Il valzer del defunto signor Giobatta

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lzer del defunto signor Giobatta

IL VALZER DEL DEFUNTO SIGNOR GIOBATTA

Commedia in un atto

di ERMANNO CARSANA

PERSONAGGI

Giobatta

La Moglie

L'Impiegato

Il Segretario del Borgomastro

Il Capufficio

Il Secondo Impiegato

Il Pezzo Grosso

Il Direttore Generale

Il Primo Esperto

Il Secondo Esperto

L'Impiegato delle Tasse

L'Organo Superiore

Il Primo Funzionario

Il Secondo Fun­zionario

L'Impiegato dell'Ufficio Informazioni

Il Cavaliere

L'Eccel­lenza

l Rappresentante dell'Opposizione

Il Rappresentante della Maggioranza

Il Messo

Il Giornale del Mattino

Lo Psicologo

La Dattilografa

ed inoltre: un usciere, Coro, Voci.

Commedia formattata da

Scena molto sintetica. Bastano pochi elementi per suggerire i vari ambienti: la casa di Giobatta, un ufficio con grande scrivania, altro ufficio con transenna e sportello per il pubblico.

 (L'inizio del valzer viene appena accennato al pia­noforte da una mano che sembra inesperta). N.B. Il valzer, che ha funzione di motivo condut­tore, deve essere vivace e trascinante, ma soprat­tutto deve dare l'impressione di un girare e rigi­rare a vuoto.

(Tutti gli attori in scena).

Giobatta                          - Io sono Giobatta; ho venticinque anni e i capelli castani. Sono morto il 24 marzo di tre anni fa, ma non mi sono ancora rassegnato.

La Moglie                        - Io sono la moglie del defunto signor Giobatta, Ho vent'anni e gli occhi azzurri. Anche se sono vedova il marito ce l'ho, ed è questo che conta, vi pare?

L'Impiegato                     - Io sono l'impiegato dell'anagrafe, l'impiegato delle poste, l'impiegato del catasto, l'impiegato del telegrafo, (sempre più rapido) l'impiegato delle imposte dirette, delle imposte indirette, delle imposte di consumo, delle impo­ste sui cani, delle imposte sull'entrata, delle im­poste sull'uscita, si sale davanti, si scende di die­tro, io sono il capufficio, il caposervizio, il capo­sezione, il capostazione, il capodivisione, l'ispet­tore, l'ispettore dell'ispettore, l'ispettore dell'ispettore dell’ispettore, io sono tutto. (Rallentando) Sono anche obbligatissimo, illustrissimo, devotis­simo, stimatissimo, pregiatissimo, in casi ecce­zionali sono persino affezionatissimo: auguri, con­doglianze, rallegramenti. Con doverosa osservan­za, firmato illeggibile.

Il Coro                             - Noi siamo noi. Distinti saluti. (Il valzer è di nuovo accennato al piano, ma con più sicu­rezza. A tempo di musica, tutti via, meno).

Giobatta                          - Illustrissimo signor borgomastro, io sottoscritto Giobatta Giobatta ci scrivo alla Si­gnoria Vostra per farci presente questo mio caso personale. Avendoci bisogno di un certificato che m'hanno detto se vuoi riscuotere un piccola sommetta lasciata alla posta da un mio povero zio che mi voleva molto bene, ho fatto il suddetto certifi­cato ma però con grande meraviglia nel certifi­cato c'è scritto che... (Diss. Rumori di un centro meccanografico. Non realistici. Un ritmico ansimare di congegni meccanici. Folla. Resta in SF).

L’Impiegato                    - Come sbagliato?! Impossibile.

Giobatta                          - Altroché! Guardi: deceduto il 24 mar­zo di tre anni fa.

L’Impiegato                    - Be'? Non è regolare?

Giobatta                          - lo sono vivo!

L’Impiegato                    - E con questo?

Giobatta                          - Ma non capisce? Lei sul certificato ci ha scritto che io sono morto tre anni fa. (Entrano alcune persone e si accodano).

L’Impiegato                    - Ma lei che crede? Che io le cose che scrivo me le invento? Non faccio mica il ro­manziere. Io scrivo quello che risulta.

Giobatta                          - Ma dove risulta?

L’Impiegato                    - Senta, non mi faccia perdere tem­po. Avanti un altro.

Giobatta                          - Ma se alla posta vedono che sono morto, sicuramente non mi danno niente.

L’Impiegato                    - E io che posso farci? Vada a pro­testare all'ufficio postale.

Giobatta                          - Protesto qua invece. E' qua che avete fatto lo sbaglio.

L’Impiegato                    - Ma quale sbaglio?

Giobatta                          - Ah... ma allora parlo turco!

L’Impiegato                    - Non capisce che io non posso fal­sificare un certificato per fare un favore a lei? Non voglio mica finire in galera. (Entrano altre persone e si mettono in fila).

Giobatta                          - Ma se è la verità! L'Impiegato (spazientito) Insomma basta! Lei mi ha chiesto il certificato di un certo Giobatta? Sì. Gliel'ho rilasciato? Sì. Il mio dovere l'ho fatto. Arrivederci.

Giobatta                          - Ma il certo Giobatta sono io.

L’Impiegato                    - Questo lo dice lei.

Giobatta                          - No, guardi: ecco la mia carta di rico­noscimento, con fotografia e tutto.

L’Impiegato                    - Non faccia il furbo. Si vede lontano un miglio che è scaduta.

Giobatta                          - Come ha detto?!

L’Impiegato                    - Scaduta. Non sa che dopo tre anni scade? Non vale più.

 

Giobatta                          - Ma allora, secondo lei, dovrei ordi­narmi un funerale.

Il Coro                             - (ritmato) Basta. Basta. Abbiamo fretta,

L’Impiegato                    - Senta, io non sto qui soltanto per lei. La fila sta arrivando alla parete di fronte.

Giobatta                          - Abbia pazienza. Posso fare una do­manda?

L'Impiegato                     - (secco) No.

Giobatta                          - E io la faccio lo stesso. Se sto qua, davanti a lei, e parlo, e m'arrabbio, come faccio ad essere morto il 24 marzo di tre anni fa?

L’Impiegato                    - (stufo) E allora quando, secondo lei?

Giobatta                          - (grida) Mai. Sono ancora vivo.

Il Coro                             - (ostile, ringhia) Uuuuh...

Giobatta                          - Abbiate pazienza.

Il Coro                             - (c. s.) Uuuuh...

Giobatta                          - C'è uno sbaglio.

Il Coro                             - (più prolungato) Uuuuuuh...

(Buio. Luce su).

Il Segretario del Borgomastro       - ... e perciò faccio domanda alla Signoria Vostra di correggere que­sto errore che sono morto. (Disgustato) Che modo di esprimersi! Risponda... (Le sue parole sono ac­compagnate dal ticchettio di una macchina da scrivere) Segreteria del borgomastro, data di oggi, tassa a carico del destinatario. In relazione alla vostra eccetera, si comunica che a norma delle vigenti disposizioni di legge, ogni domanda, istan­za, petizione, ricorso, reclamo, non può essere preso in considerazione se non è redatto su com­petente carta bollata. (Il pianoforte accenna di nuovo il valzer. Sbaglia maldestramente).

Giobatta                          - Illustrissimo signor Borgomastro, io sottoscritto Giobatta Giobatta ci scrivo alla Si­gnoria Vostra su competente carta bollata per farci presente... (Diss.).

Il Segretario                     - Risponda... (Ticchettio e. s.) Se­greteria del Borgomastro, data di oggi, tassa a carico del destinatario. Con riferimento alla vo­stra, eccetera, si comunica che l'istanza deve es­sere indirizzata al competente Ufficio di stato ci­vile. (Un altro strumento ricomincia il valzer. Stecca).

Giobatta                          - (a denti stretti) Illustrissimo Ufficio di stato civile, io sottoscritto Giobatta Giobatta... (Diss.).

La Moglie                        - Sono la moglie del defunto signor Giobatta. Ho ventun’anni e gli occhi azzurri. Ogni giorno che passa mio marito diventa sempre più nervoso. Aspetta la posta come se stesse al fronte, e dice ogni volta...

Giobatta                          - Maledizione! Manco oggi!!

La Moglie                        - Giobatta, gli dico, lascia perdere. Per quei quattro soldi, non vale la pena.

Giobatta                          - (con forza) Me ne infischio dei quat­tro soldi. Devono farmi giustizia.

La Moglie                        - Eh! E' proprio un guaio quando una cosa si fa per puntiglio. Una volta mio padre per non pagare una contravvenzione, quasi quasi si rovinava.

Giobatta                          - E' un anno ormai, porcaloca! Un anno, capisci!

La Moglie                        - (direttamente a Giobatta) Ma non ci sei solo tu. La gente è tanta. Avranno monta­gne di carte. Non possono pensare a te.

Giobatta                          - E allora ci vado.

La Moglie                        - A fare che?!

Giobatta                          - A parlarci. Con chi comanda. (Esce).

La Moglie                        - Giobatta, gli ho detto, lascia andare. Il tempo aggiusta tante cose. Ma lui, niente. E' un bravo ragazzo, sapete, buono, tranquillo, ma certe volte è più cocciuto di un mulo. (Viene bussato a una porta).

Il Capufficio                    - Avanti.

Giobatta                          - (apre ed entra) Buongiorno... Sono venuto per farci vedere questo certificato. Me lo hanno sbagliato.

Il Capufficio                    - Possibile? Faccia vedere. Giobatta Giobatta. Certo, il nome è stato ripetuto due volte.

Giobatta                          - No, non si tratta di questo. Sa, mio padre, buonanima, era balbuziente, ma si vergo­gnava di confessarlo.

Il Capufficio                    - Ah, capisco. Lei allora lamenta che al posto del cognome: Giobatta, le abbiamo scritto il nome: Giobatta; e viceversa. E' così?

Giobatta                          - No, lo sbaglio viene dopo. Legga.

Il Capufficio                    - Dunque: a richiesta dell'interes­sato si certifica che il signor Giobatta... Oh, ma è un'enormità!

Giobatta                          - Ha visto?!

Il Capufficio                    - Chi è stato quel cretino incom­petente che le ha rilasciato questo pezzo di carta?

Giobatta                          - L'impiegato dello sportello 218.

Il Capufficio                    - Caro lei, purtroppo anche gli im­becilli hanno diritto al lavoro. E' una norma della costituzione: dobbiamo subirla. (In un dittafono. Forte, minaccioso) Chiamatemi il 218.

Una Voce                        - (fuori) Il 218 dal capufficio.

Altra Voce                       - (c. s. più. distinta) Il 218 dal ca­pufficio. (Si bussa alla porta).

L’Impiegato                    - (apre ed avanza) Permesso? M'ha chiamato, signor capufficio?

Il Capufficio                    - (severo) Venga avanti. E' lei l'autore di questo capolavoro?

L’Impiegato                    - (intimidito) Ecco, ve... veramente...

Il Capufficio                    - Veramente sì, o veramente no? E le proibisco di balbettare.

L’Impiegato                    - Credo di sì. Non è regolare?

Il Capufficio                    - Regolare! E scommetto che lei si reputa un impiegato modello!

L’Impiegato                    - Non pretendo tanto, signor capuf­ficio.

Il Capufficio                    - Ma pretenderà certamente di co­noscere le norme più elementari che regolano il servizio.

L’Impiegato                    - Be', questo sì, modestamente.

Il Capufficio                    - (esplode) E invece no! Lei non sa un accidènte, lei non conosce un accidente. Da quando in qua si rilasciano certificati a richiesta dei defunti?

Giobatta                          - Ma scusi!...

Il Capufficio                    - Silenzio lei. So io quello che debbo dire. Crede che questo sia lo stato civile del paradiso? Crede forse che io sia l'arcangelo Gabriele?

L’Impiegato                    - Non l'ho mai sospettato, signor ca­pufficio.

Il Capufficio                    - (quasi offeso) Come sarebbe a dire?!

L’Impiegato                    - Volevo dire no. Soltanto: no.

Il Capufficio                    - (dopo un attimo, calmandosi, pa­terno) Vede, caro 218, la pubblica amministra­zione non pretende dai propri dipendenti delle virtù eroiche, ma un po' di logica sì. Se un citta­dino è deceduto, non è più in grado di richiedere certificati, le pare? Se non altro perché è venuta meno la sua capacità giuridica. Sono nozioni di diritto elementari che anche un impiegato subal­terno dovrebbe conoscere.

L’Impiegato                    - E' giusto, ma vede, questo signore diceva che c'era un errore, perché lui non era de­ceduto. Ricordo che abbiamo avuto una discus­sione.

Giobatta                          - Ma è proprio così!

Il Capufficio                    - Io non voglio metter in dubbio la buona fede di questo signore, me ne guarderei bene; ma se dovessimo credere a tutto quello che ci racconta la gente, a che servirebbero i certifi­cati? Io potrei affermare di essere Vercingetorige, e nessuno avrebbe diritto di dubitarne. Si rende conto che con questo assurdo documento lei di­mostra di non credere in ciò che attesta? Mette in crisi tutto un sistema di certezze. Non è così, caro giovanotto, che può sperare di far carriera. Solo chi crede fermamente in ciò che fa, può impegnare nel lavoro tutte le sue energie.

L’Impiegato                    - Mi dispiace. In futuro cercherò di essere più logico.

Il Capufficio                    - Ma soprattutto più guardingo. Un po' di salutare diffidenza è indispensabile quando si sta a contatto con il pubblico. Ed ora vada.

L’Impiegato                    - Grazie, signor capufficio. (L'impie­gato esce).

Il Capufficio                    - Come ha visto, signore, quando mi viene segnalata una irregolarità, sono pronto a dare soddisfazione. Buongiorno.

Giobatta                          - Grazie, ma vede, forse non mi sono spiegato bene.

Il Capufficio                    - Che altro c'è?

Giobatta                          - C'è che « veramente » io non sono morto. Glielo giuro, signor capufficio.

Il Capufficio                    - (poco convinto) Quand'è così fac­cia un ricorso, e se risulterà...

Giobatta                          - (l'interrompe) Ma l'ho già fatto il ricorso.

Il Capufficio                    - Bene, allora attenda la decisione.

Giobatta                          - E' già da tanto tempo, signor capuf­ficio...

Il Capufficio                    - Che posso dirle? Faccia un'istanza di sollecito.

Giobatta                          - In carta bollata?

Il Capufficio                    - (perentorio) Ah, questo sempre. (Valzer. Con slancio. Passa in sottofondo).

Giobatta                          - Illustrissimo Ufficio di stato civile, ci scrivo per farci un sollecito di quella mia pratica che sono morto. Con grande speranza, mi sottoscrivo vostro devotissimo... (Diss.).

Il Secondo Impiegato      - Un matto. Archiviare. (Riemerge per un attimo il valzer).

Giobatta                          - Illustrissimo Ufficio di stato civile, co­me ci ho già scritto tante volte, ormai mi sono stufato di essere morto, per cui ci faccio rispet­tosa istanza... (Diss.).

Il Secondo Impiegato      - Il solito matto. Archiviare. (Riemerge per un attimo il valzer).

Giobatta                          - (vibrato, cadenzato) Eccellentissimo Ufficio di stato civile...

Il Secondo Impiegato      - Uffa! Basta! (il valzer riemerge e stop. Stacco netto).

La Moglie                        - Sono la moglie del defunto signor Giobatta. Ho ventidue anni e gli occhi ancora azzurri. Vorrei tanto avere un bambino, ma Gio­batta dice che questo complicherebbe la sua pra­tica e che per di più il bambino non sì saprebbe di chi è figlio. E' diventata proprio una fissazione la sua. La notte, durante il sonno, si agita e mu­gola, e dice parole sconnesse; nulla posta, passi...

Giobatta                          - (angosciato, in crescendo) Vorrei... per favore... vorrei... vorrei... (Voci amplificate, distor­te, da incubo, grave) Non c'è. (Stridula) Non c'è. (Gracchiarne) Non c'è. In missione. In commis­sione. In ferie. Fuori orario.

Giobatta                          - (c. s. con disperato senso di frustrazione) Vorrei... Vorrei.., Vorrei...

Voci                                 - (e. s.) Ripassi. Domani. Dopodomani. Tra qualche giorno. Tra un mese. Tra un anno. (In coro) Il tempo non esiste. (Passano in sottofondo).

Giobatta                          - Nome... Cognome... motivo della visi­ta... nome... cognome... motivo della visita...

La Moglie                        - Giobatta!? Giobatta, svegliati. Stai sognando. (Incubo stop) Ogni notte debbo scuo­terlo a lungo prima che si svegli completamente. Da qualche tempo poi, per comprare la carta bol­lata, ha persino smesso di fumare. In fondo me­glio così: un vizio di meno. Adesso però, se vede un foglio di carta bollata, lo guarda come guar­dava me quando eravamo fidanzati. (Campanello. Din-don, due note di campane. Molto gradevole) E' lui. Forse ha dimenticato le chiavi. (Apre la porta). Ciao... Che t'è successo?

Giobatta                          - (un po' ansante, emozionalo) Poco fa ho incontrato un amico. M'ha chiesto come mai m'ero sciupato, così gli ho raccontato tutto. Sai che m'ha detto? « Impara a campare - m'ha det­to. Con la carta bollata non caverai un ragno dal buco, ci vuole ben altro ».

La Moglie                        - Che cosa?

Giobatta                          - Raccomandazioni.

La Moglie                        - Ma noi chi conosciamo?

Giobatta                          - A questo ci pensa lui. E' paesano d'un pezzo grosso; così grosso, dice, che quando il suo cane passeggia per i corridoi, gli uscieri si met­tono sull'attenti e salutano. Il cane, capisci!

La Moglie                        - (ammirata) Oh!

Giobatta                          - Domani mi ci accompagna.

La Moglie                        - (allibita) Dal cane?!

 

Giobatta                          - Ma no, dal padrone del cane, dal pez­zo grosso in persona.

La Moglie                        - E ti farà la raccomandazione, così, senza niente?

Giobatta                          - E perché no? Questo amico lo cono­sce bene. Mi presenterà come parente. M'ha detto che tutt'al più dovrò pagare qualche cosa per comprare una tessera. (Valzer. Poche note di stacco).

Il Pezzo Grosso               - Caro direttore generale gene­rale generale, ti prego di favorire l'amico Ciabatta il quale, nel porgerti questa mia, ti esporrà per­sonalmente il suo caso. Un fraterno abbraccio dal tuo...

Il Coro                             - (solenne) Pezzo grosso.

Il Direttore                      - (triste) Sono il direttore generale generale generale. E' primavera, e io in primavera (tre quattro starnuti uno dietro l'altro) soffro di raffreddore allergico. Se ciò non bastasse quel pallone gonfiato del Pezzo Grosso continua a tem­pestarmi con le sue lettere di raccomandazione. Ecco, adesso mi raccomanda un certo Ciabatta che...

Giobatta                          - (apparendo) Giobatta, signor direttore molto generale. Giobatta.

Il Direttore                      - Naturalmente: Giobatta. Dunque, signor Giobatta, ho esaminato attentamente la sua pratica. Tutto regolare, mi sembra.

Giobatta                          - Regolare! Come regolare?!

Il Direttore                      - C'è persino un verbale di consta­tazione di morte redatto (starnuto) dal suo me­dico curante.

Giobatta                          - Ma quale medico curante?!

Il Direttore                      - Lei non è mai stato ammalato ne­gli ultimi anni?

Giobatta                          - Mai.

Il Direttore                      - Strano! Cerchi di ricordare.

Giobatta                          - Gliel'assicuro. Ho una salute di ferro. Neppure un raffreddore.

Il Direttore                      - Beato lei! Quando c'è la salute c'è tutto.

Giobatta                          - Sì, però...

Il Direttore                      - Ci affanniamo tanto a far carriera, o a far quattrini, senza considerare che la sola cosa che conta (starnuto) maledizione! è la salute.

Giobatta                          - Può darsi, ma...

Il Direttore                      - Lei mi vede qui, su questa pol­trona, e magari pensa: eh, lui sì che può consi­derarsi soddisfatto. E invece, se sapesse (Tre star­nuti a ripetizione) che tormento!

Giobatta                          - Mi dispiace molto, ma...

Il Direttore                      - Si fa presto a dire mi dispiace. Le cose bisogna provarle, caro lei.

Giobatta                          - Se potessi, ben volentieri.

Il Direttore                      - Il guaio è che non si può. Pur­troppo ognuno deve tenersi i propri malanni. Le sembra giusto?

Giobatta                          - No ma, dico, nel mio caso che si può fare?

Il Direttore                      - E che vuole fare? Lei non ha bi­sogno di niente. Lei è fortunato; scoppia di sa­lute, lei.

Giobatta                          - Già, ma a che mi vale se poi mi con­siderate morto!

Il Direttore                      - Morto? Perché morto? Ah già, morto. Purtroppo il suo caso è assolutamente ec­cezionale. Ho fatto delle ricerche: neppure un pre­cedente. Sa, nei casi difficili, i precedenti sono di grande aiuto, anche se si sbaglia si ha sempre una giustificazione. E invece, niente.

Giobatta                          - Ma, dico, ci sarà pure una legge.

Il Direttore                      - Ci sarà, può anche darsi, ma tro­varla!

Giobatta                          - Perché?

Il Direttore                      - Lei mi chiede perché?! Non sa che dal 1815, anno della nostra unificazione nazio­nale, tra leggi, decreti, regolamenti, decreti-legge, bandi, gride, editti, statuti, ordinanze eccetera so­no stati emessi novecento novantanovemila novecentonovantanove provvedimenti, ancora tutti in vi­gore?

Giobatta                          - (ottimista) Be', in tanta abbondanza...

Il Direttore                      - Fa tutto facile, lei. Ad ogni modo spero di poter applicare la legge del 1815 sui di­spersi nelle guerre contro napoleoniche.

Giobatta                          - Ma io non ho combattuto nelle guerre contro napoleoniche. Non c'ero, mannaggia!

Il Direttore                      - Che importa! Nel corso degli an­ni la legge è stata ripetutamente modificata se­condo le nuove situazioni storico-politiche. Ma sta proprio qui la difficoltà, caro lei!

Giobatta                          - Non capisco.

Il Direttore                      - Neppure noi qualche volta. Benché questo ufficio disponga di due impiegati espertis­simi in materia. Campioni mondiali di sciarade, pensi! Li abbiamo assunti per questo. Perciò stia tranquillo e ripassi tra qualche giorno; io intanto li metto subito al lavoro. (Appaiono i due Esperti. Giobatta va via. Con ritmo velocissimo, talvolta smozzicando le parole).

Il Primo Esperto              - Modificazione dell'articolo uno della legge del 1815 sui dispersi eccetera. Le ulti­me due sillabe della seconda parola del primo comma vengono sostituite con le sillabe « acchie ». La parola «contronapoleoniche » è abrogata.

Il Secondo Esperto          - Modificazione della modifi­cazione dell'articolo uno della legge eccetera. La sesta parola della legge di modificazione viene sostituita con « terza ». La seconda parola della legge del 1815 viene abrogata.

Il Primo Esperto              - Aggiunta e modificazione del­la modificazione della modificazione dell'articolo eccetera. L'undicesima parola della legge di mo­dificazione alla modificazione viene sostituita con « quarta ». La terza parola della legge modificata viene abrogata. Dopo la prima virgola viene ag­giunta la parola « dopodiché ». I riferimenti ai successivi articoli sette, quattordici e ventuno so­no abrogati.

Il Secondo Esperto          - Circolare ministeriale nu­mero 712.929. A chiarimento dell'ultima modifica­zione della modificazione della modificazione della modificazione della legge eccetera, si precisa quan­to segue: bubbogluteravasdanotterapappappero.

 

Il Primo Esperto              - Legge di interpretazione au­tentica della modificazione della modificazione modificazione modificazione modificazione ecce­tera. Articolo uno: burubù, burubù, burubù.

Il Secondo Esperto          - Parziale abrogazione dell'ec­cetera dell'eccetera dell'eccetera dell'eccetera ec­cetera: perepè, perepè, perepè.

Il Primo Esperto              - Norme per l'attuazione del perepè, perepè, perepè.

Il Secondo Esperto          - Zarabum, zarabum.

Il Primo Esperto              - Patapon, potopan...

Il Secondo Esperto          - Turata, tarate.

Il Primo Esperto              - Turutù, turate.

Il Secondo Esperto          - Coccodì, coccodè.

Il Primo Esperto              - (squillante) Chicchirichì!

Il Direttore                      - Bravi! Ero sicuro che ce l'avreste fatta! Dunque?

Il Primo Esperto              - (ansimante) Legge del 1815 e successive modificazioni sui dispersi delle guer­re...

Il Direttore                      - (interrompendolo) Va bene, va bene. Passiamo al testo. Che cosa dice?

Il Secondo Esperto          - (mortificato) Articolo uno, le fusaracchie sono tre bibidì bibidì e bibidì -virgola - dopodiché - punto. Chiunque non ubbi­disce deve pagare la multa - Punto.

Il Direttore                      - Accidenti! Il primo comma non mi sembra chiaro. (Valzer. Travolgente. Tenuto abbastanza a lungo. Lenta diss. Si bussa alla porta).

Il Direttore                      - Avanti.

Giobatta                          - (apre e si avvicina) Buongiorno, signor direttore generale generale generale.

Il Direttore                      - (assorto in una pratica complicata) Desidera?

Giobatta                          - Sono Giobatta. Non si ricorda di me? (Per spiegare) Quello morto.

Il Direttore                      - (c. s.) Ah sì, si accomodi.

Giobatta                          - Grazie, Volevo sapere a che punto sta la mia pratica.

Il Direttore                      - (c. s.) In corso.

Giobatta                          - Scusi sa, io sono ignorante: in corso come?

Il Direttore                      - (c. s.) In corso.

Giobatta                          - (poco convinto) Ah, in corso.

Il Direttore                      - Certamente. (Breve pausa).

Giobatta                          - Ma c'è speranza, volevo dire?

Il Direttore                      - Naturalmente.

Giobatta                          - E quando?

Il Direttore                      - Quando cosa?

Giobatta                          - Be', come si dice? Il risultato.

Il Direttore                      - Purtroppo la legge del 1815 non è molto chiara: abbiamo dovuto fare un quesito al consiglio superiore per l'interpretazione della legge in vigore. Attendiamo risposta.

Giobatta                          - E ci vorrà tempo?

Il Direttore                      - Il consiglio superiore ha un arre­trato di oltre otto anni.

Giobatta                          - (senza fiato) Ma signor direttore... si­gnor direttore generale... signor direttore generale generale generale! Io non posso aspettare altri otto anni. Lei non immagina neppure che vita è la mia. Meglio se fossi morto davvero. Anche se chiedo una licenza di caccia, me la negano. Tutto così. Tutto così.

Il Direttore                      - Capisco, ma non dipende da me.

Giobatta                          - Non potrebbe trovare un'altra strada? Più corta.

Il Direttore                      - E quale? Purtroppo c'è in atti una regolare attestazione di morte.

Giobatta                          - Ma è sbagliata, glielo giuro. (Dopo un attimo, altro tono) Sicché crede anche lei che sono morto?

Il Direttore                      - Detto in confidenza: personalmen­te sono convintissimo che lei sia vivo.

Giobatta                          - (commosso, con molto calore) Oh, gra­zie, signor direttore. Grazie. Grazie.

Il Direttore                      - Non mi fraintenda. Purtroppo le mie convinzioni personali non contano. Se la pub­blica amministrazione si affidasse alle opinioni dei propri funzionari, anche se di grado elevato, ver­rebbe meno ogni garanzia di obbiettività. Occorro­no documenti, occorrono prove.

Giobatta                          - Ma io non sono già una prova?

Il Direttore                      - Non basta provare che lei è vivo, bisogna provare che il nominato Giobatta non è morto.

Giobatta                          - E non è la stessa cosa?

Il Direttore                      - Assolutamente diversa. Anche io sono vivo, tanta altra gente è viva, ma ciò non esclude che Giobatta Giobatta sia morto.

Giobatta                          - Potrei sottopormi a visita medica.

Il Direttore                      - A che servirebbe?

Giobatta                          - (se l'aspettava) A niente, vero?

Il Direttore                      - A niente, (Breve pausa).

Giobatta                          - Scusi sa, potrebbe togliermi una cu­riosità? E' un pensiero che mi frulla da tanto tempo.

Il Direttore                      - Dica.

Giobatta                          - Di che malattia sono morto?

Il Direttore                      - Polmonite.

Giobatta                          - Possibile?! Ma c'è la penicillina, tante altre medicine moderne...

Il Direttore                      - Troppo tardi per le medicine, le pare?

Giobatta                          - (avvilito) Già, anche questo è vero.

Il Direttore                      - Purtroppo ci troviamo sempre di fronte alla stessa difficoltà: un documento ufficiale che attesta la sua morte.

Giobatta                          - (con improvvisa illuminazione) Ma io pago le tasse! Giobatta Giobatta paga ancora le tasse!!

Il Direttore                      - Perbacco! Questo potrebbe essere un principio.

Giobatta                          - (pieno di speranza) Crede!?

Il Direttore                      - Sicuro. La prova più convincente che un cittadino possa dare della sua esistenza è proprio l'adempimento degli obblighi fiscali.

Giobatta                          - (esultante) Ha visto? Ha visto che pen­sandoci un po' un'altra strada l'avremmo trovata!

Il Direttore                      - Si calmi, si calmi. Dobbiamo pri­ma chiedere conferma all'ufficio competente.

 

Giobatta                          - (vivace) Lo faccia subito per favore. Lei è così occupato, ha tanto da fare, potrebbe passarle di mente. Scriva subito.

Il Direttore                      - E va bene. (Cicala. Dittafono) Si­gnorina, è pronta per stenografare? Scriva... All'ufficio delle imposte dirette. Città. Oggetto: con­tribuente Giobatta Giobatta in atti deceduto il 24 marzo dell'anno millenovecen... (Missa con val­zer che rapidamente si diss.).

L’Impiegato delle Imposte            - (infelice) Pur essen­do impiegato alle imposte dirette, sono disgustato della vita. Questa mattina, mentre mi facevo la barba, ho scoperto che mi sta crescendo un fo­runcolo sulla punta del naso. Mi va tutto a rove­scio: anche l'automobile mi si è guastata e per venire in ufficio ho dovuto prendere l'autobus. Se ciò non bastasse, tutte le grane le scaricano su di me. Adesso mi sottopongono il caso di un tizio che vuole fare il furbo e pretende di essere morto il 24 marzo di sette anni fa. Cose incredibili! La gente le studia tutte per non pagare le tasse. Per non sbagliare, sapete che faccio? Trasmetto la pratica agli organi superiori. Se la vedano loro.. (Appare l'Organo Superiore e imita il suono di un organo: un pezzo classico, molto noto).

L’Organo Superiore        - Po ro pon pon pon pon pon. Io sono l'organo superiore. Pur essendo un organo, non ho tastiera né canne, cosa che mi mortifica profondamente; malgrado ciò mi sforzo continua­mente di suonare, ma debbo riconoscerlo, con risultati addirittura penosi. Se l'amministrazione non ci fornisce i mezzi, è logico che non funzioniamo bene. Per di più, tutte le rogne finiscono sul mio tavolo, come se io fossi il loro papà. Adesso si vuole sapere da me se un certo Giobatta morto vari anni fa ha continuato a pagare le tasse. (Suo­na il campanello) Cose da pazzi! Io non capisco perché non viene ancora ordinata la visita psichia­trica obbligatoria. Po ro pon pon (scontento) Macché! Riproviamo: pò ro pon... Niente, suo­navo meglio ieri. (Suona nuovamente il campa­nello con furia. Grida) Usciere... (Bussano alla porta, aprono) Presto, quante volte debbo chia­mare!... (Si avvicina alla porta e consegna la pra­tica all'usciere) Portate giù queste carte e dite... che la pratica non è di nostra competenza. Che la trasmettano... be', che la trasmettano all'ufficio delle imposte di successione ... Presto. Velocità! Dinamismo!       - (L'usciere si allontana lentamente. Porta) Ecco fatto! Torniamo al lavoro. (Con mol­to impegno) Po ro pon pon pon pon...

La Moglie                        - (dolente) Sono la moglie del defunto signor Giobatta. Ho ventisei anni e gli occhi meno azzurri. Da quando Giobatta ha saputo di essere morto di polmonite ha una tremenda paura delle correnti d'aria. Porta sciarpa e cappotto an­che d'estate, così suda e si raffredda. Ricordatosi poi che anche il povero zio Giobatta morì di pol­monite, s'è addirittura fissato che questa è morte di famiglia. Ma che abbiamo fatto di male per essere tanto sfortunati?... (Campanello di casa Giobatta, din-don) Suonano. Apri tu? (Entra Gio­hatta. Ha sciarpa e cappotto).

Giobatta                          - Sì, ma prima chiudi la finestra. (La moglie chiude la finestra. Giobatta va ad aprire la porta).

La Moglie                        - Chi è?

Giobatta                          - (con apprensione) Una raccomandata. Tassa a carico del destinatario. Sono loro!

La Moglie                        - (spaventata) Forse buone notizie.

Giobatta                          - Ma no. E' per te.

La Moglie                        - Per me? E che c'entro io? Leggi.

Giobatta                          - (lacera la busta, legge) Quale erede del defunto signor Giobatta siete invitata a pre­sentare immediatamente la denuncia di succes­sione. Soprattasse, multe, indennità di mora... (Ri­prende con violenza rabbiosa il valzer. Con crude dissonanze o addirittura con stonature laceranti. Missa con vociare fitto e confuso di ambiente af­follato. Dna voce, in distanza, protesta vivacemen­te. Passa in sottofondo).

Giobatta                          - Buongiorno. Guardi, mia moglie ha ricevuto questa carta...

Il Primo Funzionario       - Sportello 82.

Giobatta                          - Ma non dobbiamo pagare.

Il Primo Funzionario       - Sportello 82.

Giobatta                          - Ma non è qua che...

Il Primo Funzionario       - (risentito) Sportello 82!

Giobatta                          - Grazie. (Riemerge il vociare per qual­che attimo. Azione mimata di Giobatta. Cerca lo sportello 82. Lo trova).

Giobatta                          - Buongiorno. Senta un po': mia mo­glie ha ricevuto 'sta carta...

Il Secondo Funzionario   - Sportello 16.

Giobatta                          - Ma guardi che non devo pagare. C'è uno sbaglio.

Il Secondo Funzionario   - Ho detto: sportello 16.

Giobatta                          - Ci sono già stato allo sportello 16. M'hanno detto di venire qua.

Il Secondo Funzionario   - Ci torni. (Riemerge il vociare e. s. Azione mimata di Giobatta. Torna al primo sportello).

Giobatta                          - Scusi sa, ma...

Il Primo Funzionario       - Ancora lei! Ho detto spor­tello 82.

Giobatta                          - Lei mi dice 82, l'82 mi dice 16. In­somma da chi devo andare?

Il Primo Funzionario       - Provi alle informazioni. Pianoterra. (Azione mimata di Giobatta che chia­ma l'ascensore, lo prende, scende).

Giobatta                          - E' qui l'informazioni?

L’Impiegato                    - Sì. Desidera?

Giobatta                          - Dica un po': da chi devo andare? Mia moglie ha ricevuto 'sta carta.

L’Impiegato                    - Sportello 16 o sportello 82.

Giobatta                          - Ma ci sono stato. Mi sbattono dall'uno all'altro come una palla.

L’Impiegato                    - E allora faccia una cosa. Questo è il modulo per la denuncia di successione. Lei lo riempia e poi lo spedisca per posta.

Giobatta                          - lo non riempio niente. Noi non dobbiamo pagare! Senta: chi comanda qui? Vorrei parlarci. La mia è una questione complicata.

L’Impiegato                    - Si rivolga all'ispettore-capo. Ottavo piano. Stanza mille.

Giobatta                          - Grazie. (Giobatta riprende l'ascensore. Sale. Esce e si rivolge a un usciere). Per favore stanza mille.

L'Usciere                         - Quarto corridoio a destra. Dopo le scale.

Giobatta                          - Grazie. (Azione mimata. Giobatta per­corre affannosamente i corridoi alla ricerca della stanza mille. Vi giunge. Appare l’Ispettore-capo, maestoso, impenetrabile).

Giobatta                          - Finalmente! (Bussa, apre) Permesso? (Avanza) Scusi tanto. Buongiorno. Ecco, io volevo farci vedere 'sta carta... Ha visto?... Posso par­lare, sì? Prima, sa: sportello 16, sportello 82. Al­lora uno pensa: vuoi scommettere che adesso mi dice sportello 16. Be', insomma; meglio così. Io ci volevo spiegare che qui sotto c'è tutto un im­broglio. Se sapesse, sono anni che mi fanno di­ventare matto. Insomma, a farla breve, io non sono morto, m'hanno scritto così, ma non è vero, c'è uno sbaglio. E allora si capisce che anche que­sta carta non c'entra niente. Perché, insomma, erede; ma quale erede, se uno è ancora vivo? Mi sono spiegato? (il mugolio precipitoso e stri­dulo prodotto da un nastro magnetico inciso che gira velocemente indietro. Pochi secondi. Stop) Come ha detto, scusi? (Mugolio come sopra. Un po' più lungo. Stop) Abbia pazienza, io sono igno­rante. Non capisco... (Riprende il mugolio. Con­tinua, mentre Giobatta cerca di superarlo gridan­do, quasi disperato) Ecco, io ci volevo spiegare... Abbia pazienza, mi faccia parlare... io ci volevo spiegare che il defunto Giobatta... ma che de­funto! un cavolo! E allora che c'entra 'sta tassa da morto? Io le tasse le pago da vivo e allora lei capisce: non è giusto. C'è tutto uno sbaglio, glielo giuro. Ho fatto pure il soldato, e come po­tevo essere morto se ho fatto il soldato? E' la verità, se non ci credete informatevi. Ho fatto il soldato. Dieci anni fa ho fatto il soldato. (Sempre più disperato) Chiedete, informatevi, informatevi. (Mix con valzer. Fortissimo, impetuoso, travol­gente. Lenta diss. Campanello suonato ripetuta­mente con rabbia furiosa).

Il Cavaliere                      - (intimorito, strisciante, bussa, apre) Permesso, eccellenza. I miei rispetti, eccellenza. Mi ha chiamato, eccellenza?

L'Eccellenza                    - (ringhioso) Cavaliere di gran cro­ce! Venga avanti, cavaliere di gran croce. Che cosa mi combina, lei?!

Il Cavaliere                      - Io niente, eccellenza. Che cosa ho fatto?

L'Eccellenza                    - Guardi qui, questa pratica. Lei non si è accorto di aver chiamato alle armi un cadavere.

Il Cavaliere                      - Impossibile, eccellenza,

L’Eccellenza                    - Eppure lei ci è riuscito, cavaliere di gran croce!

Il Cavaliere                      - Forse qualcuno degli impiegati avventizi. Lei non può immaginare quanto siano distratti, eccellenza.

L’Eccellenza                    - E lei che cosa ci sta a fare?

Il Cavaliere                      - Non posso controllare tutto, ec­cellenza. A volte qualche particolare sfugge.

L’Eccellenza                    - (sarcastico) Ah, un particolare! Per sedici mesi un militare è stato vestito, cal­zato, nutrito, senza che nessuno, dico nessuno, si accorgesse che quel militare non esisteva neppure.

Il Cavaliere                      - Sono desolato, eccellenza.

L’Eccellenza                    - Desolato un corno, cavaliere di gran croce! Mi sembra che lei non sì renda conto della gravità del fatto. Il plotone con un uomo di meno; pazienza. La compagnia, il battaglione, pas­si. (Drammatico) Ma persino il corpo d'armata con un uomo di meno! Capisce cosa significa? Uno scandalo! Uno scandalo! Uno scandalo!... (Mix con ambiente affollato).

Il Rappresentante dell'Opposizione   - (altisonante) ...uno scandalo che non solo come rappresen­tante dell'opposizione, ma come semplice citta­dino, io denuncio dinanzi a voi e dinanzi al Paese. E' così, signori, che viene spese il pubblico dena­ro! Ma altra e più grave preoccupazione deve de­stare in voi tutti questo fatto gravissimo; perché, signori, io vi chiedo: (Melodrammatico) Signori! Signori! all'occorrenza chi difenderà i sacri con­fini della patria? Un esercito di fantasmi?! (Reazioni contrastanti. Campanello per richiamare il silenzio. Relativo silenzio).

Il Rappresentante della Maggioranza            - (calmo) Signori, l'opposizione usa, come al solito, la lente d'ingrandimento nel tentativo sistematico di scre­ditare il governo. Certo, niente è perfetto a que­sto mondo. Anche il corpo della donna più bella nasconde il suo piccolissimo neo...

L'Opposizione                 - (l'interrompe) Lei è un inten­ditore. (Risate. Zittii. Campanello). Il Rappresentante della Maggioranza          - (si chiarisce la voce) Orbene siamo noi i primi a deplorare questo fatto increscioso. Ma esso è e resta un fatto isolato che sarebbe ingiusto generalizzare per porre in dubbio l'efficienza della nostra buro­crazia. Ad ogni modo posso garantirvi che è già stata ordinata un'inchiesta e che gli eventuali re­sponsabili saranno severamente puniti. (Diss. su applausi calorosi ed unanimi. Campanello in casa Giobatta. Din-don).

La Moglie                        - Bussano. Apri tu? (Giobatta va ad aprire la porta).

Il Messo                           - Giobatta Giobatta, è lei?

Giobatta                          - (incerto) S...sì.

Il Messo                           - Notifica.

Giobatta                          - Proprio a me?!

Il Messo                           - Certo.

La Moglie                        - Chi è?

Giobatta                          - (vibrato, commosso) Sono loro. Mi notificano una carta. Sono di nuovo vivo. Di nuo­vo vivo!

La Moglie                        - Oh! Sia lodato Iddio. Era ora! Fai vedere. Che dice?

Giobatta                          - (turbato) Già, che roba è questa?

Il Messo                           - Non sapete leggere? Ingiunzione di pagamento.

Giobatta                          - (allibito) Io non devo niente a nes­suno.

Il Messo                           - Lei deve rimborsare un milione 423 mila 816 lire spese indebitamente per il manteni­mento del soldato Giobatta arruolato dopo morto. (Subito sirena e campana dei pompieri CL/PP/CL).

La Moglie                        - Sono la moglie del defunto signor Giobatta. Ho ventotto anni e gli occhi scialbi. So­no disperata. Per colmo di disgrazia questa notte è scoppiato un incendio proprio nell'ufficio dove si trovava una delle pratiche di Giobatta. Questo certamente complicherà le cose e non riusciremo più a venirne a capo. Quando potremo riavere un po' di pace? (Di nuovo sirena e campana dei pom­pieri CL/PP/CL).

Il Giornale                       - Giornale del mattino. Questa notte l'archivio del palazzo delle poste è stato devastato da un furioso incendio. Nel giro di alcuni mesi è questa la quinta volta che si verìfica un incendio in un ufficio pubblico, per cui non vi è dubbio che si tratta di incendi dolosi. Alle indagini della gendarmeria collabora attivamente un eminente psicologo il quale alle nostre domande ha così risposto...

Lo Psicologo                   - (con importanza, saccente) Il fatto che più ha colpito la mia attenzione è che l'in­cendiario non si limita a fare grossi mucchi di pratiche e a darci fuoco, ma sceglie con cura e direi quasi con competenza i documenti più im­portanti per farne barchette e feluche. Evidente­mente si tratta di simboli: barchette significa oceano, navigazione; feluca, comando; documen­to, prestigio, ufficialità, importanza. Simboli di un desiderio lungamente sofferto e, nella realtà, inappagato. Per spiegarmi: il maniaco si com­porta come ciascuno di noi quando sogna e, in sogno, realizza i suoi desideri mediante simboli e figurazioni. Dobbiamo concludere quindi che il ricercato è certamente un individuo il quale aspi­ra invano a diventare ammiraglio. Questa mia in­dicazione facilita notevolmente le indagini della gendarmeria la quale, anziché cercare un ago nel pagliaio sta ora attentamente investigando tra coloro che... (Diss.).

La Moglie                        - (con gioia contenuta) Sono la moglie del defunto signor Giobatta. Ho ventinove anni e gli occhi come il mare. Sono felice: aspetto un bambino. Anche Giobatta da qualche tempo mi sembra più sereno e quasi rassegnato. Peccato però che abbia ripreso a fumare. A dire la verità lui me lo nasconde, forse sapendo che mi dispia­ce; ma io me ne sono accorta perché gli trovo sempre nelle tasche tanti tanti fiammiferi.

FINE