Il terrore di Roma

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IL TERRORE DI ROMA

Commedia in un atto

di Giuseppe MAROTTA e Belisario RANDONE

PERSONAGGI

Edvige

Pia Natali

Lorenzo

Romolo

Un agente

I vicini

Una bambina.

Commedia formattata da

È la controra: il sole non dà requie, nelle strade attorno a Piazza Vittorio le pietre scottano. Le vele di plastica dei bar, pendono sporche e imbrogliate, le piante assetate, grigie di polvere, languono. L'ar­sura di luglio incombe. Anche Edvige Zevi brucia come quelle piante, ma combatte il caldo vestendosi poco: indossa infatti una vestaglietta esigua. Nella sua casa al mezzanino - ingresso e sala (che vedia­mo), cucina e camera da letto - oltre la porta che dà sul ballatoio- (il soggiorno comune ai coinquilini) tutto è discreto, segreto.

 (Quando si alza il sipario, Edvige è al telefono, con un'espressione radiosa sul volto, come se ascol­tasse una musica per lei stupenda. Accenna anzi qualche passo di ballo. Dai riflessi accecanti della strada si inerpica la frase sgangherata di un organet­to e, fra un refrain e l'altro, nelle brevi zone di si­lenzio, la cicala romana assorda. Edvige riattacca il ricevitore. Non ha detto una parola, ma appare sod­disfatta, felice. Si avvicina al tavolo, dove accura­tamente scrive qualcosa in un quaderno, dopo aver guardato l'ora. Poi, macchinalmente ma con ammi­revole abilità, riprende il suo lavoro, che è quello di sistemare delicatamente, con grazia, in una schiac­ciata valigia, aperta sul tavolo, vaghi indumenti fem­minili: mutandine di pizzo, reggiseni, combinazioni in genere di vario gusto e colore. Quasi subito però torna ai suoi pensieri e, consultato nuovamente il quaderno, va ancora al telefono, riflette, forma un numero e finalmente parla, contraffacendo la voce però, poiché serra il naso fra due dita)

Edvige                          - La signora Eugenia? La signora Eugenia Dolci? In persona? Io sono... come dirle, signora?... miconsideri più che una sorella... Si... Ho taciuto per mesi, mi sente?... non volevo che lei soffrisse... Ma ora basta. La neutralità di un'amica è quasi una complicità. In che senso? Attenzione, attenzione, si­gnora Eugenia. (Pausa. Studiando l'effetto) Suo ma­rito la tradisce. Il suo Guido, sì. Come? Chi è la persona? Abbia pazienza... un po' per volta... Ecco... si tratta di una collega d'ufficio... ventenne. Eh si, carina... forse non quanto lei!... ma che non ha da cucinare, da lavare e da accudire a un figlio... già, già, Clelia non permette che i suoi migliori anni le sfuggano come la sabbia fra le dita... Sabbia, ho det­to... Glielo ripeto, mi consideri più che una sorella... Il suo Guido, già... Cara... cara... si calmi... Che fare? Non c'è che una cosa da fare... Si difenda, perbacco! È cosi semplice! Esiga da Guido il rispetto dovuto non soltanto alla moglie fedele, ma alla donna che vede sfiorire nelle rinunzie, nei sacrifici, la propria bellezza... come sabbia fra le dita....

(E qui, delicatamente, senza aggiungere altro, Ed­vige riattacca il telefono. Un largo sorriso la illumi­na tutta. Tornando al tavolo, si ferma davanti allo specchio e, guardandosi intensamente, dice quasi a se stessa)

Edvige                          - Eccoti servita, madama Eugenia! E ora fatti consolare dalla tua bellezza! Mangia, bevi e dormi, se ci riesci. Domani ti darò una seconda scrollatina... poi, fra te e Guido, sarà l'inferno, ta ta ta, ta ta ta... l'inferno!

(Sul ballatoio esterno appare una signora, bella ed elegante. Si sofferma a guardare i nomi sulle porte e finalmente suona a quella di Edvige. Sem­bra nervosa, si aggiusta meglio i guanti alle dita, batte il piedino. Edvige ha intanto raggiunto la por­ta e, senza aprirla, chiede)

Edvige                          - Chi è?

Pia                                 - Pia Natali... ho da parlarle. (Edvige mettela catena, apre un dito)

Edvige                          - (illuminandosi tutta) Oh, la signorina Pia! Come sta? (E, tolta la catena, apre del tutto, introduce la donna e richiude) Che gentile! È venu­ta fin qui con questo caldo! Per le due vestaglie?

Pia                                 - (si ferma in mezzo alla stanza, non guarda Ed­vige, non le dà la mano) No. Per me.

Edvige                          - (con qualche preoccupazione) Come? Ah si, certo... le vestaglie sono per lei... dunque la signo­rina Pia non può essere qui che per la signorina Pia.

Pia                                 - (torva) E per le altre mie compagne di sven­tura... per le altre sue vittime.

Edvige                          - (accigliandosi) Vittime? Sventure? Ma che dice? Io lavoro per una ditta seria. Vendiamo in contanti e a rate, solo prodotti di prima scelta...

Pia                                 - (cupa) Non mi riferisco alla merce.

Edvige                          - (in tono di sfida) E a che, allora?

Pia                                 - (squadrandola con odio) Carogna.

Edvige                          - (afferrandola per un braccio) Ripeti.

Pia                                 - (liberandosi con uno strattone) Belva. Iena.

Edvige                          - Come ti permetti? Ci conosciamo appena.

Pia                                 - Già. Tu sei, per la clientela, Edvige e basta. Il tuo cognome l'ho dovuto chiedere alla ditta Grog-gi. L'indirizzo me lo sono procurato ai telefoni, tu però sull'elenco non ce l'hai voluto, eh?

Edvige                          - (irrigidendosi) No. E con questo? Devo dar conto a qualcuno, io?

Pia                                 - A me, adesso. (Va e viene per la stanza, an­gosciata, con l'affanno) Erano mesi che mi tormen­tavo, domandandomi: "Chi può aver scritto quell'in­fame biglietto alla moglie dell'ingegnere?" Poi comin­ciarono le telefonate... (S'infuria, fa quasi per gettar­si contro Edvige) ... da questo telefono!

Edvige                          - (sarcastica) Sciocchezze. Mica hanno una faccia, i telefoni.

Pia                                 - (amaramente assorta) E io a chiedermi: "Chi può essere? Io non ho amiche, evito apposta ogni rapporto con la gente, ho rotto anche con i miei, che d'altronde stanno a Firenze."

Edvige                          - (quasi divertita) E allora?

Pia                                 - È allora, a forza di riflettere, ci arrivai. Non c'eri stata che tu, in casa mia.

Edvige                          - Figuriamoci.

Pia                                 - Si. Vivo come una monaca.

Edvige                          - Bella monaca.

Pia                                 - Taci, strega. Io solo per te feci un'eccezio­ne. Eri cosi umile e insinuante! (Rifacendole la voce) "Una sposina come lei... Voglio un suo giudizio, nien-t'altro, su questa parure di mutandine e reggipetto neri..."

Edvige                          - (completando la frase) ... O la gradirebbe di un bel turchese?

Pia                                 - E intanto, con quegli occhi di ladra, di as­sassina, pigliavi nota di tutto.

Edvige                          - (fingendosi al colmo della sopportazione) Be', finiamola. Che prove hai?

Pia                                 - Ti ricordi quel pomeriggio che notasti la mia nuova pelliccetta di agnellino? Stava ancora nella carta del pellicciaio. Tu poi telefonasti alla moglie dell'ingegnere... la sera stessa... dando il nome del negozio e tutto... si o no? E chi l'aveva visto, al di fuori di te, il regalo che Enzo mi aveva mandato po­che ore prima?

Edvige                          - So assai.

Pia                                 - (incalzante) Chi, fin dal principio, riusci a sapere, interrogando abilmente la portinaia, che io non ho marito... che la mia posizione è quella che è?

Edvige                          - (un po' scossa) Uffa.

Pia                                 - (considerandola con odio) Canaglia! E pen­sare che il mio primo impulso, quando ti presenta­sti, era stato quello di non darti retta. Ma pensai:povera creatura... ne sale e ne scende scale, ne con­suma fiato, per guadagnarsi il pane...

Edvige                          - (sferzata da quelle parole) Ehi. Con chi credi di parlare? Tu devi arrossire, quando passo io... anzi quando passano tutti. Io ti compero, signorina... e sai perché? perché a differenza tua, non mi vendo! (Pia s'avventa, ma Edvige la immobilizza afferrando­la per le braccia, con una insospettabile forza) E fos­se tutta qui, la differenza! Si trattasse, mettiamo, sol­tanto di verginità e di onestà che pure, oggi, come oggi, non hanno prezzo. Ma chi eri, tu, prima di sal­tare il fosso? Un'operaia nell'officina dell'ingegnere che poi diventò il tuo ganzo. Io, se ci tieni. a saper­lo, ho una laurea... potrei insegnare in un liceo... la professoressa Edvige Zevi... Ti piace?

Pia                                 - (sorpresa, ma non vinta) Ma preferisci la­vorare come piazzista di biancheria intima, su e giù per Roma... si?

Edvige                          - Si! Mi piace. Vedere gente di ogni spe­cie, discorrere, indovinare...

Pia                                 - (che ormai conosce il punto debole di Edvige) Invidiare...

Edvige                          - (sussultando) Io? E che diavolo potrei invidiare a te, io? Sentiamo.

Pia                                 - (lisciandosi il corpo flessuoso e provocante nel­l'abito leggerissimo) Tutto. Dagli alluci ai capelli, tutto. Ah se ho ricordato, in questi brutti giorni, co­me mi guardavi mentre io mi provavo la parure tur­chese... Era invidia, invidia nera. Siamo donne, ca­rogna mia, ci comprendiamo a volo. Perciò hai volu­to rovinarmi... quella invidia cieca, malvagia, di rac-chia senza amore, non ti dava pace!

Edvige                          - (ferita, gelida) Giuochiamo a carte sco­perte?

Pia                                 - Fa' un po' come ti pare.

Edvige                          - Ne volessi degli uomini! Ho rifiutato cin­que giorni fa la proposta di matrimonio di un av­vocato.

Pia                                 - (squadrandola) Ah! E chi sarebbe stato, di voi due, l'uomo?

Edvige                          - Taci, sgualdrina! Se io non amo è perché non voglio amare. Come può fidarsi, una ragazza per bene, se vede il mondo che vede, pieno di sozzure e di infamie?

Pia                                 - Senti chi parla!

Edvige                          - À la guerre comme à la guerre.

Pia                                 - Cosa?

Edvige                          - Non si può ripulire niente senza imbrat­tarsi un po'.

Pia                                 - Tu vuoi ripulire il mondo? Tu?

Edvige                          - (acre) Incendiarlo, vorrei. Come diceva l'Angiolieri? "Se fossi foco, arderei lo mondo."

Pia                                 - E chi è l'Angiolieri?

Edvige                          - Mio nonno.

Pia                                 - Lo credo.

Edvige                          - (tagliando corto) Basta. Perdo il mio tem­po, con te. Vuoi andartene, per favore? Pensa di me quello che ti pare. Non m'interessa. Vieni qui, non invitata, e mi rivolgi delle accuse, dicendo che hai le prove. Bene. Denunziami alla Polizia, ma levati dai piedi.

Pia                                 - Sai benissimo che non posso denunziarti.

Edvige                          - Perché?

Pia                                 - Per l'ingegnere. Ha avuto già troppi fastidi e io gli voglio più bene di quanto non odii te. Chiaro? Forse una donna come sei tu, che fa venire la cornice di lutto agli specchi, non può valutare queste cose.

Edvige                          - (livida) Allora che sei venuta a fare, qui?

Pia                                 - (lentamente) A dirti che so e a darti un altro coltello in mano, se lo vuoi.

Edvige                          - Coltello?

Pia                                 - Tutto, in mano a te, è un'arma. Ascolta. Io ed Enzo, dopo quello che è successo, non ci vediamo più a casa mia. Ci vediamo all'Albergo Spina.

Edvige                          - (cinica) Buono a sapersi. Grazie.

Pia                                 - Prego. C'è solo questo, bada: che Enzo ti ha salvata oggi, ma Enzo ti perderà domani.

Edvige                          - E cioè?

Pia                                 - (apre la borsetta e mostra un revolver) Se tu ci metti negli impicci all'Albergo Spina, ed Enzo non potendone più mi lascia, io ti ammazzo. Ecco tut­to. E adesso vieni un momento con me davanti allospecchio. (Edvige, intimidita, obbedisce. Le due don­ne sono ritte e ferme davanti allo specchio)

Pia                                 - Guardati. Guarda me, ora, tutta me. (Le cor­regge la posizione del viso, la obbliga a fissare, per qualche attimo, le immagini riflesse) Cosi, brava. E per l'Albergo, agisci subito, mi raccomando. Ci diver­tiremo. Ciao. (Pia si volta, esce in fretta, sbatte con violenza l'uscio. Edvige si appoggia al muro, si preme le mani sul cuore. Una pausa. L'organetto ha cambia­to motivo. Edvige si riscuote. Barcollando va al buf­fet, si versa un bicchierino che trangugia d'un fiato. Poi, lentamente, con un certo sospetto, va allo spec­chio. Si guarda. Prova a sorridersi, a cambiare espres­sione, foggia ai capelli. Fa qualche gesto femminile, col busto, con le anche. No. Sembra che anche lei sia del parere di Pia... Allora, stizzita, scoppia a ridersi in faccia, a lungo, amaramente. Poi si rifa seria, ac­corta. Torna a prendere il quaderno, consulta l'elen­co delle sue vittime, va al telefono, forma un numero)

Edvige                          - (contraffacendo ancora la voce, mediante, questa volta, qualcosa che introduce in bocca) i Pronto? C'è Filippo? È uscito? Ma no! E lei chi è, la serva? Come? La moglie? Ah ah ah! Che scemenza! La moglie? Filippo sposato? Lui, Pippo? Ma no! Que­sta è proprio bella! Lei ci crede? Come? Dico: lei c'era? Be', senta... Gli dica semplicemente che ha chiamato Nannina... si, quella della gita a Fregene... Gli dica... del pattino, al largo di Fregene... Ecco, bra­va... Gli dica solo cosi... E mi dia retta: lo sposi meno che può! (Riaggancia con un certo fervore. Ha riac­quistato la sua norma, la sua spigliatezza. Va al tac­cuino, minuziosa, vi scrive qualcosa. Sul ballatoio in­tanto è apparso un giovanotto in blue-jeans, sui venti­cinque, alto, magro, una testa ricciuta e volgare. La canottiera bianca mette in risalto i bicipiti abbronzati, il petto velloso. Egli fa una carezza alla bambi­na che giuoca con la « pupazza » e lancia il suo richiamo verso l'interno della casa)

Il giovanotto                 - Coltelli, forbici? Arrotino... (Una donna si affaccia e fa cenno di no col capo. Il giovanotto prosegue fino alla porta di Edvige. Suona. Ed­vige va alla porta, mette la catena, apre uno spiraglio)

Edvige                          - Che volete?

Il giovanotto                 - Arrotino, signora. Coltelli? Forbici?

Edvige                          - Un momento. (Toglie la catena) E dove li affilate?

Il giovanotto                 - La mola è rimasta giù, davanti al portone. Ho un triciclo e un garzone. Lui pedala e io cerco i clienti. Allora?

Edvige                          - (che lo ha guardato con attenzione) Per­ché no? Affilami coltelli e forbici. Entra. Vado a pren­derli. (Edvige si allontana verso la cucina. Scompare. Il giovanotto entra, si appoggia allo stipite dell'uscio. Si guarda attorno, cavando con delicatezza, dal risvol­to dell'orecchia, una sigaretta- E verso la cucina, do­manda, forte)

Il giovanotto                 - Signora! Posso fumare? (E agguanta i fiammiferi che stanno sulla tavola. Ma intanto ha visto il curioso campionario di dessous. Ne è irresistibilmente attratto. Lentamente, fumando con ingordigia, getta uno sguardo in tralice verso la cu­cina, poi col piede, delicatamente, riaccosta l'uscio e si avvicina al campionario. Le sue dita fremono toc­cando quei pizzi, quella seta, quel nailon. Una mutan-dina, addirittura, se la spiega davanti agli occhi, se l'accosta a una guancia. È sbalordito e infebbrato. Sente rumore. Rimette l'indumento a posto e si riap­poggia allo stipite, indifferente, ma continuando a sbirciare il campionario. Rientra Edvige, con un maz­zo di coltelli)

Il giovanotto                 - Mi chiamo Lorenzo. Non dimenti-ticatelo, per favore.

Edvige                          - Va bene: Lorenzo. E perché me ne debbo ricordare?

Lorenzo                         - Sapete in quanti siamo, arrotini am­bulanti? Su, provate a dirlo.

Edvige                          - (gli volta le spalle mentre conta i coltelli)Una ventina?

Lorenzo                         - (guardando ora Edvige, ora il campionario)Un centinaio. E dunque se si presenta Venanzio, o Michele, o Giovanni, voi da oggi li informate. Sono cliente di Lorenzo. Va bene?

Edvige                          - (ridendo) D'accordo.

Lorenzo                         - (ridendo anche lui) E vadano all'infer­no!

Edvige                          - Insomma, vuoi l'esclusiva.

Lorenzo                         - Embé? Ognuno tira l'acqua al suo mu­lino.

Edvige                          - Li arroti meglio degli altri, tu, i coltelli?

Lorenzo                         - Certo. (Ha caldo. Si passa una mano sul­la faccia. Getta ancora uno sguardo agli indumenti) È un'arte che ho imparato fin da piccolo. Un coltello bene affilato dà le maggiori soddisfazioni, al cliente e all'arrotino. Chi non lo sa che i coltelli... i coltelli... (Ancora uno sguardo verso il campionario. Il giova­notto si asciuga le guance con un fazzoletto pieno di buchi) Come sei ridotto, fazzoletto mio. (A Edvige) Non che sia vecchio, sapete. È la barba dura, che mi taglia i fazzoletti. (Edvige lo osserva; fiuta, si direb­be, il maschio odore di lui)

Edvige                          - Continua... Parla...

Lorenzo                         - Insomma per essere coltelli di riguardo, i coltelli debbono avere il filo... con un filo perfetto, voi tagliate anche un iceberg.

Edvige                          - (ride) Che ne sai degli iceberg, tu? Dove li hai visti?

Lorenzo                         - Al cinema.

Edvige                          - Con la fidanzata?

Lorenzo                         - E chi ce l'ha? Col mestiere mio, tutto di giro, è meglio, per il momento, non pensare al matrimonio. Ci vado con le ragazze, al cinema; mò questa, mò quella... sapete com'è. Se ci stai tu, ci sto io; e se no, Dio per tutti.

Edvige                          - Patti chiari, amicizia lunga.

Lorenzo                         - (fumando e guardando, sempre più turba­to, quando il seno di Edvige e quando il campionario) Si capisce. Giusto ieri, porto al Cola da Rienzo l'Aida, una veneta. Prima di accostarmi al botteghi­no, le dico: « Noi ci siamo appena conosciuti e ma­gari tu sei una smorfiosa. Allora? Ti lasci toccare un po' e il biglietto per te lo pago io, o siamo fratello e sorella, ma te lo paghi tu? »

Edvige                          - (scoppiando a ridere) Ah ah ah. E com'è finita?

Lorenzo                         - (con triviale orgoglio) Bene.

Edvige                          - (attirata e respinta) Che tipo... sei avaro, per caso?

Lorenzo                         - (calamitato dalla biancheria, fa qualche passo intorno al campionario) No, anzi. Tanto gua­dagno, tanto spendo. Ma quello del cinema è un principio mio... un punto d'onore.

Edvige                          - (assecondandolo) Ti piace l'amore disin­teressato, eh?

Lorenzo                         - (contraffacendo Mike Bongiorno) La ri­sposta è esatta. Brava. Uh che caldo, sora Cosa... qua stiamo nell'interno del Vesuvio! (Edvige ha il mazzo dei coltelli stretto al seno. Lorenzo si avvicina a Ed­vige e al campionario; tocca deliberatamente, fissan­do negli occhi la donna, una sottoveste. Edvige non protesta e non abbassa gli occhi. Una pausa molto tesa, poi Lorenzo fa ancora un passo verso Edvige, -fino a sfiorarla. Con voce arrochita, domanda) È, fuo­ri, vostro marito? Non c'è nessuno, qui?

Edvige                          - Ma che dici? Chi dovrebbe esserci? (Lo­renzo l'ha già afferrata e sollevata, baciandola sulla bocca. I coltelli vanno a finire tintinnando sul pavi­mento)

Lorenzo                         - Quanto me piaci, pupa! (Edvige non reagisce. Lorenzo entra con lei nella camera da letto. Ne chiude la porta a chiave dall'interno. Sul ballatoio appare un altro giovanotto, un ragazzo con un grem­biule bagnato sui calzoni)

Romolo                         - (chiamando) Lorenzo! A Lorenzo... (Si ferma davanti all'uscio dove giuoca la bambina e chiede verso l'interno) Avete visto l'arrotino.

La donna                       - (facendosi sulla porta) Si, l'ho visto. È andato dalla Zevi, là. (Indica la porta di Edvige)

Romolo                         - Grazie. (È sulla porta di Edvige. Chiama restando fuori) Lorenzo! (Sospinge l'uscio rimasto ac­costato e chiama ancora, quasi dentro) A Lorenzo!

La donna                       - Non c'è?

Romolo                         - (sulla porta) Capirete, giù la guardia di­ce che non ci si può stare... Ce vó fa contravenzìone. E che semo un'automobile? Ciavemo un triciclo tuttoscassato, che nun se sa come se regge in piedi! Quan­do io sto sopra a pedala, pe' fa gira la mola, suona come un'orchestra.

La donna                       - Ah si?

Romolo                         - (non le bada) Capirete che pure il ser­batoio dell'acqua col rubinetto non funziona. Uno de­ve sta da na parte cor fiasco e mandalla piano piano... Ma ve pare? E intanto Lorenzo chissà ndov'è ito... Mò lo chiamo più forte... (Verso l'interno) A Lorenzoooo! (Il suo sguardo cade sul campionario. Subito il ragazzo è affascinato. Entra, quasi in punta di pie­di, tutto illuminato, mormorando) A Loré!... Ammaz­zate! Anvedi che robba?! (Afferra un paio di mutan­dine e lo spiega, poi non resiste e se lo mette davanti guardandosi allo specchio) Anvedi! Ammazzate, 'a Loré! A me me pare d'esse Sofia Loren! (In quel mo­mento la porta della camera da letto si apre, appare Lorenzo col ciuffo in disordine, ma tranquillo, sicuro)

Lorenzo                         - (strappando l'indumento al ragazzo) A Ro-molé, nun fa lo scemo! Nnamo! (E si avvia)

Romolo                         - (seguendolo) Va bé... va bé... ma che pre­scia... (Inciampa nei coltelli) E questi?

Lorenzo                         - Niente da fa' È una cliente di Venanzio... (Chiude l'uscio in fretta. Sono fuori, sul ballatoio)

Romolo                         - (tenendogli dietro) Si, a chi la racconti? Te c'è voluta mezz'ora pe' sape che quella è cliente de Venanzio?! Aò! chi la dai da intende?

Lorenzo                         - (fermandosi, piccato) Ma tu l'hai vista?

Romolo                         - No.

Lorenzo                         - (sollevato) È 'na racchia. (Allontanando­si) È cliente de Venanzio. (Scompaiono. Silenzio. La porta della camera da letto si apre lentamente. Appa­re Edvige. È trasformata. Come se dormisse. O fosse nella pelle di un'altra. Avanza lentamente, appog­giando le spalle alle pareti, ai mobili. Vede i coltelli a terra. Li raccatta. A poco a poco riprende coscienza di sé. Mette via i coltelli. Si rassetta macchinalmen­te. Va allo specchio: un sorriso trionfante le illumi­na a poco a poco il volto. È diventata quasi bella. Corre allo stipo dove è il quaderno, lo esamina sfo­gliandolo rapidamente, poi lo strappa con rabbia, mu­golando. E d'un tratto, quasi senza volerlo, grida:)

Edvige                          - Lorenzo! (Assapora, inghiotte le sillabe di quel nome; poi come una furia corre all'uscio, lo apre e urla ancora) Lorenzo! Quell'uomo! Si! L'arro­tino ambulante!... Lorenzo!... (Gli usci sul ballatoio si aprono. Appaiono i vicini)

Voci                              - Che c'è? Che è stato? Signorina Zevi, per­ché strilla?

Edvige                          - L'arrotino... là in strada... (Indica giù, verso la strada)

Voci                              - L'hanno aggredita? Hanno derubato la si­gnorina! (E già tutto si deforma) Al ladro! Correte! Pigliatelo! (Movimento sul ballatoio)

Edvige                          - (tentando di impedire l'equivoco) Ma no! Zitti! Che ladro! Nessuno ha rubato! Nessuno mi ha aggredita! Lorenzo non è un ladro! No no... Non mi avrebbe neanche toccata, se... se... (Con voce altissi­ma) Ma guardatemi! Non sono quella che sembro! No no! Non lo sono! C'è stato sempre un equivoco! (Un agente si fa avanti sospingendo Lorenzo e Romo­lo che fanno gesti confusi)

Agente                          - Eccoli qua. Sono questi?

Edvige                          - Che fate? Lasciatelo! (Avvicinandosi) Non è un ladro! Non mi ha aggredita... non mi ha deru­bata... Gli ho detto entra, bello entra. L'ho quasi ob­bligato a fare quello che ha fatto... Ma guardatemi! Una donna per bene fa entrare in casa il primo che passa? Lo provoca fino a che... fino a che?... Avanti! Parlate! Ero cosi, vedete, in vestaglia... Lo capite, si o no? Sono la vergogna del rione! Sappiatelo, sono una di quelle... ed è cosi che voglio essere trattata. Finitela di considerarmi una zitelluccia, finitela di ba­ciare la terra dove cammino! Io gli uomini, li ade­sco, lì seduco, li corrompo! Non mi resistono, pove­racci... li travolgo... sono bella e insaziabile... eh eh... come piace a loro! Disprezzatemi pure, ma è cosi! Sono bella e insaziabile!... (Si accarezza e si schiaf­feggia, in preda a una crisi isterica. D'improvviso, le forze l'abbandonano. Due coinquiline fanno a tempo a raccoglierla fra le braccia)

FINE