Il velo bianco

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IL VELO BIANCO

Commedia in tre atti

di Eugenio BERTUETTI e Sergio PUGLIESE

PERSONAGGI

ALESSANDRO TISA, 55 an­ni

CRISTINA, sua moglie divorziata, 50 anni

HELENE, sua seconda moglie, 29 anni

PIA e GREGOR, fi­glioli di Alessandro e Cristi­na, 23 e 30 anni

FEDERI­CO, fidanzato di Pia

MAC­CHI e RUGGA, impresari teatrali

ROSINE, ragazza valdostana, cameriera

UN PORTATORE, che non parla

Commedia formattata da

L'azione ha luogo oggi, in una grande e comoda baita all'Alpe Sapien, ai piedi del Piccolo e del Grande Tournalin, a un'ora di mulattiera da San Giacomo, in Valle d'Ayas. La baita sorge iu mezzo a un prato ellittico, del più tenero e fiorito verde del mondo, cui fa contrasto tutt'intorno una foresta di larici, abeti e pini. Dall'Alpe Sapien l'occhio spazia sul­la chiostra immane e splendente del Breithorn, dei Gemelli e della punta occidentale del Lyskamm. A sinistra, oltre il Colle delle Ci­me Bianche, fa capolino, quand'è sereno, la vetta del Cervino.

Vasta stanza, dal­le pareti foderate di pino scuro. Una spala, a sinistra, conduce ad una spe­cie di pogginolo con balaustra di legno su cui danno tre usci. Il poggino­lo è lungo quanto Finterà parete di fondo, nella quale si aprono una fine­stra e la porta, con vista dello spiazzo erboso, di qualche pino e dei ghiacciai lontani.

Sotto la rampa, a sinistra, un uscio.

A destra, la pare­te è nuda, con una sola finestrucola.

Da questa parte saranno: un piano­forte a coda, in pri­mo piano, e, dietro, una stufa accesa. Sul pianoforte, due dop­pieri d'argento con candele a metà con­sunte.

Di fronte al pianoforte, verso la scala, una tavola rozza. E poi, in allegro disordine: due poltrone del più cromato novecento fra sgabelli e seggiole rusticali. Qua e là: libri di musica, una gerletta da mandriano, un grammofono, dischi, riviste, un paio di zoccoli, clave per la ginnastica, scatole di sigarette.

Dal soffitto, sul centro della tavola, pende una grossa e antiquata lucerna a petrolio.

Insomma: l'accozzaglia delle suppellettili diverse deve far nascere subito il sospetto d'un che di strambo nelle persone che abitano la baita.

E' un pomeriggio di nebbie mosse, con alterni squarci di luce e cortine d'ombra, ai primi d'agosto.

 (Colpi discreti alla porta. Hélène al pianoforte ripassa della musica. Non si muove).

Le voci di Rugga e Macchi    - Maestro!... Tisa!... (Nuovi colpi rabbiosi. Si bussa anche ai vetri della fine­stra, che è a terreno, e si scorge oltre le tendine l'ombra di uno dei due. Dall'uscio sotto la rampa esce Pia, che corre alla porta e apre).

Rugga e Macchi          - (appaiono sulla soglia, rossi in viso, congestionati, sbuffanti. Rugga - grosso e pesante - si appoggia a un ramo di pino del quale si serve come ba­stone. Macchi - alto, ossuto, un sacripante sgraziato - ha una borsa d'affari in mano e un fazzoletto intorno al collo. Parlano insieme, a voce alta, arrubbiatissimi) Accidenti! Finalmente! Ciao, Pia. Ma che stra­dacela! Nella nebbia, d'agosto... Da scoppiare!

Rugga                         - (buttandosi a sedere sopra uno sgabello) Auff! (Mostrando con la mano) Così, una strada così... In un nebbione...

Macchi                        - (fuori di sé) Ma perché non crepate, una buona volta, tutti insieme?

Pia                               - Ssst!

Macchi                        - Che ssst d'Egitto! Son qui apposta per ur­lare. Vai subito a chiamare tuo padre.

Pia                               - No, Macchi, no. Oggi è una brutta giornata. E' meglio che non v'incontriate con papà.

Macchi                        - (ironico) Ah, perché tu credi, piccina, che noi, dopo dodici ore di treno, tre dì macchina e una su per questi sentieri da capre, si voglia ridiscendere in punta di piedi per non disturbare il maestro che dorme? Gli pigli...

Hélène                        - (senza voltarsi) E chi ha dato il nostro indirizzo a questi due?

Macchi                        - Bell'altare! Non è difficile scoprire la tana del pazzo quando mezzo mondo lo cerca.

Hélène                        - E adesso che l'avete trovato?

Rugga                         - Non scherziamo, signora mia, non scherzia­mo... Parte o non parte il maestro?

Hélène                        - (intenta alla propria musica) Per dove?

Macchi                        - Ma come per dove! Sono tre mesi che ci avvelenate l'anima. (Battendo la mano sulla borsa) L'ha o non l'ha firmato il contratto per i concerti di Nuova York? Oggi è lunedì: giovedì dobbiamo imbarcarci.

Con lui!

Hélène                        - (candida, senza voltarsi) Per Nuova York?

Rugga                         - (sventolando i biglietti) Abbiamo già fissato i posti sul «Rex». Ecco i biglietti.

Macchi                        - (sbalordito) Che succede? Siete tutti rim­bambiti qua dentro?

Hélène                        - (senza scomporsi) E' vero, Pia?

Pia                               - (impacciata) Sì... Lo sai anche tu che è vero...

Macchi                        - E allora?

Pia                               - (confuso) Papà... non vuole... non vuole più...

Macchi e Rugga          - (danno un balzo) Non vuole più?!

Pia                               - (con precipitazione) Abbiate pazienza... S'è ri­messo a lavorare, a comporre... Da dieci anni non scri­veva più una nota...

Macchi                        - Ma do me ne infischio! A Nuova York ce lo porto, magari legato.

Hélène                        - (come se nulla fosse, felice) Oh, guarda!... Ma sì, è una fortuna!... Credo che Alessandro fra quin­dici giorni avrà finito. La prima parte           (accennando al leggio) l'ho già qui. Sto studiando, come vedete. Bisogna che vi occupiate subito dei teatri...

Macchi                        - Ma che teatri!... Teatri!..., Dio ne scampi... Giovedì te lo ficco sul « Rex » e poi (accennando con la mano) un crocione sul maestro Alessandro Tisa!

Hélène                        - (con sprezzo, tornando al pianoforte) Quale disgrazia per il maestro!

Macchi                        - (alzando la voce) Se n'accorgerà! Lo faccio sputar sangue, parola. Ma non sapete che vi sono penali enormi, che bisognerà pagarle? E voi credete che io voglia rovinarmi per le vostre stravaganze?

Rugga                         - Stravaganze? Disonestà! (Hélène si volta). Sì, cara signora. I concerti nell'America del Nord li ha voluti lui...

Pia                               - Eppure, conoscete papà quanto me... Bisognerà trovare subito un modo... Voi potete intanto telegrafare laggiù... Dite che è ammalato... Gli procureremo un cer­tificato medico... Non è la prima volta.

Macchi                        - Appunto perché non è la prima volta! So­no stufo!

Rugca                         - (conciliante) Senti, Pia. Cerchiamo di ra­gionare. Sono anni che lavoriamo insieme e qualche cosa sappiamo. Tuo padre si rovina. E' un grande, un grandissimo direttore d'orchestra, ma questo sistema...

Pia                               - Ebbene, Rugga: tornate sotto all'albergo, pro­verò a riparlare con papà, vi farò avere una risposta...

Rugga                         - (calmo) No, Pia. Da qui non ci muoviamo.

Macchi                        - Fino a quando tuo padre non scenderà con noi.

Rugga                         - Ci accampiamo. (Indicando una poltrona) Credo che su quell'arnese si possa dormire benissimo. (Vi si sdraia. Osserva la stanza. La sua attenzione è fermata soprattutto dal pianoforte e dai doppieri d'argento. Grugnisce) Mi domando se era necessario por­tare fin quassù, in questa haracea, quella roba lì... Per fare gli originali c'è posto anche in città, mi pare...

Macchi                        - Pose... Stramberie da manicomio...

La voce di Alessandro           - (dall’alto) Hélène!

Macchi                        - (cercando con lo sguardo)Eccolo qui, l'orso orbo.

La voce di Alessandro           - Hélène! Hélène!

Hélène                        - Che cosa vuoi? (fa l'atto di salire la scala).

Alessandro                  - (affacciandosi alla balaustra, scarruffato, sconvolto)Mi si frantuma nelle mani... Non va...Non va...

Rugga                         - (salutando) Maestro!

Macchi                        - (s'accontenta di sbuffare).

Hélène                        - Come dici?

Alessandro                  - (senza badare ai due) Il fugato, il fu­gato centrale... Vieni a vedere...

Hélène                        - Vengo.

Macchi                        - Un momento, maestro!

Rugga                         - (strillando) Maestro!

Pia                               - Papà! Ci sono Rugga e Macchi, vogliono par­larti.

Alessandro                  - (riaffacciandosi) Chi? (E' miope. Sì spenzola mezzo dalla balaustra, con una mano a visiera sugli occhi per meglio vedere) Chi sono?

Macchi e Rugga          - Noi!

Pia                               - Macchi e Rugga.

Alessandro                  - Ah!... Che vogliono?

Rugga                         - Giovedì si parte, maestro!

Macchi                        - Siamo venuti a prendervi!

Alessandro                  - (trasecolando) Si parte? (Un silenzio. Poi urla, cercando Pia) Ma Pia! Non gli hai detto nien­te? Non gliel’hai detto che non parto più? (Ai due) Non parto!

Telegrafate                  - (fa per ritirarsi).

Macchi                        - Non telegrafiamo un corno! E' tutto pronto...

Alessandro                  - Non posso. Sto lavorando. Rimandate ì concerti tra un mese, tra un anno, tra un secolo...

Rugga                         - Maestro, sentite. Venite giù. Non si può di­scutere così, voi al poggiuolo, noi...

Alessandro                  - Ma non avete capito che sto lavorando? La-vo-ran-do?

Macchi                        - (fuor dai gangheri) Beh, tanto piacere!... E con questo?

Alessandro                  - (violentissimo) Con questo? (E' zoppo, ma scende le scale di corsa, a saltelloni. Si pone di fronte al Macchi, lo squadra minaccioso) Con questo? Ah, così tu dici! Tu, che sul mio lavoro ci campi e hai fatto i quattrini?... Sfruttatori!... Con questo?... (Più calmo) Fuori! Via di qui!

Rugga                         - Maestro, calmatevi, e cercate di capire la situazione Parliamo più nel vostro interesse che non nel nostro...

Alessandro                  - Al mio interesse penso io e nessun altro. ,

Rugga                         - Lasciatevi consigliare da noi, maestro: sa­pete che vi abbiamo sempre...

Macchi                        - (che non ne può più) Ma è assurdo! ridi­colo!... 1 tribunali esisteranno anche per voi... e le leg­gi... Vi faremo citare, si vedrà... Alessandro             - Ecco, fatemi citare.

Hélène                        - (ha impugnato le clave ed accenna ad alcuni esercizi) Che bellezza, finalmente un processo! Alla vigilia del mio balletto!!.. Sembra fatto apposta per una pubblicità in grande stile... (Al Macchi) Fatelo su­bito questo processo.

Rugga                         - (impedendo al Macchi di parlare) Pensate, maestro, alle penali fortissime...

Alessandro                  - Sai meglio di me che se non vuoi pa­gare non paghi... E poi basta, ora ne ho piene le ta­sche. (Si avvia verso la scala).

Rugga                         - (piagnucoloso) E le nostre spese, maestro?...

Macchi                        - Più di settantamila lire.

Alessandro                  - (conciliante) E non avete sentito? Sto scrivendo un grande balletto per Hélène. Ve ne affiderò il lancio in tutta Europa.

Macchi                        - (sarcastico) Ah, il grande balletto! Il parto di Giove!... Ci mancava anche il balletto!... Lo cediamo volentieri ad altri disgraziati, questo onore...

Alessandro                  - (offeso, furente) Bestioni! Bovari!... Vi ho detto di uscire... Uscite! (Tutti assieme, urlando)

Macchi                        - Ma neanche se ci ammazzate!...

Rugga                         - Dovete capire...

Hélène                        - Sensali!

Alessandro                  - Fuori! Via!

Pia                               - Papà, calmati, papà!...

                                    - (Alessandro ha afferrato Macchi per il bavero. Il chiasso è altissimo).

Gregor                        - (appare sulla porta. Guarda per alcuni istanti la scena, senza scomporsi, si direbbe anzi divertendosi, poi entra) La pace sia con voi...

Pia                               - Gregor! Gregor! (L'eccitazione si placa di colpo).

Hélène                        - Bravo, Gregor: dai una mano a tuo pa­dre... Buttali fuori...

Rugga                         - Signor Gregor... Sentite, signor Gregor...

Gregor                        - (a Pia) Che c'è? Che è capitato?

Pia                               - Rugga e Macchi sono venuti a prendere il babbo... per i concerti americani...

Gregor                        - Già, e papà non vuole saperne...

Pia                               - Ecco.

Gregor                        - Ho capito, Senti, papà... ritorna di sopra, liquido io la faccenda (lo sospinge verso la scàia). Pen­so io...

Alessandro                  - (sempre eccitato) Levameli subito dai piedi, altrimenti...

Gregor                        - Va bene. (Alessandro sale la scala accom­pagnato da Pia. Un silenzio. A Macchi e a Rugga) Dun­que, irMile discutere: lo conoscete: non partirà.

Macchi                        - (disperato) E' impossibile! Gl'impegni...

Rugga                         - ...le spese...

Gregor                        - (spicciativo) So tutto. Sfondate una porta aperta. Vedrò piuttosto di sistemare la cosa. Sapete che ho vinto il Premio Monteverdi: devo ancora incassarlo: lo darò a voi, parola. Ora sgombrate il campo. Scendete a Torino, al solito albergo, io farò una scappata do­mani o dopo.

Macchi                        - Ma insomma... Non vi pare...

Gregor                        - Via, via. Non voglio più vedervi, qui, capito?

Rugga                         - (fa un cenno d'intesa a Macchi. Quindi, rivolto a Gregor) Di quanto è il premio?

Gregor                        - E' forte, molto forte. Lo sapete meglio di me.

Macchi                        - Però se non venite a Torino... (Mostrando la borsa) Qui c'è l'incartamento... Siamo intesi: porto tutto all'avvocato.

 Gregor                       - Ho detto di sì, avanti!... (li spinge sulla porta. Ridendo) Pensate: la casa è solitaria, sperduta nella pineta a quasi duemila metri... Quassù tutto può accadere, e nessuno vi sentirebbe urlare...

Rugga                         - (testardo) Al «Principi di Piemonte», do­mani?

Gregor                        - Domani. E occhio ai sassi... (Rugga e Mac­chi escono nella nebbia fitta).

Hélène                        - (buttando le braccia al collo di Gregor) Che bravo, Gregor!

Gregor                        - Bravi i quattrini del premio...

Hélène                        - Alessandro ti rimborserà.

Gregor                        - Ma.

Hélène                        - La partitura è quasi finita.

Gregor                        - Del balletto?

Hélène                        - Sì.

Gregor                        - Sarebbe meglio che s'imbarcasse...

Hélène                        - Perché dici questo?

Gregor                        - Niente. Ha ancora bevuto, papà, questa mattina?

Hélène                        - (distratta) Perché dici che avrebbe fatto meglio a non rinunciare ai concerti?

Gregor                        - (stornando il discorso, chiama) Pia! Pia!

Pia                               - (apparendo sul ballatoio) Eccomi.

Gregor                        - Sai chi ho incontrato giù all'albergo?

Pia                               - Federico?

Gregor                        - No, mi rincresce. Il tuo ingegnere per ora è invisibile. La mamma!

Hélène                        - Di nuovo? Anche qui?

Gregor                        - Al solito, si cura la voce. Pare che i me­dici le abbiano consigliato di fuggire il pulviscolo... Da quanto tempo non vedi la mamma?

Pia                               - Oh, non è molto. Quando tu eri a Vienna è venuta da noi a Roma.

Hélène                        - (agrodolce) Sicuro, a Roma, e prima a Berlino, e prima ancora a Milano... Ma non trovate strano che io, ogni tanto, debba convivere con la prima moglie di mio marito?

GseGor                       - (volutamente sorpreso) Hélène!... Da quando mai sei diventata tanto suscettibile?...

Pia                               - Sta bene?

Gregor                        - Esclusa l'ugola, benissimo. A proposito: farai bene a prepararle una stanza. Mi pare d'avere ca­pito che vuole stare un po' con papà per farsi sentire la voce.

Pia                               - Una camera dove? (ritornando nelle stanze) Le cederò la mia e io mi porterò una cuccia in sof­fitta. E' bellissimo: la cima d'un abete è proprio da­vanti all'abbaino e c'è un nido di fringuelli. (Hélène e Gregor rimangono soli).

Hélène                        - (maneggiando le sue clave) Non mi hai risposto: perché tuo padre dovrebbe proprio: imbar­carsi?

Gregor                        - Lo sai.

Hélène                        - Non hai fiducia nel suo lavoro per me?

Gregor                        - (coti intenzione) Non ho nessun interesse a coltivare le sue manìe, io!

Hélène                        - (placida) E io, che interesse ho?

Gregor                        - Grazie... Tu speri nel capolavoro! Le tue gambe lo chiedono E le tue gambe hanno ossessionato il povero vecchio.

Hélène                        - (rimettendosi al pianoforte e accompagnando le parole con qualche accordo) Sei geloso. Sei geloso del genio di tuo padre, e un poco anche di me. Sai che noi due, io e lui, alleati...

Gregor                        - (seccato) Lo so che tu puoi fare cose spet­tacolose, ma non con la roba sua. Una battuta, che è tuia battuta, non l'ha saputa mai scrivere. Deve accon­tentarsi di far vivere la musica degli, altri, e oggi è forse troppo tardi anche per questo... Una volta... Ah, una volta sì!...

Hélène                        - Ma allora tanto valeva che t'adoperassi per farci andare in America... Perché paghi le penali? (Con perfidia) Eh? Perché? (Si mette a suonare allegra. E' una frase vivace, balzante).

Gregor                        - (cattivo, fermandole le mani sulla tastiera) Smetti con questo balletto, è cretino. E poi non senti che sbagli?.

Hélène                        - (un ginocchio sullo sgabello e un braccio in­torno al collo di Gregor) Questa notte passiamo la partitura insieme. Tu non l'hai ancora letta. C'è tanta originalità, tanto coraggio dentro...

Gregor                        - Si! Ci saranno montagne di sigarette, fiumi di grappa, nuvoloni d'incoscienza.

Hélène                        - (ridendo) Gregor!

Gregor                        - (irato) Ma non capisci che è rovinato? che lo hai rovinato?

Hélène                        - Io?

Gregor                        - Tu!... Sei bellissima, ma non basta. T'il­ludi. Credi troppo al miracolo delle tue giunture. Ci credo anch'io, ma bisognerebbe iniettarvi quello che so io, non i deliri di un ubriaco!

Hélène                        - (dopo un silenzio in cui si sentiranno i cam­pani delle mandre e mugghiare il vento della montagna, sulla quale scende la sera) L'ubriaco sei tu... U­briaco di presunzione, d'invidia... Eppure, guarda: non avrò mai ballato così... Delirii? E forse è vero... Questo vulcano in eruzione, sconvolto, senza una linea, senza una logica, (esaltandosi) io lo farò vivo, di fuoco... Il pubblico non chiede di capire, chiede soltanto d'essere rapito...

Gregor                        - (di ghiaccio) E così sia. Vedremo il vul­cano con lava e lapilli. Magari anche con la funicolare per i turisti... Che cosa non può fare oggi la musica sotto i piedi di una ballerina?

Hélène                        - (ritornando al pianoforte) Povero Gregor! sei arrabbiato davvero. Ma ti passerà...

Gregor                        - (dopo un pausa) A che punto è?

Hélène                        - Che cosa?

Gregor                        - Codesto... Sì, l'affare lì... il Vesuvio...

Hélène                        - (mostrando i fogli con un sorriso di sfida) Questa è la prima parte completa... La seconda la sta scrivendo... Si tratta di una specie di dittico. (Qualche accordo. Silenzio. Mutando tono) Ma tu, scusa, perché sei voluto venire quassù?

Gregor                        - Per lavorare, come voi.

Hélène                        - Coi matti?

Gregor                        - (le si avvicina) E' la mia rabbia quella di non riuscire ad essere ragionevole come vorrei.

Hélène                        - (senza voltarsi, suonando) Non devi di­menticare chi ti ha fatto.

Gregor                        - (esasperato, turandosi gli orecchi) No! no!... Dio, che schiappina! ... Questo è in sei ottavi! e subito dopo in quattro quarti.

Hélène                        - (sorpresa) E tu, come lo sai?

Gregor                        - (parlandole quasi all'orecchio) Ho letto.

Hélène                        - Hai letto!... Quando?

 Gregor                       - Questa mattina, in camera tua.

Hélène                        - (ride, guardandolo dì sotto in su) Ladro! (Si spalanca la porta. Appare Cristina, affannata, allegra, accompagnata da un portatore con due valige. Visti i due, diventa seria d'un tratto).

Gregor                        - (sorpreso) O mamma!

Cristina                       - (con intenzione ironica) Evviva! Si lavora sul serio.

Gregor                        - Ti sei decisa subito a salire?

Cristina                       - (prova la voce, ma il gorgheggio le muore in gola) Niente. Soffio come una balena... (Sbuffando) Ma vi siete proprio rintanati con le marmotte!

Hélène                        - (che non si sarà mossa, attacca al pianoforte una frase, quasi completa, cantando sottovoce).

Cristina                       - (ammiccando a Gregor) Che cos'è? La nuova calza per le gambe di Hélène?... Bella, bellis­sima... Ma sentiremo... Sai? Ho proprio deciso lì per lì: mi hai detto che c'è ancora un posticino? un buco? mi ci ficco io... Sentiremo... (Con afflizione improvvisa, but­tandosi sopra uno sgabello) Ah, la mia raucedine! i miei bronchi! la mia voce!... Povera Cristina!

Hélène                        - (tagliente) Guarda che quassù si respira male...

Gregor                        - Forse è davvero troppo alto.

Cristina                       - (li scruta, prima l'ima e poi l'altro, tra sor­niona e arguta) C'è pulviscolo quassù? Forse c'è pul­viscolo?... Il medico mi ha detto: andate dove non c'è pulviscolo... Ecco, questo è il mio posto: in faccia ai ghiacciai... E poi ho bisogno di Sandro. Deve provarla lui la mia voce... (Al portatore) E tu? che cosa fai? Bi­sognerà pure mandarlo via costui... (Cercando) La mia borsa, le mie cose... Io non trovo mai niente... Chi lo manda via quest'uomo?... (Pia entra dall'uscio sotto la scala) Oh, Pia, angelo custode!

Pia                               - (correndole incontro, abbracciandola) Cara la mia mamma! che brava! fin quassù, a piedi!

Cristina                       - (un mulino a vento) Pedibus, pedibus... Ma ora senti: manda via quell'uomo, pagalo... Due va­lige, due valigioni che neanche un mulo... (Le mo­stra le proprie scarpe ferrate) Vedi? Scarponi, chiodi, e su, avanti marsch! (All'uomo) Ho camminato sì o no?... Dio, la mia voce!... (Pia licenzia il portatore, che esce salutando). Gregor, quest'inverno, al «Reale», la «Norma»   (Un gorgheggio). Macché... Oh, poveri noi!... Hélène, è vero che hai fatto tendere un filo qua fuori, tra due pini, per... (imitando i passi dell’equilibrista) non perdere la linea dello sguizzo?

Hélène                        - Chi te l'ha detto?

Cristina                       - Lo dicevano all'albergo. Sapete come la chiamano questa casa? La Manicomia... Un avvocato che conosco mi ha chiesto: andate su alla Manicomia anche voi?... (ride). E Sandrone? (Urlando) Sandrooo!

Pia                               - E' di sopra. Lavora.

Cristina                       - Uh! Ho incontrato il Rugga e il Macchi... due bestie feroci... Sandrooo!... Strepitano che lo fa­ranno crepare in malora. (A Pia) E tu, fringuello?... (Dopo un silenzio, volgendosi intorno, smarrita) Che ma­linconia però qua dentro... che tristezza... Un pianoforte sembra un catafalco...

Pia                               - (riattizzando la brace nella stufa) Sentirai que­sta notte il vento e il rombo dei  ghiacciai.

Gregor                        - (fanciullesco) Le streghe siderali... le ispi­ratrici di papà per la gloria della grandissima Hélène.

 (Hélène gli dà uno scapaccione; Gregor fa l'atto di ritornarglielo; Hélène fugge gridando: «No! No!»; Gregor la rincorre; Cristina batte le mani e strilla; Pia sale di corsa la scala incitando il fratello. Alla balaustra si affaccia Alessandro).

Alessandro                  - (aizza i contendenti come se dirigesse un fugato) Bravi! Avanti! Più in fretta!... Su, su le trombe!... (Gregor, afferrata Hélène alle spalle, la ro­vescia sulla tastiera) Là! Timpani e piatti: schschsh... ciani!

Cristina                       - (che non ha smesso di gridare) Olà, vec­chio Sandro! ,

Alessandro                  - Ah, sei tu, Cristina?

Cristina                       - So che lavori, eh?

Alessandro                  - (scendendo la scala) Molto!„. E tu? Che fai da queste parti?

Cristina                       - Sono venuta a tenervi compagnia. Avete posto per me?

Alessandro                  - Alla baita, madama, c'è posto per tutti... Beh, come stai? Bene, mi pare... Un po' ingrassata... E la voce?

Cristina                       - Male, Sandrone, male. Però Deffenu mi ha dato delle speranze... La scorsa primavera ho fatto una cura a Merano.

Alessandro                  - Tempo sprecato, Cristina... Non riusci­rai mai più ad imbroccare un acuto...

Cristina                       - (premendogli il palmo della mano sulla boc­ca) Zitto là, istrice zoppo!

Alessandro                  - Sono molto contento di vederti... An­che tu, Hélène, vero?... Non la trovi simpatica la mia prima moglie?

Hélène                        - Certo! Anzi, non. sono mai riuscita a spie­garmi perché abbiate divorziato.

Cristina                       - (a Hélène) E prima, molto prima che San­dro conoscesse te, la splendente!

Alessandro                  - Storie antiche. Gregor e Pia erano an­cora ragazzi... Viaggiavo con una carovana di istitutrici... Già... Perché divorziammo, Cristina?

Cristina                       - Fu, credo, quando ti azzoppai, facendoti ruzzolare le scale a Chicago...

Alessandro                  - (fingendosi scandalizzato) Eri brutale allora, Cristina!

Cristina                       - (volgendosi agli astanti) E lui?... Lui non ricorda, ma ve lo raccomando quel porcospino!... (Ad Alessandro) Volevo farti perdere il vizio di bere.

Alessandro                  - Allora bevevo molto, moltissimo...

Cristina                       - Fu dopo il tuo primo viaggio a Londra.

Alessandro                  - (battendole sulla guancia) Ora siamo amici, Cristina.

Cristina                       - Molto, Sandrone.

Pia                               - (affacciandosi alla balaustra) E' tutto pronto, mamma, se vuoi venire.

Cristina                       - Eccomi... A che ora si pranza quassù?

Gregor                        - Mai, a nessun'ora. Ma Pia prepara per le otto...

Pia                               - ... e a quell'ora tutti, hanno qualcosa di ur­gente da fare... Hélène ha la ginnastica, papà l'ispira­zione, Gregor la corrispondenza...

Cristina                       - Capito! Fammi portare in camera un paio di panini e del tè.

Gregor                        - Brava, mamma: si sente subito che sei dei nostri... Pia questa sera attenderà inutilmente anche te… Povera Pia, quando verrà l'uomo dei compassi a in­volarti?

Cristina                       - Chi è l'uomo dei compassi?

Hélène                        - Come non Io sai? E' il fidanzato di Pia, un ingegnere.

Pia                               - (confusa) Scusami, mamma: non ti ho scritto perché per ora non c'è niente di stabilito...

Gregor                        - E' salito alla baita quattro volte... Un cam­minatore!

Hélène                        - La prima volta Alessandro l'ha preso per un agente teatrale, e ha sprangato l'uscio, bestemmiando..,

Gregor                        - Ma è un uomo di carattere: è ritornato, imperterrito...

Hélène                        - Compitissimo: Ha fatto scivolare un bi-glietto di visita sotto la porta...

Pia                               - Smettetela!

Cristina                       - Che ne dici, tu, Sandrone?

Alessandro                  - Se piace a lei... A me pare un martuffo...

Cristina                       - Voglio vederlo anch'io. (Salendo la scala, a Pia) Temo però che, malgrado tutto, non potrai più abituarti a vivere con un uomo che si alza alle sette del mattino e va a dormire alle dieci di sera... Vieni, cara... Dov'è la mia stanza?... Mi farai le tue confi­denze... (Tornando qualche passo indietro) Gregor, mi porti su le valige per favore?

Gregor                        - Volentieri, mamma... Ih, che peso! C'è den­tro un pianoforte smontato?

Cristina                       - No, soltanto delle partiture... A proposito, Gregor, ho conosciuto a Roma un'americana che fa il tifo per te. Ha sentito un tuo pezzo all'Augusteo giorni fa... Bellissima donna... (Esce con Pia).

Alessandro                  - (subito scontroso, a Gregor, che ha ima valigia per mano) Hanno eseguito della tua musica all'Augusteo?

Gregor                        - (facendo l'atto d'incamminarsi) Credo.

Alessandro                  - Che cosa?

Gregor                        - Non so.

Alessandro                  - (sarcastico) Eccoli qua i superuomini! Credo... Non so... A Roma eseguiscono la loro musica e loro non sanno!

Gregor                        - (posando le valige) Se fossi convinto di scrivere dei capolavori probabilmente me ne interesserei di più... Ma io non sono un genio. Nei Tisa ce n'è già uno...

Alessandro                  - (sospettoso) E con questo?

Gregor                        - Niente. Voglio soltanto dire che se io do­vessi tralasciare di comporre per andare a dirigere una serie di concerti in America, partirei a cuor leggero, convinto di non... orbare il mondo!

Alessandro                  - (andandogli incontro, furente) Rispar­miami le ironie, moccioso! Che ne sai, tu, di quello che faccio io, di quello che scrivo?

Hélène                        - (calma, divertita) Ha letto la tua musica...

Alessandro                  - (rubandole la battuta, allarmato) Ha letto?!... Come? Quando?

Hélène                        - II ragazzo è curioso... S'è preso le carte nella mia stanza. E poi qui, anche poco fa, al piano...

Alessandro                  - (disperato) No! Non è finito!... (A Hé­lène) Ti avevo detto che non volevo!

Gregor                        - Ma perché ti disperi? Stai a vedere che ho profanato il sacrario?...

Alessandro                  - (improvvisamente supplichevole) No, Gregor, no, non è questo... Tu non hai visto niente, non credere... Appunti, abbozzi, idee informi... Ma ti pare possibile, quella roba?,»

Hélène                        - Abbozzi? idee informi?... Ma allora io che cosa ho provato sin- qui?... (Risoluta) Alessandro! An­che tu hai paura di lui, della sua critica?

Alessandro                  - (interdetto) Paura io?... Non me n'im­porta proprio niente... Ma non voglio essere giudicato sul lavoro incompiuto, sul lavoro... sul...

GRegor                       - Macché giudicato, giudicato! Ti pare che io voglia, che io possa giudicare? Ho leggiucchiato qua e là...

Alessandro                  - (trepidando, come un ragazzo all'esame) E... allora?

Ghecor                        - (impietosito) E allora, sì, lo dicevo anche a Hélène...

Hélène                        - (perversa) Che mi dicevi? Non mi ricordo più...

Gregor                        - (la fissa, ostile) Un po' di caos, ecco...

Alessandro                  - Caos! (Trionfante) Ma è ciò che voglio esprimere io, il caos!... Non è vero, madama?

Gregor                        - (gelido) Lo so, me l'ha detto anche lei... Ma qui è... confusione... un'altra cosa...

Alessandro                  - (si lascia cadere sopra uno sgabello, con le mani nei capelli) Gregor!

Hélène                        - (si avvicina a Gregor, gli pone una mano sulla spalla) Non credere, Gregor, di essere infalli­bile... Ricordati chi è tuo padre...

Gregor                        - (scattando) Ma perché devo mentire? Per­ché illuderlo? Perché rovinarlo?

Alessandro                  - (balzando in piedi) Ehi, ragazzo!... Io, Alessandro Tisa, sono sempre riuscito, per tua nor­ma, quando e dove ho voluto...

Hélène                        - Ma lascialo dire! E' bruciato dall'invidia.

Gregor                        - (con una scrollata di spalle) Ecco, dall'in­vidia. Sarà così. E auguri. (Esce di furia da sinistra).

Alessandro                  - (arranca zoppicando per la stanza, con una pedata rovescia uno sgabello. Cupo, dopo un si­lenzio) In fondo ha ragione lui... e tu hai torto di non credergli...

Hélène                        - E' un presuntuoso, ed è un cattivissimo figlio.

Alessandro                  - E' figlio di suo padre, che è un pes­simo padre. Non gli ho mai insegnato niente. L'inge­gno, gli ho dato! Un ingegno d'inferno...

Hélène                        - (ridendo) Stai a vedere che adesso tu non sei più nessuno e lui è tutto.

Alessandro                  - Sì, madama: Gregor è tutto ciò che io non sono potuto diventare. La musica, vedi, quella musica che si fabbrica così, come ha fatto il Padreterno col mondo, quella musica lì io non la conosco... Era nel mio seme, e questo seme l'ho speso quando con sua madre abbiamo fatto lui... Anche suo madre era un mostro di note...

Hélène                        - (insinuante) Lo sai che sta componendo?

Alessandro                  - (torvo) Lo so.

Hélène                        - Ti rincresce?

Alessandro                  - Patisco.

Hélène                        - E tu non sei a buon punto?

Alessandro                  - (accasciandosi) No, Hélène! una ro­vina! Ha ragione Gregor: non è affar mio... Ci vuole lui!...

Hélène                        - (ironica) Lui?

Alessandro                  - (esaltandosi) Stupendo, madama! Oh! Quand'egli esce, io mi ficco di nascosto in camera sua, mi butto sulle sue carte... Vedessi come lavora: un Dio!... Tale quale mi vedi, io rubacchio... copio, ri­mastico, e poi corro in camera mia... scrivo, trascrivo, e ne vengono fuori delle cose idiote lo stesso... Mar­cie... Ah, che schifo!

Pia                               - (entrando da sinistra con un, vassoio dove ci sono panini imbottiti, bottiglie, bicchieri) Volete man­giare? La mamma divora... Le fa bene camminare...

Alessandro                  - (prende un panino senza badare, l’addenta, e continua a parlare) Come mi sarebbe pia­ciuto di poterti regalare un capolavoro!... E invece... (Pia depone il vassoio, guardando, assorta, U padre)*

Hélène                        - (mescendosi da bere) Sicché tu non credi che riusciremo?

Alessandro                  - (crollando il capo, avvilito) Non lo credo più, madama.

Pia                               - (con timidezza) Ma allora, papà, perché licen­ziare Macchi e Rugga?

Alessandro                  - (inviperito) Chi ha chiesto il tuo pa­rere? (Addenta un altro panino) Chi l'ha chiesto?

Pia                               - (salendo lentamente la scala) Perdonami, ma se questo lavoro per il quale rinunci ai concerti...

Alessandro                  - (sulle furie) Ai concerti rinuncio per­ché mi piace di rinunciare... Finito! finis!... Alessandro Tisa si seppellisce da sé... Basta: o la mia musica o niente più... Oppure... (Rischiarandosi,, fissa Hélène) Oppure non dirigerò che la musica di Gregor, quella che sta scrivendo per te... Perché lui, lui quella roba lì, la scrive per te...

Cristina                       - (chiama dalla sua stanza) Pia! Piaaa! (un gorgheggio).

Pia                               - Vengo, mamma! (Esce).

Alessandro                  - Mascalzone! Voleva fare la gara con me... massacrarmi...

Hélène                        - Non esagerare. Gregor scrive musica sem­pre, vive per questo. Conosci i suoi impegni di ogni genere...

Alessandro                  - No no no... Tu non hai visto niente, ma io sì. Le mie idee, i miei sogni per te, tutto è là dentro... Grande, limpido, aperto... Se ti ha capita! (Le pone una mano sul capo, la mira negli occhi) L'ha ru­bato al più profondo dei tuoi occhi, come avrei voluto fare io... Quanto sei bella, Hélène, come ti amo!... Io! io! io! dirigerò quella musica! Gregor lo distruggerò; nessuno si chiederà chi l'ha scritta... E tu salirai in alto, tu sola...

Cristina                       - (apparendo alla balaustra) Ma Gregor, insomma, le mie valige! le mie valige!

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

La scena del primo atto, il mattino dopo. La chiarità alpestre, limpidissima, entra col sole dalla porta e dalle finestre spalancate, oltre le quali splendono la tene­rezza del verde e, in lontananza, il candore dei ghiacciai.

Sul pianoforte: mucchi di piatti, di tovaglioli, una conca di legno colma di frutti, un vassoio pieno di bic­chieri.

Su di uno sgabello scintillano le posate, sur un altro le bottiglie dell'acqua, e sopra una poltrona c'è un mazzo di rododendri.

(All'aprirsi del velario, Pia e Federico cercano, fra i tovaglioli, la tovaglia).

Pia                               - (indossa un leggiadro costume valdostano) Eppure mi pareva... eccola qui... (distende la tovaglia, la misura con lo sguardo) Un po' piccola... Aiutami.

Federico                      - (prendendo la tovaglia dall'altro capo) Pia, quando ci sposiamo?

Pia                               - Adesso, subito, non appena apparecchiata la tavola.

Federico                      - Allora facciamo presto (Stende la tova­glia sulla tavola, la stira) Avanti, qua i piatti.

Pia                               - Un momento: quanti siamo? Papà, mamma, l'altra mamma...

Federico                      - (col mucchio di piatti in mano) Pia, vuole molto bene tuo padre alla signora Hélène?

Pia                               - Bene?... L'adora... Guai se non avesse Hélène!

Federico                      - (posando i piatti) Che donna strana... Pare bella a te?

Pia                               - Non l'hai mai vista ballare? Si trasforma tut­ta... Un angelo... Dunque, siamo in sei con te... Qui a capotavola mettiamo la mamma...

Federico                      - (distribuendo i piatti a caso) Pia...

Pia                               - (canzonandolo) Pia!... Pia!... Pia!... (ride. Gli dà un bacio) Non vedi che hai messo i piatti fuori posto?

Federico                      - (impacciato) Ma come fa la tua mamma...

Pia                               - La mia mamma?

Federico                      - Sembra naturale a te? Stare qui, come se niente fosse, con l'altra...

Pia                               - Non ci sta mica sempre... Hélène la mettiamo qui all'altro capo, e qui tu, e qui Gregor... E poi, sai, bisogna capirli... Essi non sono come noi...

Federico                      - (la guarda) E' un mistero... Come hai fatto tu a nascere da loro?

Pia                               - La mano di Dio... Se non ci fossi, che fareb­bero? (Prende un frutto, l'addenta) Vuoi?

Federico                      - (mordendo dove aveva già morso Pia) Ma a chi devo parlare io? Se ti chiedo a tuo padre, quello...

Pia                               - Ti dice subito di sì, e subito se lo dimentica... Mi dai le posate?... Ho parlato con la mamma, ieri sera...

Federico                      - Devo chiederti a tua madre, che non è più la moglie di tuo padre?

Pia                               - Oh, noioso! Non chiedermi a nessuno... Dammi le posate... Rapiscimi!

Federico                      - (le dà le posate) E Gregor? A me Gregor fa soggezione. Dicono che sia un grande musicista...

Pia                               - Lo dice anche papà, quando Gregor non c'è. E papà può dirlo.

Federico                      - Anche a te piace la musica?

Pia                               - Ma, non saprei. Che vuoi? In casa nostra la musica è un elemento... Forse non la sento neanche più, come lo scroscio dell'Evancon, là in fondo... Io, ad esempio, non so suonare niente.

Federico                      - (raggiante) Che bellezza! Ma sai cantare?

Pia                               - Neanche.

Federico                      - Pia! (l'abbraccia stretta, la bacia nei ca­pelli). Neanche cantare: che felicità!

Pia                               - Però guarda che odio le stonature. Attento a non cantare tu...

Federico                      - Io? Se apro bocca, muori.

Pia                               - (gli fa una carezza sulle labbra) Allora, zitto... muto... Cercami un vaso.

Federico                      - Un vaso?

Pia                               - (accennando ai fiori sulla poltrona) Per i tuoi rododendri.

Federico                      - (dopo aver cercato con lo sguardo intorno) Bisogna che vada di là. (Esce da sinistra. Contempo­raneamente si fa sulla porta Rosine).

Rosine                         - (è giovane, sana, fresca. Ha sulle spalle la gerletta delle provviste) Signorina, sono qua.

Pia                               - Oh, Rosine, come hai fatto presto!

Rosine                         - Ho trovato tutto. Però all'albergo non mi volevano dare quel vino, con quel nome, perché ne hanno poco.

Pia                               - (togliendo la roba dalla gerletta e controllandola) E allora?

Rosine                         - (furbescamente) Me l'ha dato sotto sotto il capo dei camerieri... per un bacio...

Federico                      - (appare con un secchiello da sciampagna) Pia, di vasi non ho trovato che questo, e...

Cristina                       - (uno strillo acutissimo dalla sua camera, e poi un secondo dal ballatoio, dove è apparsa in vesta­glia. Grida) Un topo! Un topaccio nella mia stanza! Piaaa!

Pia                               - (correndo su per la scala, incontro alla madre) Ma no, mamma, no! E' uno scoiattolo! Lo so, ce ne sono due (si abbracciano).

Cristina                       - Dio che spavento!... Ma capisci che era nelle mie scarpe? che Mi'è saltato addosso? E non era un topo, tu dici?

Pia                               - Ma no, sono scoiattoli. Hai visto che codone hanno?

Cristina                       - Puoi immaginare... Gli ho detto: si lasci vedere la coda! (Sono scese. Cristina è davanti a Fe­derico, che s'inchina sorridendo, col secchiello in mano) O Dio! e questo chi è? un cameriere?

Pia                               - Mamma... è lui... Federico...

Cristina                       - (subito espansiva, affettuosa) Ho capito, l'uomo dei compassi. Ma che cosa fai con codesto ar­nese in mano? Vai per lumache?... Qua, fatti vedere, toccare... Caspita, bel giovane! Mi piaci, sì... Ti chiami?

Pia                               - Federico, te l'ho detto.

Cristina                       - Federico, e poi?

Pia                               - Federico Quarena.

Federico                      - Milanese.

Cristina                       - (cercando nella memoria) Quarena... Qua­rena... Guarda un po': conosco tutti al mondo: da Al Ca­pone al Re dell'Eggiaz, e non ho mai conosciuto un Quarena... Però avrei preferito che fossi medico, un otoronoro.... come si dice? uno di questi, che mi curasse la gola... Non importa... (Pausa) E gli altri, usciti?

Pia                               - Sei la prima, mamma. Gli altri dormono an­cora. Gregor, Hélène, il babbo... Il babbo, poi, prima del mezzo tocco non si fa mai vedere.

Cristina                       - (a Federico) E tu, dove abiti?

Federico                      - All'albergo, giù, signora, a San Giacomo. Sono arrivato ieri sera.

Cristina                       - (a Pia, che con Rosine finirà di preparare la tavola) Peccato! perché non sta qui anche lui?... E poi no... Che, che!.,, non ci staresti bene... questa è una gabbia di squilibrati e tu sei un ingegnere...

Federico                      - E Pia, signora, che fa, la guardiana?

Cristina                       - Pia... Vedi, figliolo?... Non lo so nemmeno io chi sia quell'uccellino lì... Sovente me lo domando, sai, ne lo domando: che abbia fatto un corno la Sandro senza accorgermene?

Pia                               - Mamma!

Cristina                       - Fosse vero, cara! Sarci più tranquilla, mentre temo sempre che un giorno o l'altro scoppi qualcosa anche a te (battendosi la mano sulla fronte) qua dentro... (Si prova a cantare).

Pia                               - Federico, mi dai l'oliera per favore?

Cristina                       - (a Federico) Ti piace la musica? (Senza attendere risposta) E questi sono rododendri? Sono più belli quelli di Villa Carlotta. (Sulla soglia, guardando fuori) Oggi voglio andare a vedere il filo delle acro­bazie di Hélène. (Alessandro scende la scala di furia. Ha in mano un foglio di carta da musica e il lapis). O Sandrone! che hai? Hai visto gli scoiattoli anche tu?

Alessandro                  - (brusco) Buon giorno. S'è alzata, Hé­lène?

Pia                               - No, papà. Come al solito lei e tuo figlio dor­mono. Ma tu sei mattiniero, invece: sono appena le undici.

Federico                      - (impacciato, ad Alessandro) Professore...

Alessandro                  - (gli dà una guardataccia stringendo gli occhi miopi) Dici a me?

Cristina                       - A chi vuoi che dica? Non sei profes­sore, tu? (A Federico) Chiamalo professore, che hai ragione.

Alessandro                  - (al pianoforte, scartabellando fra le "carte sul leggio) Professore... Professore... Mi hanno detto che vuoi rubarmi Pia...

Federico                      - (si volge a Cristina, come a chiederle aiuto) Io?... E perché no? Se lo permettete...

Pia                               - E' vero che lo permetti, papà?

Alessandro                  - (leggendo delle note e provandole sulla tastiera) Io, se potessi, non lo permetterei... Ma visto che non posso... [Gridando) E' un re! (Sotto il naso di Federico) E' un re!... Tutta la notte mi sono... (Hé­lène e Gregor, accaldati, un po' ansanti, sono apparsi sulla soglia. Vestono abiti da escursione. Gregor ha il bastone ferrato; Hélène, un mazzo di stelle alpine).

Pia                               - (con ingenuo entusiasmo) Oh, il miracolo! Vi credevamo ancora a dormire, e invece... Ma come avete fatto? A che ora siete usciti!?

Gregor                        - (cercando di vincere l'imbarazzo evidente) Presto... Prestissimo... Albeggiava appena... Volevamo ve­dere il Cervino nel primo sole... Papà, quella è musica!

Cristina                       - To', il diavolo si fa frate: Gregor si alza all'alba per vedere il Cervino! Dite che avevate i letti duri o il sonno inquieto...

Alessandro                  - (ad Hélène) Stai bene così rossa, ac­caldata... (L'ammira contento) Come sei forte!...

Hélène                        - Per carità, sembra che tu mi veda per la prima volta.

Cristina                       - A quest'ora, certo.

Gregor                        - Beh, mamma, basta con gli stupori. Che c'è di straordinario? Forse che siamo reduci da un'escur­sione al Polo?

Hélène                        - (scorgendo Federico) Anche voi? Bravo! Quando siete arrivato?

Federico                      - Ieri sera a San Giacomo, stamane qui.

Hélène                        - (offrendole i fiori) Tieni, Pia.

Pia                               - E dove siete andati? Verso il piccolo Tournalin, oltre quelle rocce a pezzi? Stelle alpine così grosse non fioriscono che là.

Cristina                       - (scherzando, a Pia) Sai che cosa hanno pensato quei due lì? Cristina, si sono detti, non ha mai visto le stelle alpine di quassù... andiamo a coglierle... (Rivolta ad Hélène) Grazie...

Alessandro                  - (che s'è rimesso al pianoforte) Hélène! Forse ci siamo... Disperavo, ma ho sgobbato lo stesso tutta la notte... A un certo punto il fugato è uscito, e mi pare limpido, come volevamo. Fai bene a tenere i muscoli desti: sarà una ridda paurosa... Vuoi sentire?

Hélène                        - (distratta) Più tardi, dopo desinare, ora vado a cambiarmi. (Sale la scala).

Pia                               - (indaffarata intorno alla tavola, felice) Allora oggi pranziamo davvero qui tutti insieme, a tavola... Ammirate: opera mia e dei... compassi... So. Federico, presto... Hai affettato il prosciutto?

Federico                      - Non ancora.

Pia                               - Corri, corri in cucina. (Chiama) Rosine! L'ac­qua fresca! (Passando vicino a Federico gli sorride luminosa, poi sottovoce) Mi sembra un pranzo in nostro onore... Svelto, in cucina! (Federico esce da sinistra. Giunge dalla valle, fioco, lo scampanìo del mezzodì). Ecco, è mezzogiorno, a tavola! (Cristina sì sarà messa a leggere un libro distesa in una sedia a sdraio davanti alla porta, sull’erba. Alessandro, al pianoforte, lavora. Gregor è uscito). Papà, è pronto!

Alessandro                  - (corrucciato) Eh?

Pia                               - (con dolce timidezza) Avevamo detto di fare colazione tutti insieme... Se vuoi...

Alessandro                  - A quest'ora! Sei matta?... Più tardi... Chi ha fame a quest'ora? (Prende carta e matita ed esce dalla porta ruminando le sue note. Federico rien­tra col piatto degli antipasti).

Pia                               - (ad alta voce) Gregor, a tavola! Gregor!... (Sconfortata) Se n'è andato!... Hélène! (Hélène rispon­de dalla sua stanza). Non hai fame? Vieni! è tutto pronto!

La voce di  Hélène     - No, grazie, Pia! Abbiamo be­vuto il latte alle baite... Prenderò qualche cosa più tardi.

Pia                               - (sì volge a Federico, poi a Cristina) Mamma, almeno tu...

Cristina                       - Sì, cara, vengo. (Si alza a metà, guarda verso la tavola) Ma se non c'è ancora nessuno! (e ri­piomba nella lettura).

Pia                               - (a Federico) Oh (Federico posa il piatto de­gli antipasti sulla tavola, fa cenno a Pia di tacere, la prende per mano e, piano piano, in punta di piedi, la conduce fuori. Da sinistra, correndo, entra Gregor. Non vede Cristina nascosta nello « sdraio » fa per salire la scala).

Cristina                       - Gregor!

Gregor                        - (si volta sorpreso) Ah, sei lì?

Cristina                       - (sorniona) Perché, cercavi me?

Gregor                        - No. E gli altri?

Cristina                       - Dispersi. Hélène è salita a cambiarsi.

Gregor                        - Che cosa leggi?

Cristina                       - Uno stupido libro americano. Sostiene che la vita incomincia a quarant'anni. Sbaglia: inco­mincia a cinquanta!

Gregor                        - Secondo... Per Matusalemme potrebbe in­cominciare anche a centocinquanta; per papà...

Cristina                       - ...a cinquanta, ripeto, il giorno in cui ha conosciuto Hélène...

Gregor                        - (ridendo) Ti pare?

Cristina                       -  ...e finirà il giorno in cui Hélène lo pianterà.

Gregor                        - Credi sul serio che Hélène sia indispensabile a papà?

Cristina                       - Alla sua vita d'artista, sì.

Gregor                        - Quella è già finita, mamma. Inutile na­scondercelo. Lo sa anche lui. E' stanco... Beve...

Cristina                       - Ha sempre bevuto. Una volta il bere gli-faceva bene... alla musica.

Gregor                        - Non adesso. Ora è partita persa... (Dopo un silenzio) Come vi assomigliate, tu e lui, invec­chiando!!

Cristina                       - Ma che ti salta?

Gregor                        - La tua corsa affannata da un paese all'al­tro alla caccia dei grandi specialisti della gola... Uno sforzo disperato e inutile... La condanna che attende tutti noi...

Cristina                       - (facendo gli scongiuri) Crepi l'astrologo! Sentirai la mia «Norma» quest'inverno al «Reale».

Gregor                        - Comunque non era questo che volevo dire... Alla sua vita d'uomo, credi sia necessaria Hélène? Cosa pensi che farebbe se lei..

Cristina                       - (lo guarda diritto negli occhi) Beh, senti, Gregor... (Una pausa). Che Hélène, o presto o tardi, lo lasci, è fatale... Lui, oggi, purtroppo, è tutto quello che dici tu. Lei invece ha ventinove anni, è bella, smaniosa di apparire... l'astro appena nato... Un giorno capiterà il Tizio che gliela porterà via, non v'è dubbio... (Con vibrazione intensa, dopo un silenzio) Però questo do­lore dovrebbe venirgli da qualcuno che non gl'importi... (Si alza. Altro silenzio). Perché, Gregor, non vieni con me al Festival di Venezia?

Gregor                        - (fingendo disinteresse) Quando parti?

Cristina                       - Presto. Fra due o tre giorni.

Gregor                        - Ma. Può darsi.

Cristina                       - Così va bene!... E ora lasciami andare da tuo padre. Non sono ancora riuscita a farmi dire seria­mente che cosa pensa di questa benedetta voce. (Fa­cendo un cenno di saluto s'allontana sullo spiazzo dalla stessa parte presa poco prima da Alessandro. Gregor si stende sulla sedia a sdraio di Cristina. Rosine porta in una canestra il pane, la depone sul pianoforte vicino alla frutta e ritorna di dove è venuta).

La voce di  Pia            - (da fuori, lontano) Federico! Vieni a vedere una cordata sul Breithorn! Sono in quattro...

Hélène                        - (che ha mutato abito, scende la scala. Gregor finge di non accorgersene. Ella gira irrequieta per la stanza, come se non l’avesse visto. Poi, bruscamente) Che cosa li diceva tua madre?

Gregor                        - Mia madre? Qui?

Hélène                        - (sdraiandosi in una poltrona) Sì. Che cosa ti diceva?

Gregor                        - Niente. La conosci la mamma: se non parlasse... E' preoccupata della sua gola... Pensa alla « Norma »...

Hélène                        - (caparbia) Ti parlava della sua gola?

Gregor                        - (sforzandosi di scherzare) Non soltanto, ma anche di te, della tua arte...

Hélène                        - (gli offre le mani, gli occhi negli occhi) Gregor...

Gregor                        - (afferrandola e traendola a sé, le mormora sulla bocca) Un cuscino di rododendri, un letto di genzianelle...

La voce di Federico    - (vicinissima) Io avevo un binocolo: vado a prenderlo.

                                    - (Gregor dà un balzo, si dirige alla tavola, finge di cercare qualcosa).

La voce di  Pia            - (lontana) Prendi la scala esterna, fai più presto! (Federico passa correndo dinanzi alla porta).

Hélène                        - (sarcastica, provocante) Hai paura... Come se non ci fossimo mai tenuti per mano...

Gregor                        - (con una smorfia) Era diverso... E poi... sono avvilito, turbato...

Hélène                        - Tua madre è diventata scrupolosa?

Gregor                        - (infastidito) E lascia in pace mia madre! Non c'è bisogno di lei per capire...

Hélène                        - E allora... questa mattina... perché?

Gkecor                        - (concitato) Perché... Ecco, me lo chiedo anch'io: perché?... Ma si fa presto a finirla: oggi scendo a Torino per incontrarmi con Macchi: non ritornerò più. (Con un sospiro di liberazione) Ecco fatto!

Hélène                        - (incredula) Davvero?

Gregor                        - (risoluto) Più. Ho detto più!

Hélène                        - (alzandosi e mutando espressione d'un tratto) No!... (Gli prende le mani, gli si aggrappa alle spal­le) No... Ti chiedo scusa... Sono cattiva, hai ragione...

Gregor                        - (fuori di sé) Ma non è questo!... Che cosa vuoi che m'importi...

Hélène                        - Gregor, guardami... Ritorneremo buoni.,. Sarà come prima... come sempre... te lo giuro... E' stata una vertigine...

Gregor                        - (afferrandole le braccia, scuotendola) Una vertigine che dura!! e io non voglio... non voglio...

Hélène                        - Nemmeno io! (Gli si avvinghia) Nemmeno io, Gregor! Te ne sei accorto... Io vorrei che Alessan­dro fosse più giovane di te, più grande di te... E in­vece... Che posso io? Lui stesso, con le sue mani, lui stesso t'innalza dinanzi a me... E' lui che mi caccia te nel sangue!...

Gregor                        - (brutalmente, spingendola lontano) E' un delitto! Non vedi che è un delitto?... Lasciami an­dare!... (Umiliato, implorante) Hélène...

Hélène                        - (cingendogli il collo con un braccio) Tor­neremo come fratello e sorella... Guarda... (lo trae vi­cino al pianoforte) Quante volte non siamo stati insie­me, così... Vieni... (colla mano libera sulla tastiera, Hé­lène accenna ad una frase della musica di Gregor) la­voriamo... Perché non potremmo riprendere a studiare, tranquilli?... Questa mattina lassù hai cantato questa frase...

Gregor                        - Hélène, ho paura...

Hélène                        - Sei un ragazzo... (Suonando) E' questa la frase?... Possiamo essere buoni... Dimmi, è questa?.»

Gregor                        - (cedendo) Non propriamente... Qui l'im­plorazione sale... Ecco... (suona. Appare sulla soglia, non visto, Alessandro. Viene dalla luce e i suoi occhi non distinguono. Ascolta, A un certo punto Gregor smette di suonare e, come ripreso dal rimorso, fissa Hélène).

Hélène                        - Avanti!

Gregor                        - (continuando) Poi, la frase di prima ri­torna in minore. Questo è bello, senti... (s'interrompe) Che strano! non ricordo più. (Cava di tasca i fogli ma­noscritti, li pone sul leggìo). Qua... ecco... sì... così è.„ (suona) ... La vedi la tua danza? Avrai le mani giunte.,. (suona) ...A poco a poco t'inginocchierai... sempre mi­rando il cielo... (suona) ... Bada bene: qui, un gesto per ogni nota, disgiungerai le mani, mostrerai le palme... (suona).

Alessandro                  - (s'è fatto innanzi, piano, s'è messo dietro i due, e di sorpresa) Lasciami! (con uno strattone sco­sta il figlio, siede, sfoglia lo spartito, legge qua e là traducendo immediatamente sui tasti. L'ha colto una specie di furore ispirato: s'interrompe, riprende; prova, riprova. Gregor, muto e corrucciato, s'è tratto in di­sparte. Hélène è vicina ad Alessandro, ipnotizzata dall'intervento inatteso e dalla sforza che sprigiona da lui. Alessandro spezza di schianto un vorticoso crescendo di note, si volta, ghermisce Hélène, la stringe fra le brac­cia, la bacia balbettando) Così, Hélène!... Come se avessi scritto io. Tutto questo sì che è vero!... che è tuo!... (D'un salto è alla porta, alla finestra, al piede della scala, chiamando) Cristina! Pia! Cristina! Tutti qni! tutti qui! (Ritorna al pianoforte, riprende a suonare. Da sinistra e dal fondo entrano Rosine, Cristina, Pia, Federico, stupiti).

Cristina                       - Che hai da urlare, Sandrone?

Federico                      - (a Pia, ingenuamente) Si va a tavola?

Alessandro                  - (battendo con una mano sullo spartito) Questo, questo è il capolavoro! Ecco il segreto di Hélène rivelato! Che musica! Ora, ora sentirete... L'ha scritta lui, Gregor... Una cosa grande... per te, per te, Hélène!... E' inutile che mi guardiate così: non sono ubbriaco!... (Una frase, suonata sotto l’impeto della com­mozione, bellissima, troncherà questa specie di delirio). Ecco con che cosa andremo in America... Macché America, in tutto il mondo andremo, Hélène! (Scop­pia a ridere) La faccia di Rugga, la grinta di Macchi, quando sapranno!... (Recitando) Signori! Alessandro Tisa dirige la più bella musica scritta da cinquant’anni a questa parte, interpretata dalla più gran­de mima che sia mai nata!... La prima a Roma, ira due mesi, e poi, e poi... Impazziranno!... Hélène, impazziranno!... (Rificcando gli occhi sulle carte e spalancando le mani sulla tastiera) Dov'è?... Qua... ecco... sen­tite... (attacca stupendamente la frase dell'implorazione).

Gregor                        - (di scatto gli è sopra. Afferra le carte)  Dai qua!

Alessandro                  - (impietrito) Che c'è?

Gregor                        - Dai qua! (Strappando i fogli in più pezzi) Guarda che cosa faccio io della «mia musica»...

Alessandro                  - (con un urlo) No!

Hélène                        - (s'è avviticchiata al collo di Gregor nel di­sperato tentativo d'impedirgli il gesto folle) Gregor! Ma Gregor!

Pia                               - (con un gesto di terrore) No! No!... Perché?

Gregor                        - (divincolandosi) Ecco! (Getta le carte che si sparpagliano per tutta la stanza. Poi, rivolto al padre) Fai quello che vuoi, ora... Dirigi quello che ti pare, in America! nella luna! all'inferno! (Esce rapido dal fon­do. Pia lo rincorre impaurita).

Pia                               - (col pianto nella gola) Ascolta, Gregor...

Alessandro                  - (scagliandosi per raggiungerlo) Ma io lo strozzo! Lo stroz...! (s'arresta folgorato. Si dirige verso Hélène guatandola torvo. Dopo un silenzio, terri­bile) Perché ha fatto questo?... Tu lo sai, Hélène... Per­ché? (Ancora un silenzio, poi abbassa il capo, come sotto una mazzata; guarda pietosamente i rimasti e, lento, curvo, zoppo, si trascina su per la scala, seguito da Hélène. Rosine si ritira da sinistra).

Federico                      - (spaventatissimo, raccattando i pezzi di carta sparsi un po' dappertutto, a Cristina, che non avrà mo­strato né sorpresa né emozione) E adesso, signora, che accadrà?

Cristina                       - Ora? Caro figliolo, ora può accadere tutto il pensabile all'infuori dell'unica cosa saggia: che si mangi. Tu hai studiato da ingegnere... (Guardandosi in­torno) O dove ti sei ficcato?

Federico                      - (da sotto la tavola) Sono qui, signora. Forse ho raccolto tutto.

Cristina                       - Tu sei ingegnere, sei abituato a giudi­care da certe cause certi effetti. Ebbene, qua dentro niente di tutto questo. Le tue leggi non servono. Inu­tile fare previsioni. Gregor potrebbe scomparire per dieci anni come potrebbe ricomparire fra un'ora, fresco come un fiore a chiedere una pagnotta. (Con la for­chetta prende una fetta di prosciutto, se la lascia cadere nella bocca spalancata). Sandro è capace dì mettersi a riscrivere nota per nota la musica del figlio, con quella sua memoria spaventosa, ma è anche capace di cercarlo e di ucciderlo, come ha detto.

Federico                      - (preoccupato) Eh, questo no, signora! Come potete pensare...

Cristina                       - (scoppiando a ridere e mangiando un'altra fetta di prosciutto) Non allarmarti, non accadrà niente. Dammi una sedia, uno di quei trespoli, una poltrona, qualcosa da sedere, qui... (Federico le porge una seggiola, Cristina s'accomoda a capotavola). Prendine una anche tu, e siedi qui. Bravo. Aspetta, prima porta quel pane e quella frutta. Non hai fame?

Federico                      - (prende il pane e la frutta sul pianoforte e li pone in mezzo alla tavola. Inquieto, sedendo) E Pia, signora.

Cristina                       - (mangiando) Ecco, parliamo pure di Pia...

Federico                      - Pia sarà col professore?

Cristina                       - Col professore, come dici tu, c'è l'altro an­gelo, quello pericoloso. Pia è corsa dietro a Gregor.

Federico                      - Ma perché il professor Gregor ha strap­pato quei fogli?

Cristina                       - Nervi, figliolo, nervi da artisti. Non li avete mai i nervi, voi ingegneri?... Lo so, li avete anche voi, ma sono più ragionevoli. Nervi ragionevoli... Anche Pia ha i suoi nervi ogni tanto, ma sono diversi... Mi dai da bere?

Federico                      - (cercando la bottiglia dell'acqua premuroso)

                                    - Subito, signora!

Cristina                       - (rifacendogli il verso) No, ingegnere! vi­no!... Grazie. Dunque, si diceva?

Federico                      - Pia...

Cristina                       - E adesso una pesca... Parlavamo di Pia... (Dopo un silenzio, divenendo seria) Pia è un tesoro... Sposala presto.

Federico                      - Il più presto possibile, signora.

Cristina                       - (lo scruta) La sposi nonostante l'esistenza di noi tutti? Non hai paura? Non temi le complica­zioni? Perché, sai, tra noi dall'oggi al domani può ac­cadere anche il cataclisma...

Federico                      - (commosso) No, signora. Io non appar­tengo al vostro mondo, ma lo capisco, anche...

Cristina                       - Non avere riguardi, caro. Di' pure chia­ramente... Anche se è un porco mondo...

Federico                      - Non è colpa vostra.

Cristina                       - Un po' è anche del Padreterno, sì, ma non tutta...

Federico                      - Pia d'altra parte...

Cristina                       - (pronta) E' un'altra cosa, è vero. Non as­somiglia a nessuno dì noi per fortuna sua... e tua. Ma non credere che sia donna qualunque. Ha un'anima che anche una carezza, se stupida, può guastarla. Con lei dovrai essere molto... volevo dire buono, ma non basta... molto intelligente dovrai essere. Con me, con suo pa­dre, con tutti gli altri è stata infelice, ma lei non lo sa, capisci? Forse, da principio, le parrà invece d'essere infelice con te... Un cicchetto, dammi un cicchetto. Non importa, uno qualunque... Non badare: io non so espri­mermi... Sono meglio quando canto. Ma tu sei un inge­gnere e puoi capire, visto che mi sforzo di ragionare... Bisognerà ripagarla di tutto il calore che non ha mai avuto. Tu hai visto che cos'è qua dentro, e così in qualunque luogo ci si trovi, a Roma o a Nuova York, a Venezia o a Tokio... I nostri matrimoni...

Federico                      - (sorridendo) Ho capito, signora. Io son qui per dare a Pia tutta la mia vita.

Cristina                       - (d'impeto) Bravo! (Quindi, per nascon­dere la commozione) Perché non bevi un cicchetto an­che tu?... Dicevo: i nostri matrimoni... pulì!... roba da prendersi così, con le molle... Io e Sandro... Sandro e quell'altra... A vivere all'estero, sai? Tra quinte, came­rini e mascalzoni si finisce col perdere anche quel po' di buon senso... Ma poi chissà? Forse proprio perché noi siamo così, Pia è così...

Pia                               - (s'affaccia alla porta, vede i due, si ferma sulla soglia. E' pallida, triste, le braccia abbandonate lungo i fianchi) Mamma...

Cristina                       - Oh, fringuello! Chi t'ha chiamata? gli scoiattoli?... Vieni... Guardami... Non trovi niente di nuovo in me?

Piu                              - (sorridendo e guardando Federico) Non saprei...

Cristina                       - Certo che se guardi lui... Guarda me! Non scorgi proprio niente? Non vedi che è già nata la suocera?... Non la tua, gioia, la sua!

Pia                               - (abbracciandola) Grazie, mamma...

Cristina                       - (facendole la caricatura) Grazie! Con co­desta faccia? Così si dice grazie? (Tergendole la fronte col palmo della mano) Via, via le nubi... Che s'arran­gino gli altri... Ora faccio io, state a vedere... (Abbas­sando la voce) Qui; uno da una parte, imo dall'altra... là... Siamo pronti? (A voce bassissima) Signor ingegnere, siete contento di sposare la mia figlia Pia?

Federico                      - (stando al gioco, mormora) Sì.

Cristina                       - E voi, signorina... No no, perdinci, tu non sarai così, che pari un pagliaccetto... Tu avrai una ghir­landa di fiori bianchi intorno alla fronte, e un abito bianco lungo... Le prime, le uniche cosa pulite di tutta la famiglia... Dunque... voi, signorina, siete contenta di sposare quel coso lì?

Pia                               - (quasi impercettibile, con un cenno del capo) Sì.

Cristina                       - E allora qua le mani... (Federico porge la sinistra). Ehi, macaco, la destra!... Voglio la destra, ecco, bravo!

Fine del secondo tempo

ATTO TERZO

La scena del primo e del secondo atto. Pomeriggio di sole. Finestre e porta spalancate. Il pianoforte è chiuso, nudo. 1 doppieri avranno cambiato posto, e il regista li collocherà dove gli parrà meglio.

 (Cristina, seduta accanto alla tavola, sfoglia la corri­spondenza, che Rosine le ha appena consegnata. Hélène scende la scala).

Cristina                       - (a Rosine) Tutta qui? Anche i giornali?

Rosine                         - Sì, signora.

Cristina                       - (a Hélène) Vestita per il ritorno tra la gente civile?

Hélène                        - (che indossa un abito a giacca, chiarissimo) Scendo all'albergo.

Cristina                       - Ah... Visite?

Hélène                        - Ho invitato degli amici al tè.

Cristina                       - (a Rosine) Vai dalla signorina, portale la sua lettera. (Rosine esce. Hélène cerca qualcosa fra gli spartiti ammucchiati sopra uno sgabello. Cristina, leggendo una lettera) Questa sera dormirai fuori?

Hélène                        - (sorpresa) No! (Fissandola) Che cosa vuoi dire?

Cristina                       - (sempre leggendo) Deffenu mi sconsiglia l'aria di mare. Peccato: non posso andare a Venezia... Dicevi?

Hélène                        - (nervosa) Perché mi chiedi se dormirò fuori?

Cristina                       - Niente... Così... pensavo... dal momento che ieri sera per un... tè hai fatto portare all'albergo una valigia grande come una casa... Non sarà stata, im­magino, piena di tartine...

Hélène                        - Come lo sai?

Cristina                       - Ho incontrato, io, sul sentiero, ieri sera tardi l'uomo che la portava giù.

Hélène                        - (contraddetta) E' vero... Era piena di spartiti di libri, di carte... All'albergo ci sarà il mio segretario.

Cristina                       - Ecco, ecco... M'è parso che il portato»! avesse anche una valigia di Gregor... (Senza attendere risposta, riprendendo a leggere) Tò, sembra che Marinuzzi passi a dirigere la stagione del « San Carlo ».

Hélène                        - (aggressiva) Che vai fantasticando, Cristina?

Cristina                       - Io? Fantasticare? Per me è passata l'ora delle fantasie. Ne conservo tutt'al più una piccola p» cola, una fantasia nana, quella della voce, ma non disturba più nessuno...

Hélène                        - Se fosse quella sola... non disturberebbe!

Cristina                       - Lo so, Io so... D'altra parte non tocca a me il compito di guardiana di casa...

Hélène                        - Esatto.

Cristina                       - Fai bene a richiamarmi ogni tanto alla realtà. Sono un po' buffa io, in questi atteggiamenti di custode dell'ordine... Che dico, buffa: pietosa!... Come quei vecchi cani scacciati, che continuano a gironzolare intorno alla casa...

Hélène                        - ... e ad abbaiare, come se ancora facessero servizio di guardia...

Cristina                       - Già... A dire il vero io divorziai da San­dro proprio perché l'ha voluto lui... Un incidente, una stupidaggine qualunque... I figli, me li ha quasi rubati... Oh, lasciamo stare... Eravamo giovani, più squilibrati assai di adesso, in quella Babilonia che è l'America.,. Ora Sandro è vecchio, e anch'io, e continuo a volergli bene lo stesso... Dovresti compatire.

Hélène                        - (dopo una pausa) Perdonami, Cristina.

Cristina                       - (incamminandosi) Io? O povera Hélène! Piuttosto... tu... pensa a quello che fai! E non temere per me. (Sulla soglia) I vecchi cani cacciati di casa sono miti, non mordono più. (S'incontra con Pia, che entra) Cara, te l'hanno data la tua lettera?

Pia                               - Sì, mamma, grazie. (Ha la propria cartella, con carta, buste e stilografica. Siede alla tavola. Si accinge a scrivere).

Hélène                        - (con insolita timidezza) Che cosa fai, Pia?

Pia                               - Due righe a Federico.

Hélène                        - (accarezzandola) Dov'è ora?

Pia                               - A Milano, dai suoi; ma a giorni dovrà fare una corsa sul Garda per certi lavori. Poi ritornerà quassù.

Hélène                        - Sei molto innamorata?

Pia                               - A me pare di sì.

Hélène                        - Anche a te... « pare »?  E' vero che non si è mai sicuri?

Pia                               - (non comprende) Ho detto per dire...

Hélène                        - (guardando il pianoforte) Povero piano... era il personaggio principale...

Pia                               - (scrivendo) L'ha aperto papà, questa mattina, un minuto, e poi l'ha richiuso. S'è portato via persino la chiave.

Hélène                        - (passando la mano sul coperchio con la vo­luttà d'una carezza) Ricordi quando l'hanno portato su, che traffico?

Pia                               - La paura di papà, le smanie di Gregor...

Hélène                        - E le mie... E tutta quella notte per mon­tarlo...

Pia                               - (allegra) E gli operai che non volevano fer­marsi... Quello piccolo piccolo pareva...

Hélène                        - ...Bagonghi! Alessandro li ha ubbriacati. Ricordi la sbornia di Bagonghi?

Pia                               - Cantò il « Trovatore » con gli zoccoli ai piedi e una sporta in testa... (Un silenzio. Pia ha ripreso a scrivere. Hélène è come sulle spine. Incapace di pren­dere una risoluzione qualsiasi). Ti fermerai molto giù all'albergo?

Hélène                        - (con uno sforzo) Spero di ritornare prima di buio.

Pia                               - Ti aspettiamo per il pranzo?

Hélène                        - I nostri pranzi!... Puoi aspettare, sì... Sono certa che, come al solito, non aspetterai soltanto me.

Pia                               - (sempre scrivendo) Ma io m'illudo ogni volta.

Hélène                        - E' vero che ti sposerai tra un mese?

Pia                               - Cosi avremmo combinato;

Hélène                        - Giù alla chiesina di Fiery?

Pia                               - Non ti piace?

Hélène                        - (triste) Pensa se non mi piace! Sarà tanto bello! (Assorta) Fra un mese...

Pia                               - Fine settembre. Si godono ancora delle gior­nate meravigliose quassù.

Hélène                        - (è ritornata al pianoforte. Lo tocca. Dopo un'esitazione) Mi vuoi bene, Pia?

Pia                               - (stupito) Che domanda! Lo sai... Ma perché?

Hélène                        - ' Anch'io te ne voglio... Forse ti sarà parso qualche volta...

Pia                               - Ma no, Hélène! Io so che in tutto quanto è successo tu non hai colpa... Sono i temperamenti di papà e di Gregor, soprattutto di Gregor... Ma papà non vede che per te.

Hélène                        - (con un tremito) Però anche tu lo abban­doni il tuo papà.

Pia                               - Lo so purtroppo che in principio vi troverete... come dire?... un po' a disagio. Ma tu, Hélène, devi abi­tuarti ad essergli un poco anche figlia. Se ti riuscisse!

Hélène                        - Non sono capace. Ma a ben guardare, vedi?, in quanto a rassomiglianza sono più sua figlia io...

Pia                               - Anche questo è vero, eppure...

Hélène                        - (con uno scatto) Qui ti voglio! eppure... (Dopo un attimo di perplessità, durante il quale Pia avrà sigillato la lettera) E tua madre?

Pia                               - Povera mamma! Io spero che riuscirò a con­vincerla di stare con noi... Federico sarebbe contento... Tenerla legata non è facile, ma quando si fosse con­vinta che la voce non ritorna... E poi gli anni... Non ti sei accorta che la mamma incomincia a ragionare?

Hélène                        - Dove farete la vostra casa? .

Pia                               - A Milano. La ditta presso la quale è impiegato Federico ha la sede a Milano. Siccome anche tu e papà dicevate un giorno di voler stare parecchio a Milano, finiremo col trovarci insieme più di quanto non pensiamo. Mi rincresce per Gregor, ma lui ha bisogno, lui « deve » viaggiare...

Cristina                       - (entrando da sinistra, ha udito le ultime pa­role di Pia) Certo, nel ha il dovere: Gregor deve distrarsi. La musica nasce dalle distrazioni...

Pia                               - (ridendo) Non dicevo questo.

Cristina                       - Una ragione di più per dirlo io, frin­guello... O guarda, Hélène, che il tuo filo degli esercizi acrobatici ha acciaccato un mandriano. Scendeva dalla pineta a rotta di collo, non l'ha visto, e patapum! s'è fatto un naso grosso così.

Pia                               - (spaventata) Dov'è?

Cristina                       - Di là, in fondo. L'hanno medicato, fa­sciato. (Hélène esce). C'è Rosine, c'è Gregor, c'è tuo padre. Vedessi che medico tuo padre! Ha voluto ad ogni costo strofinargli il naso con la grappa. Il pove­raccio grugniva come un maiale. Non l'avete sentito? Vai, vai a vedere... (Pia corre fuori da sinistra).

Alessandro                  - (entra agitato dal fondo. Ha in mano una bottiglia di acquavite e un pacco sventrato di cotone idrofilo) Un bel bestione, non vedere la fune di Hélène.

Cristina                       - E come poteva? Tesa a mezzo metro da terra, fra due pini, con gli arbusti dei rododendri. Fino ad oggi conosceva solo le corde per appendervi il bu­cato, non quella celebre e traditrice della mima!

Alessandro                  - La ferita tra il labbro e il mento san­guinava molto.

Cristina                       - Sì, ma a furia d'acquavite a quest'ora è una ferita sbronza... Beh, Sandrone, che fai con codesta bottiglia? Posala, siedi.

Alessandro                  - Vorrei bere anch'io un' po' di disin­fettante, madama!... Un bicchiere...

Cristina                       - Eccolo. Non riempirlo, però.

Alessandro                  - (bevendo) Buona! Fuoco liquido... (di colpo, spaventato) Hélène? Hélène dov'è? E' già scesa all'albergo?

Cristina                       - (fissandolo) No, è andata da quell'uomo.

Alessandro                  - (calmandosi subito, confuso) Ah, cre­devo...

Cristina                       - (con espressione di pietà) Sandrone... Le vuoi molto bene?

Alessandro                  - Puoi immaginare. (Ha il testone basso, guarda come ipnotizzato nel bicchiere chiuso tra le palme. Dopo un silenzio) Ti hanno detto come l'ho cono­sciuta?

Cristina                       - E' noto. Ne hanno parlato anche i gior­nali. In una fetida sala da ballo.

Alessandro                  - In un varietà, a Budapest. Un varietà di quart'ordine. Ho avuto sempre una passione per que­sti locali, lo sai. Quando mi sedetti, Hélène ballava. Era il suo numero. L'avessi vista! Un ballo qualsiasi, una musica banale, ma quale espressione in lei, che vio­lenza! Mi mozzava il respiro.

Cristina                       - Un anno dopo era già la grande Hélène.

Alessandro                  - Eppure io non le ho insegnato un passo. Niente. Ci siamo rifugiati a Venezia. Musica, mu­sica soltanto. Suonavo per lei dodici ore al giorno. L'ho fatta rinascere nel suo elemento... E lei capiva tutto, trasformava tutto, con tale istinto di creazione...

Cristina                       - Senti, Sandrone... Vorrei parlarti...

Alessandro                  - (scrutandola) E' indispensabile?

Cristina                       - (pentita) Ma... Forse no.

Alessandro                  - Meglio così. Quando Hélène scenderà all'albergo, chiamami.

Cristina                       - Sì, ti chiamerò.

Alessandro                  - Grazie, madama (S'incammina zoppi­cando verso la scala).

Cristina                       - (lo segue con lo sguardo, e subito scatta) No, parlo! Sandro, ascoltami... Forse sono ubbìe, pre­venzioni... ma se fosse vero...

Alessandro                  - Non sei cambiata, non sai tenere nulla per te... Dunque, avanti! Che vuoi?

Cristina                       - In questi giorni, qui, ho visto molte cose che non mi piacciono... Non vorrei...

Alessandro                  - (esasperato) Zitta!

Cristina                       - No che non sto zitta! Lasciami dire... Hélène ieri sera ha fatto portare all'albergo una grossa valigia... Da due o tre giorni non riceve più la posta... Poco fa ci siamo scambiate qualche parola... Io ho l'im­pressione...

Alessandro                  - (con un urlo) Zitta!

Cristina                       - (con agitazione crescente) Ma non capisci, non capisci che potrebbe non più ritornare?... Sandrone, povero Sandrone!... (lo abbraccia).

Alessandro                  - (sciogliendosi, calmissimo) Ma lo so, lo so, Cristina.

Cristina                       - (trasecolando) Lo sai?!

Alessandro                  - Tutto!... Invecchi, madama. Come po­tevi credere che non sapessi? Ma se te ne sei accorta tu, che non l'ami, io... Fugge, mi pianta, senza neanche il benservito. Lui... (ad un cenno di Cristina) sì, «lui», la raggiungerà questa notte. Partono per Buenos Aires dopodomani sera, da Genova, col « Biancamano »... Ve­di? Potevi tacere...

Cristina                       - Ma allora, Sandro, se sai, fa qualche co­sa! „. Impediscile!... Picchialo!

Alessandro                  - E dopo? Sono vecchio, madama. Avrei avuto un solo mezzo per trattenerla: scrivere per lei qualche cosa di buono... non essere lo straccio che sono...

Cristina                       - Non sopportare almeno questa commedia, questa mascherata... Dillo a Hélène che sai!

Alessandro                  - Spero al contrario d'avere la forza di tacere... Una volta, Cristina, l'avresti trovata una situa­zione divertente...

Cristina                       - Una volta, una volta... Che vuol dire una volta? (Dopo un breve silenzio impacciato) Eccoli, sono là fuori; io me ne vado.

Alessandro                  - (prendendole un braccio) No, Cristina. Ora devi fermarti. Non ti piace l'idea d'assistere assieme a me al candido commiato di questi due? Sarà allegro, madama! (A Hélène e Gregor, che stanno attraversando lo spiazzo davanti alla casa) Hélène! Gregojr! (Siamo qui... Non vieni a salutarmi, Hélène, prima di scendere all'albergo?

Hélène                        - (entrando confusa, quasi paurosa) Appunto, ti cercavo...

Alessandro                  - Brava! (A Gregor che è rimasto fuori) Avanti, Gregory che fai lì impalato?... Entra... Hélène ci saluta...

Gregor                        - (borbottando) Eccomi, eccomi... (fa alami passi e si ferma presso la soglia, guardingo).

Hélène                        - (sforzandosi d'apparire tranquilla, con un ri­dere aspro, che suona falsissimo) Eh, non parto mica per un lungo viaggio!

Alessandro                  - Lo so, lo so. Devi andare a un tè mi pare, un tè con amici...

Hélène                        - Sì... E' da parecchio che s'era combinato....

Alessandro                  - Chi sono questi amici?

Hélène                        - Gente di Roma, che villeggiano a Champoluc... Non li conosci.

Alessandro                  - Possibile? Ma se io conosco tutti. Non è vero, Cristina?

Cristina                       - (annaspando) Sicuro, o meglio, tutti e nessuno. Se mi passi accanto per la strada scommetto che non mi riconosci...

Alessandro                  - Perché sono orbo. Ma di nome gli amici di Hélène dovrei ricordarli... E tu, Gregor, sai chi sono?

Gregor                        - (sui carboni ardenti) Ma io...

Hélène                        - (precipitosa) No no... neppure lui...

Alessandro                  - (li fissa. Poi, dopo una pausa, con finta bonomia) Bèli, beh, non importa proprio... Divertiti, Hélène, stai allegra... Cristina che ti prende?

Cristina                       - A me? Nulla, caro...

Alessandro                  - (eccitandosi a poco a poco) E allora mettiti quieta-..

Cristina                       - Ma sì...

Alessandro                  - Stai qua, con me... Hélène scende, e noi sventoleremo i fazzoletti, tu ed io... Tu ed io, ca­pisci? I fazzoletti... (scoppia in una risata cattiva, la­cerante).

Cristina                       - (avvicinandoglisi) Sandro! (Hélène è al quietissima, fissa Gregor, che tenta di ridere a sua volta….

Alessandro                  - Niente, niente... Scusate, ma l'idea mi è parsa buffa... io e Cristina che salutiamo... (Sedendo, ride, singhiozza, tossisce. Si passa una mano sul Doto, Si ricompone) Ho bevuto troppo oggi, troppo... Andrà a letto... Vai, Hélène, non fare tardi.

Hélène                        - Ma se tu non stai bene, posso....

Alessandro                  - Nooo! A certi appuntamenti non si poi mancare...

Hélène                        - (dopo un breve impaccio) Allora, buona sera, Alessandro.

Alessandro                  - Ecco, brava. (Hélène fa un gesto, cornei per abbracciarlo). Un bacio? L'hai detto tu: non parti mica per un lungo viaggio. Tra due o tre ore sarai di ritorno. Facciamo così: io rinuncio a sventolare il fazzoletto e tu all'abbraccio... Lo so che sono strambo oggi... Devi perdonarmi. La grappa... è la grappa... Ciao,

Hélène                        - (e si gira di scatto per non vederla uscire. Va al pianoforte e tenta invano, meccanicamente, di alzarne il coperchio. Poi si volta. Hélène è uscita. A Gregor  sulle mosse d'andarsene) Fermati. E tu ora, Cristina, se vuoi lasciarci...

Cristina                       - Sì, sì... Vado da

Pia                               - (è in grande timore. Esita. Poi bruscamente si risolve ed esce da sinistra ri­petendo) Vado da Pia.

Alessandro                  - (dopo un silenzio, dirigendosi verso Gre­gor) Che aspetti a raggiungerla?

Gregor                        - (smarrito) Come?

Alessandro                  - Questa sera? Questa notte?

Gregor                        - (inebetito) Che dici, papà?

Alessandro                  - Dico... (Prende la bottiglia della grap­pa e il bicchiere. Mesce. Tracanna d'un colpo. Rimesa, Con la bottiglia in una mano e il bicchiere nell’altra) Tu non lo sai. Te lo dico io.

Gregor                        - Papà...

Alessandro                  - (gli s'avventa contro) Carogna! (Poi li placa all’improvviso. Siede) Te lo dico io. Hélène è scesa a San Giacomo. Tu la raggiungerai questa nette, Dopodomani partirete insieme per Buenos Aires... (Ri­dendo convulso) Ah, la commedia di poc'anzi, qui, con tua madre e me, elle sapevo da giorni!... Come eravate belli, commoventi!

Gregor                        - Papà, ascolta...

Alessandro                  - (bevendo) E come no? Sono curioso di sentire. Ascolto!

Gregor                        - Perdonami...

Alessandro                  - Se incominci dalla fine non avrò niente da ascoltare.

Gregor                        - (con un grido) Ma era l'unico modo d'u­scirne! il meno sporco!... L'amo!

Alessandro                  - (impassibile, di pietra) Questo mi pare di saperlo... almeno, lo spero... Non voglio credere che tu, mio figlio, mi porti via la moglie per sola brutale malvagità. (Bene). Eh? che dici?... Guarda, ti vengo incontro. Io, vecchio, zoppo, una carcassa ormai, non avrei dovuto sposare Hélène, e non avrei dovuto por­tarmela in casa, soprattutto sapendo che in casa c'eri tu. Io sono il primo a non avere mai rispettato niente. I miei stessi matrimoni, il mio divorzio sono la prova. E ora pago. Sono un disgraziato, un amorale... e con questo?... Tutto ciò accusa me, ma non assolve te. (An­cora una pausa). Tu mi hai detto: ascolta. E io, ripeto, sono curioso. Ascolto.

Gregor                        - (con abbandono sincero) Ho lottato... Ab­biamo lottato, perché anche lei... Da principio il solo pensiero ci terrorizzava... Fuggivo...

Alessandro                  - E subito ritornavi. A fare che cosa?... E’ così grande il mondo.... per te, in modo speciale!...

Gregor                        - Sì, ma dopo un po' eh'ero lontano mi pa­reva d'essere guarito, che sarei potuto ritornare senza pericolo, e poi...

Alessandro                  - (balzando in piedi) E poi... e poi... (Fa un giro intorno alla stanza, strascinandosi la gamba più zoppa che mai. S'arresta dinanzi al figlio con aspetto mutato, feroce) E poi?

Gregor                        - (disperato) Non so... Non so...

Alessandro                  - Ma non capisci che io ti ammazzo, qui, a due passi da tua madre e da tua sorella... (s'interrompe strozzato da un groppo di pianto. Forse il pensiero di Pia, chissà).

Gregor                        - Ammazzami! Sei nel tuo diritto! Ma que­sta inchiesta, questo supplizio!...

Alessandro                  - (quasi ricordandosi di qualche cosa che aveva dimenticato, facendo sforzi per dominare il furore primitivo e la commozione nuova) No... no... Non era questo che volevo io... (Sì rimette a sedere, tamburellando sulla tavola col pugno. Silenzio. E' quasi sera. Fuori la luce è ancora bella, di una trasparenza triste, ma nella stanza è scesa la penombra. S'odono, come al primo atto, i campani delle mandrie che ritornano alle stalle. Alessandro alza improvvisamente la faccia verso Gregor, ma ha gli occhi chiusi, per non piangere) Tu hai detto che l'ami... Bella forza! Non è difficile amarla, Hélène... E non è facile dimenticarsene, lo so... Anch'io l'ho amata... Anch'io... (con voce morta) anch'io l'amo... E questo, tu e lei, dovevate saperlo. Tre anni fa, quando la sposai, tu non eri un bambino, eri già uomo, persino celebre. Voglio dire che avevi cuore e cervello per capire. Se tuo padre commetteva una bestialità avresti dovuto tro­varne la giustificazione, tu che conosci il mondo e sei della mia razza. (Con abbandono) Se l'ho amata!...

Gregor                        - (alla tortura) Papà...

Alessandro                  - (strozzando la commozione grida) Non è peccato! Hélène l'ho creata io, col mio amore vecchio! E' nata da me! La sua arte è roba mia!... Quando il mondo le batteva le mani io piangevo... come quando dal fondo d'un palco ascoltavo qualcosa di tuo. Perché anche tu sei venuto fuori da me!... Non è porcheria il mio amore, capisci? Non è neanche amore, è... è altro!... E' bello! anche se sono vecchio, se sono cieco, zoppo... E' bello!

Gregor                        - (con slancio, affettuoso, tornato fanciullo) Papà... basta... Perdonami... Vado via, lontano, solo, non ritornerò più, te lo giuro...

Alessandro                  - (ergendosi) Ah no! Ora no. Ora scomparite, tu e lei, masubito subito (Lo spinge convulsa­mente verso la porta. Piange). Portala via... Che non la veda più... Subito... Maaa! (S'arresta in mezzo alla stanza, tremendo) Il vecchio ti dice: guai a te se non saprai amarla come si deve!... I casi sono dalla vostra: l'età, l'arte, la vita... (Sono sulla soglia. Gregor guarda il padre con muta implorazione). Vattene... Che aspetti?

Gregor                        - (tremando) Addio, papà...

Alessandro                  - (lo riacciuffa per una spalla) Però siamo d'accordo... Guai! (Con una manata chiude la por­ta, che sbatte rintronando in tutta, la casa. S'è fatto quasi buio d'un tratto. Il vecchio si morde le mani per non singhiozzare, ritorna in mezzo alla scena a tentoni, in­cespica, s'aggrappa al pianoforte. Si guarda in giro, smarrito. Dalla sinistra entra Cristina con l’atteggiamento premuroso di chi, essendo stato ad ascoltare, vorrebbe con la propria presenza dissipare l'angoscia che incombe).

Cristina                       - Ohi! Ohi! Non ci si vede neanche a can­tare qui... Ora accendo... Aspetta... (Afferra uno sgabello, vi monta sopra con un « Ahi! », guarda la lucerna) Dunque... come si fa?... Qui c'è il tubo... Bisognerebbe levarlo... Ma io non so... non so... Che baracca! Tornasse almeno Pia... L'ho mandata su alle baite da quello della testa rotta... E non c'è neanche Rosine...

Pia                               - (entra di furia dalla porta. S'accorge della cu­pezza del padre, di Cristina sullo sgabello) Che c'è?

Cristina                       - (fingendosi allegra) Niente, cara. Due po­veri bacucchi che non sono capaci di accendere la lu­cerna. S'aspettava proprio l'angelo custode...

Pia                               - (chiude la porta, quindi, presi i fiammiferi da una scatola, balza sullo sgabello. Accendendo) Quella gente della baita è contenta. Quando ha visto le tue cento lire, mamma. (Sbirciando nella cipolla) Non c'è quasi più petrolio. Bisognerà ricordarlo a Rosine.

Cristina                       - Saperlo! L'ho mandata giù all'albergo proprio un'ora fa. (Alessandro, senza mai badare alle donne, rimane fermo, chiuso. Ai piedi scorge le clave di Hélène. Le raccoglie. Le soppesa, e per un poco ri­mane con quegli arnesi in mano. Pia lo osserva ogni tanto di sfuggita, ma abituata ai nervi e alle stramberie paterni, non chiede nulla).

Pia                               - Volete anche un po' di stufa? (s'accinge ad ac­cenderla).

Cristina                       - Direi di sì. (Rabbrividendo) Tutto il sole preso durante il giorno io lo sconto in altrettanti brividi la sera.

Pia                               - Mi dai quel giornale, per favore?

Cristina                       - (porgendolo) Se Rosine ritarda, chi ti aiuta a preparare la cena?... Sai? Ho visto che prendeva

la lanterna...

Pia                               - No, Rosine non può tardare molto.

Cristina                       - Penso che se per una sera riuscissimo a trovarci insieme almeno in tre... Non ti pare, San­drone?

Alessandro                  - (cupo) Certo.

Pia                               - Va bene. Intanto preparo io. (Esce da sinistra, dopo avere guardato ancora i due un po' inquieta).

Alessandro                  - (con impeto, ma sottovoce) E adesso come si fa con la piccina?... Quel signore là, quando sa­pesse, vorrà ancora?

Cristina                       - Chi, l'ingegnere? E' un bravo ragazzo, gli ho parlato io... Non darti pensiero...

Alessandro                  - Certa gente ragiona in modo così stra­no... Non tutti sono come noi! (Lasciandosi cadere so­pra una sedia vicino alla tavola) Che disastro, Cristina!

Cristina                       - Su, vecchio! Non bisogna...

Alessandro                  - Comprendi? (accennando a Pia) Se ne va anche, lei.

Cristina                       - Ebbene? Non muore mica!

Alessandro                  - Non rimane più nessuno... (La guarda desolato) Il bell'affare che abbiamo combinato!

Cristina                       - Eh, che vuoi? Pazzi... Siamo stati pazzi...

Alessandro                  - (con le lacrime agli occhi) Chi l'a­vrebbe detto?

Cristina                       - (reagendo) Tutti, caro! L'avrebbero detto tutti conoscendo il nostro sistema di vivere... La sorpresa è soltanto nostra... Noi non fummo che degli egoisti, sempre. Credevamo che il mondo si risolvesse in noi: io nella mia voce, tu nella tua musica... C'erano i figli, Pia, Gregor, una famiglia... Chi se n'è mai reso conto?

Alessandro                  - (come se i nomi gli venissero alle labbra per la prima volta) Pia... Gregor... (Timido, dopo un breve silenzio) E... tu?

Cristina                       - (con tenerezza) Io?... Sandrone mio!

Alessandro                  - La tua « Norma »?

Cristina                       - (sottovoce, come si trattasse di confessione importante) L'ho seppellita in questi giorni da me, sola soletta... Lo so che non potrò più cantare... Bella scoperta!

Alessandro                  - Eppure m'era parso...»

Cristina                       - Bravate... Ci si sforza di tenere duro; di­ciamo a noi stessi un sacco di bugie, così, per tirare avanti... Ma lo sappiamo che sono bugie... Non ti pare, Sandrone?... Ora siamo qui...

Alessandro                  - (commosso) Siamo qui... Avrei potuto andare in America, ma adesso, cosa vuoi?... E' finita...

Pia                               - (entra con una conca di legno colma di riso. Siede fra i due) Ecco...

Alessandro                  - (affettuoso) Che cos'è?

Pia                               - Il riso. Lo preparo mondato per quando verrà Rosine.

Alessandro                  - (incuriosito) E come si fa?

Pia                               - Guarda: si fa così... Un grano, un grano, un altro grano...

Alessandro                  - (fermandole la mano, intenerito) Quan­do ti sposi, Pia?

Pia                               - Abbiamo detto a settembre, papà...

Cristina                       - (con un grido, stringendosi Pia fra le braccia) Tesoro!... Vedi, Sandro, che non è finita?... Pensa, si sposa! Ma non come noi, Sandrone, non come noi!... Lei avrà il suo bel velo bianco... Il velo bianco!...

FINE