Il terzo marito

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(1913)

Commedia in tre atti

di Sabatino LOPEZ

Rizzoli Editore Milano - 1961

PERSONAGGI

CATERINA

LA SIGNORA CALMÌN

LA SIGNORINA OMODEI

SINCERA

FAUSTO

IL CONTE ALCIATI

L'AVV. GERMINI

L'AMMINISTRATORE BALCONI

IL DIRETTORE DELL'ALBERGO

Una signora bionda

Un signore bruno

Un signore magro

Un signore qualunque

Tre camerieri

A Viareggio - di mezzo agosto.

ATTO PRIMO

La sala comune di un albergo alla moda a Viareggio.

(La scena è vuota per un minuto; poi entrano di­scorrendo l'avv. Germini e un signore qualunque.)

GERMINI        Immagini, caro signore, che tutti gli an­ni c'è una lotta, una vera lotta fra me e mia mo­glie, perché io vorrei andare in montagna, e lei vuole venire al mare. D'ordinario accade che dopo lunghe e tempestose discussioni finiamo col re­stare in città.

IL SIGNORE    Quest'anno però ha vinto la signora, a quel che pare.

GERMINI        Eh già! Mia moglie è stata più forte... perché è più debole. Si lotta male coi deboli... i deboli se ne approfittano. E così io sono qui a dare spettacolo ai bagnanti. Stamani, quando Lei mi ha visto nell'acqua, rideva...

IL SIGNORE   La prego di credere...

GERMINI Non si giustifichi: era nel Suo diritto. Se fossi al mio paese io non oserei tuffarmi per un riguardo ai miei amministrati... ma qui... Me lo di­ceva con la sua sincerità petulante la signorina Omodei: « Lei sbuffa come una foca e annaspa co­me un cane »... - Se ne va? Se permette, l'accompagno per un tratto di strada.

IL SIGNORE    S'immagini, mi fa molto piacere... Ma la Sua signora non è venuta al mare?

GERMINI        Verrà domani, la vedrà, la vedrà... anzi forse non la vedrà nemmeno, tanto è piccola e sot­tile. L'ho sposata per questo: per il contrasto. - Ah! se avesse avuto cinque centimetri di più, mi godrei ancora la mia libertà di scapolo. . Guardi da che cosa dipende la felicità di un uomo!

IL SIGNORE    Ne avrebbe sposata un'altra.

GERMINI        Forse no. E a ogni modo avrei guada­gnato certo nel cambio. Perché Lei deve sapere che mia moglie...

(Le ultime parole si perdono per­ché i due sono già usciti.)

(Perun minuto la scena resta vuota. Dopo un se­condo si sente gridare al portavoce: « Portare al bas­so i bauli del numero dodici. Sì, il numero dodici » . Entrano a braccio Caterina e  la signora  Calmìn:)

LA CALMÌN    (ha i capelli candidi, è vestita di nero - un lutto moderato  col cappello in testa, è pronta a partire) Insomma, nemmeno questa volta ho avuto modo di pagare.

CATERINA     (semplice, fresca, gaia) Se era mia ospite! Quando mai un'ospite paga? E una mam­ma, poi! Non mi chiama: « la mia figliuola »? E dunque! Quando vengo da Lei, pago? A casa mia pagherebbe?

LA CALMÌN    Ma qui non siamo né a casa mia né a casa tua: siamo all'albergo.

CATERINA     Non per Sua volontà. Nei mesi d'estate non ho la casa aperta e così io la ricevo qui, ma Lei rimane sempre mia ospite.

LA CALMÌN    E sia. Non ne parliamo più. (E siede, ma verso il fondo, come chi è sulle mosse per andarsene) Salutami tua madre, sai, quando le scrivi.

CATERINA     Grazie, mamma.

LA CALMÌN    (senza interrompersi) E dille che non sia gelosa se mi considero tutt'ora come la tua mamma anch'io. Vedi di mantenerti fresca, bella, come sei adesso. Sono tanto contenta di lasciarti bene! La cura di Salso ti ha proprio giovato.

CATERINA     Ma questi bauli vengono o no? Quasi quasi andrei a vedere. (E poiché è rimasta in piedi si avvia.)

LA CALMÌN    (la ferma col braccio) Non hai sen­tito? Hanno dato l'ordine di portarli giù.

CATERINA     Già, è vero. Se intanto Lei vuole av­viarsi alla stazione, provvedo io. Magari le mando anche Sincera.

LA CALMÌN    (con un lieve sorriso) Tu hai una gran fretta di mandarmi via.

CATERINA     (in inala fede)    Io?!

LA CALMÌN    Ma sì. Adesso i bauli... Stamani vo­levi che prendessi il treno delle undici...

CATERINA     Perché Lei non avesse a passare la notte in treno! Volevo risparmiarle un disagio. Creda.

LA CALMÌN    Lo so, lo so: scherzavo. La tua è l'an­sia degli ultimi momenti. Hai osservato? Quando si parte, o qualcuno deve partire, ogni ritardo riesce penoso. Ormai che è deciso!... Ci prende una certa angoscia... Vero, Caterina?

CATERINA     Vero, vero. E appena a Padova, mi telegrafa il salvo arrivo, siamo d'accordo.

LA CALMÌN    Sì, cara, ti telegrafo.

CATERINA     Il biglietto l'ha già preso? Perché, sa, a volte allo sportello bisogna fare la coda...

LA CALMÌN    L'ho preso, l'ho preso.

CATERINA     E va subito domani alla Torretta? Ci deve far tanto caldo in città!

LA CALM1N   Sì, andrò alla Torretta. A chiudermi tra due tombe, tra due memorie: il mio povero Andrea e il nostro povero Cesare. Una casa vuota e una villeggiatura desolata, la mia! Eppure se non fosse per venire da te, ci credi? non mi muo­verei di lì. È tanto triste, ma tanto dolce! (Scotendosi) Basta, non ti voglio affliggere di più, non te lo meriti. (E si alza.) Ancora una volta grazie di tutto, e che Dio ti benedica.

CATERINA     (al cameriere che passa) I bauli della signora sono discesi?

CAMERIERE    Li caricano adesso sull'omnibus.

CATERINA     Saranno tutti? (Alla signora Calmìn) Perché tante volte se ne dimenticano. Vogliamo andare a vedere se son tutti? (E si avvia.)

CAMERIERE    (pronto) Non occorre. C'è anche la cameriera della signora (e indica la signora Cal­mìm) che sorveglia. Del resto non abbia paura che la signora perda la corsa. C'è una mezz'ora buona. Deve prima arrivare il treno di Bologna.

CATERINA     (leggermente turbata)    Già, il treno di Bologna.

CAMERIERE    (guarda il suo orologio; si sente uno squillar di campanelli)    Eccolo, quello di Bologna. Sentono? Passeggeri in arrivo. (Ed esce.)

LA CALMÌN    (lenta)    Noi siamo d'accordo su tutto. Se puoi fare una scappata, sia pure d'un giorno, sei sempre la benvenuta.

CATERINA     (rapida)   Lo so, mamma, lo so. Vada, vada, che non abbia a perdere il treno.

LA CALMÌN    La farai questa scappata?  Io non ti posso promettere divertimenti, né gaie compagnie, ma tu sei abituata ad annoiarti con me.

CATERINA     (un po' nervosa) Non dica così. Que­sti quindici giorni mi sono passati in un lampo. Vada, mamma, vada...

LA CALMÌN    Ma tu svàgati, sai... (Con un sospiro) Nemmeno il tuo povero Cesare te ne serberebbe rancore. Povero Cesare! Quanto bene ti ha voluto!

(Il Conte Alciati, un bell'uomo, anziano, ma an­cora valido, in abito da viaggio, entra, vede Caterina che è in piedi, la chiama.)

ALCIATI         Caterina! Caterina!

CATERINA     (fa un moto di stizza e mormora)  Lo sapevo!

(Poi si volge ad Alciati e dice con lieve imbarazzo)

Oh! Bene arrivato! (E gli porge la mano.)

ALCIATI         Stai bene, cara? Vien qua. Dammi un bacio. (E la trae a sé e la bacia sulle guance.) Sia­mo in perfetto orario. E poi si dice male del Go­verno! Vedi che ho mantenuto la mia promessa. Mi hai detto il giorno 15, e il 15 son venuto.

LA CALMÌN    (guarda curiosamente il sopravvenuto e mormora)    Chi è costui?

CATERINA     (un poco confusa) Ha fatto bene... l'aspettavo... ha fatto benissimo.

(E poiché non può evitare la presentazione, ci si rassegna, e dice gra­vemente, ma con molta dolcezza)

Mamma, le presento il Conte Alciati, il padre del mio povero Giu­lio.

LA CALMÌN    (sorpresa, quasi offesa) Ah! (Saluta appena col capo.)

CATERINA     Babbo: le presento la signora Calmìn, la mamma del mio povero Cesare.

ALCIATI         (più amabile)  Oh!  (S'inchina  - Un breve imbarazzo e un silenzio) Fin qui, io non avevo avuto l'onore di conoscerla personalmente.

CATERINA     (dopo un altro breve silenzio) Ora vo­gliamo andare, mamma? L'accompagno fino all'om­nibus.

LA CALMÌN    (seccamente) Grazie, non t'incomo­dare: resta pure col signor Conte. Conosco la strada.

ALCIATI         La signora parte adesso?

LA CALMÌN    Sì. Lei arriva e io parto. Pare che così fosse prestabilito... e non dal destino. Lei in­vece si ferma un pezzo a Viareggio?

ALCIATI         Due, tre settimane... Quasi ogni anno in estate passo qualche giorno con la mia figliola. (E stringe a sé Caterina.)

LA CALMÌN    (quasi offesa) Ah! Proprio come me! Avevamo parità di trattamento: ciascuno il suo turno. Io parto, Lei arriva. Un altro anno, chi sa! il giochetto sarebbe uguale, ma diverso: io arrivo e Lei parte. - Io non sapevo che anche Lei, signor Conte, avesse i Suoi quindici giorni. Se l'avessi saputo non mi ci sarei prestata.

ALCIATI         (la  guarda  sbalordito)    Senta,  signora...

LA CALMÌN    (con aria di rimprovero, a Caterina) Non sapevo che tu fossi la figliola di tanta gente! Tu non mi avevi detto nulla del signor Conte!

CATERINA     (addolorata, ma calma, sicura) Come non avevo detto nulla al Conte di Lei. E non le avrei detto nulla. No. Non vi eravate mai veduti,  mai incontrati sinora, appunto perché io avevo voluto così. Avevo sempre evitato di farvi cono­scere qui da me, immaginando che il vostro in­contro sarebbe riuscito penoso. Sicché anche que­st'anno avevo combinato le cose in modo che non avvenisse, ma Lei, mamma, ha rimandato di un giorno la partenza...

LA CALMÌN    Ah! Ora capisco la tua insistenza di stamane! - E adesso negavi!

CATERINA     ...e così vi siete veduti. Io vi consacro ogni anno un mese, a voi e ai vostri due morti, che sono anche i miei morti. (Alla signora Calmìn) Il primo periodo sto con Lei. (Al Conte) Il secon­do periodo con Lei. - Sì, lo so: questo fraziona­mento può sembrare una combinazione ingegnosa e fredda, e invece, almeno nella mia intenzione, era un pensiero gentile e affettuoso. - Ciascuno di voi due ha il suo proprio lutto, un lutto tutto suo: farvi incontrare insieme sarebbe dimezzare il mio conforto e il mio lutto, confondere i due ri­cordi, e perciò profanarli ai vostri occhi. Ma una volta che eravate qui tutti e due, non ho potuto a meno di presentarvi l'uno all'altra. Avevo po­tuto e voluto tacere, ma non potevo nascondere, perché non avevo nulla da nascondere. (Con certo dolce orgoglio) Non ho mai nulla da nascondere, io.

LA CALMÌN    (fredda) La tua scusa è questa: tu hai creduto di far bene: ma hai sbagliato.

CAMERIERE    (entrando, alla signora Calmìn) Si­gnora... l'omnibus è pronto.

LA CALMÌN    Meglio così: vengo subito.

(Il came­riere sta per uscire, quando Fausto lo ferma quasi sulla porta.)

FAUSTO         Scusate, voi, la signora Calmìn?

(Ma ve­de Caterina, che si è voltata come la signora Cal­mìn. e indicandola dice)

Ah! eccola lì.

(Il cameriere esce.)

CATERINA     (che ha sentito la voce di Fausto, gli va incontro piacevolmente sorpresa) Oh, Lei, come sta?  Viene da Salso?

FAUSTO         Sì, signora, arrivo adesso da Salso. (E con un cenno del capo saluta il Conte e la signora Calmìn, che rispondono col capo appena al suo saluto.)

CATERINA     (a Fausto) Guardi, accompagno la si­gnora fino all'omnibus e torno da Lei.

FAUSTO         Prego, faccia pure. (E si mette in di­sparte.)

ALCIATI         Chi è quel signore? Era nel mio stesso vagone.

CATERINA     (al Conte e alla signora Calmìn) Una persona molto compita, che mi ha fatto buona compagnia a Salso.

ALCIATI         Deve avere dei gran pensieri, perché gestiva e parlava da solo.

CATERINA    Ah, sì?  Non saprei.

LA CALMÌN    (si congeda freddamente dal Conte) La riverisco, signor Conte.

ALCIATI         Buon viaggio, signora. (Quando sono già avviate, ad alta voce) Ti aspetto qui, Caterina. (La signora Calmìn esce con Caterina che le offre il braccio.)

LA CALMÌN    Grazie, non occorre.

(I due, rimasti soli, distanti l'uno dall'altro, attendono in silenzio.)

FAUSTO         (dopo una leggera esitazione, si accosta al Conte Alciati) Scusi, la signora che parte è la madre della signora?...

ALCIATI         (secco)    No.

FAUSTO         Grazie. Scusi.

ALCIATI         Di nulla. 

(Un altro silenzio.)

CATERINA     (tornando, a Fausto) Lei non ha pre­mura, vero?... Saluto qui il signore che è arrivato adesso... (Sorridendo)  Ha il diritto di precedenza. Anche per l'età.

FAUSTO         S'immagini!  Era nel mio stesso vagone.

CATERINA     Già, mi ha detto.

FAUSTO         Se crede che io debba fare un giro per Viareggio e tornar più tardi...

CATERINA     (un po' maliziosa) Chi ha da vedere a Viareggio?

FAUSTO         lo? Nessuno fuori di Lei.

CATERINA     E allora aspetti... Prenda un giornale, una rivista, un libro... (Sorridendo) Insomma, si faccia una coltura. E aspetti.

FAUSTO         (s'inchina e si ritrae, prende un giornale, ma non legge.)                                 

CATERINA     (va dal Conte Alciati) Lei mi scusa, è vero? Mi dica adesso: sta bene? Ha fatto buon viaggio?

ALCIATI         Sai che quella signora Calmìn ha un gran caratteraccio? !

CATERINA     Povera donna, bisogna scusarla. Cre­deva...

ALCIATI         Anch'io credevo, ma ho capito subito che tu avevi fatto per bene. E quasi quasi se la pren­deva con me! Ma già il torto è tuo: morto tuo marito, te ne potevi liberare e invece te la tieni alle costole...

CATERINA     È geloso?

ALCIATI         Macché geloso. Quella signora lì è gelo­sa... E ringhiosa.

CATERINA     E allora, dirò che Lei è ingiusto. Se­condo la Sua frase, a tanto maggior ragione avrei dovuto  liberarmi  anche di  un'altra persona.

ALCIATI         Di me?... Di me?

CATERINA     (sorridendo,   gentilmente)    Eh!   Già...

ALCIATI         (ci pensa un minuto) Sicuro che avresti dovuto farlo... Se ci mettevi alla porta tutti e due, facevi bene. Tanto, noi non ti possiamo dare che seccature.

CATERINA    E perché?

ALCIATI         Perché sì. Perché siamo dei parenti ac­quistati... Quelli di famiglia, passi, ci si è fatta la abitudine... ma quegli altri! Hai perso i mariti, cioè le perle, e ti sei tenuta i suoceri, cioè l'ingombro dei gusci. Bel guadagno che hai fatto! Almeno, nelle disgrazie, profittare di quel poco di buono che portan sempre con sé.

CATERINA     Zitto lì! Perché vuol fare il cattivo, se è un cuor d'oro?

(Fausto ha lasciato il giornale, e passeggia.)

ALCIATI         Tutti cuor d'oro per te! E così hai sem­pre attaccati alle gonnelle i vecchioni. Credevo di esser solo: siamo due.

CATERINA     Ma perché mi dovevo allontanare, li­berare, come dice Lei, se Loro due mi volevan be­ne, mi voglion bene?

ALCIATI         Ti vogliamo bene: bello sforzo! Sei gio­vane, hai una bella faccia, ci fai buona compagnia e ci offri anche dei buoni pranzi: vorrei vedere anche questa che non ti volessimo bene! - Sicuro! Io sto con te volentieri, molto volentieri. - Mi sa­crifico! Se mi ringiovanisci con la tua gioventù!?... Tu, vedi, mi fai l'impressione dell'aria pura. Quan­do sono davanti a te, respiro la persona per bene. Ce ne ho della gioventù d'attorno... (e ride ma­liziosamente) ma quella non mi dà l'impressione di riposo che tu mi dài. (Come se respirasse a pie­ni polmoni) Aaah! tu dài il senso del fresco, del riposo, ecco. Il valore, il carattere della tua bel­lezza, è tutto lì. Sei placida, ecco.

CATERINA     (sorridendo) Ma sono anche furba, sa? E quel che voglio, voglio.

ALCIATI         Se non vuoi mai nulla! Dimmi, piutto­sto, come ti trovi a Viareggio.

CATERINA    Bene.

ALCIATI         E a Salso come ti sei trovata?

CATERINA    Benissimo.

ALCIATI         E di tua madre hai notizie recenti?

CATERINA    Recentissime e ottime. È a Siena.

ALCIATI         Sempre a Siena, e tu sempre a Firenze. Possibile che non vi riesca vivere insieme?

CATERINA     Ma noi andiamo perfettamente d'ac­cordo, Lei lo sa. - Soltanto, poiché non ci pesa, per nostra fortuna, tenere due case aperte, così...

ALCIATI         Capisco, ma almeno vi terreste compa­gnia. Io non so... A me piace tanto la compagnia. (E ci ride.)

CATERINA     Ho voluto la mia libertà.

ALCIATI         Siamo precisi: di' piuttosto che lei ha vo­luto la sua. Sia detto senza offender tua madre -che è una signora simpaticissima . credo che, se mai, della libertà abbia bisogno di servirsene più lei che non te.

(Fausto è tornato al giornale.)

CATERINA     (deviando) È tanto cara!... Io le voglio un gran bene.

ALCIATI         Si capisce; è tua madre, figurati! E poi a chi non vorresti bene, tu? Io glielo dico sempre a Fiammetta... (Si ferma. Un breve silenzio.) Ca­pisco, non dovrei mescolare, ma anche con lei mi vien fatto di parlare di te... Anzi, mi aveva incari­cato di salutarti. Posso? O non è permesso?

CATERINA     Per me... contento Lei... - Insomma, c'è sempre.

ALCIATI         Sicuro, che c'è sempre. In questo mo­mento è a casa dai suoi, ma c'è... torna. Ci pren­diamo le vacanze extra matrimoniali. Lei dai suoi, io da te, che ormai sei tutti i miei. - È con me da sei anni e ci resta; o per lo meno io non la man­do via. Faccio male? 

(Caterina tace.) 

Che vuoi? Si finisce coll'affezionarsi anche ai propri malanni.

CATERINA     Ah, è un malanno! Lo riconosce anche Lei?

ALCIATI         Come istituzione è un malanno. Alla mia età!... Ma come persona potrebbe esser peggio, mol­to peggio. E d'altronde, è colpa mia se ho una vec­chiezza ritardataria?

CATERINA     Sa che le abbia fatto dei torti?

ALCIATI         Mah! Io non crederei.

CATERINA     E allora, scusi, dal momento che non la lascia, perché non la sposa?

ALCIATI         Fiammetta?! (Con indulgente rimprove­ro)  Ah! ah! tu l'hai pur conosciuta mia moglie: era una santa donna. (Severo)  Devo questo ri­guardo, quest'omaggio alla sua memoria.

CATERINA     Capisco... Ma dal momento che con quest'altra ci vive!

ALCIATI         Ci vivo, ma non la sposo.  Non prende il suo posto. È stabile, ma è di passaggio. Si fa chiamare la Contessa Alciati, ma non è la Con­tessa Alciati. In casa è « la signora » ma non è la mia signora. La differenza è enorme.

CATERINA    Non mi pare, ma non insisto.

ALCIATI         Ecco, brava non insistere.

(Da lontano Fausto fa cenno a Caterina: « Quando la finite di discorrere? Lo mandi via! », e Caterina col gesto risponde: « Un po' di pazienza! ») 

Tanto più... (Ma, vedendo l'armeggìo di Fausto si ferma.)

CATERINA     (distratta)   Diceva?... Già...

ALCIATI         Sicuro. (Pausa)  Tu hai cenato?

CATERINA    Io sì, colla mamma.

ALCIATI         Quale mamma? Ah, la signora Calmìn! - Io no. Vuoi tenermi compagnia? O hai da parlare con quel signore che gesticola?

CATERINA     Gesticola? Non mi sono accorta.

ALCIATI         No? Bambocciona! Mi sono accorto io. Ha una gran mania di gestire, quell'uomo! D'al­tronde aspetta già da un pezzo. (E si alza.)  Ci ve­dremo domani.

CATERINA     Ma se vuol che più tardi, dopo cena...

ALCIATI         No, sono stanco. Dopo cena, vado a letto.

CATERINA     Allora, domani, resta a colazione con me?

ALCIATI         Sicuro. E a pranzo sei tu con me. Siamo intesi. Nella sala comune?

CATERINA     No, di sopra. Ho preso come sempre un salottino. Siamo più liberi.

ALCIATI         Buona notte.

CATERINA     Buona notte.

(Il Conte Alciati esce accompagnato da Caterina, la quale va per salutare Fausto, e Fausto già s'av­via tutto festoso verso di lei, quando entra l'avvo­cato Germini che la ferma.)

GERMINI        Signora bella! Come sta?

CATERINA     Bene, caro avvocato. E Lei? Avevo vi­sto il Suo nome sulla tabella dei forestieri. Que­st'anno anche Lei a Viareggio. È solo?

(Fausto torna rabbiosamente al giornale.)

GERMINI        Per ora. Ma la mia felicità è un fiore che dopo ventiquattro ore si sfoglia. Mia moglie mi ha spedito... prima di spedire i bauli.

CATERINA    Ah!

GERMINI        Sono io che mi sono fatto spedire. È un gioco che mi riesce sempre. Io provoco questa sua decisione col mio contegno; disturbo, apro e chiu­do continuamente i cassetti, metto in disordine, do impaccio più che posso, metto le spazzole da panni nelle scatole delle scarpe, fin tanto che l'ob­bligo a dirmi: « Fammi la carità, vattene e la­scia che faccia tutto io! » - Mi procuro così ven­tiquattro ore di respiro.

CATERINA    E quando è venuto?

GERMINI        Sono qui da ieri sera. Ho già fatto il mio primo bagno. Sicuro! E sono andato anche a pescare.

CATERINA    Ha preso nulla?

GERMINI        Stavo per prendere una insolazione. Pe­sci non, ce n'è più. D'estate noi veniamo al mare e loro vanno in campagna. Davvero, sa. - Prima di partire, ieri alla stazione di Siena, ho visto la Sua signora madre. Una meraviglia! Pare una giovi­netta.

CATERINA     (sorridendo)  Non esageriamo, e io al­lora?

GERMINI        Lei? Una bambina. La sorella minore della giovinetta.

(Fausto gesticola da lontano:  « Anche quest'altro? Lo mandi via! ».)

CATERINA     (forte)     Un po' di discrezione.

GERMINI        Che cosa « un po' di discrezione »?

CATERINA     (rimedia)     Un po' di discrezione anche nella galanteria. Dire che sembro una bambina, è troppo.

GERMINI        Davvero, Lei è miracolosa. Come fa? Me lo insegna? Se io come Sindaco non l'avessi già sposata due volte...

CATERINA     (interrompe in fretta)  Sempre lo stes­so, Lei! Si cheti. E si ritira così presto?

GERMINI        Eh sì! Ho cenato, ho fatto una passeggiatina con un signore che non conosco, gli ho rac­contato i fatti miei...

CATERINA    Non lo conosce e gli dice i fatti Suoi?

GERMINI        Naturalmente. Se lo conoscessi non gli direi nulla. L'ho visto oggi per la prima volta, do­mani sera parte, io ho fatto il mio sfogo; lui non ci pensa più, io nemmeno... O cosa vuol di meglio? - Ora me ne vado a letto. Domattina mi arriva an­che la moglie!

CATERINA     Oh che vergogna! Una così buona si­gnora...

GERMINI        Chi, mia moglie? Mi dice bene di mia moglie: mi vuol far scappare. Buona sera. (E si ritira.)

FAUSTO         (avanzando)     Finalmente!

CATERINA     Un po' di pazienza, santo Dio. E mi faceva anche delle smorfie, dei segni! Quel signore ch'era con me se n'è accorto, sa?

FAUSTO         Chi le ha detto che si sia accorto?

CATERINA     Me lo ha detto lui: « Guarda, quel gio­vane ti fa dei segni ». Io ho finto di non aver vi­sto, ma avevo visto benissimo. Mi fa anche men­tire, Lei! - Bell'uomo, vero?

FAUSTO         Bell'uomo. Ma perché le dà del tu?

CATERINA    Potrebbe esser mio padre.

FAUSTO         A questa stregua io potrei essere Suo fratello... eppure le dò del Lei. Chi è?

CATERINA     (sorridendo)  Saprà poi. Mi dica inve­ce: come mai qui a Viareggio? Non era nel pro­gramma.

FAUSTO         Si rammenta quel che le avevo detto a Salso? « Fin che posso, resisto: quando non posso più, scappo ».

CATERINA    Ebbene?

FAUSTO         Ebbene: prima ho resistito, poi sono scappato.

CATERINA     (con malizia)    Ci fa caldo, eh?

FAUSTO         Dove? A Salso? Non tanto. Son io che ho caldo. È una cosa seria, molto seria. Ero già ad alta pressione... si ricorda?

CATERINA    Lei lo diceva...

FAUSTO         Ora sono a bollore. (Schietto)  Io ho fatto di tutto per dimenticarla. Di tutto. - Perfino delle inalazioni.

CATERINA     (sorridendo)  E che voleva fare a Sal­so? Non era lì per cura?

FAUSTO         Ma che cura! Io c'ero venuto per Lei, io non mi curavo... che di Lei, e quando Lei se n'è andata, non mi sono curato più di nulla e di nes­suno. Mi sono seccato, ho smaniato... mi sono ri­dotto come l'ultimo degli imbecilli.

CATERINA    L'ultimo, poi!...

FAUSTO         Ha ragione, bisogna lasciare un posto per un amico. Diciamo il penultimo. - Giunto alla di­sperazione...

(Entrano una giovane signora bionda con un signore bruno.)

LA SIGNORA  Buona sera, signora Calmìn.

CATERINA     Buona sera. Vanno al teatro?

LA SIGNORA  No: vado al mare con mio marito. C'è la luna. Spettacolo gradito e gratuito.

CATERINA    Buon divertimento.

LA SIGNORA Lei non ci viene? Ci troveremo alla baracchina anche la signorina Omodei con la mamma.

CATERINA     Chissà. Forse più tardi. Buona sera.

(La signora bionda esce col signore bruno.)

FAUSTO         Chi è quella signora bionda?

CATERINA     Lei è molto curioso. Vuol sapere sem­pre « chi è ». È una conoscente. - Vada avanti nel Suo racconto.

FAUSTO         Dove ero rimasto?

CATERINA     Nel punto più interessante, come nei romanzi d'appendice. Diceva: « Giunto alla dispera­zione... ».

FAUSTO         Ah! giunto alla disperazione, ho detto:  Qui bisogna finirla », e stamani mi son deciso. In­dovini che ho comprato?

CATERINA     (con falso terrore)  Oh Dio, una rivol­tella?

FAUSTO         No, un mazzo di carte. Le ho mischiate ben bene e mi sono affidato alla sorte. Ho detto: « Se viene prima una carta di cuori, vado a Via­reggio; se viene prima picche, resto a Salso ». È venuto picche: sono venuto a Viareggio.

CATERINA     (ridendo)  Ah, quando prende una ri­soluzione Lei!... Del resto, ha fatto bene a venire. Sto bene a Viareggio, ma stavo meglio a Salso.

FAUSTO         (espansivo)     Allora  posso sperare...

CATERINA     (ingenua)    Che cosa?

FAUSTO         Tutto. La speranza è come un velivolo: tutt'ali. Non conosce altitudini né confini. Se Lei ha sofferto della mia lontananza... - Mi dica che ha sofferto.

CATERINA     Quante pretese! Ho desiderato di ri­vederla, ecco. Mi sembra che dovrebbe bastare.

FAUSTO         No, non mi basta. Mi dica qualche cosina di più. Sia buona! Non mi somministri la gioia col contagocce. Me la dia come un premio, non come un rimedio. - Io l'amo.

CATERINA     (tranquilla)  Questo me lo ha detto a Salso.

FAUSTO         Appunto. Io l'amo: gliel'ho detto nell'Emi­lia, glielo ridico in Toscana, glielo ripeterei sotto il cielo di Lombardia. Il mio male è diventato cro­nico. « Da quel dì che t'ho veduta... », come dice Ernani.

CATERINA     Come dice chi?

FAUSTO         Ernani. Io sono esatto nelle citazioni. - Faccia una cosa... faccia una bella cosa... facciamo una bella cosa. Io son libero, Lei è libera, noi sia­mo liberi... godiamoci la nostra libertà.

CATERINA     In altri termini, Lei mi ripete grazio­samente l'invito già fatto a Salso: di diventare la Sua amante. No. Le ho detto no nell'Emilia, glielo ridico in Toscana, glielo ripeterei sotto il cielo di Lombardia. Lei è giovane, ma...

FAUSTO         Ho cinque anni più di Lei.

CATERINA     (sorpresa)     Oh! ha saputo la mia età?

FAUSTO         Io no, non so nulla. Ma ho sempre cinque anni più della signora con la quale parlo. Questo fa piacere alla signora e non mi invecchia troppo. -Diceva:  « Lei è giovane, ma... ».

CATERINA     Lei è giovane, ma non è più un bam­bino. E invece parla come un bambino goloso e caparbio: si ostina a chiedere quando già le hanno detto di no. Sino dalla prima dichiarazione io le ho parlato in modo da non farle nutrire illusioni. Lei mi è simpatico, perché è gaio, e la gaiezza è nel fondo del mio carattere, nonostante i miei tra­scorsi dolori; io passo volontieri la giornata con Lei, Lei è un caro amico per me... ma pazzie no.

FAUSTO         E chi le chiede pazzie? Se il mio nome è saggezza! Altri le avranno detto: « Io l'amo come un pazzo... ». Ma io no: io non glielo dico perché non è vero. Io l'amo come un savio. Il pazzo è capace di calpestare il fiore che vorrebbe far suo: io no, io lo colgo...

CATERINA    Se le riesce!

FAUSTO         (concedendo)  Se le riesce. (Si corregge)  Se mi riesce. - Io lo odoro quel fiore; se si potesse dir che lo pregusto, io lo pregusto.

CATERINA     (sempre benevola)  E con qual diritto Lei mi pregusta?

FAUSTO         Col diritto dell'uomo che è venuto di mezzo agosto a Viareggio con questo caldo, senza nessuna intenzione di fare un corso di bagni. Lei mi dice: « Io passo volentieri la giornata con Lei ». Io aggiungo che ci passerei volentieri anche... le altre dodici ore.

CATERINA     (severa)     Il sole le ha dato in testa?

FAUSTO         Non si offenda per una semplice questio­ne d'orario.

CATERINA     Lei si dimostra impertinente e leggero.

FAUSTO         No, cara: non badi alla leggerezza del tono. A me piace l'amore in sordina. Ma l'amo sul serio, sa? Purtroppo... Lei che è così colta... per­ché Lei è molto colta...

(Caterina accenna a un rin­graziamento e Fausto procede senza interrompersi) 

Prego, è il mio dovere. - Lei che è così colta, conosce la storia dell'arte, della letteratura attraverso i secoli. Il seicento: barocchismo, esagera­zione, sfarzo... Il settecento: grazia, smanceria, sve­nevolezza... Gli innamorati ordinariamente sono o seicento o settecento: o furiosi da legare, o leziosi da morire. Io invece sono una cosa di mezzo. Sono...

CATERINA    Seicentocinquanta...

FAUSTO         Appunto. Come Lei, del resto: alla super­ficie è calma, ma nel fondo deve essere ardente. - Noi, se Lei mi desse retta, formeremmo una cop­pia modello. Perché non vuoi formare la coppia? Sentiamo.

CATERINA     (semplice)     Perché Lei è uno sfacciato.

FAUSTO         (sorpreso)     Eh?!

CATERINA     Perché Lei non mi ha detto le sole pa­role che un galantuomo dice alla donna che affer­ma di amare: « Se Lei mi vuole, io la sposo ».

FAUSTO         (dopo un brevissimo silenzio)  Lo preve­devo che mi avrebbe risposto così. Lei non ci cre­derà, ma io lo prevedevo.

CATERINA    Tanto meglio.

FAUSTO         E Lei sarebbe disposta a sposarmi?

(Caterina non dice né si né no.) 

Guardi che è una cosa grave, sa?

CATERINA     Eh! Lo so. (Maliziosa, sospirosa)  Più di quello che Lei non creda.

FAUSTO         Appunto perché l'ha già fatto una volta, deve sapere tutta l'importanza dell'atto. Ci pensi. Non si torna più indietro. (Comicamente serio)  Ecco quello che non arrivo a capire. - E badi che sono intelligente - Lei è disposta a sposarmi, e non è disposta... (Si ferma.)

CATERINA    Non sono disposta.

FAUSTO         (sul medesimo tono di prima)     Le chiedo di meno, e Lei vuol darmi di più.

CATERINA     Ma già. Sono strana, eh? Eppure... (Seria)  No, sia sincero; il mio rifiuto le fa piacere, le fa molto piacere. Certamente. Quale impressione le farei se io consentissi alle Sue proposte?

FAUSTO         A me? Ottima.

CATERINA     Non è vero.

FAUSTO         Come: non è vero?

CATERINA     (più recisa ancora)  Non è vero. Lei rimarrebbe scontento e deluso, perché Lei è meno leggero di quel che non voglia apparire. L'ha con­fessato un momento fa. - Tanto, anche se vuol pas­sare per scapato, non ci riesce: non le ho mai vi­sto donnine d'attorno a Salso, e Dio sa se ce n'era­no: Lei, forse, non mi ama... non protesti, aspetti - ma certo mi vuol bene e mi stima. E se è così, dal momento che è così, sentirmi cedere, avermi co­me facile preda sarebbe una delusione per Lei, e Lei finirebbe col disprezzarmi, col credermi vi­ziosa e vanesia. - No: Lei a Salso in questi giorni ha studiato sé stesso, si è guardato dentro, ha fatto i Suoi calcoli... sì, anche i Suoi calcoli, perché Lei è una persona ordinata - come me, del resto - e ha detto: « Ma sì, le età press'a poco combinano, i ca­ratteri si accordano, le fortune si devono bilan­ciare, io non sono un seduttore di professione; a quella signora per lo meno non dispiaccio; sicuro, vado a Viareggio a sentire se mi sposa ». È vero che ha detto così?

FAUSTO         (senza dire né sì né no, ma più sì che no)  Lei se la dice, Lei se la fa...

CATERINA     Nossignore: niente affatto. Il mio con­tegno, il Suo contegno a Salso non sono mai stati tali da lasciar supporre che Lei cercasse un'avven­tura, che io fossi donna da correrla. (Seria)  Ora, poiché sono convinta che Lei mi sposerebbe, pri­ma che Lei mi faccia la domanda formale, io le debbo dire la parte della verità che le ho taciuto finora. Anch'io ho qualche cosa da raccontarle, e disgraziatamente qualche cosa di più grave che non sia l'affare del mazzo di carte. - Quando Lei è entrato qui e ha chiesto di me, ha veduto quel signore e quella signora che discorrevano con me? Li ha veduti?

FAUSTO         Sì, li ho veduti. Ha visto anche Lei che li ho veduti. E poi?

CATERINA     Lui è il Conte Alciati. Ebbene, il Conte Alciati è mio suocero.

FAUSTO         (stupito)     Ah!

CATERINA     Lei è la signora Calmìn; e la signora Calmìn è mia suocera.

FAUSTO         (più stupito)     Oh?!

CATERINA     Non so se abbia sentito che si davano del Lei.

FAUSTO         (trasognato)     Mi pare.

CATERINA     E pensi che prima d'oggi non si co­noscevano fra loro. Non si erano mai incontrati.

FAUSTO         Mai  incontrati?!

CATERINA    Mai.

FAUSTO         « Quello è mio suocero... quella è mia suo­cera... si dànno del Lei e non sì sono mai incon­trati ».  Cos'è? Un indovinello? Una sciarada?

CATERINA    È la verità.

FAUSTO         Eh no, è una burla.

CATERINA     È la verità. Il Conte Alciati è il padre del mio primo marito, la signora Calmìn è la ma­dre del mio secondo marito.

FAUSTO         (balzando)  Come?! Lei si è già sposata due volte?

CATERINA    Si spaventa per questo?

FAUSTO         Lei ne ha avuti due?

CATERINA    Eh! sì.

FAUSTO         Ah senta, uno passi, ma due si chiama abusare!

CATERINA     Abusare di che? Si spieghi. Di che ho abusato? Della Sua buona fede? No, perché sono qui a raccontarle i fatti miei. - Prima, quando Lei era per me un conoscente qualsiasi, non so per quale ragione io avrei dovuto metterla a parte di tutte le mie sventure domestiche. E anche allora io le ho detto la verità, se non tutta la verità. Lei ha saputo da me che ero vedova... - Il fatto che io disgraziatamente ho avuto due grandi dolori nella mia vita, è un ostacolo per Lei? Ammetto, senza discuterlo, il Suo punto di vista. Ma io la Sua amante no. L'amante di nessuno. Chi mi vuole, deve passare dal sindaco.

FAUSTO         Ma ci sono passati altri due, prima di me! E magari il sindaco sarà sempre quello! Che figu­ra ci faccio?

CATERINA     (semplice, dignitosa)  E Lei non ci passi, che nessuno l'obbliga. - Io le avevo mani­festato molta simpatia, perché non so fingere, ma non ho fatto la civetta con Lei. È vero? Dica se non è vero.

FAUSTO         È vero.

CATERINA     Non conosco l'arte di civettare. E per questo odio le avventure e le situazioni equivoche. Chi mi ama mi segua.

FAUSTO         E infatti io l'ho seguita fin qui a Viareggio.

CATERINA     Può anche ripartire, se. crede. Salvo il disturbo del viaggio, siamo al punto di prima. Lei non mi ha detto niente, io non le ho detto niente. (Una lunga pausa.)  Ha capito?

FAUSTO         Ho capito. (Un'altra pausa - quasi indi­gnato)  Ma come ha fatto? Me lo spiega un po'?

CATERINA     (più indignata di lui)  Come fate voi uomini a prendervi le amanti? E non domandate il permesso a nessuno? Seguite soltanto il vostro ca­priccio o il vostro istinto. Io invece sono rimasta nella legge, fedele al Codice e al Sacramento. Ho avuto due mariti.

FAUSTO         Uno dopo l'altro?

CATERINA    Eh! direi.

FAUSTO         Tanto giovane e già... tanto maritata?

CATERINA     Non son tanto giovane. Mi sono spo­sata a diciannove anni; dopo tre anni ero vedova. Mi sono rimaritata a ventiquattro; ho perduto il secondo marito a ventotto; ora ne ho trenta. Vuol saper altro?

FAUSTO         Sicuro che voglio sapere? Oh guarda!

CATERINA     Per farsene? Non ha già detto: « Uno passi, due si chiama abusare »?

FAUSTO         Ho detto, ma mi posso disdire. - Il primo marito, quello del quale ignoravo l'esistenza, come si chiamava?

CATERINA     Giulio Alciati.

FAUSTO         Ah già: Alciati. Il figlio del bell'uomo. Era giovane, anche lui, dunque.

CATERINA    Aveva ventisette anni.

FAUSTO         Come è morto?

CATERINA    È caduto da cavallo.

FAUSTO         Poveretto! - E Lei lo amava molto?

CATERINA     (seria)     Sì, lo amavo.

FAUSTO         (quasi furioso)     E lo confessa, anche!

CATERINA    Vuole che mentisca? Parlo di mio marito: non parlo di un amante.  D'altronde, non esiste una donna a trent'anni senza un passato sentimentale: io ho avuto il mio tutto limpido. Due galantuomini mi hanno dato il loro nome: io ho rispettato quel nome. La stessa tenerezza della quale mi circondano tuttora i loro parenti ne è la prova più luminosa. Quando sono entrata nella casa, ho amato e rispettato chi mi dava il regno di quella casa. - E ora le ho detto tutto. Io sono stata schietta, decisa con Lei: sia altrettanto Lei con me. Lei sa che, se mi maritassi ancora, non obbedirei a una necessità finanziaria... Non sono ricca, ma ho di che vivere. Obbedirei dunque a una inclinazione, a una simpatia. - Dico una sim­patia, perché non piacciono nemmeno a me le parole grosse. Sono una persona di buon gusto an­ch'io, come Lei. - Concludiamo: mi vuole o non mi vuole?

FAUSTO         (con ardore, un po' comico)     Se la voglio!

CATERINA     (calmandolo)  Per moglie, si capisce. (Dolcissima)  Prendere o lasciare.

FAUSTO         (intanto le prende una mano.)     Io...

CATERINA     Vuol prendere?

(Fausto le lascia la mano.)

FAUSTO         Ecco, io vorrei...

CATERINA     O vuol lasciare?

FAUSTO         Io vorrei...

CATERINA     Prendere per poi lasciare?... No, non si può.

FAUSTO         Un momento. Io vorrei...

CATERINA     Aspetti. È meglio che non mi dica quello che vorrebbe. Domani, dopo domani, mi di­rà non quello che vorrebbe, ma quello che vuole. O partirà senza dirmi nulla. - Quello che voglio io, Lei lo sa. Quando Lei è partito da Salso stamani, Lei non sapeva nemmeno quello che precisamente desiderava, si aspettava da me; aveva le idee con­fuse, dica la verità. Ci pensi su: non c'è premura. A meno che non voglia ripartire per Salso... Badi, non so nemmeno se ci siano ancora treni in parten­za. Comunque in una giornata sola Lei ha fatto un viaggio e una dichiarazione. Si riposi, ci dorma su.

FAUSTO         Se mi riuscirà dormire.

CATERINA    Non ha sonno?

FAUSTO         Per ora non ho un letto. Lei mi permette di restar qui, a questo stesso Suo albergo? O devo andare altrove?

CATERINA     Perché? L'albergo è così grande, che non c'è nulla di grave se passeremo la notte sotto il medesimo tetto; forse non saremo nemmeno allo stesso piano! Piuttosto, si affretti a provvedersi la camera, perché rischia di restar senza.

FAUSTO         C'è tanta folla?

CATERINA     L'albergo era al completo, stamani.

FAUSTO         Curiosa! Se non ho visto quasi nessuno!

CATERINA     Perché sono tutti al teatro o alla spiag­gia. - Quando avrà dato le Sue disposizioni, se vuole ci andremo anche noi alla spiaggia. Parle­remo degli amici di Salso... o non parleremo di nulla. Passeggiata meditativa e sentimentale.

FAUSTO         Come è tranquilla, Lei!

CATERINA     (sorridendo)  Mi hanno detto un'ora fa che sono una bellezza placida. - Vuole intanto che chiami il cameriere?

FAUSTO         Io voglio tutto quello che vuole Lei.

CATERINA     A parole.

FAUSTO         Non solo a parole. Gliel'ho detto e Lei l'aveva già indovinato: alla superficie c'è il liber­tino. Sotto - purtroppo - c'è l'appassionato. È il disotto che guasta  il disopra.

CATERINA     Non dica così: agli occhi miei lo mi­gliora. Io detesto i libertini.

FAUSTO         Io li invidio.

CATERINA     Blagueur! Andiamo. Provveda, piutto­sto. (E suona.)  E per stasera, siamo intesi: come a Salso, anzi un po' meno che a Salso.

CAMERIERE    (entra)     I signori hanno chiamato?

FAUSTO         (distratto)  Come dite? Ah, sì. Ci sarebbe una camera libera? Mi mandereste poi a prendere le valigie alla stazione.

CAMERIERE    C'è la camera numero dodici della si­gnora Calmìn che è partita adesso.

FAUSTO         Come "partita"? Se è qui! - Ah, quell'al­tra; la vecchia. - No, vedete se ce n'è un'altra. Preferirei.

(Il cameriere esce.)

FAUSTO         (a Caterina)  Lei mi scusa, è vero, se ap­parisco stonato, distratto, Lei capisce la mia esitazione...

CATERINA    Capisco,  capisco.

FAUSTO I       o devo riordinare le idee e soprattutto io devo superare due ombre. C'è l'ombra del fu numero uno, c'è l'ombra del fu numero due...

CAMERIERE    (riapparisce, annuncia)... C'è il nu­mero tre.

FAUSTO         (balzando)     Ma è proprio un destino!

(Caterina ride clamorosamente.)


ATTO SECONDO

Una stanza-salotto nell'albergo.

(Caterina, in veste da camera, seduta a un tavo-linetto, con un fascio di carte davanti, rivede dei conti. Il signor Balconi, l'amministratore, in piedi, la segue con gli occhi controllando il suo controllo.)

CATERINA     Nove e nove diciotto e cinque ventitré... porto due... due e nove... due e nove undici e sei...

BALCONI       (rispettosamente suggerisce)     Diciassette.

CATERINA     Grazie, diciassette... Le somme sono sempre un guaio per me.

BALCONI       Sarebbero un maggior guaio... le sottra­zioni! (E ci ride su.)

CATERINA     Con Lei non c'è questo pericolo. Di­ciassette e tre venti, porto due. Due e tre cinque. Quattro. Quattromila cinquecento tre. (Fa un se­gno colla matita rossa.)  Benissimo. Lei è sempre ordinato e preciso: amministratore ottimo. (Pren­de un altro conto.)  Beneficenza: per la Casa degli Orfani, lire cento.

BALCONI       Come l'anno scorso.

CATERINA     Per le giovani partorienti... lire centocinquanta.

BALCONI       Cinquanta lire più dell'anno scorso... Sa, le giovani crescono...

CATERINA     (sorridendo)  Ma sì, incoraggiamole a partorire. - Per l'infanzia abbandonata, lire cin­quanta. Totale, trecento. Benissimo. - Ultimo conticino. (E prende un altro conto.)  Fiori. (Legge)  14 febbraio: corona mortuaria per il signor Giulio Alciati, con nastro moiré e la scritta: « Al caro Giulio, la vedova sconsolata ». - È Sua l'iscrizione?

BALCONI       Sì, signora, mia.

CATERINA    Perché  « sconsolata »?

BALCONI       Sconsolata... Sa, la parola dice che è af­flitta... ma non è detto che Lei, un giorno, non potesse anche...

CATERINA     Va bene, va bene. Cinquanta lire. (E fa un segno rosso. Poi riprende la lettura)  16 aprile: corona mortuaria per il signor Cesare Calmìn con nastro moiré e la scritta: « Al caro Ce­sare, la vedova inconsolabile». (Seccata)  È Sua l'iscrizione anche per questa?

BALCONI       (timidamente)  Sissignora, è mia... La si­gnora vede la differenza: « Inconsolabile » che non trova più consolazione... Si tratta del secondo spo­so, e ho creduto di poter abbondare. Il prezzo è uguale: cinquanta lire. Ma nell'iscrizione ho pen­sato di poter dire qualche cosa di più...

CATERINA     Inconsolabile!... Sempre esagerato, Lei... Non c'è mai da fidarsi... Inconsolabile! Il mon­do è finito! La vita è chiusa!... Sempre parole grosse.

BALCONI       (timidamente)  Ma, scusi... io credevo di interpretare...

CATERINA     Lo sa pure che mi piace la semplicità... nossignore! Esagerare, sempre esagerare! (E dà un frego rosso - riunisce in fascio tutti i fogli.)  Vada pure...  e porti via. Si faccia vedere più tar­di... verso le tre. E, un'altra volta, domandi prima di interpretare!

BALCONI       (umile)  Sissignora. Comanda altro?

CATERINA     (seccamente)  Altro. Si diverta.

 (Balconi esce tutto contrito dopo aver fatto due o tre in­chini e urtato due o tre sedie. Caterina si stropic­cia gli occhi, vuol rasserenarsi.) 

Niente... Niente...Poveraccio! Anche lui non poteva sapere...

(E sorride)  Ah! mi dimenticavo la colazione.

(Suona; si bussa.)  Avanti.

CAMERIERE   La signora ha chiamato?

CATERINA     Sì, guardate. Per mezzogiorno fate ser­vire qui la colazione per due. La colazione di table d'hôte.

CAMERIERE    Vini?

CATERINA     Vini leggeri, da pasto. Chianti... e un vino bianco...

CAMERIERE    Capri?

CATERINA     Sì, Capri. E caffè, s'intende. Potete an­dare.

(Il cameriere esce.) 

E ora a vestirmi.

(E corre via, entrando nella sua camera.)

(Per un minuto la stanza resta vuota, poi si sente bussare alla porta. Nessuno risponde. Fausto entra, guarda attorno, e poi si decide a battere discretamen­te alla porta della camera di Caterina.)

FAUSTO         Si può?

CATERINA     (di dentro)  No, non si può.

FAUSTO         Buon giorno, signora Caterina.

CATERINA    Chi è? È Lei?

FAUSTO         Sì, sono io.

CATERINA     Buon giorno, ma non si può egualmen­te. Se non ha fretta, mi aspetti in salotto.

FAUSTO         Aspetterò.

CATERINA     (dopo un minuto, mette la testa fuori)  Vuole che le mandi Sincera a farle compagnia?

FAUSTO         Mi mandi pure Sincera. (E si alza e le tende la mano.)

CATERINA     No, la mano no... perché dietro c'è il braccio, e il braccio è nudo.

FAUSTO         Siamo in una città di bagni!

CATERINA     Sì, ma non sulla spiaggia. Fra cinque minuti sono da Lei. Come è mattiniero!

FAUSTO         E Lei come è bella. (E va per afferrarla.)

CATERINA     (ridendo)  Cucù!

(E gli chiude la porta in faccia; ma presto la porta si riapre; Fausto si precipita, sorridendo; ma Sincera, che richiude die­tro a sé.)

SINCERA        (duramente)     La signorina  mi  manda...

FAUSTO         A tenermi compagnia. Ma sì. Teniamoci compagnia.

(Siede di nuovo e tace. - Sincera, in piedi, incrocia le braccia e tace anche lei. Dopo una pausa, come per un'idea improvvisa) 

Sentite qua, Sincera, e siate sincera di nome e di fatto. Io sono un galantuomo... Ne siete persuasa?

SINCERA        (concedendo)     Pare.

FAUSTO         (offeso)  Come, pare? (Rasserenandosi)  Ah, pare, cioè apparisce, si vede. Dunque dovete sa­pere... (S'interrompe)  Ma forse la signora vi ha già fatto qualche confidenza.

SINCERA        Chi, la signorina?

FAUSTO         La signora... la vostra signora.

SINCERA        Ma per me la mamma della signora è la signora: la signora è la signorina.

FAUSTO         Oh, bella!

SINCERA        (decisa)     Sicuro. Quando io sono entrata a servizio a Siena, la signora era signorina, e per me e per tutta la servitù è rimasta la signorina. In Toscana si costuma così.

FAUSTO         Io preferirei che la chiamaste « la signo­ra ». - La signora vi ha fatto qualche confidenza?

SINCERA        Se son confidenze, non ho a dire a Lei se me ne ha fatte o se non me ne ha fatte.

FAUSTO         Ma voi non siete una cameriera! siete un sofista. - E sia: comincerò io col farvene una per meritare la vostra fiducia: io sposerò la vostra signora.

SINCERA        (ostinata)     La signorina?

FAUSTO         (gridando)  Sì, la signorina. (Calmo)  Vi dispiace? Rispondete: vi dispiace?

SINCERA        Ho a dire la verità? Mi dispiace.

FAUSTO         (stupito)  Ah! sì? Perché? Avete paura di perdere il posto? No: voi resterete al nostro servizio.

SINCERA        Se ci vorrò restare: perché io non approvo.

FAUSTO         Oh! E che cosa non approvate? Perché non approvate?

SINCERA        Non approvo, perché la signorina non è mai stata così bene come adesso. Andiamo, venia­mo, ci muoviamo senza dar conto a nessuno. Se la signorina si sposa una terza volta, perdiamo la li­bertà io e lei.

FAUSTO         Glielo avete detto?

SINCERA        Sissignore, che gliel'ho detto. Mi ha ri­sposto che le vuol bene!

FAUSTO         Cara.

SINCERA        (rabbiosa)     Si è innamorata, capisce!

FAUSTO         Capisco benissimo: che cosa c'è di strano? - Vedrete che con me voi starete bene. Sono un bravo signorino... (Si corregge)  sono un bravo padrone, io. - Di quell'altro non eravate contenta?

SINCERA        Di quale altro?

FAUSTO         Sì... per esempio del signor Giulio. - Sen­tiamo un po', che uomo era il signor Giulio?

SINCERA        Il primo marito della signorina? Ah! era un brav'uomo.

FAUSTO         E dunque! E che cosa faceva?

SINCERA        Che cosa vuol che facesse? Faceva il marito.

FAUSTO         (irritandosi)  Vi domando che cosa faceva per meritarsi di esser giudicato un brav'uomo da voi, che sembrate tanto difficile. Vi domando che carattere aveva. Vi domando com'era fatto. - Era grasso o magro, era biondo o bruno, era sangui­gno o linfatico?

SINCERA        Era biondo, biondo come la canapa. Ma un pezzo d'uomo! Un artigliere, ecco: un artigliere da montagna.

FAUSTO         Il paragone dimostra che avete conoscen­ze nell'arma.

SINCERA        Che cosa intende dire?

FAUSTO         Niente, niente, andate avanti. - Era molto forte, dunque...

SINCERA        Se era forte! Immagini che quando per chiasso sollevava in alto la signorina...

FAUSTO         Ah!

SINCERA        ...la tirava su come un fuscello.

FAUSTO         (chiedendo conferma)  Questo era il si­gnor Giulio?

SINCERA        Sissignore: il signor Giulio.

FAUSTO         Un momento: lasciate che metta in mente bene il particolare per evitare confusioni. (Chiude gli occhi e ripete)  « Giulio, canapa, esercizi musco­lari »... - E quell'altro? Cesare? Era un brav'uomo anche lui?

SINCERA        Mi piaceva più il signor Giulio.

FAUSTO         E com'era? Biondo?

SINCERA        Chi? Il signor Cesare? Ha visto i corvi? Un corvo.

FAUSTO         (come a chieder conferma)    Dunque bruno.

SINCERA        Quando le dico un corvo...! - Ma lui, invece, era magrolino, sottile, smilzo.

FAUSTO         Un momento ancora. (Chiude gli occhi e ripete)  «Cesare, corvo, secco». Andate pure avanti.

SINCERA        Non era come l'altro, che - parlando co­me se fosse vivo - a volte andava in furia come una bestia... La signorina, veramente, non gliene da­va motivo, ma lui, che era tanto buono, aveva il difetto di esser geloso.

FAUSTO         Chi? Cesare?

SINCERA        No, il signor Giulio. - E allora era terri­bile. Mi ricordo che una volta, più tardi, io dissi alla signorina:  Vede, se il padrone... ».

FAUSTO         (quasi sicuro)     Sempre Giulio!

SINCERA        No, il signor Cesare.

FAUSTO         (si lascia cader le braccia)  Sentite, Sin­cera, se non siete più ordinata nel vostro racconto, è una disperazione.

SINCERA        Ma se Lei non si spiega! Vuol parlare di due a un tempo!

FAUSTO         (irritato)     Perché voglio sapere di tutti e due. E bisogna che io sappia presto. Capirete che io  non ho l'intenzione di passare tutta la vita a chieder notizie dei mariti di mia moglie.

SINCERA        (calmandolo)  Non si inquieti, non si in­quieti. - Dunque, andiamo in ordine. Il primo era il  Conte Giulio Alciati, il secondo il signor Cesare Augusto Calmìn...

FAUSTO         Ah! Non soltanto Cesare... Si chiamava anche Augusto! Giulio e Cesare Augusto! Quanta storia romana è passata fra le braccia della mia fidanzata!

SINCERA        (sgomenta)  Ah, perché tra Loro due è già cosa fatta? Si sono già fidanzati?!

FAUSTO         Sì, Sincera, da ieri sera alle dieci... o se preferite, alle ventidue. Avevo detto iersera: « Aspetterò domattina ». E, invece... ci siamo de­cisi prima. Perché siamo usciti, iersera... siamo stati alla spiaggia, iersera... e tutto incitava all'amore, nel matrimonio e fuori del matrimonio: la luna... le stelle... le barche da pesca... il mare in bonaccia... chi avrebbe resistito?! E io non volevo nemmeno resistere. Perché, se non ti dispiace, io l'amo, capisci. Se mi avesse confessato dodici amanti, avrei inghiottito anche quelli.

CATERINA     (rosea, ridente)  Sono qui. Ha dormito bene? (E gli dà la mano.)  Ora sì.

FAUSTO         (le bacia la mano, e dice)  Non ho dor­mito, ma non conta.

CATERINA     No? - Va', Sincera. (Sincera esce.)  Io, invece, ho dormito tutto d'un fiato, e mi sono sve­gliata d'ottimo umore. Lei di che umore è? (Dol­cissima)  Tu di che umore sei? Non sei mica pentito?

FAUSTO         Io?! Sono felice, perché ti adoro. « Lin­gua mortal non dice quel ch'io sentiva in seno ».

CATERINA     (sorridendo)  Giacomo Leopardi. Sia­mo esatti nelle citazioni.

FAUSTO         (riconferma)  Brava: Giacomo Leopardi! Sono felice, con quella puntina di rammarico che fa più gustosa la felicità.

CATERINA    Sentiamo la puntina.

FAUSTO         Ecco... Per esempio... ho saputo che Ce­sare ti sollevava come un fuscello.

CATERINA    Chi te l'ha detto? Non è vero.

FAUSTO         Ah, già: ho confuso. Era Giulio che si abbandonava agli esercizi atletici e muscolari. Ce­sare si chiamava anche Augusto, ed era il corvo secco.

CATERINA     La finisci? Ti prego! Bada che vado in collera. (E qui fa l'atto di alzarsi.)

FAUSTO         Non vedi che scherzo? Che m'importa di quello che facevan loro; loro, al più, sono stati ama­ti, io sono amato adesso. Il presente è per me. - Sol­tanto, fammi una grazia. Si tratta di una bugia, e io detesto le bugie... ma quando le dicono gli altri. E poi si tratta di una piccola bugia.  Per la gente che non sa tutti i fatti tuoi, regolati come avevi fatto con me... Sopprimi un marito, sii la vedova di un solo marito. Di Giulio e di Cesare fa' un ricordo solo, un nome solo. È già abbastanza esser la ve­dova di Giulio Cesare! - E ordina a Sincera che, almeno davanti a me, non ti chiami « la signo­rina ».

CATERINA    Ah, hai saputo anche questo da  lei?

FAUSTO         Sì, e mi ha detto che non approva che tu ti sposi ancora.

CATERINA     Ah no? (Sorridendo)  Approverà. E se non approverà, faremo a meno della sua approva­zione.  Vedi?  Grazie al  mio stato vedovile, godo di una libertà che non potrei avere se tu mi spo­sassi fanciulla. Io non ho bisogno del consenso di nessuno: sono padrona di me, tanto che noi pos­siamo sposarci anche domani, se vuoi.

FAUSTO         Non esageriamo. Domani, no, perché non abbiamo le fedi di stato libero.

CATERINA     Voglio dire che nessuno può contra­stare o ritardare la nostra felicità. Io non dipendo da nessuno, non ho da chiedere a nessuno.

FAUSTO         E nemmeno io.  Io, di parenti stretti, non ho che una zia ricchissima, immobile e immortale. Vive, anzi... giace a Siena.

CATERINA     (stupita e gaia)  A Siena? Tu sai che ci vive anche mia madre, a Siena, e che vi ho passato la mia prima giovinezza?

FAUSTO         Sì, me lo avevi detto. E me lo ha detto anche Sincera.

CATERINA     (divertita)  Anche questo? in così po­co tempo?

FAUSTO         E così, a tua madre non credi di dover chiedere?

CATERINA     A lei, si capisce. Ma vedrai che sarà contentissima.  E così, tanto per formalità, lo scri­verò anche alla signora Calmìn.

FAUSTO         Anche alla signora Calmìn?!

CATERINA     Per riguardo. Mi vuol bene come a una figliola.

FAUSTO         Non glielo puoi far sapere dopo? scriver­glielo a cose fatte?

CATERINA    Povera donna! È stata mia suocera.

FAUSTO         Allora anche al Conte Alciati?!

CATERINA     (si raccomanda)  Non andare in col­lera.

FAUSTO         (calmo)  Per così poco? Figurati! Soltan­to, siccome avevi detto: « Io non ho bisogno del consenso di nessuno » ... Siamo già a tre, mi sem­bra.

CATERINA     Non si tratta dì consensi. Si tratta di rispetto alle convenienze; tanto è vero che sono pronta a fissare fino da oggi luogo e data del ma­trimonio. - Quando vuoi che ci sposiamo?

FAUSTO         Alla fine di settembre.

CATERINA    Benissimo. Alla fine di settembre. Do­ve vuoi che ci sposiamo?

FAUSTO         Io direi a Siena.

CATERINA     (esitando)     Ecco... a Siena...

FAUSTO         Ci sono delle difficoltà?

CATERINA     Se ci tieni che sia a Siena... Ma se invece ti è indifferente...

FAUSTO         Perché? Ci sono delle difficoltà?

CATERINA     (sempre esitando)     Io dico per te.

FAUSTO         Ho capito... le altre volte ti sei sposata a Siena. (Caterina tace.)  Non ti preoccupare. Non c'è mica bisogno di sposarsi a Siena. L'Italia è grande. Ci sposiamo a Roma, a Tripoli, a Derna... A Roma, ti va? A Roma. Quel che importa si è che ci sia un Sindaco e che la sposa sia bella. E tu sarai bellissima... Tutta vestita di bianco. (Vede la smorfia di Caterina)  Ah già, di bianco no... Tut­ta vestita di nero.

CATERINA     Di nero, poi...

FAUSTO         Tutta vestita di bigio... Il nostro è un ma­trimonio di mezzo lutto. - Insomma, comunque sa­rai vestita, sarai bellissima. Voglio invitare alle nozze tutta Roma.

CATERINA     (opponendosi   timidamente)  Scusa... non ti parrebbe meglio far senza fasto, senza chias­so? Una cosa più intima... più raccolta... più ca­rina... Capirai, nella mia condizione...!

FAUSTO         Giusto, non ci avevo pensato. Non invi­tiamo nessuno.

CATERINA     Meglio nessuno, che troppi.

FAUSTO         Io e te, te e io.

CATERINA     (sorridendo)     E i testimoni.

FAUSTO         (approva)     E i testimoni.

CATERINA    E tua zia.

FAUSTO         E mia zia...

CATERINA    E mia madre.

FAUSTO         E la signora Calmìn... e il Conte Alciati...

CATERINA     (comicamente irritata)  Non ricomin­ciare, sai. Sei tanto carino quando sei di buon umore! - Mi sei piaciuto subito quando ti ho co­nosciuto, ma ogni ora, ogni minuto, tu mi piaci di più, ti voglio più bene, e sono più contenta. Ma anche tu sei contento, vero?

FAUSTO         Contento è poco, ti ho detto! Felice. So­no felice. - Intanto, mentre si aspetta che le carte sian pronte, facciamo una cosa io e te, te e io: facciamo colazione, da soli - La cosa ti compromet­te? Oggi mi piace comprometterti un poco. La com­promissione è il tartufo sulla vivanda casalinga. - Tu esiti. Non puoi?

CATERINA     (esitando)  Io e te soli, non posso... Io ho invitato...

FAUSTO         Chi?

CATERINA     Il Conte Alciati. (Subito)  Ma la colpa è tua! (Gli carezza una mano.)  Sicuro. Piombi qui all'improvviso! Se lo avessi saputo, gli avrei tele­grafato: « Non si muova » . Ma così, io non posso esser villana con lui che è venuto a passare quindici giorni con me, e piantarlo subito il primo giorno. - Vuol dire che invito a colazione anche te.

FAUSTO         Sarà per un'altra volta... Sarà pel pran­zo, ecco.

CATERINA     Ma a pranzo sono invitata io da lui! - Credi a me, il Conte Alciati è persona amabilissima. Ti troverai bene, con lui. Fammi il piacere, accetta.

FAUSTO         (rassegnato)     Se è per farti piacere...

CATERINA    Bravo, grazie. - Ora tu te ne vai...

FAUSTO         Perché me ne devo andare?

CATERINA     Ma poi torni. Capirai: non è conve­niente che io alle dieci del mattino riceva un uomo...

FAUSTO         Sono più delle dieci... E io sono più di un uomo: sono il tuo fidanzato.

CATERINA    Ma lui non lo sa.

FAUSTO         Glielo facciamo sapere.

CATERINA    No, amore, no.

FAUSTO         (deciso)    Perché no?

CATERINA     Perché non è il momento buono... per­ché bisogna procedere con tatto. Dammi retta: ora tu te ne vai e poi torni quando c'è il Conte. - Io ti dico: « Oh Lei già qui? Vuol restare a colazio­ne? » Tu dici: « No, grazie ». Io insisto. Tu finisci per restare.

FAUSTO         Non possiamo dire al Conte che tutto que­sto è già avvenuto? Tu mi hai detto: « Lei già qui? ». Io ti ho detto: « Io già qui ». Tu mi hai detto: « Resti a colazione ». Io ti ho detto:  Re­sto a colazione ». Semplifichiamo le cose, santo Dio! - Per quanti hai ordinato?

CATERINA    Per due.

FAUSTO         (suonando il campanello)  Ecco, vedi: ora ci penso io a rimediare.

CATERINA     Che fai?

FAUSTO         Chiamo il cameriere. Gli dico che invece siamo tre.

CATERINA     (spaventata)  Dopo. Glielo diciamo do­po. Altrimenti il Conte, vedendoti così di buo­n'ora, può sospettare.

FAUSTO         Oh, insomma, io comincio ad averne ab­bastanza del signor Conte! Tu usagli tutti i ri­guardi che vuoi; io voglio restare con te quanto mi piace. E soprattutto voglio dire che sono il tuo fidanzato.

CATERINA    E tu dillo, ma non a lui.

FAUSTO         A chi? Se non conosco nessuno!

(Bussano discretamente.)  Avanti.

(Il cameriere entra.) 

Oh, bravo! Giusto voi! (annuncia, solenne)  La si­gnora è mia fidanzata.

CAMERIERE    (lo guarda stupito)  Tanto piacere.

CATERINA     (a Fausto, battendogli sulla mano)  Matto!

FAUSTO         E ci sposiamo a settembre. Vi manderemo i confetti.

CAMERIERE    Tante grazie. Comanda altro?

FAUSTO         Sì. No. Potete andare per ora. Vi chiame­remo più tardi. Forse saremo tre a colazione.

(Il cameriere esce.)

FAUSTO         Ah, ora sì che sono contento!

CATERINA     (tra l'indignazione e l'ilarità)  Io dico, parola d'onore...

FAUSTO         Tu non dir nulla. Ho messo l'irrepara­bile fra noi due: il solo irreparabile possibile quan­do si tratta di una signora onesta come te. Ho par­tecipato a un estraneo - sia pure un salariato - che ci siamo scambiati l'anello. Anzi, scambiamoci l'anello. - Ah, no. Non possiamo fare nemmeno questo perché tu hai ancora al dito la fede di quell'altro.  Ti prego, levati quell'anello.

CATERINA    Se il Conte Alciati se ne accorge...

FAUSTO         Sii buona: fallo per amor mio. Levati l'anello.

CATERINA     (tentando invano di togliersi l'anello dal dito)  Non posso... O Dio, non posso. (Quasi pian­gendo)  Lo vedi che non posso?

FAUSTO         Non hai una lima? Vado a prendere la lima.

CATERINA    È domenica. I negozi sono chiusi.

FAUSTO         Riposo festivo. Fa niente. La chiedo al portiere.

(E si mette il cappello in testa, apre la porta e si trova faccia a faccia col Conte Alciati.) 

Ah, pardon!

CATERINA     Il signor Fausto Defalchi... il Conte Fabio Alciati.

FAUSTO         Felicissimo. - Vado a prendere una lima e torno.

ALCIATI         Una lima!  Per che farne?

FAUSTO         (rimane un minuto pensieroso)  Già; per che farne? (A Caterina)  Se la signora non ha pre­mura, sarà per un'altra volta.

ALCIATI         (dopo una pausa di imbarazzo)  Il signore ieri ha viaggiato con me. Posso aggiungere che era molto agitato.

FAUSTO         Può darsi.

ALCIATI         Gesticolava...

FAUSTO         Ah, sì?

ALCIATI         Non se n'è accorto? Già, uno non si ren­de ragione dei movimenti istintivi. - Non si me­ravigli delle mie osservazioni. Io sono per natura un osservatore.

FAUSTO         Ah, ecco. Mi congratulo.

ALCIATI         Sicuro. Lei ieri guardò tre o quattro volte l'orologio. Pareva impaziente di arrivare a Viareggio... come se qualcuno l'aspettasse...

FAUSTO         Invece non mi aspettava nessuno.

ALCIATI         (sorpreso e dubitoso)  Davvero? Avrei giurato il contrario.

FAUSTO         Sa... non avevo ancora visto il mare...

ALCIATI         Oh bella! Mai visto il mare! Un giovanotto come Lei! - Ma scusi, Lei di dov'è?

FAUSTO         Io? Son veneziano.

ALCIATI         E non ha mai visto il mare?

FAUSTO         (completa)  Il mare Tirreno... Mai visto il Tirreno. L'Adriatico lo so a memoria... ma il Tir­reno no. Me l'avevano tanto decantato: « Va' a ve­dere il Tirreno, va' a vedere il Tirreno ». Sono ve­nuto a vedere il Tirreno.

ALCIATI         E come l'ha trovato?

FAUSTO         Benissimo, grazie. E Lei?  E Lei, dico, come si trova a Viareggio?

ALCIATI         Molto bene. E poi sono qui con la mia figliola. (E dà uno strizzone amoroso a Caterina.)  Perché, Lei non lo sa, ma questa è come una mia figliola.

(Caterina sorride tra il dolce e l'amaro.)

FAUSTO         (ruggisce)  Lo so. (Dolce)  Lo so. Me lo ha detto la signora quando era a Salso: « Se viene a Viareggio, conoscerà il Conte Alciati. È il mio pa­pà... Per me è come il mio papà ».

ALCIATI         (dà un secondo strizzone a Caterina)  Ca­ra!  E a Salso, molta gente? Molte belle signore?

CATERINA     Scusi, babbo, se la interrompo. - Signor Defalchi, vuole restare a colazione con noi?

FAUSTO         La ringrazio, signora, ma non posso.

CATERINA     La prego! Senza complimenti! Resti, ci fa piacere.

FAUSTO         (sempre fingendo di esitare)  La ringra­zio... sarà per un'altra volta.

CATERINA    Andiamo... se la prego!

ALCIATI         (a Caterina)  Ti ha detto che non può, è inutile che tu insista. Avrà qualche altro impe­gno. Te l'ho detto: gesticolava!

CATERINA     Se non conosce nessuno a Viareggio!

ALCIATI         Che ne sai tu? Intanto in vagone c'era una bella donnina. Ed è scesa a Viareggio.

FAUSTO         E con questo?

ALCIATI         Le ripeto che sono un osservatore... e qualche volta gli osservatori sono indiscreti.

CATERINA     (che  comincia a seccarsi)  Ah! c'era una bella donnina?

FAUSTO         Io non me ne sono accorto.

ALCIATI         Andiamo, via, non esageri adesso. Se le ha pestato anche un piede!

FAUSTO         (furioso)  Le dò parola che non me ne so­no accorto.

ALCIATI         Se le ha anche detto « pardon »!

FAUSTO         Cosa vuole che mi ricordi... - Lei non è soltanto un osservatore: è anche un... ascoltatore.

ALCIATI         In treno? in treno sì: non mi riesce nean­che di leggere il giornale, si figuri! - Osservo e ascolto.

FAUSTO         Quand'è così, signora, resto a colazione, per dimostrare la mia innocenza... che sono li­bero di me. Se vuole che avverta il cameriere...

CATERINA     (fredda)  Penso io, penso io. - Ma se non può...

FAUSTO         Posso, posso. (È già corso anche lui al campanello; a bassa voce)  Ti giuro... ti giuro...

CATERINA     Ti giustificherai poi. (E suona.)

FAUSTO         (al Conte Alciati)  Lo vede come si forma­no le leggende! Io non ci pensavo nemmeno, e Lei vien fuori a compromettere un galantuomo e una signora che non conosco! (Si bussa.)

CATERINA     Avanti. (Al cameriere che entra)  Ag­giungerete un coperto. Siamo tre a colazione.

CAMERIERE    Sissignora, sarà fatto. - Ma intanto... intanto c'è la signorina Omodei. Faccio entrare?

CATERINA     Vieni, carina, vieni.

(La signorina Omodei entra, il cameriere scompare con un pic­colo inchino - Presentandola) 

Il Conte Alciati, il signor Defalchi, la signorina Omodei.

(Accarezzandole il mento)  Un amore, come vedete.

ALCIATI         Felicissimo.

LA OMODEI   Scusi, signora Caterina, se son ve­nuta di buon mattino. Ma non l'abbiamo vista ieri sera, e così le porto il biglietto per la festa dì domani sera.

ALCIATI         C'è una festa domani sera?

LA OMODEI   Sì, signore. Si balla a beneficio dei ba­gnini. Tutti gli anni il 16 di agosto. Io sono del comitato. - Hanno insistito tanto!

ALCIATI         (galante)  Avrei insistito anch'io.

CATERINA     Ti vado a prendere i denari. (Per uscire.)

ALCIATI         (dà un secondo strizzone a Caterina)  Ca­ra!  E a Salso, molta gente? Molte belle signore?

CATERINA     Scusi, babbo, se la interrompo. - Signor Defalchi, vuole restare a colazione con noi?

FAUSTO         La ringrazio, signora, ma non posso.

CATERINA     La prego! Senza complimenti! Resti, ci fa piacere.

FAUSTO         (sempre fingendo di esitare)  La ringra­zio... sarà per un'altra volta.

CATERINA    Andiamo... se la prego!

ALCIATI         (a Caterina)  Ti ha detto che non può, è inutile che tu insista. Avrà qualche altro impe­gno. Te l'ho detto: gesticolava!

CATERINA     Se non conosce nessuno a Viareggio!

ALCIATI         Che ne sai tu? Intanto in vagone c'era una bella donnina. Ed è scesa a Viareggio.

FAUSTO         E con questo?

ALCIATI         Le ripeto che sono un osservatore... e qualche volta gli osservatori sono indiscreti.

CATERINA     (che  comincia a seccarsi)  Ah! c'era una bella donnina?

FAUSTO         Io non me ne sono accorto.

ALCIATI         Andiamo, via, non esageri adesso. Se le ha pestato anche un piede!

FAUSTO         (furioso)  Le dò parola che non me ne so­no accorto.

ALCIATI         Se le ha anche detto « pardon »!

FAUSTO         Cosa vuole che mi ricordi... - Lei non è soltanto un osservatore: è anche un... ascoltatore.

ALCIATI         In treno? in treno sì: non mi riesce nean­che di leggere il giornale, si figuri! - Osservo e ascolto.

FAUSTO         Quand'è così, signora, resto a colazione, per dimostrare la mia innocenza... che sono li­bero di me. Se vuole che avverta il cameriere...

CATERINA     (fredda)  Penso io, penso io. - Ma se non può...

FAUSTO         Posso, posso. (È già corso anche lui al campanello; a bassa voce)  Ti giuro... ti giuro...

CATERINA     Ti giustificherai poi. (E suona.)

FAUSTO         (al Conte Alciati)  Lo vede come si forma­no le leggende! Io non ci pensavo nemmeno, e Lei vien fuori a compromettere un galantuomo e una signora che non conosco! (Si bussa.)

CATERINA     Avanti. (Al cameriere che entra)  Ag­giungerete un coperto. Siamo tre a colazione.

CAMERIERE    Sissignora, sarà fatto. - Ma intanto... intanto c'è la signorina Omodei. Faccio entrare?

CATERINA     Vieni, carina, vieni.

(La signorina Omodei entra, il cameriere scompare con un pic­colo inchino - Presentandola) 

Il Conte Alciati, il signor Defalchi, la signorina Omodei.

(Accarezzandole il mento)  Un amore, come vedete.

ALCIATI         Felicissimo.

LA OMODEI   Scusi, signora Caterina, se son ve­nuta di buon mattino. Ma non l'abbiamo vista ieri sera, e così le porto il biglietto per la festa dì domani sera.

ALCIATI         C'è una festa domani sera?

LA OMODEI   Sì, signore. Si balla a beneficio dei ba­gnini. Tutti gli anni il 16 di agosto. Io sono del comitato. - Hanno insistito tanto!

ALCIATI         (galante)  Avrei insistito anch'io.

CATERINA     Ti vado a prendere i denari. (Per uscire.)

LA OMODEI   Oh, non c'è premura;  me li darà.

CATERINA     No, no, pago subito. - Dieci lire, non è vero?

LA OMODEI   Sì, signora, dieci lire.

(Caterina esce.) 

E Loro, signori, ne vogliono biglietti?

ALCIATI         Ma sì, me ne dia uno. (E trae il porta­fogli.)

LA OMODEI   Grazie. - Mi ripeta il Suo nome, scusi. I biglietti sono strettamente personali.

(Alciati fa per prendere una penna.) 

Grazie, ho quanto occorre. (E trae una matita.)

ALCIATI         (dettando)    Conte Fabio Alciati.

LA OMODEI   (scrivendo, ripete)  Conte Fabio Al­ciati. (Prende le dieci lire.)  Grazie. E Lei, signor Defalchi?

ALCIATI         Ah, il suo nome lo ricorda?

LA OMODEI   Sa, Conte: quando capita in albergo un signore giovane, noi ragazze ci si informa subito.

ALCIATI         (ridendo)    Ah, bene.

LA OMODEI   Non si sa mai; potrebbe essere un marito. (Amabilmente a Fausto)  E dunque, signore?

FAUSTO         Ma io, veramente, non ballo.

LA OMODEI   Nemmeno il signor Conte ballerà, ep­pure...

ALCIATI         (piccato)  Io sì. Perché non dovrei bal­lare?

LA OMODEI   Tanto meglio. (A Defalchi)  Andiamo, non mi dica di no! Sarebbe il primo. - Pensi che può correre il rischio d'affogare, e se i bagnini san­no che non ha voluto i biglietti, lo lasciano andare a fondo senza pietà.

FAUSTO         Ma io non faccio bagni.

LA OMODEI   Pensi al Suo prossimo. Ieri un ba­gnino ha salvato un cane che già se ne andava a fondo.

FAUSTO         Se è così... (E mette la mano al portafogli mentre Caterina rientra.)

LA OMODEI   Bravo. (E scrive)  Signor Fausto De­falchi.

FAUSTO         (dopo aver guardato il portafogli estrae un biglietto)  Non ho che un foglio da cinquanta.

LA OMODEI   (lo prende)    Oh, basta! Fin troppo!

FAUSTO         Già, ma... il resto?

LA OMODEI   Non dò resti... Se vuole altri quattro biglietti... - Andiamo! un signore ricco come Lei...!

FAUSTO         Sa anche questo?!

LA OMODEI   Tutto. Polizia segreta. - Lei risiede a Roma, proviene da Salso...

FAUSTO         (pronto)     Basta, basta.

LA OMODEI   Le ho detto: le ragazze si informano. E poi ci sono le mamme. - A rivederla, signora Caterina; signor Conte, signor Defalchi. - Se vuo­le, il primo valzer è per Lei.

FAUSTO         Le ho detto che non ballo.

LA OMODEI   Ne discorreremo. Resto impegnata. (E saluta col capo ed esce.)

ALCIATI         (pimpante)  È un demonietto. Un vero demonietto.

CATERINA    È graziosa... è molto graziosa.

ALCIATI         Io la invidio, signor Defalchi; badi di non mancare, domani sera.

FAUSTO         Se ne avrò voglia!

ALCIATI         Deve averla! Che diamine!... Quando una signorina la invita... Altrimenti vuol dire che Lei ha altri impegni, e che quella signora del vagone...

FAUSTO         (seccato)     Torna da capo?

CATERINA     (affettuosa)  Ma sì, signor Defalchi, ci venga, ci venga. Non ballo nemmeno io, e ci ter­remo compagnia. In ogni caso, la signora del va­gone non può pretendere che Lei si rinchiuda in una camera o che fugga... E chi sa che non sia anche lei alla festa... (Maliziosa)  Non crede? Guar­di: io giurerei di sì! (Poi piano, in fretta)  Ti amo.

ALCIATI         La signorina Omodei l'hai conosciuta qui a Viareggio?

CATERINA     Sì, fin dall'altr'anno. E quest'anno ce l'ho ritrovata subito il primo giorno. Mi ha fatto molta compagnia. È vivace... è piccante. Non vi potete immaginare com'è cambiata in un anno, com'è cresciuta. Alla sua età le ragazze fanno certe sorprese! Le lasciate bambine, e l'anno dopo le trovate già donne, con tutte le civetterie, tutte le astuzie, tutte le punte.

ALCIATI         ...E le curve! - Gran bella età... gran bella età.

CATERINA     Oe, oe, babbo...

ALCIATI         Si capisce; invecchio, mi piacciono le gio­vani; anzi le giovanissime. Per me si tratta più che altro di guardare: dunque, tanto fa... (A Fau­sto)  A Lei piacciono le donne mature? - Creda a me: le signorine hanno un fascino, un certo che... che nelle mature non si trova. - Sa cosa diceva mio padre che se ne intendeva? - Pensi: io sono nato quando lui aveva cinquant'anni e dopo di me c'erano altri tre fratelli... (a Caterina)  Tu non sentire che non sono cose che ti riguardano. (A mezza voce, a Fausto)  Mio padre diceva: le donne mature sono buone per l'avventura… ma per la passione, per la suite, ci vogliono quelle altre... Sì, perché la donna maritata è quasi sempre un guaio, e la vedova è come una viaggiatrice alla quale il secondo marito, o l'amante, mostra un paesaggio che lei già conosce. (E ride)  Ha capito? - Non ha sorprese... Non si appassiona... Il paesaggio lo co­nosce già... - È carina! Vero che è carina? (E ride ancora.)

FAUSTO         (aspro)  Suo padre era un uomo di molto spirito; e anche Lei.

ALCIATI         Io? Gliel'ho detto: io sono un osservato­re. (Ad alta voce)  E dunque, questa signorina Omodei...

CATERINA     (interrompe scherzosa, via decisa)  Ba­sta, eh? Se ne occupa troppo! Parliamo d'altro.

ALCIATI         Ma sì, parliamo d'altro. - Sai, Caterina, per il pomeriggio ho fissato una charrette: andia­mo su per la strada di Lucca: un po' guidi tu, un po' guido io...

CATERINA     (indicando Fausto)     Ma... c'è il signore...

ALCIATI         Non dorme, Lei, nel pomeriggio?

FAUSTO         No, non dormo.

ALCIATI         Mi dispiace, ma i posti son due...

CATERINA     Resto io a casa, se crede!

FAUSTO         Ah, no.

CATERINA    E allora, rinunziamo alla passeggiata.

ALCIATI         E va bene. Allora sarà per domani. Per oggi restiamo tutti e tre in albergo. - Sa giocare a poker?

FAUSTO         Io no.

ALCIATI         Lei non balla, non fa bagni, non gioca: Dio la benedica, ma che cosa sa fare allora?

(Bussano discretamente.)

CATERINA     Avanti. (Entra il cameriere.)  Che vo­lete?

CAMERIERE    La signora Calmìn.

CATERINA    Sono io.

CAMERIERE    (sorridendo)  No signora.

CATERINA     (prontissima)  Come,  no signora?!...

 CAMERIERE   Voglio dire: c'è la signora Calmìn.

ALCIATI e CATERINA (Sbalorditi)  La signora Calmìn?

FAUSTO         (balzando)  Anche la signora Calmìn!! (E ricade su una sedia.) 

CATERINA     Non è più partita?

LA CALMÌN    (entrando)  Sì, cara. Sono partita, ma sono qui un'altra volta. (E abbraccia Caterina).

(Il cameriere esce.)

LA CALMÌN    Ho il piacere di ritrovare il signor Conte. Sono venuta anche per Lei.

ALCIATI         (stupito)  Per me?

FAUSTO         (ripete desolato, a bassa voce)  Anche la signora Calmìn!

LA CALMÌN    Ma sì. Ora le spiego. - Quando ieri sera mi son trovata sola in treno, ho pensato che mi ero condotta male con te... Sì, lasciami dire... e col signor Conte. Con te ero stata ingiusta e col signor Conte poco garbata. Avevo obbedito a un risentimento che poi, ripensandoci sopra, riconob­bi per lo meno eccessivo. Volevo scriverti o tele­grafarti, ma poi mi è parso meglio venir di per­sona a giustificarmi.

CATERINA     Mamma... che dice mai?

ALCIATI         Io non ho l'impressione che Lei mi do­vesse nessuna rettifica.

LA CALMÌN    (pronta)   No, la prego. Non mi accade di frequente di riconoscere di aver torto. Ma quando lo riconosco (energica)  so quello che fac­cio e non desidero di essere contraddetta. - Così ieri sera mi sono fermata a Lucca, ci ho dormito, stamani ho ripreso il treno e sono qui.

ALCIATI         Che le debbo dire. Dal momento che non vuol essere contraddetta!

FAUSTO         (sempre più desolato)  Anche la signora Calmìn!

CATERINA     E quanto si ferma?

LA CALMÌN   (sorridendo   misteriosamente)  Mah! Ho un certo progettino!.. (Al Conte)  Lei mi deve aiutare!

CATERINA    Io non oso dirle di restare a colazione con noi...

LA CALMÌN    Perché non vuoi osare? Anzi, osa; resto volentieri.

CATERINA     Temevo che la presenza di un estraneo...

LA CALMÌN    Il signor Conte non è un estraneo.

CATERINA     Già, ma io mi ero permessa di invi­tare anche... (E accenna a Fausto sorridendo.)

LA CALMÌN    Che c'è di male? Ci sarà pur da man­giare per tutti in albergo.

CATERINA     Allora, se permette... (E chiama)  Si­gnor Defalchi! (E presenta)  Il signor Fausto De­falchi... la signora Calmìn.

(Fausto s'inchina.)

LA CALMÌN    Ah, il signore di ieri sera, se non sbaglio.  Lei è qui per i bagni?

FAUSTO         No.

(Caterina gli accenna di dire di sì. e Fausto corregge)  Sì.

LA CALMÌN    Sì o no?

FAUSTO         Mi spiego. Son qui per i bagni... ma non faccio bagni. Faccio i bagni di sole. Il medico mi ha detto che per i bagni di sole l'acqua di mare è molto adatta.

CATERINA     (per deviare)  Il signor Defalchi scher­za sempre... - Bisogna avvertire il cameriere che aggiunga un altro coperto. - Suoni, signor Defal­chi... faccia qualcosa.

FAUSTO         (a Caterina)  Ma io non resto... È inuti­le... non resto.

CATERINA     (piano)    Ti prego, Fausto, ti prego.

FAUSTO         La prima colazione intima... con due suoceri!

CATERINA     Per amor mio. Resta per amor mio. (E suona - poi alla signora Calmìn)  Diceva, mam­ma, che ha un'idea... un progettino...?

LA CALMÌN    Ne parleremo a tavola, se credi.

CATERINA     (al cameriere che entra)  Un coperto di più: siamo quattro a colazione.

CAMERIERE    (mentre si avvia per uscire - a Fau­sto)  È naturale! In occasioni simili capitano tutti i parenti.

FAUSTO         Quale occasione?

CAMERIERE    Il signore non mi ha detto che si è fidanzato? (Ed esce.)

LA CALMÌN    Ma possiamo parlarne anche subito. Dunque, senti: tu, il tuo corso di bagni lo hai quasi finito. Restavi qui per il signor Conte. Ora alla Torretta non c'è nessuno ad aspettarmi, sicché io non ho l'obbligo di esserci oggi piuttosto che do­mani. Tu mi hai promesso una visita in campagna. Perché non la faresti adesso? Partiremo insieme... domani... dopodomani... quando vuoi.

ALCIATI         E io?

FAUSTO         Giusto: « e io? ».

LA CALMÌN    Un momento, signor Conte. Sentiamo prima che cosa rispondi tu.

CATERINA     Ma... non so... Lei stessa lo ha detto... C'è qui il babbo...

LA CALMÌN    (interrompe)  Sì, ci ho pensato, e ho rimediato anche a questo. Il signor Conte non tiene a Viareggio... tiene alla tua compagnia. (Volgen­dosi al Conte)  È vero?  Se Ella volesse accettare la mia ospitalità alla Torretta...

ALCIATI         Onoratissimo, signora, ma non posso: ho da vedere qualcuno in Toscana.

LA CALMÌN    (seccamente)  Sta bene: sia per non detto.

FAUSTO         (sollevato d'un peso)  Ah, meno male! Questa è accomodata.

ALCIATI         Piuttosto c'è un altro rimedio. Io sarò solo - intendi, Caterina? - solo per tutto il settem­bre. - Vuol dire che tu potrai dividere il settembre tra la signora Calmìn e me.

CATERINA    Ma ecco, io...

LA CALMÌN    Benissimo. Il signor Conte ha trovato come non si potrebbe meglio: quindici giorni da me, quindici giorni da lui.  Tanto, in settembre, tu che hai da fare?

FAUSTO         (piano, furioso)  Ah, niente. Sposarsi.

CATERINA     (volge gli occhi supplichevoli a Fausto)  Io non so... dica Lei.

LA CALMÌN    Lui - scusa - che c'entra lui? Sta a te il decidere. Quindici giorni in campagna con me, alla Torretta... quindici giorni a Roma col signor Conte. - Domando io se non è un bel pro­gramma.

FAUSTO         (si lascia sfuggire)  Bellissimo!                      

LA CALMÌN    (decisa)  Lo vedi? Volevi il parere del signore; anche il signore approva. - E poi, cara, (sorridendo)  è inutile: oramai sei sotto la nostra tutela, vero Conte? Non ne esci più per tutta la vita.

FAUSTO         (timidamente)  A meno che non venga un marito a metter le cose a posto...

LA CALMÌN    (ridendo)  Uhhh! È lì che cova il marito!

ALCIATI         (ridendo anche lui)  Di questi tempi!

LA CALMiN    (ridendo a Caterina)  A meno che tu non abbia il trust dei mariti...

ALCIATI         Perché sarebbe il terzo. Vorrei vederlo in faccia: dovrebbe essere un bel tipo.

LA CALMÌN    Già, non viene... e se anche venisse, l'avrebbe da fare con noi.

ALCIATI         Cosa ti dicevo ieri? Non ci hai mandato via quando potevi: siamo noi che si comanda.

LA CALMÌN    Quindici giorni da lui, quindici gior­ni da me.

ALCIATI         A meno che tu non voglia fermarti a Roma anche un po' d'ottobre.

FAUSTO         (a  Caterina)  Io scoppio: se non parlo, scoppio.

(Bussano ancora.) 

FAUSTO         (furioso)  Avanti!

CAMERIERE    C'è abbasso una signora che desidera la signora.

FAUSTO         (che oramai è eccitatissimo)    La signora non può. Non vedete che non può? Non vedete che siamo sul punto di andare a tavola? che è tutto pronto per andare a tavola?

ALCIATI         (a mezza voce, pronto)  Ma non c'è nulla!

CAMERIERE    Gliel'ho detto: insiste. (Sorridendo a Fausto)  Vedrà che è una sorpresa!

FAUSTO         Non vogliamo sorprese, ne abbiamo ab­bastanza delle sorprese.

(Alciati e la signora Calmìn lo guardano sbalorditi.)

CAMERIERE    La signora giù abbasso mi ha detto: « Se la signora lo vuol sapere, dille... »

FAUSTO         (continua, imperterrito)  Non vogliamo saper nulla.

CAMERIERE    (ostinato)  « ...dille che sono arrivata io ».

FAUSTO         Chi, io?

CAMERIERE    (termina)  La sua mamma. Sono i parenti che arrivano!

CATERINA     (esultante)  La mamma! C'è la mam­ma! È arrivata la mamma. (Si precipita fuori gri­dando al cameriere)  Un coperto di più per la mamma. Siamo cinque a colazione!

FAUSTO         Ma sì! aggiungete ancora un coperto per la suocera che sopraggiunge. (Ad Alciati e alla signora Calmìn)  Siete tre, capite! (Accennando Alciati)  Uno non bastava... (accennando la Calmìn)  due non bastavano: ce ne volevano tre. (Poi, desolato)  Ancora tre, sempre tre, tutto tre.

(I vecchi e il cameriere lo guardano interrogandosi con gli occhi se non sia diventato matto.)


ATTO TERZO

La stessa scena del primo atto, più sgombra di mo­bili perché serve da antisala al salone da ballo. La vetrata della parete di fondo, che al primo atto era chiusa dal tavolone dove si trovavano le riviste e i giornali, ora è appena dischiusa. Dalla sala si sente l'orchestra  che  suona   una  polka.

(Un cameriere guarda, in punta di piedi, dietro la vetrata. Dopo un minuto entra il Direttore.)

IL DIRETTORE (un Tedesco)     Che cosa fate foi lì?

CAMERIERE    Signor direttore?

IL DIRETTORE   Fi tomanto che cosa fate...

CAMERIERE    Guardavo.

IL DIRETTORE    Non c'è niente da cuartare.

CAMERIERE    Dica piuttosto che non devo. Ci so­no tante belle signore! Vuol vedere come si di­vertono?

IL DIRETTORE Non cuartate, fi tico. E chiutete. (Cessa la musica.)

CAMERIERE    (obbedisce di malavoglia e chiude senza far rumore)     Ecco fatto.

IL DIRETTORE    Dofe siete foi questa sera?

CAMERIERE    Sono addetto al buffet.

IL DIRETTORE    E tunque? Antate al fostro posto.

CAMERIERE    Non c'è premura. Siamo al principio: per ora mettono in movimento le gambe.

IL DIRETTORE Antate al fostro posto, io fi ho tetto. (Esce a sinistra.)

CAMERIERE    (s'avvia brontolando)  Questi Tede­schi! Nemmeno fossimo prima del '48. (Ed esce).

(Germini entra con un signore magro.)

GERMINI        Oggi era la giornata. Tutti gli anni, il 2 luglio e il 16 agosto a Siena si corre il Palio. Ma quella d'agosto è la più bella giornata. E bisogna vedere quanta gente ci va!

SIGNORE MAGRO   E Lei se ne viene?

GERMINI        Ma io sono il Sindaco. (Spiega)  Voglio dire che per me il Palio non è uno spettacolo nuo­vo. Ma chi non ha visto Siena in una giornata come oggi, non ha visto cosa bella al mondo. Se lo faccia dire dalla signora Calmìn.   

SIGNORE MAGRO   Personalmente non la conosco.

GERMINI        Ci si faccia presentare, la presento io... Anche la signora, vede, era una delle meraviglie di Siena... quasi quanto il Palio. Ora, purtroppo, non ci sta più perché non le piace vivere con la madre... La madre - una donna ben conservata e arzilla - dicono le male lingue che abbia un buon amico...

SIGNORE MAGRO (commenta maliziosamente)  Di­cono le male lingue.

GERMINI        (lo guarda)  Ah, già! Ma per me è un dovere professionale. Sono il Sindaco! Mi devo te­nere informato!

(Entra la signorina Omodei.)

LA OMODEI   (apre la porta del salone)  Oh, signor avvocato! Venga, venga a ballare. Non cercavo pro­prio Lei, ma non vuol dire. - Successone. Vedrà.

 (Salutando il signore magro)  Buona sera, inge­gnere.

(L'avvocato Germini, il signore magro, la signorina Omodei sono inghiottiti nel gran salo­ne. Per un secondo la scena resta vuota.)

FAUSTO         (entra, dando il braccio a Caterina)  Vuoi fermarti qui o vuoi che entriamo subito?

CATERINA     No; prima, domanda al bureau. Non deve esser partito. Senza salutarmi, sarebbe troppo!

FAUSTO         (s'avvia a sinistra - ad alta voce)  Lei mi aspetta qui? Torno subito.

CATERINA     (si guarda attorno, poi siede in attitu­dine stanca, un po' triste.)

FAUSTO         (rientra dopo un minuto)  Son qui.

CATERINA     (ansiosa)  Ebbene?

FAUSTO         Sì, c'è.

CATERINA    Lo vedi? E si ferma ancora?

FAUSTO         Questo non l'ho domandato. Ora c'è e non ha dato finora disposizioni per la partenza.

CATERINA     Vedrai che verrà, se pure non è venuto.

FAUSTO         Insomma, lui non ha paura del conta­gio, come quella cara signora Calmìn e come tua madre... La Calmìn, si capisce: è partita? buon viaggio e al piacere di mai più rivederla. Ma tua madre? Mi avevi detto che era una donna di tanto buon senso...

CATERINA     Ha sentito l'influsso degli altri due... Le avranno montato la testa. D'altronde la tua prima accoglienza di ieri non fu tale da conciliarti le sue simpatie... Hai fatto male, molto male.

FAUSTO         Lo so, me l'hai già detto, me l'hai ripe­tuto...   Ma  ero esasperato...  non  ne potevo più... Ti avvisai: « Bada, scoppio; bada, scoppio! » Sono scoppiato. Se non ti ostinavi a tenermi a colazio­ne... E ora ti domando: che cosa siamo venuti a fare? A una festa da ballo per non ballare, per non veder nemmeno ballare! Bene spesa la mia cravatta bianca!

CATERINA     Volevi che ci isolassimo noi due per dar luogo a chi sa quanti discorsi? Il ritorno im­provviso della signora Calmìn, l'arrivo improv­viso di mammà avranno già dato materia a chiac­chiere. Se anche ci si rinchiudeva... E poi, te l'ho detto, voglio parlare col Conte Alciati, senza bat­tere alla porta della sua camera. - Dimmi, amore, non sei mica pentito?

FAUSTO         Se anche lo fossi, come potrei risponderti di sì quando me lo chiedi chiamandomi « amore »? -Tutte così: volete sapere la verità, ma la doman­date in modo che non vi si può dire!

CATERINA     No, sai; io la voglio sapere. Bada, la voglio. Non mi devi nasconder mai nulla.

FAUSTO         (fiacco) No, non sono pentito.

CATERINA     Me lo dici con un tono così dimesso...

FAUSTO         Perché non voglio gridare. Ho gridato ieri abbastanza. - E noi restiamo ancora un pez­zo a Viareggio? Potremmo anche partire, mi pare. La sfilata dei parenti è finita... per fortuna. Dunque...

CATERINA     Decideremo più tardi, quando avrò parlato col Conte Alciati. Voglio sapere, voglie sentire: se è possibile, voglio che intervenga con la signora Calmìn, con la mamma. Quanto a par­tire, vuoi che andiamo via insieme, o preferisci che partiamo ognuno per suo conto da Viareggio, salvo poi ritrovarci?

FAUSTO         Come tu vuoi.

CATERINA     (con un triste sorriso)  Ieri ti mostravi più risoluto. Sentivi il bisogno di far conoscere a tutti la tua felicità.

FAUSTO         Se vuoi, possiamo dare l'annunzio delle prossime nozze fin da stasera. Soltanto non mi pare il caso di annunziare il nostro fidanzamento tra un valzer e l'altro, come nelle operette vien­nesi!... - No, non fare il viso scuro, non badare se sono infelice nelle espressioni; l'episodio di ieri con relativo scompiglio, con le proteste, le par­tenze, le minacce, mi ha lasciato un po' nervoso... Per te, è tutta gente tua. Per me... che i tuoi pa­renti o ex parenti ci accompagnino o no al Mu­nicipio, importa poco! Ma tu... tu ci tenevi...

CATERINA     Io non tengo che a una cosa, profon­damente, assolutamente, ogni ora di più: al tuo amore.

FAUSTO         Quello c'è: dunque tutto va per il meglio.

LA OMODEI   (entra al braccio dell'avvocato Germi­ni e indicando Fausto dice)  Eccolo qua, il mio ballerino. (Voltandosi a Caterina)  Buona sera, si­gnora (A Fausto)  Bisogna venire a cercarla sin qui.

CATERINA     (dissimulando)  Buona sera, carina. E Lei, avvocato, ancora libero?

GERMINI        Come vede. Mia moglie per fortuna è rimasta a veder correre il Palio e ritarda. Arriva domattina alle sei. Io conto di restare alzato e di andarla a prendere alla stazione in frac. Farò un bell'effetto! Non crede? Essere accolta in abito di gala, non capita a tutte le mogli. (A Defalchi, in­dicandosi)  L'avvocato Germini.

CATERINA     Non si conoscono? Scusi. (E compie la presentazione)  Il signor Defalchi, l'avvocato Ger­mini. (Poi alla Omodei)  Guarda, carina: qualche malaccorto ti ha dato uno strappo alla veste e ti si è scucito un volant.

LA OMODEI   Oh, grazie. (E si china per provve­dere.)

CATERINA    Hai una spilla? Accomodo io.

LA OMODEI   Grazie. A Lei.

(Germini e Fausto si scostano e discorrono fra loro.)

GERMINI        (a Fausto)  Si diverte?

FAUSTO         Io no.

GERMINI        È con una così bella signora, e non si diverte! Mah! La gioventù è incontentabile.

FAUSTO         Io non sono la gioventù.

GERMINI        (con un certo mistero)  Vede quella si­gnora? Io le ho fatto dire di sì due volte nella vita.

FAUSTO         (sgomento, afferrandolo)  Cosa dice?

GERMINI        Le ho fatto dire di sì. Eh, sono il Sin­daco di Siena.

FAUSTO         (riprende fiato e si asciuga la fronte col fazzoletto)  Ah!

CATERINA     (curva, mentre accomoda la gonnella)  Un momento, e ho finito.

FAUSTO         (a Germini)  E che cosa direbbe se le do­vesse far dire di sì un'altra volta? Sì, che cosa di­rebbe alla sposa?

GERMINI        Direi... direi: speriamo che questa volta sia più fortunata.

FAUSTO         E a lui? Allo sposo?

GERMINI        Direi... che non crede alla iettatura; ma non è mica detto che a tutti vada male ugualmente.

FAUSTO         La  ringrazio.

GERMINI        Perché?

CATERINA     (si rialza e ad alta voce)  Ecco fatto.

LA OMODEI   La Sua mamma, signora? è già ripartita?

CATERINA     Sì. (Con lieve esitazione)  Aveva fatto una scappata apposta per vedermi. Poche ore e via.   

LA  OMODEI  Peccato! L'avrei  salutata volentieri!

CATERINA     Come si fa? È dovuta andare. - A te. Ti cedo il cavaliere. Lo vuoi proprio?

LA OMODEI   Sicuro! Era impegnato con me fino da ieri per non ballare il primo valzer. - Ma se in­vece preferisce che restiamo tutti insieme a far chiacchiere...

CATERINA     No, io faccio un giro per vedere la sala. - Germini, mi dia il braccio. O è impegnato?

GERMINI        Io? Libero, liberissimo fino a domattina alle sei. (E le dà il braccio - volgendosi)  E Loro non entrano?

LA OMODEI   Una coppia alla volta... altrimenti, ca­pirà! Troppo colpo, troppo colpo. (E ride.)  Due belle signore come noi...

GERMINI        E due begli uomini come noi... dove li mette?

(Caterina e Germini escono; quando s'apre la porta, si sente venire un'ondata di musica, un valzer.)

LA OMODEI   Vuol camminare o star fermo?

FAUSTO         (indifferente)  Come vuole Lei.

LA OMODEI   È riuscita, sa. La festa è riuscita. Due­cento biglietti. Tolte le spese, mille cinquecento lire vanno ai bagnini. Io per conto mio ne ho ven­duti sessanta; più d'ogni altra signora.

FAUSTO         Se ha fatto con gli altri come con me, ha fatto presto.

LA OMODEI   Cinquanta lire? No. Lei solo. Gli altri erano preparati al colpo, e avevano denari spic­cioli. Per Lei ho quasi rimorso. Non per la cifra... Ma non balla!

FAUSTO         Lo sapeva.

LA OMODEI   E si annoia.

FAUSTO         Come lo sa?

LA OMODEI   Lo vedo dalla faccia. Perché non co­nosce quasi nessuno. Vuole che la presenti?

FAUSTO         Grazie, no.

LA OMODEI   La conosce da un pezzo? La signora Calmìn? Gran bella signora; e poi buona, buona, io le voglio molto bene. - Peccato: così disgraziata!

FAUSTO         Perché? - Ah, già.

LA OMODEI   Vede: se io fossi un uomo, per quel­la donna lì sarei capace di commettere qualche pazzia.

FAUSTO         (animandosi)  Brava. - Lei, signorina, mi piace molto.

LA OMODEI   (sorridendo)  Vede che abbiamo fatto amicizia subito? Io lo sapevo. Il mio metodo per riuscire simpatica a un signore qualunque è infallibile.

FAUSTO         (piano piano interessandosi)  Ah, sì? Me lo insegni.

LA OMODEI   Gli si dice o molto bene o molto male della persona con la quale si è visto insieme il giorno che si è conosciuto.

FAUSTO         Badi che indovinerà una volta su due.

LA OMODEI   Eh, no... basta stare attenti, non si sbaglia. Stavolta, poi, non correvo alcun rischio. Chi vuole che pensi male della signora Calmìn? E com'è fresca! Quanti anni avrà?

FAUSTO         Cinque meno di me. Io ho sempre cinque anni più... - Ah! no, ripetevo una mia stupida frase che con Lei non va, perché Lei, signorina, è molto più giovane di me. Altro che cinque anni di più!

LA OMODEI   Io, guardi, ho compiuto diciott'anni a San Filippo.

FAUSTO         Si chiama Filippina? Bel nome! Bonjour Philippine!

LA OMODEI   No, mi chiamo Elettra. Le piace?

FAUSTO         Sicuro, che mi piace.

LA OMODEI   (ridendo)  No, mi chiamo Costanza: scommetto che le piace anche questo!

FAUSTO         Insomma, si può sapere come si chiama?

LA OMODEI   Che le importa, dal momento che. qua­lunque nome avessi, ormai le piacerebbe! Il nome non va da solo: di per sé solo non esiste. È attac­cato alla persona. - Che vuol dire la gratitudine! Lei mi vuole bene, perché io le ho detto bene di una persona che le è simpatica. Io ci credo alla gratitudine, sa!

FAUSTO         Fa benissimo.

LA OMODEI   Alla gratitudine per le piccole cose, a quella che vale poco e non costa nulla. A quell'altra no. Per esempio, guardi: io sono grata a un amico di mio fratello che quand'ero piccina pic­cina mi ha insegnato a ballare il valzer. Si chiama Giulio Cantoni. Ho voluto sapere il suo nome, me lo ricordo dopo tanto tempo... e ho visto quel si­gnore una volta sola. - La povera donna che ha vegliato tante notti per me, non so come si chiami... Era la balia... si chiamava la balia! - La gra­titudine è fatta così.

FAUSTO         Sa che Lei è molto carina! È un po' pes­simista, ma è sincera... è semplice... dice delle cose che le altre ragazze non direbbero...

LA OMODEI   Le dico apposta! Questo è il van­taggio di noi ragazze sulle signore: quando le si­gnore fanno chiacchiere da signorine, diventano ridicole; quando le signorine fanno chiacchiere da signore, diventano piccanti. - Già noi siamo le privilegiate: se stiamo zitte, vi piacciamo per la modestia; se parliamo, per la vivacità; se arros­siamo, per il pudore! Se non arrossiamo, per la bella franchezza. Noi siamo i libri bianchi, sui quali voi scrivete quello che volete: le signore so­no libri già scritti. - Vi piace sempre più quello che scrivete voi, che quello che trovate scritto da al­tri. - Io non mi cambierei con la signora Calmìn, che pure è la signora che più ammiro, per nulla al mondo.

FAUSTO         Ma come è brava, Lei!

LA OMODEI   Eh! ho studiato molto, sa.

FAUSTO         Con l'istitutrice?

LA OMODEI   No, da me.

FAUSTO         Saprà molta teoria* Ma la pratica?

LA OMODEI   Non è necessaria. Vede?... Noi ragazze non sappiamo la musica, ma la cantiamo a orecchio.

FAUSTO         Oh, oh!

LA OMODEI   Ho detto una cosa sconveniente! Scommetto che ora le piaccio di più.

FAUSTO         Se Lei mi piacesse di più... mi piacerebbe troppo. Io non posso apprezzarla quanto si merita perché... sono in un altro ordine di idee.

LA OMODEI   Eh!... lo immagino il Suo ordine di idee. Se vuole, le potrei anche dire di qual colore e di quale foggia è vestito. - Io l'ho detto a tutte quelle ragazze che ieri, dopo che l'ho conosciuto, volevano circuirlo: « Niente da fare, signorine: oc­cupato! ».

FAUSTO         (sorridendo)  E allora Lei...?

LA OMODEI   Io? Io son qui per esercizio. Nulla di serio e nulla di grave. - Vuole che entriamo anche noi?

(Ma vede Caterina che rientra al braccio del signore magro: nessuna musica interna.) 

Troppo tardi; il nostro giro di valzer è finito. Buona sera. (E, volgendosi al signore magro)  Chassez-croisez. Mi accompagna?

(Ha fatto un breve in­chino, entra nel salone col signore magro.)

CATERINA     (a Fausto)  Quella persona non c'è an­cora. Eppure non dispero. - La piccina si sarà ac­corta? Mi ha guardata in un certo modo...

FAUSTO         (un po' distratto)  Può essere... Tanto: se non sarà stasera, sarà domattina. - Vuoi ritirarti o restare?

CATERINA     (incerta)  Non saprei. Oppure sì, an­diamo: non verrà più. (Si ferma.)  Non ti pare mol­to graziosa quella ragazza?

FAUSTO         (senza importanza)  Sì, mi pare.

CATERINA     Di che avete parlato?

FAUSTO         Di tante cose.

CATERINA     Anche di me?

FAUSTO         Anche di te.

(Il Conte Alciati entra appunto adesso. - Caterina, appena lo vede, gli va incontro.)

CATERINA     Buona sera, babbo.

ALCIATI         (freddo)    Buona sera. (E vuol proseguire.)

CATERINA     Un momento, scusi. - Vada pure, De­falchi; ho compagnia. Torni a prendermi più tardi.

FAUSTO         (inchinandosi)  Ai Suoi ordini. (Ed entra nel salone.)

CATERINA     (ad Alciati, fino a che Fausto non è uscito, sorridendo)  Mi duole di tardarle quello spettacolo di gioventù e di bellezza, ma è per po­chi minuti soltanto.

(Poi, quando Defalchi è usci­to, dolcemente, ma decisamente, lo trascina ac­canto a sé.) 

Venga qua, venga qua: mia madre è partita, la signora Calmìn scappa ancora, non fugga anche Lei; vi ho potuti vedere soltanto quando eravate in funzione, raccolti e severi come tre giudici... sicuro: tre magistrati inflessibili... anche mia madre, con quel cappellino che pareva un toc­co da procuratore del Re; avete pronunziato quel no come una condanna senza appello e poi più niente: via, per non dare spiegazioni; via, per non discutere; via, per sembrare infallibili; sono scesa giù alla festa con la speranza d'incontrarla qui... Ho altra voglia che di veder ballare, stasera; ma Lei aveva promesso alla piccola Omodei di venirci e sapevo che non avrebbe mancato. Avete detto no; perché no? Ora che è qui, almeno parli.

ALCIATI         Si fa presto a dire: parli; bisogna che tu mi lasci parlare. - Intanto io sono molto in collera con te.

CATERINA     Ha torto, babbo, scusi, ha torto.

ALCIATI         Niente babbo!

CATERINA     Ah! Anche Lei come la signora Cal­mìn: « non più mamma ». La imita, anzi la copia; oggi la signora Calmìn  le pare un bel modello.

ALCIATI         Sicuro: sono in collera per il tuo silen­zio; e sono turbato per la tua pazzìa.

CATERINA     Quale pazzia?

ALCIATI         Ho sbagliato: per la tua doppia pazzia: che tu riprenda marito e che tu scelga proprio quel signor Defalchi che mi pare o matto furioso o corto di mente.

CATERINA     Non è né matto né corto: e Lei fa ma­le, scusi, molto male a parlare così. - È stato, ieri, imprudente ed eccessivo: lo riconosco; ma anche lui, poveretto... pensi un po': un uomo che mi ama, che mi crede assolutamente libera, e il primo gior­no, il primo giorno si trova davanti prima Lei... e Lei passi, sebbene anche Lei facesse, involonta­riamente, di tutto per irritarlo...

ALCIATI         Io?!

CATERINA     Lei, scusi, era insopportabile. Ha co­minciato con la signora del vagone, ha continuato col sequestro mio personale, per la colazione, per il pranzo, per la trottata in charrette, per i quindici giorni a Roma... E poi, anzi prima, è venuta la signora Calmìn coi quindici giorni alla Torretta. Poi Lei e la signora Calmìn a dire che avrebbero voluto vedere la bella faccia di chi venisse ancora a offrirmi la mano di sposo « e se anche verrà, comanderemo noi »... Poi, la mamma... È da com­patire se ha perduto le staffe!

ALCIATI         Non le doveva perdere! Strillava come un'aquila! Davanti al cameriere! Tu non l'hai sen­tito, perché eri già per le scale per andare incontro a tua madre, e sei tornata che l'accesso furioso ten­deva a calmarsi, ma noi che ce lo siamo goduto tutto quanto... E tua madre, povera donna, che non aveva visto quel signore fino allora... - Ma que­sto è secondario, è un di più. - E voglio anche la­sciar da parte i riguardi che tu ci devi, a me e alla signora Calmìn... Eh sì, perché tu ci devi dei riguardi; altrimenti bisognava che tu ci mettessi fuori a suo tempo. No; tu ci hai tenuti d'attorno, ci hai voluto altre volte tuoi consiglieri, ci hai con­siderati ancora come parenti. Questo metterci da parte adesso...

CATERINA     Ma io non vi mettevo da parte!

ALCIATI         Lasciami continuare! Questo dire: non ho più bisogno di voi... mi prometto a un uomo senza farvene nemmeno parola...

CATERINA     Ma ve ne avrei parlato... È stato quel benedetto succedersi di combinazioni che me l'ha impedito.

ALCIATI         Ce ne avresti parlato? Ammetto. E che ci avresti potuto dire? Con tutta la tua buona gra­zia, avresti forse diminuito la violenza dell'urto, ma non mutato la cosa. E la cosa è grave, molto grave, più grave ancora del modo.

CATERINA     (amara e sdegnata)  Questo è grave: che voi, con la vostra opposizione, col volgermi le spalle, vogliate tagliarmi la strada, impedire che io cerchi di essere un'altra volta felice. - Lei è uo­mo di mondo...

ALCIATI         Fin troppo...

CATERINA     Fin troppo... badi che lo ha detto da sé... - Ora mi dica: le pare strano che io possa ancora essere amata? Sono così vecchia, così logora da dover respingere l'amore, come se questa nuova tenerezza che mi riscalda fosse una mostruosità in sé, o un insulto per me?

ALCIATI         (sentenzioso)  L'uomo che sposa una don­na in terze nozze è ridicolo.

CATERINA    Perché?

ALCIATI         Perché così... È un'impressione.

CATERINA     Una Sua impressione.

ALCIATI         Non mia soltanto: anche di tua suocera, anche di tua madre. Siamo tre persone diverse d'idee se non di età, e ci siamo accordate in uno stesso sentimento.

CATERINA     Perché, scusi, avete lasciato parlare soltanto il vostro egoismo.

ALCIATI         (bonario)  Tu a forza di « scusi »  non fai che dirmi delle insolenze.

CATERINA     S'immagini se è nella mia intenzione!

ALCIATI         E non è vero che abbiamo obbedito al nostro egoismo o al nostro puntiglio: io ti dico che il tuo signor Defalchi è ridicolo, se non è un poco di buono che ti vuol mangiare la dote!

CATERINA     Ma se Defalchi è più ricco di me!

ALCIATI         (continuando)  E una donna che si sposa per la terza volta dà l'idea di essere un piccolo mostro.

CATERINA     Lei stasera è dogmatico come un filo­sofo tedesco; ma non può avere la pretesa che io prenda per assiomi tutto quanto le esce di bocca. Dimostri... dimostri...

ALCIATI         Non devo dimostrare: io parlo di impres­sioni; distruggi le impressioni, se ti riesce. - Quan­do tu leggi che una donna ha avuto tre figli a un parto, che fai? O ridi o....

CATERINA     Io? io provo pietà per quella povera donna.

ALCIATI         Tu... può essere, ma tu sei una creatura speciale; e sia pure. Ma per tre mariti non c'è pietà che valga: la donna dei tre mariti ti suscita agli occhi un'immagine poco decente.

CATERINA     E prendersi tre amanti, uno dopo l'al­tro, invece, è decente? Non fa ridere? Non disgu­sta?

ALCIATI         (deviando)  È inutile: tu non ragioni più!

CATERINA     Sì che ragiono: Lei non ragiona, scusi.

ALCIATI         Ma sì, scuso, scuso; tanto... hai perso la testa! - Ebbene: le donne che prendono tre aman­ti, uno dopo l'altro, nascondono o per lo meno ten­tano di nascondere quello che fanno, non chiedono il visto, non pretendono il bollo dell'autorità civile ed ecclesiastica.

CATERINA     Ah! È il bollo che vi dà fastidio!

ALCIATI         Anche. Ci son bauli che hanno fatto mez­zo giro del mondo; ma se non ci mettono su il car­tellino a tutte le stazioni dove si sono fermati, ti possono sembrar quasi nuovi...

CATERINA     E per esser nuovi, bisogna non spo­sarsi più, vero?! Frustarsi, ma non sposarsi! Tutti gli uomini che si vogliono, anche due a un tempo, pur che non si sposino? Vuol dir questo, Lei? Bella la Sua morale, la vostra morale!

ALCIATI         La morale non c'entra, non è assoluta: al Polo è una, all'Equatore è un'altra... - E prima della morale, anche contro la morale, ci sono le consuetudini; e una donna che si sposa la terza volta non è nelle consuetudini.

CATERINA     Per fortuna! Perché non è nelle con­suetudini che due uomini giovani spariscano e una donna giovane sopravviva! Ma quando sopravvive volete sopprimerla? al rogo anche lei? - E sia: guar­date, capisco il rogo, capisco il convento: la con­danna a morte o la rinuncia. Ma la rinuncia asso­luta, non il sotterfugio. - Io vorrei essere di quelle donne che sono state di un sol uomo e non pos­sono più essere di nessuno perché ne hanno rice­vuto l'impronta indelebile e la loro vita fisica e sentimentale si è chiusa con lui... ma se non sono? devo prendermi un amante per farvi piacere, quan­do invece posso avere un marito? Devo fare come Lei...

ALCIATI         Io... io... Me, lasciami stare, ti prego.

CATERINA     No, che non la lascio. - Devo fare come Lei che non ha più ripreso moglie, ma ha sostitui­to? Devo fare come altre donne - non dirò nomi, non voglio dir nomi - che trascinano una rela­zione da vent'anni?

ALCIATI         E tu fa' quello che vuoi!

CATERINA     Lo farò, lo farò. Io mi ribello contro questa finzione, contro questa Sua idea, che all'ombra si possa e alla luce no. Mi ribello contro questo assurdo, che rimaner nella legge è male e uscirne è lecito.

ALCIATI         E tu ribellati; ma batterai il naso contro il ridicolo! - Vuoi che ti ripeta il dialoghetto che ho sentito? Parlavano di te e del tuo Defalchi.

CATERINA     Chi parlava?

ALCIATI         Non te ne occupare: tutti e nessuno... Due, qui dell'albergo, appena si è sparsa la prima voce... bada, è una voce soltanto, sinora, che ti voglia sposare. - Chi l'ha messa fuori? Il cameriere che avrà capito dai discorsi di quel pazzo? O avran­no supposto per la sua assiduita? - Comunque di­cevano: Lei è la vedova allegra, e lui...

CATERINA     Basta eh?! Non voglio sentir altro. Buona sera!

ALCIATI         Buona sera! (Poi quando è quasi alla por­ta)  Senza rancore. Io non dispero che tu rimetta giudizio. (Poi dalla porta, un po' più bonariamente)  Vuoi che ti rimandi Defalchi?

CATERINA    Sì. Se lo trova. Grazie.

(Alciati esce.)

IL DIRETTORE (entrando la vede sola abbando­nata sul divano.)  Pertoni! La signora si sente male?

CATERINA    No, grazie. Fa caldo.

IL DIRETTORE   Fuole un'aranciata? un celato?

CATERINA     Grazie, mi mandi un cameriere.

IL DIRETTORE  Preco. Torno io. (Ed esce a destra.)

CATERINA     (rimane ancora sola, si alza, guarda dai vetri con una certa impazienza. Poi mormora)   Tutti contro, tutti contro... Perché?

IL DIRETTORE (rientra con l'aranciata)  Ho porta­to un'aranciata. - Pella festa stasera!

CATERINA     (prende l'aranciata)  Grazie. - Bellissima. (E beve.)

IL DIRETTORE   Non occorre altro?

CATERINA    Altro, grazie.

IL DIRETTORE   Preco. (E s'inchina.)

FAUSTO         (rientra dal salone)  Ho visto il Conte; mi ha detto che mi aspettavi. Non altro.

(Il Direttore esce.) 

E dunque? Gli hai parlato? Oh, sentiamo un po': che ti ha detto? . Già, te lo vedo in faccia.

CATERINA     Non vuole intender ragioni.

FAUSTO         Ah! no? E allora s'impicchi. Anticiperemo di otto giorni le nozze per fargli dispetto.

CATERINA     Fausto, quel che dici non è degno di te... Fargli dispetto! Perché? E con quale vantag­gio? - E poi, non sarebbe far dispetto a lui solo: do­vremmo offendere un'altra persona che mi è più cara.

FAUSTO         Tua madre.

CATERINA     Mia madre. - È nell'errore... siamo d'ac­cordo. Si tratta di persuaderla... La persuaderò io, andrò da lei... noi due sole ci intenderemo meglio. - Ma anche con lui, con Alciati, possiamo tentare ancora...

FAUSTO         Se mi dici che non cede!

CATERINA     Perché forse non gli ho parlato con l'umiltà che dovevo...

FAUSTO         (protesta)    Ah, senti!...

CATERINA    Se gli parlassi tu...

FAUSTO         (deciso)  Io no. Tanto più che il mio sa­rebbe un passo inutile. (Leggermente ironico)  Non eri la sua figliola? Se non cede alla sua figliola, vuoi che ceda a un estraneo? - E poi cara, se tro­vavi legittimo il suo affetto, devi trovare naturale anche il suo sdegno. Non si può accettare da una persona quello che fa comodo e respingere quel che dispiace. - Il tuo errore... capisco che non potevi prevedere... (riprende)  ma insomma il tuo errore è stato quello di considerare ancora della tua fa­miglia gente che non ne faceva più parte. - Del resto, se anche Alciati avesse ceduto, che ci avrem­mo guadagnato?... Ci sarebbe una voce di meno nel coro, ma il coro anche senza un cantore rimar­rebbe lo stesso. Tutti si uniranno nel canto quando la cosa si saprà: il Sindaco Germini, la signorina Omodei, la moglie del Sindaco, la mamma della Omodei, i miei amici, le tue amiche... sarà il coro del buon senso; noi ci tureremo gli orecchi e fa­remo quel che ci pare.

CATERINA     (colpita) Come, del buon senso?

FAUSTO         Ma sì: che cosa dice Alciati?

CATERINA     Dice che io non debbo sposarmi un'altra volta...

FAUSTO         Ecco.

CATERINA    ...e che tu non dovresti sposarmi.

FAUSTO         Ecco.

CATERINA     (sempre senza interrompersi)  ...che siamo ridicoli, io col mio desiderio di rimaritarmi... tu che ti sposi una donna che sarebbe al suo terzo marito... - Non ne fanno una questione di senti­mento, ne fanno una questione di convenienza.

FAUSTO         Ecco, il buon senso... Che cosa ti dicevo? Precisamente il buon senso. Noi obbediamo alla passione che ci spinge, loro al freddo ragionamen­to. Come vuoi che ci s'intenda? Loro non hanno torto... e noi...

CATERINA     (senza rancore e quasi della sua opi­nione)  Ah! Tu trovi che non hanno torto.

FAUSTO         Per lo meno non hanno tutti i torti... Io mi metto dal loro punto di vista, non dal mio. -« L'uomo è un animale ragionevole ». Bella defini­zione. Ma quando un uomo non è innamorato. Se è innamorato, resta l'animale e sparisce il ragio­nevole. - E io sono innamorato. Se anche, sposan­doti, facessi una cosa pazza, farei una cosa nor­male.

CATERINA     Ah! È questo il tuo pensiero? E non me lo nascondi?

FAUSTO         No: perché in fondo la cosa ti deve far piacere. - Gli altri mi trovano leggermente comico? E sia. Sono della loro opinione e ti sposo egual­mente. Ti dò una bella prova d'amore.  Oramai, sposandoti, mi sono rassegnato a far a meno dei fio-ri d'arancio, degli invitati, posso fare senza anche delle congratulazioni più o meno schiette del pubblico. - In fondo in fondo, ci credi, mi dispiace più che non approvi Sincera, che non la castellana della Torretta o il Conte senza contea. - Io non devo un soldo a nessuno, dunque...

CATERINA     (timidamente accorata)  E non sarai geloso?

FAUSTO         Di chi? di Cesare? di Giulio? - Per lo me­no non te lo dirò.

CATERINA    No, giurami che non sarai geloso.

FAUSTO         « Giurami che non avrai la febbre terza­na! ». Come posso giurare? - E se lo sarò, tu sop­porterai la mia gelosia, come da buona moglie sop­porteresti la mia febbre. (Indugia un secondo)  Vedi: se invece di due mariti fossero stati due amanti, mi pare che potrei garantire di no.

CATERINA    Non dire eresie!

FAUSTO         No, ti assicuro. Lo so, pare assurdo, e non è. - Perché, se tu ci pensi bene, che cos'è la gelosia? È una specie d'invidia... - Ora, non guar­dare al paragone che è volgare, e seguimi nel ra­gionamento: il pasticcere è invidioso del pasticcere che è più valente di lui o guadagna più di lui, non dell'orefice che ha il negozio di faccia. La donna più anziana è invidiosa della donna più giovane, non dell'uomo più giovane. Si va per professione, per casta, per sesso... Un marito non desta la ge­losia dell'amante, perché è d'un'altra specie, di un'altra razza. Ma un marito è geloso di un mari­to. - Nel mio caso ce n'è due...

CATERINA     (timidamente)  Mi avevi detto: loro sono stati amati, ma io sono amato... Loro sono il passato, io sono il presente...

FAUSTO         Già, ma prima erano ombre appena, om­bre sfumate. Ora, invece, pare che accampino di­ritti per mezzo dei loro parenti che li reclamano a gran voce... È un'altra cosa... - Ma passerà, passerà, non ci pensiamo più.

CATERINA     (ansiosa)  No, dimmi ancora questo: tu...

FAUSTO         Basta, cara, basta.

CATERINA     Questo solo e poi non ti chiedo più altro.

FAUSTO         (incredulo)  Fino a domani!

CATERINA     No, credimi, no. - Poco fa, quando eri con la piccola Omodei, hai pensato a me?

FAUSTO         Sicuro che ci ho pensato.

CATERINA     E che cosa pensavi?

FAUSTO         Pensavo che forse tu avevi sonno e che mi aspettavi per darmi la buona notte.

CATERINA     No, eh! Non volgere in burlesco la mia domanda. Altrimenti vuol dire che ti brucia.

FAUSTO         Tu fantastichi, cara.

CATERINA     (insiste)  Io lo so, quel che hai pensa­to: « Ah. perché la mia Caterina non è come lei; perché non sono io il primo! ». (Dopo un secondo de­cisa)  L'hai pensato. Giura che non l'hai pensato.

FAUSTO         L'avrò anche pensato. Ma ho subito detto: non è: la sposerò così com'è.

CATERINA     (senza amarezza ma triste)  Tu, tra un anno, tra sei mesi... forse anche prima di sposarmi, non mi amerai più.

FAUSTO         (negando)    Caterina!

CATERINA     Se mi sposi, non mi amerai più. Mi sposerai per mantenere la tua parola, ma ti senti­rai a disagio prima o dopo. Ti sentirai addosso il freddo del ridicolo, ti roderà il tarlo della gelosia, ti tormenterà il rimpianto di una giovinezza nuova che non abbia conosciuto altro amore, altro uomo, e io non voglio perché ti amo... Non voglio che tu soffra... non voglio che tu ti penta. - Io ti rendo la tua parola.

FAUSTO         Ti ringrazio, ma non accetto.

CATERINA     Devi accettare. Sarò infelice non spo­sandoti, ma se ti sposassi saremmo infelici in due.

FAUSTO         Vuol dire che divideremo l'infelicità a mezzo.

CATERINA    Di' che mi ami, e ti libero.

FAUSTO         Di' che non mi ami... e rimango ugual­mente.

CATERINA     Tanto ti piaccio? - E allora senti... Non mi guardare... Non mi importa di nessuno oramai... m'importa solo di te... Non mi guardare.

FAUSTO         E va bene: non ti guardo.

CATERINA     (dolcemente e timidamente)  Vuoi che io sia comunque la tua donna? Vuoi?

FAUSTO         Caterina?!

CATERINA     Il nostro amore fiorirà all'ombra, in­vece che alla luce del sole. Che importa, purché fiorisca?...

FAUSTO         Non capisco. Sei pazza?

CATERINA     Non mi hai desiderata così dal prin­cipio? E forse eri nella ragione.

FAUSTO         Non diciamo sciocchezze. Al punto in cui siamo...

CATERINA     A chi dobbiamo far piacere sposando­ci? Alla gente no, perché la gente non vuole. A te no, perché tu mi ami ugualmente. Il tuo proce­dere d'oggi è cavalieresco, te ne sono grata, ma non salva quel che io devo salvare: il tuo affetto. - Ri­torna alla tua prima idea: senza che nessuno sap­pia... senza dir nulla a nessuno. Noi due soli, col nostro segreto d'amore, senza testimoni, senza au­guri ironici, senza commenti maligni, e senza re­criminazioni. Noi due soli, all'ombra... e l'amore può fiorir così bene senza il lume degli altri! - Vo­lersi bene è la sostanza, il resto....

FAUSTO         (molto incerto)  Già... ma se un giorno ci si pentisse?

CATERINA     Ebbene (dolcissima)  se quel giorno  sentiremo rimorso, se ci parrà che qualche cosa ci manchi, se al profumo del mistero vorremo sosti­tuire la sanzione della legge per mettere in pace la nostra coscienza, noi due, d'accordo noi due, zitti zitti, ci sposeremo.

FAUSTO         (non risponde e la stringe appassionata­mente.)

CATERINA     (istintivamente, allontanandosi un po­co)  Fausto! Che fai? Tu mi manchi di rispetto!

FAUSTO         Sì, ti manco di rispetto. Mancami di ri­spetto anche tu, cara. (E la bacia sulla bocca.)

F I N E