Dramma in tre atti
di Ugo Betti
(su IL DRAMMA n. 19-20 del 15 agosto - 1° settembre 1946)
LE PERSONE
ANTONIO
CANDIDA, sua madre
ELISA
PIETRO
L'ING. NIBBI
IL COMM. CARDI
IL COMM. LO QUARTA
ASSUNTA
BIANCA ISIDE
UN PORTIERE
UN POSTINO
UN LATTIVENDOLO
UN USCIERE
UN GIORNALAIO UNA SIGNORA ANZIANA
IL SIGNOR ORESTE IL SIGNOR MASSIMO
UNA DONNINA
AI NOSTRI GIORNI
ATTO PRIMO
QUADRO PRIMO
Androne d'ingresso di un casamento moderno a molti piani.
(Un gruppetto di curiosi, fra cui varie domestiche, guarda verso le finestre. In uno degli appartamenti è appena finita una scenata familiare. Il piccolo pubblico si disperde).
Una domestica, di nome Bianca (sopraggiungendo) Hanno smesso?
Altra domestica, di nome Iside (che tiene per mano un bambino, figlio della sua padrona) Non si sente più nulla.
Uno dei curiosi, il signor Nibbi (signore di mezza età, dall'aria dignitosa) Eh, ma quelli fra poco sono daccapo. Quelli se non litigano, s'ammalano. (Esce).
Iside (che ha una gran voglia di perder tempo) Secondo me è colpa di lui, è un uomo cattivo.
Bianca Quelli un giorno o l'altro si tagliano il collo. (Ride).
Iside A me queste cose mi fanno una stretta dentro, mi sento quasi male.
Bianca Staresti peggio se le avessi prese tu, le busse. Io devo scappare. La mia padrona mi manda fuori coi minuti contati. (Corre via verso la strada).
(E' apparso dalle scale un vecchietto).
Iside Buona sera, signor Oreste. Vi hanno svegliato?
Il signor Oreste Nemmeno riposare dopo mangiato. Proibito.
Iside Secondo me, se non ci mette rimedio qualche persona, quelli un giorno o l'altro fanno uno sproposito, non credete?
Il signor Oreste Dio volesse, cara. Dio volesse. Meno ce n'è, di quella qualità di gente, meglio si sta.
Iside Dice che si corrono dietro proprio con l'arma, con la rivoltella.
Il signor Oreste Gelosia, cara, gelosia. Sta' attenta tu col tuo carabiniere.
Iside (compiaciuta) Oh, io non so neanche chi sia, il carabiniere. (Al bambino) Fermo, Tommasino. Sta' buono.
Il signor Oreste (ficcandole la mano nella borsa della spesa) Bellini questi fagiolini. (Ne assaggia uno) Quanto li hai pagati?
Iside Quattro.
Il signor Oreste (scandalizzato) Quattro lire i fagiolini! Quattro lire i fagiolini! (Rivolgendosi al portiere che è entrato indaffarato) Avete sentito, signor Angelo? Quattro lire i fagiolini!
Il Portiere (superiore, rovistando nella guardiola) Ho altro da pensare, io, che i fagiolini.
Il signor Oreste (andandosene via) Quattro lire i fagiolini. Ho ragione io di dire che è la fine del coso, del mondo? Che ci stiamo a fare, noi vecchi!
(Bianca è rientrata, si è rimessa a confabulare con Iside).
Il Portiere (rovistando nella guardiola) Questa è una gabbia di matti, non è una casa. Tutto perché manca l'energia, l'autorità. Dovrei esserci io al posto dell'amministratore!
Iside E' vero, signor Angelo, che i Macciò (indica verso l'appartamento del litigio) li hanno chiamati dal delegato?
Bianca (con esuberanza) Me l'ha detto la commessa del ragioniere. Dice che se i Macciò non smettono di dare scandalo, gli mettono la contravvenzione.
Il Portiere (con importanza) Via, via, cosa volete parlare voialtre, mi sembrate galline. Quante volte ho detto che sul portone non voglio serve? Pare che ci sia il miele, qui. E poi le signore padrone se la prendono con me. Uh! Se mi fate arrabbiare! (Dà una manata sulla natica di Iside).
Iside (risentita) State fermo con le mani, lo scopo vostro è di toccarmi.
Il Portiere (con disapprovazione) E gradisci, una volta, gradisci, rustica progenie! Deve essere solo il carabiniere a toccarti? O magari il padroncino, eh?, va là, va là.
Iside (dignitosa) Né il carabiniere, né nessuno. (A Bianca) Col carabiniere fra l'altro è finito tutto, sai?
Bianca Finito? Uh! Ma davvero? Dimmi la verità...
(La trae in disparte, le due cominciano a parlare fitto; il povero Tommasino sta pazientemente attaccato alla mano della ragazza. Intanto s'è udito gridare: « Postaaa... Postaaa... ». È il postino, che viene con la borsa carica).
Il Postino (dall'interno, mentre sceglie la posta del palazzo) Che c'è, signor Angelo?
Il Portiere C'è, che uno di questi giorni, tra una cosa e l'altra mi fanno compromettere.
Il Postino (dall'interno) Beato voi, signor Angelo. Io consumo una risuolatura al mese. La gente non fa che scrivere lettere.
Il Portiere E io il fegato, mi consumo. Mettetela lì, la posta. Sembra che uno si vanti. E invece, io dico che c'è più responsabilità qui che chi sa dove.
Il Postino (dall'interno, andandosene) Salute a tutti.
Il Portiere Salute. (Avviandosi maestosamente a prendere la posta, mentre già varia gente della casa scende a ritirarla) Cinquantaquattro appartamenti, niente altro. Scala A, scala B! Qui è una babilonia, un bazar! Ecco, basterebbe questa (Si sente, da un po' di tempo, qualcuno che fa le scale sul pianoforte) Ore e ore. Non impara mai. Si lamentano: hanno ragione.
Una Signora anziana Niente per me?
Il Portiere Ora vediamo, signora. Un po' di pazienza. Ho ragione, signor Nibbi, di dire che qui è un'anarchia?
Nibbi (che è tornato a prendere la sua posta) Sentite un po', signor Angelo. Questi Macciò, che litigano sempre, che persone sono? Dico come posizione.
Il Portiere Non ne parliamo, signor Nibbi. (Abbassando la voce) Non era gente da affittargli l'appartamento in un palazzo come questo.
Nibbi Lei sarebbe ancora una discreta donna.
Il signor Oreste (tornato anche lui a vedere se c'è posta) Forse ai suoi tempi. Non la vedete, che faccia sciupata?
Nibbi (austero) La faccia. Ma è qui, è qui. (Si tocca degli immaginari fianchi e seni) È molto ben fatta, qui. Proprio ben formata, bisogna dirlo. Belle forme.
Il Portiere (scherzoso) Il signor Nibbi ci si consola gli occhi.
Nibbi Si apprezza il bello. Con tutto ciò io sono il primo a dire che qui ci vogliono dei provvedimenti. (Misterioso) E i provvedimenti... è probabile che ci saranno.
Il signor Oreste Per conto mio è un filo grassa. I fianchi.
Nibbi Non trovo.
Il Portiere Grassa no, ma è sempre il tipo, diciamo, carnoso.
Nibbi Bè, l'altro giorno... (Ride, scuote la testa) Saliva le scale davanti a me. (Imita con le mani i movimenti di un paio di fianchi) Vi so dire che c'era un gran bel movimento. (Ride).
La Signora anziana È anche malizia, sapete? Modo di camminare. E poi magari reggipetti, elastici, diavoli...
Nibbi (sicuro) No, no. Niente. Roba libera, snodata. Io ho un certo occhio.
La Signora anziana Mah. Vorrei vederla spogliata. Del resto sono proprio quelle donne lì, che piacciono agli uomini. Donne esperte, viziose. (Abbassando la voce) Qualcuno vuol dire che la Macciò abbia fatto proprio... la vita, anni fa.
Il Portiere (abbassando la voce) Oh, per questo, anche ora... ve ne potrei raccontare di quelle...
Il signor Oreste E lui? E lui?
La Signora anziana Lui è d'accordo. Ci guadagnerà.
Nibbi E perché litigano, allora?
Il Portiere Cattiveria, miseria. E testa squinternata.
La Signora anziana Mamma mia, che putredine. Lui non sarebbe neanche un brutt'uomo. Ma che faccia!
Il Portiere La prepotenza, signora. Come ti guarda quando passa. Mai che saluti. Se uno poi s'azzardasse a dirgli mezza parola! Io uso prudenza.
Il signor Massimo (inquilino timido, piccolo) Secondo me sarebbe bene fargli parlare da qualcuno. Non è una bella cosa, che i nostri figlioli debbano sentire tutti i giorni quelle brutte parole. Gli si potrebbe telefonare.
Il Portiere A chi?
Il signor Massimo A lui. Dirgli, non so... che lui se ne approfitta di quella povera donna, ma che d'ora in poi stia attento...
La Signora anziana Ma se lei è peggio di lui.
Il signor Massimo E allora gli si telefona chiaro chiaro...
Il Portiere (aggressivo) Gli telefonate voi, chiaro chiaro; a vostro nome. Quello è tipo di malavita, signor Massimo.
(Da qualche momento si sente un coro di bambini che cantano « O Maria Giulia, da dove sei venuta », ecc. Sono bambini non visibili che giocano nel cortile).
Il signor Massimo Gli si potrebbe telefonare così, senza nome. Lui non lo sa mica, chi è quello che gli telefona.
La Signora anziana Oppure si potrebbe far intervenire il commendatore Quinzi...
Il signor Massimo ...persona autorevole, altolocata.
Nibbi (misterioso, allontanandosi con la sua posta) Bè, io credo che il modo ci sarebbe; anzi, c'è. Si tratta di avere un po' di pazienza. Buona sera, signor Angelo.
Il Portiere Buona sera, signor Nibbi. (Verso i bambini che giocano nel cortile, gridando, con furore) Via dall'aiuola! Via dall'aiuola! Ora vengo io! Ma guarda un po'!
(Il coro dei bambini si interrompe, riprende più lontano).
Il signor Oreste (amareggiato) Per conto mio l'errore è stato quando hanno ammesso il subaffitto. Cos'è diventato questo palazzo! Ve lo ricordate un tempo, che elemento, qui? Elemento distinto, laureati, titolati.
Il signor Massimo Il peggio è l'ammassamento, persone che stanno una sull'altra. Non c'è neanche la cubatura, capite? La cubatura.
Il Portiere La questione è che la gente cresce. Altro che cubatura! (Di buon umore) Sentite questo indovinello. Qual è quel posto dove ne entrano cento e ne escono centocinquanta?
Il signor Oreste Quel posto?...
Il Portiere Dove ne entrano cento e ne escono centocinquanta.
Il signor Massimo n treno.
Il Portiere No. Che c'entra il treno?
Il signor Oreste Il mare.
Il Portiere Macché mare.
Il signor Oreste Bè, che sarebbe?
Il Portiere I portoni. Non l'avete capita? I portoni dei palazzi. Mettiamo: due sposetti fittano un quartierino; entrano da qui in due, no? Dopo un po' d'anni, in quanti escono? Anche in dodici, per così dire.
Il signor Oreste (pensandoci su, poco persuaso) Dodici. Ma voi avete detto centocinquanta.
Il Portiere Si dice per modo di dire.
Il signor Oreste E se, mettiamo, uno manda la signora a sgravare in clinica?
Il Portiere Madonna mia, è per modo di dire.
Il signor Massimo Escono. E se, mettiamo, dopo che sono nati, disgraziatamente muoiono? Non escono mica più.
Il Portiere Come non escono! Scherziamo? Io mi trovo qui, sul portone, fate conto che io tenga un bilancio. Quelli muoiono. E a me che me ne importa? In un modo o in un altro, morti o vivi, sempre è roba che esce. E non è entrata. E io segno.
Il signor Oreste (scettico, andandosene) Mah. Buona sera, signor Angelo.
Il Portiere Buona sera, signor Oreste.
(Tutti gli inquilini, avuta la posta, si sono allontanati. Già è cominciata la prima ombra della sera. Qualche finestra del cortile comincia a illuminarsi. Iside e Bianca, in disparte, seguitano a parlare fitto fitto, senza curarsi del povero Tommasino. Ogni tanto da uno dei cortili una voce di donna chiama senza convinzione: «Iside, Iside... »).
La questione, caro signor Massimo, volete sapere qual è? Che siamo tutti matti.
Il signor Massimo Eh! Su questo non vi dò torto.
Il Portiere Matti. Io, come portiere, ne ho viste di quelle...
Il signor Massimo Va bene, ma per i Macciò, è diverso, disturbano. Per quésto dicevo di telefonare.
Il Portiere (accendendo la lampada dell'androne) Matti. Voi fate passare le famiglie del palazzo, chi una cosa, chi un'altra: matti. Non sanno quello che vogliono.
Il signor Massimo (amareggiato) Sapete che cosa basterebbe? La creanza. Che ognuno stesse a sé.
Il Portiere Cosa volete, le persone non possono mica stare senza strofinarsi uno con l'altro! All'ommini gli piace le femmine, e alle femmine gli piace l'ommini. Dice: nasce la confusione. Naturale. Secondo me... (S'interrompe, resta in ascolto) Eccoli. Hanno ricominciato a leticare.
(Nel quartierino dei Macciò è ricominciato il litigio. Tutti smettono di parlare e tendono l'orecchio).
Il signor Massimo Che vi dicevo? Troppo, troppo. In tutte le case si letica. Ma questi troppo, troppo.
Il Portiere (facendogli cenno di tacere) Sttt. (Tutti rimangono in silenzio a sentire).
Iside Lui dev'essere uscito. Ha sbattuto la porta.
Il Portiere (guardando verso le scale) Sì. scende le scale. (Alle serve) Via, via voialtre, che fate lì? Quello s'adombra di nulla.
Iside Eccolo.
(I curiosi cercano di darsi un contegno. Appare il signor Macciò, alto, grosso, vestito dimessamente, rosso in volto e corrucciato. Passa tra i curiosi, che evitano di guardarlo. È sulla strada. È sparito).
Il Portiere (al signor Massimo) Telefonargli... dite bene, voi. L'avete visto, no?
Iside Mamma mia, com'era furioso.
Il signor Massimo (amareggiato) Telefonargli a nome del commendatore, magari. Facendo finta che sia il commendatore.
Il Portiere Volete scommettere che ora esce lei? Così fanno. Prima litigano, sembrano lì lì per cavarsi le budella. E dopo poco, eccoli, freschi come rose, uno va al caffè, l'altra a spasso, con le unghie rosse. Oppure al cinematografo.
Il signor Massimo (disgustato, andandosene) Mah! Buona sera, signor Angelo.
Il Portiere Buona sera. (Volgendosi alle domestiche) Ma voialtre, ci fate le radici, qui? La senti, tu, la tua padrona, è un'ora che ti chiama. Iside, Iside...
Iside (guardando verso il cortile, a bassa voce) Avevate ragione. Ora esce lei. Eccola. La Macciò.
Il Portiere (a bassa voce) Che razza di gente!
(Dal cortile appare la signora Elisa Macciò, che sta uscendo di casa).
Elisa (traversa, diretta alla strada; esita, si volge al portiere) Per favore... posta per me?
Il Portiere (col tono annoiato di chi dà una risposta orinai consueta) No, signora, no.
Elisa (esitando ancora) Tante volte... Ortesi... il mio nome di ragazza...
Il Portiere Lo so, signora. No, né Macciò né Ortesi.
Elisa Scusate. Buona sera.
Il Portiere Buona sera.
Elisa (esce verso la strada).
(Entra, provenendo dalla strada, il commendatore Antonio Quinzi, un uomo oltre la cinquantina. Quasi contemporaneamente si ode il grido del lattivendolo: « Latte! Latte! » e lo squillo della sua trombetta).
Il Portiere (raggiungendo Antonio nel cortile) Commendatore.
Antonio (quasi di soprassalto) Eh...
Il Portiere (porgendoli i giornali) Posta, commendatore. Giornali.
Antonio (mettendoli in tasca, con una specie di grugnito) Sì. Grazie.
Il Portiere Anche oggi ha fatto un gran caldo, commendatore.
Antonio (grugnendo) Sì. Buona sera.
Il Portiere Buona sera, commendatore.
(Intanto varie donne e domestiche sono scese col pentolino del latte. Si ode ancora il grido del lattivendolo e lo squillo della trombetta: « Latte... Latte... ». È ormai sera).
La solita voce Iside...
Iside (di pessimo umore) Eh, vengo, vengo. Andiamo Tommasino. (Al portiere, avviandosi) A me la sera, a quest'ora, mettermi sui fornelli a cucinare, mi si casca il cuore, ci credete? Beata la Macciò, almeno lei va a spasso.
La voce del Lattivendolo Latte... Latte...
La scena si oscura. Mentre dura tale oscuramento si continua a sentire il grido del lattivendolo: «Latte! Latte ». Quando le luci si riaccendono, siamo in casa del commendator Antonio Quinzi.
QUADRO SECONDO
Stanza da letto, trasformabile in studio-salottino, del commendator Antonio Quinzi. Pochi minuti sono trascorsi dal primo quadro.
(Sono nella starna l'ingegner Nibbi e la signora Candida, madre di Antonio. L'ingegnere è imbarazzato dal cappello che ha in mano, si capisce che è in visita, gli è stata portata una limonata. La signora è molto vecchia, resa addirittura trasparente dall'età, ha sempre un bastoncino al quale però non si appoggia troppo, ha un filo di voce, mozzato dal respiro oppresso; ogni tanto si alza silenziosamente per mettere a posto qualche soprammobile).
Candida (tendendo l'orecchio e il dito, poi alzandosi) Mi pare che sia lui. È proprio lui. Eccolo.
Antonio (entra, avendo ancora il cappello in testa e in mano la posta avuta dal portiere).
Candida Antonio, c'è qui l'ingegnere, che è venuto a parlarti... della Questione dei Macciò. I signori Macciò.
Nibbi (rugiadoso) Buona sera, commendatore. Ero venuto...
Antonio (mettendo giù carte e cappello) Buona sera.
Nibbi (rugiadoso) La vostra signora mamma ha voluto gentilmente tenermi compagnia...
Antonio Accomodatevi. La questione dei Macciò?
(Intanto, silenziosamente, Candida è uscita dalla stanza).
Nibbi Sì. Ne ho anche accennato con la vostra signora mamma.
Antonio (cui quel nome sembra non dire gran che) Gli inquilini Macciò...
Nibbi Probabilmente anche voi non ne sapete molto... Noi impiegati si è sempre fuori di casa... Voi poi state nel palazzo da poco.
Antonio Però sì, di questi Macciò ne ho sentito parlare.
Nibbi Probabilmente, commendatore, voi neppure li avrete mai visti.
Antonio Non li ho mai visti.
Nibbi Sì, le loro finestre danno su un altro cortile. E così non avrete mai avuto il piacere di assistere alle loro scenate.
Antonio So che si tratta di persone...
Nibbi ... equivoche, commendatore, equivoche. Lui afferma di essere rappresentante, non si sa di che, passa la vita al biliardo qui all'angolo. Ma forse il peggio è la dorma: una mezza pazza, occhi spiritati, capelli tinti, neanche brutta, se vogliamo. (Abbassando la voce) Pare che uomini entrino quando lui, il marito, è fuori - marito per modo di dire... - e anche quando lui è in casa, si dice. Pare che siano stati intravisti dalla finestra spettacoli... non belli. Voi capite la situazione dei vicini. Dovreste parlare con mia moglie, commendatore. Soprattutto le risse, ogni tanto, fra lui e lei, vere risse, minacce con la rivoltella, pianti, urla, anche di notte.
Antonio Capisco. E allora?
(È rientrata da qualche istante, silenziosamente al solito, la signora Candida).
Nibbi E allora, con altri inquilini, riservatamente, si era pensato... qualche cosa... ma si voleva prima di tutto sentire il parere dell'inquilino... più autorevole... più elevato.
Antonio (fa un gesto di modestia).
Nibbi Sì era pensato... oh, niente di antipatico, lo dicevo appunto qui alla vostra signora mamma. Si era pensato di interessare l'Azienda Fabbricati, e ottenere così che i Macciò, con ogni buona maniera, vengano traslocati in un altro stabile della Società, in via Fares!
Candida (al figlio) Pare che sia... uno stabile bellissimo, meglio di questo.
Nibbi Più salubre. Un po' più periferico, popolare. Gli stessi Macciò vi si troveranno molto più a loro agio, tra gente... più alla buona, più abituata agli strilli.
Candida (che è rimasta in piedi e va assestando qua e là dei soprammobili) Secondo me è l'unica... soluzione.
Nibbi Una soluzione... benigna, umana.
Candida Pare che lei sia... una bella donna, vero? Noi non li abbiamo mai visti. Là sentiamo, purtroppo. (Indicando il figlio) Specialmente mio figlio, poverino.
Nibbi (meravigliato) Li sentite. I Macciò. E in che modo?
Candida Di qui. Da questa stanza. Antonio... non glielo hai detto?
Antonio Ma sì, mamma si stava appunto parlando...
Candida (a Nibbi) Noi stiamo proprio... a muro, coi Macciò. Non lo sapevate? Eccolo lì. Da là, da quel muro... da quella porta, ci sono loro. C'è una vecchia porta condannata.
Nibbi (pensandoci) Scusate, non mi orizzonto. (Va verso la finestra).
Candida No, di lì non vedete nulla. I due appartamenti...
Nibbi (terminando, forbito) ... si voltano le spalle. Capisco. Ah, ma allora li sentite!
Antonio Bè, qualche volta. Ogni tanto. (Con l'aria di voler concludere il colloquio) Ad ogni modo, va bene, ingegnere. Se voi credete che il mio nome possa giovare, va bene, io aderisco.
Nibbi Mille grazie, commendatore, mille grazie. Scusate, vi dispiacerebbe, dato che siamo qui, se la letterina per l'Azienda Fabbricati la buttassimo giù ora, insieme? (Ha cavato di tasca un foglio).
Antonio (non troppo entusiasta) Adesso? La lettera?
Candida Certo, Antonio. Si guadagna tempo.
Nibbi (che è con la sedia accanto al tavolo, disponendosi a scrivere) Guardate, commendatore, voi mi dettate, si fa in un momento. Avevo già scritto l'intestazione.
Candida Io vi lascio... al vostro lavoro.
Nibbi Buona sera, signora. Omaggi.
Candida (fa un piccolo inchino col capo, esce).
Nibbi (con la penna in mano, leggendo nel suo foglio) Spettabile direzione Azienda Fabbricati... (Attende con la penna in aria, che Antonio prosegua).
Antonio (dettando) Un inconveniente... di cui...
Nibbi ... di cui...
Antonio (correggendosi) ... la cui; la cui importanza...
Nibbi ... importanza... (ripete) ... importanza...
Antonio (fa due o tre passi; si volta all'ingegnere) Sentite, ingegnere; sto pensando che forse bisogna rimandare tutto, sapete?
Nibbi (incerto) Rimandare?
Antonio Voi avete informato della cosa il cavalier Molza?
Nibbi Non ancora.
Antonio È un uomo ombroso. Si offenderebbe, se lo informassimo a cose fatte.
Nibbi Ah. Voi credete che prima bisognerebbe...
Antonio Sì. Dovreste parlargliene.
Nibbi (un po' perplesso) Va bene, va bene, se credete... Posso telefonargli domani.
Antonio (in tono di congedo) Ecco, domani; e noi... ci rivediamo dopodomani, va bene?
Nibbi (alzandosi) Dopodomani, benissimo, come volete. (Preparandosi ad andarsene, un po' stupito del brusco congedo) Allora... siamo d'accordo... e... buona sera.
Antonio (accompagnandolo) Buona sera, ingegnere.
Nibbi (uscendo) Conosco la strada, buona sera. (Esce).
Antonio (resta un momento sull'uscio, pensieroso; poi richiama l'altro) Ingegnere. Ingegnere.
Nibbi (riapparendo) Volevate qualche cosa? Si tratta della lettera?
Antonio Sì. Accomodatevi. (Pausa) Vi dirò che, ripensandoci, mi è venuto qualche dubbio sull'opportunità del nostro passo.
Nibbi Ah...
Antonio Trovo, ecco, che... la cosa, per quanto presentata con tatto, sarà sempre parecchio offensiva, umiliante, per i Macciò, non è vero? Essere giudicati indegni...
Nibbi Commendatore mio, quelli devono averci il callo a queste cose. E poi noi dobbiamo pure salvaguardare la nostra quiete.
Antonio Sì, indubbiamente. Voi li conoscete?
Nibbi I Macciò?
Antonio Sì.
Nibbi Li avrò incontrati un paio di volte.
Antonio Io mai, ve l'ho detto. (Imbarazzato) Eppure... non vi stupite, è come se un po' li conoscessi.
Nibbi (capisce) Ah! Il muro. La porta.
Antonio Sì. Il muro. (Pausa) Mah! Voi ingegnere avete famiglia, figlioli?
Nibbi (un po' stupito) Tre. Tre figlioli.
Antonio Io sono rimasto scapolo.
Nibbi Meglio.
Antonio Alle volte mi sembra quasi ridicolo, che un uomo della mia età abbia ancora la mamma.
Nibbi È una fortuna. Magari io.
Antonio Ho anche dei nipoti. La mia vita è molto tranquilla. Vedete, questa primavera, quando siamo venuti in questa casa, abbiamo avute alcune settimane piovose. La sera, anziché uscire a far due passi... - io dovrei uscire, dopo cena, sono un po' a regime - invece, restavo qui. Una sera stavo per mettermi a letto... (Indica il divano-letto) Io dormo qui, l'appartamento è un po' ristretto. Dunque una sera... udii una voce.
Nibbi (indicando il muro) Dal muro.
Antonio Sì. Da allora, a poco a poco, qualche volta...
Nibbi Siete rimasto a sentire.
Antonio Senza volere. La parete è sottile.
Nibbi Le costruzioni moderne, il cemento. E poi, lì, con quella porta. Sarà una gran seccatura.
Antonio Non un gran che.
Nibbi Un diversivo.
Antonio (impacciato) La sera, quando torno qui, in fondo non saprei che fare... (ride) forse proverei una mezza delusione se a un dato momento non sentissi quei pazzi, di là. È un po' diventata... un'abitudine, una compagnia. Non v'ho detto niente, prima, perché quasi mi vergognavo.
Nibbi Per carità. Un po' di curiosità la sentiamo tutti. Anche io, al posto vostro, qualche volta... l'avrei messo, l'orecchio al muro.
Antonio (sorridendo, imbarazzato) — A dir la verità, proprio con l'orecchio al muro, non ci sono mica stato...
Nibbi (affrettandosi) Dicevo per dire, naturalmente. (Interessato) Li sentite anche di notte? Vi disturberanno.
Antonio Non troppo. Io del resto dormo poco. In fondo, dormire o stare sveglio è lo stesso.
Nibbi Si capisce quel che dicono?
Antonio No. Un borbottìo. Si arriva magari a distinguere qualche parola isolata. Parole comuni, sciocche, sapete? Fa meraviglia sentirle ripetere con quella rabbia, quella disperazione. Una volta non fecero che dire « minestra ».
Nibbi (stupito) « Minestra » ?
Antonio Sì, bisticciando, dicevano (imitando): « Minestra... minestra... ». Non si capiva altro.
Nibbi (fra sé, come facendo la prova) Minestra... Minestra... (Ride) Del resto questa è una parola abbastanza importante nella vita.
Antonio Oppure: « Sabato... sabato... ».
Nibbi Sabato?
Antonio Sabato. Oppure: « Letto... letto... ». Parole così. Non altro. Il resto si perde.
Nibbi Dev'essere curioso, vero?
Antonio C'è questo, di curioso: che quel borbottio, a un dato momento, si fa ancora più fioco, poi un gran silenzio. Probabilmente i Macciò sono andati in una stanza più lontana. Vedendolo, sarebbe una cosa naturalissima. Invece, così, sentire quelle voci diventare... deboli, quasi sperdute, e poi sparire, da una specie di pena, di stupore. Poi, d'un tratto, rieccole, vicinissime, aspre. Gridano. Essi sono a un palmo da me...
Nibbi Sicuro. Dì là dal muro. Di là della porta. Una semplice tavola.
Antonio Ma io, non conoscendoli, non posso nemmeno figurarmi le loro facce, gli oggetti che toccano... non riesco a seguire la linea dei motivi, capite? E così tutto sembra senza senso; senza senso, strano. Poi quel borbottio si allontana di nuovo... pare che sia stato un vento a portarlo via; ora mettiamo un tonfo...; poi ancora minestra...; l'acqua del brocchetto... giù... giù... minestra... sabato... Insomma, è strano.
Nibbi Ma le ragioni della loro discordia, si arriva a capirle, almeno? Perché si odiano tanto? Si capirà ben qualche cosa dalle voci ; le intonazioni, il suono.
Antonio (pensieroso) Sapete, che cosa sembra? Come se essi, mentre s'arrabbiano e parlano, in fondo pensassero: « Ma perché sto qui ad affannarmi? Lo so benissimo che non serve a niente ». Un suono monotono, triste. Senza fiducia.
Nibbi (cercando di rendersi conto) Senza fiducia.
Antonio Quelle voci che vanno, vengono, così deboli... fa l'impressione che siano... di persone morte.
Nibbi Morte?
Antonio Morte; e che di loro siano rimaste solo quelle vocette nell'aria, inutili, spaurite. Certe volte mi metto a fantasticare... dove andrò io quando... non ci sarò più. (D'un tratto, soprapensiero, come trasognato) Una volta vidi demolire un muraglione... e dentro c'era un filo d'erba, proprio un filo... lungo... bianco, una specie di verme...
Nibbi (stupito, un po' a disagio, guardandolo) Ah! Un filo d'erba nel muro.
Antonio Sì. Aveva girato in mezzo alle pietre, al buio... (Come riscuotendosi) Ma questo veramente non c'entra affatto. (Dopo una pausa, indicando la parete) Insomma, quella gente mi fa... non so neanche se pena, compassione, dispetto. La verità è che penso a loro. Penso a loro. Viviamo così accanto! Sentirei un dispiacere, a far loro del male. (Un silenzio).
Nibbi Capisco. Tutte così, le case moderne. Si sente tutto, bisognerebbe trattenersi anche dal respirare. In via Basalto, dove stavamo prima noi: se uno spillo, dico uno spillo, cadeva al piano di sopra, noi si sentiva lo spillo. Una volta ci capitò, sopra a noi, una coppia un po' giovane. Non vi dico: si sentiva tutto. Tutto, capite? (Ride; scherzoso, ammiccando) Probabilmente anche voi, signor commendatore, oltre alla gente morta, sentirete... delle altre cose, penserete qualche volta... (indica il muro) anche alla donna viva...
Antonio (pensieroso, umile) Certo, si pensa anche a questo. Cosa volete. Siamo fatti così. (Esitando) È... è davvero una bella donna?
Nibbi Vistosa, procace. Dicono che il dottor Mischi, che abita di faccia, la vede... benissimo... al naturale. Lei lo fa apposta, tiene la finestra aperta.
Antonio (un po' a disagio) Aperta apposta?
Nibbi Sì. Quando si spoglia. (Abbassando la voce) Se voi volete... credo che sia una cosa facile. Le fate arrivare una parola da qualcuna di queste serve...
Antonio (imbarazzato, cercando di ridere) No, no. Non sono tipo. Non vorrei mischiarmi. Quel che vorrei, è soltanto...
Nibbi (completando) ... che a quella gente non venga dato fastidio. Commendatore, che cosa devo dirvi: il vostro interessamento... è troppo... autorevole...
Antonio Non vorrei però che se ne parlasse in giro. Resterei... imbarazzato.
Nibbi (ambiguo) Penso io, commendatore. Penso io.
Antonio (come per giustificarsi ancora) Vedete, far loro una cattiveria mi dispiacerebbe soprattutto per via della bambina.
Nibbi Quale bambina?
Antonio La bambina dei Macciò.
Nibbi I Macciò hanno una bambina?
Antonio Sì.
Nibbi Non lo sapevo.
Antonio Si sente di rado. Verso l'imbrunire, quando essi vanno fuori, si vede che allora la lasciano sola, e lei forse ha un po' paura, sola in casa; e si mette a cantare. Sottovoce. Una vocetta. Ma io la sento.
Nibbi Curiosa.
Antonio Sembrerebbe sugli otto, nove anni. Canta una vecchia canzoncina che io conosco: « Quando la luna la travalca i monti ». Questa, anzi, sarebbe l'ora sua; stavo appunto con l'orecchio teso, per sentire se cominciava. (D'un tratto, quasi commovendosi, cercando di ridere) Una vocetta... una vocetta... che vi posso dire, fa venire addirittura le lacrime.
Nibbi Mah! (Alzandosi e preparandosi a congedarsi) Insomma ho capito, commendatore. Penserò io. Siamo d'accordo... (si interrompe).
Antonio (stringendogli il braccio, a bassa voce) Eccola. La bambina. (I due uomini stanno perfettamente silenziosi e immobili, a sentire il canto della bambina che si udrà appena, un solo attimo, estremamente fievole. Subito dopo) Ha già smesso.
Nibbi Avevate ragione. Povera piccolina. In quella famigliaccia.
Antonio (accompagnando l'ingegnere verso l'uscio) Vi dico che mi fa venire le lacrime. Non devono trattarla troppo bene. Mi fa ricordare una mia nipotina, una certa Luigina, che morì; è stata quest'altra bambina, che me l'ha fatta tornare in mente; che confusione di pensieri, di ricordi, in noi. (Pensieroso) Luigina. Alle volte penso che forse non siamo stati abbastanza affettuosi con lei. Ora è nel cimitero di Senigallia. Era tanto brava a scuola, savia. Portava due crocchiette di capelli qui...
(S'interrompe. Si ode ancora, fievolissimo, ma un po' meno di prima, il canto della bambina. I due uomini stanno immobili ad ascoltarlo).
La scena si oscura. Mentre dura l'oscuramento si continuerà a sentire quel canto. Quando la luce si riaccende, siamo in casa dei Macciò.
QUADRO TERZO
Camera da letto in casa Macciò. L'ambiente esprime disordine e ristrettezza.
Elisa (sola e singhiozzando, in ciabatte e vestaglia, sta tirando fuori dal comò roba e vestiti che sparge furiosamente intorno; d'un tratto smette e si butta sul letto, seguitando a singhiozzare. Qualcuno bussa all'uscio) Avanti.
Assunta (domestica a mezzo servizio dei Macciò, entrando) Posso mettere in ordine?
Elisa Sì. È uscito?
Assunta (cominciando a rifare la camera) È uscito ora.
Elisa Spero che muoia in strada; che lo riportino a casa morto. (Accende una sigaretta, poi si alza pigramente, va allo specchio, si esamina lungamente il volto, cominciando a passarsi il pettine tra i capelli).
Assunta (rifacendo la camera) Mi sono avanzate due lire, le ho messe là sul tavolo. Il lattiven-dolo dice che deve avere ventotto lire. (Osservando i vestiti buttati qua e là) Avete messo fuori i vestiti? (Vi rovista in mezzo) Questo bianco sarebbe ancora bello.
Elisa Ti piacerebbe? Assunta, se dovessi morire, te lo lascio.
Assunta (scettica) Sì, sì. Voi a parole mi date tutto. M'avevate promesso anche il vestito blu.
Elisa (improvvisamente lacrimosa) Te li metterai tutti, i miei vestiti, non dubitare.
Assunta Non dovete parlare così, signora.
Elisa (col fazzoletto agli occhi) E che ci sto a fare io al mondo! È stato un grande sbaglio quando sono nata, almeno m'avessero dato un po' di salute. Uno di questi giorni salgo in terrazza, mi butto giù, faccio un volo, vedrai. Sono una schifosa, se non lo faccio.
Assunta (prudente, rifacendo il letto) Avete ancora leticato col signor Macciò?
Elisa (impetuosa) Tirami fuori la valigia, Assunta. Buttaci dentro quei pochi stracci. Deve tornare a casa, quel vigliacco, e non mi ci deve trovare. Pigliami la valigia.
Assunta (senza darle retta) Sì, la valigia! Così il signor Macciò vi ammazza.
Elisa Meglio. (Con un impeto di pianto) Se non mi ammazza lui, lo ammazzo io, uno di questi giorni prendo la rivoltella e lo brucio. Vigliacco. Sono diventata una vecchia, basterebbe questo dente. Ma io vo via, sai?, vo via.
Assunta Signora mia, proprio adesso ve ne volete andare? Adesso che per voi può essere capitata... (Abbassando la voce) Chi sa che cosa, magari la fortuna?
Elisa (compiaciuta e pure alzando le spalle) Sì, la fortuna!
Assunta Questa famosa persona, questo tale, bisognerà pure che si faccia conoscere, una volta! Vi farà magari un segno quando passate, quando siete in finestra.
Elisa (ricominciando a pettinarsi) Tu hai saputo più niente da quella Marcella? Che t'ha détto, insomma !
Assunta (col tono di chi ripete una cosa già detta tante volte) Che c'è un signore qui della casa che ogni tanto domanda di voi, come siete, tante cose.
Elisa Come sono. Cos'è, è orbo, non mi vede? (Fuma) Auff, troppo caldo, non mi va d'uscire. Dammi la vestaglia rosa.
Assunta (eccitata) Vi mettete in finestra? Vedrete che questo tale o prima o poi vi fa un segno.
Elisa Mica che m'importi, sai? (Ha cambiato vestaglia; osservandola) Accidenti, anche questa è macchiata. (Respingendo Assunta che vorrebbe anche lei accostarsi alla finestra) Tu no, ci mancherebbe, che mi facessi vedere in finestra accanto alla serva. Va', va'. Va' in cucina, guarda un po' le patate.
Assunta (offesa) Vado, però io sono a mezzo servizio, per la cucina non sarei obbligata. (Va in cucina).
Elisa (si dà ancora un'aggiustatina ai capelli, scosta le tendine, si affaccia; quasi subito si ritrae con aria corrucciata).
Assunta (rientrando) Ebbene, non vi siete affacciata?
Elisa (con furore) C'è sempre quell'altro vigliacco di fronte che appena m'affaccio comincia a far lo stupido.
Assunta Il signor Mischi?
Elisa Sì. Cretino. (Facendo le corna) Tò. Tò. Possa cascare dalla finestra.
Assunta (ricominciando le sue faccende) E se fosse lui?
Elisa (con l'aria di saperla lunga) No, non è lui. Questa persona... che s'interessa a me, pare che sia una persona... intelligente, istruita...
Assunta (curiosa, riprendendo a rassettare) Come fate a saperlo? Avete saputo qualche cosa?
Elisa Va', va', sei troppo chiacchierona. Troppo ragazza. (Fuma) Tu fai all'amore?
Assunta (dignitosa) C'era uno che mi voleva, ma è troppo presto, per me.
Elisa Quanti anni hai?
Assunta Diciassette.
Elisa Io all'età tua ero già bello che servita.
Assunta (sentenziosa) Quello che vogliono gli uomini, è di ottenere il loro scopo, si sa.
Elisa (con disgusto) Tante parole, tante immaginazioni, e poi... Bella porcheria. A me, quando li sento, che s'accostano, con quei ragionamenti ipocriti, quei modi appiccicosi... ah, gli darei una coltellata. Prima a loro, poi a me.
Assunta Del resto anche il signor Macciò mica vi vuol male.
Elisa (col solito impeto di lacrime) Mi ha rovinato! Mi ha rovinato! (Quasi calma) Guarda, Assunta, se uno di questi giorni mi trovano qui morta, su questo letto, ricordati quello che ti dico: è stato lui che m'ha ammazzato. Ma tu devi dirlo a tutti, capito? Giuralo, che lo dirai, giuralo.
Assunta (scettica) Lo giuro, lo giuro. (Maliziosa) Ci si mette anche lui, il signor Macciò, a spiare dietro le tende, per vedere di scoprire questa cosa.
Elisa Ha rabbia perché adesso c'è chi mi difende, capisci? (Divertita) Dovevi vederlo la prima volta quando è venuta la telefonata!
Assunta (curiosa) Sì? S'è arrabbiato?
Elisa (ride) Uh! Non era più neanche capace di parlare. Stava lì a balbettare: a Chi è? Chi parla? ». Sì, aspettalo. Da allora in poi, quando noi alziamo la voce, quello telefona.
Assunta E che dice?
Elisa (commovendosi) Che Macciò se ne approfitta di me, ma che stia attento perché d'ora in poi c'è una persona che mi difende.
Assunta Secondo me questa persona sapete chi è? È uno ammalato, per questo non vuol farsi vedere. Mettiamo uno di quelli che hanno quelle macchie, quelle piaghe in faccia, e si vergognano di farsi vedere.
Elisa Se fosse così... Ah, se fosse così, ammalato, infelice... (Col solito facile impeto di lacrime) Guarda, gli starei vicino, vorrei sacrificarmi, qualunque cosa.
Assunta Anche se vi facesse schifo?
Elisa Sono io che dovrei fare schifo.
Assunta Potrebbe anche essere che a telefonare, invece, sia qualcuno qui della casa che lo fa per scherzo, per cattiveria.
Elisa No. No. Ci ho pensato bene, sai? Secondo me è una persona... un tipo diverso da tutti gli altri.
Assunta E perché?
Elisa Perché dimostra di avere sentimento. Se no, che vuoi, avrebbe fatto come questi altri vigliacchi.
(Incomincia l'imbrunire. Vengono da fuori i soliti esercizi di pianoforte)
Chissà dove mi avrà vista.
Assunta Magari per le scale.
Elisa Potrebbe anche avermi incontrato... chi sa dove, anche in qualche viaggio. E qui m'ha riconosciuta. L'altra sera, appena buio, stavo affacciata e s'è illuminata una finestra giù, al primo piano. Sta a sentire, ora ti faccio ridere. Dunque s'è illuminata, un chiarore bello, un po' verde, si vedevano le tende che si muovevano con l'aria. E d'un tratto m'accorgo che dietro la tenda c'era uno, contro luce, pareva proprio che guardasse a me, sai? Ma fisso, come incantato...
Assunta (incerta, affascinata) Era lui!
Elisa Sai che ci ho creduto davvero? M'era cominciato un batticuore, un batticuore...
Assunta E invece?
Elisa Era un pupazzo, un busto di gesso, di legno, che ne so io, accidenti a lui e a chi l'ha messo lì!
Assunta (ridendo) Ah, questa è buffa davvero!
Elisa Fortune. Sì, io! Se il Signore fa avere delle fortune a me, è segno che non ci sta più con la testa.
Assunta Che vuol dire? Il Signore sa tante cose, legge nel cuore.
Elisa E poi non vedi come mi sono ridotta?
Assunta Siete ancora una bella donna. Basta che sia destinato, sapete?
(Ormai è sera; le due donne parlano sedute al buio, la finestra è diventata un rettangolo chiaro, un po' azzurro).
Elisa Peccato, l'altra notte ho fatto un sogno, e me lo sono subito scordato! Però mi rammento che era un sogno di felicità, di contentezza, e che mi dispiaceva tanto svegliarmi.
Assunta Io certe volte mi sogno che sto in barchetta e vado su un fiume, ma un fiume d'un celeste come un raso, una bell'acqua che corre via così forte che quasi mette paura. Da una parte e dall'altra sono monti alti, tutti verdi e teneri, sembra proprio di stare in paradiso. (Pausa). Avete letto quel fatto di quel soldato, che era un pastore, trovatello, come sarebbe figlio di nessuno; dunque hanno avuto una battaglia e lui è rimasto colpito. Succede che nel curarlo gli trovano al collo una medaglia e chiamano il colonnello. Indovinate un po'? Il padre del pastore...
Elisa Era il colonnello!
Assunta Proprio lui. E così è guarito...
Elisa Sarà rimasto col colonnello.
Assunta Certo! È diventato un signore. Che felicità, eh?
Elisa Del resto guarda, questa me l'hanno raccontata: è successa a una vecchina di campagna, che non aveva più un dente in bocca, campava di croste di pane a mollo. Era rimasta sola perché il figlio le era partito, da vent'anni, e dicevano tutti che era morto. Una sera dunque, lei stava a dire il rosario sola sola, bussa un forestiero, e chiede da dormire. O sai che la vecchina gli ha detto che non aveva posto? Perché s'era im-paurita. (Ride).
Assunta (ridendo) E così non gli voleva neanche aprire?
Elisa Aprire? Lei aveva preso una pignatta e diceva che se lui non se ne andava lei gliela tirava dalla finestra!
Assunta (ridendo di cuore) Gli tirava la pignatta in testa!
Elisa E lui le diceva (fingendo una voce da orco): « Come, non avete posto? O non avete quel trespolo nella stanza delle patate? ».
Assunta E poi?
Elisa Poi lui le disse (con voce naturale): « O Annetta, ma davvero non mi riconoscete? ».
Assunta Era proprio il figlio, no?
Elisa Proprio lui, il figlio, che era diventato un gran signore.
Assunta Ora quella vecchia, altro che croste a mollo. Lei mangerà maccheroni e pollastri! Che consolazione !
Elisa E del resto, quello che capitò a me, a Milano? Te l'ho raccontato, no? Anche quella era una vecchietta, guarda, si chiamava proprio Assunta come te. Ma quella mica lavava i piatti, quella era padrona di mezza Milano!
Assunta (diffidente) Come sarebbe, mezza Milano.
Elisa Le case di Milano. Metà erano sue. Noi abitavamo a uscio. Ebbene, m'aveva preso a benvolere! Più d'una figlia, mi considerava!
Assunta (diffidente) Come, più d'una figlia.
Elisa Sicuro. Se, mettiamo, rinfrescava, ecco che lei veniva: « Elisa, ci hai pensato a metterti un po' greve? ». Lei voleva far testamento, lasciarmi tutto, capisci? (Commuovendosi) Ma a me che me ne importa dei soldi! Quello che voglio è che mi vogliano bene, che pensino a me. Sui soldi io ci sputo.
Assunta (alzandosi) Sì, sì. Ma l'altra volta m'avete detto che questa vecchina si chiamava Luigia ed era contessa. (Un silenzio).
Elisa Io t'ho detto questo? Sei tu che sbagli.
Assunta No, che non mi sbaglio. Bè, signora, io ho finito, per me s'è fatto tardi, bisogna che vada.
Elisa Aspetta ancora un po', è presto. Guarda, prendiamo le carte, giochiamo io e te.
Assunta Non posso, signora. È davvero tardi.
Elisa (a bassa voce) Assunta, aspetta. Lo vuoi sapere come si chiama quella persona?
Assunta Quello che vi difende?
Elisa Sì. Però starai zitta?
Assunta Giuro.
Elisa Devi sapere che la gente del palazzo si era messa tutta contro di noi, per farci cacciare via.
Assunta Ma davvero?
Elisa Sì. Ebbene: c'è stato uno che non ha voluto. Per me. Per non farmi avere un dispiacere. E" tutti gli altri hanno dovuto ubbidirgli.
Assunta Allora è lui? Quello che domanda, che telefona?
Elisa Certo. Io dico che è sempre lui.
Assunta Come si chiama?
Elisa (a bassa voce) Quinzi. Un commendatore. Macciò non m'ha voluto spiegare altro, lui è invelenito. Quinzi.
Assunta Quinzi! Ma certo. Dà sull'altro cortile, per questo non lo vedete! (Giungendo le mani) Uh, Madonna mia!
Elisa Che c'è?
Assunta Madonna mia! Ma quello è vecchio.
Elisa Vecchio?
Assunta Quello vi potrebbe essere padre! È uno importante, sarà anche ricco. Quello è birbo.
Elisa Ah. Guarda un po'.
Assunta Altro che. Padre, vi potrebbe essere.
Elisa Ha moglie?
Assunta No. Lui ha il suo scopo. Si vede che gli piacete.
Elisa Ma guarda. Più sono vecchi e più sono sporchi. Tò. (Sputa).
Assunta Non siete contenta che sia ricco?
Elisa Sì, però mi fa rabbia.
Assunta Vecchio, ricco e birbo: quello è la fortuna vostra.
Elisa Possa andare a male lui e i suoi soldi. Adesso capisco! Ma guarda che birbaccione, sono settimane che si interessa, il vecchietto. Dov'è che ha l'appartamento?
Assunta (interrompendosi) Oh, Madonna mia, le patate.
(Corre via: ha sentito che la pentola delle patate sta traboccando sul gas).
Elisa (gridandole dietro, irosa, lamentosa) Corri, fa presto. Anche le patate! Non abbiamo altro a cena. Non hai un pensiero, mai! Accidenti a te, alle chiacchiere e a tutto!
(Resta sola, accanto alla finestra, ancora un po' chiara. Si sentono le eterne scale sul pianoforte).
La voce del lattivendolo (dal cortile, col solito suono di trombetta) Latte! Latte!
Assunta (riapparendo sulla porta) Ho spento. Buona sera, signora.
Elisa Buona sera, Assunta. (Ripensandoci) Me lo fai un favore? Ci vai dal tabaccaio a prendermi un po' di sigarette? Gli dici che domani pago ogni cosa.
Assunta Il tabaccaio! (Facendo il gesto con le dita) Lui vuole questi, lo sapete bene.
Elisa Bè, allora lascia stare. Domanda se ci fosse qualche cosa di posta.
Assunta (scettica) Sì, avete voglia. Sono dei mesi che seguito a domandare... (Esce).
Elisa (resta lì, sola, in mezzo alla scena).
ATTO SECONDO
QUADRO PRIMO
L'ufficio di Antonio nel Palazzo della Prefettura
Si sente il battito di un orologio. Sera, luci accese.
(Antonio è al suo tavolo; il commendatore Cardi, suo collega, è venuto nella stanza per discutere una certa pratica).
Cardi Caro collega, mi permetto di rileggere. (Leggendo in un fascicolo, con l'aria di averlo già fatto molte altre volte): « Quanto disposto all'articolo quattro, capoverso secondo, del presente decreto e agli articoli quattordici e sedici prima parte del regolamento d'esecuzione di cui alla circolare ministeriale (accentuando) dovrà intendersi in subordinazione e conformità (ripetendo con intenzione) in subordinazione e conformità... delle disposizioni (terminando rapidamente) di cui agli articoli...», eccetera eccetera. Più chiaro si muore.
Antonio (levandogli il fascicolo di mano) Caro collega, ma poi viene il resto, viene il seguito. (Leggendo): « ...le disposizioni di cui agli articoli eccetera eccetera (con intenzione) in quanto applicabili e senza pregiudizio della norma di cui all'articolo due del Testo Unico citato ».
Cardi (sillabando) « In considerazione e conformità! ». Espressione solenne, categorica.
Antonio (persuasivo) « In quanto applicabili e senza pregiudizio », eccetera eccetera.
Cardi (un po' spazientito) Caro collega, intendiamoci, io non ho nessun interesse. Va bene, saranno regolamenti fatti coi piedi, non discuto. Ma un significato dovrà pur averlo, il richiamo! In subordinazione e conformità! Se voi il richiamo me lo calcolate zero, dove va a finire il capoverso? E se cade il capoverso, me lo salutate, voi, il Testo Unico?
Antonio Va bene, va bene; ma la contraddizione, caro collega, la vera contraddizione... (si interrompe).
Un Usciere (entrando) Commendatore, quella donna non se ne vuole andare.
Antonio Quale donna?
L'Usciere Quella signorina che aspetta.
Antonio (spazientito) Ma voi le avete detto...
L'Usciere (terminando) ...sissignore, che la giornata del pubblico è il sabato dalle quindici eccetera. Quella non se ne va. È venuta anche stamane. Anche ieri.
Cardi Sarebbe quella bionda?
L'Usciere Quella di ieri.
Cardi (ad Antonio) Mi ha domandato se ero il commendatore Quinzi. (Scherzoso) Eh eh... Quella ti vuole, ti cerca, ti brama. Mi raccomando, caro collega.
L'Usciere Dice che vi conosce.
Antonio A me?
L'Usciere A voi.
Antonio Come avete detto che si chiama?
L'Usciere Ortesi.
Antonio Ortesi? Non so chi sia. Com'è?
L'Usciere (ridendo) Così così, passabile. Dice che tiene cose d'importanza.
Cardi Quella ti appetisce.
Antonio Ditele che non ci sono, che sono uscito.
L'Usciere Va bene. Le dico che siete uscito. (Esce).
Antonio (a Cardi) Caro collega, non si ha idea dei seccatori che capitano in questo ufficio. (Riprendendo la questione) Dunque, dicevamo: la vera contraddizione esistente fra le due disposizioni... (si interrompe).
L'Usciere (rientrando) Commendatore, dice la signorina...
Elisa (vestita piuttosto vistosamente, si affaccia alle spalle dell'usciere, scivola dentro) Un minuto solo, signor commendatore. Scusate, non mi mandate via, non vi faccio perdere tempo. Voi siete il commendatore Quinzi, vero?
Antonio (brusco) E voi?
Elisa Ortesi, signor commendatore. Ortesi, Voi mi conoscete.
Antonio (brusco) Non mi ricordo.
Elisa Inquilini dello stesso palazzo. Macciò: dovete conoscermi come Macciò. Posso sedere?
Antonio (la cui voce è restata burbera) Prego.
Elisa (siede, lanciando un'occhiata vittoriosa all'usciere).
L'Usciere (se ne va alzando le spalle).
Cardi (andandosene a sua volta) Bè, caro collega, io vo a consultare sulla questione il consigliere Pernaudo. Sentiamo lui.
Antonio Sentiamo lui, va bene.
Cardi (uscendo, con una certa intenzione) Arrivederci, caro collega.
Elisa (tossisce, sorride) Scuserete tanto. Io non avrei mai osato di venire qui a disturbarvi... se non avessi saputo che voi siete una persona tanto gentile. Lo dicono tutti nel palazzo. Noi abitiamo nello stesso palazzo. Mi avrete forse incontrata, qualche volta, sul portone...
Antonio (brusco) No, mai. (Sbirciandola) Voi siete... la signora Macciò?
Elisa Sissignore.
Antonio E... di che si tratta?
Elisa (falsa) Si tratta... si tratta che io sono una vittima, signor commendatore.
Antonio E... cioè?
Elisa (divincolandosi) Una povera signora sola, in un paese forestiero, senza una conoscenza, un aiuto, nessuno che mi dia ascolto. Una vittima, signore; da dieci anni! Vorrei dividermi da Macciò. Vorrei lasciarlo.
Antonio Siete... sposata al signor Macciò?
Elisa Signor commendatore, se dovessi raccontarvi la mia vita! A diciotto anni, ero una bambina; che cosa può capire una bambina? Sono stata sedotta, sì, dal signor Macciò. Sedotta a diciotto anni.
Antonio (a disagio) Sentite, signorina, io qui mi occupo di questioni... molto diverse da quelle che...
Elisa Lo so, signor commendatore, lo so. Porse voi mi giudicherete male perché sono venuta da voi. Ma io, da chi potevo andare? Sono vari giorni che cerco di parlarvi. Basta guardarvi, del resto, per capire... quanto siete buono, affabile, simpatico. (Gli sorride, si divincola) E poi guardate, voi non ve ne ricorderete, ma io sono certa che noi ci siamo incontrati. Appena sono entrata, l'ho detto subito: « Noi ci siamo conosciuti ». Sapete dove, forse? A Livorno.
Antonio (a disagio) Non sono mai stato a Livorno.
Elisa Oppure qui. Tante volte al caffè Ferraguti.
Antonio No, non ci vado mai. Credo di non avervi mai vista.
Elisa (sorridendo, incredula) Neanche così, passando?
Antonio No. Questa è la prima volta.
Elisa (ride, non crede troppo) Può darsi, tante volte si vede una persona e si dice: « Ma dove l'ho conosciuto, io, quello lì? ». E magari non è vero, è un'idea. (Guardandosi intorno) Questo è il vostro studio?
Antonio Sì.
Elisa Bello. In conclusione, signor commendatore, lo scopo mio è di andar via da Macciò e non vederlo più.
Antonio (a disagio) Sentite, signorina, non so... che cosa c'entri io in tutto questo. Se voi non siete... sposata al signor Macciò e avete i vostri motivi per lasciarlo, dovete fare una cosa molto semplice. Fare le valigie e andarvene.
Elisa (disinvolta) Sì, ma allora lui mi uccide.
Antonio Come sarebbe vi uccide?
Elisa Non è la prima volta che tenta: con la rivoltella. La tiene nel comò. A Milano mi hanno salvato le persone, mi aveva quasi strangolata, voleva buttarmi dalla finestra.
Antonio E... scusate, perché?
Elisa Per qualunque ragione. Per esempio non vuole che io vada via. Dice che lui mi lascia andare, sì, ma da morta, quando m'avrà uccisa stilla a stilla.
Antonio (imbarazzato) Capisco. Ma io, signora, non ho veste per entrare in situazioni... così intime. Cercate di riconciliarvi con lui.
Elisa (romantica) Non posso. Non lo amo più. Voi siete un uomo navigato, le capite certe cose. Vorrei ricominciare la mia vita. (Civettuola) Non sono ancora poi tanto vecchia!
Antonio (tossendo) Siete... una bella... signora.
Elisa Voi volete lusingarmi, voi sì che siete ancora un giovanotto. Ad ogni modo perché non avrei diritto di cercarmi... un'affezione sincera?
Antonio Però lui... vi vuole ancora bene, a quanto posso capire.
Elisa Mi odia, signor commendatore. Dice che io l'ho rovinato, che lui adesso poteva avere una posizione. Mi odia anche per via del Brasile.
Antonio (intontito) Il Brasile?
Elisa Sì, dice sempre che se non era per me, lui sarebbe partito con un suo amico, poteva aver fatto fortuna; come se io non sapessi che il suo amico è sempre qua, si trovano a giocare tutte le sere. Eh, se sapeste quante ne ho passate! (Guardandolo, con una certa intenzione) Avrei tanto bisogno di qualcuno... che mi desse un appoggio.
Antonio (deciso a schermirsi) Signora, le vostre questioni esulano totalmente dalla mia competenza.
Elisa (lo guarda, ride) Questo me l'avete già detto.
Antonio (deciso) Voglio dire che non posso interessarmi.
Elisa Sapete perché rido? Perché credevo... che voi vi foste già interessato. (Ride).
Antonio (imbarazzato) Interessato... a che cosa?
Elisa Ma, non so, credevo che aveste... anche telefonato... a casa mia. Un qualche motivo l'avrete avuto, che ne devo sapere io? (Ride) È stato per questo che io ho avuto l'ardire di venir qui.
Antonio Telefonato? No, signora. Telefonato! Io non mi sono mai permesso di telefonare a nessuno!
Elisa (sorridendo) Capisco, sapete? Forse voi, adesso... vi sentite un po' imbarazzato, sono stata una sciocca a parlarvi... di questo.
Antonio Signorina, vi assicuro...
Elisa Sì, va bene, non importa. (Un po' risentita) Pel resto non vi preoccupate, me ne vado anche subito. Non voglio disturbarvi. Io volevo solo un consiglio. Io non posso più vivere così. Io devo, devo assolutamente separarmi da Macciò. Ci sono tanti fatti, motivi. Cose gravissime. Patti.
Antonio (un po' curioso) Fatti... di che genere?
Elisa (incerta) Patti? Basterebbe... quello di Paolina.
Antonio E chi sarebbe Paolina?
Elisa Chi sarebbe Paolina. Paolina... sarebbe stata la figlia... della sua prima moglie. Io avevo diciotto anni, signore, sua moglie era di là, in agonia. Per fortuna voi siete un uomo, capite le cose.
Antonio Sicché questa Paolina?
Elisa Ah, sì. Mi si era affezionata. Me l'ha levata.
Antonio Quando?
Elisa Cinque anni fa.
Antonio Cinque anni fa?
Elisa Sì. L'ha mandata via. (Misteriosa) Non si sa dove.
Antonio E perché l'ha mandata via?
Elisa Per odio a me. Perché io, secondo lui, non ero degna, la guastavo. Perché io sono leggera, dice lui. Ebbene, mi cacci via, se sono leggera. E Invece basta che io ne parli, di lasciarlo, diventa matto di rabbia. Mi cacci via! E invece una volta mi corse perfino dietro. Fu l'anno scorso, a Milano, non ve l'ho detto?
Antonio (intontito) Non mi pare.
Elisa Sì, fu quando io tentai d'avvelenarmi. Che confusione, vero? Che matassa, che imbrogli! Io stessa non mi ci raccapezzo. Eccola, la mia vita! La mia vita! Dovete sapere che questo Macciò... voi avete detto che mi vuole bene, nientemeno! Tutte le donne fanno per lui: le più sporche, le serve; in presenza mia, lo fa apposta. Porta a casa degli amici, poi lui si mette a dire che io li guardo, comincia a dire: « Fate pure, coraggio ». Posso avere degli obblighi, verso un uomo simile? Posso andare avanti così? (Un silenzio).
Antonio (con serietà e dolcezza) Pensavo alla bambina.
Elisa (incerta) Dite quella Paolina? È passato molto tempo da allora. Mi faceva tanta compagnia.
Antonio Non dico di Paolina. Pensavo che anche ora l'avete, la compagnia.
Elisa (guardandolo dubbiosa) La compagnia? Voi dite...
Antonio Penso all'altra bambina. Alle volte ci si immagina di essere soli e non pensiamo che invece c'è qualcuno, accanto a noi.
Elisa (dopo un silenzio, guardandolo) Che cosa volete dire?
Antonio Che un affetto, un semplice affetto ci può consolare di tante cose. Basta capirlo, accor-gersene.
Elisa (incerta) Un affetto?
Antonio Sì. Anche io, per esempio, anni fa, avrei potuto averla anche io, una compagnia; anche io: una bambinetta. Sarei stato meno solo. Ci ho ripensato... da quando son venuto ad abitare vicino a voi.
Elisa (turbata) Ma che cosa volete dire?
Antonio (esitante, impacciato) Vedete, ioabito veramente vicino a voi. E certe volte, certe sere, io sento... (si interrompe).
(Da qualche momento si odono nel corridoio delle voci alterate. La porta si spalanca, appare l'usciere).
L'Usciere Commendatore, c'è questo signore che insiste a dire... Un momento, voi, un momento...
Pietro (è apparso alle spalle dell'usciere, si è fatto largo con violenza, è entrato; pacato, minaccioso, a Elisa) Che fai qui?
Antonio (turbato) Si può sapere... si può sapere che cosa...
L'Usciere Signor commendatore...
Pietro (d'un tratto, sempre a Elisa, gridando) Che fai tu qui?
Antonio (aMacciò) — Piano, piano, cos'è? Cosa volete voi?
Pietro (ad Antonio, man mano gridando) Che cosa voglio, eh? Che cosa voglio. E voi, allora, egregio signore, si potrebbe sapere, voi, che cosa volete?
Antonio Vi prego...
Pietro ... si potrebbe sapere, voi, perché v'intromettete? Chi vi ha chiamato? Non avreste qualche altra cosa da fare, voi, invece di dare ascolto alle storie di questa signora? Credete che non le sappia a memoria, io, le storie che v'ha raccontato?
Antonio Vi prego, intanto, di uscire dal mio ufficio!
Pietro Sì, bravo, alzate la voce! (Alzandola lui) Ma sicuro! Credete che questa signora sia venuta da voi perché vi trova interessante, seducente, non è vero? Lo capite sì o no che è una donna guasta dentro, corrotta, cattiva?
Elisa (ansando) Sì, è vero, Macciò. Ma sei stato tu a farmici diventare. Sei stato tu.
Pietro Non è vero. Bugiarda. (Ad Antonio) Basterebbe che io vi dicessi... dove l'ho trovata, io; di che cosa è stata capace.
Elisa Macciò, e perché non mi hai ammazzato? Dovevi avere più coraggio, dovevi ammazzarmi!
Pietro Lo farò, lo farò. Da un pezzo, dovevo levarti dal mondo.
Elisa (cominciando ad alzare la voce) Macciò, me ne vado, sai? Non ti posso più vedere. Questa volta me ne vado davvero.
Pietro (quasi pacato) No, Elisa, mai. Saresti troppo contenta; devi finire sotto le mie mani.
Elisa (d'un tratto, prorompendo anche lei a voce altissima) Vigliacco! Vigliacco! (Ad Antonio) Lo sapete perché mi tiene? Perché non può fare a meno di me, capite? Perché è un vizioso, un vizioso: e io, una disgraziata.
Pietro (ad Antonio) È matta, è matta, signore. È una disgraziata.
Antonio Via via, andate via. (All'usciere) Cacciatelo fuori.
L'Usciere (cercando di spinger via Pietro) Andate via, insomma; volete capirla?
Pietro (liberandosi dall'usciere, con un ritorno d'impeto, a Elisa) Ti mando al manicomio, ecco dove ti mando, ti faccio legare!
Elisa (battendosi sul petto, singhiozzando, senza lacrime) Perché sono una donnaccia, per questo non può fare a meno di me! Ecco, cos'è! Vedete che bella cosa? È stato lui, avevo diciotto anni, diciotto anni... (singhiozza).
Pietro Sei una matta, una disgraziata. Sei malata, sei moribonda, e non muori mai! (Ad Antonio) Non muore mai! Almeno morisse! Morisse. (All'usciere) Lasciatemi, vo via da me. (Scuotendo la testa e dirigendosi verso la porta, come se fosse molto stanco) In conclusione... io ero un brav'uomo, un impiegato... È stata una gran disgrazia, incontrarla. Me ne vo, me ne vo, non so neanche perché sono venuto. Tanto è lo stesso, non c'è niente da fare. (Esce, seguito dall'usciere).
(Un silenzio).
Elisa (con voce tutta diversa, sprezzante, calma) —. Vi sentite stomacato, vero? Fatevi coraggio, credo che voi non siate molto migliore. È stata colpa vostra, se m'è passato in testa di venire qui. Vorrei solo sapere perché vi siete impicciato di me, dei nostri affari.
Antonio Vi assicuro... vi ripeto che le mie intenzioni...
Elisa (con un breve impeto) E perché, allora, perché... Vorrei almeno capire... perché, il motivo... (Vincendosi e alzando le spalle) Bè, non importa. (Raccoglie guanti e borsetta, estrae lo specchietto, si guarda asciugandosi il viso sudato) Fra un po' d'anni... sapete quelle vecchie, anche ubriache, che dormono nei portoni? Sono già molto sciupata, ha ragione Macciò, sono diventata una bisaccia, sono fortunata che ci sia lui a farmi campare. (Smettendo dall'incipriarsi, pensierosa) Ora vado a casa. Ceniamo, c'è solo da riscaldare. E poi a letto. (Pausa) Dopo un po' che è spento, Pietro allunga una mano... Facciamo pace. Bella vita, no? Non ho nessuno.
Antonio (timidamente) E la bambina?
Elisa (sospettosamente) Ma quale bambina, insomma?
Antonio La bambina che sta nella vostra casa.
Elisa (c. s.) La bambina che sta nella mia casa...
Antonio Sì. La sento sempre, quasi tutte le sere. Quando resta sola in casa, si mette a cantare. Canta: « Quando la luna la travalca i monti ».
Elisa (ride un po') Ah, ho capito. (Breve pausa) Sono io, sapete. Certe volte sto lì, la sera, non so che fare... Voi dite sempre « una bambina, una bambina », e sono io.
Antonio (stupito) Voi! Siete voi?
Elisa Sì. Forse è diversa la voce perché... mi è venuta questa vociaccia. E allora mi viene di cantare in falsetto, è come un'altra voce.
Antonio Curioso. Strano. Provate un po'.
Elisa (a mette a ridere, poi si accinge a contentarlo, canticchia) « Quando la luna... » (Si interrompe; un silenzio; d'un tratto, con altra voce, umile, dolorosa) Ah, mi vergogno. (Va verso la porta, di qui si volta; con meraviglia e un certo sgomento) Ma insomma, che cosa volete da me? Perché mi avete cercata? Che cosa volete da me? Che cosa volete? (Esce).
La scena si oscura. Mentre dura tale oscuramento, seguita il battito dell'orologio, e la voce di Elisa seguita a bisbigliare: « Che cosa volete? Che cosa volete da me? ». Quando la luce si riaccende siamo in casa dei Macciò.
QUADRO SECONDO
Camera da letto di Elisa e Pietro.
Notte alta. La stanza è in penombra.
(Pietro è buttato vestito sul letto e sta guardando il giornale. Elisa immobile, pensierosa, è seduta davanti la toletta. Un lungo silenzio).
Pietro (ride leggendo il giornale; poi lo butta via, si alza) Non c'è proprio nulla in questi giornali. Eh, Elisa. Sei ancora lì. Io mi spoglio, ho sonno. (Sbadiglia; sta cercando qualche cosa, prima nel cassetto del comodino, poi nel comò; si ferma per dare un'occhiata alla moglie) Si può sapere che fai, lì?
Elisa (distratta) Niente.
Pietro (con asprezza e brontolando) Stai a pensare a quello là? Ci pensiamo anche alla notte... (accennando alla parete vicina) al commendatore. Anche la notte dobbiamo pensarci. Quel che mi dispiace è di non avergli dato una lezione, a quell'imbecille, a quel vecchio. Si può sapere che cosa vuole da noi, che cosa cerca? (Con altra voce) Magari sarà arrabbiato perché lo disturbiamo. Quando siamo in saletta ci deve sentire, si sarà seccato. (Seguitando a cercare) Dove diavolo... C'erano ancora delle sigarette... Le hai prese tu? Eccole. (Le ha trovate, si dispone ad accenderne una).
Elisa (dopo un silenzio, come distratta, gingillandosi con qualche cosa della toeletta) No, non è che lo disturbiamo. Anzi, è stato lui a difenderci, a farci restare nella casa.
Pietro (finisce di accendere la sigaretta, poi, beffardo) Ah! Allora vuol dire che gli sei piaciuta. Gli piaci. (Comincia a sciogliersi la cravatta, in silenzio) Andiamo a letto. Spicciati, dev'essere tardissimo. (Si tocca qualche cosa sulla guancia, forse un piccolo foruncolo, va ad esaminarselo allo specchio) Oggi ho rivisto Giuliano. Pare che quel suo amico arrivi prestissimo. Dice che l'affare si combina, lui è sicuro. Ci si potrebbe guadagnare parecchio, tutto sta a cominciare. Se si combina ti compro un vestito.
Elisa (sempre come distratta) Anch'io credevo... come dici tu, che gli fossi piaciuta. Invece no, sai? Non è questo, ne sono sicura.
Pietro (con acrimonia, cominciando a togliersi la giacca) Per quello che m'importa, figurati. Mi fate ridere. (Un silenzio).
Elisa (c. s.) Spero di non doverlo più incontrare.
Pietro Ah, il commendatore? E perché?
Elisa (alzando le spalle) Perché... mi fa stizza. Mi ha annoiata.
Pietro (sprezzante) Ah, ti ha annoiata.
Elisa Cosa vuole da noi insomma? Tutte queste storie, questi sotterfugi... Viene persino in mente... che ci sia venuto apposta, qui, ad abitare qui, vicino a noi, a muro.
Pietro Apposta. Come, apposta?
Elisa Che ne devo sapere. Sembra quasi... come se avesse... che ne so, un qualche motivo... speciale, nascosto, per interessarsi a noi. Diversamente non si spiegherebbe, no?
Pietro (con disprezzo) Vieni a letto, spicciati. Mi fai pena. Un motivo speciale, nascosto!
Elisa Se no non si spiegherebbero... tutte queste cose, questi sotterfugi. Non si capirebbe perché ha fatto tutto questo.
Pietro (ha un breve ghigno, poi con una specie di stanchezza, di disgusto, riprendendo a spogliarsi) Mi fa una specie di mal di stomaco, a sentirti. Sempre con le idee, le stupidaggini, vorrei sapere che cosa hai in testa. Vorrei sapere perché deve nascere la gente come te. Mi fai pena sul serio, non mi fai neanche più arrabbiare.
Elisa (ritta in mezzo alla stanza, quasi fra sé) Mi ha parlato di quando ero piccola. Ha detto che gli dispiaceva tanto dì essere rimasto tanti anni... solo... senza... la bambina.
Pietro Ma che vai dicendo!
Elisa S'era fatto pallido, tremava. Come se avesse avuto... un gran rimorso, ecco: rimorso. Io ho avuto paura. È per questo che seguito a pensarci.
Pietro (con durezza) T'avverto che ho sonno e queste sciocchezze cominciano a rodermi i nervi. Anche di notte dobbiamo discorrerne. Ogni giorno una, mi hai stancato, capisci? Ora poi abbiamo trovato il protettore, il vecchietto, lo spasimante.
Elisa (con odio) T'ho detto che non è questo. (Breve pausa) Mi fai ribrezzo, non vedo l'ora di andarmene e di non sentirti più.
Pietro (con acrimonia) « Non è questo »! Perché tu non ci sei mica abituata, macché. Non c'è stata una volta che un uomo ti sia passato accanto senza...
Elisa (quasi a se stessa) Però questa volta no.
Pietro « Però questa volta no »! Strano, vero? Curioso.
Elisa (c. s.) Lo so, tu non puoi capire.
Pietro (con livore) « Io non posso capire ». Mi fai ridere. Chi sa chi credi di essere, con quella vestaglia sporca, quella faccia unta. Hai tempo a ungerti la faccia, gli anni ti si vedono, sai? Cara mia, è passato quel tempo. Dici sempre che te ne vai, te ne vai. Vorrei vedere. Dove, te ne vai, dove? Neanche nei posti dei soldati, ti vogliono. Se non ci fossi io che ti faccio campare! Troppo stupido, sono, sono troppo buono.
Elisa (quasi pacata) Mi hai sempre insultata, Macciò.
Pietro E tu? E tu? Credi d'avermi fatto fare una bella vita? Sono dieci anni che ti sopporto.
Elisa (con un improvviso impeto di pianto) E tu sono dieci anni che mi insulti!
Pietro Ah, ti risenti adesso? Perché adesso c'è quello che ti tratta da signora; abbiamo il difensore, adesso, il protettore.
Elisa Sì, sì. C'è uno finalmente che mi rispetta...
Pietro Ci penso io, quello, a prenderlo a schiaffi. Quell'imbecille che ti monta la testa: non ha nessun diritto d'impicciarsi, nessun diritto, nessuna ragione!
Elisa (piangente, impetuosa) Ha più ragione di te, ha più diritto di te. (Con un grido lacrimoso) Sono stanca, sono stanca, non ne posso più!
Pietro (prendendola per i polsi e scrollandola con ferocia) Non gridare, non gridare, che tanto è inutile. Sei una disgraziata, una pazza! Le questioni nostre sono qui, fra noi due; è inutile che ti agiti, che speri! Voglio vederlo quello che può mettersi in mezzo!
Elisa (scarmigliata, fuori di sé) Perché mi vedi senza nessuno, vero? Nessuno, sola, neanche un parente! Vigliacco, basterebbe che ci fosse qualcuno!
Pietro Quello là poi lo prendo a calci, lo vedi il diritto.
Elisa (c. s.) No, non lo prendi a calci! Lasciami! (D'un tratto si svincola, resta lì un momento coi capelli sul viso, china; poi lentamente solleva il viso e lo libera dai capelli; calma, un po' rigida) Sai, Pietro? Io credo che sia un mio parente, sai? Quello là.
Pietro Cosa? Cosa?
Elisa (un po' rigida) Sai, tante volte gli uomini vanno con una donna, poi lei di qua, lui di là, che ne sanno, se nasce una creatura? Gli viene dopo, agli uomini, il pensiero, il rimorso.
Pietro Il rimorso? Ma che vai dicendo. Visionaria! Pazza!
Elisa (dopo un silenzio, con un breve riso isterico) Mi ha detto che è mio padre. Me l'ha detto lui. (Un silenzio).
Pietro Cosa t'ha detto?
Elisa Che è mìo padre. Sì, sì, insomma me lo ha fatto capire, l'ho capito benissimo... (Con un grido e un impeto di pianto) E io vado da lui, non ci vado nei posti da soldati, vado da mio padre! Mio padre! (Un silenzio).
Pietro (scoppia a ridere, una lunga risata che s'interrompe, poi riprende, irrefrenabile).
La scena si oscura. Mentre dura tale oscuramento, si continuerà a sentire quella risata. Quando la luce si riaccende siamo in un viale lungo il fiume.
QUADRO TERZO
Viale con panchine lungo il fiume.
La giornata volge all'imbrunire, sale una leggera nebbia.
Pietro (guarda verso il fondo del viale; evidentemente sta attendendo qualcuno; ora ha quasi un moto per nascondersi).
Antonio (appare; egli percorre il marciapiede deserto, tenendo il giornale spiegato).
Pietro (accostandogli) Buona sera.
Antonio (abbassando il giornale, sorpreso) Buona sera.
Pietro (leggermente imbarazzato e insieme aspro) Scusate. Avrei da parlavi.
(Antonio lo guarda a disagio. Viene ogni tanto la voce di un giornalaio lontano che ripete: « Giornale della Sera, ultima edizione. Giornale della Sera, ultima edizione» ).
Antonio Veramente io andavo...
Pietro (con ruvidezza) Devo dirvi una cosa. Vi ho aspettato apposta. (Imbarazzato a cominciare) Volevo anche spiegarvi che la donna, l'altro giorno, vi ha spacciato un sacco di frottole.
Antonio Sono abituato ad ascoltare tante cose.
Pietro Il da fare di quella donna è di inventarsi delle assurdità, delle cattiverie. Vorrebbe che la gente s'occupasse di lei.
Antonio (cercando di disimpegnarsi) Scusate, ma io... già m'ero reso conto...
Pietro Cos'è, avete paura di perdere il decoro, fermandovi a parlare con me?
Antonio Ma niente affatto.
Pietro Degnatevi, allora; aspettate. Ho una cosa da dirvi. Sediamoci un momento, vi prego.
Antonio (a disagio, sedendo insieme all'altro su una panchina) Vi assicuro che io credo d'aver già capito benissimo...
Pietro (con sarcasmo) Ah, voi avete capito... voi non vi interessate... Però la donna vi piaceva, no? Peccato quel dente mancante, vero?
Antonio Vi assicuro che vi sbagliate.
Pietro Va bene. Mi sbaglio. Ma allora, caro signore, si potrebbe sapere... per quale altro motivo avete cercato di mischiarvi ai fatti nostri...
Antonio Ma io...
Pietro ... di ficcare il naso nelle nostre faccende? Cos'è, vi divertiamo? Noi non abbiamo mica bisogno di nessuno. Noi ce le sbrighiamo da soli, le nostre storie, io e l'Elisa. Voi siete una persona importante, adesso andate a casa, a mangiare, con una bella tovaglia, voi ci compatite, siete superiore. Caro signore, voi, per esempio, non avete mai fatto niente di brutto, di sudicio?
Antonio (con una specie di dolcezza) Sono cose che riguardano me solo.
Pietro (arrabbiandosi) E allora che volete da noi! Lasciateci stare e non fate nascere storie. (Ghignando) A noi, quello che ci manca, in fondo, è una piccolezza: i soldi. Ma noi siamo matti, a noi ci garba così, ci piacciono i guai, ci piace tanto la miseria e litigare. Voi certe cose non le potete capire.
Antonio (con una specie di dolcezza) Non crediate poi che i vostri casi siano tanto straordinari. Non siate tanto orgoglioso.
Pietro Bravo bravo. Voi avete studiato. Anche io ho studiato. Noi per voi siamo due animaletti da star li a guardarli, a toccarli con la punta del bastone. Gli facciamo compassione. È questo, che mi fa ridere. Arriva lui, e già crede di poter giudicare! (Si interrompe, con altra voce) Caro signore, io sono dieci anni che ci sto assieme, con quella là. Dieci anni. Bella roba!
Antonio (a bassa voce) Perché dite sempre che quella donna ha rovinato la vostra vita?
Pietro Perché è vero. (Pensieroso) Delle volte si mette a canticchiare intieri pomeriggi, per dispetto, come se diventasse pazza, pazza. Io le parlo e lei non risponde. Ce l'ha con me, capite? Mi odia.
Antonio (sommessamente) E perché non la lasciate?
Pietro (come se non avesse udito) Avrebbe potuto essere anche simpatica, delle volte mi dice: « Ohé, Pietro, vogliamo andare a mangiare il cocomero? ». Invece, mi odia. Non si cura neanche di sé, di nulla, sarebbe capace di qualsiasi cosa. Voi avete fatto male a montarle la testa. Una volta, l'anno scorso, mi puntò la rivoltella. Crede che sia stato io, colpa mia, se la sua vita è andata così, male. Colpa mia. Bisognerebbe pestarle la testa con una pietra. (Fa un sospiro) Ma forse è inutile. È andata così. Bella vita. (Con altra voce) Scusate, signore, questa è una brutt'ora, viene il cattivo umore. A quest'ora gli uomini anziani - lo sono anch'io, ormai - vanno per la strada, e le donnine, che sono furbe, gli fanno dei sorrisi, agli uomini anziani, verso quest'ora. Capiterà anche a voi. Vedete quella là? È due volte che passa e guarda. Per questo dicevo. (Infatti è passata e ripassata una donnina molto tinta e vestita modestamente. Si sente, lontana, la solita voce: « Giornale della Sera, ultima edizione. Giornale della Sera, ultima edizione »).
Antonio Perché voi dite che io... le avrei montato la testa?
Pietro Perché quella là, il suo da fare, è di stare ore e ore a immaginarsi... che cosa le sarebbe successo, che cosa le potrebbe succedere, se le cose, mettiamo, invece di andare in un modo, fossero andate in un altro...
Antonio Questo lo facciamo un po' tutti.
Pietro Ma lei ci ragiona su giorno e notte! Finisce che si mette in testa delle idee, è una stupida. (Esita) Guardate, quando ha saputo che c'era qualcuno nel palazzo, che domandava di lei, ebbene, lei ha cominciato subito a parlare tutta dignitosa, tutta nobile, a me mi compativa; io non ero degno, cose da ridere, capite? È anche questo: che non ha mai avuto nessuno. La madre era un'affittaca-mere, ma un po' peggio. H padre... lei non l'ha mai visto. Era uno di Genova, un certo Paolo; un « fidanzato » della madre, che poi sparì. Un tappezziere. Un ubbriacone. Lei non l'ha mai visto. E così, sapete, quei cani bastardi, senza padrone? Non occorre mica fargli una carezza, basta guardarli. E quelli si illudono. (Esita) L'Elisa adesso ha paura d'incontrarvi.
Antonio Paura?
Pietro Dice che si vergogna di farsi vedere da voi.
Antonio (stupito) Si vergogna di me?
Pietro Sì. È tutta una questione. (Si alza, un po' agitato) In un certo senso non le dò neanche torto. Siete stato voi.
Antonio Io!
Pietro Sì. Dovevate seguitare a occuparvi dei fatti vostri, ecco tutto. Noi non sapevamo neanche che voi foste al mondo. (Duramente) L'avrei capito se vi fosse piaciuto la donna.
Antonio Vi ho detto...
Pietro (alza le spalle, ride amaramente) Lo so, bravo, voi non pensate a questo. (Con aspra ironia) Uh! Lei è rimasta di stucco, sapete? È stato questo, che l'ha spaventata! Caro signore, la gente cattiva si conturba, si confonde, vedendosi trattata bene. È meglio lasciarla stare, la gente cattiva. (Breve pausa; con ruvidezza) Quella là s'è messa in testa un sacco di cose.
Antonio Cioè? Che cose?
Pietro Dice che voi ci siete venuto apposta, ad abitare vicino a noi; per starle vicino, per difenderla.
Antonio (stupito) Per difenderla?
Pietro Sentite, l'altra notte s'è messa ancora a parlare di questo. Io ero seccato, mi sono un po' inquietato. (Come affascinato e rivedendo la scena) E lei ha gridato che era stanca. E io allora l'ho presa per i polsi e la scuotevo, così. Mi sentivo qui... (si tocca verso lo stomaco) una specie di nausea, di paura, pensavo a quei fatti sul giornale, quando trovano delle donne ammazzate, mezze nude, in camicia, sopra lo scendiletto, strozzate. Lei aveva i capelli sulla faccia. D'un tratto s'è svincolata e aveva una faccia con le labbra addirittura bianche, stava diritta, così, pallida. Io l'ho guardata; e lei allora mi ha detto una cosa. Su voi.
Antonio Su me?
Pietro Sì. S'è messa a dire un po' piangendo, un po' ridendo, che scappava via di casa, veniva da voi.
Antonio Da me! E voi oggi mi avete aspettato per farmi saper questo?
Pietro Io ridevo. Però...
Antonio Ma insomma che cosa volete dire?
Pietro Ha detto che voi dovete essere un suo parente.
Antonio (stupitissimo) Io un suo parente! Dite un po', volete scherzare?
Pietro Dice che siete stato voi, a dirglielo.
Antonio Ma non è vero! È una bugia enorme!
Pietro Lo so. Lei l'ha buttata li per far colpo. Però poi, a furia di pensarci, quella è capace d'essersi mezza persuasa.
Antonio Ma è una cosa perfettamente ridicola, stupida. Una pazzia.
Pietro Sì, è una donna così. Forse la cosa più stupida è di darle importanza. Per esempio quel tappezziere di Genova, suo padre. Lei s'è messa a dire che non è vero. Così. Che potrebbe essere tutta una invenzione della madre, la storia del fidanzato, per rendere la cosa più decente, più sentimentale...
Antonio Ah! E così?
Pietro Sentite, non volevo parlarvene, guai se l'Elisa lo sa. (Breve silenzio) Mi ha detto che voi. forse, potreste essere suo padre.
Antonio Cosa?
Pietro Suo padre. Che lei potrebbe essere una figlia vostra avuta così, per caso.
Antonio (non si sa se più indignato o diffidente) Suo... padre! Ah, bene. Un'idea fissa. Divertente. Suo padre, eh? Basterebbe pensare...
Pietro (con serietà) Caro signore, vogliamo perdere il tempo? So benissimo che si tratta d'una stupidaggine, una grulleria.
Antonio (diffidente) E voi allora perché siete venuto a parlarmene?
Pietro Perché volevo... volevo avvertirvi di stare attento, ecco. Questo, volevo dirvi. Cacciatela via. Trattatela da sgualdrina. Ma state attento nel parlare.
Antonio (molto in guardia) E perché?
Pietro Perché anche nei discorsi più semplici quella là sarebbe capace di vederci degli accenni, degli appigli, per potersi convincere di più. Sarebbe una cosa brutta, pericolosa. Ciò che occorre, per tutti, è di fare il callo alla propria vita. Anche per ima donna così, è brutto mettersi in testa delle idee, delle fantasie. Ecco quel che volevo dirvi: di stare attento. (Un silenzio).
Antonio (dopo essersi alzato, con durezza) Starò attentissimo, non dubitate. Io sono una persona onesta, ma ho una certa pratica di mondo. Forse diventerò anche io uno di quei vecchietti così facili da abbindolare; per ora ci siamo lontani.
Pietro Che c'entra, questo?
Antonio Dite alla vostra amica che non capisco ancora bene, ma mi sembra di sentire in tutte queste storie, idee fisse, eccetera, un'odore che non mi piace. Mi piacciono poco, le cose confuse, gli imbrogli, n padre, eh? Non vorrei che la vostra amica fosse semplicemente una donna intraprendente, furba. Ma anche io, benché sia una persona onesta, non sono uno sciocco. Diteglielo pure, alla vostra amica. (Un silenzio).
Pietro (guarda l'altro, poi, impetuosamente) Non avete capito niente. È più pulita l'Elisa a far la donnaccia in fondo a un letto, che voi con tutte le vostre onestà. Siete un disgraziato. (Gli volta le spalle, se ne va).
Antonio (resta lì, pensieroso).
Pietro (è appena uscito, che torna indietro, acceso) Non avete capito niente. Vi ci vorrebbe una lezione.
Antonio Parlate piano, non voglio pubblicità.
Pietro (quasi gridando) Lo sapete che certe volte io litigo a morte con l'Elisa, poi me ne vo, comincio a girare per le strade, e a poco a poco mi sento diventare tutto sudato dalla paura?
Antonio Piano, piano.
Pietro Lo sapete di che ho paura, lo sapete? Ho paura che di lì a poco, tornando a casa, io guardo là in fondo, sotto le mie finestre, e ci vedo della gente spaventata, che sta a guardare in terra, sul selciato. (Abbassando la voce) Ho paura che lei s'ammazzi, capite? Potrebbe farlo benissimo, quella non bada a niente, è una sciocca, voi non la conoscete. Io l'ho lasciata viva, viva, e potrei rivedere... solo una cosa orrenda, insanguinata. Capite che cosa vado pensando, mentre vo per le strade? Lo sapete che mi devo far forza per non mettermi a correre come un matto verso casa? Che me ne importa di quello che è, l'Elisa, basta che io tornando, aprendo la porta, la senta, di là, viva; viva. Sul resto ci sputo. (Indicando fuori scena, con altra voce) Guardate: quella bambina, laggiù. Mettiamo che fra poco, fra un'ora, lei debba cadere, lì, nel fiume, non c'è nessuno, annega. Lei corre sulle aiuole e non lo sa, ma noi lo sappiamo. Fra un'ora. Ebbene, voi la vorreste sgridare perché coglie i fiori? Fa qualche cosa di male? « Oh figlia, cara, vuoi dei fiori, sì, coglili. Quello che vuoi ». (Gridando) Tanti fiori, tutti tutti tutti i fiori che ci sono nel mondo! (Gridando) Fa, fa, qualunque cosa, le più brutte, ma vivi vivi cara, vivi! (Pensando, con voce improvvisamente bassa) Il bello è che siamo tutti così, moriremo tutti, avremmo tutti bisogno... che ci permettessero... di fare qualche cosa... (Tornando alla sua agitazione) Ma l'Elisa... l'Elisa mi ha fatto sempre l'impressione... che fosse come fragile, capite? Così sciocchina. Una cosa che oggi c'è e domani non c'è più, senza stabilità: delicata, ecco. (Abbassando la voce) Forse bisognava essere... affettuosi, riguardosi, con lei. In fondo siamo tutti così... provvisori... fragili. (Quasi fra sé) Ma lei anche di più. Sì, è delicata. Bisognerebbe stare attenti. Buonasera. (Esce).
Antonio (resta lì turbato: è ormai buio. Si ode, sempre, lontano, « Giornale della Sera, ultima edizione. Giornale della Sera, ultima edizione »).
La scena si oscura. Mentre dura tale oscuramento, la voce lontana seguita a ripetere: « Giornale della Sera, ultima edizione. Giornale della Sera, ultima edizione ». Quando la luce si riaccende, siamo in casa di Antonio.
QUADRO QUARTO
Camera-salottino di Antonio. È ormai sera, la stanza è quasi buia.
Pochi giorni sono trascorsi dal quadro precedente.
Antonio (è disteso sul divano-letto; dopo qualche momento, udendo un piccolo rumore, si alza sul gomito) Chi è? (Più forte) Chi è? (Silenzio). Mamma, sei tu? (Accende la luce) Chi è? (S'interrompe, scende dal divano: Elisa sta sulla soglia).
Elisa (con asprezza) Scusate. Sono parecchi giorni... sono parecchi giorni che avevo bisogno di parlarvi. (Breve pausa) Mi dispiaceva che voi vi foste fatto un'idea sbagliata... (Si interrompe) Ma forse non importa. Buona sera. (Fa per andarsene).
Antonio (con dolcezza) Aspettate. Sedete un momento.
Elisa (si ferma, senza sedere; poi, a testa bassa, con asprezza impetuosa, ostinata, un po' ansante) Mi dispiaceva, non potevo sopportarlo... Sono parecchi giorni... volevo dirvi che noi, io e Macciò.... (Non sa più continuare).
Antonio (con voce sommessa) Anch'io avevo bisogno di parlarvi. La ragione è questa: che in principio, incontrando una persona, si è imbarazzati e così nascono i malintesi, ci si può fare del male. Ora invece io vorrei... essere veramente sincero, con voi; non lo si è quasi mai, purtroppo. (È imbarazzato, sorride a Elisa) Sedete. Devo dirvi qualche cosa.
Elisa (siede, poi sempre con una specie di rancore) Noi siamo gente trascurata, ecco. Se voi siete rimasto urtato, non so che farci.
Antonio (con una dolcezza seria e quasi umile) Anch'io questi giorni ho avuto paura che voi... vi foste fatte su me delle idee... sbagliate, anche voi. È stata colpa mia, il mio contegno è stato sciocco...
Elisa (aspra, a testa china) Non volevo dire questo.
Antonio È così. Con l'età si prendono delle stranezze; la gente ci crede persone... serie, posate, e invece si è dei ragazzi, pieni di timidezze; si diventa difficili, diffidenti; non si hanno più veri amici; casa e ufficio, casa e ufficio... Io poi non mi sono formato una famiglia, altrimenti forse sarei diverso. Si resta un po'... isolati, ecco; soli. E invece certe volte, quando vedo qualche graziosa casa, qualche villetta... (ride) penso come sarebbe bello, invece, abitarci in tanti, tutti in compagnia; sì con certe persone che so io... un contadino tanto affabile con cui viaggiai una volta, poi una mia zia morta, che mi voleva un gran bene, poi un cane, sì, un cane sperso, che un giorno mi venne dietro per tutta una strada, io lo cacciai via, ne ho sempre avuto un rimorso. Vengono tutti; stiamo allegri. M'accorgo, ora, che la maggior parte sono morti. Scusate, che buffi discorsi vi laccio!
Elisa (a bassa voce) Anche io sono senza conoscenze. Non so come passare il tempo.
Antonio Sì, la gente ha bisogno di stare un po' insieme. (Ride) Delle volte, di notte, ci si ferma persino a fare una carezza a un gatto. E il gatto, tante volte, benché mai visto prima, si mette a strofinarcisi le gambe, col muso umido viene a cercare la mano, con una vera frenesia, fa ridere, una cosa strana, perché non vogliono mica da mangiare, no, vogliono solo essere accarezzati. (Una pausa). Noi abbiamo bisogno... di avere qualcuno. Non se ne può fare a meno. Magari si pensa... ai morti. Oppure a degli sconosciuti, di cui sentiamo la voce... di là dal muro. Ecco quel che volevo dirvi. Ecco il motivo, il vero, semplice motivo che mi ha spinto ad occuparmi... Sono contento di potervi spiegare tutto, sinceramente.
Elisa (un po' ansante) Avete detto... che con nessuno si è proprio sinceri, e che voi invece volevate essere sincero con me. Perché avete detto questo? L'altro giorno avete anche detto... che bisogna stare attenti perché ci può essere un affetto nascosto vicino a noi... e noi non lo sappiamo...
Antonio Volevo dire... che noi certe volte crediamo di essere soli. Ma non sempre lo siamo veramente. Sentite. È vero che io, giorni fa, mi sono interessato per voi... per farvi restare nella casa. È vero.
Elisa (un po' ansante) E perché l'avete negato? Per quale motivo? (Un silenzio).
Antonio (imbarazzato) Non so. È imbrogliato a dire. Forse, non ostante tutto, è difficile essere sinceri. (Un silenzio).
Elisa (con un soffio, pallida) Porse però io ho capito... Forse ho capito. (Alzandosi in piedi e quasi vacillando) È già un po' di tempo che sono qui. Vorrei andarmene.
Antonio Siete sudata. Vi sentite male?
Elisa No, anzi sto bene. (Va verso la porta, d'un tratto si ferma) Sapete, l'altro giorno... non era vero quello che v'ho detto! Io non mi sono incontrata male, sapete? Sono abbastanza felice. Pietro guadagna, mi rispetta; abbiamo dei risparmi. (Con timida dignità) Ora non lascerò più che Pietro sia brusco, con me. Staremo in pace e tranquilli.
Antonio (con dolcezza) Sì, dovete stare in pace e contenta.
Elisa Compreremo della mobilia. Io credo che Pietro, per il prossimo inverno, farà mettere in casa una bella stufa, staremo anche caldi! (Ride).
Antonio (gioviale) Con queste prime piogge fa già piacere pensare alla stufa, vero? D'inverno poi si sta così volentieri al calduccio.
Elisa (allegra) Vero? Viene un appetito, d'inverno!
Antonio (allegro) Già, si sente l'odore delle vivande al fuoco, fa allegria.
Elisa (ansante) Io sapevo fare dei dolcetti. Oh, non sempre riescono. Alle volte però vengono migliori di quelli comperati. (Timidamente, abbassando la voce) Chi sa se vi piacerebbero. Sono tanto leggeri.
Antonio (festosamente) Come avete fatto a capire che sono ghiotto?
Elisa (ride con gli occhi umidi).
Antonio (festoso e misterioso) Vi dirò una cosa: lì dentro, nascosta nel primo tiretto... indovinate che ho! Della cioccolata! (Aprendo il tiretto) Si vede che comincio a diventare vecchio. È una cioccolata molto fine, una marca ottima, dovete proprio sentirla.
Elisa (ansante) No, no. Lasciate... Vi incomodate troppo...
Antonio (mettendole in mano un pacchetto di cioccolata) La mangiate dopo. Fa bene, la cioccolata, è uno degli alimenti più nutrienti. Che cosa guardate? (Guardandosi i piedi) Ah! Ho le scarpe bagnate. È stata la pioggia.
Elisa (con una specie di chiuso ardore) Sapete, io ero così brava a lucidarle, da bambina, le facevo diventare specchi. (Con occhi bassi e quasi un grido sommesso) Oh, vorrei esservi un po' utile, vorrei fare qualche cosa. (Si interrompe, si volta).
Antonio Che avete?
Elisa Mi vergogno.
Antonio Ma perché! Sembrate spaventata. Sedete ancora un po'.
Elisa (a occhi bassi) Ho tanto rimorso di aver fatto certe cose.
Antonio (con dolcezza) Questo è passato. Forse non è stata colpa vostra.
Elisa Quando sono cresciuta, non mi guardavano in viso, mi guardavano il petto.
Antonio Non vi rattristate. Io ho idea che le nostre azioni. Quando cominciano, quando spuntano su. proprio come la puntina verde d'un'erba, ebbene, allora nascono innocenti. È dopo, che si storcono, diventano brutte, confuse.
Elisa (ansiosa) Anche io lo dico, certo. Io non sapevo nulla, allora. Non avevo nessuno, capite? (Un po' ansante) Se ci fosse stato qualcuno... Anche un fratello, era tutto diverso, no? (Abbassando la voce) Se ci fosse stato... mio padre...
Antonio (turbato) Se ci fosse stato... vostro padre...
Elisa Voglio dire che era un'altra cosa, vero? Magari m'avrebbe picchiato, che importa. I padri il più gran bene lo vogliono alle bambine. Nel giorno dell'onomastico, nelle letterine, si promette loro mille cose...
Antonio (turbato) Non è stata colpa vostra. Non avevate nessuno.
Elisa Bastava solamente che io avessi saputo... che c'era... Qualcuno. (Con un che di timida e ardentemente supplichevole) Allora, quando c'è qualcuno, si dice: « devo stare attenta, se no gli dispiace ». Oppure: « chi sa come è contento, quando glielo dico ». Oppure: « chi sa come sta in pensiero, se tardo a tornare ». Gli si vorrebbe dire sempre che le cose vanno bene, che si è fortunati. Si ha paura che ci guardi severamente. (Addirittura implorante) Se io potessi pensare... che c'è una persona così... anche se non dovessi mai parlarle, mai vederla... Dio mio! Diventerei matta di consolazione, sapete? Farei qualunque cosa! Altrimenti... mi sento così disgraziata, così avvilita... (Un silenzio).
Antonio (imbarazzato, pietoso, un po' sudato) Secondo me, sapete come bisogna fare? Anche... anche se purtroppo accanto a noi non c'è, questa persona, anche se la vita è stata avara con noi, basta figurarsi ugualmente che questa persona ci eia, ecco, e un giorno o l'altro verrà. Allora, pensando così, ci si sente riconfortati. Bisogna farsi coraggio, ecco. Ci si figura, che so io, che un giorno... magari noi siamo lì tanto avviliti, disperati... e invece... si sentirà suonare il campanello... e noi potremo raccontare tutto a una persona... che non è come le altre, che è più buona di tutte le persone, più intelligente, più affettuosa... addirittura un angelo! Un angelo, capite? (Ride).
Elisa (a voce sommessa, con ardore) Oh sì, signore. Basta che ci sia lui, questa persona. Nessun'altro ci vuole bene davvero. Gli altri ci vengono accanto solo perché gli si fa comodo.
Antonio (pensieroso, pietoso) Eh, gli altri, quelli che esistono veramente, non sono mai così buoni. Gli altri, le persone vere, sono impazienti. Delle volte scopriamo che ci dicono anche qualche bugia, noi non potremmo mai avere in essi una vera fiducia!
Elisa (bisbigliando, ansante) Sì, sì, signore: fiducia! C'era una bambina, sui tre anni, che dormiva. Era in tranvai, c'era un chiasso, ma lei mica si svegliava, macché. Stava proprio con la testina abbandonata sul petto di un uomo vecchio, un muratore, teneva proprio le braccine, mentre dormiva, attorno al collo di quell'uomo, con tanta fiducia, così sicura. E quel muratore, stava attento che nessuno la urtasse, la riparava con la mano... (Guarda Antonio con occhi quasi spaventati; con voce rauca) Era il padre. (China il capo, si volta, d'un tratto con voce tutta diversa) Oh come sarebbe stato bello! Oh, mio Dio, che peccato!
Antonio (turbato) Che cosa?
Elisa (quasi bisbigliando) Sarebbe stato così bello aver incontrato quella persona quando avevo pochi anni, ero così bellina, chi sa come sarebbe stato contento di condurmi per strada... (Cominciano a caderle lacrime, benché nella sua voce non ci sia suono di pianto).
Antonio (turbato) No, non fate così...
Elisa (c. s.) Ero così affezionata, allegra, mi piaceva tanto che i vicini, i bottegai, avessero della simpatia per me; per meritarmela, cercavo di essere servizievole, facevo delle commissioni... (Comincia a singhiozzare).
Antonio (sconvolto, le fa unaleggera carezza).
Elisa (come spaventata, cessando dal piangere) Oh Dio, avete visto, qui, il dente?
Antonio Quale dente?
Elisa Sì, mi manca un dente. Mi invecchia tanto. Quando m'è andato via se sapeste che dispiacere. (Cerca di ridere) Quando sarò morta, mi ritroveranno senza il mio dente, forse andrò davanti a Dio senza dente. I primi tempi cercavo di star voltata, nel parlare. Mi invecchia tanto. Ora mi sono un po' abituata. In fondo non è nulla, vero?
Antonio Certo, non è nulla.
Elisa Dicono che li rimettono proprio belli, uguali. Finora non ho potuto farmelo rimettere, perché ci vuole molto, dicono mille lire.
Antonio (condolcezza) Non è poi tanto. Io credo che faremo rimettere il dente.
Elisa (dopo un silenzio, tremando e bisbigliando) Vado via. Non posso respirare. (Cerca di ridere).
Antonio (con tenerezza) Non prendete freddo, da queste prime piogge bisogna stare attenti. In caso io so certe pastiglie, speciali, fanno proprio bene. Ve le darò. Poi verrà la buona stagione.
Elisa (andando verso la porta) Sì. (Si volta; con grande timidezza, quasi spaventata) Io potrei farvi una sciarpa. Potrei scegliere un bel colore. Non sono molto brava, ma in questi lavori tutto è metterci attenzione.
Antonio Sì.
Elisa (va fino alla porta; d'un tratto, addirittura sconvolta, in silenzio, tende incertamente le braccia verso Antonio; bisbiglia) Mio Dio. Mio Dio. (Fugge via).
Antonio (rimane in mezzo alla stanza, turbato; d'un tratto, gridando) Ma no, no, che cosa pensate... che pazzia...
(Ma Elisa è già sparita e invece entra Candida col suo bastoncino).
Candida (con accento sommesso, mozzato dal respiro oppresso) È andata, finalmente. Antonio, quella donna ha approfittato... di un minuto, letteralmente un minuto in cui mi ero allontanata… Antonio, ti avverto... che tutto il palazzo parla... Pare che abbiano visto... quella donna spiarti e anche... seguirti, è doloroso... vederti mescolato a gente simile. (Rettificando la posizione di un soprammobile) Le donne di quel genere sanno quel che fanno, scegliendo... per loro vittime uomini non più tanto giovani. (Indicando verso il muro) Ecco, ella è appena tornata... e già ha ricominciato a leticare col suo compagno. Non hanno certo riguardo... di alzare la voce. Forse tu non fai... una vita sana, mangi troppo, non fai abbastanza moto. Antonio, tornando a casa... sei passato dal calzolaio?
Antonio (fa un distratto cenno di no; egli non ha fatto altro che stare con l'orecchio teso per udire quanto avviene nell'appartamento vicino).
Candida Non importa, Antonio, andrò io stessa. Purtroppo l'unica persona... per cui mostri una certa indifferenza sono io, tua madre. A una certa età... si ha torto di non essere... ancora morti. È davvero penoso per me, dovermi preparare... a lasciarti, lasciandomi dietro una situazione così incerta...
(Dall'appartamento attiguo, tortissimi, vengono, a una certa distanza uno dall'altro, due colpi di rivoltella)
Oh, che cosa è avvenuto... da quella gente?
Una voce femminile (altissima e distinta, da fuori) Hanno sparato dai Macciò. Hanno sparato dai Macciò.
(Antonio corre verso la porta condannata, vi batte col pugno, poi corre via, evidentemente per recarsi sul luogo del fatto. Candida resta in mezzo alla stanza, diritta, immobile. Vengono da fuori voci spaventate, alcune vicine, altre lontane).
Voci — Hanno sparato dai Macciò.
— Adalgisa! Ferruccio! Dove andate? Qui subito.
— C'è qualcuno ferito?
— Franca! Franca! Vieni aui!
— Così, doveva finire!
— Bisogna stare attenti, c'è in ballo l'arma.
— Io non posso vedere il sangue.
— Un colpo solo?
— No, no, parecchi. Parecchi.
— Chi è stato?
— Vieni qui, Guido! Non andare!
— Oh, mio Dio, che spavento! Madonna mia. Madonna mia.
— Federico!
— Bisogna chiamare qualcuno.
— Franca! Franca!
(Irrompono dentro alcuni casigliani, cioè il portiere, Nibbi, ilsignor Massimo, guidati da Antonio).
Antonio (indicando la porta condannata) Ecco, di lì, di lì.
(Gli altri si sono subito accostati alla porta, cercando di forzarla).
Nibbi (a Candida) Scusate, signora. L'uscio sulla scala è chiuso.
Il signor Massimo (indignato) È una cosa... che non era mai successa, in questa casa. Questa volta poi... bisognerebbe che qualcuno sentisse il dovere di avvertire l'autorità...
(S'interrompe. La porta è stata forzata, ma dal battente spalancato viene dentro Pietro, tremante, del tutto sconvolto).
Pietro Che c'è? Che cosa volete? Credete che ci sia spettacolo, a casa mia? Non abbiamo bisogno di niente, non è nulla, non è successo nulla! Stavo pulendo la rivoltella, m'è scappata di mano. (Ripete più forte) Stavo pulendo la rivoltella, m'è scappata di mano. Via, via. Signori, vi prego... vi prego di lasciarci tranquilli. Mia moglie si sente poco bene, lasciateci in pace.
(I casigliani e la signora Candida si avviano per uscire. Pietro, tremando, continua)
Guardate un po' se è lecito... Subito cercano di impicciarsi... Non si è padroni nemmeno in casa propria. (Ad Antonio) In casa propria, capite, neanche lì.
(Tutti gli altri sono usciti. Guarda un po' Antonio, poi si mette le mani al volto, con dolore, disperazione, sgomento) Dio mio. Dio mio. Ma perché? Ma perché? (Ad Antonio, letteralmente sconvolto) Mi ha puntato la rivoltella, capite? È pazza. Dice che vuole... non so, dice che vuole andar via. Come se fossi io, la sua macchia, la co0lpa di tutto! Per fortuna è andata bene. (Volgendosi verso la stanza attigua) Elisa, aspetta, adesso ti faccio un po' di caffè, un caffè forte... (Smarrito) Un po' di caffè, accidenti, non so neanche dove lo tenga. Ora s'è sentita male, sta sul letto, trema tutta. Ma perché succede questo? Perché? (D'un tratto gridando) E voi? E voi? Che cosa volete voi? Che cosa volete?
Antonio (a bassa voce) Fate così: ditele che sono suo padre. Lei lo crede veramente. E voi ditele che è vero. Diteglielo.
ATTO TERZO
QUADRO PRIMO
La stessa scena del quadro primo, atto secondo: l'ufficio di Antonio. il luogo è buio.
La voce del comm. Lo Quarta (di fuori) Antonio! Antonio!
(Lo Quarta è entrato a tentoni; accende la luce, si accosta a guardare Antonio, appisolato con la testa sullo scrittoio, lo chiama)
Antonio!
Antonio (riscuotendosi torbidamente) Ah, sì. Scusate, signor direttore. Credo... che la vera interpretazione del Testo Unico, se vogliamo risolvere... l'apparente contraddizione...
Lo Quarta (monotono e autorevole) Antonio, non vengo come vostro superiore; l'orario d'ufficio è finito, il palazzo è vuoto. Qui è solo un amico, un amico che viene a intrattenervi su questioni... che voi potreste considerare private. (Siede accanto ad Antonio) Sentite, Antonio, mi è stata resa nota una confusa storia concernente voi e una vostra vicina di casa. Una confusa storia.
Antonio (si alza) Mia madre è venuta a par-larvene?
Lo Quarta Vostra madre è di là, altre persone verranno. (Persuasivo e forbito) Antonio, sarò franco: la qualità della storia che ho udito mi sembra quella di essere futile, che diamine, addirittura puerile. Sapete che cosa penso? Che questo episodio sia stato per voi non altro che un attimo di divago, d'assenza; va bene? Come quando, mettiamo, si sta allo scrittoio con la penna in aria - sentite il paragone - e il nostro sguardo si perde, s'incanta un attimo a fissare sui vetri la gocciolina d'acqua, quei bei colori dell'iride: viola, verde, azzurro... Mi sbaglio se penso che tutto ciò rappresenta per voi qualche cosa di abbastanza trascurabile?
Antonio (un po' opaco) No, signor direttore, non vi sbagliate.
Lo Quarta Né credo di sbagliarmi, attribuendo la stessa opinione anche a quella vostra vicina. Ella pure fra poco sarà qui. Per quanto credula e acchiappanuvole sia una persona, e incline alle fantasie, e smaniosa di ingannarsi, pure c'è sempre, in fondo a essa, qualche cosa che le bisbiglia: no, amico; la realtà è un'altra cosa; la realtà. Voi avete una posizione, un decoro. Mi date ragione?
Antonio (c. s.) Effettivamente, signor direttore, anche io mi rendo conto...
Lo Quarta Davvero vi rendete conto? Questo è il vostro pensiero?
Antonio Sì, sì.
Lo Quarta È ciò che vostra madre e io volevamo sapere. E allora... caro Antonio, lo ammetterete anche voi, non è vero?, che questa artificiosa situazione non può prolungarsi?
Antonio (un po' assente) Ma sì, certo.
Lo Quarta ... che niente di sensato, di concreto ne potrebbe uscire?
Antonio Naturalmente.
Lo Quarta ... che anzi non potrebbero venirne se non equivoci, disordini, dicerie, spiacevoli contrattempi?
Antonio È evidente.
Lo Quarta ...che dunque occorre, con un po' di tatto e di buon senso, risolvere, liquidare?
Antonio Sì.
Lo Quarta Sì?
Antonio Sì.
Lo Quarta Antonio, siamo a posto, mi date un sollievo. Oh, io non ne avevo mai dubitato, e anzi, bisogna che lo sappiate; io avevo già usato della mia modesta autorità per predisporre gli opportuni provvedimenti. Fra poco saranno qui tutte le persone interessate... e la cosa sarà definita. Credo che vostra madre sia già arrivata, sarà un consolazione per lei. Vado a chiamarla. (Fa atto di muoversi).
Antonio Sì. Pensavo soltanto...
Lo Quarta (fermandosi) Pensavate soltanto?...
Antonio Oh, non importa.
Lo. Quarta Dite.
Antonio (con voce monotona Pensavo che da bambino, dalle nostre finestre, si vedeva, oltre la ferrovia, un piazzale. Vi andavano dei bambini a giocare, si sentivano le loro grida. Desideravo tanto di andarvi anche io. Ma non mi era permesso. Mi dicevano che però, quando avessi avuto sei 'anni, mi avrebbero lasciato andare. Invece non ho mai potuto.
Lo Quarta Scusate, non vedo il nesso fra il vostro piazzale e il nostro argomento. Penso ad ogni modo che voi, ormai, non avrete più voglia di andarci, su quel piazzale.
Antonio (c. s.) Se debbo esser sincero, qualche volta lo desidero ancora.
Lo Quarta Caro Antonio, non crediate che io non vi capisca. .Voi alludete a quei vaghi desideri, a quelle soavi nostalgie di cui è pieno il nostro animo. Va bene. (Faceto) Ma voi siete troppo prezioso, qui, per mandarvi a giocare sui piazzali! C'è la vostra carriera. C'è l'ufficio. Voi siete un ottimo elemento.
Antonio (con atona monotonia) Non è difficile esserlo, signor direttore. Io non faccio che ripetere degli ordini che ho già dati molte altre volte. Vi dirò che certe volte, mentre li dò e alzo la voce, in realtà non sono mica arrabbiato.
Lo Quarta No?
Antonio Faccio finta.
Lo Quarta Meglio così.
Antonio Volevo dire, signor direttore, che io, da anni, quasi non sto neanche a sentire, quando mi parlano; penso ad altro.
Lo Quarta E a che cosa?
Antonio A nulla, signor direttore. A un ombrello con un certo manico d'osso; a un certo Agenore, barbiere, persona indifferente. (Abbassando la voce) Certe volte, invece, tendo l'orecchio. Vorrei risentire il vento dei monti.
Lo Quarta Il vento dei monti?
Antonio (sempre con la stessa assorta monotonia) Sì, da giovane; avevo un ufficio verso i monti, si sentiva il vento.
Lo Quarta (perplesso) H vento.
Antonio Si sentiva un suono sommesso, dolce... (imitando) uuuu... mi piaceva tanto. Rimanevo incantato a sentirlo, mentre fingevo di scrivere. E così, ora, spesso, mentre mi parlano, mi parlano, d'un tratto io comincio a tendere l'orecchio. Mi piacerebbe risentirlo... uuuu... Il vento.
Lo Quarta (abbassando la voce) Caro Antonio, io ho la vostra stessa età. Voi volete dire che anche la carriera, anche i problemi dell'ufficio hanno un po' cessato dall'interessarvi. Bè, credete davvero che ci siano molte persone arrivate alla nostra età, per le quali i problemi dell'ufficio conservino un grande fascino? Caro collega, si riflette, ecco tutto. C'è la riflessione. E si tira avanti.
Antonio (sempre con quel tono) Certamente, signor direttore, si tira avanti.
Lo Quarta Le giornate, quando si è occupati, passano così alla svelta!
Antonio Sì, le giornate passano alla svelta.
Lo Quarta Arriva la sera e non ci se ne accorge neanche.
Antonio Non ci se ne accorge neanche. Sì, signor direttore. Uno si è alzato, poi ha parlato, poi ha preso il tranvai, poi ha ancora parlato, poi ha preso delle medicine, perché soffre, mettiamo, d'ingrossamento al fegato, poi ha preso degli altri tranvai... ha levato il tovagliolo dal portatovagliolo... poi s'è spogliato... fra poco dormirà. Delle volte, la notte, si pensa a tutto ciò e d'un tratto ci si accorge d'una cosa: che in fondo nulla, assolutamente nulla di tutto quello che abbiamo fatto ci interessa veramente. Non ce ne importa nulla. (Con spavento) Mio Dio, e allora perché lo abbiamo fatto?
Lo Quarta (con durezza) Caro collega, ma credete che saranno le ubbìe di quella donna o le vostre, che muteranno la vita da quello che è? Voi dite la notte. Ma la notte bisogna cercare di dormire. Ne va anche della salute. Dormire.
Antonio (a occhi bassi) Sì, c'è un sogno che faccio io tante volte: io sono coricato, ho gli occhi chiusi, io stringo i denti forte e d'un tratto, con una specie di dolore, mi stacco, materialmente, mi stacco, lascio tutto; come una pietra, che cadesse all'insù. Vo su, vo su, supino, rigido, mi sento tutto freddo dallo spavento e anche da una specie di allegria.
Lo Quarta (con severità) Vi staccate, caro collega. Vi staccate. E da che cosa? Dalla realtà. Succede appunto nei sogni. Ma poi viene qualcuno a tirarvi per la manica, a svegliarvi. Non è il vostro direttore, e nemmeno l'ufficio, oppure la carriera; e nemmeno la riflessione; e nemmeno la rispettabilità, l'opinione del mondo. Sembra che voi non diate più nessun peso a tutto ciò. Ma c'è ancora un'altra cosa, a chiamarvi: « Antonio, Antonio! ». Sapete che cos'è? È il dovere.
Antonio Il dovere.
Lo Quarta Il dovere. Che la vita deluda certe nostre speranze lo si è saputo sempre. Che cosa è che ci conforta? Il pensiero che noi impiegheremo la nostra vita a fare il nostro dovere.
Antonio (monotono, stanco) Sì, signor direttore, il nostro dovere. Vi sarà un tempo in cui saremo diventati un po' più piccolini; non consumeremo quasi più i nostri vestiti; poi un giorno saremo nel nostro letto; il sole del pomeriggio sarà sul comò, e prima che esso sia arrivato all'attaccapanni noi saremo morti. Noi avremo. impiegato la nostra vita a salire su certi tranvai, a ripetere certe parole... a essere severi con noi stessi... (Con grande spavento) Mio Dio, ma forse noi volevamo... un'altra cosa; qualche altra cosa, magari piccola, semplice... (Come rispondendo, di nuovo atono) Ma non ci sarà più tempo, signor direttore, perché il sole giallo del pomeriggio avrà camminato, e tutti i secoli dell'eternità cadranno ormai uno sull'altro senza che quella piccola cosa sia stata fatta.
Lo Quarta (con severità) Ma qual è, poi, la cosa che noi volevamo? Credete di poterla incontrare per questa strada, tra questi puerili inganni? (Addirittura aspro) Vostra madre vi attende, caro collega. Poiché, finalmente, c'è, c'è qualche cosa che ci chiama, anche quando il dovere o tutto il resto non ha più voce; qualche cosa che dura anche quando il sole sarà tramontato: gli affetti.
Antonio Gli affetti. Certe volte me ne dimentico, sapete? Sì, se mi sveglio al buio, certe volte mi succede una cosa curiosa: non so nemmeno più dove sono. È cosa di pochi momenti, dipende dal buio. Mi sembra, per esempio, d'essere nella stanza che avevo a Lucca, studente; avevo davanti degli orti, all'alba udivo i passeri. Oppure mi sembra d'essere a Parma, fra poco sentirò battere le ore: dan... dan... Non so più chi sono, se sono io, oppure... un altro... o un'altra cosa... (Con angoscia) Non c'è più niente e nemmeno gli affetti.
Lo Quarta Più niente? E la nostra vita? Noi stessi? La nostra memoria?
Antonio Si cancellano giorni felici, volti amati; durano di più, qualche volta, cosa da nulla. (Con improvvisa vivezza) Per esempio uno spalatore di neve, che disse a me ragazzo: « Credo che stanotte tornerà a nevicare ». Si grattava la testa sotto il berretto. (Con monotono spavento) Poi anche il berretto dello spalatore si cancellerà. Si cancelleranno i platani di Perugia, il vicolo di Parma, il viso della donna con le trecce, il viale sul mare. Sarà come se queste cose non fossero mai esistite...
Lo Quarta E allora? Antonio dove arriverete per questa strada?
Antonio E allora non ci ricorderemo nemmeno di noi stessi... Più nulla. Lo specchio sarà vuoto.
Lo Quarta E allora? Antonio, ma voi che cosa state dicendo?
Antonio E allora... oh lasciateci fare ciò che ci piace. Noi desideriamo un'altra cosa.
Lo Quarta Signor commendatore, che succede? È una vera ribellione, la vostra. Che cosa state pensando, che cosa avete deciso? Chiamerò vostra madre.
Antonio No. Non voglio vederla. (Si avvia per uscire).
Lo Quarta Aspettate, Antonio. Bisogna pure che le parliate...
Antonio (senza fermarsi) No, no. Non voglio più. Mi rattrista, sentirla. (È uscito).
Lo Quarta (facendo per seguirlo) Antonio. Antonio. Dove andate? Antonio!
Candida (prima da fuori, poi nella stanza) Antonio. Antonio. (È entrata dalla parte opposta, si guarda intorno).
Lo Quarta (fermandosi imbarazzato) Qualcuno l'ha chiamato.
Candida (fa di no con la testa) No. Da parecchio tempo... evita di parlarmi. (Bisbigliando) È già un po' vecchio e forse dà a me la colpa... della sua vecchiezza. (Chiamando) Antonio!
Lo Quarta Signora, ve lo condurrò.
Candida No, non vorrà venire. (Scuote la testa, ride) Egli gioca a nascondersi, inventa... mille scuse per non rispondermi. (Chiamando) Antonio! Antonio! (Improvvisamente la sua voce si fa piangente) Mio figlio è fuggito da me, da sua madre! (Con voce diversa) Oppure sono io... che sono fuggita da lui? Le cose erano ben diverse, quando lui era... non più grande di così; e io avevo le braccia fresche, e il petto... pieno di latte.
Lo Quarta Signora, cercheremo di persuaderlo.
Candida No, sono capricciosi, i vecchi. Essi amano... dei gatti o dei cani, più dei loro familiari. (Bisbigliando e accennando) La persona che noi attendevamo è arrivata.
Lo Quarta E allora?
Candida (con durezza) E allora ci penserò io, signor direttore. Ho pensato... a tante cose, penserò anche a questo. Fatela entrare.
Lo Quarta (esce).
(Poco dopo l'uscio si riapre, Elisa appare sulla soglia).
Candida Buon giorno, signora. Voi cercavate Antonio?
Elisa (umilmente) Sì.
Candida Io sono sua madre. So chi siete voi. E che cosa volevate, da Antonio?
Elisa (c. s.)— Salutarlo.
Candida Salutarlo, sicuro, perché voi cambierete casa, ve l'hanno già detto. Sono andata io a pregare... che fossero umani con voi, perché... non è bello, da vecchi... avere dei rimorsi. Voi anzi andrete in una casa più bella... dove vi auguro di vivere a lungo, in pace. Voi eravate venuta... per dirlo a mio figlio, per congedarvi?
Elisa Sì.
Candida (con voce improvvisamente minacciosa) Voi volete giocare ancora un po', sempre giocare! Brava. Oh, mio figlio è come un bambino, gli piacciono le donne... dalle braccia fresche; gli piace aver pietà di esse. (Persuasiva) Ma questo... non è permesso, signora. Sarebbe troppo semplice mettersi a giocare, a giocare e lasciare tutto... (quasi distraendosi) come quella volta... quando io lasciai... la mia valigia, e la persi, fu a Perugia, non v'e l'ho mai raccontato? Senza proprio... accor-germene, una grossa valigia... io ero giovane, io ero amata, sì, amata alla follìa, anzi mi pare... che sia stato a Lucca. (Con improvvisa durezza) Cara signora, io sono venuta qui per fare una cosa molto semplice, ma che risolve tutto. Si tratta di una semplice domanda. Basta che io ve la faccia e vedrete che tutto diventa subito chiaro. (Lentamente) Ditemi un po', Elisa, ma voi credete veramente di essere la figlia di Antonio? Ditemelo, cara, ditemelo. Mi basta questo. La figlia! Ma voi lo credete veramente?
Elisa (china il capo in silenzio; d'un tratto, con immenso, umile dolore) Oh, no.
Candida (quasi gridando) No! No! No! Lo sapevo, che avreste risposto così. Oh, noi tentiamo... di ingannarci. E, con altri, magari ci riesce. Ma con noi stessi, no! Di fronte... a noi stessi, no, mai! (Cambiando) E, ditemi, lui, almeno, credete veramente... che almeno lui, Antonio, creda di essere vostro padre? Ditemelo! Credete davvero che lui lo creda?
Elisa (c. s.) Oh, no.
Candida No! No. Né voi né lui lo avete mai creduto! Avete voluto giocare, tutt'e due... ma questo non è permesso! (Sta lì un po', ansimando) Ecco; ora abbiamo detto tutto quello che occorreva dire: vi saluto. È molto probabile che non ci incontreremo più... a meno che non si possa incontrarsi in una vita... che cominci dopo questa. Ma non è affatto certo. Buona sera.
Elisa (d'un tratto ha un singhiozzo, corre, via).
Candida (resta sola, ancora un po' ansante) Effettivamente fu a Perugia: mi guardai intorno e la valigia non c'era più...
Antonio (entra d'impeto, si guarda intorno) Elisa, Elisa. (Alla madre) Dove è andata?
Candida ... allora io ero amata, amata alla follia, e in fondo una valigia non era una cosa molto... importante per me...
Antonio (turbato) Mamma, dov'è andata?
Candida ... Sarebbe troppo semplice... se noi potessimo dimenticare così... quello che ci pesa. (D'un tratto ad Antonio, con veemenza) È andata via. Ha capito; finalmente. Ha capito tutto.
Antonio (la guarda un momento; poi con improvvisa angoscia corre verso la porta chiamando forte) Elisa! Elisa! (Esce, si sentono le sue grida man mono più lontane) Elisa... Elisa...
La scena si oscura. Durante tale oscuramento si udrà la voce sempre più lontana di Antonio che chiama: « Elisa, Elisa ». Quando la luce si riaccende siamo sulla terrazza dello stabile dove sono gli appartamenti di Antonio ed Elisa.
QUADRO SECONDO
Terrazza dello stabile. Limpido tramonto di settembre. Si vedono i tetti della città, le colline, eccetera. Da un lato è una scaletta che sale anche pii in alto, sul tetto dell'ascensore.
(La domestica Iside, con alle sottane Tommasino, sta ritirando della biancheria stesa. Si sentono i bambini cantare nel cortile: « O Maria Giulia » e le solite scale sul pianoforte).
Elisa (entra in silenzio, si ferma).
Iside (accorgendosi della presenza di Elisa, tra po' sorpresa) Buongiorno, signora. Anche voi in terrazza? A prendere i panni?
Elisa (un po' rigida, atona) Sì.
Iside (dopo una pausa) Vedete che bella vista, di quassù? Vedete lì, là in fondo? Quella cosa come d'argento?
Elisa (c. s.) Cos'è?
Iside Il mare. Si scopre nei giorni proprio chiari.
Elisa Sì, il mare.
Iside (guardando Elisa con una certa curiosità) Come si accorciano le giornate, eh? Settembre settembrino, prepara la legna sul camino. È vero signora che andate via dal palazzo?
Elisa Sì, domani.
Iside Ah, allora è una cosa svelta. Andate lontano?
Elisa Di là dal fiume.
Iside Sarete contenta, là è più bello. Anche per gli affari di vostro marito.
Elisa Sì.
Iside (che ha finito di raccogliere i panni) E poi qui eravate un po' ristretti, vero? Io ho finito. Allora, signora... arrivederci, tanti auguri, tante belle cose.
Elisa Arrivederci. (Mentre Iside s'avvia, indicando Tommasino) Come si chiama?
Iside Tommasino.
Elisa Avrà due anni?
Iside Quasi.
Elisa (senza avvicinarsi né chinarsi) Addio, Tommasino. Me lo dai un bacetto?
Iside (a Tommasino) Dà un bacetto alla signora. (Tommasino non ne ha la minima voglia) Falle addio con la mano. (Tommasino si stringe alla domestica) È tanto sgarbato, signora.
Elisa (c. s.) Addio, Tommasino. Me lo dici addio? Addio? Addio?
Iside Buona sera, signora. Mi si fa tardi. (Esce).
Elisa Buona sera. Addio Tommasino. (È restata sola. Un silenzio).
Pietro (entrando un po' turbato) Elisa, si può sapere che fai qui? Cosa t'è saltato di venire quassù proprio stasera, con tutto il da fare? Torno dalla casa nuova. Non è male, sai? È poi, più andremo lontani da tutta questa gentaccia, meglio sarà. C'è un piccolo ingresso, a destra la cucinetta... Ho parlato con la portinaia, ha una nipote che verrebbe a lavare i piatti. Che hai? Ti dispiace, andar via?
Elisa No.
Pietro (un po' imbarazzato) Se poi quel coso, il commendatore, con le sue idee, volesse... aiutarci, magari un piccolo prestito, nessuno glielo impedisce, vero?
Elisa Che bella sera.
Pietro (distrattamente) Sì, bella.
Elisa Prima si scopriva anche il mare.
Pietro Bè andiamo, Elisa.
Elisa È proprio un peccato scendere ora. Voglio andare lassù. (Comincia a salire la scaletta che conduce alla terrazza più alta, scomparendo alla vista degli spettatori).
Pietro Elisa, ma che ti viene in mente! Elisa. Abbiamo un monte di cose da fare.
La voce di Elisa Oh! Quassù è ancora più bello.
Pietro Andiamo, andiamo. Sarà anche ora di preparare un boccone.
La voce di Elisa (con un po' di cantilena, come i bambini che fanno apposta a fare arrabbiare qualcuno) Mi annoia, tornar giù.
Pietro (dopo una breve pausa) Come sarebbe, ti annoia?
La voce di Elisa Mi annoia di mettermi in cucina e sporcarmi tutta. Mi annoia.
Pietro (dopo una breve pausa) Elisa, vieni, scendi.
La voce di Elisa No, no. Non voglio scendere giù. Tutte quelle scale scure, quelle brutte stanze. Non voglio più vederle, sono stufa.
(Un silenzio).
Pietro (con voce un po' roca) Elisa. È tardi, sai.
La voce di Elisa (con la solita cantilena canzonatoria) Non m'importa, se è tardi. Non ci vengo, più, laggiù.
Pietro (accennando a salire anche lui la scaletta) Elisa.
La voce di Elisa (con semplicità) Guarda che se sali scavalco qui, mi butto giù; faccio un volo. Un volo in fondo al cortile.
Pietro (si ferma un momento, riprende a salire) Senti, Elisa... la nostra vita cambierà, sai... Ho in vista dei grandi progetti...
La voce di Elisa Se fai ancora un gradino mi butto giù.
Pietro (torna indietro; un silenzio; letteralmente balbettando d'angoscia) Per carità... Elisa... non far la sciocca... Lo fai apposta... per farmi spaventare... C'è gente alla finestra... Vuoi far ridere tutti… bella figura... Senti... Elisa! Elisa! Elisa!
Un'altra voce (diversa, ma con la stessa angoscia) Elisa. Elisa.
(È Antonio che è apparso da qualche momento).
Antonio (che evidentemente ha fatto le scale di corsa, sicché il suo respiro è un po' mozzato) Scendete, Elisa. Scendete. Ho da dirvi certe cose. Scendete.
(Un silenzio).
Elisa (riappare, scendendo la scaletta).
Pietro (andandole incontro) Vorrei sapere che cosa dovrei farti! Sei un'ingrata, una pazza! (Ad Antonio, con rabbia e disperazione) Domando io: si può seguitare così? Avete visto? Avete capito? (A Elisa) Ecco, tutta sudata, ti senti male. (Facendola sedere) Mettiti qui un momento, siedi.
Antonio (un po' affannato) Elisa, vi ho cercato tutt'oggi. Avevo saputo che andate via, e così, prima che ciò accadesse, volevo dirvi... scusate, ho fatto le scale di corsa, non posso quasi parlare. Volevo dirvi... che la cosa è proprio vera, sapete? Sì, Elisa. In questi giorni ha ripensato, ho ricordato, e anzi, se voi volete, io posso raccontarvi, spiegarvi ogni cosa... minutamente... (Un po' imbarazzato, a Pietro) Come io incontrai sua madre… Come io... per leggerezza ed egoismo l'abbandonai... (si interrompe).
Elisa (ha cominciato a piangere, ora si mette a singhiozzare).
Pietro (turbato) Elisa! Elisa! Senti, andremo nella nuova casa, staremo benissimo... Smetti, c'è gente alla finestra...
Antonio (tremante, chinandosi sulla donna) Vi ho detto la verità, Elisa. Dovete crederlo, dovete crederlo. È per questo motivo, vedete, che io sono qui, accanto a voi. Voi non siete mai stata sola e non lo sarete più, ormai.
Elisa (singhiozza ancora più forte).
Pietro (d'un tratto, ad Antonio, furioso) Ma andate via! Lo sappiamo, sapete, che codeste sono tutte invenzioni, fandonie! (Quasi piangendo) Bugie! Tutte bugie! Andate via! Siete stato voi, voi, con le vostre bugie, a ridurla così! Elisa! Senti, l'anno prossimo ho pensato... che andremo in campagna, sai? È tanto che lo desideri: servirà anche a rimetterti... Faremo un bel viaggio...
Elisa (singhiozzando convulsamente e torcendosi le mani) Oh mio Dìo, mio Dio! Non ho nulla... Non ho davvero nulla... Oh mio Dio, vorrei essere morta... morta...
Pietro Elisa! Elisa! (Ad Antonio, sconvolto) Signore, bisognerebbe... fare qualche cosa, io non so più che fare. Ditele qualche cosa, per carità. (Con una specie di furore) Ci sarà pure qualche cosa... qualche cosa per consolarci, quando non ne possiamo più! La colpa è anche di questi vigliacchi alle finestre... Non si è neanche padroni di star male... di morire, nossignore, loro devono guardarvi, brutti vigliacchi! Devono guardarvi!
Elisa (continua a singhiozzare convulsamente, con la testa fra le braccia).
Antonio (d'un tratto, con voce sommessa e Quasi allegra) No, ormai non possono più vederci dalle finestre. S'è fatto scuro, ormai. Elisa, potete anche piangere, se volete. (Infatti l'aria s'è rapidamente scurita. Con voce affettuosa e quasi lieta) Non ci vede più nessuno. Si sta meglio, vero?
Pietro (pensieroso, come stanco) Fra poco sarà notte.
Antonio E allora nemmeno fra noi tre potremo vederci, non ci faremo più vergogna uno con l'altro. E così, Elisa, potrò parlarvi... d'un'idea che m'è venuta questi giorni, ma non avrei mai avuto il coraggio, è tanto difficile dire certe cose, non ci si riesce in tutta la vita; perché si ha paura che non ci capiscano. (Bisbigliando) E invece, sarebbe davvero così bello, se ci fosse qualcuno... qualcuno...
Elisa (tornando man mano a singhiozzare) Sono tutte bugie... Non è vero nulla... nulla! È vero solo che io sono tanto misera e morirò un giorno o l'altro!
(La sera è ormai scesa).
Antonio Bugie... E che ne sapete, voi, che siano tutte bugie? (Angoscioso, quasi supplichevole) Elisa, avete mai visto guastare un muraglione? E dentro, tra le pietre, al buio, c'è quell'erba che sembra un verme, bianco, che s'è allungato, allungato... e sapete perché ha fatto questo? (Con improvvisa sommessa veemenza) Perché anche lui se l'era immaginato che lontano lontano, fuori dal muro, ci doveva essere una certa cosa calda, brillante, dorata, stupenda: il sole! Se l'era immaginato, capite? Ed era proprio così non era una bugia! (Con l'ardore selvaggio, spaventato, di chi asserisce una verità non ancora conquistata e vorrebbe disperatamente gridarla soprattutto a se stesso) Le cose che noi desideriamo, come, come avrebbero potuto venirci in mente, se esse, in qualche posto, non esistessero veramente? Se noi sappiamo così bene che esse ci mancano, bisogna bene che esse ci siano, siano là, in qualche posto, ad aspettarci, non è vero? (Si ode il solito grido: « Latte. Latte ») Ecco, come tutte le sere. Fra poco s'accenderanno le finestre... e tutto questo è su un angolino della terra: e ci siamo anche noi tre, uno accanto all'altro; e tutto questo viaggia, viaggia, con una velocità da fare spavento, come un sasso in mezzo alle stelle. (Abbassando la voce) Si arriverà bene in qualche posto, non è vero? (Con una specie di violenza) Perché non potrebbe essere vero che qualcuno... (quasi con un grido) sì, vostro padre!, pensa a voi, dice: « Oh, l'Elisa mia, che farà in questo momento? ». (Quasi supplichevole) Perché non potrebbe essere che davvero, chi sa dove, delle mani amorose lavorino a farmi una bella sciarpa, perché io la metta nelle mattine di nebbia,? (I singhiozzi della donna si sono taciuti, intorno è la caligine della sera). Io pensavo sempre a una villetta, dove la gente sparita o morta veniva a trovarmi. Oh, ecco, la porta si apre. Anche l'Elisa è venuta! Mi porta quei dolcetti, essa ora ha imparato a farli benissimo. (Con un grido soffocato, quasi con furore) Essa è mia figlia, sì. Oh sì, tutte le sciocche incomprensibili cose che noi abbiamo domandato, sono vere! Esse sole sono vere! Una simile villetta esiste, esiste certamente, ma molto, molto più bella. Che quantità di stelle, che buio! Neanche fra noi, adesso, possiamo vederci. Tu domani partirai, non ci vedremo più. (Bisbigliando, impetuosamente) E invece sai che idea m'è venuta in questi giorni? Che un bel giorno, sicuro, noi ci ritroveremo, come in quella villetta, ma molto molto più bella! Queste cose nessuno le dice, si vergognano, ma io so che tutti ci pensano.
(È ormai buio).
La voce di Antonio (con selvaggio ardore) Là, in quel luogo, chi vuole andrà su un bellissimo prato. Là saremo contenti, allegri. (Quasi gridando, con una specie di furore) Là saranno vere tutte le cose che noi chiedevamo, capisci? L'Elisa andrà al braccio di suo padre. Sarà pallida, orgogliosa, non si vergognerà più del suo dente mancante. Questo è sicuro, certissimo, sai? L'Elisa sarà come a quindici anni, innocente, graziosa, con la sua vocetta. (Breve pausa) Canta, figlia, canta.
La voce di Elisa (sommessa, un po' rauca, comincia a cantare) « Quando la luna la travalca i monti... ».
F I N E
Questa commedia (Copyright Ugo Betti) è stata rappresentata al Teatro Olimpia di Milano, per la prima volta, il 17 ottobre 1945, dalla Compagnia « Gli Artisti Italiani associati » (La Compagnia del dramma) Paola Borboni - Salvo Randone - Piero Carnabuci - Pina Cei. Le parti furono così distribuite: Salvo Randone (Antonio); Pina Cei (Candida); Paola Bortoni (Elisa); Piero Carnabuci (Pietro); Mario Feliciani (ing. Nibbi); Nando Cavicchioli (comm. Cardi); Mario Pucci (comm. Lo Quarta); Mariangela Raviglia (Assunta); Giuliana Pogliani (Bianca); Miranda Campa (Iside); Gustavo Molesini (Portiere); Enrico d'Alessandro (Usciere); Adriana Celoria (una signora anziana); Dario Riberio (il signor Oreste); Adriano Valeri (il signor Massimo). Regia di Orazio Costa. Scene su bozzetti di Tullio Costa.