Il sole e la luna

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Il SOLE e la LUNA

IL SOLE E LA LUNA

Azione in due tempi

d GUGLIELMO BIRAGHI

                                   

PERSONAGGI

PIA                   - è una signora giovane nonostante i quarant'anni,

                bella pur se segnala in volto,

raffinata sebbene non possegga una grande cultura.

MARIO   - il viso accigliato e generalmente impenetrabile, ha,

trentadue anni, l'aria di un ragazzo maturo,

che ha già avuto molto dalla vita.

Commedia formattata da

PRIMO TEMPO

(Un salotto borghese, arredato con una certa seve­rità barocca. Un divano, una poltrona. Su un tavolinetto, un paio di bottiglie, bicchieri, il telefono. Dal lato opposto, un bureau. Sul fondo, una grande libreria di legno scuro, ermeticamente chiusa. A si­nistra, una porta conduce alla stanza da letto, che non è visibile. A destra, d'angolo, un'altra porta comunica con uno stanzino che è l'ingresso dell'appartamento. L'unica finestra è accecata da una pesante tenda. Al levarsi del sipario, buio fitto. Dal buio, misteriosa, la voce di Pia, che è sulla sinistra della scena).

Pia                                   -Tre... Tre... Uno... Due tre quat  - accidenti! (Breve pausa) Tre... Tre... Uno... Due tre quattro cinque... Sei sette otto nove... Nove otto sette sei cinque... Sei sette otto nove zero! (Un sospiro di sollievo) Ah, signora, scusi tanto! Ho urgente bi­sogno di suo marito!... Come?... Come dice?... E a chi dovrei dirlo, sennò?... Ma se lo tenga, suo ma­rito, se lo tenga! Ho sbagliato. Non è il suo che voglio!... Ma guarda che maniere! (Rumore di mo­bili smossi. Poi, sulla destra, s'accende un -fiam­mifero. Lo ha tra le mani Pia, che ora vediamo un istante. Ma già il fiammifero si spegne. Pia ne ac­cende un altro e fruga rapida nel bureau. Nuovo sospiro di sollievo) Ah, qui s'era cacciata! (Anche il secondo fiammifero, nel movimento, si spegne) Oddio, era l'ultimo! Ah, no, per fortuna! (All'ac­cendersi del terzo fiammifero Pia ha tra le mani una candela, che mette svelta in opera e sistema in un posacenere. Butta via la scatola dei fiammi­feri dopo essersi accertata che ormai è davvero vuota. Quindi torna verso sinistra e siede accanto al telefono. Formulando di nuovo il numero di prima) Tre. Tre. Uno. Cinque. Nove. Cinque. Zero. Con la luce è più facile... Pronto?... Ah, bene, bene... Qui la signora Pia, della casa accanto. Scusi, sa, se chiamo così tardi, ma ho proprio bisogno di suo marito... Fuori città? Di suo figlio, allora... Ma c'è, no? Non è già a letto... Allora, la prego, me lo mandi. Stare al buio, capisce?, per me... Lei sa, naturalmente, le hanno detto... Bel ragazzo, anche suo figlio. Tra quanto potrà venire?... Mi raccomando, signora... Poi glielo rimando dritto a casa. Non si preoccupi. Buona notte, signora, buona notte. (Poggia il ricevitore, sbuffando. Si alza. Gira a vuoto per la stanza. Risiede. Si rialza, sempre seguendo intimi e visibilmente non lieti pensieri che a un tratto si estrinsecano in una grave esclamazione, detta nel soffermarsi davanti alla libreria di fondo) Tolomeo! Mah, Tolomeo! (Di colpo s'apre la porta di destra e la candela si spegne. Non prima, però, che si sia intravvista sulla soglia la figura di un uomo: Mario).

Mario                               - (chiamando dal buio) Pia.

Pia                                   - (con un grido soffocato) Chi è?

 Mario                              - Io. (Richiusa la porta, si rivela alla luce di un accendino) I miei occhi. Il mio naso. La mia bocca. Non c'è inganno.

Pia                                   - (sollevata ma non lieta) Ah, Mario!... (Breve pausa) Ma quanto gli somigli! Possibile che non me ne fossi mai accorta?

Mario                               - Ad Oreste?

Pia                                   - Sì.

Mario                               - E la differenza di età?

Pia                                   - Non conta... non conta più...

Mario                               - Dodici anni non sono un giorno. Se ne imparano, di cose, in dodici anni! E quello che s'impara resta sul volto, nello sguardo...

Pia                                   - Il suo sguardo era pieno di cose. Più del tuo.

Mario                               - Ombre, Pia, solo ombre. (Intanto ha riac­ceso la candela).

Pia                                   - (con voce diversa) Come sei potuto tornare?

Mario                               - (quasi eludendo la domanda) Avevo an­cora la chiave. Non te ne ricordavi? E se fossi tornato nottetempo, a rubarti i gioielli?

Pia                                   - Non è notte, ora?

Mario                               - Ma io non sono venuto a rubar nulla. Voglio solo quel che m'appartiene. Ad ogni modo... (Poggia ostentatamente la chiave sul tavolino).

Pia                                   - (debolmente) Puoi tenerla... se credi...

Mario                               - (con slancio) Pia!

Pia                                   - No. Non fraintendermi. Ormai non avrebbe senso... Ma la mia solitudine è spaventosa. Ho bi­sogno di te.

Mario                               - Non più però al modo di prima.

Pia                                   - (dura) Mario!

Mario                               - In che modo, allora? Come di un altro figlio?

Pia                                   - (più dura) Mario! (Pausa imbarazzata).

Mario                               - Non m'inviti nemmeno a sedere?

Pia                                   - Ma sì, sciocco. (Prima che Mario possa sederle accanto, gli indica la poltrona) Lì.

Mario                               - (sedendo dove gli è stato indicato) D'ac­cordo.

Pia                                   - Scusa, sai... E' che non posso più sentirmi gente troppo vicino....

Mario                               - Gente? Vedo, vedo. Ma sbagli. Devi rea­gire. Aggrapparti a qualcosa. A me, per esempio. Invece di respingermi tra la gente. Ho forse colpa, io, di quanto è accaduto?

Pia                                   - Immagino tu voglia sentirti dire dì no.

Mario                               - Non ne sei convinta? Me ne andai a tempo debito.

Pia                                   - E ora, a tempo debito, torni. Facile, vero? Non suoni nemmeno. Usi la chiave.

Mario                               - Credimi. Prima, ho suonato.

Pia                                   - Non me ne sono accorta.

Mario                               - Sfido! Non c'è corrente.

Pia                                   - (si picchia leggermente la fronte. Poi, con un sorriso forse riparatorio, forse ironico) Vedi, con te qui, già me ne dimenticavo. Con te, già non è più così buio.

Mario                               - Pronta però ad insinuare...

Pia                                   - Cosa? Ho forse detto che hai colpa? (Ride in modo strano) La colpa sai di chi dev'essere? Di Tolomeo!

Mario                               - E chi è Tolomeo?

Pia                                   - Però avresti anche potuto bussare.

Mario                               - Chi è Tolomeo, Pia?

Pia                                   - Non lo sai?

Mario                               - No.

Pia                                   - Neanch'io.

Mario                               - Pia, tesoro... sei sicura di star bene? (Si alza).

Pia                                   - Bene... e male... Malissimo! Come dovrei sentirmi, secondo te?

Mario                               - Sei pallida come un cadavere. (Pia ha un gesto di protesta) Scusa, scusa. Ti prendo un calmante. (Si avvia verso sinistra).

Pia                                   - No! Torna qui, per favore.

Mario                               - Una pillola, e ti senti subito meglio.

Pia                                   - Torna qui. Non ce n'è più, in bagno. Oreste non ne ha lasciata nemmeno una. (Lungo mo­mento di gelo).

Mario                               - Un sorso di whisky, allora. Ne ho biso­gno anch'io... (Solleva e sogguarda una bottiglia) Questa è vuota.

Pia                                   - Apri l'altra. Vuoi ghiaccio? Forse non si è ancora sciolto tutto, nel frigo. Vado a vedere.

Mario                               - No. Lo prendo liscio.

Pia                                   - (sollevata, con una punta d'ironia) Nuove abitudini?

Mario                               - Non sono ancora a quel punto, cara. Non ho nulla da affogare nell'alcool. Era solo per ri­sparmiarti l'incomodo.

Pia                                   - , Effettivamente andare di là, senza luce...

Mario                               - Paura?

Pia                                   - Di sbattere.

Mario                               - (provocatorio) Puoi prendere la candela. (Più pacato) Ma se vuoi tu del ghiaccio, di là ci vado io.

Pia                                   - No no, grazie. Dallo liscio anche a me. (Altro lungo silenzio, mentre Mario serve da bere).

Mario                               - Chi è Tolomeo?

Pia                                   - Non lo so. (Una risatina nervosa) Te l'assi­curo. Non mi credi? Ti sembro strana?

Mario                               - Abbastanza.

Pia                                   - Ma non mi guardare a quel modo! Non mi ha mica dato di volta il cervello. Non mi sono fissata d'essere la Pia dantesca.

Mario                               - Devi ammetterlo: per una che si chiama Pia chieder di Tolomeo con tanta insistenza è sospetto.

Pia                                   - Trovi? (Di nuovo la risatina nervosa).

Mario                               - Be'...

Pia                                   - (seria) Sei stato tu però a chiedere. Sei stato tu ad insistere.

Mario                               - Ah sì?... Effettivamente sono curioso di sapere. Allora?

Pia                                   - Allora niente. Parliamo d'altro. Per esem­pio, di te.

Mario                               - Non ne vale la pena.

 

Pia                                   - Come va il lavoro? E tuo padre, in Messico?

Mario                               - Venezuela.

Pia                                   - Fa lo stesso. Ne hai notizie? Si è risposato? E tu... hai trovato qualcuna della tua età?

Mario                               - Pia!

Pia                                   - Perché no? Non sarebbe logico ti fidan­zassi? Un bel ragazzo come te, all'età giusta, con una vaga origine esotica, una buona posizione sociale...

Mario                               - Se non ho un quattrino!

Pia                                   - Da parte no, certo, spendaccione come sei. Begli abiti, belle macchine. Libri, quadri, dischi. Ma te la puoi permettere, questa vita. Hai un padre ricco, un lavoro che rende, un promettente futuro d'ingegnere... Di che ti lamenti, insomma?

Mario                               - Ma io non mi lamento. Sei tu che mi attribuisci parole che non dico, pensieri che non penso... Non ho alcuna intenzione di sposarmi, Pia. Se non con te.

Pia                                   - Io sono vecchia.

Mario                               - Anch'io. Quasi.

Pia                                   - Non farmi ridere. Prima che i tuoi rapporti con Oreste divenissero burrascosi...

Mario                               - (brusco) Quando mai?

Pia                                   - Tesi, diciamo allora. Prima, comunque, fre­quentavi la casa più come amico suo che come amico mio. E la parte ti calzava. Io non avevo nessuna difficoltà a considerarti in pubblico una specie di figlio maggiore.

Mario                               - Salvo poi in privato...

Pia                                   - Mario!

Mario                               - Scusa. Guarda però che non sei logica. Fra tuo figlio e me dodici anni di differenza, e dici che non contano. Fra me e te otto appena, e questi me li fai pesare quasi fossero secoli. (Con foga) Sposami, Pia! Fossero pure otto secoli te li farei dimenticare tutti!

Pia                                   - Mmm... una bella proposta di nozze! E co­me mi vorresti vestita per la cerimonia? Con un verginale abito bianco? E che dovrei mettere sul velo? Zagare? O una corona di arance mature? (Dura) Dimenticare, dici tu. Sì, la differenza di età, non è impossibile. Ma ci sono altre cose che non potremmo mai dimenticare, né tu, né io.

Mario                               - (tracanna un sorso di whisky, come per impedirsi di reagire con violenza. E' tuttavia con violenza che poi dice) Ecco, vedi, è proprio vero. Altro che Tolomeo! E' me che ritieni col­pevole. E allora parliamoci chiaro. I problemi sorsero sei mesi fa, quando Oreste scoprì che noi eravamo amanti. Ma io feci quel che dovevo: scomparire, subito, lasciandoti sola con lui, per­ché potessi più serenamente consolarlo, recupe­rarlo. Cinque mesi di tempo hai avuto a dispo­sizione. Cinque mesi. Come ne hai profittato? Co­me li hai messi a frutto?

Pia                                   - E tu sai come ho speso l'ultimo? Cercando una croce per quel sepolcro! Il sepolcro di mio figlio! (Nel silenzio che segue si bussa con forza all'ingresso dell'appartamento, oltre la porta di destra).

Mario                               - Chi è? (Poi, con intenzione) A quest'ora?

Pia                                   - (nervosissima) Dev'essere il ragazzo della luce. Apri tu, per favore. Le valvole sono in cu­cina, lo sai. Accompagnalo tu. Non voglio vedere nessuno. (Mario annuisce e s'avvia. Apre la porta di destra. La candéla torna a spegnersi. Esclama­zione soffocata di Pia. Si ode bussare di nuovo, più forte).

Mario                               - (invisibile, dalla destra) Ehi, dico, un momento! (Rumore di uscio aperto. Nell'antica­mera si accende una lampadina a pila) Bravo. Accomodati. (Passi che s'allontanano. Buio e silenzio. Poi s'intuisce il ritorno di qualcuno in scena).

Pia                                   - Mario? Sei tu, Mario?

Mario                               - E se fosse Tolomeo?

Pia                                   - Chiudi la porta. (Nuovo rumore di porta. Poi lo scatto dell'accendino di Mario. Pia è tutta rannicchiata sul divano).

Mario                               - Paura di sbattere, eh? Povera Pia! (Va a riaccendere la candela) Ha detto che è roba da nulla. Dieci minuti al massimo.

Pia                                   - Speriamo. Non ne posso più, di quella can­dela, di queste ombre...

Mario                               - Hai i nervi a pezzi.

Pia                                   - E tu no?

Mario                               - Io non posso concedermelo. La posta è troppo grande. (Scientemente le siede accanto sul divano, dopo aver rifornito di whisky entrambi. Pia fa per alzarsi, ma ci ripensa e resta seduta. Mario leva il bicchiere) Alla nostra! Tolomeo per­mettendolo.

Pia                                   - Mario, chi è Tolomeo?

Mario                               - Vediamo un po'... Esclusi dunque i pa­renti della Pia dantesca... Hai qualche Tolomeo, tu, in famiglia? Un nipote... un cugino... magari lontano, piccolo così...

Pia                                   - Non fare l'idiota.

Mario                               - Ma no. Sto solo cercando d'indovinare. Tolomeo... Tolomeo... L'astronomo? Qualche re d'Egitto? Un fratellino di Cleopatra? Se non sba­glio, c'è anche uno gnostico, di quel nome.

Pia                                   - Un che?

Mario                               - Gnostico. Filosofo paleocristiano.

Pia                                   - Non ti sapevo colto in storia della filosofia.

Mario                               - Evidentemente ignori ancora qualche sfaccettatura di questo puro cristallo!

Pia                                   - Ma no. So quel ch'è tuo. Quel ch'è di Ore­ste. E questa è farina del suo sacco. Lui nel pen­siero antico sguazzava. Sempre tra i libri.

Mario                               - Ed io?

Pia                                   - A parte i manuali che ti servono profes­sionalmente, i tuoi son libri d'arte, di narrativa. Non di pensiero.

Mario                               - Mi accusi d'essere superficiale?

Pia                                   - Oreste certo ti costringeva a pensare di più.

 

Mario                               - Non lui. Tu. Tu volevi che gli stessi die­tro, per non creare sospetti. Per te Io seguivo nei suoi sogni ad occhi aperti, nelle sue avventure immaginarie, nelle sue elucubrazioni fantascien­tifiche, anzi, fantastoriche... Tutto sempre per te!

Pia                                   - O per te stesso? Ti piaceva, in fondo, l'uni­verso di Oreste. Ricordo la volta che vi metteste a sfogliare antiche mitologie. Per un buon mese, in famiglia, non si parlò d'altro che del rapporto fra pianeti e divinità.

Mario                               - Sì, e di come le due più terribili divi­nità planetarie, Marte e Venere-Minerva, si ripre­sentassero con nomi e sessi diversi, ma con attri­buti sostanzialmente analoghi, in tutte le teologie del mondo, da Babilonia all'Egitto, dalla Persia alla Grecia, dalla Scandinavia al Messico... Oreste n'era ossessionato, esaltato...

Pia                                   - E tu dietro.

Mario                               - Ammetto che l'argomento era affasci­nante. C'era un dio messicano, l'equivalente di Ve­nere-Minerva...

Pia                                   - Tezcatlipoca.

Mario                               - No. Quello è Marte. L'altro.

Pia                                   - Quetzalcòatl?

Mario                               - Sei meravigliosa, Pia! Nomi così dalla tua bocca?

Pia                                   - Eh, chi pratica lo zoppo!... Zoppo, Oreste? Il ragazzo più diritto del mondo! Troppo diritto per non spezzarsi

Mario                               - Ma cos'è accaduto?

Pia                                   - Non lo so, Mario. Neanche quando andasti via tu, tornò la confidenza fra me e lui. Due estranei. E di questo è te che devo ringraziare!

Mario                               - Scommetto che non hai mai tentato di avvicinarlo sul serio, il cuore in mano.

Pia                                   - Ah no? Guarda, ti sembrerà ridicolo, ma mandai apposta a mente quei nomi messicani così ostici e assurdi. Ripetendoli e ripetendoli, in ba­gno, in cucina, davanti allo specchio, imparai a dirli con perfetta naturalezza. Come pane, acqua, vino. Poi andai da lui, che mi teneva il broncio. « Parlami di Quetzalcòatl », lo implorai, proprio col cuore in mano. Rispose: « e perché non di Tlahuizcalpantecuhtli? ». Nessuna madre fu mai respinta in modo più sottilmente crudele! Sai chi è Tlahuizcalpantecuhtli, tu? E' ancora uno di quei due, ma nella personificazione della stella del mat­tino. Lucifero, insomma. Nulla mi toglie dalla testa che rispondendomi a quel modo Oreste vo­lesse mandarmi al diavolo!

Mario                               - Tuo figlio non era misericordioso.

Pia                                   - Che c'entra la misericordia? Avevo appena ventuno anni, lo sai, e lui uno, quando rimasi ve­dova. L'ho tirato su da sola. Sono vissuta per lui. E non è sempre stato facile, con la mia piccola rendita... Perché dunque negarmi un briciolo di gratitudine?

Mario                               - Aveva scoperto che non eri più tutta sua.

Pia                                   - Non ti farà piacere sentirlo, Mario, ma an­che te avrei rifiutato, come altri prima di te, a costo di perdere la mia ultima possibilità di essere donna, se non fossi stata certa che lui, ormai, di me non aveva più bisogno.

Mario                               - Ma tu avevi ancora bisogno di lui. Altri­menti lo avresti lasciato libero, anziché cercare di legarlo di nuovo a te attraverso una specie di fratello maggiore, tuo segreto alleato.

Pia                                   - Mi rimproveri per averti concesso la mia fiducia?

Mario                               - Solo se tu mi sospetti di non esserne stato degno.

Pia                                   - Già sulle difensive?

Mario                               - Su posizioni di forza. E prima o poi tu dovrai appoggiarti a me.

Pia                                   - Sei troppo spavaldo perché io ti senta sicuro.

Mario                               - A chi ti appoggeresti, altrimenti?

Pia                                   - Indovina.

Mario                               - Eh, no, me lo devi dire! Lo esigo! (Si è alzato impetuosamente).

Pia                                   - Con che diritto?

Mario                               - Tre anni sei stata con me. Con tuo ma­rito solo pochi mesi. Sono io, io, che...

Pia                                   - Sss! Non gridare! C'è quello, di là! Deve sentire i fatti nostri?

Mario                               - Che me ne importa? Che ne sa, quello, di me, di te?

Pia                                   - E' un vicino di casa. Conosceva anche Oreste.

Mario                               - E con ciò?

Pia                                   - Forse erano amici. Oreste era sin troppo alla mano. Chiuso com'era, accettava intorno a sé chiunque.

Mario                               - E con ciò?

Pia                                   - Non voglio che certe cose si risappiano! Non voglio che la memoria di Oreste ne abbia a soffrire!

Mario                               - E credi davvero che la gente rispetti la sua memoria? No. E' te stessa che vuoi proteg­gere.

Pia                                   - E tu te stesso.

Mario                               - Io non c'entro.

Pia                                   - Fino al collo. Ma datti pace. Non perdere­mo il rispetto della gente finché non si sapranno i nostri rapporti.

Mario                               - Ah, perciò non vuoi sposarmi!

Pia                                   - Ci sono anche altri motivi.

Mario                               - Assurdi come questo? Cambieremo am­biente, ce ne andremo via, dove nessuno ci co­nosce.

Pia                                   - Ma io non posso andarmene.

Mario                               - Perché? Che ti trattiene? Chi? Tolomeo!

Pia                                   - (improvvisamente disperata) Non ne sai nulla, tu?

Mario                               - (fuori di sé) E tu? e tu? e tu? (Una breve pausa, tesissima).

 

Pia                                   - (invitando Mario a sederle accanto) Cal­mati. Siediti. Non fare quella faccia... (Mario piom­ba a sedere, ma non accanto a Pia, bensì sulla poltrona dove Pia già lo aveva confinato. Con voce rotta Pia continua) E' un mese che me lo chiedo, ogni giorno, ogni notte... Non te ne ha mai detto nulla, Oreste?

Mario                               - No. Mai. (Interdetto) Oreste?

Pia                                   - (annuisce e racconta) La nostra era dive­nuta una coabitazione coatta. Quando più spesso potevo me ne sottraevo uscendo, anche senza mè­ta, magari solo per rifugiarmi ai giardini pubblici, qua dietro. Uscivo senza salutare. Tanto, non ri­spondeva. Quella volta però fui costretta a scam­biare con lui due parole, perché, come al solito, si erano fulminate le valvole e bisognava sapesse che l'elettricista era già stato chiamato. (Breve pausa) Ricordo che dissi ad Oreste: dovremmo de­ciderci a far rinnovare tutto l'impianto. E lui, con una delle sue frasi sibilline, troppo frequenti or­mai per darmi da pensare, rispose: « rinnovare no, è pericoloso, pericoloso... ». Scuoteva la testa. Dio, che occhi aveva! Pieni d'ombre, sì, di brividi. Non sapevo nemmeno se mi guardava dentro o attraverso... (Pausa più lunga) Uscii. Me ne andai a sedere su una panchina, aspettando il tramonto. Fu lì che mi raggiunsero, forse mezz'ora, forse una, due ore dopo, a dirmi che Oreste stava male e aveva bisogno di me. (Un sorriso amaro) Biso­gno di me, capisci? La prima volta dal tuo in­gresso in famiglia! Ma era solo una frase fatta. Oreste era appena riuscito ad aprire la porta all'elettricista e subito gli era caduto senza sensi tra le braccia. (Breve pausa) Arrivando a casa, trafelata, trovai che lo avevano già sistemato sul mio letto. Sul nostro letto, Mario! Ma il peggio venne poi, dopo la lavanda gastrica. Quando, co­me disse il medico, non si poteva far più nulla se non attendere che la crisi si risolvesse, in un modo o nell'altro... Quanto veleno era entrato in circolo? Il cuore avrebbe resistito? Si sarebbe più svegliato, il mio Oreste? (Pausa lunga) Dormiva. Come dormiva! Un tronco d'albero secco respinto sul greto di un fiume. Una statua di marmo ri­versa e dimenticata fra l'erba. E non riaprì più gli occhi. Ma a un certo punto, mentre ero sola con lui, si mosse un poco, come per parlare. Un soffio gli uscì dalle labbra. E nel soffio una parola, ripetuta due, tre, quattro volte. Tolomeo... To­lomeo... Non mamma, come avevo sperato. To­lomeo. Il più assurdo dei nomi, detto con infi­nito abbandono, con infinita dolcezza. Tolomeo. Perché, Mario? Perché mio figlio è morto col no­me di Tolomeo sulle labbra? (Pausa lunghissima).

Mario                               - (reagendo al silenzio, in modo inconsulto) Ma che fa, quello, di là? Ancora non ha tro­vato il guasto?

Pia                                   - Mario, chi è Tolomeo?

Mario                               - (si alza in piedi, va verso l'anticamera. Ignorando la domanda di Pia) Altro che dieci minuti! (Sta per aprire la porta di destra).

Pia                                   - No! E se la candela?... Potrei anche morire.

Mario                               - Non sei morta, prima.

Pia                                   - Ma ora lo abbiamo evocato.

Mario                               - Calma, Pia, calma! (Tuttavia rabbrivi­disce) E che temi, da tuo figlio?

Pia                                   - Chi è Tolomeo?

Mario                               - (respinge la domanda con un brusco ge­sto di ambo le mani. Poi, con rabbia) Biso­gnerà proprio decidersi a rinnovare l'impianto. E non sarà lavoro da poco. Il muratore per le tracce nei muri, il pittore per rappezzare .gl'into­naci... Sai almeno dove corrono i fili?

Pia                                   - Non rinnoveremo nulla. E' pericoloso... pericoloso...

Mario                               - Eh? Ah, la frase di Oreste. Ma no, dammi retta! L'ingegnere sono io, fino a prova contraria!

Pia                                   - Ma la casa è mia. Tu non ci metterai le mani.

Mario                               - D'accordo. Cambieremo casa. Del resto non si può vivere, qui, con l'elettricista sempre tra i piedi!

Pia                                   - E non hai ancora capito che io di qui non posso andarmene! Non prima, almeno, d'aver saputo chi è questo Tolomeo per cui mio figlio si è ammazzato!

Mario                               - (improvvisamente fronteggiandola) Dun­que tu speri proprio che Tolomeo sia uno in car­ne ed ossa! Ti sembra bello, Pia? Ti sembra no­bile?

Pia                                   - (pallidissima) Sta zitto, Mario

Mario                               - Invece parlo. Lo esige la memoria di Oreste, che forse solo io rispetto. Perché tu, pur di sentirti libera!... (Ride) Non hai proprio con­siderato quanto ti convenga un Tolomeo vivo e vegeto, uno che respira mangia beve dorme cam­mina? Oreste lo ha conosciuto fuori casa, magari all'università, dove le madri non possono seguire i ragazzi, ma i fratelli maggiori, veri o posticci, sì. Se n'è lasciato ingannare e fuorviare a tua ma forse non mia completa insaputa. Ma se To­lomeo è una fantasia concepita e nutrita proprio fra queste mura, qualcosa dell'ordine di quelle divinità messicane di cui parlavamo or è poco? Che fai allora? Su quali spalle scarichi il fardello delle tue responsabilità?

Pia                                   - (a denti stretti) Mario, attenzione! Anche così potresti ritrovartelo sulle tue!

Mario                               - E in che modo, Pia? In che modo?

Pia                                   - Chi è che dava spago a Oreste nel suo fantasticare?

Mario                               - Ma per desiderio di chi, per ordine di chi? Chi mi aveva imposto la parte di figlio e fratello maggiore? Eh, no, Pia, non puoi dimen­ticartene! Fosti esplicita: Oreste, di noi, non deve sapere mai nulla!

 

Pia                                   - Non usai quel termine: mai. Dissi: anco­ra. Volevo che prima di sapere si affezionasse a te, ti accettasse nel suo chiuso universo. Però, Mario, intendevo sul serio parlargli, al momento opportuno. E gli avrei parlato in ogni modo, subito, se avessi potuto immaginare che era de­stino ci sorprendesse l'una tra le braccia dell'al­tro... Solo che non era facile. Bastava un suo sguardo, una sua frase ingenua... incredibile co­me poteva essere ingenuo Oreste, con tutta la sua cultura!... ed io mi convincevo che non era bene turbare quel delicato equilibrio, che era meglio lasciar passare un giorno di più, una set­timana, un mese... Poi, un po' alla volta, par­largli divenne per me non solo difficile, addirit­tura impossibile, perché tu mi avevi impercetti­bilmente sostituita nella sua confidenza... Ma se ho sbagliato, è stato per troppa cautela, per trop­po amore. E adesso tu insinui ch'io preferisca credere mio figlio corrotto! Proprio tu ti vanti unico paladino della sua memoria! Ah, Mario, Mario, vergognati!

Mario                               - Perché? Ti parlo senza pensare al mio interesse!

Pia                                   - Sì, bravo! Il tuo interesse è negare l'esi­stenza di un Tolomeo in carne ed ossa. Ed è appunto quello che stai facendo... forse per na­scondermi qualcosa!

Mario                               - Non so nulla di Tolomeo in carne ed ossa, io! So solo che se tu riuscissi ipocrita­mente a convincerti dell'esistenza di un tale To­lomeo...

Pia                                   - Che farei?

Mario                               - Tutto sarebbe possibile. Persino un ma­trimonio con zagare e veli bianchi!

Pia                                   - Ti riprenderei, una volta libera? Anche so­spettando di te?

Mario                               - Nella tua euforia mi concederesti il be­neficio del dubbio!

Pia                                   - Ma come puoi sperarlo, se fai del tuo meglio perché io ti detesti?

Mario                               - Non detesterai mai me più di te stessa!

Pia                                   - Ah, la tua maledetta sicurezza!

Mario                               - Perché sei tu a sentirti in colpa, non io. Te ne dò subito la prova. Convieni che per lavare la memoria di Oreste da ogni cattivo so­spetto occorre convincersi che un Tolomeo in carne ed ossa non esiste? E dove possiamo tro­vare tale convinzione?

Pia                                   - (a bassa voce) Tra i suoi libri.

Mario                               - Vedi, sai già dove voglio arrivare. Tra i suoi libri, sissignora, i libri di storia e di leg­genda che lui scovava frugando negli scaffali più polverosi, sulle bancarelle più miserabili! Tra i suoi libri, sì. Là dentro! (Indica col braccio teso la libreria sul fondo).

Pia                                   - (in tono strano) No. Là dentro no. (Strano è anche lo sguardo che getta verso il mobile chiuso).

Mario                               - Ma li hai consultati, tu, quei libri? Hai più riaperto quegli sportelli, in cerca di qualche appunto, di qualche annotazione rivelatrice? Non Io hai fatto.

Pia                                   - Perché è inutile interrogare il vuoto.

Mario                               - No, perché hai paura. Là dentro rischi di trovare la certezza che il Tolomeo d'Oreste non è di carne ed ossa, come a te conviene, bensì un vecchio fantasma di nessuna utilità. Che alibi potrebbe fornirti un qualsiasi pensatore o sovra­no di altri tempi?

Pia                                   - Non cerco alibi, io!

Mario                               - Parole, sempre parole! Ma tutte le pa­role del mondo non bastano a difenderti. Mentre un solo gesto basterebbe. Se non ti senti in colpa, Pia, se davvero ami Oreste più di te stessa, se vuoi davvero dimostrarmi che hai il coraggio di affrontare la verità, aprila ora, di fronte a me, quella libreria chiusa!

Pia                                   - (si avvia visibilmente esitante verso il fondo. Forse più a se stessa che a Mario) E quel far­dello... tutto sulle mie spalle... solamente sulle mie?

Mario                               - Dunque? (Ma quando Pia allunga una mano come per aprire, egli ha un segreto moto di preoccupazione, quasi che in realtà non desi­derasse affatto veder compiere il gesto pur da lui sollecitato).

Pia                                   - (improvvisamente ritira la mano. Torna ra­pida indietro) No, caro. Non aprirò.

Mario                               - (ora trionfante) Lo sapevo.

Pia                                   - Lo so che lo sapevi. Ma proprio per que­sto non voglio stare al tuo gioco. E' troppo fa­cile! Preferisco cambiarti le carte in tavola. (Ri­siede sul divano, beve, prende tempo).

Mario                               - (sarcastico ma impaziente) Dunque, Pia?

Pia                                   - Perché liberar te dei tuoi sospetti anziché me dei miei? Perché sottostare io alla prova, quando la stessa prova posso imporla a te? Tan­to, tu mi riprendi lo stesso, che mi stimi o non mi stimi.

Mario                               - Sei una donna meravigliosa! Piena di risorse! Non ti arrendi mai! Una tigre! Ma il tuo machiavello è inutile. Ormai la prova che cercavo me l'hai data. Non hai aperto, Pia, non hai aper­to! E allora... meglio così! Lasciamolo là dentro, il fantasma che ti fa paura! Vieni via con me, subito! Ricominciamo a vivere! Senza ricordi, sen­za pensieri!

Pia                                   - Ma non eri proprio tu, poco fa, a farmi la morale?

Mario                               - Desideravo che pur detestandomi per le mie parole tu mi stimassi per le mie intenzioni.

Pia                                   - Quali intenzioni? Crearti un tuo alibi sui frantumi del mio? Confondermi il meglio possi­bile? Non pensi che al tuo interesse! Perché sennò mi avresti incitata a frugare fra i libri?

Mario                               - Per onestà.

Pia                                   - No, perché eri certo che non l'avrei fatto! E invece lo avrei fatto. Il tuo calcolo, vedi, era sbagliato. Come è sbagliato questo tuo volermi apparire onesto e nobile ad ogni costo. (Ghigna) Purtroppo tu parti sempre dal principio che io di te non sappia fare a meno. Che, ammirandoti, io possa solo seguitare a ruotarti intorno, come la luna intorno alla terra o la terra intorno al sole. Be', disilluditi! Il tuo potere d'attrazione caro mio, non è poi così forte!

Mario                               - E' che sono rimasto troppo a lungo lontano. Sarei dovuto accorrere subito, appena appresa la notizia. Anzi, non avrei mai dovuto lasciarti, nemmeno quando Oreste ci scoprì as­sieme!

Pia                                   - Dimmi la verità, adesso. Perché fuggisti?

Mario                               - Non una fuga, Pia. Fu un gesto di di­screzione. Stimai doveroso lasciarti sola con tuo figlio perché chiarissi le cose con maggiore tran­quillità. Quelle cose che non hai saputo e forse nemmeno voluto chiarire!

Pia                                   - Se non una fuga, dunque, un abbandono.

Mario                               - Stava a te richiamarmi. Un gesto, e sarei tornato. Non sai quante ore ho trascorso accanto al telefono, aspettando che tu mi cer­cassi!

Pia                                   - Ed io qui, ad aspettare che mi cercassi tu!

Mario                               - No. Tu in giro per giardinetti!

Pia                                   - La tua cattiveria è senza fondo.

Mario                               - La meriti, se mi respingi.

Pia                                   - Non è ch'io ti respinga. E' che tu non mi attiri.

Mario                               - Sì, gioca con le parole! Ti senti forte perché sono gentile con te. Ma ora basta! Cam-bierò metodo, d'ora in poi. (Muovendo verso Pia) Baciami!

Pia                                   - Sei impazzito?

Mario                               - Vedrai!

Pia                                   - Non è con questi argomenti... Mario! (Bru­talmente afferrata, si divincola) C'è quello, di là!

Mario                               - Buona! Ferma! Non puoi gridare! Non puoi ribellarti!

Pia                                   - Io ti... (Mario blocca con un bacio le lab­bra di Pia. Pia resiste un altro istante, poi lascia fare, senza alcuna partecipazione. E quando Ma­rio la lascia, si pulisce automaticamente la bocca col dorso della mano).

Mario                               - (deluso e sorpreso, non pentito) Stupida! Nessuno ti ama più di me.

Pia                                   - Questo te lo concedo. Nessuno più di te, dato che sei l'unico. Ma il tuo amore non è disin­teressato, non è caritatevole.

Mario                               - Non è per farti la carità che sono tor­nato, stasera. E' per riprenderti ad ogni costo.

Pia                                   - (sferzante) Ecco, bravo, finalmente un'am­missione sincera! Vuoi riavermi? Ne intuisco i motivi. Ma guarda che così non ci riesci. Cambia davvero metodo, Mario. Butta la maschera. Va' in fondo alle cose, gravami del fardello più pesante possibile, senza falsa pietà. Non vengo da te per amore. Ma, schiacciata dalle colpe, a chi potrei rivolgermi per aiuto?

Mario                               - A me, Pia, a me. E' meraviglioso. Sì, mi apri gli occhi. Il mio interesse coincide con le mie convinzioni! Un Tolomeo in carne ed ossa non esiste! Esiste un fantasma nella libreria, che tu temi, a ragione, ma io no!

Pia                                   - Così innocente ti senti!

Mario                               - Certo. Non fui io, ma tu stessa, l'hai detto, a volere che Oreste mi accettasse nel suo chiuso universo. E Oreste mi accettò, bontà sua, nonostante i miei scrupoli, la mia riluttanza... Ma era uno strano universo, quello in cui lui mi accolse e che tu per lui avevi creato... un uni­verso basato su una menzogna: che lui, Oreste, ne fosse il centro... e intorno a lui Venere, Marte, Quetzalcòatl, Lucifero, te, me... (Trionfante) Ca­pisci, Pia? E' tutto chiaro! Tolomeo! Tolomeo l'astronomo!

Pia                                   - L'astronomo?

Mario                               - Quello al cui sistema credeva l'antichità. La terra al centro d'ogni cosa. Immobile, sicura. Sole luna pianeti e stelle, tutti a ruotarle intorno. Ah, si era proprio scavata una comoda nicchia nei cieli l'umanità d'allora! Una posizione di pri­vilegio! Con l'intera coorte degli astri a renderle omaggio da servi e schiavi!

Pia                                   - Ma...

Mario                               - Ma sì. Così lui, Oreste. Saldo e sicuro, lui, al centro. E noi intorno, vivi solo per lui, in funzione del suo egoismo! Poi, un giorno, Galileo ci mette la coda. La rivelazione: tu ed io, luna e sole, che ci disincagliamo dalle nostre orbite. L'universo di Oreste crolla. Oreste rifiuta di sopravvivergli e muore col nome di Tolomeo sulle labbra!

Pia                                   - Ma... è pura follia!

Mario                               - Follia, sì. Pura, purissima. Come l'anima di tuo figlio, vittima di una menzogna da te sol­tanto creata e coltivata. Una menzogna frutto di un'educazione errata sin dall'inizio, anni prima che entrassi in orbita io!

Pia                                   - Non è possibile, non è possibile! (Improv­visamente scoppia a ridere) Oreste martire del sistema tolemaico! Una specie di Galileo alla ro­vescia! Eppur non si muove! E invece dell'in­quisizione, il sonnifero!

Mario                               - Ti sembra cosa da ridere?

Pia                                   - Sì, perché non ci credo. In orbita è andato il tuo cervello! Eh no, carissimo! Io torno a cre­dere a un Tolomeo in carne ed ossa E' più fa­cile ad ingoiarsi! Molto più facile!

Mario                               - (quasi gridando) Ti pare, Pia? E allora l'apro io, quel mobile! Là dentro ci debbono es­sere prove a bizzeffe! Ti dimostrerò che ho ra­gione! - (Muove deciso verso la libreria).

Pia                                   - (smette di colpo la sua risata, giunta ormai a toni troppo acuti per non rivelarsi falsa) Fermo, Mario! (Già davanti alla libreria, Mario si arresta, la guarda interrogativamente, fa per tor­nare indietro. Lei lo blocca con un gesto impe­rioso) No. Sta lì. Lì ti volevo.

Mario                               - (interdetto) Ancora trucchi?

Pia                                   - Ti ho atteso ogni sera, dalla morte di Oreste. E mi ricordavo anche della chiave... (Un pallido sorriso che rapidamente si cancella) Il mio animo era diviso. Te ne sei accorto subito, tu, e subito hai messo il dito nella piaga. Che io mi rifugiassi in un Tolomeo vivo, corruttore di Oreste a mia insaputa, non era né bello né nobile. Eppure mi ci rifugiavo disperatamente, rifiutando ogni indizio contrario, ogni evidenza che tornasse a scaricare su di me i rimorsi ch'io cercavo di scaricare sulle spalle di un estraneo...

Mario                               - O sulle mie. Ma ho sventato la manovra.

Pia                                   - Ed io te ne ringrazio. Interessato o no, il tuo intervento mi ha fatto del bene. Ora ac­cetto le mie colpe: sono stata io la cattiva edu­catrice, non Oreste il cattivo allievo. Accetto il fantasma celato da quegli sportelli, piuttosto che cercare altrove la luce di una rivelazione oscena! (Ha terminato con forza e convinzione. Poi, quasi sibilando, aggiunge) Tanto più che non dovrò af­frontarlo da sola, quel fantasma!

Mario                               - Sbagli. Io ho la coscienza a posto. Te Io dimostrerò aprendo la libreria.

Pia                                   - Non aver fretta, Mario. Aprendo... ti perdi!

Mario                               - Mi perdo? (Apprensivamente) Ti perdo?

Pia                                   - No. Mi avrai in ogni caso. O almeno avrai da me ciò che ancora potrò darti... Ma se hai già vinto perché vuoi stravincere? Mi fai davvero credere che nonostante tutto il tuo negare, tutto il tuo accusare implacabile, tu ti senti in colpa almeno quanto me!

Mario                               - Non è vero!

Pia                                   - Povero Mario! In che dilemma! E allora non aprire!

Mario                               - (ridendo a denti stretti) Infatti me ne guardo bene! Stando così le cose! Se non cerchi un amico ma un complice!

Pia                                   - L'ho già trovato. Non apri, Mario? D'ac­cordo. Ma ti perdi ugualmente!

Mario                               - (che ha subito smesso di ridere) Perché?

Pia                                   - Dimostri a me, a te stesso, che hai paura! Anche per te il sistema tolemaico potrebbe crol­lare! (Una lunga pausa) Perciò non hai via d'usci­ta. Sarebbe diverso se tu credessi a un Tolomeo vivo, anziché ombra. Ma ormai! Mi hai dato trop­pe prove del contrario! (Ambigua) Che decidi, dunque? (E beve un ennesimo sorso di whisky, senza fretta).

Mario                               - Io... (Nel perfetto silenzio che segue, squilla il telefono).

Pia                                   - Vedi, sei fortunato. Puoi pensarci ancora un paio di minuti. (Va al telefono) Pronto. Chi parla? Ah, sì, signora... Evidentemente un guasto più grave del previsto: qui siamo ancora al buio... No, suo figlio è di là che lavora... Sì, di là... (Sorpresa) Guardi che non la seguo. (A Mario, coprendo il microfono con la mano) Questa ha paura ch'io le stia seducendo il figlio! (Di nuovo nel microfono) Ma per fortuna ho già compagnia. Non sono più completamente sola... Le assicuro. Un cugino. Si tratterrà qualche tempo. Nella di­sgrazia, la consolazione si trova spesso in fami­glia... Certo, è giusto che anche lei... Sì, certo... sì... sì., sì... Eh no, un momento! Che discorsi sono questi? Il solito cugino? (Annaspa sdegnata).

Mario                               - (scattando verso Pia) Dà qua. (Le strap­pa il microfono di mano. Ascolta. Poi scoppia a ridere) Supposizione errata, cara signora! Io pur­troppo minorenne non sono più da un pezzo!... Come: chi parla? Il cugino, perbacco! Dovrebbe vergognarsi... Pronto, pronto? Adesso non parla più?... Ah, ecco, così è meglio... Sì, capisco, un cuore di madre... Accetto le sue scuse, anche a nome della famiglia... Le rimanderemo suo figlio appena avrà finito. Stia tranquilla, è grande e grosso, per la sua età. Non se lo mangia nes­suno, né qui né per la strada. (Trasalendo molto visibilmente) Scusi, le dispiace ripetere? Come ha detto che si chiama, il ragazzo? (Guardando Pia) Meo?

Pia                                   - (afona) No! (Crolla a sedere).

Mario                               - Buonanotte, signora. (Riattacca il rice­vitore, con studiata cura. Intanto continua a guar­dare Pia, che è rimasta immobile, gli occhi fissi nel vuoto. Cerca di reprimere una risata che gli gorgolia in gola. Poi, più compunto) Tu resta qui. Chiederò. Saprò. (Si dirige svelto verso destra. Aprendo Mario la porta dell'anticamera, la can­dela, come al solito, si spegne. Buio completo in scena. Nel silenzio, il pesante respiro di Pia. Poi, di colpo, la luce elettrica invade la stanza, violen­tissima dopo tanta oscurità. Pia, ancora nella stessa posizione, sbatte e sbarra gli occhi come una civetta abbacinata. A un tratto grida, senza preavviso. E su quél grido disperato, straziante, cala rapido il sipario).

Fine del primo tempo

SECONDO TEMPO

(Al risollevarsi del sipario, la luce elettrica è ancora accesa. Il salotto è vuoto. Pia compare in deshabillé, da sinistra. Avanza lentamente e si lascia cadere sul divano).

Mario                               - (fuori scena) Be', Pia, che fai?

Pia                                   - (con voce incolore) Nulla.

Mario                               - Allora torna qui.

Pia                                   - Aspetta. Bevo un sorso. (Ma non si muove).

Mario                               - (dopo una breve pausa) Insomma?

Pia                                   - Sto bevendo.

Mario                               - Bugiarda! Ti vedo, sai, nello specchio!

Pia                                   - (si allunga a recuperare il proprio bicchiere, che solleva come per un brindisi verso la porta di sinistra. Per nulla festosa) Ecco qua. Alla tua! Contento?

Mario                               - Un sorso anche a me!

Pia                                   - Serviti pure!

Mario                               - Uffa! Quanto sei difficile! (Compare sulla porta di sinistra, senza giacca né cravatta, la camicia mezzo fuori dei calzoni. Avanza verso la bottiglia, barcollando un poco e riavviandosi i capelli in disordine. Si versa da bere. Beve con avidità. Poi si volge a Pia, animosamente) Ma si può sapere che ti ha preso?

Pia                                   - (ignorando la domanda) Che ore saranno, secondo te?

Mario                               - Il mio orologio s'è fermato. (Va alla finestra e scosta un poco la pesante tenda). Buio pesto, fuori. Eppure l'alba non dev'essere lontana. (Torna verso la camera da letto. Dall'uscio si volge a Pia, che è rimasta seduta) Che fai? Non ti decidi?

Pia                                   - Mmm...

Mario                               - (infantilmente) Perché? Si stava così bene!

Pia                                   - Ne sei proprio convinto?

Mario                               - Sì. No.

Pia                                   - Quel letto...

Mario                               - Sono i tuoi nervi. Ma è comprensibile. Restiamo qui,   - (Le siede accanto e ne cerca le mani).

Pia                                   - (sottraendo le mani) No, Mario. Nem­meno qui.

Mario                               - Non ti capisco. Sei stata tu a incomin­ciare!

Pia                                   - Sta zitto. Perché insisti?

Mario                               - E tu allora, prima? Apri... non apri... se apri ti perdi.., se non apri invece pure... Poi la rivelazione: tuo figlio... be', lasciamo perdere! E tu ti getti tra le mie braccia! (Un sorriso com­piaciuto) A quel punto hai proprio temuto ch'io me ne andassi via.

Pia                                   - Sì.

Mario                               - Ma... il rimorso di avermi accusato in­giustamente... o il solito gioco di scaricabarile? (Pia tace. Mario si rabbuia. Poi scrolla le spalle) Be', evidentemente non posso pretendere troppo. (Con un ritorno di animosità) Eppure, un Tolo­meo in carne ed ossa... c'è, ormai... l'abbiamo tro­vato!

Pia                                   - Sì.

Mario                               - Solo che non è bastato a farti sentir libera! (Riallunga le mani ad afferrare quelle di Pia, che stavolta non gli sfugge) Vedi che ho ra­gione? Ma hai ragione anche tu, di sentirti an­cora in colpa. Perché Oreste non è stato corrotto all'università, fuori della tua zona d'influenza, bensì qui in casa, sotto i tuoi stessi occhi!

Pia                                   - (getta le braccia al collo di Mario) Mi fai sentire vile, spregevole, un verme!

Mario                               - E più ti senti verme, più ti attorcigli intorno a me... (Ricambia l'abbraccio. Poi, sod­disfatto, stacca le braccia di Pia dal proprio collo).

Pia                                   - (smarrita) Sei tu, ora, che mi respingi?

Mario                               - E' che prima di ricominciare voglio es­sere sicuro che tu arrivi sino in fondo. Un sorso di whisky, tesoro? Nei avrai bisogno. (Versa da bere ad entrambi) Si conobbero proprio qui, in casa. Tolomeo venne di mattina. Tu dormivi an­cora, di là. La sera prima avevamo fatto molto tardi, insieme. Il bussare alla porta non ti sve­gliò. Aprì Oreste. Mezzo nudo, era estate.

Pia                                   - (cercando di abbracciare Mario) Mario!

Mario                               - (tirandosi indietro) Se non ho detto an­cora niente! (Riprende la narrazione) Tu dormivi. Un sonno pesante, spossato. Sognavi. Di me, che me n'ero andato in punta di piedi solo un paio d'ore prima. Dormivi ed eri lontana. Chi vegliava su tuo figlio?

Pia                                   - Colpa tua che eri rimasto fino al mattino.

Mario                               - Eh no, Pia! Colpa tua che mi avevi trattenuto. Non era facile soddisfarti, ricordi? E poi, era mio, Oreste?

Pia                                   - In parte sì, lo era diventato.

Mario                               - Al contrario, semmai. Io, suo, in parte. Un sacrificio che tu m'imponevi sull'altare del suo egocentrismo!

Pia                                   - (sorpresa) Credi ancora alla teoria tolemaica?

Mario                               - Diciamo egoismo, allora, invece di ego­centrismo.

Pia                                   - Mettila come vuoi, tu ci credi. (Ed è lei, adesso, a tirarsi indietro).

Mario                               - Dopo quello che mi ha raccontato il giovane Meo? (Riafferra le mani di Pia) Dà qua. Non scostarti. Hai tutti i motivi per tenermi stretto. O vuoi che ti lasci sola?

Pia                                   - No, per carità. (Cedendo) Il giovane Meo?...

Mario                               - Oreste lo accompagnò in cucina. Rimase a parlare con lui. Non che Meo capisse molto dei discorsi di Oreste. Ma Oreste sapeva farsi ascoltare anche da chi non lo capiva, con la sua duttile e pacata voce, il suo gestire armonioso... Troppo armonioso, Pia! Ora puoi rendertene conto!

Pia                                   - Di che parlò?

Mario                               - Difficile saperlo. Meo non è tipo da riferire i discorsi di un intellettuale! Chiacchieran­do, si fecero il caffè. Lo presero assieme. Ad Ore­ste, ancora assonnato, una goccia bollente cadde dalla tazzina sul petto nudo. Emise un piccolo grido. E Meo raccolse la goccia dalla sua viva pelle.

Pia                                   - (riaggrappandosi a Mario) Non voglio sen­tire!

Mario                               - Invece sentirai tutto. Fu in quel mo­mento che un qualcosa si stabilì fra i due. Ma ancora impreciso, esitante. E forse nulla sarebbe successo se dopo non fosse stato Oreste a cedere a un impulso irragionevole. Meo lavorava in piedi sul tavolo. Oreste era lì accanto. All'improvviso gli abbracciò le ginocchia.

Pia                                   - Basta! - (Si getta con la bocca sulla bocca di Mario. Stavolta Mario non le resiste. I due re­stano avvinti. E piano piano Pia si lascia andare sul divano, attirando Mario su di sé).

Mario                               - (appena può parlare) Così... Così...

Pia                                   - (tra un bacio e l'altro) Come hai fatto a sapere ogni cosa?

Mario                               - Ne parliamo domani.

Pia                                   - No, ora. Meo non ha nemmeno cercato di negare?

Mario                               - Sì, certo.

Pia                                   - Non si è proclamato innocente?

Mario                               - Certo, tutto il fango su Oreste!

Pia                                   - Ha detto di aver resistito?

Mario                               - Sì, finché Oreste...

Pia                                   - Finché Oreste?...

Mario                               - ...non gli offrì dei quattrini!

Pia                                   - Orribile... orribile! (Si scioglie da Mario).

Mario                               - E adesso che ti prende?

Pia                                   - (alzandosi in piedi) Andiamo.

Mario                               - (indicando verso la stanza da letto) Di là?

Pia                                   - (indicando invece verso la cucina) No. Di là.

Mario                               - La tua vendetta, eh? La legge del ta­glione? (Ghigna) Glielo avevo detto, io, ad Oreste, che tu eri capace di tutto!

Pia                                   - (già si stava avviando. Ma, colpita da questa frase, s'arresta) Che gli avevi detto? Quando?

Mario                               - Ormai non ha importanza.

Pia                                   - Ne ha moltissima.

Mario                               - Se proprio ci tieni... il giorno prima...

Pia                                   - Del suicidio?

Mario                               - No. Dell'improvvisata in camera.

Pia                                   - C'era il tuo zampino?

Mario                               - Era così ingenuo, tuo figlio, che a non aprirgli un poco gli occhi non avrebbe mai visto nulla!

Pia                                   - E tu... vigliacco? Che sei andato a rac­contargli?

Mario                               - Non molto, in verità!

Pia                                   - Ma più che a sufficienza! Tua madre è capace di tutto!

Mario                               - No!

Pia                                   - Se ti è appena sfuggito di bocca!

Mario                               - Capace di tutto... per proteggerti.

Pia                                   - Questo lo aggiungi adesso.

Mario                               - Te lo giuro. Dissi proprio così. Per pro­teggerti. Dalla realtà.

Pia                                   - E non gli consigliasti di venire a racco­gliere le prime briciole di realtà... in camera da letto?

Mario                               - Come puoi pensare una cosa del genere?

Pia                                   - Con te c'è da pensare a qualsiasi cosa.

Mario                               - Ero stufo del tuo esitare! Gli parlo oggi. No, oggi no. Domani. O domani l'altro. Alla fine gli ho parlato io! Ma ti assicuro, nei termini più cauti possibili!

Pia                                   - Come quelli che poco fa stavi usando con me?

Mario                               - Che c'entra? Con lui non cercavo mica... (Ride stridulo) Volevo solo insegnargli a non contar più su noi come satelliti.

Pia                                   - Di nuovo quella teoria?

Mario                               - E' valida, validissima.

Pia                                   - Ma allora... il giovane Meo?

Mario                               - Un Tolomeo non esclude l'altro.

Pia                                   - Sembrava di sì, appena cinque minuti fa.

Mario                               - Sospetti ch'io t'abbia mentito? (Pia lo scruta torva e angosciata. Allora, cercando un tono conciliante) Pia, Pia, non tormentarti. Quello che è stato è stato. Ora siamo soli. Tu hai bisogno di me. E io di te, sai?

Pia                                   - So. E anche questo m'insospettisce.

Mario                               - (in collera) Tutto t'insospettisce, per dio!

Pia                                   - (con molta calma) E' che agisci in modo diverso ogni volta che io sembro agire in modo diverso. In una sola cosa sei coerente: nel cer­care di farmi restare sempre in posizione di svan­taggio. Prima, lottando per costringermi a soc­combere al fantasma della libreria. Poi, sotto­lineando che nemmeno nel caso di un Tolomeo in carne ed ossa potevo in coscienza sentirmi innocente... E ora, io dico: d'accordo, tutte le colpe sono mie, tutti i rimorsi. Tu sei libero. Libero come l'aria. Hai contribuito per tre anni all'inganno di Oreste? Ero io a costringerti! Dopo tre anni, ti sei deciso ad aprirgli gli occhi? Do­vevi, dovevi farlo, dato che io non mi decidevo! Libero, dunque. Dovresti fuggire, lontano da me, che sono marcia fino alle midolla e potrei con­tagiarti, corromperti, guastare la tua bella inno­cenza. Invece no. Resti. Mi vuoi. Mi pretendi an­cora ad ogni costo. Perché, Mario? (Una lunghis­sima pausa).

Mario                               - (beve, nervoso. Esita. Infine) Sei in fondo all'abisso, Pia. Non credi più alla carità umana.

Pia                                   - Non alla tua, te l'ho già detto.

Mario                               - All'amore?

Pia                                   - Non farmi ridere.

Mario                               - Allora non ho più argomenti. Di' tu. Fa' tu.

Pia                                   - Eh, no, sarebbe troppo facile. Ti ripeto soltanto la domanda. Perché, Mario? E al mas­simo aggiungo: dove, quando, a che punto hai mentito?

Mario                               - Ah, capisco. Desideri ch'io ti dica: non è vero... non è vero che Oreste e Meo... me lo sono inventato di sana pianta... Ma no. Se questo ti aspetti...

Pia                                   - Questo... o altro. Su, parla!

Mario                               - Ma che vuoi che dica?

Pia                                   - Ricominci? Non vedi che ti tengo di nuovo, ben saldo? Solo che stavolta non è la libreria che devi aprire. Ma te stesso, Mario. Almeno uno spiraglio.

Mario                               - Uno spiraglio c'è. Del resto ci hai già cacciato le mani. Quando parlai ad Oreste e gli dissi di noi, si rifiutò di credermi. Gli spiegai che ci amavamo molto, che doveva aprire gli occhi. Niente. Da ultimo non potei più fare a meno... (Esita).

Pia                                   - Di cosa?

Mario                               - ... di suggerirgli...

Pia                                   - Carità umana, eh, Mario?

Mario                               - Non c'era altro mezzo. Oreste era peg­gio di San Tommaso. Doveva toccare con mano per accettare le cose che andavano contro il suo ordine.

Pia                                   - Contro qualunque ordine.

Mario                               - Anche tu, a carità!... Non sai che an­goscia, quel giorno, sapendo che ad ogni mo­mento Oreste poteva sopraggiungere... e non giun­geva mai!

Pia                                   - Contro qualunque ordine. Tranne il tuo.

Mario                               - Insinui che il mio sia contro natura?

Pia                                   - No, è secondo natura. Secondo la natura delle bestie. E come una bestia facevi l'amore quel giorno.

Mario                               - Per non sentire la porta. Mi stordivo. Per non pensare a lui che forse era già sulla soglia, con gli occhi sbarrati, a bersi l'orrore del­lo spettacolo!

Pia                                   - (gridando) Ma che t'aveva fatto, mio figlio, perché l'odiassi tanto?

Mario                               - Chi ti dice che l'odiassi? (Allo sguardo spaventato che all'improvviso Pia gli lancia) Ah, no! Non quello che pensi! Non si chiama Tolo­meo, il sottoscritto! (Ride stridulo) Non l'odiavo. Ma nemmeno l'amavo. Stava fra noi come una pietruzza in un ingranaggio. Chi odia o ama una pietruzza? Se è necessario, si toglie, e via!

Pia                                   - Ma Oreste era un essere umano, vivo!

Mario                               - No. Tu lo avevi già ucciso. O almeno, l'avevi già reso incapace di vivere. Io ho soltanto fatto precipitare la situazione. E sai per quale motivo? Per salvare te! Ti eri sempre rifiutata di tagliare il cordone ombelicale che ti univa a tuo figlio. I succhi della sua corruzione stavano già risalendo dal suo ventre al tuo. Io ho preso il rasoio e ho interrotto il contatto. Ma lui era già condannato. Altrimenti sarebbe sopravvissuto... co­me sopravvivi tu, Pia!

Pia                                   - E' sopravvivere, questo?

Mario                               - Sì, accanto a me. A me devi appoggiarti, d'ora in poi. Con me solo puoi risalire l'abisso. Senza più paura di ombre e fantasmi.

Pia                                   - Continui a volermi?

Mario                               - Sì. Sempre.

Pia                                   - (drizzandosi su se stessa) Allora non hai ancora vuotato il sacco!

Mario                               - (dopo un attimo di sorpresa) Sei insa­ziabile. Ma mi dispiace. Pia. Non ho altri spiragli da aprirti.

Pia                                   - Spiragli che sono falle. Il primo già quasi affondava la tua nave.

Mario                               - Non è nave che affonda, la mia. Puoi salire tranquillamente a bordo.

Pia                                   - E se salgo con una miccia accesa?

Mario                               - Accetto il rischio.

Pia                                   - La tua sicurezza è menzogna. (Senza for­zare la voce) Che c'era, tra Oreste e te?

Mario                               - (disorientato) Ma... nulla, ti ho detto.

Pia                                   - (più forte) Che c'era, tra voi?

Mario                               - Che avrebbe dovuto esserci?

Pia                                   - Sei tu che me lo devi spiegare.

Mario                               - Io?!

Pia                                   - Tu. Eri il suo amante?

Mario                               - Non ti ho dato abbastanza prove?...

Pia                                   - Eri il suo amante?

Mario                               - Dopo tutte le volte che...!

Pia                                   - Eri il suo amante?

Mario                               - No. (Una lunga pausa segue il concitato crescendo).

Pia                                   - Un'altra falla, Mario. Un'altra menzogna.

Mario                               - Te lo giuro. (Giù un buon sorso di whisky).

Pia                                   - Inutile giurare.

Mario                               - Come puoi attribuirmi certi istinti? Pro­prio tu, Pia!

Pia                                   - Non te li ho mai attribuiti.

Mario                               - E la menzogna di cui mi accusi?

Pia                                   - Non è su questo che hai mentito.

Mario                               - Perché allora chiedermi se tra me e Oreste...?

Pia                                   - Perché non i tuoi istinti sono anormali, ma la tua mentalità!

Mario                               - La tua invece è normalissima, eh?

Pia                                   - Di te, non di me, stiamo parlando in que­sto momento. Di te, capace di andar contro i tuoi stessi istinti pur di soddisfare il tuo mostruoso egoismo.

Mario                               - Non vuoi dire egocentrismo?

Pia                                   - In te le due cose coincidono. Il tuo ego­centrismo è cattivo, gretto, meschino.

Mario                               - Mentre quello di Oreste...?

Pia                                   - Una cosa diversa. Generoso, fantasioso, ge­niale.

Mario                               - Ma guarda! Il caro Oreste! Generosi e geniali anche i suoi vizi?

Pia                                   - Sta zitto, Mario! Ormai ti conosco troppo bene!

Mario                               - Perché allora continui a frugarmi dentro?

Pia                                   - Voglio che tu ti conosca quanto ti conosco io! (Va rapida alla finestra, ne solleva la tenda) Vedi? E' ancora buio. Ma ti prometto che prima di giorno ti conoscerai abbastanza per detestarti!

Mario                               - Quanto mi detesti tu?

Pia                                   - Di più! Quanto tu detestavi Oreste!

Mario                               - Ti ostini a ignorare le mezze misure! Ch'io non lo amassi, ripeto, non significa che lo detestassi. Vuoi che giuri anche questo?

Pia                                   - Stavolta giureresti il falso. La disprezza­bile pietruzza nell'ingranaggio era in realtà un macigno sul tuo stomaco. O, se preferisci, un altro sole nel tuo cielo. Lo scontro era inevita­bile. Uno dei due soli doveva divenire pianeta!

Mario                               - Hai imparato la teoria tolemaica!

Pia                                   - Con un professore come te! Senza scru­poli. Tutto avresti fatto pur di sconvolgere il cielo di Oreste. Tutto. Non solo mostrargli come possedevi sua madre. Anche possedere lui, lui stesso!

Mario                               - No! No! Tra me e lui non c'è mai stato nulla!

Pia                                   - Perché Oreste non ha voluto! Come avreb­be potuto accettare proposte contrarie alla na­tura di entrambi?

Mario                               - (disorientato) Di entrambi? A queste conclusioni sei giunta, dopo tanto sospettare?

Pia                                   - Versami ancora whisky. (Mario, macchi­nalmente, le obbedisce) E' chiarissimo. Equivo­candoti sul genere d'amore che mio figlio ti por­tava, sopravvalutasti la tua forza, il tuo potere d'attrazione. Ti vedo, sai, gonfio di sicurezza, ri­peterti: se io, che non sono tale, mi dichiaro disponibile, chi potrà mai resistermi? E vedo an­che Oreste che ascolta le tue proposte dapprima senza capire, poi sempre più stupito, avvilito, addolorato, Oreste che sgranando gli occhi, i suoi grandi occhi pieni di cose, ma non di queste cose, ti risponde: no.

Mario                               - Sei pazza!

Pia                                   - Pazzo fosti tu, allora. Di collera. Di umi­liazione. Per vendetta gli buttasti in faccia tutta la verità sul nostro conto. E ancora Oreste disse: no. Ma tu ormai avevi imparato a maneggiare bene il rasoio. Gli promettesti l'orribile prova. Non fu così, Mario? Eri accecato da quel sole che si rifiutava di girarti attorno. Perciò cercasti di spegnerlo nella più disperata delle eclissi!

Mario                               - (annaspando) Ma perché allora sarei fuggito?

Pia                                   - Sapevi che in ogni caso ti avrei scacciato io.

Mario                               - E perché stasera sarei tornato?

Pia                                   - Spento l'altro sole, restava un pianeta va­gante. Hai atteso apposta un mese per essere più sicuro di poterlo raccogliere.

Mario                               - Un pianeta di nebbie velenose, di sabbie mobili.

Pia                                   - Eppure l'unico che potrebbe ancora darti l'illusione di non essere solo nello spazio. Che si prova, Mario, a vagare nello spazio senza servi né schiavi a tenerci compagnia? In che miseria fu precipitata l'umanità da Galileo? Quanto da­resti per riuscire ancora a credere che Tolomeo avesse ragione? E quanto avrebbe dato il mio Oreste?

Mario                               - Aveva altri Tolomei per consolarsi, lui! Più giovani, più appetitosi, più... tangibili!

Pia                                   - Sei proprio ridotto senza argomenti! Eri molto più pericoloso, una volta. Se Oreste avesse avuto quegli istinti nel sangue, tu lo avresti certo conquistato, aggiogato. Ma non ci sei riu­scito.

Mario                               - Io no... e Meo sì?

Pia                                   - Già, il piccolo Meo in carne ed ossa! Di che hai conversato, di là, con lui, mentre io ero qui, paralizzata dall'assurdo sospetto? Di squadre di calcio? Di nuove automobili? Dell'impianto da rimodernare? Di qualunque cosa, sì, pur d'ingan­nare il tempo e tenermi in sospeso. Ma non di Oreste! Che avrebbe potuto dirti, di Oreste, quel ragazzo che con lui ha avuto a che fare soltanto nelle tue interessate calunnie?

Mario                               - Ah, è questa la menzogna di cui da un pezzo minacci di accusarmi!

Pia                                   - Una menzogna cui ti avrebbe fatto piacere non solo farmi credere, ma credere tu stesso! Soddisfazione da poco sarebbe stata per te! Pro­vare che dopotutto avevi avuto ragione di sospet­tare di Oreste! Ed ecco perché ieri sera, quando io ti chiedevo: chi è Tolomeo? tu tremavi. Per nulla al mondo avresti voluto che io intuissi in te, nella tua soddisfazione, le tue complicità!

Mario                               - Ma se del giovane elettricista non sa­pevamo ancora nemmeno il nome! (Reagendo al­lo sguardo di sufficienza che Pia gl'invio) E' che hai sempre messo in dubbio ogni mio gesto, ogni mia parola! (Tenta una risata ironica) Se adesso per esempio ti dicessi che sbagli?

Pia                                   - Sarebbe sin troppo facile smentirti. Ba­sterebbe telefonare. Richiamare qui il ragazzo. Vuoi che lo faccia? (Intanto la luce elettrica ha preso a vacillare irregolarmente) Vedi? Ne avrem­mo anche un motivo tecnico!

Mario                               - Avresti il coraggio di esporre in pub­blico i tuoi panni sporchi?

Pia                                   - To', guarda chi si preoccupa ora della pub­blica opinione! Ma non è il caso, caro mio. Solo due domandine indirette, poco compromettenti... Comunque, non potrei telefonare prima di mat­tina. E invece ho promesso che già per l'alba ti avrei fornito lo specchio in cui vedere la tua vera immagine...

Mario                               - (tentando d'essere spavaldo) E dove lo tieni, il tuo specchio fatato?

Pia                                   - (indicando la libreria) Là dentro. (La luce vacilla ancora, poi resta anomalamente intensa).

Mario                               - Di nuovo? (Beve) E se in mezzo ai trat­tati di cultura antica trovassimo qualche pubbli­cazione pornografica?

Pia                                   - Sta pur certo di no.

Mario                               - Qualcuno di quegli opuscoli pieni di mostri virili con colli taurini, cosce rigonfie e ben torniti bicipiti... o di pallidi giovinetti ignudi che si tengono per mano, gli occhi negli occhi, e sem­brano struggersi in sospirosi languori?

Pia                                   - No.

Mario                               - Allora cosa?

Pia                                   - Fantasmi.

 

Mario                               - Non ne hai più paura?

Pia                                   - Più si avvicina l'alba e più la mia paura svanisce.

Mario                               - Come mai?

Pia                                   - Ha più paura chi più è in colpa.

Mario                               - E tu non lo sei?

Pia                                   - Ho trovato due spalle da sostituire alle mie.

Mario                               - (battendosi sul dorso) Queste, eh?

Pia                                   - Sei arrivato in tempo ad offrirmele.

Mario                               - Sicché tu...

Pia                                   - Io. (Brinda verso il vuoto).

Mario                               - Innocente!

Pia                                   - Sì, al tuo confronto.

Mario                               - Senza paura?

Pia                                   - Al tuo confronto.

Mario                               - Hai bevuto troppo.

Pia                                   - Non più di te.

Mario                               - (si alza, barcolla) Hai ragione. (Cercando di scherzare) Anche i fantasmi si vedono doppi?

Pia                                   - Te ne accorgerai.

Mario                               - No, un momento. Devo prima far mente locale. Un sorso di più mi schiarirà le idee. (Alza il bicchiere verso la libreria) Alla vostra, fantasmi tolemaici! (Beve con ingordigia. Poi si volge ani­mosamente a Pia) Che ci tieni, là dentro? Il cranio di Oreste? Sei capace di tutto, tu. (Ride) Il cranio di Oreste. Un'idea divertente! Il cranio di Oreste. Per berci dentro, come in quello di Rosmunda. No, del padre di Rosmunda. O della madre?

Pia                                   - Del padre.

Mario                               - Della madre. Sono le madri, le più dolci e terribili. Difendono i figli come tigri. E talvolta, per meglio difenderli, li divorano.

Pia                                   - Insomma? (Guarda l'armadio).

Mario                               - Aprire o non aprire, ecco il problema. Un problema ricorrente. Colpa della tua ostina­zione. Ma io non riesco a concentrarmi. Colpa della luce, che mi acceca. Cos'ha la luce? E' la vendetta del piccolo Meo?

Pia                                   - Io aspetto.

Mario                               - Dovresti averci fatto l'abitudine! Mi hai aspettato sei mesi.

Pia                                   - No, un mese soltanto.

Mario                               - Divertente! Speravi ch'io venissi a cac­ciarmi nel sacco, eh? Ma sai che ti dico? Apro. (Muove verso la libreria) Tanto. Non significa niente. Debbo. Sennò faccio la figura di chi ha paura dei fantasmi. E non te la do, questa sod­disfazione! (E' arrivato proprio di fronte al mo­bile chiuso. Sosta. Alza il bicchiere per un nuovo brindisi) Evviva! Eccomi qua, fantasmi, tutto per voi! (Arriccia il naso. Verso Pia, che lo sta a guardare seduta, immobile) Ma che strano odore! Sanno di morte, i libri di tuo figlio! 0 c'è dav­vero il suo cranio, qua dentro?... Pia, facciamo una scommessa? Se io ti scovo una sola pubblicazione pornografica, qua dentro, magari nasco­sta proprio nel cranio, tu torni a credere a quel che t'ho detto di Oreste e Meo!

Pia                                   - D'accordo, Mario. Scommessa accettata.

Mario                               - Mmm... accettata con troppa facilità! Eppure è vero, dà retta. Oreste e Meo... Te lo giuro, è così... Non può non essere così. Non sei ancora riuscita a farmi dire il contrario... Te lo giuro nel nome di Quetzalcòatl!

Pia                                   - E perché non di Tlahuizcalpantecuhtli?

Mario                               - Ah, mi mandi al diavolo? Allora m'of­fendo davvero. Non apro più!

Pia                                   - Sì, Mario. Perché sono io a proporti una seconda scommessa.

Mario                               - Sentiamo. Io non sono come te. Non accetto scommesse a scatola chiusa. (Tenta anco­ra dì ridere) A libreria chiusa, be', qualche volta... Sfrutta dunque la mia buona disposizione!

Pia                                   - Ammetti che io ti ho tenuto in pugno dal momento in cui ti sei arrischiato a tornare?

Mario                               - No di certo. Troppe volte ti ho vista ai miei piedi.

Pia                                   - Sì, hai saputo approfittare di ogni mia de­bolezza, di ogni circostanza favorevole. Ma alla lunga le tue armi si sono tutte spuntate, una per una. Adesso non ne hai più. Io invece ne ho una ancora, la decisiva. Lì. Ed è la prova del mio tenerti in pugno dall'inizio.

Mario                               - Ma... la scommessa?

Pia                                   - Se ciò che troverai lì dentro non sarà suf­ficiente a farti smettere ogni resistenza, accetterò di dividere con te il resto della vita.

Mario                               - Altrimenti?

Pia                                   - Saprai da solo quel che ti resta da fare. Senza che nessuno te lo imponga.

Mario                               - Sciocco sarebbe respingere tanto gene­rosa proposta! La vittoria ti ammorbidisce, eh, Pia? Ma non hai ancora vinto. Quei fantasmi sono ben chiusi tra le pagine di vecchi libri senza vita. Non ho paura. Davvero. (Ride) Pia, come si chiama il tuo Lucifero?

Pia                                   - Tlahuizcalpantecuhtli.

Mario                               - Bene, bene. (Alza il bicchiere) A te, creatura dalle lunghe corna! (Tracanna d'un fiato il resto del whisky. Poi getta a terra con violenza il bicchiere vuoto, che rumorosamente s'infrange. E già protende le mani verso la libreria, quando salta la luce. Oscurità completa. Mario emette un'esclamazione soffocata. Poi, nel perfetto si­lenzio che segue, s'ode lo scricchiolare delle ante. Qualcuno corre nel buio. Mobili urtati e smossi. Rumore di porta da destra. Mario cerca più vol­te, inutilmente, di far scattare il proprio accen­dino. Febbrilmente) Accidenti! Anche questo! (Una vaga luminosità si manifesta oltre la porta di destra, che ora è aperta. Un passo strascicato: qualcuno avanza lentamente verso il salotto. Ma­rio raddoppia i suoi sforzi con l'accendino, non riuscendo ad ottenerne che qualche scintilla. Quan­do il passo fuori scena è ormai prossimo, la lumi­nosità cessa di colpo. Il passo continua, al buio, entra in salotto, resta poco al di qua della so­glia. Lì si accende e si spegne uno zolfanello, in mano a Pia).

Pia                                   - (dall'oscurità di nuovo completa) C'è una aria diabolica! (S'intuisce che la porta di destra viene da lei rinchiusa alle proprie spalle. Un altro zolfanello, che sopravvive. Pia, continuando col suo passo strascicato, va ad accendere la can­dela, sulla sinistra. La posizione della candela, e delle ante della libreria aperta, è tale che non si riesce a vedere dentro al mobile).

Mario                               - (caccia le mani nella libreria, poi le braccia sino al gomito. Si ritrae spaventato. Guarda Pia. Balbetta) Ma... ma...

Pia                                   - Sì.

Mario                               - Fammi luce.

Pia                                   - Con piacere. (Si sposta in avanti, in modo che la luce della candela penetri a poco a poco nell'interno della libreria).

Mario                               - Ma... è vuota... completamente vuota!

Pia                                   - Di libri, almeno.

Mario                               - Li hai tolti tu!

Pia                                   - No. Oreste. Li portò tutti via. Tornò senza. Regalati o buttati. A fiume, nella spazzatura, chissà.

Mario                               - Quando?

Pia                                   - Pochi giorni prima di uccidersi. (Mario arretra, va ad abbandonarsi su una poltrona, la faccia tra le mani. Pia, impassibile, poggia la can­dela, segue Mario sin dietro la poltrona, attende).

Mario                               - Un altro sorso di whisky.

Pia                                   - Non ce n'è più... Ebbene? Non ti arrendi? Non ti basta la prova? Capisci che significa?

Mario                               - Sì. L'abiura di Oreste da tutti i suoi ideali. La coscienza di essere stato tradito. (Sol­levando un poco il capo) La constatazione che il meraviglioso universo da te creato per lui era falso!

Pia                                   - Ma chi gli strofinò il naso sulla realtà, come si fa coi gattini da ammaestrare?

Mario                               - (riabbassando il capo) Io. Hai calcolato bene. Ora si affollano tutti intorno a me, i fan­tasmi. Sono loro i miei pianeti. Un gelido sistema, il mio! Hai vinto, Pia, hai vinto. Ammetto ogni cosa.

Pia                                   - (con acre gioia) Oreste e Meo?

Mario                               - Menzogna. Non so nemmeno come si chiami, quel ragazzo. L'ho inventato lì per lì, al telefono, per sottrarmi alla tua stretta. La ma­dre aveva già riattaccato, alle mie prime parole.

Pia                                   - Tu e Oreste?

Mario                               - Verità. Te lo volli rubare. Riuscii a sosti­tuirmi a te nella sua confidenza, seguendolo me­glio di te nelle sue elucubrazioni. Poi, estromessa te, cercai di capovolgere i nostri rapporti. Nel modo che tu stessa hai spiegato. Ne fui respinto.

Pia                                   - Allora cercasti la vendetta.

Mario                               - Non fu vendetta, fu legittima difesa. Dovevo sconvolgere il suo sistema per salvare il mio!

Pia                                   - Ma il suo crollo ha provocato il tuo. Scon­fitto una volta Tolomeo, Galileo trionfa su tutta la linea!

Mario                               - Chi pensava a Tolomeo, allora?

Pia                                   - Non conoscevi già te stesso?

Mario                               - Solo ora mi conosco. E' l'alba, no?

Pia                                   - Quasi. Come ti vedi nello specchio, Mario?

Mario                               - Uno sfacelo. Non mi sopporto. Ogni ca­priccio soddisfatto, una ruga. E quale capriccio non sono riuscito a soddisfare, io?

Pia                                   - (inesorabile) L'ultimo. !

Mario                               - Mi sembrava impossibile che qualcuno non s'inchinasse a me, che dovessi io inchinarmi ad altri... Io, io, abituato ad avere il mondo... di fronte a un ragazzetto qualsiasi, un topo di bi­blioteca, dalle idee un po' folli e sconclusionate, amico di strane entità invisibili... (Ha un brivido. Si guarda attorno. Afferrando le mani di Pia) E sono tutte qui, adesso. Oreste mi ha lasciato in eredità le sue erinni.

Pia                                   - (ritraendo le mani, in tono strano) Ma anche il mezzo per liberartene.

Mario                               - Che dovrei fare?

Pia                                   - Io non ti dico nulla. E' nei patti. Posso solo suggerirti di guardar meglio nella libreria. Non è completamente vuota. Qualcosa c'è, lassù, in fondo. Un piccolo regalo postumo di mio figlio.

Mario                               - Per me?

Pia                                   - Per chi più lo merita. Temevo fosse per me, appena qualche ora fa.

Mario                               - Di che si tratta? (Incerto, si alza).

Pia                                   - Non hai che da guardare. (E gli gira le spalle).

Mario                               - (va alla libreria. Vi fruga dentro. Con una esclamazione ne trae qualcosa di abbastanza pic­colo perché resti celato nelle sue mani. Poi, in un soffio) Devo?

Pia                                   - (senza volgersi) Io non ti dico nulla.

Mario                               - (con un moto di collera) Come ti senti sicura, tu! Pura immacolata! Pulite le mani, a forza di lavartele e di asciugarle addosso agli altri!... Mi fai quasi venir voglia di ridere. E chis­sà che non ci riesca ancora, a ridere, prima dell'alba! (Violento) Guardami negli occhi, almeno! (Ma Pia non si volge) No, eh? Nemmeno questo? (Con due balzi guadagna la porta di sinistra). (Una volta rimasta sola, Pia si volge come una fiera. Il suo sguardo è carico d'odio profondo. Va ad origliare alla porta oltre la quale è scom­parso Mario. Sogghigna. Poi va alla libreria. Ne accarezza morbosamente gli scaffali vuoti. La ri­chiude con cura. Si appoggia contro di essa, ten­dendo le braccia come a stringerla tutta. Mentre è in questo atteggiamento, la porta di sinistra si riapre a poco a poco. Prima che Mario appaia sulla soglia, Pia chiede).

Pia                                   - Le hai prese tutte?

Mario                               - (grave) Sì. (Si fa avanti dì un passo).

Pia                                   - Davvero? (Siccome la risposta tarda, scru­ta finalmente Mario negli occhi. Al che Mario, inaspettatamente, scoppia in un riso che lo ob­bliga a piegarsi in due. Gli occhi di Pia fiammeg­giano di collera) Bugiardo! (Mario le getta addos­so quel che aveva in mano: un tubetto di son­nifero. Pia avidamente lo esamina) Vuoto. Ma le hai prese davvero?

Mario                               - E come, no? Chi sono io per sottrarmi ai desideri di sua maestà? Suicidio, dice lei. E suicidio dev'essere! Del resto, che vale la vita di un povero suddito che non è più né sole né pianeta, né pianeta né satellite?

Pia                                   - Non scherzare, Mario!

Mario                               - Ma se non scherzo adesso, quando più mi sarà possibile? E' la mia ultima alba. (Cari­caturalmente, mezzo cantando) L'ora è fuggita... io muoio disperato... Ti piace la Tosca?

Pia                                   - (gli si scaglia addosso, gli picchia i pugni sul petto. Confusa ed esasperata) Non le hai prese, non le hai prese!

Mario                               - Va di là a vedere se ne trovi una, una sola!

Pia                                   - Le hai buttate via.

Mario                               - Ah sì?... Be', basta attendere un poco. Se mi addormento, le ho prese. Se no, no. Ma potrei anche finger di dormire... Non è la Tosca, è la Bohème! (Ride di nuovo).

Pia                                   - Ma di che ridi?

Mario                               - Della faccia che farai quando ti dirò... Ma se non te lo dicessi? Se decidessi di portare il segreto con me nella tomba?

Pia                                   - Che hai da dirmi? Prima che sia tardi...

Mario                               - Allora le ho prese, secondo te? Non ne sembravi convinta.

Pia                                   - Non lo sono.

Mario                               - Tanto peggio. Tanto meglio. (Prende a spostare i mobili che ingombrano la stanza, iso­lando dagli altri, bene al centro, una delle pol­trone).

Pia                                   - Ma che fai? Mario, che fai?

Mario                               - Mi preparo una nicchia per morire co­modamente. (Si sistema) Ah, mi sento un pascià! (A Pia, che gli è rimasta alle spalle) Pia, dove sei? Non vorrai privarmi proprio ora della tua grade­vole vista?

Pia                                   - (avanzando) Che hai da dirmi?

Mario                               - Sss... Vorrei cercare di ricordare come eri prima, quando mi volevi bene ed eri gentile con me... (Una smorfia) Bah! Non ci riesco. Sei troppo cambiata. Uno sfacelo anche tu. Anche tu piena di rughe. (Pia si porta istintivamente una mano alla faccia) No. Dentro.

Pia                                   - Qual è il tuo gioco, Mario?

Mario                               - Lo dici come se non avessi diritto a giocare un poco anch'io, dopo che hai giocato tu con me la notte intera.

Pia                                   - Allora stai giocando!

Mario                               - Sì. No. Chi vivrà vedrà. Ah, ma come mi sento bene! (Si allunga sulla poltrona, chiude gli occhi).

Pia                                   - (allarmata) Mario!

Mario                               - (apre un occhio, poi l'altro. Ghigna) Ti preoccupi per me? Che gentile! Ed io ti tengo in dubbio! Proprio non ti merito! Lo dissi anche ad Oreste, sai, che non ti meritavo!

Pia                                   - (con un ruggito) Quando?

Mario                               - Quando venne in cerca di me, il giorno prima...

Pia                                   - Dell'improvvisata?

Mario                               - Del suicidio.

Pia                                   - Ti rivelò le sue intenzioni?

Mario                               - Mi annunciò soltanto che sarebbe par­tito per un viaggio in Messico. E mi pregò di rifarmi vivo con te, che saresti rimasta sola.

Pia                                   - (colpita) Non è vero!

Mario                               - (condiscendente) Come preferisci. Non è vero. Del resto, la mia storia ha una falla... quel tubetto di sonnifero! Se fosse stato così pieno di buone intenzioni, Oreste, perché avrebbe lasciato in libreria una condanna a morte per te o per me?

Pia                                   - (torcendosi le mani) Povero Oreste!

Mario                               - Così buono! Così altruista!

Pia                                   - Ah, non sai quanto ti odio!

Mario                               - Non direi che tu me ne faccia mistero. Ma ormai vedo dentro di te anche quel che pre­feriresti tenermi nascosto. Dev'essere l'imminenza della fine. (Ride. Poi, serio) Pia, una volta tanto ti sei tradita tu. Le pillole. Non è stato Oreste a metterle là dentro.

Pia                                   - Allora perché le hai prese... se le hai prese? Per darmi soddisfazione?

Mario                               - Perché forse ti ho amata davvero, Pia. Tornando da te, speravo di trovare comprensione e perdono. Insieme, avremmo potuto rifarci una vita, aiutandoci a vicenda invece di metterci a far la conta delle responsabilità tue e mie, mie e tue... Ma non ho più trovato te, ho trovato un mostro. E anch'io sono ridivenuto il mostro che ero stato... (Si deterge il sudore dalla fronte) Dio, che notte! Ma non è ancora l'alba, Pia?

Pia                                   - (va alla finestra, solleva la tenda. Penetra nella stanza un vago chiarore) Sì. La notte è finita. E anche la tua farsa. Alzati, Mario.

Mario                               - Ancora un momento. Lascia la tenda abbassata. Ho una cosa da aggiungere. (Pia torna di fronte a lui, con un fare di divertita soppor­tazione) Un consiglio. Vivere secondo Tolomeo non paga.

Pia                                   - E a me lo dici?

 

Mario                               - A te, sì.

Pia                                   - Ci vuole una bella faccia tosta.

Mario                               - Pia, Pia! Anche tu ti senti il centro di tutto. Come Oreste. Come me. E nessuno di noi è il centro di nulla.

Pia                                   - Parla per te stesso, Mario!

Mario                               - Lo so che ora ti sembra d'aver vinto. Anch'io credetti d'aver vinto Oreste. Ma il suo crollo ha provocato il mio. Il mio provocherà il tuo, inevitabilmente!

Pia                                   - Questa predica sarebbe bellissima, da ver­sarci sopra calde lacrime di commozione, se solo potessi credere un attimo alla tua sincerità!

Mario                               - Già già, non hai tutti i torti. Ma ti prego. Fa uno sforzo. Fa almeno finta di creder­mi cinque minuti. (Sorride) Io muoio, metti. Tu come rimani? Con che animo? Con che bocca? Perciò, finché sei ancora in tempo, compi un ge­sto di carità. Lascia che io muoia in bellezza.

Pia                                   - Il tuo ultimo desiderio?

Mario                               - Proprio così. Ed è un desiderio di vec­chia data. Vederti girare intorno a me, dolce pal­lida luna compassionevole... (Ride) Prendi la can­dela, prima che il chiarore del giorno filtri at­traverso la tenda. Gira, gira, Pia. Io chiudo gli occhi. Qui, bene al centro, dove si sta immobili, saldi, sicuri... (E chiude gli occhi, soddisfatto).

Pia                                   - (con sommo disprezzo) Sei ubriaco, Mario. Ma puoi anche finirla di dire sciocchezze... Tanto non abbocco. Che cosa ridicola! Dove le vai a prendere, certe idee? Sì, da Oreste. Non potrai mai sottrarti alla sua influenza. Hai davvero ere­ditato le sue erinni. (Breve pausa) Ed ora vat­tene, Mario. (Nessuna risposta) Mario. (Ride) Vuoi proprio che ti canti la Tosca? Mario. Mario. (Im­provvisamente preoccupata) Mario... (Lo scuote. Nessuna reazione. Lo scuote ancora) Mario. Ma­rio! Mario! Mario! (Lo scrolla disperatamente. La testa di Mario si abbandona in avanti. Le mani fra i capelli, agghiacciata. Pia cade in ginocchio. Lentamente, come spinte dall'interno, le ante del­la libreria si spalancano scricchiolando sul vuoto degli scaffali. Con grande sforzo, rabbrividendo, Pia si risolleva. Lacrime senza singhiozzi le scor­rono per le gote. Va a prendere la candela, che amorevolmente protegge dalle correnti d'aria. Reg­gendola, con passo ieratico, fa un giro intorno alla poltrona su cui Mario giace inerte. Pur con­tinuando a piangere, sorride. Sosta un attimo. Guarda Mario. Infine riprende la sua rotazione. Gira, gira gira. Gira ancora quando cala il sipario).

FINE