Il valzer dei toreador

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JEAN ANOUILH

IL VALZER DEI TOREADOR

Traduzione di F. Fano e D. Terra – 1960

PERSONAGGI

Il generale

La generalessa, sua moglie

Estelle  e Sidonie,   loro figle

Gastone, il segretario

La signorina de Sainte-Euverte

La signora Dupont-Fredaine, bella sarta

Il dottore

Il curato

Le cameriere

Atto primo

La camera del generale adiacente alla camera di sua moglie: ricordi esotici, armi, drappi. La porta di comunicazione è aperta, il generale scrive al suo tavolo. Accanto si sente una voce stridula.

Voce della GeneralessaLeone!

Generale         Sì!

VoceChe stai facendo?

Generale         Lavoro.

Voce    Tu menti! Tu pensi. Io ti sento pensare. A che pensi?

Generale         A te.

Voce    Menti. Tu pensi che le donne sono belle, che sono calde sotto le sottane e che le si può toccare. La mano sotto la gonna e per un minuto non essere più solo al mondo; me lo dicesti tu, una volta.

GeneraleNon me ne ricordo assolutamente. Dormi, mia cara, fra poco ti sentirai stanca.

Voce    Non sono stanca, non sono malata che per colpa tua! A forza di pensare, di pensare sempre a tutto quello che puoi stare facendo.

Generale         Su via, mia cara, esageri come sempre. Da quando sei malata, e cioè da molti   anni  ormai  non ho mai lasciato questa camera: le natiche su questa sedia e dettando le mie memorie, o meglio su e giù come un orso in gabbia e senza allontanarmi mai; lo sai bene.

Voce    La mia malattia è dovuta soltanto al pensiero continuo di tutto ciò che ti passa nella testa men­tre fingi di calmarmi. Sii franco, ipocrita. Non nascondermi niente. Dove eri in questo istante col tuo pensiero? Con quale donna? Su quale divano? In una camera che non vedrò mai, mai qualunque cosa faccia (e tu non sarai mai cosi onesto da farme­ne la descrizione). O piuttosto in quale cucina ag­guantando Dio sa quale sguattera che lava per terra a quattro zampe. Sei entrato, sulle tue pantofole fel­pate, come un grosso gatto, l'hai afferrata da die­tro; le mordi la nuca, hai tutti i suoi capelli in bocca, e non ti disgusta, tu che fai una scena spa­ventosa quando ne trovi uno nella minestra! Non si è neppure slacciata il grembiule quella bertuccia. Nel puzzo della varechina. Per terra come- bestie! Mi fai schifo, Leone.

Generale         Accidenti, tu sogni. Sono seduto al mio scrittoio e  scrivo al signor Poincaré.

Voce    Ha una buona schiena, Poincaré. Tieni la penna, sì, ma col pensiero la tua mano palpeggia quella ragazza. Smettila, Leone, o avrai la mia morte sulla coscienza!

Ma non hai dunque nessunsenso di raffinatezza? Una ragazza che non si è neppure lavata; dunque ti fa lo stesso che sia sporca, che puzzi?

Generale         Infatti, mi sarebbe indifferente; tu non ci capisci un bel niente come tutte le donne. Ma sogni. Sto scrivendo al signor Poincaré, e ti prego di la­sciarmi finire tranquillamente la mia lettera.

Voce  (gemendo)        Ma nella tua testa, nella tua testa? Ah! Perché non posso entrare nella tua testa magari per un momento solo.

Generale         Accidenti, stai passando ogni limite! È l'unico posto dove posso stare tranquillo. Lasciamelo.

Voce    Riuscirò a venirci un giorno, ti ci sorprenderò e ti ucciderò!

Generale         E va bene. Mentre aspetto — l'avrai voluto tu, mia cara — seguo il consiglio del dottor Bonfant e chiudo la porta.

Voce    Leone, te lo proibisco! Leone, sei un vigliacco e il dottore è un assassino! Avrò una crisi, Leone!

(Malgrado le grida della generalessa, il generale ha chiuso la  porta. Durante questa spedizione punitiva è entrato il segretario).

Generale         Senza pietà leho chiuso la porta. Ah, ma insom­ma!  Non si deve poi credere che io accetti sempre tutto. Buongiorno, ragazzo mio.

Segretario       Signor generale

Generale         Non avete moglie voi, giovanotto? Un'amichetta, è vecchio il ritornello, la si incontra per caso, la si porta a Robinson e dieci minuti dopo ci si trova sposati e abitiamo con la vecchia madre.

Segretario       Sono troppo giovane.

Generale         Già, e di colpo sarete troppo vecchio. Vi ritrove­rete a dettare le vostre memorie. E in confidenza, pffutt! Una mano di carta. Non si capisce cosa sia successo. Questo vi preoccupa, per lo meno?

Segretario       Oh! No, signore. Io ho studiato dai buoni Padri. Sono ancora puro.

Generale         Beh! Anche questo è triste. La vita senza donne, amico mio, che purga! Infine è ancora un pro­blema che il signor Poincaré non saprà risolvere. Andiamo avanti, a che punto eravamo rimasti?

Segretario       Avevamo finito il capitolo trenta. Desiderate che ve lo rilegga?

Generale         Non ora. Mi sento in forma. Sono riuscito a libe­rarmi per dieci minuti, proprio adesso, e a fare il giro del giardino. I rododendri profumavano. Mi sono smarrito per un viale: c'era fresco; mi sen­tivo delle articolazioni da giovanotto; nessuno che mi chiamasse; era straordinario: mi immaginavo di essere vedovo. Capitolo trentuno: le mie bat­taglie d'Africa. Primo paragrafo: il Marocco. Fino al 1898 la politica del governo francese nel Ma rocco fu una politica di presenza. Dopo la visitaa Versailles dell'ambasciatore straordinario di So­limano nel diciassettesimo secolo, e gli accordi che furono presi allora fra il Re Sole e il Sultano, i rapporti fra le due potenze non erano praticamente cambiati. Ma in seguito al disgraziato trattato di Francoforte un fattore nuovo sopraggiungeva ad influenzare pericolosamente la politica marocchina; la creazione dell'impero tedesco, i cui intrighi e le cui promesse portavano il Sultano a rendere più teso il suo atteggiamento verso di noi. Un inci­dente in apparenza insignificante doveva dare fuoco alla polvere.

(Entrano Estelle e Sidonie, due cavallone di circa vent'anni, rimaste bambine: inglesizzate, boccoli, vestiti ridicolmente infantili).

Sidonie            Papà!

Generale         Sì!

Sidonie            Cosa si decide per il Corpus Domini?

Generale         Non lo festeggiamo. Diremo che ce ne siamo dimenticati. E, poi, tutti quei drappi di letto alle finestre, con le rose appuntate sopra, è uno spetta­colo disgustoso: mette delle idee ai bambini.

Estelle             Ma papà, il signor curato ci vuole in bianco, mia sorella e me, ce lo ha ripetuto anche ieri. E non abbinino nulla da mettere!

Generale         Non mettetevi niente. Sarà mille volte più gaio.

Maledizione! Dove eravamo rimasti ragazzo mio?

Segretario       I rapporti fra il Sultano e il governo francese.

Estelle Papà! Siamo responsabili con le signorine Petitcas delle edicole processionali, siamo tue figlie, e se non saremo alla pari con le altre, si sparlerà in giro.

Generale         Si sparlerà in qualunque caso. Mettetevi i vestiti dell'anno scorso!

Sidonie            Sono diventati troppo corti, siamo cresciute.

Generale         Ancora! Ma per mille tuoni, quando vi fermerete?L'ho sentita parecchio questa canzone. Ma che cresco io?

Estelle Si può crescere fino a venticinque anni.

Generale         Teoricamente. Ma quando si ha un po' di tatto ci si ferma prima. Un metro e settantacinque non vi basta?

Sidonie            Prendiamo dalla mamma.

Generale         Ahimè! Andate ad infilarvi i vestiti vecchi e ve­nite a farmeli vedere.

Estelle eSidonie Bene, papà.  (Escono)

Generale         (guardandole uscire)Dio come sono brutte! Non le mariterò mai.

Segretario       Le signorine Saint-Pé hanno le più belle qualità morali!

Generale         Sì. Per martirizzare tutta la vita quel disgraziatoche ci punterà sopra. Ma niente per soddisfarlo. Qui sta il « busillis », ragazzo mio. È fregato come l'asso di picche. Una si pettina come una scopa di crine, e per il fatto che mentre beve la sua tazza di tè tiene alzato il mignolo come sua madre, si immagina di avere raggiunto il non « plus ultra » della grazia e della femminilità. Brrr! In confi­denza amico mio... amare tanto le belle donne e in un momento di smarrimento avere messo al mondo quelle cose. Ma neppure! Con la generalessa non c'era rischio di smarrimento. In un mo­mento di distrazione.

Segretario       La signorina Estelle ha una certa grazia.

Generale         Una specie, sì. Ma non quella adatta. E Sidonie niente del tutto. Estelle, che gracchia al piano le melodie di Fauré, prende il lato artistico della madre. Sidonie le è identica in cucina, mentre manipola quei famosi manicaretti che trattengono gli uomini facendoli ingrassare fino a non potere più passare dalla porta. Si sono divise le virtù della madre: di che fare l'infelicità di due imbecilli al posto di uno. Solamente, ecco, riuscirò a trovarli?

Segretario       Certamente, signor generale.

Generale         Bisogna vedere amico mio, vedere... i tempi non sono più quelli di una volta. Il sottotenente dif­fida. Nel passato eravamo sicuri di accalappiarneuno al ballo della guarnigione. Un invito otto giorni dopo, due dita di Vouvray, una torta di fragole e a condizione che uno avesse cinque gradi sulla manica era tuo. Ma andate a provare da quando è stato graziato Dreyfus! Anche con foglie di quercia come le mie! Il grado ha perduto il prestigio. Questi giovanottelli pretendono la dote e ragazze graziose come le altre. Non riuscirò mai a farle sposare. Dove eravamo rimasti?

Segretario       I rapporti fra il governo e il Sultano.

Generale         Ebbene! La cosa non poteva andare avanti da sola. Un bel giorno quell'animale ci fece sparire due missionari. Qualche molestia da niente come preambolo, e poi ce li rimandano, stecchiti, legati come salami, con i testicoli fra i denti. Passiamo sopra all'ironia del fatto. Era un insulto alla bandiera. Viene decisa la spedizione Dubreil. Ah! amico mio che bella campagna! Se ce li siamo ripagati i nostri due pretonzoli! Ne abbiamo ammazzati di arabi! E pulitamente, all'arma bianca. Di primo mattino prendevamo d'assalto i villani, si sventrava tutto: il padre, la madre, la nonna e poi, amico mio, amico mio, poi delle ragazzine di dodici anni, come le hanno laggiù: delle meraviglie! Sconvolte, tutte nude in un angolo: un piccolo animale che sa che lo violenteranno, e lo desidera quasi. Due seni giovani, teneri come cerbiatti, una groppa, caro mio! Degli occhi... E voi, il soldato, il vincitore, il padrone. La sciabola an­cora sguainata; avete ucciso tutto, potete tutto; lei lo sa e voi pure. Fa caldo nella tenda ed è scuro, siete in piedi l'uno di fronte all'altro senza par­lare...

Segretario  (arrossendo e ansante)  E allora, signor generale?

Generale  (con semplicità)  Che volete farci? A quell'età!Non siamo mica dei bruti.

Le portavamo dalle buone suore a Rabat.

Segretario E non le rivedevate mai più?

Generale         Qualche volta, in seguito, presiedendo alla distri­buzione dei premi; da lontano! Avevano insegnato loro dei cantici, e a non rivolgere la parola ai signori. Sempre così quando si compie una buona azione! (Entra il dottore Bonfant) Ah! Ecco il dot­tore Bonfant che viene a visitare la sua malata. Lasciateci un momento, ragazzo mio, vi richiame­rò. Buon giorno, dottore. (Il segretario raccoglie le carte ed esce. Il generale lo guarda uscire) Bel ragazzone, vero? Sarebbe stato un bel dragone se non avesse avuto la vocazione di una pulzella. Superba calligrafia, però, e neppure uno scemo. È stato il curato a trovarmelo. Un ragazzo dell'orfanotrofio e tirato su da uno dei confratelli.

Dottore           Buongiorno, generale. Come va stamattina la no­stra grande nervosa?

Generale         Come ieri, senza dubbio come domani. Cosa ne dice la medicina?

Dottore           Niente di nuovo. Hanno trovato termini nuovi molto meno vaghi di quelli antichi per indicare i soliti malanni. È un notevole progresso linguistico. Nessuna lite oggi, fra voi due?

Generale         Una piccola lite sul solito tema. Però ho seguito i vostri consigli : ho chiuso la porta.

Dottore           Perfetto. E lei si è zittita?

Generale         Deve aver seguitato ma io non la sentivo più. Non so se questo la calmi; a me fa certo un gran bene.

Dottore           Questa paralisi degli arti inferiori, l'ho già detto, è di origine puramente nervosa, come il resto. Il processo mentale è semplicissimo: intendiamoci bene, sempre al margine del cosciente: « Non cam­mino più per suscitare la sua pietà e così non potrà abbandonarmi mai ». Dovete avergliene fatte pas­sare delle belle per farla arrivare a questo punto, eh, generale?

Generale         Non eccessivamente, dottore, non eccessivamente.Gli uomini, in definitiva, ne combinano sempre meno di quanto non si creda. Del resto, ho amato molto mia moglie in principio. Sì, questo mi sembra tanto assurdo quanto l'essermi appassionato per una collezione di francobolli a quindici anni...  Però è un fatto, abbiamo anche passato qualche annofelice. Abbastanza felice!...  Prima di versare nella bigotteria e nelle marmellate, Amelia ha avuto un certo temperamento. Abbiamo sofferto molto, come si dice. La scenata quotidiana, come il desiderio, i segni delle unghie sulla guancia, e nessuno che voglia credere sia stato il gatto, un buon numero di piatti fracassati, schiaffi, singhiozzi, tentativi di suicidio fatti fallire con cura, la classica riconcilia­zione sul letto impregnato delle nostre lacrime, la notte di sonno compromessa dalla tenerezza e l'ab­bandono di un corpo sudato che vi ha scelto, anche, come cuscino, e i primi rimproveri, dopo il primo abbraccio, con il caffè e latte della mattina. Amore questo? Voi sapete che mia moglie era cantante. Muggiva la Walkiria all'opera. Sposandola, per mia disgrazia, la feci rinunciare al teatro. Doveva se­guitare a cantare soltanto per me. Una rappresen­tazione a suo beneficio che dura da più di venti anni: e questo logora lo spettatore. E allora, sì, mi sono messo a tirar qualche carota... Cameriere, serve di trattoria, tutto ciò che si può permettere, fra due porte, un uomo sorvegliatissimo. Vi ho ricavato qualche gonococco, l'uso dell'unguento grigio e il disgusto di me stesso. E sono invec­chiato dolcemente. Prima un po' troppo stomaco, poi il ventre che ingrossa mentre i capelli se ne vanno; e la manica che di anno in anno si avvi­luppa sempre più di cardoncino dorato. E sotto questo travestimento da carnevale un cuore di vecchio ragazzo che aspetta ancora di donarsi intero. Ma come farsi riconoscere sotto la maschera? È ciò che si chiama una bella carriera.

Dottore           Generale, e se vi raccontassi più o meno la stessa storia?

Generale         Non mi consolerebbe affatto. Per lo meno la si­gnora Bonfant non si è decisa in vecchiaia ad amarvi come una pazza e a morire d'amore per voi.

Dottore           Mi ha risparmiato questa prova, ma si rifà in altro modo.

Generale         Sono stato trascinato giù. All'odio ci si abitua. Non a quello che lei chiama amore.

Dottore (conclude alzandosi) Ebbene! Vado a misurarle la pressione. Comunque sia non potrà farle male. Del resto l'ha sempre ottima. Mangia?

Generale         Come voi e me. Non vi accompagno. Approfitterò della vostra presenza per fare un giretto in giardino, come un giovanotto. Non glielo dite, mi accuserebbe di tradirla con un fiore.

(Il dottore entra dalla generalessa. Il generale esce dall'altra parte. La scena resta vuota per un istante. Si sente da fuori una canzone italiana d'amore  cantata dal segretario. Poi la cameriera introduce una donna impennacchiata e coperta di veli da viaggio.


Cameriera      È molto presto, signora. Penso che il signore stia facendo un giretto nel giardino.

De Sainte-Euverte      È lui che canta? Si direbbe la sua voce.

Cameriera      Oh! No, signora. Il signore non canta mai canzoni come questa. È il segretario. Vado a chiedere al signore se può ricevere la signora.

De Sainte-Euverte      Signorina.

Cameriera      Scusate, signorina. Chi devo annunciare, signorina?

De Sainte-Euverte      La signorina de Sainte-Euverte.

Cameriera      Bene, signorina.

(La cameriera esce, la signorina de Sainte-Euverte fa il giro della sala, toccando i mobili con la punta del suo ombrello).

De Sainte-Euverte      Nulla è cambiato qui. (Sfiora con la mano un mo­bili Sempre la stessa  polvere, povero caro, ha pro­prio necessità di qualcuno. (Ascolta un po' la can­zone: mormora) Strano, si direbbe la sua voce.

(La canzone si è spenta. Il generale appare sulla soglia e si ferma confuso).

Generale         Ghislaine!

De Sainte-Euverte      Leone!

Generale         Voi qui?

De Sainte-Euverte      Io, sì. E a testa alta.

Generale         Ma la vostra presenza farà succedere tutta una storia.

De Saint e-Euverte     Sono venuta proprio perché succeda.

Generale         (si avvicina spaventato) Attenzione, lei è nella camera accanto.

De Sainte-Euverte      Sola?

Generale         È col dottore.

De Sainte-Euverte  (sghignazzando appena)   Lo sospettavo! Vi dirò. Ma prima, Leone,lasciate che vi guardi!

Generale         Ghislaine! Voi!

De Sainte- Euverte     Io.

Generale         Intrepida come un'amazzone!

De Sainte-Euverte      Ho preso il rapido della notte. Ero sola nello scompartimento con un tipo di aspetto sinistro che fingeva di leggere il giornale.

Generale (inquieto)   Ghislaine!

De Sainte-Euverte      A un certo punto mi ha chiesto l'ora.

Generale (ansante)     Che porco!

De Sainte-Euverte      Ma io l'ho guardato in maniera tale che ha capito immediatamente, mi ha persino ringraziato come se gli avessi detto l'ora esatta. Ha piegato il gior­nale e si è addormentato. O forse, fingeva di dor­mire... Ma io ero calma, ero armata. La piccola rivoltella col calcio di madreperla che voi cono­scete, Leone.

Generale         L'avete ancora Ghislaine?

De Sainte- Euverte     Se avesse fatto un gesto, se soltanto mi avesse toccato l'orlo del vestito, lo avrei abbattuto e mi sarei uccisa subito dopo. Pura volevo giungere fino a voi.

Generale         Grazie, Ghislaine.

Sainte- Euverte           È sceso a Marmande. A Castelneudary ho noleg­giato una vettura. Nascosta sotto i miei veli verdi, il conducente non ha neppure visto il mio viso, ed eccomi qui.

Generale         Sapete bene che è impossibile, Ghislaine!

Sainte-Euverte            Adesso tutto è possibile. La prova è qui nella bor­setta. La nostra lunga attesa non sarà stata vana, Leone. Diciassette anni!

Generale         Diciassette anni!

De Sainte-Euverte      Diciassette anni, da quella volta del ballo di Saumur!

Generale         I lampioncini, Ghislaine, gli tzigani! Il coman­dante della piazza aveva ritenuto fosse troppo ar­dito, ma io tenni duro; li avevamo fatti venire da Parigi.

De Sainte-Euverte      Oh! Lo strano incanto di quel primo valzer, Leone!

Generale         II valzer dei toreador. (Canticchia) Trallallà, tral­lallà, lallera...

De Sainte-Euverte   (seguitando) Trallalallà, trallalallà, lallà...

Generale         Signorina, volete concedermi l'onore di questo val­zer?

De Sainte-Euverte      Ma, signore, non siete scritto sul mio carnet.

Generale         Mi ci scrivo d'ufficio, signorina. Luogotenente Saint-Pé. Non siamo stati presentati, ma ho l'im­pressione di conoscervi da sempre.

De Sainte-Euverte     (facendo la vezzosa come un tempo)   Ma, comandante,siete di

un'audacia con le fanciulle! E allora, mi hai allacciato la vita, e attraverso la seta e il guanto ho subito avvertito l'ardore della mano. Appena la tua mano ha sfiorato le spalle, non ho più udito la musica. Tutto ha cominciato a girare.

Generale         È il valzer! Trallalallà, trallalallà, lallera... (L'ha presa per la vita e tenta un passo di valzer).

De Sainte-Euverte      Era l'amore... Trallalallà, trallalallà, lallà...

(Estelle e Sidonie appaiono sulla porta con i loro vestiti per il Corpus Domìni, troppo corti),

Sidonie            Papà, siamo qui per i vestiti.

(Il generale, terrificato, lascia all'istante la signorina di Sainte-Euverté).

Generale         Maledizione! Vedete bene che sono occupato. La signorina è un professore. Prendo lezioni di ballo.

Estelle Ci sarà dunque un ballo, papà?

Generale   (che non sa più quel che si dice)   Ne organizzo uno.Per il Corpus Domini, precisamente. (Presentando) Le mie figlie.

Estelle e Sidonie È possibile? Queste incantevoli pupe?

Generale (fa un gesto)            Ecco!

De Sainte-Euverte  (gettando un grido)   Ma... era ieri!

Generale         Hanno fatto molto in fretta. D'altronde, vedete, i loro vestiti non vanno più bene. La signorina è una vecchia amica che vi ha vedute da piccole. Quanto ai vestiti è evidente: ve ne occorrono due nuovi. Concesso. Filate dalla signora Dupont-Fredaine; scegliete con lei il tessuto e che poi venga a fare la prova nel pomeriggio.

Estelle eSidonie  (battendo le mani)   Oh! Grazie, papà! Grazie, pa-pino! Saremo belle per merito tuo, papà!

Generale         Be', si tenterà. Filate! (Le ragazze escono correndo, tenendosi per mano, vivaci) Sono sceme e di una bruttezza! Eccoci in un bel guaio. Dio sa cosa rac­conteranno.

De Sainte-Euverte      (di colpo con una voce diversa, alterata) Ma perché sono così grandi? Sono dunque invecchiata anche io, Leone?

Generale         Siete sempre la stessa, Ghislaine. Una lunga tube­rosa bruna, che profuma nella notte i giardini di Saumur.

De Sainte-Euverte  (lamentandosi)   Ma avevo diciotto anni a quel ballo!

Generale         Non si devono mai fare i conti. (Le prende la mano) La tua mano! La tua piccola mano prigio­niera del guanto. Ti ricordi, sei anni fa, la meringa da Rumpelmeyer?

De Sainte-Euverte      No, Leone. Per tutto il 1904 non fu possibile ve derci. La meringa fu nel 1903.

Generale         Ne assaporavo le briciole sulla punta delle tue dita.

De Sainte-Euverte      Eri già di un'audacia. E non erano neppure molti anni che ci eravamo conosciuti.

Generale         Perché fare calcoli? Tutto ciò è durato solo otto giorni. Le tue dita profumano ancora di meringa.

Cameriera (entra)  Signore.

Generale (sussultando e abbandonando la signorina)          Cosa, signore?

Cameriera      La nuova è di là.

Generale         Quale nuova?

Cameriera      La nuova che rimpiazzerà Giustina.

Generale         Ma, sacripante! Lo vedete che sono occupato. Non ho tempo di andare a cercare una cameriera. Assu­metela. [Ci ripensa] Ma com'è? Non sarà mica uno scorfano?

Cameriera      Questo proprio no! Una bella rossa, un po' forte.

Generale  (con aria sognante) Un po' grassoccia... assumetela senz'altro.

(La cameriera esce).

De Sainte-Euverte      Vorrei tanto aiutarvi, Leone. Tutto questo non è adatto a un uomo. Ne prenderete una qualunque. Volete che la veda io questa ragazza, e che le chieda le sue referenze?

Generale         Grazie, Ghislaine. È inutile. Da come me l'hannodescritta, va molto bene, e da quando Amelia è ammalata, ho preso l'abitudine di occuparmi di tutto io, in casa. E poi ci sono delle decisioni da prendere. La vostra presenza qui è impossibile, amor mio, lo sapete.

De Sainte-Euverte      Eppure questa volta sono decisa a restare.

Generale         Che cosa dite?

De Sainte-Euverte   (solennemente)   Leone! È da tanto tempo ormai che io taccio e    aspetto e custodendo per voi la mia purezza. Se io vi portassi questa mattina la prova inconfutabile dell'indegnità di colei per la quale ci siamo sacrificati cosa fareste?

Generale         L'indegnità? L'indegnità di Amelia! Ahimè! Voi sognate, Ghislaine!

De Sainte-Euverte      Sì, Leone, sogno. Sogno di vivere, finalmente! In questa borsetta che stringo sul cuore ci sono due lettere, e il piccolo revolver dal calcio di madre­perla carico. Due lettere firmate da lei. Due lettere d'amore per un uomo.

Generale         Per mille diavoli! Non è possibile!

De Sainte-Euverte      (appoggiandoglisi contro)Siamo liberi, Leone!

Generale         Ma chi? Chi è? Esigo il nome dell'uomo.

De Sainte-Euverte      II dottor Bonfant.

(Il dottore avanza sorridendo).

Dottore           Generale, ho il piacere di annunciarle che ora sta molto meglio. Abbiamo chiacchierato per un poco. E l'ho calmata. Avevate torto, dunque, a burlarvi della medicina. Tutto dipende dal medico e da come ci sa fare.

Generale   (glaciale)   Non insistete, signore. C'è una fanciulla qui!

Dottore (si volta stupito verso la sig.na de Sainte-Euverte)Oh! Mi scusi, signora... [Inchinandosi].

De Sainte-Euverte  (rettifica con infinita fierezza) Signorina. Ma non per molto ormai.

(Il dottore si raddrizza sbalordito).

Atto secondo

Quando il sipario si alza sulla stessa scena, il generale e il dot­tore sono soli. Il dottore è seduto, il generale passeggia in su e in giù.

Generale      Signore, che ne dite della sciabola?

Dottore         Generale, dico che vi sbagliate.

Generale      Qui deve scorrere del sangue, signore. Dopo potrò ascoltare le vostre spiegazioni.

Dottore         Sarà forse un po' tardi.

Generale      Tanto peggio. Prima il sangue, signore.

Dottore         Ve lo consiglio, proprio siete fuori di voi, e dato lo stato delle vostre arterie... Se iniziassimo con un piccolo colpo di lancetta? Ho il mio astuccio.

Generale      Le vostre facezie da studentucolo non hanno corso, signore.

Dottore         Non sto scherzando. La tensione arteriosa è il no­stro trionfo. Una delle rare occasioni che abbiamo di essere esatti, grazie al nostro apparecchietto. È per questo che la misuriamo ad ogni piè so­spinto. L'ultima volta misurava 210.

Generale      Me ne infischio, signore. Consulterò uno dei vostri colleghi. Per il momento si tratta dell'onore. (Un secondo, poi domanda) È molto 210?

Dottore           Sì, è molto.

Generale  (dopo un altro momento)   Le avete ricevute sì o no, queste lettere?

Dottore           Vi ripeto che non le ho mai ricevute. Se le avessi ricevute, come fareste ad averle?

Generale        È giusto. Ma però le avete vedute. Non sono dei falsi.

Dottore           Apparentemente, no.

Generale        Dunque, signore, questo è il fatto. Mia moglie vi ama.

Dottore           Così scrive.

Generale        E vi sembra naturale?

Dottore           Che posso farci?

Generale        Per mille diavoli, signore. Il corpo medico non ha l'onore delicato. Qualsiasi aspirante, persino un sottufficiale di carriera, mi avrebbe già risposto: « Ai vostri ordini ». Le spiegazioni sarebbero ve­nute dopo. E se vi colpissi con le mie mani?

Dottore           Risponderei con le mie, generale, immediatamente. E credo avrei qualche vantaggio. Io sono presidente effettivo della società sportiva di cui voi non siete che il presidente onorario. Mi alleno tutte le mattine. Un momento fa mi parlavate della vostra pancia, guardate un po' la mia. Abbiamo la stessa età. (Sicala i calzoni).

Generale   (lo guarda indispettito) La tirate in dentro.

Dottore           No. È naturale. Toccate. Adesso guardate la vostra.

(Il generale a sua volta si cala i pantaloni e si guarda la pancia).

Generale         Perbacco.

Dottore           Toccate, toccate la mia. Toccate la vostra.

De Sainte-Euverte(appare sulla soglia del salottino)  Ve ne scongiuro, non vi scannate! Ah, mio Dio! Siete feriti?

Generale  (che si tira velocemente su i pantaloni come il dot­tore)  Ma no, ma no, vi spiegherò, Ghislaine. Tor­nate nel salottino e non uscitene per nessuna ra­gione al mondo, ve ne prego. Vi chiameremo quan­do tutto sarà chiarito.

(La spinge verso il salottino e torna a sedersi vinto vicino al dottore, finendo di abbottonarsi)

Generale         Che affare!

Dottore           Vi confesso che non ci capisco niente. Chi è que­sta giovane donna?

Generale         Una figlia di amici miei, signore. Non vi permetto alcuna insinuazione.

Dottore           Se non ne faccio, seguiterò a non capirci niente e non potrei mai esservi di aiuto.

Generale         La signorina di Sainte-Euverte (di un'ottima fami­glia lorenese) è l'amore della mia vita, dottore. E io sono il suo amore. La conobbi al ballo annualedella Guarnigione a Saumur nel '93, diciassette anni fa. Lei era una ragazza della migliore so­cietà, io sposato. Nulla era possibile fra di noi. A quell'epoca, con la mia carriera, e i bambini, non si poteva pensare al divorzio. Tuttavia noi non volevamo rinunciare al nostro amore.

Dottore           E divenne la vostra amante?

Generale         No, signore. Io la rispettai, e lei promise di con­servarsi pura per me e di aspettare. Ciò che fece. Ci siamo scambiati una corrispondenza, ci siamo incontrati raramente da qualche amico comune nei tè, al Bois de Boulogne. Ogni anno pensavamo: « fra poco ». E così sono passati diciassette anni! La signorina di Sainte-Euverte è sempre una fan­ciulla, e io sono sempre prigioniero.

Dottore           Ma, perbacco, generale, la vostra carriera è fatta, avete le figlie grandi, cosa aspettate ora?

Generale         Ho un segreto, dottore, un povero segreto. Sono vile.

Dottore           Generale, voi scherzate. Volevate uccidermi alla sciabola. E le onorificenze, le diciotto ferite?

Generale (fa un gesto e risponde con semplicità)  Me le hanno fatte, non è la stessa cosa... e poi in combattimento è così semplice, basta di non immaginarsi morto. Nella vita è tutt'altro. (Una pausa, e aggiunge sordamente) Non sono capace di far soffrire.

Dottore (con dolcezza) Allora, amico mio, farete soffrire molto, e anche voi soffrirete molto. Generale È ciò che temo.

Dottore           Riassumiamo, permettete? Voglio aiutarvi a uscir fuori da questo pasticcio. Voi amate questa gio­vane donna?

Generale         Questa fanciulla, dottore.

Dottore           Come volete: questa fanciulla. Essa vi ama. Sono anni che vi aspetta. Ha sacrificato la sua giovinezza nella vana attesa di una felicità che le avete pro­messo. Adesso, questa felicità gliela dovete.

Generale         Sì, signore. Non c'è stato un minuto della mia vita, in questi diciassette anni, che non sia stato avvelenato dal pensiero: che farà? È sola. Starà suonando il piano nel salotto deserto della sua grande casa; ricamerà, mangerà sola, sul suo tavolo nell'immensa sala da pranzo fredda, dove il mio posto è sempre apparecchiato — e sempre vuo­to — andrà alla messa, così altera, così sola, fug­gendo per me gli sguardi degli uomini, gli sguardi degli uomini di anno in anno sempre meno insi­stenti, perché, bisogna ammetterlo, anche lei in­vecchia. Me ne rendo conto, signore, me ne rendo conto. Dieci volte ho preso la mia rivoltella d'or­dinanza, non temo la morte, è una vecchia com­pagna. Fuoco. Pan! Pan! Finito. Per me; non per lei. E non ne avevo neppure il diritto.

Dottore           Lasciamo la pistola d'ordinanza, come la sciabola, nel trofeo. Fra tutti i vostri accessori militari, per­ché non avete mai pensato al vostro zaino?

Generale        II mio zaino?

Dottore          Due camicie, tre mutande, sei fazzoletti. Pan! Pan!

Lo zaino è riempito e finalmente la signorina De Sainte-Euverte non è più una fanciulla.

Generale        E la generalessa, signore?

Dottore          L'amate ancora?

Generale        Corbezzoli, no! Ma lei mi ama, lei. E ne morrà.

Dottore          Bisogna vedere. Le donne sono piene di risorse.Non avete detto che essa ha scritto di amare me; dico me?

Generale (balzando su) Ma perdinci bacco, signore, non vi autorizzo! Due miei amici verranno domani a tro­vare i vostri. Io sono l'offeso. Alla sciabola, signore, alla sciabola! E vi farò vedere io come la sappiamo maneggiare al diciottesimo dragoni. E neppure al primo sangue, signore. È sfruttato il trucco! Una scalfittura all'avambraccio, e ci si deve stringere la mano. Ad oltranza, signore, ad oltranza.

Dottore          Generale, dobbiamo metterci d'accordo. E fair ordine nei vostri sentimenti. È la cosa di cui ini sembrate mancare di più. Volete uccidermi, o volete vivere?

Generale        Come prima cosa voglio uccidervi, signore. Poi si vedrà.

Dottore  Cosè che si vedrà? Con una simile prova d'amore verso vostra moglie, non vedo come riuscirete ad abbandonarla. Mi dite che lei vi fa una scenata quando fate un giretto in giardino, ora che sa bene che non ha più il vostro amore. Se uccidete un uomo per lei, vi sfido di poter andare a far pipì da solo. Generale, bisogna essere logici.

Generale        Potete giurarmi di non essere il suo amante?

Dottore          Sulla testa della signorina Bonfant.

Generale        Non mi fido. Sulla vostra.

Dottore          Sulla mia.

Generale        Del resto è brutta. È un pacchetto d'ossa.

Dottore          No, non è brutta.

Generale        Come non è brutta? Cosa insinuate ancora?

Dottore          La generalessa non è mai stata quella che si dice una bellezza. Ma quando siete arrivati qui, una quindicina di anni fa, devo dirlo, caro mio, è stata molto notata... non da me, non da me, in modo particolare! Ma il suo spirito, le sue toilettes, il suo talento. Era di figura vostra moglie, generale! E poi, veniva da Parigi!

Generale        È di Carpentras.

Dottore          Comunque veniva da Parigi e dall'opera lirica.Sapete bene come la provincia... ne conosco personalmente due, che, per lo meno, hanno molto sperato.

Generale        I loro nomi?

Dottore          A cosa servirebbe, generale, adesso? Uno sta in una carrozzella per aver sacrificato troppo a Ve­nere. Segreto professionale, capite cosa intendo dire? E l'altro è morto.

Generale        Troppo tardi, sempre troppo tardi!

Dottore          Proprio così. Generale, più ci penso e più mi ac­corgo che c'è qualcosa di strano nel vostro caso. Non vi tormentate che sul passato.

Generale        È vero. Mi dimentico la Francia e i galloni sulla manica. Sono vecchio.

Dottore          Si è vecchi solo il giorno in cui lo decidiamo; ma tutto quello che vi occupa ha come un odore di stantio. La gelosia per la generalessa sarebbe andata bene ai tempi dei graffi. Cosa può significare ades­so? L'amore per la signorina de Sainte-Euverte era per la signorina de Sainte-Euverte quando aveva diciotto anni, la sera del ballo della Guarnigione. È un bel pezzo che è morta, questa signorina de Sainte-Euverte. Né voi e neppure essa può ricordare che cosa fu.

Generale  (ha un meraviglioso sorriso)Oh! Se lo posso, si­gnore, se lo posso!

Dottore          Un ricordo intenerito. Il ricordo di una morta. Anche il luogotenente Saint-Pé è morto. Era un focoso soldato che avete ben conosciuto. Intrapren­dente, romantico, innamorato, ma tenero e imbot­tito di scrupoli. Pace all'anima sua! Perché non scegliere una terza soluzione che consista nel di­menticare e nel prendervi cura dei vostri rosai? Non ce ne poi per tanto tempo.

Generale        Giammai.

Dottore          Però — sto per parlarvi ancora come uno studentucolo, ma siete stato voi ad ammetterlo — quanti imbrogli, e quante blenorragie fra voi due per tutto il tempo in cui la signorina de Sainte-Euverte ha atteso?

Generale        Sotto alla chincaglieria, signore, è rimasto il cuore.(Si presenta)  Luogotenente Saint-Pé. Uscito se­condo da Saumur. Senza denaro, ma coraggioso e ben qualificato. Pronto a dare tutto per la Francia, per l'onore e per una donna. Una vera donna: tenera, buona, fedele, pura. Non questa cantante mancata, preoccupata esclusivamente di se stessa e dei suoi eterni rimpianti. Sono io, signore, sono io! Fandonie il vostro tempo che scorre. Non ci credo. Ho trent’anni. E la donna, l'ho trovata — ieri sera — al ballo annuale dell'accademia di Sau­mur. Sono pronto.

Dottore          Allora bisogna far presto, generale. Una buona e franca spiegazione; tagliare nel vivo prima dellacancrena. Far male, se necessario, ma apertamente. E ricominciare da capo. Varcare la porta è tutto un mondo ma, in realtà, basta fare un passo.

Generale      La sapete lunga! Non amate vostra moglie più di quanto io non ami la mia: ci siete riuscito a sgom­brare il campo?

Dottore         No. Ma io non ho incontrato mai una fanciulla al ballo della scuola di medicina. Ecco la diffe­renza fra noi due.

De Sainte-Euverte  (appare sulla porta del salottino) Non posso più resistere! Devo sapere.

Generale (va verso di lei un po' nervoso) Ma, fulmini di Brest! Sono diciassette anni che aspettate, Ghislaine. Potete ben pazientare dieci minuti di più!

De Sainte-Euverte    Proprio non posso; questi diciassette anni erano niente. Da quando vi ho portato le lettere, ogni minuto di ritardo è un secolo, Leone. Non ne posso più!

Generale      Ghislaine, mi occorre il tempo materiale per farle confessare la sua colpa, per notificarle la mia irre­movibile decisione. È un'ammalata, che diavolo! Devo usarle certi riguardi. Non siate crudele an­che voi.

De Sainte-Euverte    Ho sopportato la sua crudeltà e rispettato il suo

amore finché l'ho creduta fedele. Ma ora che so che ha osato tradirvi, sarò senza pietà, mio caro. E senza pazienza. Del resto, se voi foste capace di esitare ancora, sono venuta portando nella borsetta una rivoltella dal calcio di madreperla che cono­scete bene. Farò terminare la mia vita entro l'ora, Leone, senza aver conosciuto dell'amore che le vostre vane promesse.

Generale         Su, via! Cosa andate immaginando, Ghislaine?Non si è mai trattato di non mantenerle queste promesse. Lo sapete bene. Dopo questo così lungo indugio, non vi chiedo che un istante per riordi­nare la mia vita. Rientrate nel salottino e abbiate pazienza. Ci sono delle riviste sul tavolo. Leggete con calma.

De Sainte-Euverte      Delle riviste? Come dal dentista. Questa è la pri­ma volta, caro, che mi date un dispiacere.

Generale      Amore mio! Chi parla di dentista? Vi consigliavo di leggere per non innervosirvi. E, poi, non a voi verrà strappato il dente. Io vi adoro... Un attimo. (L'ha sospinta dolcemente ma con fermezza nel salottino. Rientra). Il tempo stringe dottore, se le parlaste per primo, dottore?

Dottore Mi sembra indelicato, per via delle lettere. E se poi mi casca fra le braccia? Non la finiremmo più con le spiegazioni.

Generale      È giusto. Però restate qui, e se chiedo aiuto, en­trate. (Entra nella camera della generalessa e ritorna quasi subito, sconvolto, con un foglio di carta in mano) Dottore, non è più nella sua camera!

Dottore         Come? Ma se non ci siamo mossi da qui. C'è un'altra uscita?

Generale      La finestra del bagno che dà sul giardino, aiutan­dosi con la glicine.

Dottore         Generale, sognate! Nelle condizioni in cui è...

Generale      Ha lasciato sul tavolo questa lettera: (Legge) « Ho sentito tutto. Gli uomini sono dei vigliacchi. Qua­lunque cosa abbiano potuto raccontarti, io non amo che te, Leone, da sempre. Mentivo. Posso cammi­nare quando voglio. Non sentirai mai più parlare di me». Vuol forse dire che intende uccidersi?

Dottore (guarda il suo orologio) Perbacco! Il passaggio a livello... ne aveva parlato. Mancano due minuti, il treno passa ai cinque!

Generale  (ha un'altra idea) Lo stagno! Ciascuno corra in una direzione!

(Escono tutti e due velocemente).

De Sainte-Euverte (entra quasi nello stesso tempo) Anche io ho udito tutto, e so cosa mi resta da fare. Voi l'amate an­cora, Leone! (Si siede allo scrittoio del generale e comincia a scrivere rapidamente, calma, ma pre­mendo una lacrima sotto la veletta. Mormora)« Leone. Ecco la mia ultima lettera. Io che ti ho scritto tanto. So bene che tutte quelle lettere erano ridicole; tutte quelle lettere per diciassette anni; e che questo ha potuto stancarti; ma ero sempre così sola... ».(La sua voce muore ma seguita a scri­vere. Si sente la voce di Gastone, il segretario, che ricomincia a cantare la sua canzone italiana d'amo­re sotto le finestre, nel giardino. La canzone d'amore continuerà per tutto il tempo che la signorina scri­verà la lettera. Quando la lettera è finita la signo­rina de Sainte-Euverte la mette in evidenza sul tavolo del generale) Ecco. Sopra le sue carte. È tutto. È la cosa più semplice del mondo. (Siè al­zata, prende pacatamente la borsetta, ne tira fuori la pistola dal calcio d'argento, l'appoggia sul cuore e preme il grilletto, mentre da fuori la canzone seguita sempre. Il colpo non parte. La signorina de Sainte-Euverte guarda sbalordita la sua piccola pistola, tira la bacchetta della pistola, ne spinge un'altra, soffia nella canna e tira ancora. Sempre a vuoto: sospira) Sono diciassette anni che aspetta anche lei! (Getta la rivoltella, guarda l'orologio che le pende dal collo e mormora) Troppo tardi per il treno. Lo stagno! (Sta per uscire, ci ripensa] No. Non nello stesso posto di lei, comunque. (Si guarda attorno) Con un po' di fortuna la finestra.

(Prende lo slancio, corre, scavalca il davanzale del balcone e cade nel giardino. La canzone si arresta bruscamente con un singulto. La scena resta vuota per un secondo, poi Gastone, il segretario, entra portando fra le braccia, svenuta, la signorina de Sainte-Euverte. Nello stesso tempo arriva la came­riera, sconvolta).

Cameriera     Ebbene, signor Gastone, cosa succede? Avete fatto una stecca!

Gastone                     Stavo leggendo tranquillamente il giornale sul­l'amaca e mi casca sulla testa questa signora!

Cameriera     Guarda un po' che essere! Quando è arrivata, io già sospettavo il dramma. Aveva l'aria di una paz­za. Si è fatta male?

Gastone                     Non so se lei si è fatta male, ma a me ne ha fatto. Che idea di atterrare sulla testa della gente!

Cameriera     Voleva forse uccidervi?

Gastone         Avrebbe agito in altro modo. Piuttosto essa... Poi io non la conosco. (La stende sul divano)  È svenuta.

Cameriera E il dottore che è appena uscito! Sta sempre pian­tato qui quello, e una volta che qualcuno si uccide, se ne va!

Gastone (che schiaffeggia la signorina de Sainte-Euverte)Andate a cercare qualcosa, accidenti!

Cameriera    Che cosa? Gastone Che ne so io, una medicina, i sali, la tintura di jodio.

Cameriera    Andrò a fare un buon caffè. (Esce).

Gastone        Comunque, non c'è sangue. (La tocca da per tutto)Si direbbe che non c'è niente di rotto. Nessuna ammaccatura. Signora! Signora!

De Sainte-Euverte   (debolmente)Signorina...

Gastone        Scusate, signorina. Va un po' meglio?

De Sainte-Euverte   (a occhi chiusi mormora) Lascia le tue mani su di me, Leone.

Gastone (si rivolta impacciato)  Scusate, signorina, siete in errore.

De Sainte-Euverte   (con un grido)  Lascia le tue mani, dappertutto, Leone. O sento che me ne andrò di nuovo. Le tue mani, presto, le tue mani, o parto...

Gastone (smarrito si guarda le mani) Le mie mani? Eppure non posso mica lasciarla svenire di nuovo. (La riprende fra le braccia. A parte) Non che sia spia­cevole. Sono un uomo così solo. E vorrà dire che me ne confesserò.

De Sainte-Euverte Ahi! com'è bello! Tu mi tocchi, Leone, finalmente. Non sono più sola. Ho tanto atteso che tu mi toc­cassi... Credevi che fossi forte. Ed ero forte, bisognava esserlo; ma erano così lunghe tutte quelle notti da sola. Anche prima di conoscerti ero sola, ma non lo sapevo. Fu il primo giorno dopo il ballo di Saumur che il mio letto divenne grande. Il gior­no dopo, e tutte le sere, per diciassette anni. E tutti i cattivi pensieri. Tu non sai. Non ti dirò mai. Lottavo, così sola. Neppure la mia mano poteva toccarmi. Nessuno doveva toccarmi nell'attesa di te. È stato terribilmente lungo, Leone, posso ben dirtelo ora, poiché è finito, poiché tu sei qui e mi tieni per sempre. Sono forti le tue braccia, e dolci le tue mani, ancora più dolci che al ballo di Sau­mur. Baciami, Leone, adesso lo possiamo. Baciami dal momento che sai che sto per morire. Cosa aspetti, Leone? Che io muoia?

Gastone   (a parte) Certamente questa signora si inganna; ma siccome forse può morire... (La bacia).

De Sainte-Euverte   (ha il tempo di sospirare)   Finalmente!

(Lungo bacio. Entra il generale portando fra le braccia la generalessa. Si ferma inchiodato a terra davanti a questo spettacolo).

Generale         Accidenti! Ma cosa state facendo, giovanotto?

Gastone (si alza atterrito)Signor generale, la signorina de­lira, ha perduto conoscenza!

Generale (urla)   Accidenti! Non ne dubito, ma voi?

Gastone  (che non sa più quel che si dice)  Mi è caduta sulla testa, signor generale, e mi ha   ordinato   di baciarla.

GeneraleMa, per mille fulmini, sono impazziti tutti quanti qui, stamattina! Non comprendo niente di ciò che mi state raccontando. (Grida sempre con l'impac­cio della generalessa svenuta)  Ghislaine! Ghislaine! Che avete? Cosa vi è successo?

Gastone          Si è buttata dalla finestra, signor generale. Grazie a Dio, io ero sotto nell'amaca. Mi è caduta sulla testa. Non credo si sia fatta male.

Generale         Dalla finestra! Perdinci bacco! Che pazze, tutte quante! Amore mio caro! Prendete mia moglie, giovanotto. (Mette la generalessa fra le braccia del segretario e si precipita verso la signorina de Sainte-Euverte)  Ghislaine! Amore mio! Perché ave­te voluto morire? Non vi chiedevo che un po' di pazienza ancora, ed ero libero, finalmente! Ghis­laine, ritornate in voi. Tutto sarà possibile adesso, ve lo giuro.

De Sainte-Euverte  (ritorna in sé)   Chi mi tocca? Non riconosco que­ste mani.

Generale         Sono io, Ghislaine. Sono Leone. Il vostro Leone!

De Sainte-Euverte  lo respinge)  Lasciatemi. Voi non siete Leone. Non riconosco le vostre mani. (Il generale la bacia) Né la vostra bocca. Leone mi ha baciato, finalmente. Ha venti anni, lui. Voi, vi proibisco di toccarmi. Lui solo può toccarmi. Voi lo sapete bene, io mi conservo.

Generalessa    (si risveglia fra le braccia del segretario e chiama)  Leone!

Generale  (prende  fra le braccia la signorina de Sainte-Euverté)  Andiamo, su! L'altra sta per rinvenire. Non deve vederla qui: si riucciderebbe!

Generalessa (aggrappata al collo del segretario, mugola)   Leone, prendimi. Baciami, Leone. Baciami Leone. Baciami immediatamente prima che sia morta del tutto! Vedi bene che sto morendo!

Gastone (grida sconvolto al generale che tiene fra le braccia la signorina de Sainte-Euverte) Signor generale! anche questa mi chiede di baciarla prima di mo­rire. Che bisogna fare?

GeneraleState perdendo il senno giovanotto! Non vedete che delirano tutte due? Depositate la generalessa nella sua camera, io porto la signorina qui accanto.

(Escono tutù e due portando le donne svenute. La cameriera rientra con il caffè).

CamerieraGuarda, questa volta se ne sono andati tutti. Ma se credono che alla mia età voglia correre loro dietro! Io lascio qui il caffè. (Si accorge della let­tera)  Cos'è questa? Una lettera? (S'infila gli oc­chiali e comincia a leggere con un tono di voceinsulso che però lascerà via via che legge] « Leone. Ecco la mia ultima lettera. Io che ti ho scritto tanto (è una tresca; che vecchio donnaiolo però). So che è ridicolo tutte quelle lettere — tutte quelle lettere per diciassette anni — e che questo ha po­tuto stancarti... ma ero sempre così sola e restavo unita a te solo da questo piccolo filo di inchiostro nero che svolgevo sulla carta. E se ti scrivevo gior­no e notte, sempre se ti scrivevo che ti amavo e che ti aspettavo, sempre la stessa cosa, è che avevo paura di spezzare il mio piccolo filo nero e di per­derti, mio caro assente (il suo piccolo filo nero. Deve essere una sarta). Mio caro assente... perché sei sempre stato lontano, Leone. Tu avevi la tua professione, la tua famiglia, anche se detestavi tua moglie e se le tue figlie ti annoiavano, avevi le loro parole, le loro scenate, il loro rumore intorno. Ma io ero sola nell'eterno silenzio, con la mia do­mestica (allora non era sola), con la mia domestica, il mio gatto, il mio pianoforte e il tuo nome che ripetevo sempre senza risposta. Se almeno avessi dovuto lavorare, ma ero ricca, purtroppo! E la mia unica fatica, il mio unico compito quaggiù, sarà stato di mantenermi pura per te, Leone. Non cre­dere che almeno nei primi anni i giovani non mi guardassero, e che io non li trovassi belli, qualche volta. Ma sapevo che bisognava non vederli. Soprattutto sapevo che bisognava che loro non mi vedessero. In principio era difficile, al tempo di Saumur ero fresca e graziosa; allora avevo impa­rato come fare — il mio piccolo segreto messo a punto per te — senza neppur far smorfie, passando loro accanto diventavo brutta, così, semplicemente, e anche più che brutta, tesoro, invisibile. Ecco, per conservarmi per te, sarei diventata una fan­ciulla sempre più invisibile, amor mio, fino a scom­parire del tutto. Ti bacio. Firmato: Ghislaine ». (La cameriera rialza la testa, un po' commossa, si toglie gli occhiali e rivolta al pubblico conclude) È molto triste. Però, via; è scritto maledettamente bene.

Atto terzo

Stessa scena. Il generale è solo. Sembra in attesa. Il dottore esce dal salottino.

Generale Allora?

Dottore Riposano tutte e due. Ho dato loro una buona dose di gardenal. Il guaio è che finiranno con lo svegliarsi.

Generale Eravamo cosi tranquilli. Incredibile, da un'ora a questa parte non ci si capisce più niente. Ero quasi arrivato a riunire qualche idea. Caro mio, la medi­cina dovrebbe trovare un mezzo per fare dormire eternamente le donne. Le faremmo svegliare un momentino alla notte, e poi di nuovo a dormire.

Dottore Ah! Generale, se fosse possibile! Solo che avremmo uno strano tipo di casa. Per me quando devo farmi un uovo al tegamino, è un dramma. E ancora cuo­cerlo è niente. Ma, dopo, bisogna lavare il piatto.

Generale        Sarebbe da vedere. Nel caso non si farebbero ad­dormentare le domestiche. Avete visto quella nuova, una piccola rossa? ... Bella figliola. Con tutte queste storie non ho avuto nemmeno il tempo di dirle una parola. Un petto, caro mio! Mai visto uno simile! (Sospira) Mio Dio, potrebbe essere tutto così semplice! Perché ci complichiamo la vita?

Dottore           Perché abbiamo un'anima generale. Date retta ad un vecchio libero pensatore. È lei che ci avvelena­la sottoveste della cameriera è un momento piace­vole, ma poi... senza amore, senza un vero deside­rio, che vuoto! Allora in questo vuoto l'anima ri­fluisce, se ne ha piena la bocca, vi esce dal naso. È disgustoso.

Generale        Conosco queste cose. Ma non è disgustoso, al con­trario. Dopo si diventa idealisti, ecco tutto. Un vago disgusto, il cuore in mano e i pensieri più nobili. Si sarebbe veramente incapaci di fare qual­cosa di brutto... pensare che abbiamo potuto... Puah! Anche sentire la propria anima, dottore, è una voluttà. I materialisti non capiscono niente del piacere. E non crediate, poi, che io sia un porco. Il pomeriggio passa così, molto delicato. Un buon libro, una passeggiatina respirando il profumo dei fiori, si hanno delle idee generali, ci si sente leggeri, artisti... un pranzo eccellente, e poi in sede verso sera, senza attribuirvi eccessiva importanza, dopo esserci ben rifocillati, non visto né conosciuto, fra due porte. Fa bene prendere un minuto di obbro­brio. Ne abbiamo poi tanti lo stesso con tutti gli scrupoli che ci facciamo. Tanto più che si torna immediatamente a essere idealisti e, grazie a que­sto, si va a letto pieni di buone risoluzioni. E in ultima analisi, chi ci guadagna? La virtù. È unpeccato che le donne non abbiano mai capito que­sto ingegnoso sistema di equilibrio. Drammatiz­zano qualunque cosa.

Dottore           Non hanno la nostra stessa concezione dell'egoi­smo, ecco tutto. Noi abbiamo deciso che ogni Cosa fosse nostro alimento, e tranquillamente attiriamo le cose verso quel piccolo nucleo che siamo. Le donne si proiettano sul mondo che si riveste delle loro forme e diventa loro stesse. E più esattamente sull'uomo che diventerà il loro mezzo di espres­sione. Il disgraziato conserva i suoi folti baffi, le sue ghiandole, i suoi vestiti, il rango sociale, la professione, ma pfuh! Non se ne neppure accorto; il tiro è giocato. Tutto questo non è più che un miraggio. In realtà è diventato il fantoccio di una donna. Per l'amore, per il denaro, per la potenza, per la vendetta, per tutto. Ed è felice poi, l'imbe­cille. Per lo meno in principio : egli è amato.

Generale         Dio ci liberi dall'essere amati, dottore! E ancora se facessero la loro piccola faccenda col sorriso... ma no affatto. È che loro soffrono enormemente per mangiarci! Sempre a piangere, a gemere, a sen­tirsi male. Voi ragionevolmente credete che ci siano a questo mondo altrettante opportunità per soffrire?

Dottore           No.

Generale         Neppure io. E quando per un caso straordinario smettono di sentirsi male, non finisce così, e il male lo fanno a voi.

Dottore   Vi dirò io il segreto, generale. Siamo rimasti tutti dei ragazzi. Non ci sono che le ragazzine a cre­scere.

Generale  (improvvisamente) Io mento, ce ne una comunque, che non mi ha mai fatto del male, che non mi ha mai rimproverato niente. (È anche vero che non ho mai vissuto con lei). Ah! se l'aveste veduta al ballo di Saumur... scommetto, dottore, che voi non siete sicuro che io l'amo per aver potuto at­tendere tanto?

Dottore           Mio caro, non si deve mai giudicare l'amore e il coraggio degli altri. Nessuno può dire chi ama o chi ha paura.

Generale        Dottore, vi ho detto la mia vita in due parole. La conchiglia è bella. Vi hanno dipinto sopra foglie di quercia e non so quante decorazioni. Sono nelle grazie di Poincaré (se la Germania si muove mi richiamano, me lo ha detto lui), ho una bella casa, dei bei baffi, le ragazze facili di questo paese non hanno rifiuti per me; quando la mattina passo sul mio cavallo nero, col mio giustacuore, scommetto perfino che faccio sognare le piccole pulzelle della via alta, nascoste dietro le tende, e che con un po' di applicazione... di prim'ordine alla sciabola e alla pistola gli uomini hanno paura di me; al bigliardo, al caffè delle Tre Botti, faccio dei colpi che non fa nessuno sotto lo sguardo amorevole della cassiera (che bionda, caro mio! Passa per una virtuosa, ma io l'ho avuta). Desto scalpore, sono vigoroso malgrado il mio inizio di pancia, bestemmio, dico delle enormità, quando mi va a genio, e tutti quanti mi lasciano fare, anche il curato, perché ho maniere : mi batto il petto come un gorilla e ognuno dice : « Ecco un uomo ». Eb­bene, la conchiglia è vuota. Non c'è niente dentro. Sono completamente solo e ho paura.

Dottore          Paura di che?

Generale        Non lo so, io. Della mia solitudine, senza dubbio.Sono un vecchio ragazzino abbandonato. Nel Ma­rocco, sciabolando l'arabo - eppure, buon Dio, mi faceva pur piacere -  alla rivista di Longchamp, quando il presidente della repubblica mi ha dato il gran cordone, nel bordello, annaffiando tutti di champagne, avevo voglia di gridare aiuto... So cosa mi direte, che bisogna rientrare in se stessi. Ho tentato anche questo. Sono rientrato in me stesso più volte. Soltanto, ecco, non c'era nessuno. Allora, dopo un momento ho avuto paura e sono tornato fuori a fare del rumore per riassicurarmi.

Dottore          Povero amico.

Generale         Sì, dottore. Mi calo i pantaloni. Non ne posso più di non averlo detto mai. Persino le mie avventurecredete che mi divertano? Mi annoiano. È il mio terrore di vivere che mi spinge a correre loro dietro. Quando si vedono passare con le loro nati­che e con le loro mammelle, sotto i vestiti, si ha non so quale folle speranza. Ma dopo, una volta tolto il vestito, quando bisogna smucinarle! Si ha un bei cercare di essere gentili (un vecchio avanzo di educazione). Ma è che vi stralunano gli occhi perfino le prostitute, e credono di farvi un gran regalo. Però, si sono raccontate tante fandonie prima, che bisogna pur far qualcosa. Solo che con tutte queste false manovre si arriva alla mia età e ci si accorge che non si è mai fatto all'amore. Ho avuto torto a burlarmi del mio segretario. Io sono un vecchio pulzello, caro dottore.

Dottore          No. Avete la malattia, semplicemente.

Generale        Quale? Le ho avute tutte. Mi sono fatto conciare non so quante volte.

Dottore          Quelle lì non sono nulla. Si curano. Abbiamo un'anima, generale. Ho negato per lungo tempo il fenomeno. Ero di una buona scuola, non si scher­zava, su questo punto, ai miei tempi, alla Sorbonne. Volevo attenermi ai cancri e agli ascessi. Ma adesso mi sono convinto. È là che sta il male, la maggior parte delle volte.

Generale        Ma tutti hanno un'anima, perdinci bacco! Non ò una ragione per aver fifa tutta la vita. Dottore Sì, generale. Le anime sono rare. E quando per disgrazia ne abbiamo una, fino a che non le si è dato la sua pace, è la battaglia.

Generale La sua pace? La sua pace? Ma, perdinci bacco, che cos'è la sua pace? Che si spieghi una buona volta, e io gliela concedo all'istante pur di avere la mia! Non vorrà comunque che mi faccia curato?

Dottore No. Se fosse così semplice, sarebbe fatto.

Generale Allora, cos'è che vuole? Che lo dica! Proverò. Che viva casto? Ma quando frugo con le mie mani sotto una gonna, è per accertarmi se per caso l'animo non fosse là sotto!

Dottore Anche questo sarebbe troppo semplice, generale.

Generale         Che mi occupi della mia famiglia? Che rinunci a tutto? La generalessa è una vecchia cantante fallita che mi invischia dei suoi rimproveri stantii, le mie figlie sono due idiote che non pensano che ai loro vestiti e ai loro can can di figlie di Maria. Se al­meno fossero belle... I soli momenti in cui mi sento un po' più sereno, è quando vedo qualcosa di bello. Ma non posso diventare pittore o scultore, non ci capisco niente. Allora cosa, correre per i musei come un imbecille con una Kodak? No, in ogni caso. La bellezza dobbiamo poterla creare noi stessi. Bisogna essere un gran fottuto per passare la vita a leccare le vetrine.

Dottore          E la signorina de Sainte-Euverte, generale?

Generale  (dopo un momento, cambiando tono all'improv­viso)  Ebbene, sì. Sono diciassette anni che me lo dico. La cosa straordinaria che mi è successa a quel ballo dell'Accademia di Saumur: avevo invitato una giovane donna come le altre — mi era pia­ciuto il colore del suo vestito e dei suoi capelli —; il fatto è che di colpo non ho avuto più paura. È stato un attimo meraviglioso, amico mio. Il valzer dei toreador. (Canta)  Trallalallà, trallalallà, lallera... Mi presento, la invito, la stringo a me e di colpo mi dico: « Come sto bene! Cosa sta succedendo? ». Era la mia anima che mi lasciava in pace.

Dottore          E ciò si è ripetuto?

Generale        Ogni volta. In ognuno dei nostri poveri appunta­menti, nei tè pieni di vecchie cornacchie, a scappa e fuggi in un caffè, sulle barche del Bois de Boulogne, sulla Tour Eiffel, e sui campanili di Notte Dame. (Facevamo come tutti gli innamorati ancora puri che non sanno mai dove fermarsi, visi­tando eternamente Parigi). Ogni volta accadeva il miracolo. Cessavo all'improvviso di avere paura.

Dottore          Ma perché non sposarla subito o divenirne l'aman­te, accidenti?

Generale        La mia amante, in confidenza, avrei anche potuto...

                Ho fatto finta di rispettare i suoi scrupoli, ma una donna degna di questo nome e che      mi ami non neha di questo genere, lo so bene. E può essere che l'abbia delusa alla        lunga, rispettandola talmente. Mi pare di avervi detto che ero un vile, dottore. Ho     avuto paura di rompere l'incanto, compiendo con lei gli stessi gesti. Ah! Se fossi stato    un gio­vane, puro come lei... Il problema non si sarebbe posto. Ma l'albergo           ammobiliato il pomeriggio, i rumori dell'acqua del rubinetto accanto — o anche una       garsonnière, dove ci si va a chiudere tre volte la settimana, solo per questo... — Ho         voluto aspet­tare di essere libero per far prendere all'amore il suo posto vero, in una             vita di tutti i giorni.

Dottore                       Era giusto. Ma allora? Perché avere atteso tanto?

Generale         Parlate con disinvoltura... Voi non la conoscete quella scocciatrice (intendo          dire la mia anima). Quando si trova di fronte alla generalessa, grida di paura e di        disgusto — soltanto, quando faccio piangere la generalessa, quando geme nella sua   poltrona a rotelle — eppure io so che ci resta uni­camente per dispetto, quando             finalmente vado per serrarle la gola (non c'è da ridere ci ho pen­sato) e prendere il mio     kepì dall'attaccapanni del­l'ingresso per sgomberare il campo, una buona volta; sapete cosa fa questa birolda? (parlo della mia anima, dottore). Mi taglia le gambe, mi inonda di pietà, di ignobile pietà di vecchi ricordi d'amore del tempo in cui non era      tutto impietrito e freddotra di noi. Mi inchioda a terra. Allora riattacco il mio       kepi,    rimando ad un'occasione migliore, e porto la mia anima a fare un giretto nel     bordello per vedere se questo le può far bene. Avete un'anima, voi, dottore?

Dottore                       Sì. Ma è molto timida e modesta nelle sue esigenze.

Generale         Ebbene! Non le date delle cattive abitudini. Non indulgete a niente. O     altrimenti avrà la vostra pelle. (E alla porta del salottino, mormora d'un tratto,         sognante) Cara Ghislaine! Cara alta snella e paziente Ghislaine! Cara piccola anima           disponi­bile! Cara vedova! (Grida) Luogotenente Saint-Pé! Uscito secondo da Saumur.          Ho trenta anni, lo giuro. (Si volta verso il dottore] Datele un po' meno gardenal che          all'altra, dottore. Vorrei tanto poterla consolare.

Dottore (sorride) Inteso. Vi voglio bene, generale. Se penso che è mancato poco non ci   scannassimo per questa storia delle lettere...

Generale   (grida all'improvviso, colpendosi il petto coi pugni) Accidenti, sono troppo     scemo! E se pensassi un poco a me, perbacco? A me! Sì, a me! Anche io esisto. Se pensassimo un po' a quello che mi fa piacere, a quello che mi fa bene. Quando    minacciavo un arabo con la punta della sciabola, forse non mi ponevo tanti problemi,      in nome di Dio!Se la smettessi un poco di capire sempre gli altri. Sarebbe così          bello! Che ne pensate, dottore?

Dottore           Credo che sarebbe il meglio che potreste fare... se vi riesce.

Generale        Allora è deciso. È stabilito. Eseguire! Rompete le file! Chi dice che non ha la ramazza? Tanto peggio! Non voglio saperlo! [Entra il segretario] Ah! Buon giorno, ragazzo mio. Arrivate proprio a proposito. Mi sento lo spirito gagliardo. Finiamo in quattro e quattr'otto il capitolo del Marocco, e rimandiamo di dieci anni il prossimo capitolo. Vedranno di che legno mi riscaldo!

Dottore Vi lascio, generale. La signora Bonfant deve rite­nere che sto un po' troppo qui. Non posso inse­gnarvi cosa sono i rimproveri, vero? Tornerò a vedere stasera. Dovreste approfittare del gardenal e impostare la grande scena.

Generale      Ci penso. Ma è così bello poter parlare per un istante di qualcosa di diverso.        Faccio un viaggetto nel Marocco e torno. (Il dottore esce. Il generale si rivolge al suo        segretario) Torniamo ai nostri due pretonzoli. Avevano dunque raschiato via i loro           ciondoli. Scriva: « Una spaventosa mutilazione che esitiamo a precisare, effettuata     sulla persona di due santi ecclesiastici, e dei quali avrebbe causato la morte,      funestando il piccolo centro di coraggiosi pionieri che difendeva la civiltà francese nell'im­pero sceriffale, stava per dare inizio alle rappresa­glie. L'assassinio dei nostri due missionari doveva, in effetti, metterci nella triste condizione di fare, a nostra volta, scorrere il sangue. Tanto più che era un bel pezzo che aspettavamo l'occasione di poter finalmente mostrare la nostra forza ». (Ci ripensa) No! Questo lo tralasci. (Continua) «La repressione moderata, ma ferma, fu però senza pietà. La spedizione Dubreuil, partita da Rabat il 25 maggio '98, si addentrò nel Sud. Mi fu con­cesso di comandare lo squadrone di avanguardia che doveva attaccare ovunque. Mentre sorgeva la prima aurora, alla testa della lunga colonna che si snodava nel deserto, pensavo alle gravi responsa­bilità che avrebbero pesato sulle mie spalle ».

(Entrano Sidonie ed Estelle provando i loro vestiti, seguite dalla signora Dupont-Fredaine, una gran bella sarta).

Sidonie           Papà, veniamo per i vestiti.

Generale        Non scocciatemi l'anima. Ho altre gatte da pelare.

« Siamo in procinto di attaccare »... (Vede la sarta)Oh! Signora Dupont-Fredaine! Come sono con­tento di vedervi... Sempre bella, sempre seducente e frusciante. (Le bacia la mano) Che linea, capperi! Che grazia, signora Dupont-Fredaine. Siete la più bella donna del paese!

Dupont-Fredaine       Cose passate, generale. Bisogna occuparsi dei gio­vani. Ci avete tenute alle strette, sa? Abbiamo do­vuto fare un miracolo per rendere belle queste due figlioline.

Generale         Un miracolo in effetti, non ci voleva di meno! Sì, è vero, sono un vecchio babbeo, mi sono lasciato incantare da queste monelle per la festa del Cor­pus Domini!

Dupont-Fredaine (gli dà un piccolo scappellotto) Miscredente! Che ne pensate di questa piccola gala in basso, col ri­chiamo sulle maniche? Io trovo che è una mera­viglia!

Generale         Incantevole! Incantevole! Anche il vostro vestito è molto bello. Cose questo splendido tessuto?

Dupont-Fredaine  (schivando il gesto) Generale! Guardate le vostre figliole. Il loro tessuto è molto più bello.

Generale   (distratto)Incantevole! Incantevole! Mi costerà molto caro?

Dupont-Fredaine Generale, sapete che io sono ragionevole...

Generale (andandole vicino)   Lo so anche troppo, Emma.

Dupont-Fredaine Buono! Buono! Non parliamo del prezzo. Queste signorine volevano essere sicure di piacervi e, credo, anche di piacere al signor Gastone.

Segretario (tutto rosso) Ma, signora, io non sono qualificato. Sono così poco abituato alle           ragazze.

Dupont-Fredaine Quando si hanno venti anni, e si è un bel ragazzo, si è sempre qualificati,         giovanotto. È tutto rosso, generale, è adorabile il vostro segretario.

Generale         Per mille diavoli, signora, vi proibisco di adorarlo.

Dupont-Fredaine Camminate un po' per la stanza, signorine. Il ge­nerale e il signor Gastone        ci diranno il loro parere.

           

(Mentre le fanciulle passeggiano, il generale si av­vicina alla signora Dupont-Fredaine)

.

Generale         Emma, voi sapete che questi rifiuti continui sono assurdi.

Dupont-Fredaine        Zitto. Siete un volgare donnaiolo. Dupont-Fre­daine è vostro amico.

Generale         Proprio per questo. Nessuno si stupirebbe. Fanta­stico! Fantastico! Dobbiamo       però parlare seria­mente del prezzo di queste bagatelle, cara signora. Venite dunque a          fare un giretto in giardino, vi offrirò una rosa. Un istante fanciulline, torniamo subito.            Gastone le affido a voi.

(Esce con la signora Dupont-Fredaine, le due ra­gazze si precipitano sul segretario).

Sidonie            Non avete vergogna a lasciar dire che siete ado­rabile?

Estelle Da una vecchia trottola come quella? Non vi im­porta niente che noi                                  soffriamo?

Segretario       Ma, signorine, non potevo farci nulla!

Sidonie            E l'altra, stamattina, non potevate farci niente? Perché l'avete baciata sulla            bocca?

Estelle È vergognoso, tutti lo hanno visto!

Segretario       Ero solo.

Estelle E voi vi credete che noi vi lasciamo solo? Vi sor­vegliamo sempre, eravamo           dietro la finestra.

Segretario       Mi è caduta sulla testa, stava per morire, ero co­stretto.

Estelle Avevate giurato, Gastone!

Sidonie            Avevate giurato: luna o l'altra!

Segretario       Signorine, io vi amo tutte e due.

Estelle Però è una terza che baciate? Quanto siete pulito...

Sidonie            Ah! Cara mia, gli uomini! Questo ti stupisce? Come sei giovane...

Estelle E noi non ci bacia neppure.

Segretario       Ma, signorine, voi siete delle fanciulle. E poi, siete sempre in due. (Le ragazze     si rivoltano l'una verso l'altra, furiose).

Estelle Vedi!

Sidonie            Vedi!

Estelle Non vuoi mai che Io veda da sola!

Sidonie            No, sei tu!

Estelle No, sei tu!

Sidonie            No, sei tu! Bruco verde! Manico di scopa! Salsic- ciotta!

Estelle Lardellosa!      Cuoca! Bertuccia!

           

(Si picchiano).

Segretario (smarrito, cerca di separarle girando loro intorno goffamente) Signorine!       Signorine! Aiuto! Qual­cuno! Aiuto! Si uccideranno! [Entrano precipitosa­mente, tutti      rossi, la signora Dupont-Fredaine e il generale].

Dupont-Fredaine        Ebbene, signorine! I vostri vestiti!

Generale (fra i denti) Mi hanno fatto paura. Ho creduto che ci avessero visto! (Grida) L'avete    finita, per mille milioni di portelli! Ma chi me l'ha spacciate due bertucce simili!     Insomma cosa succede, spiegatevi!

Sidonie            È lei che ha cominciato.

Estelle No. È lei!

Generale         Perdincibacco, giovanotto, io ve le avevo affidate e voi non siete neppure            capace di impedire che si picchino?

Dupont-Fredaine  (inginocchiata, rimediando ai danni dei vestiti)Oh! I vostri vestiti! I    vostri   vestiti! Siete delle pic­cole vandale! Generale Rispondete. Perché si     picchiavano?

Segretario (scarlatto)Non posso dirvelo, signor generale.

Generale         Non potete dirmelo? Perdincibacco! Chi si sta prendendo in giro qui? Perché       vi picchiavate voi due?(Silenzio delle ragazze; poi Estelle di botto)

Estelle Noi l'amiamo, papà. Noi l'amiamo come pazze!

Sidonie Lo amiamo tutte e due. Generale Chi?

Estelle eSidonie  (fra i singhiozzi) Lui!

Generale         È il colmo!

Estelle Ma, papà, tu non sai cosa sia l'amore! Dupont-

Fredaine         (inginocchiata) Signorine! Signorine! State pian­gendo sui vostri vestiti! Generale            Fulmini di Brest! Ne dite delle grosse! Questo verginello?

Dupont-Fredaine        (con un grido)Generale!

Generale         Tanto peggio, la parola è detta. Questo imbecille? Questo scribacchino da            nulla?

(I singhiozzi delle ragazze si calmano).

Estelle   (domanda di colpo)Cos'è un verginello, papà?

Generale         Accidenti! Uscite immediatamente. Abbiate la bontà di portarle via, signora        Dupont-Fredaine, e di lasciarmi solo con questo audace. Non so cosa succeda in          questa casa, ma non si può più andare avanti in questo modo!

Dupont-Fredaine (uscendo con le ragazze)  È l'amore, generale!

Generale         Ne avete delle buone, voi. L'amore non è una scusa per tutte.

Dupont-Fredaine (passando gli dà uno scappellotto che gli altri non vedono) Brutto        bugiardo! Mi avete appena detto il contrario. A fra poco.

Generale  (strizzando un occhio)   A fra poco, Emma.

Generale  (rimasto solo con Gastone, lo squadra severo) Cosa significa tutto questo,      signore?

Segretario       Non lo so signor generale. Sono anche io scon­volto. Stanno accadendo cose        talmente fuori del comune qui da stamane. Poco fa, quella giovane donna, ora questa            battaglia inattesa.

Generale         Parliamone, ragazzo mio. Voi capite che possa anche io trovare stupefacente        sorprendervi in due ore a baciare una giovane donna — mia invitata — col pretesto     troppo comodo che lei vi è caduta sulla testa e ad arbitrare un match di boxe fra le mie             figlie che muoiono d'amore per voi. (Il segretario vuole parlare, il generale urla)             Basta!... Mi siete stato raccomandato da un venerabile eccle­siastico che si è fatto             garante della vostra calligra­fia e della vostra moralità. Fino ad ora avevo ri­scontrato        l'eccellenza sia dell'una che dell'altra. Co­mincio a disincantarmi, amico mio.

Segretario      Vi giuro che niente del mio atteggiamento ha po­tuto spingere le signorine...

Generale Non affogate il pesce, signore! Niente del vostro atteggiamento ha potuto       spingervi neppure sta­mattina a baciare sulla bocca la signorina de Sainte-         Euverte!

Segretario      Mi prendeva per un altro, signor generale!

Generale Ragione di più! Siete un impostore, signore!

Segretario      Non è tutto, signor generale, ciò che è successo è ancora più grave.

Generale  (si avvicina atterrito) Perdincibacco! Sapete che non seguiterò a scherzare sempre. Forse non vi siete accontentato di baciarla?

Segretario      Oh! Sì! Che altro avrei potuto fare?

Generale  (rassicurato)  Non so... prenderle le mani forse...

Segretario      Le ho preso anche le mani. Ma non è questo che è terribile, signor generale.          Ciò che mi spaventa, è che quando la tenevo fra le braccia ho creduto per un istante, davvero, che amasse proprio me.

Generale  (tranquillizzato)  Era fuori conoscenza, mio povero ragazzo.

Segretario  (amaro) Oh! So bene che mi chiamava Leone!

Generale  (disinvolto)  Leone? Quale coincidenza! Il nome del suo fidanzato senza dubbio.

Segretario      Però, era a me che parlava. Questo lo so bene, qualcosa me lo dice dentro. E poi devo confessarlo, signor generale — e sono pronto a sopportare le conseguenze di questo avvenimento terribile e me­raviglioso — credo proprio di amarla anche io.

Generale  (scoppia a ridere) Ah! Ah! Questo è buona. E voi, credete che ci si innamori così? A prima vista e per sempre? Corbellerie! Segno che vi rimpinzate di romanzi da quattro soldi.

Segretario      No, signore, esclusivamente di opere classiche. Ma spesso anche lì succedono cose simili. (Aggiunge con dignità) Del resto conto di confessare la mia colpa a questa giovane donna, quando sarà rien­trata in sé, ed offrirle di riparare.

Generale        Confessarle? Confessarle cosa? Ma non ne farete nulla ve lo dico io! O avrete a che fare con me. Non vorrete sconvolgere le idee di questa infelice. Sarebbe bella sapesse che qualcuno ha osato ba­ciarla!

Segretario      Ma, signore, me lo chiedeva lei!

Generale         Ragione di più! Sarebbe bella che sapesse di essere stata lei a domandare a           qualcuno di baciarla. Que­sta poi! Non sarete mica un ipocrita, un intri­gante, un   sobillatore. Devo insegnarvi io, tirandovi le orecchie, cos'è l'onore di una fanciulla?         Già, vi ho visto caro mio, con la camerierina che avevamo qui prima. Non negate! Vi             dico che vi ho visto!

Segretario      Era lei che mi cercava, signore, lo la evitavo. Me la trovavo sempre dietro nei corridoi...

Generale        Ah! La sgualdrina! Via, volevo dire, la sfrontata...

Segretario Diceva che non ne poteva più di questa baracca — sono le sue parole, signor generale — e che aveva assolutamente bisogno di uno di vent'anni.

Generale  (lo ferma con voce tonante) Giovanotto! Siete al debutto nella vita. Voglio credere che non siate cattivo, di fondo, tuttavia mi sembrate mancare totalmente di princìpi. Vi hanno affidato a me — potrei essere vostro padre — ed è mio dovere in­culcarvi dei buoni princìpi. Silenzio! Parlerete quando avrete la parola. Innanzi tutto, un primo punto su cui è proibito scherzare: l'onore. Sapete cos'è l'onore?

Segretario      Sì, signor generale.

Generale        Voglio crederlo. Quando si nasce da gente per bene — e malgrado le incertezze delle origini, per­sisto nel pensare che siate nato da gente per bene — si possiede un proprio onore tutto particolare. Vi siete nutrito di classici, mi avete detto. Non devo dunque insegnarvi la favola di quel ragazzo sportano che, avendo rubato una volpe, e avendolanascosta sotto la tunica, preferì lasciarsi divorare lo stomaco piuttosto che confessare il suo ladroci­nio. Questa favola ammirevole comporta una le­zione, signore, volete dirmela?

Segretario (dopo un attimo di esitazione)   Non dobbiamo mai confessare.

Generale No, signore. Cattiva risposta.

Segretario     Non si devono mai rubare le volpi.

Generale Neppure, signore. Il furto era una prima colpa, ve lo concedo. Non si deve rubare, è contrario al­l'onore. Ma era fatto. Cosa rimaneva da fare al no­stro giovane spartano?

Segretario     Restituire la volpe e subire il castigo.

Generale Già meglio. L'obbedienza alle leggi liberamente ac­cettate, la sottomissione ai superiori gerarchici, è la base di ogni civiltà. Confessando e restituendo il frutto del suo furto, il nostro ragazzo, giovane come era, dava prova di virtù civiche. Ma lascian­dosi sbranare lo stomaco senza un lamento faceva di più, mostrava di possedere l'onore. Ora che vi ho messo sulla strada, potete tirarne fuori la le­zione.

Segretario     Quando si è fatto qualcosa di contrario all'onore, l'onore impone di non ammetterlo mai.

Generale         No, signore! Questo è orgoglio, che è un difetto insopportabile.

Segretario      Signor generale, resto muto.

Generale Ah! Vi rinunciate? Davvero? Vedo che il senso dell'onore vi soffoca! Mi fate un complimento. Davvero pulita la nuova generazione! Se il signor Déroulède conta su di voi per lavare la bandiera! Ma lasciamo correre. Il senso di questa favola è molto semplice, signore. L'onore comanda di non rubare. Bene. Io rubo; quando non si è un fottuto qualche volta si passa sopra alle leggi. Ma si in­tenda bene, una volta per tutte, che io non sono capace di commettere un'azione disonorevole. Que­sto è il principio. Vengo preso (questo è l'acci­dente; non bisogna mai farsi prendere). Confesserò io, giovane spartano, di avere mancato all'onore? Dunque non ci sono volpi sotto la mia tunica. Afferrate il senso?

Segretario      No, signor generale.

Generale Lasciamo stare. Quando sarete più grande potrete capire. Di tutto questo ricordate solo che si de­vono rispettare le apparenze. Prendiamo un esem­pio più familiare: voi andate a letto con la serva.

Segretario  (indignato)Oh! signor generale!

Generale Non occorre stralunare il bianco degli occhi; c'è mancato poco che lo abbiate fatto, ipocrita! E se non foste un imbecille lo avreste fatto. La carne è debole anche se l'onore è forte. Voi avete il sangue caldo, quella piccola l'avete nella pelle. Quandopassando vi sfiora, vi dà un colpo allo stomaco. Eppure andate forse a pizzicottarle le natiche a tavola, in pieno pranzo?

Segretario (arrossendo a questa ipotesi)   Oh! no, signor ge­nerale!

Generale         No. Le direte : « Leontina, portateci del pane, per piacere». Eppure sapete           bene che non è la pa­gnotta che vi fa gola. Soltanto avete saputo padro­neggiare le         passioni. È tutto qui. Il pranzo si svolge irreprensibile, e una volta preso il caffè,        passate nello studio, dove potete fare quello che vi pare.

Segretario       Sì, signor generale.

Generale         La vita è un lungo pranzo di famiglia — noioso come tutti i pranzi di famiglia,     ma necessario — in primo luogo perché dobbiamo pur nutrirci; poi perché si deve         fare; per non cascare al livello delle bestie, seguendo un cerimoniale lungamente            speri­mentato, con i porta tovaglioli a cifra, fondine musicali, forchette di diversa            misura a seconda dei piatti e un campanello da piede sotto il tavolo. Ma attenzione!        Sono apparenze. È un giuo­co che si è deciso di giocare perché una lunga esperienza      ha insegnato a un mucchio di gente non più idiota di voi e di me che era l'unico modo   per cavarsela. Bisogna dunque giocare ilgioco secondo le regole; rispondere alle            domande deibambini, dividere il dolce in parti uguali, sgri­dare il più piccolo che sbava, piegare il tovagliolo come si deve e rimetterlo nel suo anello, fino al caffè. Ma     è una volta bevuto il caffè — non visto né conosciuto te la faccio — è la legge della   giun­gla che riprende i suoi diritti. Non bisogna tutta­via essere un imbecille. Zitto voi!    Parlerete quando vi darò la parola. Vi vedo venire avanti con i grossi zoccoli... siete             giovane, credete nella luna; lo so, state per dirmi : « Tutto questo non è neppure   machiavellico, è ipocrisia borghese, e l'ideale, cosa diventa l'ideale? ».

Segretario      Sì, signor generale.

Generale         Ebbene, l'ideale sta benone ragazzo mio. Augurerei a tutti e due di stare come     lui! L'ideale, amico mio, è la boa di salvataggio. Si fa il bagno, sguazziamo, facciamo tutto il possibile per non affogare, si può tentare di nuotare nella direzione giusta e         malgrado le correnti contrarie, l'essenziale è nuo­tare con bracciate regolari, secondo i        princìpi rico­nosciuti dalla regola del nuoto e, se uno non è proprio un bruto, di non          perdere di vista la boa. Non ti chiedono di più. Poi, se uno vuol fare di tanto in tanto            pipì nell'acqua è affare suo. Il mare è grande e se riesce a dar l'impressione di nuotare,   nessuno gli dirà mai nulla.

Segretario       Ma allora, signor generale, la boa non si raggiunge mai?

Generale         Mai. L'uomo di cuore non la perde mai di vista.

      È già bello. I pochi eccentrici che provano a nuo­tare più rapidi per             raggiungerla, costi quel che costi, schizzando gli altri, finiscono sempre per af­fogare, trascinandosi dietro non so quanti disgra­ziati che avrebbero potuto seguitare a sguazzar tranquillamente intorno a loro, nello stesso brodo; avete capito?

Segretario Signor generale, posso aggiungere qualcosa?

Generale Parlate pure, amico mio. Adesso vi cedo la parola.

Segretario Ho vent'anni, signor generale. Preferisco tentare di andar avanti veloce, e affogare.

Generale (dolcemente, dopo un silenzio) Avete ragione, ra­gazzo mio. È orribile invecchiare e rendersi conto. (Grido improvviso) Luogotenente Saint-Pé uscito secondo da Saumur! Volontario! Anche io! Fottuto per fottuto, preferisco affogare! Tutto questo io l'ho detto perché bisognava dirlo, però cercate di non fare affogare gli altri anche se fosse per il motivo giusto. È questo che è troppo pesante : fare del male agli altri, sempre, qualunque cosa uno faccia. Mi sono abituato a tutto, ma non a questo.

Voce dellaGeneralessa  (mugola improvvisamente dalla stanza accanto) Leone!

Generale (risponde) Sì!

Voce             Leone! Dove sei?

Generale  (un po' stanco) Sono qui. Sono qui, diamine! Sono sempre qui.

Voce    Vieni vicino a me, Leone! Dio solo sa cosa stai fa­cendo mentre credi che io dorma.

Generale (sorride, guardando il segretario)  Stupidaggini, mia cara, con un giovanotto che         non mi ascoltava nep­pure; e faceva bene, perbacco! (Gli batte su una spalla)  Su,     pulzello. È nato con la camicia questo verginello nuovo nuovo. Aspettate, ragazzo      mio, non c'è poi così fretta come sembra — anche se si burleranno di voi; —-             aspettate di aver trovato quella vera (e con quella là, come per miracolo, riuscirete a         non aver più paura). Ma quando l'avre­te trovata, perdinci! non aspettate diciassette       anni.

Segretario       No, signor generale.

Generale         Immediatamente! Ricordatevi bene questo consi­glio: immediatamente. E verso    la boa, fianco a fianco. Solo in due si nuota bene. Stringetemi la mano. Ci vado     anch'io. Ma può darsi che uno di voi due affoghi durante il percorso.

(La generalessa ha gridato ancora una volta: « Leone ». Egli entra nella camera).

Generale   (scomparendo dietro la porta)  Eccomi, cara! Sono a te per l'ultima volta!

Segretario   (rimasto solo)  Immediatamente! È tutto quello che ricordo dei suoi consigli!

(Prende evidentemente il coraggio a due mani, e si dirige verso il salottino dove entra. Si sente la voce addormentata della signorina de Sainte-Eu- verte che mormora).

De Sainte-Euverte Leone! Sei tornato, Leone. Allora è vero che non sarò mai più sola? Oh,         Leone!

(Un silenzio. La scena resta vuota, il segretario riappare tutto rosso).

Segretario   È terribile, ancora un equivoco! Dovuto questa volta al gardenal! Eppure,     malgrado l'effetto della medicina, qualcosa mi dice che essa non si inganna poi del             tutto. Com'è interessante vivere!... I buoni Padri non me lo avevano detto.       Riprendiamo un po' di coraggio e, questa volta, confessiamole, con le dovute cautele,             che siamo noi. (Si rifà coraggio e rientra nel salottino].

Atto quarto

La stessa scena, ma il muro che nascondeva la camera della ge­neralessa è stato tolto. Siamo al tramonto. Sono state chiuse le imposte della camera del generale — che è deserta — come quelle dell'altra stanza. Ombra e silenzio. La generalessa è sdraiata con il giubbetto e la cuffietta da notte, impettita fra i cuscini, sul suo monumentale letto a trapunta. Il generale è in piedi nella camera.

Generale        Bisogna che questa spiegazione fra di noi sia de­finita.

Generalessa   Ho voluto morire, mostro, ciò non ti basta?

Generale        Eri distesa sulla massicciata. Era una posizione sco­moda, ma senza pericolo.         Il treno era passato.

Generalessa   Io non lo sapevo. Lo aspettavo.

Generale        Su questa linea secondaria ne avresti avuto per ventiquattro ore; ti saresti sentita le ossa rotte prima.

GeneralessaNon avrai dunque mai rispetto per niente? Tropmann! Bruto! Savonarola!   Avrei potuto morir di freddo nella notte!

Generale        Siamo in aprile. E la primavera è precoce. Si crepa dal caldo.

GeneralessaD'insolazione allora. Di inedia, che ne so? Di angoscia! Sì, semplicemente di angoscia, dato il mio stato.

Generale       Di angoscia puoi morire anche nel tuo letto, cara.

Quando ti pare. Inutile di farci torcere le caviglie, per ritrovarti a più di tre chilometri, in equilibrio su due rotaie. Era ridicolo. Come tutto quello che fai; sempre.

Generalessa  Sono una inalata grave. Il dottore te lo ha ripe­tuto abbastanza, che nelle mie condizioni tutto era da temere.

Generale       II dottore è un fantoccio che si lascia abbindolare da te. E di medicina non ci capisce niente.

Generalessa              Nega tutto! Sporca tutto! Come sempre. Il mio amore, la mia pena, e ora anche la medicina! Ho voluto morire davvero, e questo dovrebbe bastarti per farti cadere singhiozzante ai miei piedi, se il tuo cuore non fosse di pietra.

Generale       Purtroppo, mia cara, il mio cuore non è di pietra!

Ma economizzo le mie lacrime, divento vecchio.

Generalessa  Una donna che ti ha fatto dono della sua giovi­nezza, che si è sacrificata per te. (Grida) Assassino!

Generale       Silenzio! Ti possono sentire!

Generalessa  Io voglio che mi sentano! Voglio che gli altri ci giudichino e che si sappia chi sei! Che tu faccia orrore agli altri, come lo fai a me! Assassino! Assassino! Carnefice!

Generale         Me ne strafotto! Silenzio, o esco. Spieghiamoci con calma.

Generalessa    Soffro troppo! Tu non soffri, tu. Al mattino sei in piedi vestito, tu monti a           cavallo, vai in giardino e te ne vai al caffè. Tu vivi! Ti fai scherno di me, ritto sulle tue    gambe, mentre io sono inchiodata sulla mia poltrona. Non hai vergogna di stare bene?

Generale         Cestino di carta straccia! Sei inchiodata sulla tua poltrona perché lo vuoi tu.                     Adesso lo sappiamo.

Generalessa    Osi dire che non sono malata? Che non sono di­magrita sedici chili?

Generale         Che ne sai? Ti rifiuti di pesarti.

Generalessa   Io so di essere dimagrita sedici chili! Non ho bi­sogno delle bilance truccate dal dottor Bonfant e da te.

Generale         Mangi come tutti quanti.

Generalessa  (fuori di sé) Io mangio? Osi dire che mangio, mo­stro? Ho detto a Eugenia di          mostrarti a ogni pasto quello che lascio nel piatto, e tu osi dire che mangio?

Generale         Ti si conceda il cerimoniale del vassoio. Sappiamo che metti tutta la tua    civetteria a rimandare i piatti quasi intatti. Ma fra i pasti, ti fai portare dei   sandwich molto confortevoli. Negalo.

Generalessa    Quando non ne posso più! Quando sto per svenire di inedia! E poi, come fai        a saperlo, se non perché hai prestato ascolto ai pettegolezzi della cameriera, di questa          donna che mi odia?

Generale         Tu menti. Lei ti cura molto bene. Ti porta il tuo vaso da notte e le tue tisane,        con una pazienza, cara mia, che ammiro. Credi che sia divertente occuparsi di te?

Generalessa    È pagata per farlo, però mi odia. Approfitta della mia impotenza, delle mie          povere gambe malate. Quando le chiedo i miei gioielli, mi porta un gioco di carte;           quando le chiedo il fazzoletto, mi porta un pettine o un gancio da bottoni. E non le       importa niente se queste contrarietà aggravano il mio male. A tutti quanti, in questa         casa, non importa che io soffra.

Generale         Suoni per chiamarla cento volte al giorno. Bisogna essere un babbeo come te,       cara mia, per credere ancora ai tuoi dolori... In quanto alle tue povere gambe malate,      grazie a Dio, non se ne parlerà più. Ti hanno retto molto bene in equilibrio sulla             glicine, poco fa, e fino ai binari della ferrovia. Imma­gino che te le sgranchisca in             camera tua, ogni notte.

Generalessa    Se nel petto tu avessi qualcosa, al posto di questa pietra, avresti compreso che      era l'ultimo sussulto della bestia che vuole morire. Uno sforzo sovru­mano verso il         nulla e verso l'oblio. Chiama il tuo complice, chiama il dottor Bonfant con il suo   martelletto di gomma, che mi verifichi i riflessi, enonostante la malafede sarà             costretto ad ammet­terlo.

Generale         Fulmini di Brest! È troppo comodo, cara mia. Per farti fesso non cammino più;    per farti fesso cam­mino, e poi, a conti fatti, per farti fesso ancora, non cammino più!

Generalessa    Sono i miei nervi, i miei poveri nervi che tu hai spezzato col torturarmi da             venti anni. Contempla l'opera tua, e prenditela solo con te stesso.

Generale         Ti dico che è troppo comodo, cara mia!

Generalessa    Troppo comodo per te, forse, sì! Lamentati. La­mentati. Ma mentre io sto soffrendo inchiodata alla mia seggiola, tu che puoi camminare con tutta tranquillità   sulle tue grosse gambe dove vai, tu?

Generale         Dal mio studio al giardino, rispondendoti ogni quarto d'ora.

Generalessa    E nel giardino che cosa c'è? Rispondi, porco, don­naiolo, cane lubrico!

Generale         Che so io, delle rose.

Generalessa(sogghigna) Delle rose! Povero ipocrita che non ha neppure il coraggio del suo peccato e della sua sozzura. C'è la signora Tardié dietro la siepe co­mune. Quell'orrenda donna che si diverte a mo­strarti il petto chinandosi sui suoi germogli. Che idioti siete, poveri uomini! Eppure nel paese si sa che cosa sono i seni della signora Tardié. Stecche,gomma, può darsi anche del ferro! È puntellata come una casa in rovina.

Generale         Bah! Bah! Bah! Dopo tutto non sono stato a vedere.

Generalessa    Non sai sognare che questo, imbecille! Sarai ben deluso, quando il gran giorno     arriverà... Ma dietro il cancello di fondo che dà sulla strada della scuola, a         mezzogiorno e alle quattro, ce ne sono di più giovani, vero? Le ragazzine delle suore!         Satiro! Un giorno i genitori si lamenteranno.

Generale         Stai divagando, mia cara. Loro mi dicono buon­giorno mentre, passando, io          rispondo.

Generalessa    E durante la distribuzione dei premi — che fai sempre in modo di presiedere,     vecchio fauno — quando le baci, tutto rosso nella tua uniforme?

Generale         È la consuetudine.

Generalessa    Non è consuetudine ciò che pensi in quel mo­mento, lo sai bene! Nel chinarti        con le tue deco­razioni, solletichi loro il petto. Non dire di no. Ti ho veduto.

Generale         Ebbene! Che non succeda loro mai niente di più grave, nel crescere, e       premieremo la loro virtù con corone di rose!

Generalessa    Parliamone pure di queste fanciulle premiate! An­che per loro sei sempre   pronto a presiedere. Quella che fu premiata l'anno scorso, quella sgualdrina, lehai         sussurrato qualcosa all'orecchio mentre la ba­ciavi. Me lo hanno riferito.

Generale (con aria canzonatoria)   Cosa le ho detto? Mi sba­lordisci, cara!

Generalessa    Le davi un appuntamento, lo so. Del resto, l'ho ve­duta passare da quel giorno.     È incinta.

Generale         Ma no, è semplicemente ingrassata. Basta così, mia cara. Non la finisci più           con queste corbellerie. Ce ne sarebbe fino a domani. Ho da dirti cose molto gravi.

Generalessa    Anche le mie serve ingrassano una dopo l'altra, e non me ne devo stupire!

Generale         Basta così, ti ho detto, mia cara, e parliamo seria­mente. Tu mi inganni, cara,         questa è la realtà. Bagatelle tutto il resto. Hai scritto al dottor Bonfant che sei           innamorata di lui. Ne ho le prove là, nel mio portafoglio; nero su bianco con due errori di ortografia che autentificano la tua mano. Perché tu mi hai sempre accusato di      essere un gaglioffo, di non sapere niente di Wagner o di Baudelaire, di aver soffocato    lo slancio del tuo spirito verso le alte sfere della letteratura e dell'arte — ma quando ti   ho preso io, eri una donna, eri una donna da nulla, farcita di cattivi romanzi di            appendice, ecco tutto —. E quanto ai participi passati: vana spe­ranza! Non sei mai     riuscita ad accordarli. Non sei mai stata a scuola.

Generalessa    Come sei sporco! Vorrei che tu potessi sentirti.

            Venire a rimproverarmi, sul letto di morte! La mia infanzia è disgraziata! E inoltre ti        sbagli, imbecille, sono stata in convitto con figlie di ambasciatori e di consoli nel     convento più selezionato di Parigi.

Generale         Dove tua madre lavorava a giornata come cucitrice e dove ti raccoglievano          nelle cucine per carità.

Generalessa    La mia povera mamma ed io abbiamo senza dub­bio sofferto. Non l'ho mai           negato. Me ne glorio. Cacciata da ogni luogo, dopo la tragica morte di mio padre,           ucciso in duello, ho dovuto darmi al teatro da quando avevo quindici anni, e la mia       istruzione propriamente detta ha potuto soffrirne — per quanto l'istinto degli esseri di razza, ma­schera sempre tutto, — ma non devi dimenticare che mia madre era una            donna di una distinzione infinita. Tutt'altro che una piccola borghese di provincia          come la tua. Da quando ero bambina mi insegnò ad amare la bellezza.

Generale         Non esistono lavori idioti, e tua madre, mia cara, all'opera aiutava gli attori a        vestirsi.

Generalessa    Aveva accettato quel posto dietro le preghiere in­sistenti dei direttori,        unicamente per amore della musica! Mia madre era una grande cantante, un» voce        come non se ne sentiranno più, una voce tragicamente spezzata dalle emozioni         durante un incidente di ferrovia. Perché tentare di insudiciareanche lei? Mille volte             ti ho raccontato la sua dolo­rosa storia.

Generale         Mi hai rotto la testa mille volte con il tuo romanzo da quattro soldi. È vero. Ma    tanto tua madre che te eravate due donne da nulla, quando ho fatto la follia di sposarti.           Eccola la verità mia cara.

Generalessa    Mia madre è una donna da nulla? Una donna alla quale il signor Gounod ha         baciato la mano nel corso di una serata di beneficenza? Avrei voluto che tu l'avessi      vista da giovane, prima che la vita la spezzasse, ornata di tutti i suoi gioielli, non        saresti neppure stato degno di legarle le scarpe, gaglioffo! Altro mondo del tuo ho        conosciuto vi­cino a lei, nella mia gioventù, mio povero caro!

Generale         Diciamo la parola, tua madre era una mantenuta, cara mia! Andata a finire           sordidamente come tutte le sue simili, quando come te non riescono ad ac­calappiare a tempo un imbecille. E tuo padre era un acrobata di circo, lo so. La storia del duello la     conosco da un bel pezzo: s'è fatto sbudellare da un ragazzo dell'ippodromo, al quale   non voleva rendere il denaro che avevano puntato insieme sul favorito del gran    premio.

Generalessa    Tu menti. Scambiò il suo biglietto da visita con un diplomatico straniero che        aveva barato vergogno­samente al baccarà in uno dei circoli più chiusi della capitale.      Si sono scontrati alla spada nel Bois de Boulogne. Tutti i giornali dell'epoca ne hanno          parlato.

Generale         Dopo tutto! Se questo ti diverte, sia come vuoi tu.

            Le tue origini incerte mi spiegano comunque molte cose adesso. Ma torniamo a queste    lettere, mia cara. Le hai scritte tu, sì o no? Lo chiami Armando, sì o no? Glielo dici tu — o no — che i suoi capelli odorano di vaniglia quando ti ausculta, e che fingi di       avere male alla pancia perché lui te la palpeggi? È scritto nero su bianco, con due      errori di ortogra­fia. Questo è il punto.

Generalessa    Come hai potuto essere così abbietto da venire a frugare nella mia camera?

Generale         Non ho frugato nella tua camera, mia cara. Ho avuto queste lettere, punto e         basta. In che modo? Questo non ti riguarda.

Generalessa    Ah! Tu trovi che questo non mi riguarda? È am­mirevole! Quelle lettere erano       nel mio cofanetto, o forse nel cassetto del mio comodino con i bigodini e altri oggetti   intimi. Mi racconti di averle nel portafoglio, e sei tu che osi farmi delle do­mande? È il             colmo! Leone, la tua mancanza ili coscienza mi spaventa! Da molto tempo so chesei          un bruto e ti disprezzo. Ma, comunque, pensavoche tu fossi ancora un gentleman!

Generale         Me ne frego, cara mia! Vediamo di intenderci: non si tratta di sapere per adesso se io sia o menoun gentleman. Si tratta di sapere se tu mi fai cornuto.

Generalessa    Se sei stato capace di rubarmi sordidamente queste lettere, ben ti sta, e non ti       risponderò neppure. Ah! frughi nei cassetti di una donna, mio bonomo! Ah! Cerchi di disonorarla per vie traverse, tu, un ufficiale superiore? Ebbene lo racconterò. Lo             racconterò a tutti! Mi alzerò, ritroverò per un giorno l'uso delle mie povere gambe, e         in piena riunione militare, la sera del festeggiamento del concorso ippico, davanti a         tutti i veri uomini di mondo della guarnigione, io farò un'entrata sensazionale e racconterò tutto!

Generale         Ti ho detto che non ho frugato! Basta!

Generalessa    È troppo comodo negare. Hai tu queste lettere?

Generale         Certo.

Generalessa    Mostrale.

Generale         Non sono così scemo!

Generalessa    Va bene. Se veramente hai queste lettere nel tuo portafoglio, non c'è più niente    in comune fra di noi, tranne un oceano di disprezzo. Puoi uscire, sono stanca e voglio    dormire.

(Chiude gli occhi e resta immobile).

Generale         No, cara, tu non dormi. Sarebbe troppo facile! Apri gli occhi. Ti ordino di            aprire gli occhi, ca­pisci, o te li apro io con la forza. (La scuote) Su.Su, Amelia. Io so che non dormi. Apri gli occhi. (La scuote, la maneggia, le apre di forza le palpe­bre          sul bianco degli occhi, comincia a smarrirsi)Vuoi rinvenire, perdinci. Quale nuova   commedia stai recitando?

Generalessa    (debolmente)Il mio cuore.

Generale         Cosa, il tuo cuore?

Generalessa    Se ne sta andando. Il battito è sempre più fioco, è il tintinnio di un            campanello... Addio, Leone! Non ho mai amato altri che te.

Generale         Ah! No. Non la tua sincope. Non abbiamo nep­pure gridato. La tua sincope          viene solo dopo le grandi scenate. Su, torna in te. Sei calda, il polso è buono. Non mi            incanti più! (La scuote) Su! In nome di Dio, mia cara. Amelia. Amelia. Non puoi     essere così rigida. Lo fai apposta. Ti darò le tue gocce. (Cerca fra le bottiglie del     comodino) Acci­denti. Che farmacia. Andate a capirci qualcosa fra tutte queste    medicine. Ci sarebbe da fare amma­lare anche uno più resistente di te. Naturalmente       non c'è contagocce. Dove è andata a cacciarlo, Eugenia? Tanto peggio, un po' più un           po' meno, al punto in cui siamo arrivati. Tieni Amelia, bevi, e se questo non basta farò             chiamare il dottore. Su, ti sorreggo la testa, disserra i denti, cara. Disserri! i denti,             perbacco. Ti cola tutto sul giubbetto  Buon Dio dei boschi! Eppure il tuo polso è buono.Mi tengo ai fatti, io.

Generalessa  (debolmente con gli occhi chiusi)  Stai ancora fru­gando. Seguiti a sospettare di      me mentre sto per morire.

Generale         Ma io non frugo niente, accidenti. Cerco la siringa. Generalessa Troppo tardi.      Va' piuttosto a cercare le bambine...

            E quando io non ci sarò più cerca di non rendere la loro vita così dura come la mia per    il tuo egoismo.

Generale         Ma tu non muori, mia cara, che stai dicendo? Non è niente, è la tua debolezza.     Vado a far chiamare il dottor Bonfant.

GeneralessaNo. È troppo tardi. Non ti muovere. Te ne sup­plico, Leone. Resta. Tieni la   mia mano come un tempo, quando ero malata. Tu mi curavi allora, avevi pazienza. Mi             bagnavi le tempie con l'acqua di colonia sussurrandomi paroline d'amore.

Generale  (cerca la bottiglia, brontolando)  Posso strofinarti ancora con un po' d'acqua di           Colonia.

Generalessa    Ma senza paroline d'amore... È di questo che muoio, assassino.

Generale         Vieni, non dire sciocchezze. (Le passa sul viso del­l'acqua di Colonia) Ecco.         Questo ti farà rinvenire.

Generalessa    Hai paura, è, di sentirlo dire? Io muoio perché non sono più amata da te, Leone!

Generale         Ma no. Ma no... Poche storie! Per prima cosa tu non muori, è inesatto, e sai          bene, mia cara, che sono sempre pieno di attenzioni per te.

Generalessa    Di attenzioni! Che credi che me ne importi? Vo­glio che tu mi ami come una volta, Leone. Quando mi prendevi fra le braccia dicendo « piccola mia ». Quando mi mordevi tutta. Non sono più la tua piccola da portare nuda fino al bagno?

Generale (a disagio) Amelia, tutti finiamo col crescere. Que­ste bambinate da giovani amanti hanno il loro tempo, come tutto quaggiù.

Generalessa (con un ridicolo lamento) Perché, Leone, non mi. mordi più tutta come un cucciolone?

Generale (sempre più a disagio) Fregato, cara mia! In venti anni i cuccioli invecchiano. Non ho più denti.

Generalessa   (si drizza terribile e con uno sbalorditivo improvviso vigore, malgrado la sua sincope)Vecchio tartufo! Eppure per le altre tu li hai! Ah! C'è proprio da parlare di quelle lettere, neppure spedite. Ho ben altre prove, io, nel mio scrigno, sotto il materasso. Lettere mandate e ricevute, dove non esistono pro­blemi di denti perduti. Lettere nelle quali fai il giovanotto, per le altre. Nelle quali ti vanti, del resto, poverino, perché a parte le tue sommarie prodezze con le serve, non si deve poi credere che tu sia capace di gran cosa, anche su questo capitolo .

Generale         Stai zitta! Non capisci niente.

Generalessa    Ci capisco quello che ci capiscono tutte le donne insoddisfatte da poveri galletti presto soddisfatti, amico mio. Non hai pensato che ad ingannarmi per tutta la vita, e vuoi lasciarmi ora che sono vecchia e malata per colpa tua, per placare esat­tamente che cosa, cappone mio? Quel fortissimo temperamento? Impara prima a soddisfare un'unica donna, a essere un uomo degno di questo nome con lei, nel suo letto, prima di correre nei letti delle altre!

Generale         E secondo te, mia cara, non sono mai stato un uomo nel tuo letto?

Generalessa    Subito stanco, amico mio, subito addormentato, e quando per un caso avevi un po' di impeto, subito appagato. Ah! Proclamate ovunque che vi si tra­disce, o signori uomini, che le donne sono inco­stanti. Le donne sono di colui che le prende e se le sa conservare. Siate dunque buoni a qualcosa e sarete amati sempre!

Generale  Fulmini di Dio! Siate anche voi sempre belle e desiderabili, e si vedrà! Imparate a       servirci qual­cosa di diverso dal solito piatto stantio, durante le migliaia di giorni di un             matrimonio, e forse potremo provare di aver mantenuto dell'appe­tito! Non è il caso di        porre la questione, mia t.ua, ma se vuoi fare i conti, sono più di diciassette anni che    non ti desidero più. E se ho avuto qualche avventura qua e là come ho potuto, la cercavo per provare a me stesso che ero ancora un uomo, perbacco!

Generalessa    Meravigliati. Meravigliati che anche noi si voglia provare a noi stesse di essere     ancora delle donne!

Generale  (superbo)   Non c'è nessun rapporto cara mia. Voi dovete difendere l'integrità del      focolare, l'onore del nome e i figli. E poi, non venite a vantarvi, perdinci; in fondo        queste cose vi turbano pochis­simo tutte voi. Ne fate un romanzo, sì, ma è tutto qui.

Generalessa    Che ne sapete voi poveri ciechi?

Generale Vi abbiamo viste all'opera, per dio! Anche nei vo­stri giorni buoni... Passata la   prima curiosità — e non farmi dire sciocchezze, ma si fa presto ad esplorare un ventre         — la gentilezza non serviva più con te. Lascia che te lo dica, nel caso tu non lo sapessi. Ho avuto bisogno di molta immaginazione, mia cara, e molto presto! Per             comportarmi in ma­niera adatta la notte.

Generalessa   Credi che io dovessi faticare meno per non essere sempre infinocchiata? Nel        letto chiudevamo gli occhi tutti e due. Ma mentre tu eri intento alla tua piccola faccenda, figurandoti Dio sa che cosa, non crederai mica per caso che io stessi pensando a te?

Generale         Come sei volgare e senza pudore! Ma lasciamo stare. Se eravamo a questo            punto l'un con l'altro, perché tante lacrime, tanti rimproveri, perché tanti    gemiti da         così lungo tempo?

Generalessa     (si raddrizza terribile)  Perché tu sei mio, Leone.

            Sei mio, capisci? « per sempre », per deplorevole che tu sia. Tu sei mio come la mia casa, come i miei gioielli, come i miei mobili, come il tuo no­me! E non ammetterò mai, mai, qualunque cosa accada, che ciò che è mio passi ad altri!

Generale         E tu credi che sia questo, l'amore?

Generalessa (con un grido spaventoso, in piedi sul letto, figura da incubo) Sì!

Generale         Me ne frego, cara mia! Lo nego. Io non sono tuo.

Generalessa   Di chi allora?

Generale Di nessuno, mia cara. Di me stesso, forse.

Generalessa    No! Non ti appartieni più. Io sono tua moglie.Tua moglie davanti a Dio e alla       legge. Abbiamo firmato il contratto tutti e due, ed io ho il diritto di seguirti ovunque.        Tu mi appartieni. Ma ne vor­resti una più giovane eh, ora che questa l'hai logo­rata.      Impossibile mio buon uomo! E quando im­putridirò nella mia poltrona a rotelle,             disgustosa e inutile e bavosa, sarò tua moglie ancora; e tu non potrai farci niente,             tranne che avere vergogna. Dove tu andrai io verrò, facendomi spingere, tra   sanandomi sui miei bastoni, e tutti avranno paura e rideranno di te quando griderò : «     Io sono sua moglie ».

Generale         Me ne frego, cara mia! Io fuggirò da te.

Generalessa    No!

Generale         Farò finta di non conoscerti!

Generalessa    Io griderò. Solleverò tutto il mondo col mio ba­stone. Fracasserò intorno a me       gli oggetti e i vetri e tu sarai il responsabile, tu pagherai. Farò debiti per mandarti in      rovina, farò molti acquisti nei negozi!

Generale         Ti dico che prenderò il treno e scomparirò come in un trabocchetto. Non   riuscirai a sapere dove mi trovo.

Generalessa    Non oserai farlo mai, e se lo facessi sarei capace di ritrovarti in capo al mondo!    Ti sveglierai un mattino in un albergo dove la sera prima sarai arrivato libero e solo,           io sarò sulla porta guardan­doti mentre aprirai gli occhi, e ti toccherà ripartire con me!

Generale         E quando morirò, perdinci! Farai anche tu il viag­gio? Non sarò solo nella mia       pelle?

Generalessa    Quando morirai, io ti piangerò, e soltanto io ne avrò il diritto. Nessuna di             quelle che tu hai amato più di me avrà il diritto di piangere. Io griderò « ero sua      moglie », metterò dei neri veli da vedova, soltanto io, e andrò sulla tua tomba il giorno dei morti. Ci farò incidere sopra anche il mio no­me, e quando morirò a mia             volta, verrò a giacere al tuo fianco per l'eternità. E quando i figli dei nostri figli    saranno morti, quando nelle nostre casse avremo cessato di imputridire tutti e due,        l'uno accanto all'altro, passerà gente sconosciuta e leggerà ancora sulla pietra che fui      tua moglie!

Generale         Io ti odio. Maledetta.

Generalessa    Cosa vuoi che questo importi? Sono tua moglie.

Generale         Non voglio più vederti né ascoltarti! E c'è qual­cosa di ancora più forte del mio                 odio e del mio disgusto. È che vicino a te, mia cara, io muoio di noia.

Generalessa    Anche tu mi annoi, ma io sono tua moglie ugual­mente, e a questo non puoi          farci niente. Bisognava pensarci venti anni fa, mio buon uomo, quando mi hai presa.    Ah! l'hai voluta la tua cantante? Hai abbastanza pianto alla sua porta! L'hai ricoperta       di fiori. Le hai tutto giurato. Eri stato sul punto di dare le dimissioni per lei, quando il   tuo colonnello rifiutava il suo consenso; ne hai fatte di tutte, im­becille, per averla.             Ebbene adesso ce l'hai!

Generale     Dunque, accidenti, anche tu mi odi!

Generalessa    Sì, ti odio! Hai spezzato la mia carriera. Avevo una voce stupenda. Potevo permettermi le più grandi speranze, e tu hai preteso che io rinunciassial teatro. Hai fatto di me la tua schiava. Hai cal­pestato tutto quello che di brillante c'era in me. Gli altri uomini mi adulavano, tu li hai spaventati con la tua sciabola, mi hai creato il vuoto intorno con la tua stupida gelosia, mi hai fatto dimenticare di essere bella, mi hai fatto disimparare ad essere     amata e ad amare. Ho dovuto occuparmi della tua casa come una serva; nutrire le tue     figlie sgraziate; io che ero famosa per i miei seni!

Generale Famosi i tuoi seni? Fammi ridere. E dove li mo­stravi poi, all'Opera?

Generalessa Nelle feste d'Arte. In un ambiente di cui il tuo piccolo mondo borghese non può neppure sospet­tare la grandezza e il lusso!

Generale         Feste d'Arte con te nuda! Per mille fulmini, cara signora, avrei voluto vedere       un po'!

Generalessa    ...Riservato ai Soci del Jockey Club, il fior fiore dell'aristocrazia! Non ti ci           avrebbero mai ammesso. E quella gente lì, mi trattava come una regina. Spandevano       le rose sotto i miei passi, e dopo cena mi pregavano di cantare. La sala crollava di      applausi e il padrone di casa, nel baciarmi la mano, mi donava un magnifico        diamante. Sono stata tulio questo prima che tu mi spegnessi sotto i tuoi stivaloni. Hai    mai pensato, masnadiero, a tutto quel lo che ti avevo sacrificato?

Generale         Non un gran che, mia cara! Non avevi neanche voce. È risaputo. Nonostante i      tuoi intrighi non sei riuscita ad ottenere che ruoli di terz'ordine durante la stagione       estiva. E li interpretavi così male che una volta l'intera sala ti ha fischiato, lo so.

Generalessa                Sono stati i miei nemici a sostenerlo! E non mi meraviglia di vederti          rinvangare queste calunnie. La verità venne fuori in seguito. Erano degli ame­ricani    entusiasti. Quei fischi significavano un trion­fo, mio povero amico! Ma tu sei geloso perfino dei successi che ho avuto. Non mi hai mai perdo­nato di esserti superiore in         tutto. Tu non sei che un omiciattolo, un omiciattolo impotente, e un pavone!

Generale         Perbacco, cara mia! È storia vecchia questa. Sono deciso a chiedere il divorzio.    Ho queste lettere e mi bastano.

Generalessa    Li divorzio? Tu non puoi vivere solo, hai troppa paura. Che ne sarebbe di te,        povero diavolo!

Generale         Ho trovato chi mi vuole.

Generalessa    Deve essere molto vecchia e molto brutta o molto povera, per ridursi a te. Sarei    curioso di vederla. Dimentichi come sei adesso, cieco! Guardati allo specchio.

Generale         È falso. Essa è bella e giovane, è fedele. E mi aspetta.

Generalessa    Davvero ti aspetta poveruomo? Da quanto tempo?

Generale         Diciassette anni.

Generalessa    Vuoi scherzare, amico mio? Diciassette anni! E tu credi che lei ti ami? Credi di

            amarla anche tu? Poveri agnellini, diciassette anni che si aspettano!

Generale         Sì, cara, e per colpa tua.

Generalessa    Oh! Leone, se non fossi malata mi metterei a ri­dere, a ridere come una pazza!     È troppo idiota! Diciassette anni! Ma se tu l'avessi amata, povero imbecille, mi avresti        già lasciata da tempo; da tempo saresti andato via con lei, a filare il tuo perfetto      amore!

Generale         Sono rimasto per rispetto al tuo dolore, per pietà della tua malattia, che ho           creduta vera per molto tempo.

Generalessa    Sei troppo stupido! Credi dunque che io non possa muovere le gambe? Credi       che se lo volessi non potrei mettermi a ballare? (Siè alzata in camicia da notte, figura     da incubo) Su, guarda! Guarda come mi reggo bene in piedi. Vieni a ballare con me,            ti invito. (Mentre abbozza un passo, in camicia, essa canta) Trallalallà, trallalallà,        lallera!

Generale         Lasciami. Sei impazzita! Ritorna a letto!

Generalessa    No. Tu sei il mio bell'amante e io voglio ballali con te! Come al ballo         dell'Accademia di Saumur!  Quello del novantatré, giusto diciassette anni fa, te lo         ricordi?

Generale  (colpito)Cestino di carta straccia! perché?

Generalessa    Perché a quel ballo eri così spavaldo, così brillante, così sicuro di te con le            donne. Comandante di plo­tone Saint-Pé. Li battevi bene i talloni, alla tede­sca, mentre   ti presentavi! Te li lisciavi ad arte i bei baffi, lo sapevi far bene il baciamano! Non l'ho          dimenticato io, quel ballo! Ti amavo ancora e ti ero rimasta fedele come un'idiota,         malgrado la corte che mi facevano gli uomini, malgrado le tue belle amiche che mi          obbligavi ad invitare a pran­zo. Ma a quel ballo, in un attimo, tutto in una volta, sentii   di non poterne più. Tu ballavi un valzer con una stupida bruna, alta, tutta vezzi, e le        parlavi all'orecchio. Il valzer dei toreador. Non ho dimenticato neppure il titolo! Trallalallà trallalallà lallera! Mi ricordo anche il motivo.(Canta) Sof­frivo troppo, volli       andarmene, lasciare la sala. Ero sola nell'anticamera per domandare la mia car­rozza...    C'era un uomo là, più bello e più giovane di te, che mi venne in aiuto. E dopo che           ebbe tro­vato il nostro coupé nella fila delle vetture, mi disse che non potevo             andarmene via sola, e salì per accompagnarmi.

Generale         E allora?

Generalessa    E allora, tu ballavi sempre il tuo valzer, poveruo­mo, volteggiando superbamente e con aria baldan­zosa... Cosa credi che siano le donne? Divenne il mio         amante.

Generale         Cosa? Tu hai avuto un amante, e fu proprio al ballo di Saumur che lo hai conosciuto? Un uomo che era andato soltanto a cercarti la carrozza, uno sconosciuto;             non ti chiedo neppure il suo grado!... Che orrore! Ma voglio sperare che tu abbia          avuto qualche scrupolo, corpo d'un cane, una certa esita­zione, almeno, prima di             compiere quel passo; vo­glio credere che tu abbia almeno atteso qualche tempo.

Generalessa    Ma sicuro, mio caro, ero una donna onesta. Ho aspettato.

Generale         Quanto tempo?

Generalessa    Tre giorni.

Generale  (scoppiando)  Per mille milioni di fulmini di sciabole del buon Dio del bosco! Io         ho aspettato diciassette anni, signora, e aspetto ancora!

Generalessa    E quando quello lì è stato trasferito non so più dove, al diavolo, nel Tonchino,     ne ho preso un altro altrettanto bello, imbecille, e poiun altroe un altro ancora fino      a che non sono diventata troppo vecchia e non potevi restare che tu volerne sapere   qualcosa di me.

Generale         Ma, allora, accidenti! Se mi tradivi, per cosa quellelacrime, quei     rimproveri       Perché questa malattia? Non capisco più niente, io. Divento pazzo!

Generalessa    Per legarti, Leone! Per tenerti per sempre perchésono tua moglie. Perché,             perfino quando avevo mio amante sopra di me, ero sempre tua moglie, e tu non ci potevi far niente; solo vergognarti e tirar su le mie figliole e dar loro il tuo nome. Se      mi faceva comodo. E la notte riprendermi nel tuo letto, dopo quell'altro, coi miei             lamenti, i miei rimproveri, i miei graffi, e il mio amore! Perché per giunta io ti amo,          Leone. Sì, devi portarti die­tro anche il mio amore insieme alle corna! Io ti odio per            tutto il male che mi hai fatto, ma ti amo, non con tenerezza, imbecille, non      nell'attenderti per diciassette anni, o nello scriverti delle lettere (ne ho trovata una di quella zucca vuota nelle tue tasche), non per essere fra le tue braccia la sera (non abbiamo mai fatto all'amore noi due, povero uomo, lo sai bene), non per parlare con te   (tu mi annoi, non ami niente di ciò che io amo) e nep­pure per il tuo grado né per il tuo   denaro, ho avuto proposte più vantaggiose; io ti amo perché per miserevole che tu sia             sei mio, il mio oggetto, la mia cosa, il mio ripostiglio, la mia pattumiera...

Generale    (indietreggia e grida)   No!

GeneralessaSì! Tu lo sai. E qualunque promessa tu faccia agli altri tu sai che non potrai   mai essere che questo.

Generale         No!

Generalessa                Sì! Non potrai mai farmi del male, sei troppo vile. Tu lo sai e sai anche      che io lo so!

Generale         No!

Generalessa                Su, vieni, vieni a ballare tesoro. Vieni a ballare questo ultimo Valzer          dei Toreador, ma questa volta con me! Generale No!

Generalessa    Sì! Io lo voglio! E tu vuoi tutto ciò che voglio io.

            Vieni a ballare con il tuo vecchio scheletro, con la tua vecchia malattia cronica. Vieni,     balla con il tuo rimorso. Balla con il tuo amore!

Generale  (si salva e grida)   No! Non mi toccare, perbacco!(Grida)Luogotenente Saint- Pé! A noi! (Essa lo segue. Egli fugge. Sembrano ballare insieme un valzer macabro.   Il generale resta chiuso fai un an golo, stende all'improvviso le braccia in avanti a le          serra il collo gridando)  Carnevale!

           

            (La generalessa si dibatte nella sua camicia da imi te, tentando di strappare via le            mani dal suo collo)

Atto quinto

Quando si rialza il sipario, il muro della camera è tornato a posto. Il generale è solo nella sua camera. È notte fonda. Cam­mina come un orso in gabbia, ombra nell'oscurità. Improvvisa­mente si ferma e grida.

Generale         Luogotenente Saint-Pé! Uscito secondo da Saumur. Avanti in nome di Dio.

            (Il dottore esce dalla camera della generalessa. Il generale lo guarda senza parlare).

Dottore           Le ho appena misurato la pressione. Sta benissimo. Ha avuto soltanto paura. Generale    Anche io.

Dottore           Io pure, amico io. Sarebbe stata brutta, come con­clusione, nonostante tutto.         Quando la vostra came­riera è arrivata dicendomi di venire immediata­mente, ché la   generalessa stava soffocando, ho in­dovinato. Mangiavamo la minestra. Ho buttato            tutto fuori. La signora Bonfant ne avrà per quin­dici giorni di rimproveri per via della    tovaglia.

Generale          Che cosa ha detto?

Dottore  (mentre mette via l'apparecchio per la pressione)La signora Bonfant?

Generale         Mia moglie.

Dottore Mio povero amico, le è sembrato naturalissimo che abbiate tentato di farla fuori.            L'assassinio è l'accessorio abituale della passione, all'Opéra.  (Siinchina) Essa piega         la testa, fa senza dubbio pro­positi di vendetta, e oscuramente si sente lusin­gata. È           persuasa più che mai che voi siate una coppia di amanti grandiosi e maledetti.

Generale         Che ridicolaggine! Ma non capirà dunque mai chemi annoia semplicemente?

Dottore           Temo che dovrete rinunciarvi. Non lo capirà mai.

Generale         Ma, per mille milioni del buon Dio delle sciabole!

            È possibile che la vita non sia che questo? Avreb­bero dovuto avvertirmi; che        raccontano allora nei loro libri tutti quei fottutacci?

Dottore           I loro sogni. Devono essere stati dei poveri diavoli anche loro.

Generale         Ma i loro amori, le loro fughe, i loro slanci, le loro scoperte prodigiose. Quelle      fanciulle giovani e te­nere che li amavano per sempre — quella fedeltà instancabile,     quegli stupori perenni, al di là della vecchiaia e della morte — e quella gioia, quella gioia ingenua, di non essere più soli al mondo, di avere un piccolo compagno di lotta,    silenzioso c tenero, che si spoglia la sera e si trasforma in donna? Credete che neppure    questo fosse vero?Se lainventavano, quegli imbecilli, mentre scrivevano!

Dottore           Temo di sì.

Generale         Ma, perbacco, allora si dovrebbe impedir loro di dare delle idee alla gente.           Sono questi i libri cat­tivi, non quelli che ci narrano degli orrori.

Dottore           Bisognerà spedire queste idee all'ufficio della Buo­na Stampa, con un        francobollo.

Generale         Eppure, intorno a me, hanno tutti l'aria felice e tranquilla. Ma come fanno,           accidenti, per non sof­frire? Che la dicano la loro parola d'ordine. Voglio saperla, e     subito. Non ho più il tempo di aspet­tare, adesso.

Dottore           Mio caro e vecchio amico, credo che sia una que­stione da porsi quando si è          molto più giovani.

Generale  (urla)    Io sono giovane! Luogotenente Saint-Pé!Rifiuto ogni altro grado.

            Èun'acchiappa balorda. Ho capito. (Domanda d'un tratto)Dottore, la me­dicinanon

            ha scopertoniente per ritornare indie­tro di diciassette anni?

Dottore           Niente ancora.

Generale         Sicuro?

Dottore           Ne avrebbero certamente accennato nelle riviste specializzate.

Generale         Non me la sento di scherzare. Cosa sta succeden­do? La signorina de Sainte-        Euverte e il mio segre­tario sono andati a passeggio. A momenti son quasi due ore che        sono usciti.

Dottore           Non c'è niente di straordinario. Vi eravate chiuso

con la generalessa. Le vostre spiegazioni non fini­vano più. Nell'attesa semplicemente avranno de­ciso di fare un giretto.

Generale         C'è stato uno strano equivoco fra loro due questa mattina. E poi se ne sono          andati tenendosi per il mignolo, me lo ha detto la cameriera. Vi sembra normale             anche questo? In quanto alle mie figliole che erano innamorate dell'aitante giovanotto      — altra rivelazione di questa strana giornata — e che sorvegliavano i suoi minimi     gesti, se ne sono andate anche loro, lasciando sul cassettone della camera questa lettera, assieme ai loro gioielli da quattro soldi rinvoltati in una carta di seta. (Tira     fuori dalla tasca un foglio, e legge) « Soffriamo troppo. Lui ne ama un'altra.   Preferiamo morire... ». Anche loro, è una particolarità di questa casa. « Dite alla             signora Dupont-Fredaine di non finire i nostri vestiti». Fra le altre qualità primordiali,     la madre ha inculcato loro un solido senso della economia.

Dottore           Diavolo! E non sono ancora ritornate?

Generale         Ho mandato il giardiniere a cercarle. Devono es sere sulla riva dello stagno in      atto di bagnarsi i piedi. Sono troppo brutte per uccidersi. Dottore, sento che tutto    precipita. Come andrà a finire?

Dottore           Come nella vita, o come a teatro, quando era ancora buono. Una conclusione       preparata, non troppotriste all'apparenza, e di cui nessuno sia il vero zimbello; e dopo      un poco: sipario. Parlo per me come per voi. Avete 210 di pressione, e la mia vescica            è un sacco di pietre. Largo ai giovani! Che facciano le stesse sciocchezze e che       muoiano delle nostre malattie.

Generale  (geme) Ma io l'amo, dottore, e sono giovane!

Dottore           Non so perché ma comincio a credere che sia parecchio tardi.

Generale  (equivoca e guarda l'ora al suo orologio) Sono le nove. Se fosse stata una vera           passeggiata, avreb­bero dovuto essere di ritorno.

Dottore           Generale, non è di questo che parlavo.

Cameriera  (è entrata con una lampada che posa sul tavolo)Il signore mi dirà se devo     servire lo stesso. Se aspetto ancora, i funghi alla Richelieu non saranno più dei funghi   alla Richelieu.

Generale         Non mi scocciate l'anima con i vostri funghi! Gli daremo un altro nome.

Cameriera       E poi c'è il signor Curato che sta bevendo del vino dolce in salotto. Dice che       aspetterà quel che sarà necessario perché il signore lo riceva, ma che quello che deve dire al signore è troppo impor­tante per rimandarlo a domani.

Generale         Fategli mangiare i funghi. Aggiungendo una cosa all'altra, questo lo priverà di    un oggetto di preoccupazione. Mi secca il curato. Cosa vorrà da me in un giorno             simile?

Cameriera      Gli ho già proposto di mangiare. Rifiuta. Dice che l'emozione di ciò che deve      dire al signore gli toglie l'appetito. Per provarlo si rifà col vino dolce. Non so se si     serva allo stesso modo durante la messa, ma se il signore tarda ancora a riceverlo, ho   l'im­pressione che quello che deve dire sarà piuttosto confuso e poi, da quando è             arrivato, parla da sé solo. È come pazzo. Va dicendo che è la Provvi­denza, che    bisognerà dire delle messe per ringra­ziarla.

Generale         Perché? Che ha combinato di nuovo quella?

Cameriera      Dice che non può dirlo ad altri che al signore, tanto è importante. È un segreto     fra lui e la Prov­videnza.

Generale         Ebbene, che aspettino tutti e due!

Cameriera  (esce facendosi il segno della croce e brontolando) Non è una ragione per dir            loro delle ingiurie so­prattutto quando si tratta di una che ha modo di vendicarsi.

Generale         Ho l'impressione che l'abbia già fatto (Confida al dottore non appena la    domestica è scomparsa) Amico mio, la mia ragione vacilla. Non posso averla perduta          cosi stupidamente dopo diciassette anni, come si perde un cane per la strada, in un      momento di distrazione. Lei mi aspettava, mi aspettava sempre, ed era la prova" nella    mia mise­ria che un giorno avrei potuto uscirne fuori. Se la perdo, dottore, non resta         niente altro che un vecchio ridicolo pulcinella che non è riuscito a realizzarsi in            nessuno dei suoi gesti... mi sembra che il luogotenente Saint-Pé sia disteso esangue su           di un campo di battaglia senza essere stato nep­pure ferito durante la mischia. Il fucile     di un imbecille gli è esploso nelle reni, qualche minato prima dell'attacco, ma       

(Fuori)

Dottore (che guardava fuori)  No. Non l'avete perduta, generale. Eccola, con il suo rapitore, tutta rossa nell'aria della sera.

(Il segretario, rosso come un pomodoro, e Ghislaine, con gli occhi bassi, sono effettivamente ap­parsi sulla soglia)

Generale  (si precipita sollevato) Ghislaine!... Questa inspie­gabile passeggiata, morivo di            paura. Mi direte, finalmente?...

De Sainte-Euverte    (un po' solenne, come sempre) Amico mio. Potete chiedere al dottore di     lasciarci soli per un istante? Gastone, lasciateci anche voi.

Segretario(molto fermamente e piuttosto accigliato)E sia. Ma solo per un istante.

            (Se ne va, squadrando il generale che lo guarda fare senza capirci niente).

Generale         Solo per un istante? Solo per un istante? Che gli prende a quell'animale? Non       ha mai osato parlare a nessuno su questo tono.

Dottore (al generale prima di andarsene)Coraggio luogo­tenente Saint-Pé! Ho      l'impressione che sia il vo­stro ultimo combattimento.

Generale (borbotta)Con l'arabo era semplice. Sapevo cosa voleva lui e anche io. (Il dottore         e il segretario, con un ultimo sguardo accigliato, sono finalmente usciti, il generale     domanda timidamente)  Allora mi volete dire, Ghislaine?

De Saint – Euverte     Sì, amico mio. Vi dirò. Del resto è molto semplice: io amo quel     giovane.

Generale         Volete scherzare! E non è divertente, Ghislaine.  Non sono passate che due          ore, per mille fulmini, non l'avevate mai visto prima.

De Sainte-Euverte      Vi avevo forse veduto, voi, amico mio, prima ilei ballo di Saumur?            Eppure nello stesso istante in cui mi avete allacciato alla vita ho cominci,un ad             amarvi. Questi diciassette anni, pur non avendo tolto niente, non hanno neppure        aggiunto nientedi più al mio amore. Ve ne siete reso conto anche voi, amico mio?

Generale       Sì, amore caro, sì, Ghislaine, e quel dono meravi­glioso e folle di te stessa in un istante io l'ho sempre rispettato e compreso... cosa aggiungono i giuramenti, gli anni, le carezze? Anche io ho cono­sciuto questo miracolo: che l'essere che attende­vamo sia apparso, e tutto è stato detto. Solo, non è affatto la stessa cosa.

Sainte-Euverte   (candidamente)Perché, amico mio?

Generale    (un po' a disagio nonostante tutto)  Sì, ma, al ballo di Saumur... ero io!

Sainte-Euverte (sempre dolce)   Ebbene, amico mio?

Generale       Ebbene, ma, accidenti! Non tocca a me dirvelo.

       Io ero brillante, avevo spirito, ero giovane — vi desideravo follemente — e          anche questo vuol dire. Ma lui!

Sainte-Euverte Lui è smarrito (lo era), forse un po' troppo inge­nuo, ma, amico mio, come dirvelo a mia volta? Per una donna sono qualità contrarie ma egual­mente incantevoli: noi amiamo tutto. È come sce­gliere, durante una prova dalla sarta, fra un tessuto rosa e verde. E poi è giovane, anche più di voi a Saumur, e anche lui mi desidera.

Generale(scoppia a ridere) Lui? Quella nullità? Quel ver­ginelle? Quel Giovanni dalla luna?

            Vi proibisco di insultarlo, Leone! (fuori di sé) Mi sento sgomento! Vi desidera?   Volete farmi credere che nel vedervi il suo sangue di minchione si è messo a scorrere      più veloce? Fatemi ridere. Sussulta dalla paura quando vede una sottana. Non ci capite         niente, Ghislaine. Per­donatemi, è un po' colpa mia. L'avervi rispettata per un così      lungo tempo, aspettando che la mia situazione si chiarificasse, non ha potuto fare di        voi una vera donna. Siete tenera, romantica, forse esacerbata da questa attesa d'amore.            Lo smarri­mento di uno sbarbatello che non ha mai avvici­nato una donna; i suoi   sospiri, i suoi occhi can­didi, vi hanno forse colpita? Sciocchezze! Vedrete, ne             rideremo insieme più tardi... quando sarete di­ventata una vera donna.

De Sainte- Euverte(angelica)  Amico mio, credo che non mi compren­diate.

Generale         Ma sì, mio tenero amore, capisco anche troppo bene. Ditemi che era pieno di        timore, che si è inginocchiato davanti a voi, come quei bambini fanno anche ora; può        darsi che vi abbia anche recitato dei versi, ma non venite a dirmi che vi desidera,          Ghislaine, è grottesco!

De Sainte-Euverte  (sempre più decisa)  Ma me lo ha provato, amico mio.

Generale     Ma via! In che modo? In che modo ve lo avrebbe provato? Forse che lo si può dimostrare con le parole, il desiderio, per mille milioni di alberi? Non bisogna poi essere troppo scemi, il desiderio lo si esprime, lo si sospira; lo si brama, sì, secondo le circostanze ed il temperamento. È una canzone risaputa! Tutti gli uomini l'hanno cantata quando si trattava di impressionare una donna. Ma il desiderio, perdincibacco, non c'è che un solo modo al mondo per dimostrarlo!

De Saint-Euverte        Ora, amico mio, è proprio ii modo che lui ha scelto.

Generale   (cerca ancora di non capire, sogghigna) Vi ha preso la mano? Forse vi ha anche baciato sulle labbra? Non vi capisco, Ghislaine, vi assicuro che, mal­grado tutta la mia buona volontà, io mi perdo nelle vostre sottigliezze di fanciulla! Dimentichiamo questa ridicola storia con quel bambino e parlia­mo seriamente di noi. Questa volta, sono risoluto a far precipitare le cose, costi quel che costi.

De Saint-EuverteMa, amico mio, questa storia con quel bambino, come dite voi, adesso è           per me indimenticabile.

E non so di quali sottigliezze di fanciulla voi vo­gliate parlare. Io sono la sua donna.

Generale [fa un ultimo tentativo] Su, via! Che fanciullag­gine, Ghislaine... Forse dei giuramenti scambiati in un momento di esaltazione sulle rive di uno stagno, degli anelli fatti di leggeri steli, e che si passano al dito in attesa di quelli reali, che non giungeranno mai. Fanfaronate di adolescenti! Tutti noi ci siamo passati. Ma che un uomo vero, degno di questo nome, vi prenda questa sera tra le sue braccia — e sarà questa sera, amore mio, ve lo giuro — che un vero uomo vi insegni l'amore — perbacco! — e tutto non sarà più che fumo.

De Sainte-Euverte  (superba)  Tutto non è più che fumo, effettiva­mente, amico mio! Perché       finalmente mi hanno fatto conoscere l'amore. E lo grido a voce alta, non ho vergogna.   Che parole vi occorrono dunque per capire? Io sono sua.

Generale  (urla)  Quel piccolo ipocrita vizioso ha osato?! Quel bruto! Prendervi con        violenza, forse! Lo ucciderò!

De Sainte-Euverte      Ma no, amico mio, non con la violenza. Lui ini ha presa, ed io mi sono      data. Ed ora, sono sua per sempre.

Generale  (sgomento tende le mani verso di lei, improvvisamente umile)Ghislaine, è un    incubo. Io vi farò dimenticare.

De Sainte-Euverte      Non mi toccate più, Leone, ormai! Adesso solo un altro uomo può            toccarmi. (Si ritrae) E voi do­vete sapere quanto io sia fedele.

Generale       Ma quando lui vi ha toccato, eravate addormen­tata, avevate battuto la testa, vi avevano imbottita di gardenal. Senza saper neppure che vi stava toc­cando: pensando che fossi io!

De Sainte-Euverte    La prima volta, sì. Ma poi, me ne sono resa conto benissimo. Oh! Potremmo restare così buoni ami­ci, Leone; perché non voler capire?

Generale         Giammai. Non capirò mai, è assolutamente incon­cepibile.

De Saint-Eaverte        Lui mi ha toccata. Mi ha toccata realmente! E all'improvviso non sono      stata più sola, triste, affo­gata, sempre fluttuante sul filo dell'acqua, ho ri­messo il piede sulla riva, finalmente, e non sarò mai più sola! A tavola, alla Messa, nel mio letto         troppo grande. Ma non capite dunque che si tratta di un'avventura meravigliosa?             Dovreste essere un poco felice anche voi, Leone, se mi amate vera­mente.

Generale         Io vi amo veramente, Ghislaine, ma...

De Saint-Euverte(luminosa)   Allora, perché non condividere la miagioia, e che tutti quanti         siano felici? (Sospira fe­lice) Io non sono più sola! Ve lo siete così augu­rato per me,         amico (lo avete tanto sperato per me), volevate che avessi una compagna...

Generale         Ma una compagna...

De Sainte-Euverte      Ho un compagno, è molto più bello! Del resto, ci vedevamo così poco,     non ci sarà quasi nessun cam­biamento. Ci rivedremo ancora di tanto in tanto, come             prima. Lui mi ha detto che me lo avrebbe permesso (bamboleggia, ha un piccolo riso esta­siato) ma di questo, mio povero amico, in confi­denza, ne dubito. È di una gelosia terribile, sape­ste! Dice che non mi abbandonerà di un passo. Come è bello! Non dovrò    scancellarmi più al pas­saggio degli altri uomini, rendermi brutta, e farmi invisibile         sempre, ma anzi, dovrò essere bella, per lusingarlo e fargli anche un poco male nello stesso tempo, poiché mi sarà accanto e sarà lui a difendermi da loro... Ah! amico mio,           sono felice... non sono più un cane senza collare, ho una piccoli! corda al collo, con il      nome del proprietario. Voi sembrate così stupito della mia gioia? Ma allora, siete voi a non conoscerle le donne. Lui le conosce.

Generale  (chiama improvvisamente, perduto) Luogotenente Saint-Pé! Luogotenente Saint-       Pé, a me! Cosa sta succedendo?

De Sainte-Euverte(che continua senza niente udire) E voi dite che manca di spirito? Con gli       uomini, forse, con voi, ma cosa volete che me ne importi? A me ha detto le cose più belle del mondo, mi ha detto che si doveva nuotare verso l'ideale fianco a fianco,           come verso una boa di salvataggio e che si nuota bene soltanto in due.

Generale         Lo sospettavo! E vi ha anche detto che la vita non è che un lungo pranzo di         famiglia con dei porta­tovaglioli, forchette di diverse misure e un campanello da      piede?

De Sainte-EuverteCosa insinuate, cattiva lingua? Lui dice solo cose piene di poesia. Dice           che la vita non è che una festa e un ballo...

Generale   (con un grido di dolore suo malgrado)  Un ballo!

De Sainte- Euverte(senza capire)  Ma sì, non è carina come idea? Un ballo di una notte e            che bisogna far presto, prima che le luci siano spente. Io l'ho amato dal primo istante,        ve l'ho detto, ma il mio pudore di fan­ciulla... e poi, ero così abituata a credere che            l'amo­re non fosse che attesa, quando mi ha chiesto di darmi a lui, ho dovuto dirgli :       «Più tardi! do­mani! », sapete che cosa mi ha risposto?

Generale (strozzato)   No.

De Sainte-Euverte   (trionfante)Mi ha risposto : « Immediatamente ».(Ripete estasiata)    Immediatamente, quel tesoro! Non ci può essere che lui per immaginare certe cose! È       meraviglioso! Io non sapevo che si potesse ottenere qualche cosa immediatamente! E    sapete che cosa mi ha sussurrato ancora all'orecchio men­tre mi teneva fra le braccia?

Generale   (è diventato di colpo un vecchio signore umile, in confronto a lei che appare   ringiovanito) No. Io oggi non so niente. Sto imparando tutto.

De Sainte-Euverte(si ferma improvvisamente confusa ed incantevole, sotto un leggero velodi ridicolo) No! Questo no! No, in qualunque caso. Non posso dirvelo. Avrei paura di farvi      male, amico mio.

Generale         Grazie. Era proprio l'ora.

Segretario(appare già sospettoso e comunque intransigente) L'istante è già passato,         Ghislaine! E mi sembra anche oltrepassato.

De Sainte-Euverte(confusa)  Perdonami, Gastone.

Generale (avventandosi contro di lui)Perdona,Ah! Eccovi qui, voi, don Giovanni! Lo      volevate! Buono a nulla! Graziose tortorelle! No, via guardatevi un po'. Mi fate        ridere... per chi mi prendetetutti e due, cestino di carta straccia? Voglio inse­gnarvi io            con chi avete a che fare. (Rivolto al dot­tore che è anche lui sulla porta) Entrate,             dottore, venite, non disturbate affatto. Sapete cosa mi han­no appena detto questi due     cherubini? Il cuore sulle labbra? Che si amano. Sì, signore, da due ore. E non hanno    perso tempo. Ce ne sono alcuni che hanno degli scrupoli, altri che aspettano un po' di            tempo, loro, no! Nei boschi, non importa il modo, come le bestie! Io stesso ne provo           vergogna! E per di più vorrebbero anche la mia benedizione. Ma hanno dunque   perduto qualsiasi senso morale, qualsiasi senso critico?

Dottore (con dolcezza)    Luogotenente Saint-Pé.

Generale  (tuonante) Vi prego di rendermi il mio grado! Lo vedranno chi sono     perdinci           bacco! E di che legno mi riscaldo! Vado a mettermi in uniforme e tutte le mie        decorazioni. No, del resto ci vorrebbe trop­po tempo. Parlerò loro così come sono, in          giacca da camera e in pantofole. Ah! voi seducete le ra­gazze. Ah, signore, voi     insidiate le donne degli altri. Ah! volete fare il galletto! Ebbene! quando si alza la           cresta, bisogna dimostrare di saperci fare, non soltanto con le signore, qualche volta è     anche meno divertente. Ma la virilità non si tratta al dettaglio, mi dispiace, cercatemi        due sciabole. Que­ste due alla panoplia (sale su una seggiola per staccarle] e non             occorrono testimoni, c'è il dottore con il suo astuccio.

De Sainte-Euverte      Oh! Mio Dio. Egli vuole del sangue. Sento che vuole del sangue, adesso. È un cannibale!

Dottore           Generale, non vorrete ricominciare... Generale (in piedi sulla seggiola,      staccando le sciabole) Ta­cete, anche voi dottore! Non ho dimenticato af­fatto quella             storia delle lettere, non me la fate ricordare.

De Sainte-Euverte  (gli abbraccia le gambe)  Leone! Io lo amo! E se voi mi amate, come dite,    non gli farete del male!

Generale         Sì, me ne strafotto! Gli taglierò le orecchie, si­gnora. Lo ucciderò. Proprio            perché vi amo, preci­samente. Vi insegnerò anch'io la psicologia amo­rosa. Farò             la mia! Perché si sono strofinati i musi, si immaginano quei due lì di      avere   inventato tutto, da questa mattina!

Dottore           Generale, scendete dalla sedia.

Segretario (molto nobile)  Pur non avendo mai impugnato una sciabola, se il generale lo esige, io mi batterò.

De Sainte-Euverte  (con un grido)Gastone! Tu, no! Tu, no! Lascia che si batta da solo!

Dottore           Generale, sarebbe un assassinio. È un bambino Generale  (che è sempre alle         prese con la panoplia)Non esistono più bambini! Si sa da un pezzo. E poi i bambini     non vi portano via le vostre donne. Che scelga: se è un bambino, ci lasci in pace e     giochi con il cerchio. Se vuole altro, perdincibacco, che ne sopporti gli inconvenienti. (Grida) Accidenti al buon dio dei boschi, chi è quel manico di scopa che ha attaccato     queste sciabole? Non c'è verso di staccarle da qui. (Chiama macchinalmen­te)      Gastone!

Segretario   (accorre)Sì, signor generale.

Generale         Venite ad aiutarmi, ragazzo mio.

Segretario   (sollecito)Sì, signor generale.

(Sale su una seggiola, il generale se lo vede ac­canto).

Generale         Signore, cosa vi impicciate qui? Parola che si crede il mio segretario.         Scendete! Dottore, venite voi.

Dottore           No, generale, non mi renderò complice di questa tragica buffonata. Non avete     diritto di provocare questo ragazzino.

Generale         È stato abbastanza grande sì o no, per prendermi la donna che amavo?

De Sainte-Euverte Ma voi non la prendevate mai!

Generale         Rispettavo le apparenze, io, e del resto stavo per farlo. (Ci ripensa e si mette a     sorridere fregandosi le mani) E poi, sono proprio sciocco... È talmente più semplice.      È un bambino, giusto. Non ci pen­savo più. (Domanda paterno dall'alto della      seggiola) Quanti anni avete di preciso, ragazzo?

Segretario       Venti anni con le fragole. Il 23 maggio.

Generale         Venti anni con le fragole, è meraviglioso! Dunque per sposarvi, se non mi             sbaglio, vi occorre il con­senso dei genitori.

Segretario       Perché, signore, ricordare di fronte a lei le dolo­rose circostanze che hanno            segnato la mia venuta al mondo? Non ho più i genitori, lo sapete bene. Sono un   ragazzo abbandonato.

Generale (scende)  È giusto. Però avete un tutore, no? Un venerabile ecclesiastico, il       canonico Lambert, se non mi sbaglio. Vedremo se il canonico Lambert acconsentirà al    matrimonio quando gli avrò fatto sapere quello che ho da fargli sapere. (Va verso il       fondo della stanza e grida) Il curato, Eugenio! Il curato immediatamente! Mi si faccia             venire im­mediatamente il curato! È proprio vero che per una volta è la Provvidenza a      mandarmi quello là. (Ritorna verso gli altri) Ah! vogliamo giocare ai corsari! Si             vogliono rovesciare i birilli nel gioco? Vi sono delle leggi, però, signore, per tutelare            l'onore delle famiglie. Giucco il mio stipendio che il canonico Lambert non vi autorizzerà mai a sposare un'avventuriera!

De Sainte-Euverte      Oh! Leone! Voi! È indegno!

Generale         So quel che mi dico. Quando si è capaci di cedere ad un uomo... ma che dico?     A due uomini. Perché al ballo di Saumur pensate che fosse conveniente quel bacio           dopo un solo valzer?

De Sainte-Euverte      Gastone! Ora la sua cattiva fede mi fa paura. Sento che riuscirà a             perderci. Tanto peggio, io ti atten­derò. Diciassette anni!

Segretario       È inutile, amor mio. Fra un anno, al tempo delle prossime fragole, qualunque        cosa lui possa fare, io sarò maggiorenne.

Generale  (sogghigna ignobile)         Un anno. Dodici mesi, tre- centosessantacinque giorni.       Non so quante ore da attendere. Contatele amico mio e bevete del­l'acqua. Non ne sono occorse due ore questa mat­tina. In un anno avrà dodici amanti. (Appare il curato, il    generale gli va incontro)Signor curato!

Curato             Mio generale, finalmente!

Generale         Finalmente! Stavo per dirlo io. (Parlano tutti e due contemporaneamente) Un      affare della massima im­portanza...

Curato            Una rivelazione del massimo interesse...

Generale         L'onore e la tranquillità delle famiglie! Una fer­mezza vigilante...

Curato La gioia e la santificazione del focolare! Un dovere sacro...

            (Si interrompono tutti e due).

Generale         Dopo di voi.

Curato Dopo di voi, prego. Del resto, no. Prima io, è troppo grave! Signor generale,        posso parlare di fronte a tutti?

Generale         Se lo volete, ma siate breve. Ho fretta.

Curato D'altronde, vedo bene che non ci sono che amici. Amici che ben presto     saranno teneramente com­mossi con me...

Segretario       Se disturbo, signor generale, posso andarmene.

Curato  (misterioso)  No, figliolo mio, voi non siete di trop­po. Al contrario! Signor generale è    con emozione che io vedo qui la mano della Provvidenza...

Generale         Niente preamboli! Veniamo al fatto, signor curato, veniamo al fatto. Vi ho           detto che ho premura. Devo parlarvi di questo giovanotto.

Curato Anche io. Quando vi ho portato Gastone per il posto di segretario, Gastone a       me affidato dal mio venerabile amico il canonico Lambert, io non immaginavo certamente...

Generale (impaziente) Al fatto, signor curato, vi dico il fatto! (Deciso)  Sono un vecchio            militare. In due parole.

Curato Il cielo pertanto ha voluto nella sua infinita man­suetudine e nell'estasiante            delicatezza della sua grazia...

Generale         In due parole, perdinci bacco, vi ho detto! Non una di più o mi metto a parlare    io!

Curato E sia. L'avete voluto voi, signor generale, ma detto così sarà un po' brutale.          (Dice con semplicità) Montauban Lea.

Generale         Cosa? Montauban Lea. Che cosa vuol dire. Mon­tauban Lea... un indirizzo?

Curato Vedete come è difficile in due parole. Permette­temi di corredarle un poco. Nel    1890, a Montau­ban dove l'ottavo Dragoni faceva la sua rimonta, c'era una sarta di     nome Lea.

Generale         (cerca di ricordare, il nome gli dice qualcosa)   Lea? Lea?... per il nome di una    pipa! Lea! E allora, Lea? Voi non sapete cos'è la vita di guarnigione, signor curato. Vi             potrei recitare così tutto un ca­lendario.

Curato C'era inoltre un focoso capitano. Focoso, ahimè! ma molto leggero; piuttosto       incurante dell'onore delle fanciulle. Questo capitano per tutto il tempo della rimonta fece credere alla giovane Lea di essere innamorato di lei (di amarla). E può anche       darsi che l'amasse.

Generale         Ahi! amico mio... Ma certamente, sì!... Lea!... Erauna ragazza incantevole,           dottore. Una bruna da far perdere la testa, con degli occhi che ci si smarriva.    Riservata, quasi ritrosa per di più, e nel letto, la sera, oh! Amico mio. (Senza     rendersene conto, ha preso il curato per il braccio) Perdonate signor curato. Sono           stato effettivamente un animale, alla fine della rimonta. Ma il dovere mi chiamava... a Trabes! E poi è passato tanto tempo! Dottore, il tempo che passa logora, lo ammetto,      ma tuttavia lava pure. Io sono lavato. Avete avuto notizie di quella ragazza, signor         curato?

Curato In primo luogo, signor generale, non era più af­fatto una ragazza da parecchio       ed ha appena reso l'anima al signore — dopo un assai onorevole matrimonio — sciogliendo con la morte il cano­nico Lambert dal suo segreto.

Generale         È vero. Già vent’anni!

Citrato Vent’anni! L'età esatta di questo giovanotto, meno nove mesi.

Generale   (sussulta)Come?

Curato Da quella unione fugace e colpevole, voi non lo avete saputo, nacque un   bambino. Un bambino affidato al canonico Lambert che lo affidò poi a me      personalmente. Gastone, abbracciate vostro padre!

Generale         Accidenti!

Segretario ( si getta fra le sue braccia singhiozzando dall'emo­zione) Papà, mio caro          paparino!

Generale         Ebbene questa è proprio forte! Non soffocatemi animale! Non è una ragione        perché vi hanno detto che sono vostro padre... e per di più è un gigante!

Dottore           Generale, si crede di piantare una carota, e vedete, spunta una quercia.

De Sainte-Euverte  (estasiata) Ma allora, Leone! Tutto diventa sem­plice! Dunque siete voi.         Siete voi, Leone! E gio­vane e libero. Siete voi ancora più bello di voi! Me lo dicevo     pure che le sue mani mi ricordavano qualcosa...

Generale         Non insistete non è il caso. (Al dottore)  È davvero formidabile!

De Sainte-Euverte Come?

Generale         Non insistete, signora! Io non voglio che mio figlio sposi una qualunque. Prenderò le mie informa­zioni.

De Sainte-Euverte      Leone! Amico mio! Dopo tanto tempo che voi sapete...

Segretario       Papà! Mio caro paparino! È così bello avere un padre!...

Curato Generale, quando la Provvidenza stessa si è data la pena...

Dottore     (per ultimo, con dolcezza) Luogotenente di Saint- Pé.

Generale Va bene. La mia parte diventa sempre più ridi­cola. Rinuncio. Che si sposino,   fulmini di Brest, e non mi si parli mai più di nulla.

  (Entrano le due fanciulle, bagnate e piangenti av­volte in coperte).

Generale         Cosa c'è ancora? Questa commedia non finirà dun­que mai?

Estelle             Ci siamo buttate veramente nell'acqua, papà, e ab­biamo nuotato sino al centro      dello stagno...

Sidonie            Finché non abbiamo perso ogni forza...

Generale         E allora?

Estelle             Siamo ritornate indietro.

Generale         Avete fatto bene. C'è sempre un'altra occasione per morire. Era vostro fratello,    stupide! Quindi non valeva la pena di affogare!

Estelle e Sidonie         Nostro fratello?

Generale         Sì, l'ho saputo, proprio in questo momento.

Segretario   (un po' confuso)  Questo, signorine, semplifica tutto. Adesso posso amarvi tutte e   due.

De Sainte-Euverte  (gelosa) Gastone, ve lo proibisco!(Bamboleggiafulice rivolta agli altri)          È terribile! Che uomo!

Sidonie            Nostro fratello? Ma papà, come può essere?

Estelle Come mai la mamma non ne era al corrente?

Generale         Non ho tempo per spiegarvi.  Chiedetelo al signorcurato. Lui ha fatto il colpo       con la Provvidenza.

            Vi spiegherà tutto una sera    durante la riunione delle Figlie di Maria.

Estelle Ma allora, papà, se la signorina si sposa, ci faremo fare dei vestiti per il     matrimonio?

Generale  (amaro)      Naturalmente.

Estelle Io voglio essere in bleu pavone.

Sidonie            Io in giallo!

Generale         Come vorrete. Tutto vi si addice. Filate dalla si­gnora Dupont-Fredaine e che       venga a trovarmi per fissare il prezzo!

Curato Un momento, bambine mie, un momento. Mi sembra che la Provvidenza oggi      ci abbia mostrato sufficientemente quanto la sua bontà si stenda su di noi. La cappella         parrocchiale è così vicina; che ne direste di una preghierina tutti assieme per       ringraziarla? Verrete? Una rondine non fa prima­vera... E poi, sono sicuro che in fondo ci credete anche voi.

Generale         Ci vorrebbe proprio che cominciasse ad occuparsi di me! Ma veramente oggi                    non la ringrazierei che per il suo buon cuore. Domani, signor curato, domani...

(Sono usciti tutti quanti con il curato. Il generale rimasto solo con il dottore mormora)

Generale        Che farsa! È lugubre...

Dottore Sì, generale. È notte. Bisogna suonare « il silenzio ». (Canta un po' falso) Tralallà, lallalalà, lallalè...

Generale        Smettetela! (Trasale)Per chi mi prendete? È la sveglia della fanteria.

Dottore (tanto per dir qualcosa)Chiedo scusa. Come fa in­vece la cavalleria?

Generale (comincia con voce sfibrata) Tra, lallà, la... (Si in­terrompe) No! Non ne ho il coraggio. È troppo stupido. (Dice con dolcezza) Luogotenente Saint- Pé. Voglio vivere, io, voglio amare, e donare il mio cuore perdinci bacco!

Dottore Generale, nessuno lo vuole più. Lasciate che si sgonfi questa vecchia spugna troppo tenera. Biso­gnava piantare meno carote e avere il coraggio di fare il male quando c'era ancora... La vita si porta come un fardello. Avrebbero dovuto dirvelo Saumur. Povero amico mio, volete la morale di questa storia? Non bisogna mai capire il proprio nemico né la propria moglie... Non si deve mai comprendere nessuno, del resto, o se ne muore. Via, vado a ritrovare la signora Bonfant  e le sue scenate. Penso che starete altrettanto bene da sologenerale.(Gli batte gentilmentesulle spalle)A presto.Generale (senza muoversi) A presto.

            (Una pausa. Poi la generalessa grida improvvisa­mente dall'altra stanza).

Voce della Generalessa          Leone!

Generale                                Sì.

Voce                Sei lì?

Generale         Sì.

Voce                Bene. Io dormo un poco. Non fare niente nel frattempo.

Generale         No!(Ha un fremito di disgusto; si raddrizza sul­l'attenti, e improvvisamente            grida) Luogotenente Saint-Pé! Uscito secondo da Saumur. Puntate! Al mio comando!   Fuoco!

(Rimane immobile. Un'ombra appare sul terrazzo. È la nuova domestica).

Cameriera      II signore ha chiamato?

Generale     (fa un balzo)Eh? Cosa? No, non ho chiamato. Chi siete?

Cameriera      La. nuova, signore. La nuova cameriera assunta dal signore...

Generale         (la guarda ancora un po' turbato, poi, subito, si liscia i baffi) Ah! ma sì,    perbacco!... Ma sì, certo. Dovetenevo la testa? (Si avvicina) Qual è il vostro no­me,    bambina mia?

Cameriera     Pamela, signore.

Generale Pamela. Via fatemi vedere, Pamela, È il più bel seno del mondo... Cosa raccontano, tutti, sul fatto di possedere un'anima? Voi ci credete voi? Il dot­tore è un imbecille. (Va verso di lei; le parla con dolcezza) Posate la scopa, bambina mia. È troppo tardi per le pulizie e non c'è mai abbastanza pol­vere sulle cose, bisogna lasciarcela... (La conduce per mano verso il centro della scena) Il posto, qui, è piacevole! Io sono un vecchio ragazzo senza esi­genze... Non conoscete le mie rose? Venite Vi farò fare un giro del giardino e se sarete buona ve ne regalerò una... come ad una vera signora, perdinci bacco! (La trascina verso il giardino. Le domanda timidamente) Non vi secca, Pamela, se vi prendo per la vita?

Cameriera  (leziosa)  No, signore... ma che dirà la signora?

Generale La signora non dirà niente se voi non glielo direte Alla buon'ora... così, va meglio. Nonche voglia dire gran cosa, ma non di meno ci si sente meno soli, nel buio...

(Sono scomparsi, coppia ridicola nella notte. Da una delle caserme della città si ode vagamente una tromba che suona il riposo della cavalleria,  questa  volta. E contemporaneamente cala il sipario.

FINE