IL TELEGRAMMA
Monologo
di ALDO NICOLAJ
PERSONAGGI
LAURA
Commedia formattata da
LAURA
Modestissima camera d'affitto. Laura, bella donna sui 30-35 anni, davanti a un tavolo, su cui è posata una valigia. Accanto, l'armadio aperto e semivuoto. Laura è nervosa e controlla continuamente la sveglia, posata sul comodino.
Le quattro meno venti. Oramai posso stare tranquilla. Se dovevano mandarmi un telegramma, non avrebbero aspettato l'ultimo minuto. Non per essere ottimista, ma se non è arrivato, i miei guai sono finiti. Ho avuto pazienza e sono stata premiata. Del resto, perché non dovrei avere un po' di fortuna? Ce l'hanno tante che non sanno stare in scena, non hanno dizione, né figura… Io, per lo meno sono un'attrice. Un'attrice seria e preparata. E, poi, ho un fisico, che, su di un palcoscenico fa la sua figura… Eppure… tredici mesi senza una scrittura. Tredici mesi senza lavoro. Come abbia fatto, non lo so. Tutto ho impegnato, tutto. Dalla pelliccia al portacipria. Persino la statuina d'oro che ho vinto l'anno scorso come miglior attrice protagonista. Consegnatami dal sindaco in persona, nel corso di una serata mondana, dove c'era il fior fiore dell'aristocrazia, della cultura e dell'arte, con visoni e smeraldi che si sprecavano. Per quella statuina il Monte di Pietà mi ha dato una miseria. Altro che oro massiccio. Va bene, siamo artisti, non siamo venali, ma c'era proprio bisogno di armare una serata mondana con principesse e industriali in abito da sera, per regalare a un'attrice una statuina che non vale niente? C'è stata la soddisfazione morale, questo sì. Gli applausi, le foto sui rotocalchi, le facce verdi delle «care» colleghe… Ma se, almeno, dopo il premio non mi avessero messa in disparte… 13 mesi a stringere la cinghia. 13 mesi. L'invidia. Da noi, purtroppo, è così. Appena si rendono conto che una vale, la mettono in disparte. Un paese che fa schifo, il nostro. Come abbia tirato avanti, non lo so. Vado avanti a panini. Ho una linea… Sfido. Se non mi salvassi coi cocktails, sarei in sanatorio. Mio marito, poverino mi ha aiutato finché ha potuto. Poi, povero Emilio, con quell'infarto che gli è venuto, ha dovuto ritirarsi dai suoi, in campagna. Almeno là… mangia. Mentre io… 13 mesi, senza una scrittura. In televisione, per esempio, lavorano cani e porci. Io no. «A lei non possiamo offrire un ruolo qualsiasi, per lei ci vuole una parte». Giusto. Ma se questa parte non viene, non lasciatemi morire di fare. Telefonavo. Facevano rispondere che erano fuori stanza, in riunione, in ferie… Perché in televisione hanno la virtù di farsi sempre negare. Teatro, poi, non ne parliamo. Da noi tutti circoli chiusi. O fai parte di un giro o fai la fame. Basta vedere chi hanno scritturato quest'anno le compagnie importanti. Cagne. Cagne spaventose. Ma una va a letto col regista, l'altra col direttore, l'altra, lo sappiamo tutti con chi va a letto e chi è che la impone sempre… Una sporcizia, una immoralità… Ecco perché una professionista, seria come me, resta tagliata fuori. Mia cognata fa presto a risolvere «Lascia perdere!» Perché dovrei lasciar perdere? So recitare, ho un fisico importante, non sono stupida, ho una certa cultura, il pubblico mi ama… In un altro paese, a quest'ora avrei già un nome grosso così! In Inghilterra mi avrebbero già fatto fare Giulietta. E che Giulietta avrei fatto. «Romeo, dolce Romeo, è l'usignolo e non l'allodola che canta alla notte…». Tutta interiore, l'avrei fatta, vibrata come una corda di violino che sta per spezzarsi… Io studio Shakespeare aspettando l'occasione buona… Invece, nemmeno una generica in cinema. «Hai il fisico troppo importante» dicono i registi. E io crepo di fame. Neanche il doppiaggio faccio. Se mi chiamano è per fare il bisbiglio. Che schifo! Che paese il nostro! Chi ha del valore, qui, deve soccombere. Emilio, poverino, continua a dirmi che bisogna avere pazienza, che la gloria bisogna aspettarla, sapersela guadagnare… Già, ma intanto gli anni passano e delle cretine che erano all'accademia con me, perché sono andate a letto con tutti, si sono imposte… hanno sfondato… come quella mia cara collega che, brutta com'era, non potendo aver successo altrimenti, s'è messa nel giro degli omosessuali. Siccome come donna è un mostro l'hanno portata in palmo di mano. L'hanno imposta. Così lei, ha sfondato e io no. Lei ha un nome grosso così, una compagnia sua o quasi, mentre io che ho recitato con lei, non so quante volte, mangiandomela ogni sera, mi devo sentir dire, con un'aria di sufficienza, che tira gli schiaffi: «Tu che progetti hai? Dammi le tue disponibilità, perché in compagnia ho ancora qualche ruolo secondario scoperto…». Schifosa! Ma se non sa nemmeno parlare. «Scoperto», dice. Tutte le e chiuse per lei sono aperte e tutte quelle aperte, per lei, sono chiuse. E io ero ridotta al punto di farmi scritturare da quella schifosa, tant'è vero che oggi le avrei telefonato… (ride) Però, come nella vita tutto è affidato al caso. (guarda l'ora) Le quattro meno dieci. Posso ormai dire che ce l'ho fatta. Se ieri sera non fossi entrata in quel bar del centro per un cappuccino, Giacomo non lo avrei incontrato… Non pensavo nemmeno che, rivedendomi, ora che è diventato un produttore importante, mi avrebbe riconosciuta. Invece mi ha buttato le braccia al collo, tanto che, per la sorpresa, mi sono rovesciata il cappuccino sull'unico tailleur decente che mi è rimasto… Poi, mi fa «Ma sai che è proprio di un tipo come te che ho bisogno? Com'è che non ci ho pensato? Sei quella che cerco!». E mi spiega che sta per iniziare in Francia un film in coproduzione, ma non ha ancora trovato la coprotagonista, una parte coi fiocchi e con i controfiocchi, che sembra fatta per me… Se sono libera e non ho impegni, si può dire che la cosa è fatta. Lui parte per Parigi, parla subito col regista, gli fa vedere le fotografie, che siamo venuti a prendere a casa e, se entro le quattro di oggi, non ricevo un telegramma di contrordine, vado nel suo ufficio di produzione e lì trovo un anticipo e il biglietto per l'aereo delle 23 per Parigi. Il contratto lo firmo là, abbiamo già stabilito la cifra… (guarda l'orologio) Mancano cinque minuti… È fatta! Era logico che dovessi sfondare anch'io. È da cretino dire come mia cognata che è meglio che smetta di recitare. Ora sono sulla cresta dell'onda. Voglio prendermene di soddisfazioni, ora. Prima di tutto, il nome alto così sui titoli di testa, staccato dagli altri, enorme, su schermo panoramico «e con la partecipazione straordinaria di Laura Rossi», in modo da far prendere un colpo alle «care» colleghe. E, poi, verrà il resto. Quando lo saprà mio marito, povero Emilio, chissà che felicità, lui che ha sempre creduto in me e non ha mai dubitato della mia arte. Anche adesso, nonostante le sue condizioni di salute e finanziarie, ha sempre cercato di aiutarmi. E con tanti sacrifici, povera gioia. Ma ormai, caro Emilio, la tua mogliettina ce l'ha fatta. Può cantare vittoria. Ci voleva! Proprio ci voleva! (pazza di gioia, gira per la stanza cantando) «j'ai deux amours, mon pays et Paris, Paris toujours est mon rêve joli…». Macché «mon pays» il mio amore è Parigi. «Paris tout entier…». E la Senna. Che io cretina non ho mai vista. «Et le Seine roule, roule, roule, le jour et la nuit…». Ma certo, solo un paese civile come la Francia può apprezzare un'attrice completa come me. In Francia c'è sensibilità, cultura e soprattutto, nel nostro campo, serietà. (guarda l'orologio) Meno cinque… quattro… tre… due… è fatta! Laura Rossi fa la valigia. Laura Rossi parte per Parigi. Laura dà la scalata allo schermo. (tira fuori la roba dall'armadio e riempie la valigia cantando un motivo francese) In quel posto glielo metto alle mie care colleghe. Perché se io… (suonano alla porta. S'interrompe sorpresa. Dopo un'esitazione va ad aprire la porta) Un telegramma? Sicuro, giovanotto che sia per me?… Sì, l'attrice Laura Rossi sono io. (chiude la porta avvilita e viene avanti col telegramma in mano. È distrutta) E il telegramma, me lo fanno arrivare alle quattro e cinque. Quando oramai sono contenta, col cuore in pace. (accartoccia il telegramma e lo butta nella valigia senza nemmeno aprirlo) Non è possibile comportarsi così; non è possibile. Allora non capiscono niente nemmeno loro, allora la Francia è un paese schifoso, marcio e corrotto, peggio del nostro, perché da noi almeno, l'arte, quella vera, la sanno ancora apprezzare. E io che mi illudevo… Ma, del resto, tutti lo sanno quello che succede in Francia… (ha un singhiozzo) E chissà cosa hanno il coraggio di dirmi. Che il regista non è d'accordo… avrà trovato una che è andata a letto con lui… e che non saprà recitare. Se non sa parlare, la doppiano. Questo è il cinema. La settima arte. Chiamala arte. Uno schifo. Avevo ragione io, che non ho mai voluto saperne, di cinema. Una donna come me, una professionista seria, che passa le giornate a studiare Shakespeare… poi il regista le preferisce la puttana trovata per strada. E a me manda un telegramma, all'ultimo momento, disdicendo l'impegno e buonanotte. Così io ci ho anche rimesso il tailleur Chanel. Che ingiustizia. Dopo che avevo accettato con tanta modestia, senza domandare nulla, accontentandomi di quel poco che mi davano… Oltre tutto avrei anche potuto mandare al diavolo altri impegni. Perché ne avrei potuti avere, loro cosa ne sanno? Quel Giacomo poi che uomo è? Se lui è il produttore, deve insistere, se crede in un'attrice la deve imporre… Ma già quel Giacomo m'ha sempre dato l'impressione che fosse dell'altra parrocchia. Va bene che, ormai, lo sono tutto… Magari è l'amico del regista, perciò… Che corruzione, che schifo, che lerciume! Per fortuna non ho fatto sapere nulla a Emilio. Chissà come ne avrebbe sofferto. Perché lui è un uomo così sensibile, così intelligente… ha sempre creduto in me, cercando di darmi fiducia… convinto che la mia arte… Ma che arte e arte! Non c'è nulla di serio nel nostro mestiere. L'arte non esiste. Esistono solo gli affetti. Solo gli affetti contano su questo mondo. L'amore, la tenerezza, le creature che si capiscono e che si vogliono bene… Se vicino a me ci fosse Emilio, il colpo che ho ricevuto non sarebbe così forte… (si ricompone, cerca di prenderla con filosofia) Allora niente Parigi… niente partecipazione straordinaria… Ha ragione mia cognata, che è una donna di buonsenso. Devo smetterla di recitare. Smetterla una volta per tutte. Farò la donna di casa, ecco quello che farò. Intanto… via questa valigia. (rimuovendo la valigia, cade il telegramma che era dentro. Lo raccoglie) Chissà cosa diavolo hanno il coraggio di dirmi… Almeno la soddisfazione di leggere… (siede, apre il telegramma e caccia un urlo) No!?! È morto Emilio. Un altro infarto. E me lo mandano a dire così… Potevano telefonare, almeno… Già, il telefono me lo hanno staccato… Povero Emilio. (dal dolore sincero passa subito alla riflessione) Allora, per quanto riguarda il film nessun contrordine… Posso partire. Anzi, devo. A mezzanotte devo essere a Parigi. Si vede che il regista, appena ha visto la mia fotografia… (riguarda il telegramma) Povero Emilio! Meno male, non ha sofferto: morto sul colpo. Per i funerali, come faccio? Non posso rinunciare a una scrittura… Nel nostro mestiere, purtroppo, bisogna passare sopra ai sentimenti. Quando si è al servizio dell'arte… Una vera attrice deve soffocare il proprio dolore. Non può avere una vita privata… A Parigi mi aspettano. Aspettano me. Mi metterò in nero, che, oltretutto mi dona. Se all'aeroporto ci saranno fotografi, dirò quello che è successo… spiegherò che ho dovuto partire ugualmente perché era il mio dovere… La paura che mi ha fatto prendere questo telegramma… Scusami Emilio, ma devo dire così. È anche per te che lo faccio. Tu hai sempre creduto nel mio talento, devi essere contento se io… Un bello spavento, Emilio… Ma, adesso, è passato. Si parte. Parigi… Parigi… Parigi…
FINE