'arte... Eccoci, dunque. (Cava di tasca un piccola chiave) Incominciamo dallo Scemo.

Il Duca                          - (leggendo sulla cassa) «Gianni, lo Scemo».

Pigmalione                    - Un idiota maligno, molto maligno, come ce ne sono tanti nel mondo.

Il Duca                          - E' vero. Gli scemi sono di solito maligni e perversi.

Pigmalione                    - La scempiaggine non è quasi mai ge­nerosa. Stoltezza e meschinità sogliono essere sorelle. (Introducendo la chiave nella cassa di Gianni, la rigira due volte. Si odono, ad ogni mandata, cigolii acuti e musicali).

Il Duca                          - Ci credete che sono commosso?

Saverio                          - Io ho una specie di paura...           

 Olegario                       - Anch'io...

Lucio                             - E’ una cosa impressionante!

Pigmalione                    - Un poco indietro, per favore. (I quattro obbediscono) Ecco!  (Togliendo la chiave dalla cassa) Aprirà la porta da sé. Vieni fuori Gianni! (Aspettativa del Duca e degli impresari. Gianni non esce. Imperativo) Andiamo! Fa quel che ti dico! Esci! (Si ode un leggero scricchiolio di cassa musicale, e quindi, con un cigolio di molle e ferri, si apre rapidamente la porta della cassa e appare Gianni lo Scemo che fa due passi verso Pigmalione).

Gianni                           - Cu, cu! (E’ vestito come l'attore comico classico del teatro ingenuo « de brocha gorda »: berret­tino ridicolo, guance e punta del naso rosse; ciglie in­verosimili, capelli lisci, bocca puntuta, molto rossa, il viso grottesco rasato, soprabito fantasia, pantaloni a qua­dretti, un bastone grosso e pesante da pagliaccio. Il Duca e gli impresari l'osservano con grande interesse),

Pigmalione                    - Buona sera, Gianni. Saluta questi si­gnori.

Gianni                           - (con la faccia seria, stupidamente impertur­babile) Cu, cu!

Pigmalione                    - E' il meno complicato di tutti. Non parla. Dice solo ciò che avete udito. Mi è bastato imi­tare il meccanismo di un semplice orologio a pendolo, Passiamo ora agli altri.

Gianni                           - (dondolandosi, aprendo e chiudendo gli occhi e facendo smorfie) Cu, cu!

Pigmalione                    - Sta zitto!

Gianni                           - Cu, cu!

Pigmalione                    - (andando verso di lui autoritario) Si­lenzio, ti ho detto!

Gianni                           - Cu, cu!

Pigmalione                    - (tirandogli un orecchio) Vuoi buscarne? Zitto! (Gianni si contrae tutto con un acuto lamento metallico. Poi si tiene rigido, immobile, seriamente co­mico. Pigmalione gli volge le spalle e si gira dalla parte del Duca. Gianni tira fuori la lingua e gli fa le boc­cacce).

Il Duca                          - (contemplando il fantoccio) Prodigioso! Tira fuori la lingua come una persona!

Pigmalione                    - (di spalle all'automa, guardando in viso i quattro, per assicurarsi dell'effetto prodotto) Questo non è nulla, ammirerete di meglio. (Maggiori smorfie di Gianni che continua a tirare fuori la lingua alle spalle di Pigmalione).

Il Duca                          - (guardando con stupore il fantoccio, come gli impresari) Che naturalezza nel muovere i muscoli del viso!

Lucio                             - Sorprendente!

Pigmalione                    - Ma che c'è?... (Volgendosi bruscamente e sorprendendo lo Scemo che si burla di lui) Ah, fur­fante! (Altra tirata d'orecchi e nuovo cigolio metallico).

Gianni                           - (con improvviso terrore, dilatando gli occhi dalla paura, ripete svelto svelto) Cu, cu, cu, cu, cu, cu, cu!

Pigmalione                    - Sei avvisato. E finiscila col tuo cu, cu. (Gianni diventa cupo in viso e solennemente grottesco).

Il Duca                          - Impossibile dare maggior vita ad un fan­toccio!

Lucio                             - Perfetto!

Pigmalione                    - I miei fantocci mi odiano,, mi fanno arrabbiare, quando si presenta loro l'occasione, e mi costringono a punirli per tenerli a posto. (Introduce la chiavetta nella cassa accanto a quella dello Scemo. Gli stessi suoni acuti e musicali, nel dare la girata alla ser­ratura).

Il Duca                          - (leggendo a voce alta il cartello della cassa) II Capitano Aragna.

Pigmalione                    - (davanti alla cassa) Questo fantoccio parla come tutti gli altri. (Trattenendo con un gesto il Duca e gli impresari, che si ritirano alcuni passi in­dietro) Signor Capitano, abbiate la compiacenza di venir fuori. (Si apre la porticina della cassa, appare il Capitano Aragna e, producendo lo stesso rumore metallico di molle e ferrami come lo Scemo, esce e avanza di qualche passo. E’ un uomo sulla cinquantina, ugualmente molto ridicolo, vestito con una uniforme stravagante, di un esercito immaginario. Su ciascuna manica ha tre larghi galloni, e sopra di essi tre stelle abbastanza grandi e visibili. Si trascina dietro un tremendo sciabolone ri­curvo, pendente dal cinturone. Porta stivaloni; e dal mento gli scende un pizzo lungo, grigio, sopra cui spic­cano due baffacci del medesimo colore, aggressivi, prolungati, molto ritorti e terminanti a punta finissima, come il pizzo).

Il Capitano                    - (méttendosi sull'attenti, salutando Pigmalione militarmente) Presente! (Riabbassando la mano e volgendosi dalla parte del Duca e dei suoi compagni) Signori, buona sera. (Resta rigido e quieto, come Gianni lo Scemo).

Lucio                             - Perbacco!

Olecabio                        - Parla come noi... (Avvicinandosi al Capi­tano e osservandolo da vicino) Sembra impossibile che sia un fantoccio!

Pigmalione                    - Da molto tempo i miei fantocci sono stati provati e discussi. A momento opportuno, potrete esaminarli da vicino. Per ora non molestateli e non av­vicinateli troppo, perché alcuni hanno un cattivo carat­tere!

Olecario                        - (allontanandosi di corsa dal fantoccio) Alla larga. Sono peggio dei tori!

Pigmalione                    - Ora vedrete tutto il sesso forte in una volta. (Gira rapidamente la chiavetta in tutte le serrature delle casse dei fantocci, senza aprire nessuna porticina. Cigolìo musicale e metallico ad ogni girata di chiave. Il Duca e i tre impresari guardano con sorpresa, ora le casse, ora Pigmalione, ora ì due fantocci che sono ri­masti immobili. Pigmalione, dopo aver girato la chia­vetta nell’ultima cassa dei fantocci di sesso mascolino) Signori, non solo le migliori figure inanimate di cera del famoso Museo Grevin e quelle fabbricate dagli spe­cialisti del genere, che sono figure insignificanti, come arte imitativa, ma perfino la celebre carrozza di Camus che divertì l'infanzia di Luigi XIV, e il tanto decantato giuocatore di scacchi, e i meravigliosi danzatori di Maelzel e quell'ammirabile oca costruita da Vaucanson; lutti questi prodigi della meccanica, tutti e i più perfetti saggi conosciuti fino ad oggi, hanno cessato di essere una meraviglia paragonati a ciò che or,a vedrete. (Batte due volte le mani, dirigendosi verso le casse) Fuori tutti! (Silenzio e aspettativa, I fantocci non escono),

Gianni                           - (come rompendo il silenzio col suo canto) Cu, cu!

Pigmalione                    - (arrabbiato, allo Scemo) Idiota! Ti ho detto di tacere! (Dirigendosi di nuovo alle casse) Presto, fuori tutti! Ve Io comando! (In tono imperativo e bat­tendo le palme) Presto! Fuori!

(Strepito generale, come di varie scatole musicali unite, che cessa appena si saranno aperte simultaneamente le porticine delle casse e saranno usciti a un tempo, con breve cigolio e sbattere di ferrami, tutti i restanti fan­tocci. Don Lindo, l’imberbe paggio di Pomponina, gio­vanotto aitante, indossa un grazioso costume convenzionate, sul genere dei graziosi paggi d'operetta. Non ha cappello, sfoggia una splendida capigliatura bionda, rica­dente in riccioli ai lati e porta un mantello corto e un lussuoso spadino. Mingo, in abito moderno, con sopra­bito, ha un cappello duro, i capelli castani, il viso grasso e ordinario, le guance colorite, il ventre promi­nente, una grossa catena d'oro sul panciotto, una spilla con pietre preziose sulla cravatta e vari anelli d'oro alla mano sinistra. Periquito, come un damerino, usa stiva­letti e stringe in mano un bastoncino di giunco, leggero e flessibile. II Nano della Bettola, vestito di scuro alla moderna, come quasi tutti gli altri fantocci, ha un viso anormale e spaventoso, ciglia foltissime, peli irsuti che gli spuntano dalla metà della fronte e gli sporgono dalle narici e dalle orecchie, mani vellose e una; mazza enorme nella destra. Ambrogio dalla Carabina, in costume da cacciatore, berretto, mezzi stivali di cuoio, cartuccera alla cintura e, infilato alla spalla, un fuciletto da ragazzi. Bernardo dalla Spada, con una uniforme fantastica, mezzo da guardia comunale e mezzo da soldato, e una schiavina che gli ricopre le braccia fino quasi al gomito. Ha in testa un alto morrione; barba spiovente, a foggia di ventaglio, e uno spadone smisurato la cui punta tocca quasi il suolo. Paco, grasso, quadrato, con aspetto da ru­stico paesano. Giacchetta corta e cappello ad ampie falde. Luca Gomez. segnato dal vainolo, con l'occhio sano iniettato di sangue e l'altro tappato da un benda nera; capelli corti, radi e grigi, naso camuso, bocca storta e larga; aspetto sguaiato. Ogni capo del suo vestiario è d'un colore diverso e la cravatta stridente. Pietro Grullo, alto, solenne, stirato, attillato. Testa canuta e aspetto da uomo politico d'importanza. Soprabito e cilindro. Urde-malas, magro, angoloso, capelli corti; viso fine, rasato, acuto, intelligente ; ciglia mefistofeliche, occhi vivacis­simi, gonfi e incavati; naso aquilino; bocca sottile. Veste molto semplicemente di scuro. I fantocci, dopo avere fatto due passi avanti, rimangono fermi, come figure senza vita, fino al momento in cui parlano o interven­gono nel discorso. Allora i loro gesti e la loro espres­sione saranno naturali, i movimenti lievemente rigidi. Il Duca e i tre impresari, che formano un gruppo in primo piano, attoniti, non staccano gli occhi dai fantocci. Pigma­lione, accanto ad essi, si gode l'effetto da essi pro­dotto. Quadro).

Pigmalione                    - (dopo un momento di silenzio, tornando verso il Capitano) Ecco dinanzi a voi il celeberrimo capitano Aragna. Non infiammò, sull'esempio del poeta Tirteo, un popolo intero contro un altro, guidandolo alla vittoria, ma in compenso, nei suoi bei tempi leg­gendari, ottenne che vari paesi combattessero e che altri capitani, compagni suoi, lasciassero eroicamente la pelle sul campo di battaglia. Ma Capitano Aragna, senza colpo ferire, da lontano, li incitava a lottare e morire.

Il Capitano                    - (con ostentazione. Parla ampollosamente e la voce gli rintrona nel petto) E perciò sono im­mortale!

Il Duca                          - Meraviglioso! Si esprime come una per­sona umana.

Il Capitano                    - (salutando di nuovo militarmente) In nessuna impresa d'importanza manco io, ne alcuno può gareggiare con me, per ordinare leve, imbarcare truppe, servire lo Stato...

Pigmalione                    - Lo sappiamo, Capitano. (Volgendogli le spalle e avvicinandosi ai fantocci del centro) Questo è Periquito. (Indicandolo col dito) Grande amico delle mie bambole, che Io vezzeggiano molto. Ha tutte le qua­lità necessarie per piacere loro; è carino, vanitoso, sca­pato, molto divertente e poco intelligente. Poiché non sa mai di chi parlare, sparla sempre di qualcuno. Che si può pretendere di più per essere fortunati col sesso debole? Ha molti abiti ed è vanesio.

Periquito                       - Grazie. Troppo gentile.

Lucio                             - Diavolo! Comprendono tutto.

Olecabio                        - Colossale!

Il Duca                          - Non si sono veduti mai fantocci così per­fetti.

Saverio                          - Avrete un successo enorme.

Lucio                             - Piramidale!

Urdemalas                     - Piramidale? Rammenteremo la parola.

Saverio                          - Chi è codesto individuo così funebre e dia­bolico?

Pigmalione                    - Urdemalas. (Avvicinandosi a Urde­malas) E' il fantoccio più complicato e difficile che ho creato: intelligente quanto me. Non si potrebbe otte­nere di più, né costruire meglio una testa artificiale. Solo è progressivamente malvagio. Mentre lo costruivo, a metà del lavoro, ne fui spaventato; ma non ero più in tempo a modificarlo, e non osai distruggere la mia opera.

Urdemalas                     - E facesti bene. Io sono necessario nelle farse; senza di me non sarebbe possibile il teatro, né questo nostro mondo, ne il tuo, né l'altro che tu ci as­sicuri di esistere. Sono dunque indispensabile.

Paco                              - (dirigendosi a Urdemalas) Esageri, amico, esageri. (Parla tranquillamente:, con gesti riposati, aria da vecchio volpone e in tono sentenzioso, come quei rustici saccentoni di villaggio).

Pigmalione                    - (indicando)  Questo è Paco, un fan­toccio non troppo pulito, ma modesto, prudente che non ama di essere ingannato, né può soffrire le esagerazioni. Da giovane, fu oste nel suo paese e gli piace sempre di aggiungere acqua al vino, diminuire le cose e, soprat­tutto, renderle volgari. Perciò rappresenta a meraviglia la sua parte nelle farse ed è applaudito molto dal pub­blico.

Paco                              - Non tanto, non tanto.

Mingo                           - (sollevando la destra al suo ventre e carez­zando la voluminosa catena che luccica sul panciotto) E non tanto, infatti. Mingo, che è assennato ed equili­brato, applaude sempre con misura e discrezione.

Pigmalione                    - E' vero, questo fantoccio non perde il suo tempo in entusiasmi. Nel costruirlo, lo curai molto anche nell'insieme. Possiede una collezione di gioielli che scintillano molto, ed ha la borsa meglio fornita. Egli conserva gran parte dei miei guadagni, perché nessuno sa, meglio di lui, rendere culto al denaro. E' il mio cassiere.

Mingo                           - Sono onesto.

Pigmalione                    - C'è di più, i miei fantocci sono com­presi ovunque, benché nelle rappresentazioni delle mie farse abbiano nomi spagnoli.

Pietro Grullo                 - (gravemente) Tutto il mondo è paese.

Pigmalione                    - Questo fantoccio è Pietro Grullo. Non Io si direbbe dal nome, ma è l'ingegno più vivo e rico­nosciuto tra i miei fantocci. Tutti l'ammirano e lo con­sultano. E' fra essi la maggiore autorità, e se un giorno si emancipassero e formassero un loro governo, lui po­trebbe esserne il capo. Solo Urdemalas non lo prende troppo sul serio.

Ambrogio                      - Ed io.

Bernardo                       - Ed io.

Ambrogio                      - Bernardo ed io rovesceremmo subito un simile governo.

Il Nano                          - (guardando fisso Bernardo e Ambrogio, gi­rando gli occhi fieri e spaventosi, mostrando due file dì denti bianchi, affilati e terribili, e brandendo la sua mazza) E io? Sono forse monco?

Olegabio                       - (collocandosi dietro Lucio) Avvertiteci quando dobbiamo prendere le nostre precauzioni...

Pigmalione                    - Non abbiate timori. Non sono peri­colosi.

Ambrogio                      - (portandosi la carabina contro il viso e pun­tando in aria) Chi l'ha detto? (Spara senza colpo, e si ode il rumore del grilletto) La mia carabina è infal­libile...

Paco                              - Non più di novantanove volte su cento,

Bernardo                       - A forza di trafiggere gente, la mia glo­riosa spada si è tutta rovinata. (Afferra l’impugnatura, sfodera la lama e brandisce una spada da torneo, senza taglio ne filo, tutta intaccata e ammaccata).

Il Nano                          - (fendendo Varia con la sua mazza) Come questa, non ce ne può essere uguale.

Gianni                           - (burlone) Cu, cu!

Il Nano                          - (indignato, minacciando Gianni con la mazza) Taci tu, idiota!

Gianni                           - (con la stessa intonazione buriana) Cu, cu!

Pigmalione                    - (nervoso) Silenzio, tutti! Silenzio!

Pietro Grullo                 - (diritto, sollevando di nuovo il braccio con grande ostentazione) Quando si tace, vi è sempre silenzio.

Olegario                        - (guardando i suoi consoci) Che diavolo, come ragiona!

Pigmalione                    - (a Olegario) E ora che già conoscete questi fantocci maschi, vi presenterò il bel sesso della Compagnia.

Olegario                        - Il bel sesso? Sia il benvenuto.

Il Duca                          - Passiamo dunque alle bambole.

Pigmalione                    - Ma prima, farò ritirare i fantocci. (Di­rigendosi a questi) Pronti! (Meno il paggio, tutti i fan­tocci obbediscono istantaneamente girando su se stessi, come sopra ad un pernio) Dentro! (Eccettuato Don Lindo, che non si muove dal suo posto, tutti rientrano nelle loro casse, richiudendo le porte da se. Ad un tratto si odono grida rauche, gutturali, stridenti, nella cassa di Luca Gomez il quale, nel richiudere la sua porticina, non ha ritirato in tempo le dita della mano. La porticina rimane socchiusa).

Luca                              - (dalla cassa) Ahi, ahi!...

Saverio                          - (intimorito come i suoi due compagni) Che succede?

Lucio                             - E' accaduto qualche cosa?

Pigmalione                    - Nulla, nulla di grave. (Va, rapido, in aiuto del guercio, liberando dalla porta le dita del fantoccio e chiudendo questa completamente).

Il Duca                          - E' portentoso, portentoso!

Lucio                             - Incredibile!

Saverio                          - Inaudito!

Olecario                        -  Inverosimile!

Il Duca                          - (indicando il paggio) E costui perché non rientra?

Pigmalione                    - Perché è un poeta giovine ed inna­morato: sa che Pomponina uscirà ora e desidera vederla, per mandarle occhiate e sospiri, e sussurrarle all'orecchio qualche madrigale.

Il Duca                          - Ciò sarà molto divertente. Lasciatelo qui...

Pigmalione                    - Sarà molto divertente per voi, ma per me, no. (Alzando la voce) Dentro, Don Lindo! Non ho bisogno di te.

Don Lindo                    - Avrà bisogno di me Pomponina.

Pigmalione                    - No, no: ritirati.

Don Lindo                    - Chi l'aiuterà ad uscire dalla sua cassa se, pigra com'è, non vorrà camminar sola? Chi le farà vento, se avrà caldo? Chi le offrirà zuccherini e rin­freschi, se avrà sete? Pomponina avrà bisogno di me.

Pigmalione                    - Ma non ci sono io? Vattene!

Don Lindo                    - Concedimi di restare!

Pigmalione                    - No!

Don Lindo                    - Perché darmi la vita, Pigmalione, se dovevi rendermi così disgraziato?

Pigmalione                    - Per la stessa ragione che Dio diede vita e a me e al mondo, senza consultarci. Vattene!

Don Lindo                    - Racconterò a Pomponina come tratti il suo paggio.

Pigmalione                    - Non farti illusioni, Pomponina dimen­tica tutto per una bagatella.

Don Lindo                    - Questo sì, per disgrazia.

Pigmalione                    - Va nella tua cassa. (Imperativo) Una! (// fantoccio oscilla) Due! Mezzo giro! (Il fantoccio obbedisce) Dentro! (Don Lindo s’infila nella sua cassa, come gli altri, richiudendo la porta).

Il Duca                          - Stupendo! E ora, vediamo le bambole.

Saverio                          - Sì, sì! Le bambole! le bambole!

Olecario                        - Sono belle?

Pigmalione                    - Bellissime.

Il Duca                          - Ci avete messo una curiosità addosso!...

Pigmalione                    - Quando voi, Duca, avrete visto Pom­ponina, io perderò la vostra simpatia!

Il Duca                          - Me lo avete già detto, ma mi sembra as­surdo.

Pigmalione                    - Ve ne convincerete presto. Questo por­tento di donnina artificiale mi è già costata molti dispia­ceri. Per impadronirsi di lei mi hanno minacciato di morte, ma fra tutte le minacce, una sola mi ha impres­sionato e mi preoccupa ancora. Infine, duca, ora vi tro­verete davanti alla tentazione più forte della vostra vita. Io stesso l'adoro, ve l'ho detto e questo è il mio castigo. Forse è il castigo di aver costruito questi fantocci. Non tengo Pomponina con me, perché ho paura di me stesso, ma un giorno non avrò più la forza di resistere. e commetterò la sciocchezza di vivere con lei. Allora, addio Pigmalione, addio tutti i sogni di creare una uma­nità migliore! (Pigmalione tira fuori il portafogli, l'apre, vi cerca dentro, e, dinanzi all’aspettativa dei quattro, ne cava una chiavetta più piccola della prima, si avvicina alle casse del centro, dove sono le bambole; e apre l’una dopo l'altra le varie serrature. Mentre gira la chiave, in ogni cassa si ode un suono limpido, musi' cale e armonioso. Avvicinandosi dove si trova Pomponina, premendo un bottone invisibile a un lato della cassa e allontanandosi quindi di alcuni passi) Pompo­nina, divina Pomponina, vieni fuori. (Al suono dei cam­panelli metallici Pomponina socchiude la porticina della sua cassa e sporge solo la testolina bionda, coperta da un grazioso cappellino, e il visetto delicato e bellissimo. Ha un neo sulla guancia sinistra, vicino alla bocca. I suoi occhi azzurri, luminosi e dolcissimi, osservano cu­riosi all'intorno, sbirciano Pigmalione e compagni in modo civettuolo),

Saverio                          - Che visino!

Olecario                        - (sospirando) Ah, Dio mio!

Pigmalione                    - Vi sono cose che, a dispetto di tutti i luoghi comuni della poesia, non diventeranno mai vol­gari: le notti di luna e le belle donne.

Pomponina                    - (esce dopo aver aperto completamente la porta della cassa, sollevando un pochino la gonna, fa alcuni passi avanti e saluta con riverenze di minuetto, mentre si ode una musica soave e attenuata) Buona sera. (E' vestita di stoffe delicate e ricche, come un Watteau. Le scendono dalla cintura, sostenuti da una catenina d'oro, un ventaglio rotondo e uno specchietto d'argento brunito, col manico di pietre preziose).

Il Duca                          - (giungendo le mani in atto di adorazione) Che meraviglia!

Olecario                        - Mi gira la testa!

Savehio                         - Accidempoli!

Lucio                             - Che supplizio! (Tentano i quattro di avvicinarsi.

Pigmalione                    - (trattenendoli col gesto) Bisogna ve­derla da lontano, oggi. Un'altra volta permetterò di os­servarla più da vicino, ma senza toccarla. (Tirando fuori di tasca una bomboniera e porgendola a Pomponina) I tuoi confetti.

Pomponina                    - (prendendo la scatoletta con indifferenza) Grazie. E i fiori?

Pigmalione                    - Niente fiorì oggi: per punizione.

Pomponina                    - (facendo una smorfietta di civetteria e di­spetto) Perciò non ti amo: mi punisci sempre.

Pigmalione                    - E tu sii buona.

Pomponina                    - Non ne ho voglia.

Pigmalione                    - Non essere sfacciata.

Pomponina                    - Sarò sempre più cattiva...

Pigmalione                    - Pomponina!

Pomponina                    - (facendogli un'altra smorfia) Sciocco!

Il Duca                          - (dal gruppo degli impresari, lasciandosi scap­pare le parole contro la sua volontà) Divina Pom­ponina!

Pomponina                    - (tornando a dare una sbirciatina allo spec­chietto) Così mi chiamano perché sono molto bella.

Pigmalione                    - A chi devi la tua bellezza? Chi ti ha fatta così?

Pomponina                    - Iddio.

Pigmalione                    - No, sono stato io. Non è stato Dio.

Pompomna                    - Non dici che sei stato fatto da Dio?

Pigmalione                    - Sì.

Pomponina                    - Allora, se Dio non avesse fatto te, tu non avresti potuto fare me. (Aprendo la bomboniera e prendendovi un cioccolatino, che si mette in bocca) Sono veramente squisiti. (Sollevando la scatoletta) Volete fa­vorire?

Il Duca                          - (a Pigmalione) Posso prenderne uno?

Pomponina                    - (riabbassando la scatoletta) Goloso! No, signore. Lì ho offerti per complimento. Sono deliziosi e li voglio tutti per me.

Pigmalione                    - E' una bambola egoista.

Il Duca                          - Deliziosa!

Olegario                        - Se avessimo saputo che a Pomponina piacciono i fiori, ne avremmo portati noi.

Il Duca                          - Domani ordinerò per lei fiori a profu­sione!

Pomponina                    - (tutta soddisfatta, a Pigmalione) Sono piaciuta, sono piaciuta!

Lucio                             - Altro che piaciuta! (Si avvicinano di nuovo a Pomponina, tutti insieme).

Pigmalione                    - (senza lasciarli avvicinare) Non avvi­cinatevi, vi prego.

Il Duca                          - (retrocedendo di qualche passo con gli impresari) Tutta la mia fortuna, Pigmalione, per'questa bambola!

Pigmalione                    - Non la vendo.

Il Duca                          - Che peccato!

Pigmalione                    - Senza la vostra fortuna voi perdereste subito Pomponina. Voi non sapete quanto costa questo giocattolo dì... donna.

Il Duca                          - E' un angelo!

Pomponina                    - (facendosi vento) E' vero: sono un angelo!

Pigmalione                    - Senza le ali. Ma Un angelo molto peri­coloso.

Pomponina                    - (chiudendo il ventaglio e minacciando con esso Pigmalione) Non ti amo, vattene!

Pigmalione                    - Taci!

Pomponina                    - Taci tu!

Pigmalione                    - Bel modo di rispondere!

Pomponina                    - Sono stufa dì te... Appena posso, scap­però.

Il Duca                          - Almeno scegliesse me!

Lucio                             - E' vivace la signorina!

Olegario                        - Ci sarebbe da mangiarsela dai baci!

Picmalione                    - Ottiene ovunque lo stesso successo. Non fallisce mai.

Saverio                          - Con lei non si fallisce di certo!

Pigmalione                    - Ora vi mostrerò le quattro dame d'o­nore di Pomponina. Richiamerebbero doppiamente l'at­tenzione, se non stessero al fianco di lei. (Si ferma di­nanzi alle quattro casse, premendo un bottone laterale in ciascuna, come, ha fatto con quella di Pomponina. Con voce forte e autoritaria) Marilonda, Dondinella, Co­rinna, Lucinda, fuori! (Tenue suono musicale; si aprono le porticine delle quattro casse e dentro appaiono le restanti quattro bambole. Sono giovani, vezzosissime, col viso di porcellana. Hanno i capelli corti, gonnellino corto, scarpine elegantissime e occhialetti col manico molto lungo, pendenti dalla cintura. Le bambole escono dalle rispettive casse ballando languidamente, al tempo di una musica lenta e si dirigono verso Pomponina, salu­tandola con riverenze. Cessa la musica e le quattro re­stano immobili e ugualmente un poco rigide).

Lucio                             - Graziosissime!

Saverio                          - Ammirabilmente costruite!

Olegario                        - Come tutti gli altri fantocci...

Il Duca                          - Ma dopo Pomponina...

Dondinella                    - (alzando e abbassando la testa, tra lievi note di musica, e squadrando il Duca e gli impresari dall'alto in basso) Si potrebbe anche essere un po' più gentili!

Marilonda                     - La gentilezza costa cara!

Corinna                         - E' in ribasso.

Lucinda                         - Ti sorprendi? Siamo pupattole, e credono lecito dircene di ogni colore.

Pomponina                    - Non ve ne curate.

Marilonda                     - (con ira infantile) La colpa è tutta tua.

Pomponina                    - Non badateci care, sono uomini, soltanto uomini!

Pigmalione                    - Bene. Le presentazioni sono terminate. Dentro tutte.

Pomponina                    - Così presto? Se siamo uscite ora!

Pigmalione                    - Non essere capricciosa. Obbedisci e sta' zitta!

Pomponina                    - (aprendo e socchiudendo gli occhi, gettando un'altra sbirciatina allo specchietto e prendendo varie pose) Ah, se qualcuno mi rapisse! Mi portasse via da Pigmalione! Chi sarà quel fortunato?

Il Duca                          - (andando con veemenza verso dì lei) Io!

Pigmalione                    - (tagliandogli il passo) Calma, calma!

Il Duca                          - Pigmalione!

Pigmalione                    - (mettendo la sua destra sul petto del Duca e scostandolo soavemente) Calma! Non vi avevo detto che mi avreste odiato, appena conosciuta Pomponina? (Volgendosi di nuovo alle bambole, dice dispotico, in tono di comando) Mezzo giro! Dentro! (Pomponina e le quattro pupattole, intimorite, girano su se stesse e entrano frettolosamente nelle loro casse, richiudendosi dietro le porte, conte i fantocci. Pigmalione preme di nuovo il bottone di ogni cassa e le chiude a chiave, ricollocando poi questa nel suo portafogli. Il Duca l'os­serva attentamente, senza più togliergli gli occhi di dosso).

Il Duca                          - E' impossibile che sia una bambola!

Pigmalione                    - Eppure lo è. Una bambola unica.

Olegario                        - Capace di tentare un santo! (Ad un tratto Pigmalione fissa una cassa, l'osserva da vicino e esamina quindi con grande attenzione i bottoni e le serrature di varie altre).

Lucio                             - Che c'è?

Pigmalione                    - (un poco sorpreso del suo esame e la­sciandosi scappare le parole come se parlasse fra se) E' strano...

Il Duca                          - (avvicinandosi a Pigmalione con curiosità) Qualche cosa non va?

Saverio                          - (allarmato, guardando Olegario) Che c'è? Che cosa non va?

Pigmalione                    - (tirando fuori una matita e segnando con essa le fessure dì alcune porte di casse) Nulla, signori, che interessi loro. Domattina cambierò tutto il sistema di serrature.

Il Duca                          - Che cosa è successo?

Pigmalione                    - Temo che i miei fantocci siano riusciti a scoprire il modo di aprire le loro casse ed escono fuori quando nessuno li vede.

Saverio                          - Sul serio?

Pigmalione                    - Sono capaci di tutto. (Entra il portinaio da sinistra, col berretto in mano).

Il Portinaio                    - Ci sono i fotografi dei giornali che vogliono entrare ad ogni costo e prendere fotografie; anche dei giornalisti desiderano salutar il signor Pigma­lione. Ecco i biglietti di visita.

Pigmalione                    - (prendendoli e leggendoli) Con vostro permesso, vado a scusarmi con tutti questi signori ed a spiegare loro perché non conviene che prima di domani si facciano fotografie.

Lucio                             - Noi v'accompagniamo.

Saverio                          - Bisogna dare un po' di soddisfazione a tutta questa gente.

Olecario                        - E' inevitabile. Venite con noi, Duca?

Il Duca                          - Vi attenderò in direzione.

Pigmalione                    - Sta bene. Vi avverto però che, appena sbrigate queste visite, debbo ritornare in albergo. (Tutti escono dietro Pigmalione, meno il Duca. Il portinaio ritorna sui suoi passi, ad un cenno del Duca).

Il Portinaio                    - (avvicinandosi) Avete chiamato, signor Duca?

Il Duca                          - (sottovoce) Spegnete i lumi, come al solito, ma lasciatene qualcuno acceso sulla scena.

Il Portinaio                    - Sta bene.

Il Duca                          - Andate a fare la consueta visita di ronda e fra una mezz'oretta o anche prima, attendetemi nella strada, davanti alla porticina di sicurezza che dà nel guardaroba. E molta attenzione, mi raccomando, che nes­suno possa avere il minimo sospetto. (Dando alcune mo­nete al portinaio) Siamo intesi?

Il Portinaio                    - Ho capito, signor Duca,

Il Duca                          - (esce dalla stessa parte di Pigmalione e degli impresari).

Il Portinaio                    - (scortandolo) Siate tranquillo, signor Duca. (Si ferma qualche istante a guardare le casse) Dover sorvegliare queste diavolerie?! Ho proprio visto dì tutto in teatro! Ma non sarà anche questa un'illu­sione?

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

Un'ora dopo. La stessa scena deserta. Penombra. Solo la pallida luce di un paio di lampadine. Le casse spic­cano come bare chiare, di forma quadrata, sugli scuri tendaggi.

 (All'improvviso risuona un leggero scricchiolio me­tallico, e si apre la porticina della cassa di Gianni lo Scemo. Questi sporge la testa e osserva da ogni lato. Dopo aver osservato un momento e fatta il solito « Cu, cu ». richiude la porta, lasciando uno spiraglio aperto, da cui continua a sorvegliare. Si apre la cassa di Mingo; questi, dopo aver guardato intorno come Gianni, ed essersi assicurato della solitudine completa, esce solenne e lento, e, come camminerebbe un fantoccio che imitasse bene l'uomo, sì dirige in punta di piedi alla cassa di Pomponina. Giuntovi dinanzi, tira fuori dal soprabito una grossa borsa, la guarda e pesa in mano; poi picchia pian pianino alla porta della cassa, agitando la borsa. Rumore di monete e una scampanellata acuta e soave, ad ogni colpetto sulla porta).

Mingo                           - (scuotendo la borsa) Pomponina... Pompo­nina... senti come tintinnano? Sono tutte le monete d'oro, tutte le pietre preziose che Pigmalione mi ha dato ieri sera in consegna... Capisci? (Accompagnando ogni sillaba con una scossa della borsa) Pom... pom... pom­ponina.,. vieni... Ti aspetto nella mia cassa... Vieni... Fa' presto... (Agita un'ultima volta la borsa in aria e torna alla sua cassa, ritirandovisi dentro e richiudendo la por­ticina. Pomponina apre con precauzione la sua, esamina attentamente tutta la scena, esce, richiude la porla, e di corsa, sulla punta dei suoi piedini, che mandano lievi note musicali toccando il suolo, va verso la cassa di Mingo e vi picchia col manico del ventaglio).

Pomponina                    - (picchiando sulla porta) Sono io, Pom­ponina. Apri, prima che qualcuno mi veda,            - (Scricchiolìo secco. Si socchiude la porta della cassa, appare la ma-naccia di Mingo che tira dentro Pomponina. Costei entra svelta nella cassa. Si odono nel silenzio alcune vibrazioni come di un orologio che si scarichi nel batter l'ora. Poi, un altro scricchiolìo secco. Poi di nuovo silenzio e soli­tudine nella scena. Lo Scemo, che continua a spiare, ri­caccia fuori la testa).

Gianni                           - (guardando la cassa di Mingo, alzando e ab­bassando la testa e facendo smorfie espressive) Cu, cu! (Torna a nascondersi dietro la porta, lasciandovi la stessa fessura per spiare. Periquito esce dalla sua cassa, raggiungendo leggero quella di Corinna).

Periquito                       - (picchiando sulla porta con le nocche delle dita) Corinna... Corinna... Sono io, Periquito...

Corinna                         - (mostra solo la testa dalla porta. Tintinnìo di campanelli) Stasera no, sono stanca.

Periquito                       - Ma, piccina mia...

Corinna                         - Sono stanca del viaggio. Mi dolgono tutte le molle del corpo.

Periquito                       - Debbo darti una notizia.

Corinna                         - (civettuola e decisa) No, no, Periquito. Ora no, no e no! (Chiude in fretta la porta. Tintinnìo metallico e prolungato).

Periquito                       - ... Sempre più capricciose... (Si dirige alla cassa a fianco, picchiando ugualmente sulla porla) Dondinella, Dondinella...

Dondinella                    - (cacciando fuori dalla porta socchiusa solo il naso) Lasciami in pace.

Periquito                       - Ma,..

Dondinella                    - Non essere insistente... Ho appuntamento con Paco.

Periquito                       - Con Paco?... Un uomo così rozzo, così ordinario!...

Dondinella                    - Sono affari miei, non occupartene.

Periquito                       - ... Ascolta...

Dondinella                    - Non ascolto nulla. Buonanotte. (Colpo secco della porticina e suono metallico).

Periquito                       - Spudorate! Che cosa non farebbero per l'interesse! (Torna indietro, passa dinanzi alla cassa di Pomponina e suona a quella di Lucinda).

Lucinda                         - (aprendo la porta a metà e montando su tutte le furie nel riconoscere Periquito) Sei tu... Tu?! Ed hai il coraggio di presentarti, dopo ciò che mi hai fatto in treno!... Vattene subito! (Altro colpo di porta e brusco rumore di molle che si lamentano scosse).

Periquito                       - Di bene in meglio! Queste ragazze si sono date d'intesa. (Picchia alla cassa di Marilonda).

Marilonda                     - (socchiudendo la porta) Oh, Periquito!

Periquito                       - Bellezza! Desidero parlarti.

Marilonda                     - Ho un gran sonno. Rimandiamo a un'al­tra sera.

Periquito                       - Volevo raccontarti...

Marilonda                     - Non raccontarmi nulla...

Periquito                       - Peggio per te. Si tratta di Lucinda,

Marilonda                     - (con grande interesse, mettendo il busto fuori dalla cassa) Di Lucinda?... Entra allora. (Peri­quito entra in fretta, chiudendo la porta dietro di sé).

Gianni                           - (ricacciando sempre fuori la testa) Cu, cu, cu, cu. (Don Lindo apre la porta della sua cassa; lo Scemo si nasconde subito, ma continua ad osservare la scena).

Don Lindo                    - (stropicciandosi gli occhi e stirandosi) Qualche volta e utile la voce di questo idiota. Ha fatto bene a svegliarmi ora. Che sonno!... Sembra incredibile un innamorato come me!... Quell'odioso Pigmalione ci ha fatti troppo imperfetti e grotteschi. (Avvicinandosi alla cassa di Pomponina e battendo soavemente la porta con le nocche delle dita) Pomponina... Pomponina, gioia dei miei occhi e della mia vita, apri al tuo Don Lindo. (Attende invano) Aprimi, te ne scongiuro, Pomponina... (Altro momento di vana attesa) Indovino perché non dai segno di vita. Vuoi che ti dica qualche madrigale. So quanto ti piacciono le serenate e i canti. (Rientra nella sua cassa, prende un liuto, torna a quella di Pomponina e canta, quasi con la bocca appiccicata alla porta) Stella e sirena de' miei amori...

Gianni                           - (in tono di scherno, succhiando la porta della sua cassa) Cu, cu!

Don Lindo                    - (interrompendo bruscamente il canto e lanciando occhiate d'ira alla cassa dello Scemo) Im­becille!

Gianni                           - (venendo fuori dalla sua cassa in fretta, avvi­cinandosi a Don Lindo, con la sua eterna aria di cretino malizioso) Cu, cu!

Don Lindo                    - (brandendo il liuto e minacciandolo con esso) Stupido! Se non la smetti!...

Gianni                           - (schivando il colpo, corre alla cassa di Mingo, facendo comprendere con i gesti che Pomponina è là).

Don Lindo                    - (con dolore) Sarà vero?... (Avvicinan­dosi alla cassa della sua adorata) Pomponina!... (Getta via il liuto, tira fuori un ferretto dalla tasca, l'infila nella serratura, preme il bottone e apre la porta, retrocedendo disperato, alla vista della cassa vuota) Non c'è!

Gianni                           - (presso la cassa di Mingo) Cu, cu!

Don Lindo                    - (portando la mano allo spadino, si pre­cipita furioso contro lo Scemo) Cretino! (Gianni, in­seguito da Don Lindo, si lancia di corsa verso la sua cassa, vi entra a precipizio, e richiude di dentro la cassa, applicando la bocca alla fessura della porta: « Cu, cu! », Don Lindo va davanti alla cassa dello Scemo, stringendo il pugno dello spadino) Scemo! (Torna davanti alla cassa di Mingo) Pomponina! Per la tua vita e per la mia! (Battendo contro la cassa con ira e pena) Pomponina... Pomponina... Ingannare il tuo paggio! E con Mingo! (Sguainando lo spadino) Lo ridurrò in pezzi! Apri, Pom­ponina, apri! (Piange, coprendosi il viso con la mano libera. In questo momento, senza essere notato da Don Lindo, esce Luca Gomez dalla sua cassa, e, dondolandosi, si incammina a passo lento verso il centro della scena e vi si siede. Tira fuori una pipa e una borsa, prende da essa il tabacco e, canterellando, carica la pipa goffamente, raccattando dal suolo quello che si è sparso).

Don Lindo                    - (di soprassalto) Che fai qui?

Luca                              - Non lo vedi? Preparo la pipa.

Don Lindo                    - Lo dirò a Pigmalione.

Luca                              - E io ti picchiere sulla testa.

Don Lindo                    - Villano! Vattene. Desidero parlare con Pomponina senza incomodi.

Luca                              - E io desidero fumare la mia pipa.

Don Lindo                    - (avvicinandogli al viso la punta dello spadino) Fuori, o ti infilzo!

Luca                              - (alzandosi da terra e schivando la punta) Bada. Ti giuocherò un brutto tiro. Urdemalas mi ha detto che sei l'unico fra noi che porta la parrucca. (Dà un rapido salto, evitando il taglio dello spadino, e strappa la parrucca a Don Lindo, impadronendosene. Il paggio, sorpreso dall'inatteso attacco, lascia cadere Tarma e si porta con terrore le mani alla testa, pelata e liscia).

Don Lindo                    - Che hai fatto?

Luca                              - (agitando la parrucca in aria) Ti ho messo nelle migliori condizioni per riconquistare Pomponina! (Si lancia di corsa verso la sua cassa, gridando) Pomponi natta!... Pomponina!... (Entra nella cassa e vi si rin­chiude).

Don Lindo                    - (raccogliendo il suo spadino e correndo, frenetico, verso la cassa di Luca Gomez) Guercio in­fame, furfante, ti caverò l'altr'occhio. (Battendo la cassa col pugno della spada) Apri, vigliacco, apri!

Gianni                           - (sporgendo per qualche istante la testa dalla porta della sua cassa, ride, facendo smorfie di scherno al paggio e gettando il suo strido) Cu, cu!

Don Lindo                    - (dirigendosi verso la cassa dello Scemo) Di nuovo tu, maledetto!

Luca                              - (socchiudendo la sua porta, cacciando fuori la parrucca e agitandola in alto, come un trofeo di vittoria) Pomponina, Pomponina... Vieni e guarda! (Don Lindo, fuori di sé, corre di nuovo verso la cassa di Luca Gomez. Questi gli chiude la porta sul viso).

Don Lindo                    - (battendo e ribattendo la porta con lo spa­dino) Ti sbudello!

Paco                              - (che esce dalla sua cassa, dimenticando di chiu­dere la porta, e va verso quella di Dondìnella, si ferma nel vedere Don Lindo) Non strillare tanto! (Sor­preso, scorgendo il cranio lucente, mondo e levigato del paggio) Toh!... Tu così! Ah, ah, ah, ah, ah...

Don Lindo                    - Anche tu?

Paco                              - (prudente e soave, considerando la lama nuda dello spadino) Scusa Don Lindo... ma... (Tornando a ridere, senza potersi contenere) Ah, ah, ah...

Don Lindo                    - (interrompendolo e pestando il piede a terra con ira) Basta!

Dondinella                    - (mettendo fuori dalla porta della cassa la sua testina) Eh... psss... Paco... Paco...

Paco                              - Eccomi, eccomi. (Incamminandosi verso la cassa di Dondinella, senza staccare gli occhi da Don Lindo) Scusami, Don Lindo, ma non è colpa mia... ah, ah, ah!...

Dondinella                    - Di che ridi? (Osservando il paggio) ...Don Lindo pelato. (Con una risata stridente) Ah, ah, ah... quando ti vedrà Pomponina! Ah, ah, ah...

Don Lindo                    - Questo mai!

Paco                              - (spinge Dondinella, entra nella sua cassa e chiude la porta. Suono musicale. Si odono dentro, confuse, le risa dei due).

Don Lindo                    - Che notte!... Ma tutta la colpa è di Urdemalas. (Va alla cassa di Urdemalas e tira pedate alla porta).

Urdemalas                     - (affacciando la testa alla porta della sua cassa) Chi è? Ah, sei tu? Ma, ragazzo mio, come ti .hanno conciato! Che è stato?

Don Lindo                    - Esci un momento e te lo dirò.

Urdemalas                     - Con piacere. (Uscendo dalla sua cassa) Suvvia, parla... Ma lo sai che sei veramente ridicolo?

Don Lindo                    - (afferrando con la mano sinistra Urdemalas per le falde del soprabito e stringendo lo spadino con la destra) Tu hai riferito a quell'immondo Luca che io porto la parrucca?

Urdemalas                     - (freddo, astuto e in tono molto naturale e amabile) Io?... T'inganni.

Don Lindo                    - Tu solo lo sapevi. Da chi altro poteva apprenderlo?

Urdemalas                     - Da Pietro Grullo che ieri se ne è ac­corto per caso, come me, e che lo ha raccontato a Periquito, il quale, a sua volta, l'ha detto a Luca.

Don Lindo                    - Come me lo proverai?...

Urdemalas                     - Restituendoti la parrucca immediata­mente... (Sussultando leggermente) Hai sentito?... Vat­tene, che non ti vedano.

Don Lindo                    - Che c'è?

Urdemalas                     - Un rumore nella cassa di Mingo.

Don Lindo                    - Di Mingo? Orrore! Pomponina è là, e se esce e mi vede!...

Urdemalas                     - (fingendo grande sorpresa e costerna­zione) Pomponina?!... Povero Don Lindo!

Don Lindo                    - (precipitandosi verso la sua cassa) Tu non ne sapevi nulla, eh? (Entra rapidamente, ringuai-nando lo spadino e dando un grande colpo con la porta. Pomponina esce dalla cassa di Mingo, con una borsa nella mano destra e una collana di pietre preziose nella sinistra).

Pomponina                    - (mostrando a Urdemalas la collana) Un dono di Mingo. Ti piace? Guarda come luccica!

Urdemalas                     - Molto graziosa. (Ride).

Pomponina                    - Perché ridi?

Urdemalas                     - Per nulla.

Pomponina                    - Credi che riusciremo finalmente a  scappare?

Urdemalas                     - Chissà. Bisogna conoscere ed esaminare bene tutta la scena per scoprire un'uscita sicura,

Pomponina                    - Che noia! Da sei mesi abbiamo deciso di lasciare Pigmalione, e in nessun teatro ci capita l'oc­casione propizia.

 Urdemalas                    - E' questione di pazienza! Scappare per essere acciuffati subito, sarebbe peggio. Pigmalione è molto furbo.

Pomponina                    - Tu lo sei dì più.

Urdemalas                     - Lascia fare a me. Dove vai?

Pomponina                    - A posare questa roba nella mia cassa e a consolare Don Lindo.

Urdemalas                     - Ah, sì, l'ho veduto. Era su tutte le furie.

Pomponina                    - Lo calmerò subito con quattro moine.

Urdemalas                     - Non lo metto in dubbio.

Pomponina                    - Poverino! L'amo molto. Sarebbe ado­rabile se fosse un po' più allegro e non fosse tanto geloso.

Urdemalas                     - Ascolta... Prima di andare a vedere il tuo paggio, di' a Luca che ti mostri una cosa.

Pomponina                    - Ah, no! Mi è antipatico... puzza di ta-bacco!

Urdemalas                     - E' questione di un momento. Te ne tro­verai contenta. Ti consegnerà la chioma del tuo Don Lindo.

Pomponina                    - (sussultando) Come? Che hanno fatto al mio paggio?

Urdemalas                     - Nulla, sciocchina!

Pomponina                    - Chi l'ha pelato?

Urdemalas                     - La sua cattiva sorte...

Pomponina                    - Peccato, è tanto carino!

Urdemalas                     - E ora non Io è più. (SI ode un rumore).

Pomponina                    - (con paura) Gente!

Urdemalas                     - Sì... E' vero!... E' meglio ritirarsi.

Pomponina                    - Buona notte. (Si dirige in fretta, strin­gendo al petto la borsa e la collana, verso la sua cassa e vi entra, chiudendo la porta. Debole suono di campa­nello).

Urdemalas                     - (dopo essere rimasto alcuni secondi in ascolto, va verso la sua cassar ma nota ad un tratto che quella di Paco è aperta e vuota) Diavolo! Che sven­tato! Per comprometterci tutti! (Chiude la cassa con precauzione per evitare che faccia rumore e s'incam­mina quindi verso la sua, guardando attentamente in­torno a se) Pomponina si fa ogni giorno più bella!  (Entra nella sua cassa e chiude la porta rapidamente. Entrano il Duca e il portinaio che lo precede, munito di una lanterna. Compaiono dalla stessa parte da cui sono usciti, sinistra, primo termine o quinta).

Il Duca                          - Finalmente! Credevo che non giungesse mai questo momento!

Il Portinaio                    - (guardando timoroso da ogni lato con un certo tremito) Signor Duca, come farete ad aprire la cassa?

Il Duca                          - Ecco il portafoglio di Pigmalione (mo­strandoglielo) con la chiave dentro. (Traendone la chia­vetta) Prendete il portafoglio.

Il Portinaio                    - (prendendolo, attonito) E che devo farne, signor Duca?

Il Duca                          - Restituirlo intatto a Pigmalione. L'infor­merete che per ordine mio è stato derubato questa sera, mentre usciva di qui.

Il Portinaio                    - (conservando il portafoglio nella sac­coccia interna) Il primo pensiero, domattina, sarà quello di portarlo al signor Pigmalione, tal quale me Io avete consegnato, signor Duca... E ora?

Il Duca                          - (avvicinandosi alla cassa di Pomponina) Ora mi porterò via questa bella bambola!

Il Portinaio                    - (battendo i denti e striando di luce il suolo con la lanterna che gli balla nella mano tremante) State attento, signor Duca!.., Io ho proprio paura.

Il Duca                          - Paura di una bambola?

Il Portinaio                    - Mi e sembrato poco fa di avere udito aprire le casse, e parlare i fantocci...

Il Duca                          - Voi non siete davvero coraggioso.

Il Portinaio                    - (impaurito) Con persone vive, sono pronto a tutto, signor Duca; ma con cose di magia, non mi fido...

Il Duca                          - Ebbene, andatevene...

Il Portinaio                    - Con licenza del signor Duca... Poso qui la lanterna... (La mette a terra e esce dalla parte da cui è entrato).

Il Duca                          - Meglio così. (Di fronte alla cassa di Pomponina) Finalmente si scoprirà che  cos'è... Donna o bam­bola, illusione o realtà, me la porto via. (Accostandosi di più alla cassa e introducendo la chiave nella serratura) Che emozione! (Lascia la chiave, per portarsi le mani al cuore) Coraggio! (Dà una girata alla chiave e palpa gli spigoli della cassa) Eccolo! Questo deve essere il bottone per aprire. (Lo preme. La cassa si apre brusca­mente e si scorge dentro Pomponina) Lei! Che divi­nità! (Chiamandola sottovoce) Pomponina... Pomponina... (Prendendo la lanterna da terra e rischiarando la cassa) Pomponina...

Pomponina                    - (uscendo dalla cassa e tenendo ancora in mano la collana avuta in dono da Mingo) E Pigmalione?

Il Duca                          - Non c'è. Sono solo.

Pomponina                    - E tu chi sei?

Il Duca                          - II Duca de Aldurcara, il proprietario del teatro

Pomponina                    - E' la prima volta che vedo qualcuno senza Pigmalione.

Il Duca                          - Non mi parlate più di Pigmalione. L'odio.

Pomponina                    - Toh, come me! E come tutti!

Il Duca                          - Ma voi o tu, come volete, chi sei?

Pomponina                    - Sono Pomponina. Non l'hai Ietto sulla mia cassa?

Il Duca                          - Ma chi sei? Donna, bambola, sogno... che cosa?

Pomponina                    - Sono Pomponina.

Il Duca                          - Ti adoro.

Pomponina                    - Così dicono Pigmalione e il mio paggio.

Il Duca                          - Non parlarmi di loro. Tu sola mi interessi.

Pomponina                    - Lo stesso, lo stesso mi dice il mio Don Lindo!

Il Duca                          - Maledetto paggio!

Pomponina                    - Lascialo in pace... Lo hanno pelato po­verino! Che risate appena lo vedrò! Forse mi passerà l'amore che gli porto.

Il Duca                          - Come? Tu, così bella, sei innamorata di un fantoccio?

Pomponina                    - Che c'è di strano?

Il'Duca                          - E' un fantoccio, capisci?

Pomponina                    - Ed io sono forse diversa?

Il Duca                          - Distruggerò il fantoccio che tu ami!

Pomponina                    - Ah, no! poverino!    

Il Duca                          - Ti voglio esclusivamente per me. Voglio rapirti.

Pomponina                    - Che paura!

Il Duca                          - Non aver paura: ti amo.

Pomponina                    - E' un modo di dire! Lo ripetono tutti. Mi piace di più essere rapita.

Il Duca                          - Ho un patrimonio immenso: denaro, pa­lazzi, cavalli, carrozze e gioielli.

Pomponina                    - Belli come questi? (Gli mostra la col­lana di brillanti).

Il Duca                          - Fa' vedere.

Pomponina                    - Osservala, ma in mano mia.

Il Duca                          - Grazie della fiducia, ma non importa. (Este minando la collana) Sono pezzi di vetro!

Pomponina                    - No, brillanti.

Il Duca                          - Vetro, ed anche pessimo.

Pomponina                    - (disillusa) E valgono di meno?

Il Duca                          - Non valgono nulla.

Pomponina                    - Maledetto Mingo! Me la pagherai! (Si dirige, furiosa, verso la cassa di Mingo).

Il Duca                          - (interponendosi) No, lascialo stare! Che te ne importa, ora? Io ti comprerò pietre vere, le più preziose del mondo. Avrai carrozze e automohiii; pa­lazzi e servi, e sarai libera; sarai una regina!

Pomponina                    - (battendo le mani) Ah, che bellezza! ma è vero tutto ciò?

Il Duca                          - Tutta la mia fortuna sarà tua.

Pomponina                    - Allora, rapiscimi.

Il Duca                          - Andiamo! (Prendendola, molto commossa, per la mano) Andiamo!

Pomponina                    - Permetti che conduca con me il mio paggio?

Il Duca                          - (con improvvisa indignazione) In nessun modo. Sei pazza? Ti voglio per me, per me solo...

Pomponina                    - E quando mi sarò stancata di te?

Il Duca                          - Mi ucciderò.

Pomponina                    - Allora va bene. Ma non mi farai alcun male ?

Il Duca                          - Pomponina!  Che candore! ... Guarda: dietro quelle tende            - (indicando il fondo) c'è una finestra molto bassa che dà sulla strada. Salteremo da essa perché gli impiegati di Pigmalione, che dormono di là, nei corridoi, non ci vedano.

Pomponina                    - Ah, Tommaso e Maurizio. Sono due ubriaconi!

Il Duca                          - Presto, presto! (Lascia la mano della bambola e tira le tende fra la cassa di Pomponina e quella di prima. Rimane visibile un finestrone) Andiamo!

Pomponina                    - Vengo, vengo... Ma non m'inganni eh? Lo sai perché scappo con te.

Il Duca                          - Lo so e non mi importa. Purché tu venga.

Pomponina                    - Vengo. Come si arrabbierà Pigmalione! (Battendo di nuovo le mani) Ho piacere che ne soffra. Così non mi terrà un'altra volta senza fiori. (Si avvicina al Duca, questi apre con cautela la finestra e la salta. Lo Scemo', senza essere notato, schiude un poco di più la porta della sua cassa).

Il Duca                          - (dietro la finestra porgendo le mani a Pom­ponina) Presto, anima mia, presto.

Pomponina                    - (prendendo le mani del Duca) E' bassa, eh?

Il Duca                          - Sì, bassa. Non potrai farti alcun male. (Salta anche Pomponina, appoggiandosi al Duca. Quando e nella strada, si volta e guarda dalla finestra le casse dei fantocci) Presto, amor mio, allontaniamoci.

Pomponina                    - (dietro la finestra. Le si vede solo il busto, come al Duca) Libera, libera: ora sono libera! Ah come si dispereranno quando sapranno che sono fuggita! (Congedandosi con la manina come una bimba) Addio, addio, addio a tutti!

Il Duca                          - (allacciandola delicatamente col braccio in» torno alla vita) Andiamo. (Si ode il rumore di un'au­tomobile che si allontana).

Gianni                           - (tirando fuori la testa e gridando in un tono di spaventoso allarme) Cu, cu, cu, cu, cu, cu, cu! (Salta fuori' dalla sua cassa, osserva, ascolta attentamente e grida di nuovo) Cu, cu, cu, cu, cu, cu, cu... Tutti i fan­tocci si affacciano dalle loro casse. Dondinella e Paco sporgono, uniti, la testa dalla cassa di Dondinella; da quella di Marilonda, costei e Periquito. Gli altri fantocci sporgono ugualmente la testa, guardano a tutti i lati ed escono piano. Gianni si volge ai fantocci, indicando loro prima la cassa aperta e vuota di Pomponina, e quindi la finestra, imitando mimicamente la fuga e tornando ad urlare in tono lamentoso) Cu, cu, cu, cu, cu...

Don Lindo                    - (con disperazione) Pomponina è scap­pata!

Tutti                              - (osservando Don Lindo e scoppiando in una risata) Ah, ah, ah!...

Don Lindo                    - (si copre la testa con le mani. Luca tira la parrucca a Don Lindo, ma mira male, colpendo Paco in fronte. Don Lindo raccoglie premurosamente la sua parrucca e, lisciandola con la mano, la infila subito in testa. Poi, esasperato) Ora non è il momento di ri­dere! Pomponina, Pomponina mia!

Urdemalas                     - Deve averla rapita quell'uomo che Pigmalione chiamava duca.

Gianni                           - (facendo segni affermativi con la testa) Cu, cu, cu, cu!

Don Lindo                    - Lo ucciderò!

Mingo                           - Che sciocchezza! Io invece voglio diventare più ricco di lui per riprendergli Pomponina.

Don Lindo                    - Prima, ti ridurrò in polvere!

Il Capitano                    - Basta, amici miei! Questo è il momento di scappare.

Urdemalas                     - Capita finalmente l'occasione di fuggire e voi perdete il tempo a litigare.

Il Capitano                    - Giustissimo!

Le Bambole                  - (in coro) Libertà, libertà!

Gianni                           - (saltando dalla contentezza) Cu, cu, cu cu.

Pietro Grullo                 - Taci tu, scioccherello. Chi sostituirà Pigmalione come direttore?

Mingo                           - Io mi incarico di amministrarvi e di presen­tarvi al pubblico.

Don Lindo                    - Come se tu avessi il cervello di Pigma­lione!

Mingo                           - Perciò avremo Urdemalas come consigliere.

Pietro Grullo                 - E io?

Urdemalas                     - (dissimulando un sorriso) No certamente. Tu sarai il nostro diplomatico e rappresentante fra gli uomini.

Pietro Grullo                 - Grazie.

Urdemalas                     - Non perdiamo più tempo.

Il Capitano                    - Questo si chiama parlar chiaro. Io preparerò subito la vostra fuga ed esalterò i vostri animi. (Sguainando la spada e brandendola in aria) Venite qua: ascoltatemi! (Sempre impugnando la spada, raccoglie con la sinistra la lanterna lasciata in terra dal portinaio e la contempla fissamente. Tutti i fantocci lo circondano. Gestendo ora con la spada, ora con la lanterna) Vi parlo in nome della nostra convenienza e dei nostri più sacri interessi!

Urdemalas                     - (avvicinandosi al capitano) Vediamo se sei all'altezza della situazione.

Il Capitano                    - Ascoltatemi dunque. (// circolo intorno si restringe).

Urdemalas                     - (all’orecchio del Capitano) Sii breve.

Il Capitano                    - Sì, sì... Osservate bene questa finestra. (Si volge e l'indica con la spada. I fantocci guardano la finestra) Dietro a quella finestra c'è la fine della nostra schiavitù!

Pietro Grullo                 - (avanzando un passo e alzando solenne­mente il braccio) E il principio della nostra libertà.

Urdemalas                     - Bravo!

Il Capitano                    - Dietro quella finestra c'è la nostra felicità!

Urdemalas                     - (sottovoce al Capuano) Abbrevia.

Il Capitano                    - (a Urdemalas) Sì, sì. (Alto) Fuggire,., fuggire... significa... significa...

Pietro Grullo                 - Fuggire significa scappare.

Il Capitano                    - Lo hai detto, Pietro Grullo. Grazie dell'aiuto. Fuggire significa scappare, godere una nuova vita, senza quel despota di Pigmalione.

Urdemalas                     - (tirandolo per la manica) Abbrevia.

Il Capitano                    - (a Urdemalas) Sì, sì. (Di nuovo in tono elevato) A te, Bernardo. (Gli porge la lanterna) Prendi.

Bernardo                       - Io?

Il Capitano                    - Tu, sì, tu.

Bernardo                       - (prendendo la lanterna) Per mille dia­voli! ...

Il Capitano                    - Tu salterai per primo dalla finestra e toglierai di mezzo con la tua spada qualunque ostacolo vi sia.

Bernardo                       - (un po' contrariato) Capitano Aragna, io forse non merito l'onore di essere il primo.

Il Capitano                    - (con una grande aria di convinzione) Sì, Io meriti, grande Bernardo, lo meriti.

Bernardo                       - (accigliato, con la lanterna in mano) Credo che esageri. Non ti sembra Paco?

Paco                              - Io non metto bocca; desidero solo di scappare e al più presto...

Il Capitano                    - Non esagero, Bernardo. Dietro di te verrà Ambrogio con la sua carabina e il Nano con la sua mazza. (Accarezzandosi la punta del pizzo con la mano rimastagli libera dalla lanterna e sottolineando il suo discorso con la spada) Felici coloro a cui il destino serba un'alta missione nella vita! Io invidio te, Bernardo, il Nano e il valoroso Ambrogio, perché andrete verso l'immortalità. Va’ Bernardo, va'; seguilo, Ambrogio, e tu, Nano, celeberrimo spauracchio della bettola, seconda l'uno e l'altro. Andate, andate, tutti e tre insieme.

Tutti                              - Sì, sì, andate.

Il Capitano                    - Va alla finestra, Bernardo, rischiara la strada, e avvisaci subito se il cammino non fosse sgombro.

Bernardo                       - (sguainando il suo spadone, posando la lan­terna a terra) La luce compromette; preferisco le tenebre.

Il Capitano                    - Orsù, tu, Ambrogio, e tu, Nano, scor­tatelo.

Ambrogio                      - (cupo in viso, sfilandosi la carabina e fa­cendo scattare il grilletto) Va bene, lo scorteremo...

Il- Nano                        - (agitando la mazza) Qualcuno deve esporsi per primo.

Il Capitano                    - (magniloquente, sollevando la spada molto in alto) Vi esponete per tutta la nostra razza! Voi fantocci lo avete udito ripetere mille volte da Pigmalione, siamo il principio di un futuro mondo migliore. Immaginate quale posto ci serberà domani la storia?

Lucinda                         - Vi faremo delle corone.

Le tre Bambole restanti                               - (in coro) Molte corone.

Il Capitano                    - Sentite? Anche le donne sono con noi!

Urdemalas                     - (immobile, guardando partire i tre, diretti alla finestra) Quale sorte e la vostra!

Bernardo                       - (si accosta alla finestra, spiando nella strada)

    -                                 Non c'è anima viva. (La salta, agita nell’aria la spada, si volge ai fantocci, facendo loro segni che possono seguirlo, e scompare. Ambrogio e il Nano saltano a loro volta, facendo gli stessi segni tranquillanti, e si allontanano nelle ombre della notte).

Don Lindo                    - (dirigendosi frettoloso verso la finestra) Ritroverò Pomponina. (Salta e scompare).

Mingo                           - La ritroverà per me. (Tiene dietro a Don Lindo, saltando pesantemente la finestra).

Pietro Grullo                 - Ti seguo, ti seguo, caro Mingo. (Salta in fretta, dopo Mingo, e si allontana di corsa).

Il Capitano                    - (avvicinandosi al davanzale della finestra, con la curva scimitarra in alto) Venite tutti! Saltate! Su! Presto!

Paco                              - (incamminandosi solo e con calma verso la fine­stra) Vieni, Dondinella.

Dondinella                    - Eccomi, eccomi. (Raggiunge Paco, che si cala dalla finestra, arrampicandovisi a fatica, e quando è nella strada, stende le braccia, prende le manine di Dondinella e Valuta a passare, badando che non le si sollevino le vesti e attirandola a se. I due se ne vanno).

Periquito                       - (spingendo avanti le tre restanti bambole)

    -                                Accompagnatemi voi. Vi aiuterò a saltare.

Lucinda                         - Sì.

Corinna                         - Finalmente, siamo libere!

Marilonda                     - Era tempo,

Periquito                       - (saltando agilmente la finestra, osservando la strada e dirigendosi quindi alle tre pupattole) Coraggio, piccine, coraggio. Io vi guiderò per il mondo. (Aiuta le pupattole a scavalcare la finestra, come Paco ha aiutato Dondinella, e badando ugualmente molto alle gonnelle. I quattro fuggono rapidamente).

Luca                              - (diretto alla finestra) Io vi avvertirò del mi­nimo ostacolo. Datemi la lanterna.

Il Capitano                    - Niente lanterne, niente canti. Tu non sei un eroe. Vattene e presto.

Luca                              - (salta e si allontana, dicendo prima dalla strada) Via libera!

Gianni                           - (saltando dopo Luca, in tono da pagliaccio) Cu, cu!

Il Capitano                    - (tirandogli un leggero colpo di sciabola sulla spalla) Silenzio, tu, stupido!

Gianni                           - (toccandosi la spalla indolenzita) Cu, cu! (Esce).

 Urdemalas                    - (lasciandosi scivolare con leggerezza nella strada) Addio, Capitano. (Scompare).

Il Capitano                    - (affacciandosi alla finestra) Come, addio? Arrivederci. (Continua a rimanere affacciato guar­dando dalla parte da cui i fantocci se ne sono andati. Dopo qualche istante ritorna Urdemalas, guarda il Ca­pitano con intenzione e gli dice, ironico)

Urdemalas                     - Lo sapevo che non avresti seguito i tuoi compagni...

Il Capitano                    - (spavaldo e spaccone) Non seguire i miei compagni, io? Soltanto a te poteva venire un pen­siero simile... soltanto a te, maligno, che...

Urdemalas                     - ...ti conosce bene... Taci, capitano di stoppa, non ingarbugliare fandonie... con me non at­tacca. Ti conosco bene, so quanto pesi e quanto vali. Tu seguirai i tuoi compagni, o meglio li raggiungerai dopo aver parlato con Pigmalione, dopo avergli fatto mille profferte di devozione e di amicizia, dopo avergli detto che bai fatto tutto il possibile per impedire la nostra fuga e che, sopraffatto, non ci sei riuscito. Rimani qui per approfittare della sua gratitudine, per diventare il suo uomo di fiducia, per sfruttarlo fino a quando ti sarà possibile. Quando capirai che il momento sarà opportuno, quando ti converrà, allora verrai a recitare con noi e incomincerai a fare il padrone. Ed ora io me ne vado perché mi aspettano e perché nelle farse che reciteremo, io, sono indispensabile!

Il Capitano                    - Ed io forse no? Ecco, ti seguo... (Ur­demalas esce per primo scavalcando la finestra; il Capi­tano fa finta di seguirlo, ma quando è appena scomparso Urdemalas, richiude la finestra alle spalle, tira giù la tenda affinché tutto ritorni normale come prima, gira dietro la sua cassa, vi ci caccia dentro rapido e la ri­chiude. Sul rumore metallico della porta, cala il sipario).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

Stanza in una casa cantoniera. Panche e due seggiole impagliate. Una vecchia tavola con sopra una lampada accesa. Porta centrale socchiusa. Quattro finestre aperte: due laterali e due in fondo danno sulla strada. Dalle pa­reti pendono alcuni utensili da lavoro: zappe, martelli per spaccare le pietre, e un fucile. Alla sinistra, altra porta socchiusa, che comunica con le camere interne: ha la chiave nella toppa. Appoggiate nell'angolo opposto a quello della tavola, varie mazzuole pesanti per spianare la terra. E' notte. Nella stanza entra il chiaro di luna. La luna si scorge, tonda e rossiccia, come un lam­pioncino cinese, da una finestra aperta.

 (Pomponina, seduta su di una sedia, appoggia un go­mito sulla tavola, e, alla luce della lampada, contempla il suo viso nello specchietto che tiene con la mano si­nistra. Il Duca, in piedi dinanzi a lei, l'osserva attenta­mente).

Il Duca                          - Smettila di guardarti, tesoro mio!

Pomponina                    - (togliendo il gomito dalla tavola e solle­vando di colpo, con la mano destra, le sottane che la molestano) Voglio guardarmi.

Il Duca                          - (osservandola in estasi) Sei bellissima, ma non mostrarmi ora quelle gambe meravigliose. Mi farai perdere la testa; non è il momento più indicato,

Pomponina                    - (tornando ad appoggiare il gomito alla ta­vola ed a contemplarsi nello specchietto) Il momento di che?

Il Duca                          - Di nulla. Preferisco che tu rimanga cosi ingenua.

Pomponina                    - A me invece piace che mi si veda bene tutto ciò che ho. Pigmalione non ha voluto mostrarmi mai nuda dinanzi al pubblico, ed io gli ho sempre detto: giacché mi hai fatta così perfetta, perché non mi lasci che mi si ammiri scoperta?

Il Duca                          - Nuda non ti vedrà mai nessuno finche io vivrò. Nuda ti vedrò soltanto io.          

Pomponina                    - Anche tu? Sei un egoista. Lo stesso mi dicevano il mio paggio e Pigmalione. Ebbene, no: io desidero che tutti mi ammirino come sono. Intanto tu non mi piaci più.

Il Duca                          - Ti sei stancata presto! Non è neppure un'ora che siamo insieme!

Pomponina                    - Mi hai promesso cose favolose; per que­sto sono venuta con te senza il mio paggio e gli altri fantocci.

Il Duca                          - Non parlarmi del tuo paggio e degli altri fantocci. Non hai più nulla di comune con loro. Dimen­ticali per sempre.

Pomponina                    - Dove sono i tuoi palazzi e le tue perle? E' brutto qui; io non voglio restare qui.

Il Duca                          - Neppure io. Chi poteva pensare al guasto dell'automobile? L'autista e il cantoniere sono andati a cercare un'altra macchina.

Pomponina                    - E se restiamo qui tutta la notte?

Il Duca                          - Maledirò la mia cattiva stella, ma non c'è nulla da fare. Siamo lontani dall'abitato, e prima che quei due ritornino, ci vorrà un po' di tempo. Ma passa presto vicino a te. Solo tu mi interessi; sei così bella!

Pomponina                    - Così Pigmalione ci raggiungerà, e allora addio scappatella!

Il Duca                          - Non ci mancherebbe altro! Ma no..,

Pomponina                    - Ma sì!...

Il Duca                          - Pigmalione non si accorgerà della tua scomparsa, prima di domani mattina.

Pomponina                    - Non credere. Se avessi potuto supporre... non ti avrei seguito. Si sta molto male qui.

Il Duca                          - (andando verso di lei, molto premuroso) Ma piccina mia, bambolina preziosa, io ti adoro! (Cerca di abbracciarla).

Pomponina                    - (respingendolo) Fermo, fermo.

Il Duca                          - Non ti arrabbiare, amor mio.

Pomponina                    - Sono scappata con te per divertirmi, non per divertirti. (Dandosi un colpetto sulla veste con lo specchietto) Come è triste qui.

Il Duca                          - Appena arriverà un'altra automobile, par­tiremo subito ed andremo nella mia villa; poi fra qual­che giorno saremo a Parigi.

Pomponina                    - (battendo le mani) Ah, sì, a Parigi! Anche Pigmalione dice di volerci andare in «tournée». Andiamo a Parigi, andiamo a Parigi!

Il Duca                          - Ecco, così mi piaci; vederti passare facil­mente dalla tristezza all'allegria è divertente.

Pomponina                    - Dammi un po' d'acqua.

Il Duca                          - Dove vado a prenderla adesso?

Pomponina                    - Va' a cercarla... Di là, dentro la casa, avranno pure dell'acqua; se ti sgomenti per cercare dell'acqua, non so che cosa risponderai quando ti doman­derò la luna!...

Il Duca                          - Ma, piccina mia...

Pomponina                    - (facendo mostra di piangere) Voglio un po' d'acqua, insomma!

Il Duca                          - No, non piangere! Vado, vado a vedere se la trovo. (Accende un cerino e entra dalla porta di sinistra nell'interno della casa. La bambola rimane sola, in attitudine pensosa).

Pomponina                    - (si dirige in punta di piedi verso la porta, e la chiude a chiave) Così, così... Che bella idea! La finestra non potrà saltarla da solo.

Il Duca                          - (di dentro, picchiando alla porta) Ecco l'acqua.

Pomponina                    - (vicino la porta) Non ne ho più voglia.

Il Duca                          - Ma apri: mi hai chiuso dentro.

Pomponina                    - Non apro.

Il Duca                          - Ma, bambina mia...

Pomponina                    - lo non sono una bambina. Sono Pom­ponina.

Il Duca                          - (battendo contro la porta) Insomma, apri!

Pomponina                    - E' inutile, non apro. Rimarrai chiuso perché sei stato cattivo.

Il Duca                          - (picchiando con violenza) Butterò giù la porta!

Pomponina                    - Meglio! Così il divertimento sarà mag­giore. Mi annoiavo tanto!.,. (Risuona lontano la tromba di un'automobile).

Il Duca                          - Hai sentito?

Pomponina                    - Sì. Vado a vedere, - (Si affaccia ad una finestra).

Il Duca                          - Finalmente! Ecco l'automobile, Pompo­nina... Apri!

Pomponina                    - (dalla finestra) Quando arriverà. Ancora non si vede. Sì, si vede. Zitto! C'è una donna!

Il Duca                          - Una donna?

Pomponina                    - Sì, viene verso questa casa con molta cautela. Guarda come se cercasse qualche cosa... Ora si è accorta di me e si dirige verso la casa. (Ritirandosi dalla finestra) Chi sarà?

Il Duca                          - (moltiplicando i colpi contro la porta) Apri, apri, in nome di Dio!

Pomponina                    - Dopo, dopo. Mi diverto a farti arrab­biare! (Entra Giulia, una giovane signora molto ele­gante. Si ferma sulla porta centrale ad osservare Pom­ponina).

Giulia                            - (tra se) Deve esser lei.

Pomponina                    - (contemplando a sua volta la nuova arri­vata) Ti ho vista di lontano. Entra, entra... (Giulia fa qualche passo avanti lentamente).

Il Duca                          - (scuotendo la porta) Apri, apri!

Giulia                            - (guardando sorpresa la porta) Chi c'è di là? Ma questa è la voce del Duca. (Si avvicina alla porta e tende l'orecchio) Ma sì! E' proprio lui!

Pomponina                    - Lo conosci?

Giulia                            - Se lo conosco? Sono venuta per lui.

Il Duca                          - (che ha riconosciuto Giulia dalla voce) Ma diavolo, volete aprire?

Giulia                            - Lo avete rinchiuso voi?

Pomponina                    -  Sì, mi annoiava.

Giulia                            - (a voce alta, vicino alla porta, rivolta al Duca) Molto bene... edificante. Rinchiuso e burlato da una pupattola!

Il Duca                          - Apri, Giulia.

Giulia                            - (a Pomponina) Così noi due potremo di­scorrere a nostro agio.

Pomponina                    - (assentendo tutta allegra) Sì, sì.

Giulia                            - Siete fermi qui per un guasto?

Pomponina                    - Siamo qui per un guasto, ma io mi an­noio. Chi sei tu?

Giulia                            - (con un principio d'ira) Sono venuta qui, appunto per farti vedere chi sono.

Pomponina                    - Ah, sì? Non capisco.

Giulia                            - Le pupattole capiscono in ritardo.

Pomponina                    - Ti inganni. Pigmalione ci ha fatto molto intelligenti. Basterebbe che tu conoscessi Urdemalas per persuadertene. E' un furbacchione!...

Giulia                            - Più di te dove vuoi trovarne?... Mi hai portato via il Duca.

Pomponina                    - Sarebbe stato un po' difficile. E' lui che mi ha rapita! Mi ha portato via dalla mia cassa, sì, si­gnora! E con la lusinga che sarei stata come una regina, che avrei avuto palazzi, perle e brillanti in quantità. Ma comincio a pentirmi di questa scappata. E voglio tornare con i miei compagni... Arrivederci!

Il Duca                          - Pomponinaaaa..,

Giulia                            - Non temere, non se ne andrà. (Afferra Pom­ponina per un braccio. Suono di cassa musicale scossa, e due o tre note isolate di campanello).

Pomponina                    - Lasciami! Lasciami stare!

Il Duca                          - (urlando dietro la porta) Accorta, Giulia, potresti romperla!

Giulia                            - (scuotendo Pomponina) Prima di strapparti gli occhi e i capelli, di cavarti la segatura dalla testa e tutta la dannata magìa che ci hai dentro, ti dirò, perché mi oda anche questo signore, che con me non scherzano uomini ne donne né fantocci, anche se carini come te, e anche se fatti dal diavolo in persona!

Pomponina                    - Aiuto!... Ahi, ahi!... Aiuto!

Il Duca                          - (dentro) Lasciala, lasciala!

Giulia                            - (scuotendo di nuovo Pomponina) Lasciarla? La farò in pezzi!... (Alla finestra di sinistra in fondo appare la faccia di Gianni lo Scemo).

Gianni                           - (guardando Pomponina) Cu, cu! (Giulia, vi­vamente sorpresa, lascia Pomponina alla vista di Gianni).

Pomponina                    - (correndo alla finestra) I miei fantocci, i miei fantocci!

Gianni                           - Cu, cu! (Accanto a quella dello Scemo, ap­paiono le teste di Luca Gomez del Nano, di Bernardo e Ambrogio; nell'altra finestra del fondo, le teste di Urde­malas e Don Lindo. Tutti scrutano la stanza senza par­lare. Giulia, immobile per lo stupore, osserva a bocca aperta i fantocci).

Don Lindo                    - Pomponina!

Pomponina                    - (correndo all'altra finestra nel riconoscere Don Lindo e abbracciandolo) Il mio paggettino!

Don Lindo                    - (stringendola) Pomponina mia! (Qua­dro. Alcuni istanti di aspettativa e dì silenzio).

 Il Duca                         - (picchia di nuovo con forza contro la porta).

Giulia                            - (osservando i fantocci, sconcertata) Ma so­gno? Certo che sogno! (1 fantocci rimangono dietro le finestre, senza scavalcarle).

Urdemalas                     - Presto, presto. Andiamo via! Pigma­lione è sulle nostre tracce!

Pomponina                    - (sciogliendosi dalle braccia di Don Lindo) Come, vi trovate qui?

Luca                              - Siamo scappati.

Urdemalas                     - Pss... Parlate piano.

Pomponina                    - E gli altri?

Don Lindo                    - Sono stati ripresi da Pigmalione.

Pomponina                    - Sono stati ripresi?

Luca                              - Sì, poco fa. Appena informato della fuga tua e nostra, Pigmalione è montato sul carro automobile e si è lanciato da solo al nostro inseguimento.

Don Lindo                    - Ci ha raggiunti in una piazza con dei portici...

Urdemalas                     - E mentre acchiappava Periquito, Lucinda e gli altri, noi siamo saltati sul camion, e siamo nuovamente scappati...

Pomponina                    - (alzando le mani e battendole l’una contro l'altra) Bravi! Bravi!

Don Lindo                    - Correndo a caso, abbiamo visto due au­tomobili e luce in questa casa. Abbiamo lasciato laggiù il nostro camion, per non farci sentire e, quando ci siamo avvicinati a questa finestra, abbiamo sentito le tue grida. 

Pomponina                    - Che gioia! Se non era per voi!.,.

Urdemalas                     - (interrompendola)  Non perdiamo più tempo; siamo inseguiti!

Don Lindo                    - Vieni, Pomponina, vieni.

Pomponina                    - Sì, si, sì! Portami via... (Salta dalla finestra aiutata da Don Lindo e Urdemalas).

Gianni                           - (osservando Giulia e dopo aver scrutato di nuovo tutta la stanza) Cu, cu!

Luca                              - Andiamo, andiamo,  - (Scompaiono rapidamente tutti i fantocci. Lo Scemo resta un istante ancora dinanzi la finestra facendo smorfie di scherno a Giulia e, scom­parendo, ripete il suo « Cu, cu ». Giulia, in piedi nel mezzo della scena, continua a guardare, attonita, le finestre. Breve pausa).

Giulia                            - (fra sé, scombussolata) Che apparizioni sono queste? (Si dirige cauta e tremante alla finestra di destra, vi si affaccia con paura e spia alcuni istanti in lontananza) Se ne sono andati...

Il Duca                          - (dentro) Pomponina, Pomponina!...

Giulia                            - (dalla finestra) E' partita, è andata via...

Il Duca                          - Partita?

Giulia                            - (ritirandosi dalla finestra, un poco rimessa dalla sua paura e dalla sorpresa, e avvicinandosi alla porta, rivolta al Duca) Sono venuti certi omacci e se la sono portata via.

Il Duca                          - Aprimi o non rispondo di me!

Giulia                            - Finché non viene gente, non sperarci.

Il Duca                          - Come hai fatto, per mia disgrazia, a venir qui?

Giulia                            - Semplicissimo-: sono andata a casa tua, dove ho avuto la tua bella lettera per me e l'assegno. Siccome la storiella della bambola mi sembrava una bella scusa molto cretina mi sono recata al teatro. Lì c'erano i tre impresari col portinaio, agitatissimi. Ho appreso allora della tua fuga con Pomponina. Ho capito che più che nella tua villa non potevi recarti e ti ho inseguito con la mia macchina...

Il Duca                          - Be'! va bene. Hai fatto benissimo, ma ora basta con questo stupido scherzo. Apri.

Giulia                            - Non ci penso nemmeno. Finche non viene qualcuno io non apro. E taci, altrimenti perderai la voce. Tanto non abbiamo fretta. (Si siede comodamente) Pro­prio nessuna fretta.

(Compaiono di nuovo i fantocci ad una delle finestre del fondo. Parlano fra loro a precipizio e concitatamente, senza che si odano le parole, indicando Giulia che, seduta nella sedia, di spalle, non può vederli. Urdemalas e Luca Gomez saltano la finestra, e, in punta di piedi, con infinite precauzioni si avvicinano a Giulia, facendo le boccacce. Urdemalas cava di tasca un grande fazzoletto. Dietro Luca, saltano Ambrogio, Bernardo, il Nano è Gianni. Giunto vicino a Giulia, Urdemalas le mette rapidamente il fazzoletto sul viso, tappandole gli occhi e la bocca. Luca la tiene ferma per le braccia. Ambrogio, il Nano e Bernardo rafforzano il gruppo e tengono Giulia. Lo Scemo resta indietro, ridendo stupidamente « facendo smorfie grottesche di soddisfazione).

Urdemalas                     - (a voce bassa e dirigendosi con segni espressivi a Don Lindo e Pomponina che sono rimasti dietro la finestra, uniti e strettì) Psss... Andate sotto quella con l'inferriate e richiamate l'attenzione del Duca. (Pomponina e Don Lindo scompaiono dalla finestra. Luca Gomez va in fretta vicino alla porta e gira la chiave. Urdemalas, Bernardo, Ambrogio e il Nano spingono Giulia verso la porta, che Luca apre quel tanto perché passi il corpo della donna, e la cacciano dentro. Luca richiude la porta istantaneamente, tornando a dare due giri di chiave e avvicinandosi alla finestra. Tutto rapi­damente).

Luca                              - (dalla finestra) Potete venire.

Gianni                           - (contentissimo)  Cu, cu. (Luca torna presso i fantocci. Si ode contro la porta un colpo terribile di spalla e grida acutissime di Giulia, che cessano subito. Don Lindo e Pomponina riappaiono alla finestra e la scavalcano insieme, riunendosi a Urdemalas e agli altri fantocci).

Urdemalas                     - (a Pomponina)  Eccoti vendicata! (Trat­tenendo Don Lindo che vuole uscire) Ho cambiato idea. Noi resteremo qui. (Tutti i fantocci lo circondano sorpresi. Dietro la porta non si ode più nulla. Tutti i fantocci riducono e restringono il semicerchio intorno a lui. Gianni lo Scemo l'ascolta attento accentuando la sua espressione idiota. Urdemalas, facendo sibilare le parole, insinuante e persuasivo) Quando un momento fa abbiamo ritrovata Pomponina, perché invece di scap­pare siamo tornati indietro?

Don Lindo                    - Per vendicare Pomponina.

Urdemalas                     - Infatti.

Don Lindo                    - Ma non comprendiamo perché si debba rimanere qui, ora!

Urdemalas                     - Mi spiego; prima le nuvole nel cielo nascondevano la luna, adesso si sono diradate. Abbiamo perduto molto tempo e il giorno si avvicina; intorno è pianura, senza un filo d'ombra per proteggerci, e di conseguenza Pigmalione ci scorgerà di lontano e ci riac­ciufferà subito. Così, invece di liberare i nostri compagni prigionieri, domani saremo suoi schiavi di nuovo, e do­vremo ritornare al Teatro Aldurcara, che è quanto si è proposto Pigmalione.

Pomponina                    - Di nuovo Pigmalione! E noi credevamo di essercene liberati per sempre!

Don Lindo                    - Ma se non andiamo via ed egli ci sor­prende qui, come ce la caveremo?

Urdemalas                     - Lasciami parlare. Che cosa vuole Pi­gmalione? Dominarci. Che cosa vogliamo noi? Essere liberi. Chi è il forte? Lui. E i deboli?

Luca                              - Noi, per disgrazia.

Urdemalas                     - 0 per fortuna. Il mondo può anche essere dei deboli, ma furbi.

Don Lindo                    - E allora?

Urdemalas                     - Allora aggrappiamoci al male, il male giusto: come ha agito con noi Pigmalione? Ci ha co­struiti molto difettosi, prova ne sia che prepara nuovi fantocci per sostituirci con essi e distruggerci. Al male, dunque, maggior male. Distruggiamo Pigmalione oggi stesso, per evitare che egli un giorno distrugga noi.

Pomponina                    - (battendo le mani) Sì, sì!

Luca                              - Sì... Ma come fare, per mille diavoli?

Urdemalas                     - E' affare mio!

Bernardo                       - Tu risponderai per noi,

Urdemalas                     - Di tutto, di tutto. (Si allontana dot fantocci, che l'osservano curiosi e si incammina lenta­mente verso la parete, da cui stacca il fucile esaminan­dolo con attenzione) Vedete? Ovunque trovo complici e aiuti invisibili. (Tornando ad esaminare il fucile) Questo fucile mi sembra migliore della tua carabina delle farse, Ambrogio. E* carico, e probabilmente non di «ola polvere, come i fucili che adoperiamo nel teatro. (Solleva con precauzione il grilletto, passa dinanzi al gruppo dei fantocci, va verso la parete laterale destra e vi appoggia Parma in piedi; chiama quindi con la mano i suoi compagni, che lo raggiungono) Psss... Venite qui e obbeditemi ciecamente. (Si ode di lontano il ru­more di un camion che si avvicina a poco a poco. I fan­tocci, che già erano vicini a Urdemalas, si fermano bru­scamente).

Pomponina                    - Eccoci perduti!

Don Lindo                    - E' il nostro carro! Lo riconosco dal ru­more!

Bernardo                       - Pigmalione ce lo ha ripreso!

Ambrogio                      - Siamo in trappola!

Il Nano                          - (sollevando la sua mazza dinanzi a Urde­malas) Guai a te, se si impadroniranno di noi!

Tutti gli altri Fantocci   - (avanzano contro Urdemalas e minacciandolo con i pugni chiusi) Guai a te, guai a te!

Gianni                           - (con comico spavento) Cu, cu!

Urdemalas                     - (dirigendosi rapidamente verso i fantocci e mandandoli a un lato, a colpi di mano) Idioti! Me­ritereste che vi abbandonassi alla vostra sorte! Tacete ed obbeditemi! Avvicinatevi alla parete! Mettetevi in fila! (/ fantocci eseguono l'ordine).

Il Nano                          - (che è l'ultimo a raggiungere la fila, assieme con lo Scemo)  Che tiranno! Parla già come Pigma­lione!

Urdemalas                     - (mentre si mette alla testa dei fantocci, nel punto dove si trova il fucile, che ricopre col suo corpo) Serrate la fila! Attenderemo qui. E non temete Pigmalìone... Sfidatelo con le parole. (Il carro automo­bile, già molto vicino, si arresta. Schioccano in aria, con forza, alcuni colpi di frusta),

Pigmalìone                    - (di fuori, con voce chiara e ferma di co­mando) Bastano le grida! Silenzio! (Cessa U fra­stuono ad un tratto).

Tutti i Fantocci             - (meno Urdemalas e Gianni lo Scemo) Pigmalìone! (La fila dei fantocci comincia a tremare; solo Urdemalas resta impassibile al suo posto. Pigmalione sporge la testa da una delle finestre del fondo, gira lo sguardo per ogni angolo della stanza e fissa i fan­tocci ; questi lo guardano angustiati. Una pausa. Du­rante il silenzio, i fantocci e Pigmalìone si osservano).

Pigmalìone                    - (dalla finestra rompendo il silenzio) Molto bene, scavezzacolli! Sono sorpreso di vedere anche te, Pomponina!». Mi avevano assicurato che eri stata rapita dal Duca. Non credevo di trovarti qui.

Pomponina                    - (con una vocino flebile) Come vedi, sono invece qui.

Pigmalìone                    - Sì, sì vedo, sì. Bella azione avete com­messo! Ma ora faremo i conti. (Sì ritira dalla finestra e riappare dalla porta centrale. Si ferma nel mezzo della stanza: ha in mano una frusta dal manico lungo, da circo) Ehi, di casa! Ma non c'è nessuno qui?

Il Duca                          - (di dentro, con voce soffocata) Pigmalione, Pigmalìone... Apritemi.

Pigmalìone                    - La voce del Duca. Ma che cosa suc­cede? Che cosa avete fatto? Chi lo ha rinchiuso? (Si dirige verso la porta).

Gianni                           - (pauroso e sollevando le mani) Cu, cu...

Pigmalìone                    - (volgendosi verso i fantocci e colpendoli con una frustata alle gambe) Taci, tu! Che significa? Che nuova diavoleria avete combinato? (Altra frustata) Non rispondete? Ora vedrete.

Il Duca                          - (battendo più forte contro la porta) Aprite, vi supplico...

Pigmalìone                    -  Eccomi, apro subito. (Si avvicina alla porta e gira la chiave. Il Duca esce col viso sangui­nante, il colletto slacciato, e gli abiti completamente in disordine).

Il Duca                          - Era tempo!

Pigmalìone                    - Ma che cosa è successo? Che qualcuno parli, insomma!

Il Duca                          - I vostri fantocci sono diavoli scatenati!

Pigmalìone                    - Vi avevo avvertito di stare in guardia.

Giulia                            - (uscendo a sua volta, col viso ugualmente a graffi, il cappellinostorto e l’abito in disordine, diri­gendosi al Duca) Ti ricorderai di me!

Pigmalìone                    - E chi è questa signora? (I fantocci si toccano Vun Valtro col gomito e si guardano, soddisfatti della loro opera, nonostante la paura).

Giulia                            - (indicando i fantocci) Sono stati loro che mi hanno assalito! Vigliacchi, approfittare di una donna sola!

Pigmalìone                    - Insomma, che cosa e accaduto? Se­condo ciò che mi è stato riferito voi avete compiuto la bella prodezza di rapire Pomponina. Come mai si trova invece fra gli altri fantocci e chi è questa signora?

Giulia                            - Non vi dobbiamo alcuna spiegazione.

Pigmalìone                    - Sarebbe meglio capire qualche cosa.

Il Duca                          - Tutto ciò è ridicolo. (A Giulia) Tu vieni via con me. (Prendendola per un braccio) Andiamo alla tua automobile.

Pigmalìone                    - Andate al Manicomio?

Il Duca                          - Andremo dove ci pare! (Escono. Appena fuori tornano ad udirsi, ma solo alcuni istanti, le grida dei fantocci rinchiusi nel carro, che si agitano al pas­saggio della coppia).

Pigmalìone                    - (sorridendo) Buon viaggio! (Ai fantocci) Dopo tutto, mi avete vendicato! (Fa schioccare la frusta, andando verso di essi) Come tremate! Se non fosse perché, ad onta di tutto, la mia vanità è molto lusingata nel riconoscere che vi ho fabbricati così bene, vi ridurrei tutti in frantumi! (Schiocca nuovamente con forza la frusta in aria. Si accentua il tremito dei fantocci) Avete paura, eh?

Urdemalas                     - (che è l'unico a non tremare) Non ab­biamo paura.

Pigmalìone                    - Caro Mefistofele, questa scappata deve essere opera tua. Mi inganno?

Urdemalas                     - Hai indovinato. E, come vedi, per un fantoccio, non mi sono portato male. Puoi esserne sod­disfatto.

Pigmalìone                    - Non crederlo. Ogni artista è sempre scontento della sua opera e si propone superarla. L'am­mira e, a un tempo, la disprezza. Lavoro ora a qualche cosa di meccanico, più sorprendente di te e migliore dell'uomo.

Urdemalas                     - Non è colpa mia, se non sono riuscito migliore.

Pigmalìone                    - E neppure mia. Ho fatto quel che ho potuto. Se non sei perfetto, sei però un buon saggio.

Urdemalas                     - Stai in gamba, con questo saggio: po­trebbe costarti caro.

Pigmalìone                    - Stupido! Minacci? Ti credevo più in­telligente.

Urdemalas                     -  Ho l'intelligenza che mi hai dato.

Pigmalìone                    - Credevo tu fossi più furbo. Ribellarsi contro di me è inutile come scappare. Io sono uomo, forte, padrone, creatore; voi siete i miei giocattoli, i burattini, i buffoni. Niente altro. E siete miei, e posso spezzarvi e posso frustarvi. (Dà loro un'altra frustata. Meno Urdemalas, tutti si lamentano, ritirandosi di più contro la parete).

Urdemalas                     - Anche tu, con tanto orgoglio, sei di breve durata; finirai anche tu nel nulla, al pari di tutti gli uomini.

Pigmalìone                    - Che vuoi sapere tu di che cosa ci sia dopo la vita? Per ora, in questa vita basto io solo per voi tutti, per ridurvi all'obbedienza! E non solo te e gli altri, ma un intero popolo di marionette! Olà! un passo avanti! Domani sera, quando vi presenterete davanti al pubblico nessuno potrà credere, nel vedervi recitare così disciplinati, che siate stati capaci di ribellarvi come foste degli uomini, mentre non siete che fantocci! Orsù, presto! Un passo avanti! Svelti! Al vostro carro! (/ fantocci esitano).

Urdemalas                     - Fermi tutti! (A Pigmalìone) Non ab­biamo voglia di muoverci.

Pigmalìone                    - No, eh? (Torna a far schioccare la frusta, si volge verso la porta centrale, che indica col dito, ed esclama in tono fermo e imperativo) Al vostro carro!

 I Fantocci                     - (atterriti, escono a poco a poco dalla fila e si incamminano lentamente, l'uno dietro l'altro, in dire-zione della porta centrale. Pigmalione, senza volgersi per guardarli, continua ad indicare la porta col dito, sicuro di se stesso e di essere obbedito. Urdemalas porta rapi-damente le mani all'indietro, afferra il fucile e spara alle spalle di Pigmalione, che cade istantaneamente).

Pigmalione                    - Ah!... Aiuto! (I fantocci si fermano e restano attoniti, guardando il corpo caduto. Di fuori ri-suonano di nuovo le grida dei fantocci).

Urdemalas                     - (posa il fucile sul pavimento, avanza de­ciso dove giace Pigmalione, si inchina e l'osserva di­nanzi ai suoi compagni meravigliati, immobili, rigidi. Pausa, interrotta solo dalle grida esterne) Gli si è fer­mata la molla! Ecco ciò che rimane del grande artefice! (Crescono le grida dei fantocci prigionieri nel carro. Luce pallida di un'alba nascente alle finestre).

Don Lindo                    - (facendo un passo) Che è stato?

Urdemalas                     - Non hai veduto? L'ho ucciso.

Pomponina                    - (facendo a sua volta un passo avanti, met­tendosi al fianco del paggio e fissando Pigmalione) Com'è diventato pallido!

Don Lindo                    - Liberi, finalmente! (Abbracciando la sua bambola) Pomponina mia! Non amare altri all'in-fuori di me!

Pomponina                    - Farò il possibile!

Don Lindo                    - Dimentichiamo il passato.

Pomponina                    - Di tutto il passato ha colpa Pigmalione (indicando il caduto) che mi ha creata così debole!

Urdemalas                     - (portandosi un dito alle labbra) Psss... Bastano le chiacchiere. Raggiungiamo il carro dove sono legati gli altri e allontaniamoci. Qui non tarderà a venir gente. Andiamo.

Pomponina                    - Dove?

Urdemalas                     - Alla ventura, coi nostri compagni e avanti nel mondo, dove ci conduca il nostro destino di fantocci prodigio. Venite tutti con me e non ve ne pentirete! (Esce seguito dai fantocci. Aumenta il fra­casso di fuori. Gianni lo Scemo, che esce per ultimo, torna sulla porta centrale, guarda un'altra volta Pigma­lione facendo nuove smorfie, si stropiccia contentissimo le mani e lancia in un tono indefinibile il suo « cu, cu ». Poi sì nasconde, mentre dal di fuori si sente il rumore del camion che si allontana).

Pigmalione                    - (sollevando faticosamente il busto) Fi­nalmente se ne sono andati! Se non mi fingevo morto, mi spacciavano davvero! (Tentando di alzarsi) Non posso! Mi dissanguo, muoio se non mi aiutano!

Gianni                           - (comparendo dal suo nascondiglio) Cu, cu!

Pigmalione                    - Sei qui, tu? Soccorrimi, Scemo mio; tu sei buono...

Gianni                           - Cu, cu.

Pigmalione                    - Aiutami... Se non mi aiuti, morirò.

Gianni                           - (prende il fucile, si avvicina a Pigmalione e lo colpisce alla testa col calcio dell'arma. Pigmalione, con una smorfia di dolore, ricade pesantemente) Cu, cu. (Il fantoccio si stropiccia le mani soddisfatto. Si affaccia alla finestra, alza le mani e grida « Cu, cu, cu, cu! » all'aurora che sorge).

FINE