Il viaggio del signor Perrichon

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IL VIAGGIO

DEL SIGNOR PERRICHON

di

Eugenio Labiche, Edoardo Martin

Personaggi:

Perrichon

Il maggiore Mathieu

Majorin

Armando Desroches

Daniele Savary

Giuseppe, domestico del maggiore

Giovanni, domestico di Perrichon

La signora Perrichon

Enrichetta, sua figlia

Un albergatore

Una guida

Un impiegato delle ferrovie

Una giornalaia

Facchini

Viaggiatori

ATTO PRIMO

Una stazione. A Parigi, ferrovia di Lione. In fondo, cancello con accesso alle sale d’aspetto. In fondo, a destra, sportello dei biglietti. In fondo, a sinistra, sedili. A destra, venditrice di dolciumi; a sinistra, giornalaia.

SCENA PRIMA

Majorin, un impiegato delle Ferrovie. Viaggiatori, facchini.

Majorin                  - (passeggiando in su e in giù, con impazienza) Questo Perrichon non arriva. È un’ora che l’aspetto. Eppure è proprio oggi che deve partire per la Svizzera assieme alla moglie e alla figlia. (con amarezza) Fabbricanti di carrozze che vanno in Svizzera! Fabbricanti di carrozze che hanno quarantamila franchi di rendita! Fabbricanti di carrozze che hanno la vettura! Che secolo! Io invece, impiegato laborioso, intelligente, sempre chino sulla scrivania, guadagno duemilaquattrocento franchi.  Oggi ho chiesto un permesso, ho detto che ero di servizio[1]. Bisogna assolutamente che veda Perrichon prima che parta, voglio pregarlo di anticiparmi il trimestre… seicento franchi! Assumerà quella sua aria di protezione, si darà importanza! Un fabbricante di carrozze!| Fa pena! E non arriva ancora! Si direbbe che lo faccia apposta. (rivolgendosi a un facchino che passa seguito da alcuni viaggiatori)  Senta, a che ora parte il diretto per Lione?

Il facchino              - (bruscamente) Lo chieda all’impiegato. (esce dalla sinistra.)

Majorin                  - Grazie. Villanzone! (rivolgendosi all’impiegato dello sportello dei biglietti) Scusi, a che ora parte il diretto per Lione?

L’impiegato           - (bruscamente) Non è affar mio, guardi il tabellone. (indica un tabellone dietro le quinte, a sinistra.)

Majorin                  - Grazie. (fra sé) Come sono educati, in queste amministrazioni! Se mai capiti nel mio ufficio, tu… Guardiamo il tabellone… (esce dalla sinistra.)

SCENA SECONDA

L’impiegato, Perrichon, la signora Perrichon, Enrichetta, che entrano dalla destra.

Perrichon                - Da questa parte! Non lasciamoci, altrimenti non ci ritroviamo più. Dove sono le valigie? (guardando destra, verso le quinte) Ah! Benissimo! Gli ombrelli, chi li ha?

Enrichetta              - Io, papà.

Perrichon                - E la borsa? I soprabiti?

Signora Perrichon - Sono qui!

Filippo                    - E il mio panama? È rimasto nella carrozza! (fa l’atto di uscire e si ferma.) Ah! No, l’ho in mano! Dio, che caldo!

Signora Perrichon  - È colpa tua! Ci fai fretta, ci incalzi. Non mi piace viaggiare così.

Perrichon                - È la partenza che è complicata. Una volta sistemati poi! Restate qui, vado a prendere i biglietti. (dà il cappello a Enrichetta) Prendi, tienimi il panama. (allo sportello) Tre prime per Lione.

L’impiegato           - (bruscamente) Non è aperto! Fra un quarto d’ora.

Perrichon                - (all’impiegato) Ah! Scusi! Sa, è la prima volta che viaggio. (ritornando presso la moglie) Siamo in anticipo.

Signora Perrichon  - Hai visto? Te lo dicevo, io, che c’era tempo. Non ci hai nemmeno lasciato far colazione!

Perrichon                - È meglio essere in anticipo, si esamina la stazione. (a Enrichetta) Allora, piccola, sei contenta? Eccoci partiti! Qualche minuto ancora, e, rapidi come la freccia di Guglielmo Tell, fileremo verso le Alpi! (a sua moglie) Hai preso il binocolo?

Signora Perrichon  - Ma sì!

Enrichetta              - (a suo padre) Non è per farti un rimprovero, ma sono almeno due anni che ci prometti questo viaggio.

Perrichon                - Figlia mia, dovevo vendere la proprietà. Un commerciante non si ritira dagli affari con la stessa facilità con cui una ragazzina si ritira dal collegio. D’altronde, aspettavo che fosse terminata la tua educazione per completarla facendoti brillare dinnanzi il grande spettacolo della natura.

Signora Perrichon  - Ma, di un po’, non avrai l’intenzione di andare avanti così?

Perrichon                - Che cosa?

Signora Perrichon - Stai declamando in una stazione!

Perrichon               - Non sto declamando, sto affinando le idee della piccola. (estraendo di tasca un taccuino) Prendi, figlia mia, è un taccuino che ho comperato per te.

Enrichetta              - Per farne che?

Perrichon               - Per scrivere da un lato le spese, e dall’altro le impressioni.

Enrichetta              - Che impressioni?

Perrichon               - Le nostre impressioni di viaggio! Tu scriverai, e io detterò.

Signora Perrichon - Come! Ti metti a fare lo scrittore, adesso?

Perrichon               - Non si tratta di fare lo scrittore, ma mi sembra che un uomo di mondo possa avere delle idee e raccoglierle in un taccuino.

Signora Perrichon – Dev’essere proprio carino!

Perrichon                - (fra sé) È sempre così, quando non ha preso il caffè.

Un facchino           - (spingendo un carrettino carico di bagagli) Signore, ecco i suoi bagagli. Desidera spedirli?

Perrichon                - Certamente! Prima però li conto, perché quando i contri tornano… Uno, due , tre, quattro, cinque, sei, sette con mia moglie, otto con mia figlia e nove con me. Siamo nove.

Il facchino              - Faccia presto!

Perrichon                - (correndo verso il fondo) Sbrighiamoci!

Il facchino              - Non di là, di qua! (indica la sinistra)

Perrichon                - Ah, benissimo! (alle donne). Aspettatemi qui, non perdiamoci. (esce di corsa, dietro il facchino)

SCENA TERZA

La signora Perrichon, Enrichetta, poi Daniele

Enrichetta              - Povero papà, quanta briga si prende!

Signora Perrichon  - È come uno stordito!

Daniele                   - (entrando seguito la da un facchino che gli porta valigia). Non so ancora dove vado. Aspetta! (scorgendo Enrichetta) È lei, non mi sono ingannato! (saluta Enrichetta, che ricambia il saluto)

Signora Perrichon  - (a sua figlia). Chi è questo signore?

Enrichetta              - È un giovane con cui ho danzato la settimana scorsa al ballo dell’ottavo rione.

Signora Perrichon  - (con vivacità) Un ballerino! (saluta Daniele)

Daniele                   - Signora, signorina, benedico il caso. Le signore partono?

Signora Perrichon  - Sì, signore.

Daniele                   - Le signore son certo dirette a Marsiglia?

Signora Perrichon  - No, signore.

Daniele                   - Forse a Nizza?

Signora Perrichon  - No, signore.

Daniele                   - Chiedo scusa, credevo… se posso essere utile…

Il facchino              - (a Daniele). Signore, guardi che ha appena il tempo per far spedire i bagagli.

Daniele                   - È giusto, andiamo! (tra sé) Avrei voluto sapere dove vanno, prima di prendere il biglietto. (salutando) Signora… signorina... (tra sé) partono è l’essenziale. (esce dalla sinistra)

SCENA QUARTA

La signora Perrichon, Enrichetta, poi Armando

Signora Perrichon  - È molto compito quel giovanotto!

Armando                - (con una borsa da viaggio) Porti la valigia all’ufficio spedizioni, la raggiungo subito. (scorgendo Enrichetta) È lei! (si salutano)

Signora Perrichon  - Chi è quel signore?

Enrichetta              - È un altro giovanotto con cui ho danzato al ballo dell’ottavo rione.

Signora Perrichon  - Ah, ma allora si son dati tutti appuntamento qui? Comunque, è un ballerino. (salutando) Signore…

Armando            - Signora… signorina... benedico il caso. Le signore partono?

Signora Perrichon  - Sì, signore.

Armando                - Le signore sono certo dirette a Marsiglia?

Signora Perrichon  - No, signore.

Armando                - Forse a Nizza?

Signora Perrichon  - (tra sé) Toh, come l’altro! (forte) No, signore.

Armando                - Chiedo scusa, credevo… se posso essere utile…

Signora Perrichon  - (tra sé) Dopo tutto, sono dello stesso rione.

Armando                - (tra sé) Ne so quanto prima. Vado a spedire la valigia, tornerò. (salutando) Signora… signorina…

SCENA QUINTA

La signora Perrichon, Enrichetta, Majorin, poi Perrichon.

Signora Perrichon  - È molto compito quel giovanotto! Ma tuo padre, cosa fa? Non mi reggo più in piedi!

Majorin                  - (entrando dalla sinistra) Ho sbagliato, il treno parte solo fra un’ora.

Enrichetta              - Toh, il signor Majorin!

Majorin                  - (fra sé) Finalmente! Eccoli!

Signora Perrichon  - Lei qui! Come mai non è in ufficio?

Majorin                  - Ho chiesto un permesso, signora mia bella; non volevo lasciarle partire senza averle salutate.

Signora Perrichon  - Come, è venuto per questo! Ah, molto gentile!

Majorin                  - Ma non vedo Perrichon!

Enrichetta              - Papà sta occupandosi dei bagagli.

Perrichon                - (entrando di corsa, verso le quinte) Prima i biglietti. Benissimo!

Majorin                  - Ah, eccolo! Buongiorno, caro amico.

Perrichon                - (che ha molta fretta) Ah, sei tu. Sei stato molto gentile a venire. Scusami, devo prendere i biglietti. (lo lascia)

Majorin                  - (tra sé) Bella educazione!

Perrichon                - (all’impiegato dello sportello) Senta, non vogliono spedirmi i bagagli se prima non ho preso i biglietti.

L’impiegato           - Non è aperto, aspetti!

Perrichon                - Aspetti! E là mi hanno detto: si sbrighi. (asciugandosi la fronte) Sono tutto sudato.

Signora Perrichon  - E io non sto più in piedi.

Perrichon                - E sedetevi, allora! (indicando il fondo a sinistra) Ecco là dei sedili. Siete capaci di restarvene lì impalate, come due sentinelle.

Signora Perrichon  - Ma sei stato tu a dirci di stare qui! Sei sempre il solito, sei insopportabile.

Perrichon                - Su, via, Carolina!

Signora Perrichon  - Sai cosa ti dico? Ne ho già abbastanza del tuo viaggio.

Perrichon                - Come si vede che non hai preso il caffè! Su, va a sederti.

Signora Perrichon  - Sì, ma sbrigati! (va a sedersi con Enrichetta)

SCENA SESTA

Perrichon, Majorin.

Majorin                  - (tra sé) Che cara coppietta!

Perrichon                - È sempre così quando non ha preso il caffè. E bravo Majorin! È stato molto gentile da parte tua essere venuto.

Majorin                  - Sì, volevo parlarti d’una piccola faccenda.

Perrichon                - (distratto) E le valigie che sono rimaste là, su un tavolo. Non sono tranquillo (forte) E bravo Majorin! Sei stato proprio gentile a venire. (tra sé) E se ci andassi?

Majorin                  - Ti devo chiedere un piccolo favore.

Perrichon                - A me?

Majorin                  - Ho cambiato di casa. Se tu volessi anticiparmi tre mesi di stipendio… seicento franchi.

Perrichon                - Come, qui?

Majorin                  - Credo di averti sempre puntualmente restituito il denaro che mi hai prestato.

Perrichon                - Non è questo.

Majorin                  - Permetti, ci tendo a precisarlo: il giorno otto del prossimo mese riscuoto il dividendo della società di navigazione; ho dodici azioni, e se non ti fidi di me ti do i titoli in garanzia.

Perrichon                - Eh, via! Sciocco.

Majorin                  - (seccamente) Grazie!

Perrichon                - Anche tu, però, venirmi a chiedere questo proprio quando sto per partire! Ho preso giusto il denaro necessario per il viaggio.

Majorin                  - Be’, se ti devi privare, non ne parliamo più. Mi rivolgerò a qualche usuraio che mi prenderà il cinque per cento. Non morirò per questo.

Perrichon                - (estraendo il portafogli) Via, non t’arrabbiare! Eccoti i seicento franchi, ma non farne parola a mia moglie.

Majorin                  - (prendendo il denaro) Capisco, è così tirchia!

Perrichon                - Come, tirchia?

Majorin                  - Voglio dire, regolata.

Perrichon                - È necessario, caro mio! È necessario.

Majorin                  - (seccamente) Be’, ti devo seicento franchi, addio! (tra sé) Quante storie per seicento franchi! E va in Svizzera. Carrozzaio! (scompare a destra)

Perrichon                - Be’, è partito. Senza neanche ringraziarmi! In fondo, però, credo che mi voglia bene. (vedendo aperto lo sportello dei biglietti) Accidempoli, stanno dando i biglietti! (si precipita verso la transenna urtando cinque o sei persone che stanno facendo la coda)

Un viaggiatore       - E faccia attenzione!

L’impiegato           - (a Perrichon) Ehi, lei, si metta in coda!

Perrichon                - (tra sé) E le valigie! E mia moglie! (si mette in coda)

SCENA SETTIMA

Detti; il maggiore seguito da Giuseppe, che gli regge la valigia.

Il maggiore             - Hai capito bene?

Giuseppe                - Sì, signor maggiore.

Il maggiore             - E se ti chiederà dove sono andato, quando torno… rispondi che non sai niente. Non voglio più sentir parlare di lei

Giuseppe                - Sì, signor maggiore.

Il maggiore             - Dirai ad Anita che tutto è finito, finito per sempre.

Giuseppe                - Sì, signor maggiore.

Perrichon                - I biglietti li ho. Presto, le valigie, adesso. Che impresa, andare a Lione! (esce di corsa)

Il maggiore             - M’hai ben inteso?

Giuseppe                - Se lei mi permette, signor maggiore, questa sua partenza è perfettamente inutile.

Il maggiore             - Perché?

Giuseppe                - Perché al suo ritorno, il signor maggiore si riprenderà la signorina Anita.

Il maggiore             - Oh!

Giuseppe                - Tanto vale quindi non lasciarla; le riconciliazioni costano sempre qualcosa al signor maggiore.

Il maggiore             - Ah no, questa volta faccio sul serio. Anita si è dimostrata indegna del mio affetto e della bontà che ho per lei.

Giuseppe                - Si può dire che la sta rovinando, signor maggiore. È venuto un usciere anche stamattina, e gli uscieri sono come tarli, quando cominciano a ficcarsi in qualche posto…

Il maggiore             - Al mio ritorno sistemerò ogni cosa. Addio.

Giuseppe                - Arrivederla, signor maggiore.

Il maggiore             - (s’avvicina allo sportello dei biglietti e ritorna) Ah, mi scriverai a Ginevra[2], fermo posta. Mi darai notizie della tua salute.

Giuseppe                - (lusingato) Troppo buono, signor maggiore.

Il maggiore             - E poi, mi dirai se qualcuno ha sofferto apprendendo la mia partenza, se ha pianto.

Giuseppe                - Chi mai, signor maggiore?

Il maggiore             - Ma diamine, lei! Anita!

Giuseppe                - Lei se la riprenderà, signor maggiore.

Il maggiore             - Mai più.

Giuseppe                - E sarà l’ottava volta. Mi addolora vedere una brava persona come lei, signor maggiore, tiranneggiata dai creditori. E per chi, poi? Per una…

Il maggiore             - Bene, basta così! Dammi la valigia, e scrivimi a Ginevra, o domani o questa sera. Arrivederci

Giuseppe                - Buon viaggio, signor maggiore. (tra sé) Fra una settimana, o prima, sarà già di ritorno. Ah, le donne! E gli uomini! (esce. Il maggiore va a prendere il biglietto ed entra nella sala d’attesa)

SCENA OTTAVA

La signora Perrichon, Enrichetta, poi Perrichon, un facchino

Signora Perrichon  - (si alza, imitata dalla figlia) Sono stanca di star seduta.

Perrichon                - (entrando di corsa) Finalmente è fatta. Lo scontrino ce l’ho. Mi hanno spedito!

Signora Perrichon  - Meno male.

Il facchinio             - (spingendo il carrettino vuoto, a Perrichon) Signore, non dimentichi il facchino, per favore.

Perrichon                - Ah già, aspetti. (si consulta con la moglie e con la figlia) Cosa dobbiamo dare a quelli lì, dieci soldi?

Signora Perrichon  - Quindici.

Entichetta              - Venti.

Perrichon                - E va bene, vada per venti soldi. (glieli dà) Tenga, giovanotto.

Il facchino              - Grazie, signore! (esce)

Signora Perrichon  - Entriamo?

Perrichon                - Un momento. Enrichetta, prendi il taccuino e scrivi.

Signora Perrichon  - Di già?

Perrichon                - (dettando) Spese: carrozza, due franchi; ferrovia, centosettantadue franchi e cinque centesimi; facchino, un franco.

Enrichetta              - Fatto.

Perrichon                - Aspetta: impressione!

Signora Perrichon  - (tra sé) È insopportabile!

Perrichon                - (dettando) Addio, Francia, regina delle nazioni! (interrompendosi) Ma, e il mio panama? L’avrò lasciato all’ufficio spedizioni. (fa l’atto di correr via)

Signora Perrichon  - Ma no, è qui!

Perrichon                - Ah, sì. (dettando) Addio, Francia, regina delle nazioni! (si ode la campana della partenza e si vedono accorrere vari viaggiatori)

Signora Perrichon  - Il segnale! Tu ci farai perdere il treno!

Perrichon                - Entriamo, finiremo dopo. (l’impiegato lo ferma al cancello per controllare i biglietti. Perrichon apostrofa la moglie, ed è la figlia che finisce per trovarsi i biglietti in tasca. Entrano nella sala d’aspetto)

SCENA NONA

Armando, Daniele, poi Perrichon, la giornalaia.

 

 (Daniele, che ha appena preso il biglietto, viene urtato da Armando, che vuole prendere il proprio)

Armando                - E stia attento!

Daniele                   - Faccia attenzione lei!

Armando                - Daniele!

Daniele                   - Armando!

Armando                - Parti?

Daniele                   - In questo momento. E tu?

Armando                - Anch’io.

Daniele                   - Che piacere! Così faremo il viaggio insieme. Ho dei sigari di prima qualità. E dove sei diretto?

Armando                - Be’, per dirti la verità, non lo so ancora.

Daniele                   - Che strano, neanch’io! Ho preso un biglietto fino a Lione

Armando                - Davvero? Io pure! Sto seguendo una ragazza meravigliosa.

Daniele                   - Toh, anch’io.

Armando                - La figlia di un fabbricante di carrozze!

Daniele                   - Perrichon?

Armando                - Perrichon!

Daniele                   - È la stessa!

Armando                - Ma io l’amo, caro Daniele!

Daniele                   - E io pure, caro Armando!

Armando                - Io voglio sposarla!

Daniele                   - E io chiederla in sposa, il che è pressappoco lo stesso.

Armando                - Ma non possiamo sposarla in due!

Daniele                   - In Francia, è proibito!

Armando                - Che fare?

Daniele                   - È semplicissimo. Dato che ci troviamo già col piede sul predellino della carrozza, continuiamo allegramente il nostro viaggio, cerchiamo di piacere, di farci amare ciascuno per proprio conto.

Armando                - (ridendo) Allora, è una gara! Un duello?

Daniele                   - Una lotta leale e amichevole. Se vincerai tu… mi rassegnerò. Se avrò la meglio, tu non mi serberai rancore. D’accordo?

Armando                - E sia! Accetto.

Daniele                   - La mano, prima della battaglia?

Armando                - E anche dopo. (si danno la mano)

Perrichon                - (entrando di corsa, verso le quinte) Ti dico che faccio in tempo!

Daniele                   - Toh, nostro suocero!

Perrichion               - (alla giornalaia) Signora, vorrei un libro per mia moglie e mia figlia. Un libro che non parli né di donne, né di denaro, né di politica, né di matrimonio, né di morte.

Daniel                    - (tra sé) “Robinson Crusoe”!

La giornalaia          - Ho quel che fa per lei. (gli porge un libro)

Perrichon                - (leggendo) “Le rive della Saona”: due franchi. (pagando) Lei mi garantisce che non vi sono corbellerie qui dentro? (si ode la campana) Accidenti! Buon giorno, signora. (esce di corsa)

Armando                - Seguiamolo!

Daniele                   - Seguiamolo pure! Però mi piacerebbe sapere dove andiamo… (si vedono correre vari viaggiatori)

ATTO SECONDO

Interno di albergo sul Montanvert, vicino alla Mer de Glace. In fondo, a destra, porta d’ingresso; in fondo, a sinistra, finestra; vista di monti coperti di neve; a sinistra, porta e alto caminetto. Tavolo; a destra, tavolo su cui è il libro dei visitatori, e porta.

SCENA PRIMA

Armando, Daniele, l’albergatore, una guida.

(Armando e Daniele, seduti a un tavolo, stanno mangiando).

L’albergatore         - I signori desiderano altro?

Daniele                   - Il caffè, fra poco.

Armando                - Dia da mangiare alla guida; dopo partiremo per la Mer de Glace.

L’albergatore         - (alla guida) Venga. (esce dalla destra, seguito dalla guida) 

Daniele                   - Allora, caro Armando?

Armando                - Allora, caro Daniele?

Daniele                   - Le operazioni sono incominciate, abbiamo iniziato l’attacco.

Armando                - Nostra prima cura è stata quella di infilarci nello stesso scompartimento della famiglia Perrichon; il padre s’era già messo la papalina.

Daniele                   - Li abbiamo tempestati di cure attenzioni.

Armando                - Tu hai prestato il giornale al signor Perrichon, che ci ha dormito su. In compenso, ti ha offerto “Le rive della Saona”, un libro illustrato.

Daniele                   - E tu, da Digione in poi, hai tenuto una tendina che s’era rotta; devi esserti stancato.

Armando                - Sì, ma la madre mi ha rimpinzato di cioccolatini.

Daniele                   - Goloso! Ti sei fatto nutrire.

Armando                - A Lione, scendiamo allo stesso albergo.

Daniele                   - E il padre, ritrovandoci, esclama: Ah, che bella combinazione!

Armando                - A Ginevra, stesso incontro… imprevisto.

Daniele                   - A Chamonix, medesima situazione; e il Perrichon sempre a esclamare: Ah, che bella combinazione!

Armando                - Ieri sera, vieni a sapere che la famiglia si accinge ad andare a vedere la Mer de Glace, e vieni a prendermi in stanza al levar del sole… è stato un gesto da gentiluomo!

Daniele                   - È nel nostro programma: lotta leale! Vuoi un po’ di frittata?

Armando                - No, grazie. Amico mio, debbo dirti lealmente che da Chalon[3] a Lione, la signorina Perrichon mi ha guardato tre volte.

Daniele                   - E a me, quattro!

Armando                - Diavolo, la cosa è seria!

Daniele                   - Lo sarà molto di più quando non guarderà più. Credo che in questo momento ci stia preferendo tutti e due. Ciò può durare a lungo; per fortuna che a noi il tempo non manca.

Armando                - A proposito! Spiegami come hai potuto allontanarti da Parigi, pur essendo direttore di una società di navigazione?

Daniele                   - “I rimorchiatori della Senna”, capitale sociale due milioni. È semplicissimo: mi sono chiesto un po’ di ferie, e non ho esitato ad accordarmele. Ho dei bravi impiegati; i piroscafi vanno avanti da soli, basta che io sia a Parigi por l’otto del mese prossimo per il pagamento dei dividendi. Ma tu, a proposito! Banchiere come sei, mi sembra che tu stia girovagando un po’ troppo!

Armando                - Oh, la mia banca non mi tiene affatto occupato. Ho messo nella società i miei capitali riservandomi la mia libertà personale. Faccio il banchiere…

Daniele                   - …per diletto!

Armando                - Come te, è solo verso l’otto del mese prossimo che ho impegni a Parigi.

Daniele                   - E fino a quel giorno ci faremo guerra a oltranza.

Armando                - A oltranza! Da buoni amici. Per un momento ho avuto l’idea di ritirarmi e lasciarti campo libero; ma amo seriamente Enrichetta.

Daniele                   - È strano, volevo fare lo stesso sacrificio per te. Dico sul serio. A Chalon avevo voglia di battermela, ma l’ho guardata…

Armando                - È così bella.

Daniele                   - Così dolce!

Armando                - Così bionda!

Daniele                   - Non vi sono quasi più bionde, e poi, due occhi!

Armando                - Come piacciono a noi.

Daniele                   - Allora sono rimasto!

Armando                - Come ti capisco!

Daniele                   - Tanto meglio! È un piacere averti per nemico. (stringendogli la mano) Caro Armando!

Armando                - (come sopra) Mio buon Daniele! Ma insomma, il signor Perrichon non arriva. Che abbia cambiato itinerario? E se li perdiamo?

Daniele                   - Accidenti! Tanto più che l’ometto è capriccioso. L’altro ieri ci ha spediti a Ferney[4], dove contavamo di ritrovarlo…

Armando                - E lui, intanto, era andato a Losanna.

Daniele                   - È buffo, no? Viaggiare così. (vedendo Armando che si alza) Ma dove vai?

Armando                - Non posso star fermo, ho voglia di andar incontro alla signore.

Daniele                   - E il caffè?

Armando                - Non lo prendo, arrivederci! (esce con vivacità dal fondo)

SCENA SECONDA

Daniele, poi l’albergatore.

Daniele                   - È un ottimo ragazzo, tutto ardore, ma non sa vivere, se ne è andato senza prendere il caffè! (chiamando) Ehi, albergatore!

L’albergatore         - (comparendo) Signore?

Daniele                   - Il caffè. (l’albergatore esce. Daniele accende un sigaro) Ieri ho voluto far fumare il suocero. Non c’è riuscito.

L’albergatore         - (portando il caffè) il signore è servito.

Daniele                   - (siede dietro il tavolo, dinanzi al caminetto, e stende una gamba sopra la sedia di Armando) Avvicini quella sedia. Benissimo. (ha indicato un’altra sedia e vi stende sopra l’altra gamba) Grazie. Povero Armando! Lui corre sullo stradone, in pieno sole, e io me ne sto qui sdraiato. Chi arriverà primo di noi due? È la favola della lepre e della tartaruga.

L’albergatore         - (porgendogli un registro) Il signore vuole scrivere qualcosa sul libro dei viaggiatori?

Daniele                   - Io? Non scrivo mai dopo i pasti, raramente prima. Vediamo i pensieri delicati e arguti dei visitatori. (sfoglia il libro e legge) “Non mi sono mai soffiato il naso così in alto!” Firmato: “un viaggiatore raffreddato”. (continua a sfogliare) Oh, che bella scrittura. (legge) “Com’è bello ammirare le meraviglie della natura, circondati dalla moglie e dalla nipote!”. Firmato: “Malaquis, possidente”. Mi son sempre chiesto perché i francesi, così pieni di spirito a casa loro, siano così stupidi quando viaggiano. (grida a tumulto all’esterno)

L’albergatore         - Ah, Dio mio!

Daniele                   - Che succede?

SCENA TERZA

Daniele, Perrichon, Armando, Enrichetta, la Signora Perrichon, l’albergatore.

(Entra Perrichon, sostenuto dalla moglie e dalla guida.)

Armando                - Presto, dell’acqua, del sale, dell’aceto!

Daniele                   - Ma che è accaduto?

Enrichetta              - Per poco papà non si ammazzava!

Daniele                   - Possibile?

Perrichon                - (seduto) Moglie mia, figlia mia! Ah, mi sento meglio.

Enrichetta              - (porgendogli un bicchiere d’acqua zuccherata) Prendi, bevi, ti tirerà su.

Perrichon                - Grazie, che capitombolo! (beve)

Signora Perrichon  - È anche colpa tua, voler montare a cavallo, padre di famiglia come sei. E con gli speroni, poi!

Perrichon                - Gli speroni non c’entrano niente. È la bestia che è ombrosa.

Signora Perrichon  - L’avrai spronata senza volerlo, e s’è impennata.

Enrichetta              - E se non c’era il signor Armando giunto in quel momento, papà spariva in un precipizio.

Signora Perrichon  - C’era già, lo vedevo rotolare come una palla… noi si gridava!

Enrichetta              - Allora, il signore si è lanciato…

Signora Perrichon  - Con un coraggio, un sangue freddo! Lei è il nostro salvatore, perché senza di lei mio marito, il mio povero marito… (scoppia in singhiozzi)

Armando                - Non c’è più pericolo, si calmi!

Signora Perrichon  - (seguitando a piangere) No, mi fa bene! (a suo marito) Così impari a metterti gli speroni. (singhiozzando più forte) Tu non vuoi bene alla tua famiglia.

Enrichetta              - (ad Armando) Mi permetta di aggiungere i miei ringraziamenti a quelli della mamma. Serberò per tutta la vita il ricordo di questo giorno, tutta la vita!

Armando                - Ah, signorina!

Perrichon                - (tra sé) Tocca a me. (forte) Signor Armando! No, mi permetta di chiamarla Armando.

Armando                - Ma certo!

Perrichon                - Armando, mi dia la mano. Non so far frasi, io, ma fin che il cuore di Perrichon batterà, ci sarà un posto per lei! (gli stringe la mano) Le dico solo questo.

Signora Perrichon  - Grazie, signor Armando!

Enrichetta              - Grazie, signor Armando!

Armando                - Signorina Enrichetta!

Daniele                   - (tra sé) Comincio a credere di aver avuto toro a prendere il caffè.

Signora Perrichon  - (all’albergatore) Faccia ricondurre il cavallo, noi torneremo tutti in carrozza.

Perrichon                - (alzandosi) Ma ti assicuro, cara, che sono un discreto cavaliere (con un grido) Ahi!

Tutti                       - Che c’è?

Perrichon                - Niente, la schiena. Faccia ricondurre il cavallo.

Signora Perrichon  - Vieni a riposarti un momento; arrivederla, signor Armando!

Enrichetta              - Arrivederla, signor Armando!

Perrichon                - (stringendo con energia la mano di Armando) A presto, Armando! (emettendo un secondo grido) Ahi, ho stretto troppo! (entra a sinistra seguito dalla moglie e dalla figlia.)

SCENA QUARTA

Armando, Daniele.

Armando                - Che ne dici, caro Daniele?

Daniele                   - Che vuoi che ti dica! Sei fortunato, salvi il padre, te la fai coi precipizi, questo non era in programma.

Armando                - È stato proprio il caso.

Daniele                   - Il padre ti chiama Armando, la madre piange e la figlia ti scocca frasi assai toccanti, tolte dalle più belle pagine di Bouilly[5]. È evidente che sono sconfitto e non mi resta che ritirarmi.

Armando                - Ma via, vuoi scherzare.

Daniele                   - Scherzo tanto poco che, stasera stessa, parto per Parigi.

Armando                - Ma come!

Daniele                   - Dove ritroverai un amico che ti augura buona fortuna!

Armando                - Parti? Ah, grazie!

Daniele                   - Ecco un grido uscito dal cuore!

Armando                - Ah, perdonami, lo ritiro. Dopo il sacrificio che fai per me…

Daniele                   - Io? Intendiamoci bene, per te non faccio il più lieve sacrifico. Se mi ritiro, è perché non credo di aver alcuna possibilità di riuscire; poiché, ancora adesso, se me ne se presentasse una, anche piccola, resterei.

Armando                - Ah!

Daniele                   - È strano! Da quando Enrichetta mi sfugge, mi sembra di amarla ancora di più.

Armando                - Ti capisco. Non ti chiederò quindi il favore che volevo chiederti…

Daniele                   - Che favore?

Armando                - No, niente…

Daniele                   - Parla, te ne prego.

Armando                - Avevo pensato… Dato che parti, di pregarti di parlare al signor Perrichon, di accennargli qualcosa della mia situazione, delle mie esperienze.

Daniele                   - Capperi! Nientemeno!

Armando                - Non posso farlo io, sembrerebbe che volessi chiedere il compenso del servigio che gli ho reso.

Daniele                   - Insomma, mi preghi di chiedere la mano di Enrichetta per te! Lo sai che è originale quello che mi chiedi?

Armando                - Rifiuti?

Daniele                   - No, Armando, accetto.

Armando                - Sei un amico.

Daniele                   - Confessa che come rivale sono proprio buono, un rivale che chiede la mano per te. (voce di Perrichon dietro le quinte) Sento il suocero! Vai a fumare un sigaro e ritorna.

Armando                - Non so davvero come ringraziarti.

Daniele                   - Stai tranquillo, farò vibrare in lui la corda della riconoscenza. (Armando esce dal fondo)

SCENA QUINTA

Daniele, Perrichon, poi l’albergatore.

Perrichon                - (entra parlando verso le quinte) Ma certo, mi ha salvato! Certo, mi ha salvato, e, fin che il cuore di Perrichon batterà… gli ho detto…

Daniele                   - Allora, signor Perrichon, si sente meglio?

Perrichon                - Oh, mi sono completamente rimesso, ho bevuto tre gocce di rum in un bicchier d’acqua e fra un quarto d’ora, conto di star già sgambettando sulla Mer de Glace. Ma, il suo amico non c’è più?

Daniele                   - È uscito in questo momento.

Perrichon                - È un bravo giovane. Mia moglie e mia figlia lo stimano molto.

Daniele                   - Oh, quando lo conosceranno meglio… Un cuore d’oro! Servizievole, affezionato, e d’una modestia!

Perrichon                - Oh, è raro!

Daniele                   - E poi, fa il banchiere. È un banchiere.

Perrichon                - Ah!

Daniele                   - Socio della banca Turneps, Desroches e C., non so se mi spiego. Fa piacere essere salvati da un banchiere, perché, insomma, l’ha salvata. Eh… se non c’era lui…

Perrichon                - Certo, certo. È stato un atto molto gentile.

Daniele                   - (stupito) Come, gentile!

Perrichon                - Vuole forse sminuire il merito del suon gesto?

Daniele                   - Me ne guardo bene!

Perrichon                - La mia riconoscenza finirà solo con la mia vita. Sì, fin che il cuore di Perrichon batterà. Ma, detto fra noi, il servigio che mi ha reso non è poi così grande come vogliono far credere mia moglie e mia figlia.

Daniele                   - (stupito) Ah, così!

Perrichon                - Sì. Loro si montano la testa. Ma, lei sa, le donne…

Daniele                   - Però, quando Armando l’ha fermata, lei stava rotolando.

Perrichon                - Stavo rotolando, è vero, ma con una presenza di spirito sorprendente. Avevo adocchiato un piccolo abete al quale potermi aggrappare; lo tenevo già quando è giunto il suo amico.

Daniele                   - (tra sé) Guarda, guarda! Sta a vedere che si è salvato da solo.

Perrichon                - Comunque, non gli sono per questo meno grato per la sua buona intenzione. Spero di rivederlo, di rinnovargli i miei ringraziamenti. Anzi, l’inviterò questo inverno.

Daniele                   - (tra sé) Una tazza di tè!

Perrichon                - Pare che non sia la prima volta che un incidente simile si verifica in quel punto. È un brutto passo. Mi raccontava poco fa l’albergatore che l’anno scorso, un russo, un principe, ottimo cavaliere… - perché, checché ne dica mia moglie, non è dipeso dagli speroni – è caduto nello stesso crepaccio.

Daniele                   - Davvero?

Perrichon                - Lo ha tirato fuori la guida. Come vede, si può uscire benissimo. Ebbene, il russo gli ha dato cento franchi!

Daniele                   - È ben pagato!

Perrichon                - Lo credo bene! Eppure, è il suo prezzo.

Daniele                   - Non un soldo in più. (tra sé) Eh, ma io non parto!

Perrichon                - (risalendo la scena) Ma insomma, questa guida non viene.

Daniele                   - Le signore sono pronte?

Perrichon                - No, non vengono: lei capisce! Ma io conto su di lei.

Daniele                   - E su Armando?

Perrichon                - Se vuole essere dei nostri, non rifiuterò certo la compagnia del signor Desroches.

Daniele                   - (tra sé) Signor Desroches! Ancor un po’ e non lo può più sopportare.

L’albergatore         - (entrando dalla destra) Signore!

Perrichon                - E allora, questa guida?

L’albergatore         - È alla porta. Ecco le sue soprascarpe di corda.

Perrichon                - Ah, sì! Pare che scivoli nei crepacci, laggiù. E siccome non voglio aver obblighi con nessuno…

L’albergatore         - (presentandogli il registro) Il signore vuole scrivere qualcosa sul libro dei viaggiatori?

Perrichon                - Certamente. Ma non vorrei scrivere qualcosa di banale. Mi ci vorrebbe un pensierino, un bel pensierino… (restituendo il libro all’albergatore) Ci penserò infilandomi le soprascarpe. (a Daniele) Sono da lei fra un istante. (entra a destra seguito dall’albergatore.)

SCENA SESTA

Daniele, poi Armando.

Daniele                   - (solo) Questo fabbricante di carrozze è un tesoro di ingratitudine. Ora, i tesori appartengono a coloro che li trovano, articolo settecentosedici del Codice Civile.

Armando                - (apparendo alla porta di fondo) E allora?

Daniele                   - (tra sé) Povero ragazzo!

Armando                - L’hai visto?

Daniele                   - Sì.

Armando                - Gli hai parlato?

Daniele                   - Gli ho parlato.

Armando                - Allora hai fatto la domanda per me?

Daniele                   - No.

Armando                - Toh, e perché?

Daniele                   - Ci siamo promessi di essere sinceri l’uno con l’altro… Ebbene, caro Armando, io non parto più, io continuo la lotta.

Armando                - (stupito) Ah, la cosa cambia. E posso chiederti le ragioni che ti hanno fatto mutare decisione?

Daniele                   - Di ragioni ne ho una formidabile. Credo di riuscire.

Armando                - Tu?

Daniele                   - Conto di prendere una strada diversa dalla tua e di arrivare prima.

Armando                - Bene bene. È nel tuo diritto.

Daniele                   - La lotta però continuerà e leale e amichevole?

Armando                - Sì

Daniele                   - Ecco un sì un po’ asciutto!

Armando                - Scusami. (tendendogli la mano) Daniele, te lo prometto.

Daniele                   - Così va bene! (risale la scena).

SCENA SETTIMA

Detti, Perrichon, poi l’albergatore.

Perrichon                - Sono pronto. Mi son messo le soprascarpe. Ah, signor Armando.

Armando                - Si è rimesso dalla caduta?

Perrichon                - Completamente! Non parliamo più di quel piccolo incidente… è già dimenticato.

Daniele                   - (tra sé) Dimenticato! È davvero impareggiabile.

Perrichon                - Noi partiamo per la Mer de Glace. Lei è dei nostri?

Armando                - Sono un po’ stanco, le chiederei il permesso di restare.

Perrichon                - (premurosamente) Ben volentieri, non si faccia riguardi. (all’albergatore che sta entrando) Ah, signor albergatore, mi dia il libro dei viaggiatori. (siede a destra e scrive)

Daniele                   - (tra sé) Pare che abbia trovato il pensierino. Il bel pensierino.

Perrichon                - (finendo di scrivere) Ecco, così va bene! (leggendo con enfasi) “Com’è piccolo l’uomo quando lo si contempla dall’alto della Mère de Glace!”

Daniele                   - Caspita, questa sì che è buona!

Armando                - (tra sé) Adulatore!

Perrichon                - (modestamente) Non è idea da tutti.

Daniele                   - (tra sé) Neppure l’ortografia: ha scritto Mère, r, e, re.

Perrichon                - (all’albergatore, indicandogli il libro aperto sul tavolo) Stia attento! È bagnato!

Albergatore            - La guida attende i signori muniti di bastoni ferrati.

Perrichon                - Su, in cammino!

Daniele                   - In cammino! (Daniele e Perrichon escono, seguiti dall’albergatore.)

SCENA OTTAVA

Armando, poi l’albergatore e il maggiore Mathieu.

Armando                - Che strano voltafaccia quello di Daniele! Le signore sono qui, non dovrebbero tardare a uscire, voglio vederle, parlar loro. (sedendo rivolto al caminetto e prendendo un giornale) Le aspetterò.

L’albergatore         - (verso le quinte) Da questa parte, signore.

Il maggiore             - (entrando) Mi fermo solo un minuto, riparto subito per la Mer de Glace. (sedendo dinnanzi al tavolo su cui è rimasto il registro aperto) Mi faccia portare un ponce al kirsch, per favore.

L’albergatore         - (uscendo a destra) Subito, signore.

Il maggiore             - (scorgendo il registro) Ah, ah, il libro dei visitatori! Vediamo. (legge) “Com’è piccolo l’uomo quando lo si contempla dall’alto della Mère de Glace!”. Firmato “Perrichon”… Mère! Ecco un signore che merita una lezione di ortografia.

L’albergatore         - (portando il ponce) Ecco, signore. (lo posa sul tavolo a sinistra)

Il maggiore             - (continuando a scrivere sul registro) Ah, albergatore!

L’albergatore         - Signore.

Il maggiore             - Fra le persone giunte qui stamattina non avrebbe per caso un certo Armando Desroches?

Armando                - Eh? Sono io, signore.

Il maggiore             - (alzandosi) Lei, signore! Chiedo scusa (all’albergatore) Ci lasci. (l’albergatore esce) È proprio al signor Armando Desroches, della ditta Turneps, Desroches e C. che ho l’onore di parlare?

Armando                - Sì, signore.

Il maggiore             - Sono il maggiore Mathieu. (siede a sinistra e prende il ponce)

Armando                - Ah, fortunatissimo. Ma non credo di avere l’onore di conoscerla, maggiore.

Il maggiore             - Davvero? Allora le dirò che lei mi sta perseguitando a oltranza per una cambiale che ebbi l’imprudenza di mettere in circolazione.

Armando                - Una cambiale!

Il maggiore             - E ha perfino fatto spiccare contro di me un mandato di cattura.

Armando                - È possibile, maggiore, ma ad agire non sono io, è la banca.

Il maggiore             - Ed è per questo che non nutro alcun rancore verso di lei, né verso la sua banca. Solamente ci tenevo a dirle che, se avevo lasciato Parigi, non era per sfuggire alle azioni legali.

Armando                - Non lo metto in dubbio.

Il maggiore             - Anzi! Appena sarò di ritorno a Parigi, fra una quindicina di giorni, forse anche prima, glielo farò sapere e le sarò infinitamente grato se mi farà rinchiudere a Clichy[6], il più presto possibile!

Armando                - Lei scherza, maggiore.

Il maggiore             - Neanche per sogno! Glielo chiedo come un favore.

Armando                - Le confesso che non capisco.

Il maggiore             - (alzandosi, imitato da Armando) Mio Dio! Sono anch’io un po’ imbarazzato a spiegarglielo. Mi scusi, lei è scapolo?

Armando                - Sì, maggiore.

Il maggiore             - Oh, allora posso farle la mia confessione. Ho la disgrazia di avere un debole… amo.

Armando                - Lei?

Il maggiore             - È ridicolo, vero? Alla mia età?

Armando                - Non dico questo.

Il maggiore             - Oh., non si faccia riguardi! Mi sono innamorato pazzamente di una piccola... traviata che ho incontrato una sera nella sala da ballo di Mabille[7]. Si chiama Anita

Armando                - Anita! Ne ho conosciuta una.

Il maggiore             - Deve essere lei! Contavo di divertirmici tre giorni, e son già tre anni che mi tiene legato. M’inganna, mi rovina, si burla di me. Passo la vita a comperale dei mobili, che lei rivende il giorno dopo! Voglio lasciarla, parto, faccio duecento leghe; arrivo alla Mer de Glace… e non sono sicuro di non ritornare stasera stessa a Parigi! È più forte di me! L’amore a cinquant’anni, vede, è come un reumatismo, non c’è nulla che lo possa guarire.

Armando                - (ridendo) Maggiore, non avevo bisogno di questa sua confidenza per far sospendere l’azione legale. Scrivo immediatamente a Parigi.

Il maggiore             - (con vivacità) Ma niente affatto! Non scriva! Ci tengo a essere messo dentro; è forse un mezzo per guarire. Non l’ho ancora provato.

Armando                - Però…

Il maggiore             - Permetta! Ho la legge dalla mia.

Armando                - E va bene, maggiore, se lo vuole lei!

Il maggiore             - La prego, caldamente. Appena sarò di ritorno, le farò avere il mio biglietto da visita e lei potrà procedere legalmente. Non esco mai prima delle dieci. (salutando) Signore, lietissimo di aver avuto l’onore di fare la sua conoscenza.

Armando                - Il piacere è mio, maggiore. (si salutano. Il maggiore esce dal fondo.)

SCENA NONA

Armando, poi la signora Perrichon, poi Enrichetta.

Armando                - E va bene! Ecco un bel originale! (scorgendo la signora Perrichon che entra dalla sinistra) Ah, signora Perrichon!

Signora Perrichon  - Come, lei è solo? La credevo con gli altri.

Armando                - Son già venuto qui l’anno scorso, e ho chiesto al signor Perrichon il permesso di mettermi ai suoi ordini.

Signora Perrichon  - Ah, signore! (tra sé) È proprio un uomo di mondo! (forte) Le piace molto la Svizzera?

Armando                - Oh, in qualche luogo bisogna pur andare!

Signora Perrichon  - Oh, io non vorrei abitare in questo paese, ci sono troppi precipizi e troppe montagne. La mia famiglia è della Beauce[8]

Armando                - Ah, capisco.

Signora Perrichon  - Vicino a Étampes.

Armando                - (tra sé) Dobbiamo avere un corrispondente a Étampes; potrebbe essere un nesso. (forte) Conosce per caso il signor Pingley, a Étampes?

Signora Perrichon  - Pingley! È mio cugino? Lo conosce?

Armando                - Molto bene. (tra sé) Mai visto!

Signora Perrichon  - Che cara persona!

Armando                - Ah, sì!

Signora Perrichon  - È un gran peccato che abbia quella sua infermità!

Armando                - Certo… è proprio un gran peccato!

Signora Perrichon  - Sordo a quarantasette anni!

Armando                - (tra sé) Toh, è sordo, il nostro corrispondente. Ecco perché non risponde mai alle nostre lettere.

Signora Perrichon  - Non è singolare? È proprio un amico di Pingley a salvare mio marito. Quanti mai casi si danno a questo mondo.

Armando                - Spesso però si attribuiscono al caso eventi di cui è perfettamente innocente.

Signora Perrichon  - Ah, sì… spesso però si attribuiscono… (tra sé) Che cosa ha voluto dire?

Armando                - Così, signora, il nostro incontro in treno, poi a Lione, poi a Ginevra, a Chamonix, e anche qui, lei li ascrive proprio tutti al caso?

Signora Perrichon  - Viaggiando, ci si ritrova…

Armando                - Certo. Specie quando si cerca.

Signora Perrichon  - Come?

Armando                - Si, signora, non posso più continuare a recitare la commedia del caso; le debbo dire la verità, come la debbo alla signorina sua figlia.

Signora Perrichon  - Mia figlia!

Armando                - Mi vorrà perdonare? Il giorno in cui l’ho vista, sono rimasto colpito, affascinato. Ho saputo che partivano per la Svizzera… e sono partito.

Signora Perrichon  - Ma allora, lei ci sta seguendo?

Armando                - Passo per passo. Che vuole… amo…

Signora Perrichon  - Signore!

Armando                - Oh, si rassicuri! Amo con tutto il rispetto, con tutta la discrezione che si debbono a una signorina di cui si sarebbe felici di fare la propria moglie.

Signora Perrichon  - (smarrita, tra sé) Una domanda di matrimonio! E Perrichon non c’è! (forte) Certo, signore, sono felice. Che dico, lusingata! Perché i suoi modi, la sua educazione, Pingley, il servizio che ci ha reso… ma il signor Perrichon è uscito, per la Mer de Glace, e appena rientrerà…

Enrichetta              - (entrando con vivacità) Mamma! (fermandosi) Ah, stavi parlando col signor Armando?

Signora Perrichon  - (imbarazzata) Si stava parlando, cioè, sì, si parlava di Pingley! Il signore conosce Pingley; non è vero?

Armando                - Certo, conosco Pingley!

Enrichetta              - Oh, che gioia!

Signora Perrichon  - (a Enrichetta) Ma come ti sei pettinata! E il vestito! E il colletto. (piano) E sta un po’ dritta!

Enrichetta              - (stupita) Che c’è? (grida e tumulto all’esterno)

Signora Perrichon  - (all’unisono con Enrichetta) Ah, Dio mio!

Armando                - Queste grida!

SCENA DECIMA

Detti, Perrichon, Daniele, la guida, l’albergatore.

(Daniele entra sostenuto dall’albergatore e dalla guida.)

Perrichon                - (assai emozionato) Presto, dell’acqua! Del sale! Dell’aceto! (fa sedere Daniele)

Tutti                       - Che c’è?

Perrichon                - Un fatto terribile! (interrompendosi) Fatelo bere, strofinategli le tempie!

Daniele                   - Grazie, mi sento meglio.

Armando                - Cos’è accaduto?

Daniele                   - Senza il coraggioso intervento del signor Perrichon…

Perrichon                - (con vivacità) No, lei no, non parli! (raccontando) È stato orribile. Eravamo sulla Mer de Glace, il monte Bianco ci guardava tranquillo e maestoso…

Daniele                   - (tra sé) Il racconto di Teremane![9]

Signora Perrichon  - Ma sbrigati, dunque!

Enrichetta              - Papà!

Perrichon                - Un momento, che diamine! Da cinque minuti stavamo seguendo, tutti assorti, un sentiero scosceso che serpeggiava tra due crepacci di ghiaccio. Io ero in testa.

Signora Perrichon  - Che imprudenza!

Perrichon                - A un tratto, odo dietro di me come franare qualcosa; mi volto: il signore era scomparso in uno di quegli abissi senza fondo, la cui sola vista fa rabbrividire…

Signora Perrichon  - (impazientita) Ma caro!

Perrichon                - Allora, ascoltando solo il mio coraggio, io, padre di famiglia, mi butto.

Signora Perrichon  - (all’unisono con Enrichetta) Dio mio!

Perrichon                - Sull’orlo del precipizio, gli tendo il mio bastone ferrato. Lui vi si aggrappa. Io tiro, lui tira, noi tiriamo, e dopo una lotta forsennata, lo strappo all’abisso e al nulla e lo riporto alla luce del sole, il nostro padre comune! (si asciuga la fronte con il fazzoletto)

Enrichetta              - Oh, papà!

Signora Perrichon  - Caro!

Perrichon                - (abbracciando la moglie e la figlia) Sì, figli miei, è stata una bella pagina.

Armando                - (a Daniele) Come ti senti?

Daniele                   - (piano) Benissimo, non ti preoccupare! (si alza) Signor Perrichon, lei ha restituito un figlio alla madre.

Perrichon                - (con solennità) È vero!

Daniele                   - Un fratello alla sorella!

Perrichon                - E un uomo alla società.

Daniele                   - Le parole sono impotenti a esprimere la mia riconoscenza per un simile servigio.

Perrichon                - È vero!

Daniele                   - Il cuore soltanto, capisce? Il cuore!

Perrichon                - Signor Daniele! No, mi lasci chiamarla Daniele.

Daniele                   - Ma certo! (tra sé) Una volta per ciascuno.

Perrichon                - (commosso) Daniele, amico mio, figlio mio! La sua mano (gli prende la mano) Le debbo le più dolci emozioni della mia vita. Senza di me, lei non sarebbe che una massa informe e ripugnante, sepolta sotto il ghiaccio. Lei mi deve tutto, tutto! (con dignità) Non lo dimenticherò mai!

Daniele                   - Neanch’io!

Perrichon                - (ad Armando, asciugandosi gli occhi) Ah, giovanotto! Lei non sa che piacere si provi a salvare il proprio simile.

Enrichetta              - Ma papà, il signore lo sa benissimo, poiché poco fa…

Perrichon                - (ricordandosi) Ah, sì, vero! Signor albergatore, mi porti il libro dei visitatori.

Signora Perrichon  - Per che farne?

Perrichon                - Prima di lasciare questi luoghi, voglio consacrare con un’annotazione il ricordo di questo avvenimento.

L’albergatore         - (portando il registro) Ecco, signore.

Perrichon                - Grazie. Toh, chi è stato a scrivere questo?

Tutti                       - Che cosa?

Perrichon                - (leggendo) “Farò osservare al signor Perrichon che la Mer de Glace non avendo figli, la e che egli le attribuisce diventa una sconcezza grammaticale.” Firmato: “il maggiore”.

Tutti                       - Eh?

Enrichetta              - (piano, a suo padre) Sì, papà, Mer si scrive senza e finale

Perrichon                - Lo sapevo! Risponderò io a questo signore. (prende una penna e scrive) “Il maggiore è… un tanghero!” Firmato: “Perrichon”.

La guida                 - (rientrando) La vettura è pronta.

Perrichon                - Su, sbrighiamoci. (ai due giovani) Accettano un passaggio? (Armando e Daniele s’inchinano.)

Signora Perrichon  - (chiamando suo marito) Perrichon, aiutami a indossare il mantello. (piano) Mi hanno chiesto la mano di nostra figlia.

Perrichon                - Toh, anche a me.

Signora Perrichon  - Il signor Armando.

Perrichon                - E a me, Daniele. Il mio amico Daniele.

Signora Perrichon  - Ma mi sembra che l’altro…

Perrichon                - Ne parleremo più tardi.

Enrichetta              - (alla finestra) Ah, piove a dirotto.

Perrichon                - Accidenti! (all’albergatore) In quanti ci si sta nella sua carrozza?

L’albergatore         - Quattro dentro e uno in serpa, col cocchiere.

Perrichon                - Il conto torna esattamente.

Armando                - Non s’incomodino per me.

Perrichon                - Daniele salirà con noi.

Enrichetta              - (piano a suo padre) E il signor Armando?

Perrichon                - Caspita, si sono solo quattro posti! Salirà a cassetta.

Enrichetta              - Con una pioggia simile?

Signora Perrichon  - Un uomo che ti ha salvato la vita!

Perrichon                - Gli presterò il mio impermeabile.

Enrichetta              - Ah!

Perrichon                - Su, in cammino. In cammino!

Daniele                   - (tra sé) Lo sapevo bene che mi sarei riavvantaggiato.

ATTO TERZO

Salotto in casa Perrichon, a Parigi. Caminetto in fondo; porta d’ingresso nell’angolo a sinistra; appartamento nell’angolo a destra; sala da pranzo a sinistra; in mezzo, tavolino rotondo con tappeto; canapè a destra del tavolino.

SCENA PRIMA

 Giovanni.

Giovanni                - (solo, finendo di spolverare una poltrona) Mezzogiorno meno un quarto. È oggi che il signor Perrichon con la signora e la signorina tornano dal viaggio. Ho ricevuto ieri una lettera del signore. Eccola. (legge) “Grenoble, cinque luglio. Arriveremo mercoledì, sette luglio, a mezzogiorno. Giovanni, faccia le pulizie nell’appartamento e faccia mettere le tende.” (parlato) Fatto. (legge) “Dica a Margherita, la cuoca, di prepararci il pranzo. Metta su il lesso, un pezzo non troppo grasso. Inoltre, siccome è un pezzo che non mangiamo pesce di mare, ci comperi un piccolo rombo freschissimo. Se il rombo fosse troppo caro, lo sostituisca con un pezzo di vitello al tegame.” (parlato) Il signore può arrivare, è tutto pronto. Ecco qui i giornali, la posta, i biglietti da visita. A proposito! È venuto stamane per tempo un signore che non conosco. M’ha detto di chiamarsi “il maggiore”. Deve ripassare (scampanellata alla porta esterna) Suonano! È il signore, riconosco la mano.

SCENA SECONDA

 Giovanni, Perrichon, la signora Perrichon, Enrichetta, con borse da viaggio e cappelliere.

Perrichon                - Giovanni, siamo noi!

Giovanni                - Ah signore, signora, signorina! (li libera dei pacchi)

Perrichon                - Ah, com’è bello ritornare nella propria casa, vedere i propri mobili, sedervisi. (siede sul canapè)

Signora Perrichon  - (seduta a sinistra) Dovremmo essere rientrati da otto giorni.

Perrichon                - Non potevamo passare da Grenoble senza andar a trovare i Darinel. Ci hanno trattenuti… (a Giovanni) È arrivato qualcosa per me durante la mi assenza?

Giovanni                - Si, signore. È tutto lì, sul tavolo.

Perrichon                - (prendendo i biglietti da visita) Quante visite! (leggendo) Armando Desroches…

Enrichetta              - (con gioia) Ah!

Perrichon                - Daniele Savary… bravo giovane! Armando Desroches, Daniele Savary, caro giovane… Armando Desroches.

Giovanni                - Questi signori sono venuti ogni giorno a informarsi del suo ritorno.

Signora Perrichon  - Devi restituire loro la visita.

Perrichon                - Certo che andrò a trovarlo, questo bravo Daniele!

Enrichetta              - E il signor Armando?

Perrichon                - Andrò a trovare anche lui, dopo. (si alza)

Enrichetta              - (a Giovanni) Aiutami a portare in camera queste cappelliere.

Giovanni                - Sì, signorina. (guardando Perrichon) Trovo il signore ingrassato. Si vede che ha fatto buon viaggio.

Perrichon                - Splendido, caro mio, splendido! Ah, tu non lo sai? Ho salvato un uomo!

 Giovanni               - (incredulo) Il signore? Eh, via! (esce con Enrichetta dalla destra)

SCENA TERZA

 Perrichon, la signora Perrichon.

Perrichon                - Come! Eh, via… sarà stupido, quello scemo!

Signora Perrichon  - Adesso che siamo ritornati, spero che prenderai una decisione. Non possiamo ritardare più oltre la risposta da dare a quei due giovani. Due pretendenti in casa, sono troppi!

Perrichon                - In quanto a me, non ho cambiato parere, preferisco Daniele!

Signora Perrichon  - Perché?

Perrichon                - Non lo so, lo trovo più… insomma, quel giovanotto mi piace!

Signora Perrichon  - Ma l’altro… l’altro ti ha salvato la vita.

Perrichon                - Mi ha salvato la vita: sempre lo stesso ritornello!

Signora Perrichon  - Che cosa gli puoi rimproverare? È di famiglia rispettabile, ha un’ottima posizione…

Perrichon                - Dio mio, non gli rimprovero nulla, non ce l’ho affatto con quel ragazzo.

Signora Perrichon  - Ci mancherebbe anche questa!

Perrichon                - C’è però una certa affettazione.

Signora Perrichon  - Affettato, lui!

Perrichon                - Sì, ha un fatto protettore, dei modi… sembra sempre che voglia prevalersi del piccolo servigio che m’ha reso.

Signora Perrichon  - Non te ne parla mai!

Perrichon                - Eh, lo so! Ma quel suo fare! Quel suo fare mi dice: eh, se non c’ero io? A lungo andare, diventa irritante tutto ciò; l’altro invece!…

Signora Perrichon  - L’altro ti ripete continuamente: eh, se non c’era lei?…eh, se non c’era lei? Questo lusinga la tua vanità, ed ecco perché lo preferisci.

Perrichon                - Vanitoso, io! Potrei anche avere il diritto di esserlo.

Signora Perrichon  - Ah!

Perrichon                - Sì, signora! L’uomo che ha rischiato la vita per salvare il suo simile può essere fiero di sé. Ma preferisco rinchiudermi in un modesto silenzio, segno caratteristico del vero coraggio!

Signora Perrichon  - Tutto ciò non toglie però che il signor Armando…

Perrichon                - Enrichetta non ama, non può amare il signor Armando! !

Signora Perrichon  - Che ne sai, tu?

Perrichon                - Diamine, lo suppongo!

Signora Perrichon  - C’è un mezzo per saperlo: quello di interpellarla. E scegliamo quello che lei preferirà.

Perrichon                - E sia! Ma tu non influenzarla.

Signora Perrichon  - Eccola.

SCENA QUARTA

 Perrichon, la signora Perrichon, Enrichetta.

Signora Perrichon  - (a sua figlia che entra) Enrichetta, figlia mia cara. Tu padre e io, dobbiamo parlarti seriamente.

Enrichetta              - A me?

Perrichon                - Sì.

Signora Perrichon  - Sei quasi in età da marito. Due giovanotti si presentano per ottenere la tua mano. Entrambi ci convengono, ma noi non vogliamo contrariare la tua volontà, e abbiamo deciso di lasciarti piena libertà di scelta.

Enrichetta              - Come!

Perrichon                - Piena e intera.

Signora Perrichon  - Uno di questi giovanotti è il signor Armando Desroches.

Enrichetta              - Ah!

Perrichon                - (con vivacità) Non influenzarla.

Signora Perrichon  - L’altro è il signor Daniele Savary.

Perrichon                - Giovane piacente, distinto, pieno di spirito, e che, non lo nascondo, gode di tutta la mia simpatia.

Signora Perrichon  - Ma tu la influenzi…

Perrichon                - Affatto! Sto constatando una realtà! (alla figlia) Adesso sai tutto, scegli.

Enrichetta              - Dio mio! Mi mettete in un bel imbarazzo… Ma sono pronta ad accettare quello dei due che mi proporrete.

Perrichon                - No, no, decidi tu!

Signora Perrichon  - Parla, figlia mia!

Enrichetta              - Allora, dato che debbo proprio scegliere, scelgo… il signor Armando.

Signora Perrichon  - Hai visto?

Perrichon                - Armando? Perché non Daniele?

Enrichetta              - Ma il signor Armando ti ha salvato la vita, papà.

Perrichon                - E dagliela! Ancora? Ma è insopportabile, parola d’onore!

Signora Perrichon  - Ebbene, come vedi, non c’è da esitare.

Perrichon                - Ah no, permetti, cara, un padre non può abdicare. Rifletterò, assumerò le mie informazioni.

Signora Perrichon  - (piano) Signor Perrichon, questa è malafede!

Perrichon                - Carolina!

SCENA QUINTA

 Detti. Giovanni, Majorin.

Giovanni                - (verso le quinte) Entri pure, sono arrivati in questo momento. (Majorin entra)

Perrichon                - Toh, è Majorin!

Majorin                  - (salutando) Signora, signorina, ho saputo che tornavano oggi, allora ho chiesto un giorno di permesso. Ho detto che ero di servizio.

Perrichon                - Che caro amico! Molto gentile, pranzi con noi? C’è un piccolo rombo.

Majorin                  - Ma, se non è indiscreto…

Giovanni                - (piano a Perrichon) Signore, è vitello al tegame. (esce)

Perrichon                - Ah! (a Majorin) Beh, non parliamone più, sarà per un’altra volta.

Majorin                  - (tra sé) Come, mi si disinvita! Se crede che ci tenga, al suo pranzo! (prendendo da parte Perrichon. Le signore siedono sul canapè.) Ero venuto a parlarti dei seicento franchi che mi hai prestato il giorno della tua partenza.

Perrichon                - Me li hai riportati?

Majorin                  - No, soltanto domani riscuoto il dividendo della società di navigazione, ma a mezzogiorno in punto.

Perrichon                - Oh, non c’è fretta!

Majorin                  - Chiedo scusa, ho fretta di sdebitarmi.

Perrichon                - Ah, tu non sai? Ti ho portato un ricordo.

Majorin                  - (sedendo dietro il tavolino rotondo) Un ricordo! Per me?

Perrichon                - (sedendo) Passando per Ginevra, ho comprato tre orologi. Uno per Giovanni, uno per Margherita, la cuoca, e uno per te, a ripetizione.

Majorin                  - (tra sé) Mi mette dopo i domestici! (forte) Allora?

Perrichon                - Prima di arrivare alla dogana francese, li avevo nascosti sotto la sciarpa.

Majorin                  - Perché?

Perrichon                - Oh bella! Non avevo voglia di pagare i diritti doganali. Mi chiedono: non ha niente da dichiarare? Rispondo di no; faccio un movimento ed eco che quell’accidenti del tuo orologio si mette a suonare: drin, drin drin.

Majorin                  - Allora?

Perrichon                - Allora, mi hanno pescato, hanno sequestrato tutto.

Majorin                  - Come?

Perrichon                - C’è stata una scenataccia. Ho chiamato il doganiere brutto gabellotto. Mi ha detto che avrei sentito parlare di lui. Mi dispiace tanto di questo incidente. Era bello, il tuo orologio.

Majorin                   - (seccamente) Ti ringrazio lo stesso. (tra sé) Come se non potesse pagare i 

                               diritti doganali. Spilorcio!

SCENA SESTA

 Detti, Giovanni, Armando.

Giovanni                - (annunciando) Il signor Armando Desroches.

Enrichetta              - (lasciando il lavoro) Ah!

Signora Perrichon  - (alzandosi e andando incontro ad Armando) Benvenuto, aspettavamo la sua visita.

Armando                - (salutando) Signora, signor Perrichon.

Perrichon                - Onoratissimo! Onoratissimo! (tra sé) Ha sempre quel suo fare protettore!

Signora Perrichon  - (piano al marito) Presentalo dunque a Majorin.

Perrichon                - Certo. (forte) Majorin, ti presento il signor Armando Desroches, una conoscenza di viaggio.

Enrichetta              - (con vivacità) Ha salvato la vita a papà!

Perrichon                - (tra sé) E dagliela! Ancora!

Majorin                  - Come, hai corso qualche pericolo?

Perrichon                - No, una cosa da nulla.

Armando                - Non mette conto di parlarne.

Perrichon                - (tra sé) Sempre quel suo fare protettore!

SCENA SETTIMA

 Detti, Giovanni, Daniele.

Giovanni                - (annunciando) Il signor Daniele Savary.

Perrichon                - (rallegrandosi tutto) Ah, eccolo, finalmente, questo caro amico, questo buon Daniele! (per poco non rovescia il tavolino correndogli incontro)

Daniele                   - (salutando) Signora, signorina. Buon giorno Armando.

Perrichon                - (prendendolo per mano) Venga, che la presento a Majorin. (forte) Majorin, ti presento un mio buon, un mio ottimo amico, il signor Daniele Savary.

Majorin                  - Savary? Della società di navigazione?

Daniele                   - (salutando) In persona.

Perrichon                - Ah, se non c’ero io, domani non ti avrebbe pagato il dividendo.

Majorin                  - Perché?

Perrichon                - (fatuo) Per la semplice ragione che gli ho salvato la vita, caro mio!

Majorin                  - Tu? (tra sé) Ah, ma allora hanno passato tutto il tempo a salvarsi a vicenda!

Perrichon                - (raccontando) Eravamo sulla Mer de Glace, il Monte Bianco ci guardava, tranquillo e maestoso…

Daniele                   - (tra sé) Secondo racconto di Teramene!

Perrichon                - Seguivamo tutti assorti uno sconnesso sentiero...

Enrichetta              - (che ha aperto un giornale) Guarda! Guarda! C’è papà nel giornale!

Perrichon                - Come! Mi hanno messo nel giornale?

Enrichetta              - Leggi tu stesso, qui. (gli dà il giornale)

Perrichon                - Sta a vedere che mi hanno esonerato dalle funzioni di giudice popolare. (legge) “Ci mandano da Chamonix…”

Tutti                       - Oh, guarda! (si avvicinano)

Perrichon                - (legge) “Un incidente che avrebbe potuto avere gravi conseguenze è accaduto alla Mer de Glace… Il signor Daniele S. ha fatto un passo falso ed è scomparso in uno di quei crepacci così temuti dagli escursionisti. Un testimone di questa scena, il signor Perrichon (ci permetta di citarlo…)” (parlato) Altro che, se lo permetto! (legge) “…Il signor Perrichon, esimio commerciante di Parigi e padre di famiglia, ascoltando solo il suo coraggio, e con sprezzo della propria vita, si è lanciato nell’abisso…” (parlato) È vero! (legge) “…e dopo inenarrabili sforzi è stato tanto fortunato da tirar fuori il suo compagno. Tanta ammirabile abnegazione è stata superata solo dalla modestia del signor Perrichon, che si è sottratto alle felicitazioni della folla commossa e intenerita. Le persone di cuore di ogni paese ci saranno grate di aver loro segnalato un simile gesto!”

Tutti                       - Ah!

Daniele                   - (tra sé) Tre franchi la riga!

Perrichon                - (rileggendo lentamente l’ultima frase) “Le persone di cuore di ogni paese ci saranno grate di aver loro segnalato un simile gesto!” (a Daniele, assai commosso) Amico, figlio mio! Abbracciami! (si abbracciano)

Daniele                   - (tra sé) Decisamente, sono avvantaggiato.

Perrichon                - (mostrando il giornale) Non sono certo un rivoluzionario, ma, lo dico a voce alta, la stampa ha del buono. (mettendo in tasca il giornale e tra sé) Ne farò comperare dieci copie.

Signora Perrichon  - Senti, caro, e se mandassimo al giornale la notizia del bel gesto del signor Armando?

Enrichetta              - Oh, sì: farebbe un bel riscontro!

Perrichon                - (con vivacità) È inutile! Non posso occupare continuamente i giornali della mia persona.

Giovanni                - (entrando, con una carta in mano) Signore?

Perrichon                - Che c’è?

Giovanni                - Il portinaio m’ha dato una carta bollata per lei.

Signora Perrichon  - Una carta bollata?

Perrichon                - Di che hai paura? Non devo niente a nessuno. Anzi, sono gli altri che devono a me.

Majorin                  - (tra sé) Questo lo dice per me!

Perrichon                - (guardando la carta) Un mandato di comparizione dinanzi alla sesta sezione per ingiurie a un agente della forza pubblica nell’esercizio delle sue funzioni.

Tutti                       - Ah, Dio mio!

Perrichon                - (leggendo) “Visto il processo verbale redatto all’ufficio doganale francese dal signor Marchand, sergente di finanza…” (Majorin risale la scena)

Armando                - Che significa?

Perrichon                - Un doganiere che mi ha sequestrato tre orologi. Sono stato troppo vivace, l’ho chiamato gabellotto, rifiuto dell’umanità.

Majorin                  - (dietro il tavolino) È molto grave! Molto grave!

Perrichon                - (inquieto) Perché?

Majorin                  - Ingiurie qualificate a un agente della forza pubblica nell’esercizio delle sue funzioni.

Signora Perrichon  - (all’unisono con Perrichon) E allora?

Majorin                  - Da quindici giorni a tre mesi di carcere.

Tutti                       - In carcere!

Perrichon                - Io, dopo cinquant’anni di vita intemerata, andrei a sedermi sul banco dell’infamia? Mai! Mai!

Majorin                  - (tra sé) Gli sta bene! Così impara a pagare i diritti doganali!

Perrichon                - Ah, amici miei! Il mio avvenire è distrutto.

Signora Perrichon  - Calmati, via!

Enrichetta              - Papà!

Daniele                   - Coraggio!

Armando                - Aspetti! Forse posso trarla da questo impaccio.

Tutti                       - Eh?

Perrichon                - Lei, amico mio, mio buon amico!

Armando                - (avvicinandoglisi) Sono amico intimo di un pezzo grosso della dogana. Andrò a trovarlo. Si potrà forse convincere il doganiere a ritirare la querela.

Majorin                  - Mi sembra difficile!

Armando                - Perché? Un momento di vivacità…

Perrichon                - Di cui mi pento!

Armando                - Mi dia quella carta, ho buone speranze. Non si tormenti, caro signor Perrichon!

Perrichon                - (commosso, prendendogli la mano) Ah, Daniele! (correggendosi) No, Armando! Guarda, bisogna che ti abbracci! (si abbracciano)

Enrichetta              - (tra sé) Meno male! (risale la scena con la madre)

Armando                - (piano, a Daniele) Tocca a me essere in vantaggio!

Daniele                   - Diamine! (tra sé) Credo di aver a che fare con un rivale e m’imbatto in un cane di Terranova.

Majorin                  - (ad Armando) Esco con lei.

Perrichon                - Ci lasci?

Majorin                  - Sì. (dignitoso) Pranzo fuori. (esce con Armando)

Signora Perrichon  - (avvicinandosi al marito) Allora, che pensi adesso del signor Armando?

Perrichon                - Lui! Ma è un angelo! Un angelo!

Signora Perrichon  - Ed esiti a dargli tua figlia?

Perrichon                - No, non esito più.

Signora Perrichon  - Finalmente ti riconosco! Non ti resta altro che avvertire il signor Daniele.

Perrichon                - Ah, povero ragazzo! Tu credi?

Signora Perrichon  - Diamine! A meno che tu non voglia aspettare fino all’invio delle partecipazioni di nozze?

Perrichon                - Oh no!

Signora Perrichon  - Ti lascio con lui, coraggio! (forte) Vieni, Enrichetta? (salutando Daniele) Signore. (esce a destra, seguita da Enrichetta)

SCENA OTTAVA

 Perrichon, Daniele.

Daniele                   - (tra sé, scendendo verso il proscenio) È evidente che le mie azioni sono in ribasso. Se potessi… (va verso il canapè)

Perrichon                - (tra sé, in fondo) Questo bravo giovane, mi fa pena. Coraggio, è necessario! (forte) Mio caro Daniele, mio buon Daniele, ho una penosa notizia da darle.

Daniele                   - (tra sé) Ci siamo. (siedono sul canapè)

Perrichon                - Lei mi ha fatto l’onore di chiedermi la mano di mia figlia. Io accarezzavo questo progetto, ma le circostanze, gli eventi… Il suo amico, il signor Armando, mi ha reso tali servigi…

Daniele                   - Capisco.

Perrichon                - Perché, non c’è che dire, quell’uomo mi ha salvato la vita!

Daniele                   - Ma allora, il piccolo abete cui lei si è aggrappato?

Perrichon                - Certo, il piccolo abete… ma era molto piccolo, poteva spezzarsi. E poi non mi ero ancora aggrappato.

Daniele                   - Ah!

Perrichon                - No, non del tutto. In questo momento, quell’ottimo giovane sta divorando la strada per evitarmi la prigione. Gli dovrò l’onore, l’onore!

Daniele                   - Signor Perrichon, il sentimento che la spinge ad agire è troppo nobile perché io tenti di combatterlo.

Perrichon                - Davvero? Lei non mi serba rancore?

Daniele                   - Mi ricordo solo del suo coraggio, della sua abnegazione per me.

Perrichon                - (afferrandogli la mano) Ah Daniele! (tra sé) È incredibile come mi piaccia questo ragazzo!

Daniele                   - (alzandosi) Così, prima di partire…

Perrichon                - Che?

Daniele                   - Prima di lasciarla…

Perrichon                - (alzandosi) Come, lasciarmi! Lei? E perché?

Daniele                   - Non posso continuare a fare delle visite che sarebbero compromettenti per la signorina sua figlia, e dolorose per me.

Perrichon                Ma le pare! Il solo uomo che io abbia salvato!

Daniele                   - Ah, ma la sua immagine non mi lascerà. Ho concepito un progetto: quello di fissare sulla tela, come lo è già nel mio cuore, l’eroica scena della Mer de Glace.

Perrichon                - Un quadro! (tra sé) Vuol mettermi in un quadro!

Daniele                   - Mi sono già rivolto a uno dei nostri più illustri pittori, uno di quelli che lavorano per i posteri.

Perrichon                - Per i posteri! Ah, Daniele! (tra sé) È straordinario come mi piaccia questo ragazzo!

Daniele                   - Ci tengo soprattutto alla somiglianza.

Perrichon                - Lo credo bene, anch’io!

Daniele                   - Lei però dovrà concedermi cinque o sei sedute.

Perrichon                Ma che dice, amico mio! Quindici, venti, trenta! Non mi stancherò, poseremo insieme!

Daniele                   - (con vivacità) Ah, no, io no!

Perrichon                - Perché?

Daniele                   - Perché… ecco come abbiamo concepito il quadro: sulla tela si vedrà soltanto il Monte Bianco.

Perrichon                - (inquieto) Ma come, e io?

Daniele                   - Il Monte Bianco, e lei!

Perrichon                - Eh già, io e il Monte Bianco, tranquillo e maestoso! Ma lei, allora, dove sarà?

Daniele                   - Nella voragine, in fondo in fondo. Si scorgeranno solo le mie due mani contratte e supplichevoli.

Perrichon                - Che magnifico quadro!

Daniele                   - Lo metteremo al museo.

Perrichon                - Di Versailles?

Daniele                   - No, di Parigi.

Perrichon                - Ah sì, all’esposizione.

Daniele                   - E faremo inserire nel catalogo questo commento...

Perrichon                - No, niente strombazzature, niente pubblicità! Ci metteremo semplicemente l’articolo del giornale “Ci mandano da Chamonix”.

Daniele                   - È un po’ arido.

Perrichon                - Sì, ma noi lo arrangeremo! (con effusione) Ah, Daniele, amico mio, figlio mio!

Daniele                   - Addio, signor Perrichon! Noi non dobbiamo più rivederci.

Perrichon                - No, è impossibile! È impossibile! Per il matrimonio, nulla è deciso ancora.

Daniele                   - Ma...

Perrichon                - Rimanga, lo voglio!

Daniele                   - (tra sé) Meno male!

SCENA NONA

 Detti, Giovanni, il maggiore.

Giovanni                - (annunciando) Il maggiore Mathieu.

Perrichon                - (stupito) E chi è?

Il maggiore             - (entrando) Chiedo scusa, disturbo forse?

Perrichon                - Affatto.

Il maggiore             - (a Daniele) È al signor Perrichon che ho l’onore di parlare?

Perrichon                - Sono io, signore.

Il maggiore             - Ah! (a Perrichon) Sono due giorni che la sto cercando. Vi sono molti Perrichon a Parigi. Ne ho visitati una dozzina, ma io sono ostinato.

Perrichon                - (indicandogli una sedia a sinistra del tavolino) Lei ha qualcosa da dirmi? (siede sul canapè. Daniele risale la scena)

Il maggiore             - (sedendo) Ancora non lo so. Mi permetta di rivolgerle una domanda: è lei che, un mese fa, ha fatto un viaggio alla Mer de Glace?

Perrichon                - Sì, signore, sono io! Credo di aver il diritto di vantarmene!

Il maggiore             - Allora è lei che ha scritto sul libro dei visitatori: “Il maggiore è un tanghero”.

Perrichon                - Come! Lei è...

Il maggiore             - Sì, signore, sono io!

Perrichon                - Fortunatissimo! (si scambiano vari cenni di saluto)

Daniele                   - (tra sé, scendendo verso il proscenio) Accidenti, l’orizzonte si oscura!

Il maggiore             - Signore, io non sono né un attaccabrighe né uno spadaccino, ma non desidero che sui registri d’albergo, accanto al mio nome, rimangano certi apprezzamenti.

Perrichon                - Ma è stato il primo lei a fare un’annotazione… più che vivace!

Il maggiore             - Io? Io mi sono limitato a constatare che Mer de Glce non voleva una e alla fine; consulti il dizionario.

Perrichon                - Eh, ma signore! Lei non è tenuto a correggere i miei pretesi errori di ortografia! Di che s’immischia, lei? (si alzano)

Il maggiore             - Chiedo scusa. Per me, la lingua francese è una cara compatriota. Una signora di buona famiglia, elegante, ma un po’ esigente. Lei lo sa meglio di chicchessia.

Perrichon                - Io?

Il maggiore             - E quando ho l’onore di incontrarla all’estero, non permetto che le inzaccherino la veste. È una questione di cavalleria e di amor patrio.

Perrichon                - Ma insomma, signore, non avrà mica la pretesa di darmi una lezione?

Il maggiore             - Lungi da me tale idea.

Perrichon                - Ah, meno male! (tra sé) Indietreggia.

Il maggiore             - Ma senza volerle dare una lezione, vengo a chiederle cortesemente una spiegazione.

Perrichon                - (tra sé) Mathieu! È un falso maggiore.

Il maggiore             - Una delle due: o lei persiste…

Perrichon                - Non ho bisogno di tutti codesti ragionamenti! Lei crede forse di impressionarmi: signore, io ho dato prove del mio coraggio, sa? E gliele farò vedere.

Il maggiore             - E dove?

Perrichon                - All’esposizione, l’anno prossimo.

Il maggiore             - Ah, permetta, mi sarà impossibile attendere fino allora! Per farla breve, vengo al fatto: ritira sì o no?

Perrichon                - Niente affatto!

Il maggiore             - Badi!

Daniele                   - Signor Perrichon!

Perrichon                - Niente affatto! (tra sé) Non ha neanche i baffi.

Il maggiore             - Allora, signor Perrichon, avrò l’onore di aspettarla domani a mezzogiorno, con i miei padrini, nei boschi della Malmaison[10].

Daniele                   - Maggiore, una parola...

Il maggiore             - (risalendo la scena) L’aspetteremo davanti alla casa del custode.

Daniele                   - Ma, maggiore....

Il maggiore             - Scusino tanto, ho appuntamento con un tappezziere, per la scelta delle stoffe, dei mobili. A domani, a mezzogiorno. (salutando) Signori, ho l’onore di salutarli. (esce)

SCENA DECIMA

Perrichon, Daniele, poi Giovanni.

Daniele                   - (a Perrichon) Accidenti, è inflessibile lei, nelle questioni di onore! Specie con un maggiore!

Perrichon                - Maggiore lui! Eh, via, forse che i veri maggiori si divertono a spulciare gli errori di ortografia?

Daniele                   - Non importa. Bisogna chiedere, informarsi, (suona dal caminetto) sapere con chi abbiamo a che fare.

Giovanni                - (comparendo) Signore?

Perrichon                - (a Giovanni) Perché hai lasciato entrare quell’uomo che è uscito poco fa?

Giovanni                - Signore, era già venuto questa mattina. Ho anzi dimenticato di consegnarle il suo biglietto da visita.

Daniele                   - Ah, il suo biglietto da visita!

Perrichon                - Da qua! (leggendolo) Mathieu, ex comandante di battaglione nel secondo reggimento zuavi.

Daniele                   - Uno zuavo!

Perrichon                - Capperi!

Giovanni                - Che c’è?

Perrichon                - Niente, lasciaci! (Giovanni esce)

Daniele                   - E così, ci siamo messi in un bel guaio!

Perrichon                - Che vuole, sono stato troppo vivace! Un uomo così corretto! L’ho preso per un notaio graduato.

Daniele                   - Che fare?

Perrichon                - Bisognerebbe trovare un mezzo... (grida) Ah!

Daniele                   - Che?

Perrichon                - Niente, niente, non ci sono mezzi! L’ho insultato, e mi batterò. Addio!

Daniele                   - Dove va?

Perrichon                - A mettere in ordine le mie cose, lei capisce...

Daniele                   - Tuttavia…

Perrichon                - Daniele, quando l’ora del pericolo suonerà, lei non mi vedrà indietreggiare! (esce a destra)

SCENA UNDICESIMA

Daniele.

Daniele                   - (solo) Eh via, è impossibile! Non posso lasciare che il signor Perrichon si batta con uno zuavo! Il fatto è che ha coraggio, il suocero. Lo conosco, non farà concessioni. Da parte sua, il maggiore… E tutto questo per un errore di ortografia! (cercando) Vediamo un po’… se avvertissi le autorità? Ah, no. Ma in fondo, perché no? Non lo saprà nessuno. D’altronde, non ho altra scelta. (prende una cartella e un calamaio su un tavolo vicino alla porta d’ingresso, e si mette al tavolino) Una lettera al questore! (scrivendo) “Signor Questore, ho l’onore di… (parlando e scrivendo insieme) Una pattuglia passerà di lì al momento giusto, sarà tutta opera del caso, e l’onore sarà salvo”. (piega la lettera, la chiude e rimette a posto quello che ha preso) Adesso si tratta di farla recapitare immediatamente. Ci deve essere Giovanni! (esce chiamando) Giovanni! Giovanni! (scompare nell’anticamera)

SCENA DODICESIMA

Perrichon.

Perrichon                - (solo. Entra tenendo una lettera in mano. La legge) “Signor Questore, credo mio dovere avvertire l’autorità competente che due insensati hanno intenzione di incrociare le armi domani, a mezzogiorno meno un quarto…” (parlato) Metto meno un quarto perché siano puntuali. A volte basta un quarto d’ora! (riprendendo la lettura) “A mezzogiorno meno un quarto… nei boschi della Malmaison. L’appuntamento è presso la casa del custode. È suo alto ufficio vegliare sulla vita dei cittadini. Uno dei contendenti è un ex commerciante, padre di famiglia, ligio alle istituzioni, che gode di buona notorietà nel suo quartiere. Voglia gradire, signor Questore, eccetera eccetera…” (parlato) Se crede farmi paura questo maggiore! L’indirizzo, ora. (scrive) Urgentissimo, comunicazione importante… Così arriverà. Dov’è Giovanni?

SCENA TREDICESIMA

Perrichon, Daniele, poi la signora Perrichon, Enrichetta, poi Giovanni.

Daniele                   - (entrando dal fondo, con la lettera in mano) Impossibile trovare questo domestico. (scorgendo Perrichon) Oh! (nasconde la lettera)

Perrichon                - Daniele! (anche lui nasconde la sua)

Daniele                   - Allora, signor Perrichon?

Perrichon                - Lo vede, sono calmo… come il bronzo! (scorgendo sua moglie e la figlia) Zitto! Mia moglie! (scende verso il proscenio)

Signora Perrichon  - (al marito) Caro, il maestro di piano di Enrichetta ci ha mandato dei biglietti per il concerto di domani, a mezzogiorno.

Perrichon                - (tra sé) A mezzogiorno!

Enrichetta              - È la sua beneficiata, ci accompagni?

Perrichon                - Impossibile, domani sono occupato tutto il giorno!

Signora Perrichon  - Ma se non hai niente da fare…

Perrichon                - E invece sì, ho una questione[11] molto importante. Chiedilo a Daniele.

Daniele                   - Molto importante!

Signora Perrichon  - Che fare serio! (al marito) Hai la faccia lunga un metro; si direbbe che tu abbia paura.

Perrichon                - Paura, io? Lo si vedrà sul terreno!

Daniele                   - (tra sé) Ahi!

Signora Perrichon  - Sul terreno!

Perrichon                - (tra sé) Accidempoli, m’è sfuggito!

Enrichetta              - (correndo verso di lui) Un duello, papà!

Perrichon                - Ebbene sì, figlia mia, non volevo dirtelo, m’è sfuggito: tuo padre si batte!

Signora Perrichon  - Ma con chi?

Perrichon                - Con un maggiore del secondo zuavi!

Enrichetta              - (all’unisono con signora Perrichon, esterrefatte) Ah, mio Dio!

Perrichon                - Domani a mezzogiorno, nel bosco della Malmaison, alla porta del custode.

Signora Perrichon  - (andando verso di lui) Ma tu sei pazzo. Un borghese come te!

Perrichon                - Signora Perrichon, io disapprovo il duello, ma vi sono circostanze in cui l’uomo ha il dovere di difendere il proprio onore! (tra sé, mostrando la lettera) Dov’è mai Giovanni?

Signora Perrichon  - (tra sé) No, è impossibile, io non permetterò… (va verso il tavolo di fondo e scrive a parte) “Signor Questore…”

Giovanni                - (comparendo) Il pranzo è servito!

Perrichon                - (avvicinandosi a Giovanni, e piano) Questa lettera al suo indirizzo, è urgentissimo! (si allontana)

Daniele                   - (piano, a Giovanni) Questa lettera al suo indirizzo, è urgentissimo! (si allontana)

Signora Perrichon  - (piano, a Giovanni) Questa lettera al suo indirizzo, è urgentissimo!

Perrichon                - Su, a tavola!

Enrichetta              - (tra sé) Faccio avvertire il signor Armando. (esce a destra)

Signora Perrichon  - (a Giovanni, prima di uscire) Sst!

Daniele                   - (a Giovanni, prima di uscire) Sst!

Perrichon                - (a Giovanni, prima di uscire) Sst! (scompaiono tutti e tre)

Giovanni                - (solo) Cos’è questo mistero? (leggendo l’indirizzo delle tre lettere) “Signor Questore”… “Signor Questore”… “Signor Questore” (stupito e con gioia) Toh, è un viaggio solo!

ATTO QUARTO

Un giardino. Sedili, sedie, tavolo rustico; a destra, un padiglione praticabile.

SCENA PRIMA

Daniele, poi Perrichon.

Daniele                   - (entrando dal fondo a sinistra) Le dieci! L’appuntamento è solo per mezzogiorno (si avvicina al padiglione e fa cenno) Pst, pst!

Perrichon                - (mettendo la testa fuori dalla porta del padiglione) Ah, è lei. Non faccia rumore, sono a lei fra un minuto. (rientra)

Daniele                   - (solo) Povero Perrichon, deve aver passato una ben brutta notte. Per fortuna questo duello non si farà.

Perrichon                - (uscendo dal padiglione con un gran mantello) Eccomi. L’aspettavo.

Daniele                   - Come si sente?

Perrichon                - Calmo come il bronzo!

Daniele                   - Ho delle spade nella carrozza.

Perrichon                - (aprendo un po’ il mantello) E io ne ho qui.

Daniele                   - Due paia!

Perrichon                - Una si può spezzare, e io non voglio trovarmi sprovvisto.

Daniele                   - (tra sé) È proprio un leone! (forte) Se vuole, la carrozza è alla porta.

Perrichon                - Un momento, che ore sono?

Daniele                   - Le dieci.

Perrichon                - Non voglio arrivare prima di mezzogiorno, né dopo. (tra sé) Verrebbe a crollare tutto.

Daniele                   - Ha ragione, purché si sia puntuali. (tra sé) Verrebbe a crollare tutto.

Perrichon                - Arrivare prima, è una smargiassata. Dopo, è esitazione. Del resto, aspetto Majorin. Gli ho scritto due righe urgenti.

Daniele                   - Ah, eccolo!

SCENA SECONDA

Detti, Majorin.

Majorin                  - Ho ricevuto il tuo biglietto, ho chiesto un permesso. Di che si tratta?

Perrichon                - Majorin, io mi batto fra due ore!

Majorin                  - Tu? Ma via! E con che cosa?

Perrichon                - (aprendo il mantello e lasciando vedere le spade) Con queste.

Majorin                  - Delle spade!

Perrichon                - E ho contato su di te come padrino. (Daniele risale la scena)

Majorin                  - Su di me? Scusami, caro, non è possibile.

Perrichon                - Perché?

Majorin                  - Devo andare in ufficio, altrimenti mi licenziano.

Perrichon                - Ma sei hai chiesto un permesso!

Majorin                  - Non per fare il padrino! Li processano, i padrini.

Perrichon                - Mi pare, signor Majorin, di averle reso abbastanza servizi perché lei non rifiuti di assistermi in una circostanza capitale della mia vita.

Majorin                  - (tra sé) Mi rinfaccia i suoi seicento franchi.

Perrichon                - Ma se teme di compromettersi… se ha paura…

Majorin                  - Io non ho paura. (con amarezza) Del resto, non sono libero, tu hai saputo avvincermi con i legami della riconoscenza. (digrignando i denti) Ah, la riconoscenza!

Daniele                   - (tra sé) Eccone un altro!

Majorin                  - Ti chiedo solo una cosa: di essere di ritorno alle due, per riscuotere il mio dividendo. Ti rimborserò immediatamente, e allora saremo pari.

Daniele                   - Credo che sia tempo di partire. (A Perrichon) Se desidera salutare la signora Perrichon e sua figlia…

Perrichon                - No, voglio evitare questa scena, sarebbero pianti, grida. Mi si aggrapperebbero agli abiti per trattenermi. Partiamo! (si sente cantare tra le quinte) Mia figlia…

SCENA TERZA

Detti, Enrichetta, poi la signora Perrichon.

Enrichetta              - (entra cantando, con un innaffiatoio in mano) Trallallà! Trallallà! (parlato) Ah, sei tu, paparino.

Perrichon                - Sì. Come vedi, partiamo, con questi due signori. È necessario. (l’abbraccia commosso) Addio!

Enrichetta              - (tranquillamente) Addio, papà. (tra sé) Non c’è nulla da temere, la mamma ha avvertito il questore. E io ho avvertito il signor Armando. (va a innaffiare i fiori)

Perrichon                - (asciugandosi gli occhi e credendola vicina a sé) Su, non piangere! Se non mi rivedrai, pensa… (fermandosi) Toh, sta innaffiando!

Majorin                  - (tra sé) Mi fa rabbia, ma gli sta bene.

Singora Perrichon  - (entrando con dei fiori in mano, al marito) Caro, posso tagliare qualche dalia?

Perrichon                - Moglie mia!

Signora Perrichon  - Ne colgo un mazzo per i miei vasi.

Perrichon                - Cogli pure. In un simile momento non posso rifiutarti nulla. Parto, Carolina.

Signora Perrichon  - (tranquillamente) Ah, vai laggiù.

Perrichon                - Sì, vado laggiù, con questi due signori.

Signora Perrichon  - Bene! Cerca di essere di ritorno per il pranzo.

Perrichon                - (all’unisono con Majorin) Eh?

Perrichon                - (tra sé) Tanta tranquillità… Che mia moglie non mi ami?

Majorin                  - (tra sé) Tutti i Perrichon sono senza cuore. Gli sta bene!

Daniele                   - È l’ora, se vuole essere all’appuntamento a mezzogiorno.

Perrichon                - (con vivacità) In punto!

Signora Perrichon  - (con vivacità) In punto! Non avete tempo da perdere.

Enrichetta              - Sbrigati, papà.

Perrichon                - Sì...

Majorin                  - (tra sé) Sono loro a mandarlo via. Che bella famiglia!

Perrichon                - Andiamo! Carolina, figlia mia: addio! Addio! (risalgono la scena)

SCENA QUARTA

Detti, Armando.

Armando                - (comparendo in fondo) Rimanga, signor Perrichon, il duello non si farà.

Tutti                       - Come?

Enrichetta              - (tra sé) Il signor Armando! Ero ben certa di lui.

Signora Perrichon  - (ad Armando) Ma ci spieghi...

Armando                - È semplicissimo: ho fatto rinchiudere a Clichy il maggiore Mathieu.

Tutti                       - a Clichy?

Daniele                   - (tra sé) È assai attivo, il mio rivale!

Armando                - Sì, da un mese ciò era stato convenuto tra il maggiore e me, e non potevo trovare occasione migliore per fargli piacere. (a Perrichon) E per liberarla di lui!

Signora Perrichon  - (ad Armando) Ah, signore, quanta riconoscenza!

Enrichetta              - (piano) Lei è il nostro salvatore!

Perrichon                - (tra sé) Ebbene, questo mi secca. Avevo così ben congegnato la cosa. A mezzogiorno meno un quarto ci agguantavano.

Signora Perrichon  - (andando verso il marito) E ringrazia, dunque.

Perrichon                - Chi poi?

Signora Perrichon  - Ma il signor Armando!

Perrichon                - Ah già! (ad Armando, seccamente) La ringrazio, signore.

Majorin                  - (tra sé) Si direbbe che si strozzi. (forte) Vado a riscuotere il dividendo. (a Daniele) Pensa che sia aperta, la cassa?

Daniele                   - Sì, certamente. Ho la vettura, l’accompagno. Signor Perrichon, ci rivedremo; lei ha una risposta da darmi.

Signora Perrichon  - (piano, ad Armando) Rimanga. Perrichon ha promesso di pronunciarsi oggi: il momento è favorevole, faccia la sua domanda.

Armando                - Lei crede? Gli è che...

Enrichetta              - (piano) Coraggio, signor Armando.

Armando                - Lei! Oh, che gioia!

Majorin                  - Addio, Perrichon.

Daniele                   - (salutando) Signora, signorina. (Enrichetta e la signora Perrichon escono dalla destra; Majorin e Daniele dal fondo, a sinistra)

SCENA QUINTA

Perrichon, Armando, poi Giovanni e il maggiore.

Perrichon                - (tra sé) Sono molto seccato, molto seccato! Ho passato una parte della notte a scrivere agli amici che mi sarei battuto. Adesso sarò ridicolo.

Armando                - (tra sé) Deve essere ben disposto, proviamo. (forte) Caro signor Perrichon…

Perrichon                - (seccamente) Signore?

Armando                - Sono più felice di quanto non possa dire di aver potuto metter fine a questa incresciosa faccenda.

Perrichon                - (tra sé) Sempre quel suo fare protettore! (forte) Personalmente, signore, mi rincresce che lei mi abbia privato del piacere di dare una lezione a quel professor di grammatica!

Armando                - Come? Lei ignora dunque che il suo avversario…

Perrichon                - È un ex maggiore dell’esercito zuavi, e con questo? Stimo l’esercito, ma sono di quelli che sanno guardarlo in faccia. (gli passa davanti con fierezza)

Giovanni                - (entrando e annunciando) Il maggiore Mathieu.

Perrichon                - Eh?

Armando                - Lui!

Perrichon                - Mi aveva detto che era in prigione!

Il maggiore             - (entrando) C’ero, infatti, ma ne sono uscito. (scorgendo Armando) Ah, signor Armando! Ho versato poco fa l’ammontare dell’effetto che le devo, più le spese.

Armando                - Benissimo, maggiore. Spero che non mi serberà rancore, sembrava così desideroso di andare a Clichy.

Il maggiore             - Sì, mi piace Clichy, ma non nei giorni in cui mi devo battere. (a Perrichon) Sono desolato, signore, di averla fatta attendere. Sono ai suoi ordini.

Giovanni                - (tra sé) Ah, povero padrone!

Perrichon                - Spero, signore, che lei mi renderà la giustizia di credere che sono assolutamente estraneo all’incidente che si è verificato.

Armando                - Assolutamente, poiché in questo medesimo istante, il signore mi esprimeva il suo rammarico di non potersi incontrare con lei.

Il maggiore             - (a Perrichon) Non ho mai dubitato, signore, di avere in lei un avversario leale.

Perrichon                - (con susseguo) Voglio sperarlo, signore.

Giovanni                - (tra sé) È risoluto, il padrone.

Il maggiore             - I miei padrini sono alla porta. Partiamo!

Perrichon                - Partiamo!

Il maggiore             - (estraendo l’orologio) È mezzogiorno.

Perrichon                - (tra sé) Mezzogiorno, di già!

Il maggiore             - Saremo laggiù alle due.

Perrichon                - Alle due! Saranno partiti.

Armando                - (a Perrichon) Ma che ha?

Perrichon                - Ho che… Signori, ho sempre pensato che fosse un segno di nobiltà riconoscere i propri torti.

Il maggiore             - (all’unisono con Giovanni, stupiti) Eh?

Armando                - Che dice?

Perrichon                - Giovanni, lasciaci!

Armando                - Mi ritiro anch’io.

Il maggiore             - Chiedo scusa! Desidero che tutto questo si svolga davanti a testimoni.

Armando                - Ma…

Il maggiore             - La prego di rimanere.

Perrichon                - Maggiore, lei è un valoroso militare, e io stimo i militari! Riconosco di aver avuto dei torti verso di lei, e la prego di credere che… (tra sé) Accidempoli, davanti al mio domestico! (forte) La prego di credere che non era mia intenzione… (fa segno a Giovanni di uscire, ma questi finge di non capire. Tra sé) Fa lo stesso, questa sera lo metto alla porta. (forte) …né mio intendimento offendere un uomo che stimo e che onoro!

Giovanni                - (tra sé) Ha fifa, il padrone!

Il maggiore             - Allora, signore, lei mi fa le sue scuse?

Armando                - (con vivacità) Oh, il suo rincrescimento…

Perrichon                - Non lo inasprisca! Lasci parlare il maggiore.

Il maggiore             - Scuse o rincrescimento?

Perrichon                - (esitando) Ma, un po’ l’una, e un po’ l’altra cosa.

Il maggiore             - Signore, lei ha scritto per esteso sul libro di Montanvert… Il maggiore è un…

Perrichon                - (con vivacità) Ritiro la parola! È ritirata!

Il maggiore             - È ritirata qui, ma laggiù fa bella mostra di sé nel bel mezzo di una pagina che tutti i visitatori possono leggere.

Perrichon                - Ah, diamine, per questo poi! A meno che non ritorni laggiù a cancellarla io stesso…

Il maggiore             - Non osavo chiederglielo, ma dato che si offre di farlo...

Perrichon                - Io?

Il maggiore             - Io accetto.

Perrichon                - Permetta...

Il maggiore             - Oh, non le chiedo di ripartire oggi stesso, no! Ma domani…

Armando                - (all’unisono con Perrichon) Come?

Il maggiore             - Come? Con il primo treno. E cancellerà lei stesso, di buon grado, quelle due brutte righe sfuggite alla sua improvvisazione. Le sarò obbligato.

Perrichon                - Sì, allora devo tornare in Svizzera?

Il maggiore             - Prima il Montanvert era in Savoia, ora è in Francia![12]

Perrichon                - La Francia, regina delle nazioni!

Giovanni                - È molto meno lontano.

Il maggiore             - (con ironia) Non mi resta che rendere omaggio al suo spirito di riconciliazione.

Perrichon                - Non mi piace far scorrere il sangue.

Il maggiore             - (ridendo) Mi dichiaro completamente soddisfatto. (ad Armando) Signor Desroches, ho ancora qualche effetto in circolazione; se gliene capita uno per le mani, mi raccomando sempre a lei! (salutando) Signori, ho l’onore d salutarli.

Perrichon                - (salutando) Maggiore… (il maggiore esce)

Giovanni                - (a Perrichon, tristemente) Ebbene, signore, ecco sistemata la faccenda.

Perrichon                - (scoppiando) Te, ti licenzio! Vai a far fagotto, animale!

Giovanni                - (stupito) Ah, beh, che cosa ho fatto? (esce a destra)

SCENA SESTA

Armando, Perrichon.

Perrichon                - (tra sé) Non c’è che dire, ho chiesto scusa! Io, di cui vedranno il ritratto al museo. Ma di chi è la colpa? Di questo signor Armando!

Armando                - (tra sé, in fondo) Poveretto! Non so che dirgli.

Perrichon                - (tra sé) Ah, insomma, non se ne va ancora? Forse ha qualche altro servigio da rendermi. Bei servigi, i suoi!

Armando                - Signor Perrichon!

Perrichon                - Signore?

Armando                - Ieri, dopo averla lasciata, sono andato da quel mio amico, impiegato alla dogana. Gli ho parlato della sua faccenda.

Perrichon                - (seccamente) Troppo buono.

Armando                - È tutto accomodato! L’incidente non avrà seguito.

Perrichon                - Ah!

Armando                - Basterà che lei scriva al doganiere due righe di rincrescimento.

Perrichon                - (scoppiando) È così, delle scuse, ancora delle scuse! Ma insomma, di che s’immischia, lei?

Armando                - Ma…

Perrichon                - Quando perderà l’abitudine di intromettersi a ogni momento nella mia vita?

Armando                - Come!

Perrichon                - Sì, lei si ficca dappertutto! Chi l’ha pregata di far arrestare il maggiore? Se non era per lei, a mezzogiorno si era tutti laggiù!

Armando                - Ma nulla le impediva di esservi alle due.

Perrichon                - Non è lo stesso.

Armando                - Perché?

Perrichon                - Lei mi chiede perché? Perché… No, il perché non lo saprà mai! (con ira) Basta coi servigi! D’ora innanzi, se cadrò in un crepaccio, la prego di lasciarmici! Preferisco dare cento franchi alla guida. Perché questo servigio costa cento franchi, non c’è poi di che menar tanto vanto! La pregherei anche di non cambiare più l’ora dei miei duelli, e di lasciarmi andare in prigione se così mi garberà.

Armando                - Ma, signor Perrichon...

Perrichon                - Non mi piacciono le persone che s’impongono. È indiscrezione, questa! Lei m’invade!

Armando                - Permetta…

Perrichon                - No, signore! Non mi lascio dominare, io! Basta coi servigi, basta coi servigi! (esce attraverso il padiglione)

SCENA SETTIMA

Armando, poi Enrichetta.

Armando                - (solo) Non ci capisco più niente, sono frastornato!

Enrichetta              - (entrando dalla destra, in fondo) Ah, signor Armando.

Armando                - Signorina Enrichetta!

Enrichetta              - Ha parlato con papà?

Armando                - Sì, signorina.

Enrichetta              - Allora?

Armando                - Ho avuto in questo momento la prova della sua assoluta antipatia per me.

Enrichetta              - Ma che dice? È impossibile.

Armando                - È giunto al punto di rimproverarmi di averlo salvato sul Montanvert. Credevo che stesse per offrirmi cento franchi di compenso.

Enrichetta              - Cento franchi! Ah, questa poi.

Armando                - Dice che questo è il prezzo.

Enrichetta              - Ma è orribile! È ingratitudine, questa.

Armando                - Ho sentito che la mia presenza lo urtava, lo feriva, e non mi rimane altro, signorina, che accomiatarmi per sempre da lei.

Enrichetta              - (con vivacità) Ma niente affatto, rimanga!

Armando                - A che pro? È a Daniele che egli ha destinato la sua mano.

Enrichetta              - Al signor Daniele? Ma io non voglio!

Armando                - (con gioia) Ah!

Enrichetta              - (correggendosi) Mia madre non vuole! Essa non condivide i sentimenti di papà; è riconoscente, lei; le vuol bene. Anche poco fa mi diceva: il signor Armando è un galantuomo, un uomo di cuore, e quello che ho di più caro al mondo, glielo darò.

Armando                - Ma quello che su madre ha di più caro… è lei!

Enrichetta              - (con ingenuità) Lo credo.

Armando                - Ah, signorina, come la ringrazio!

Enrichetta              - Ma, è la mamma che deve ringraziare.

Armando                - E lei, signorina, mi permette di sperare che avrà la stesa benevolenza?

Enrichetta              - (con imbarazzo) Io, signore?

Armando                - Oh, parli, la supplico!

Enrichetta              - (abbassando gli occhi) Signore, quando una signorina è bene educata, pensa sempre come la mamma. (fugge via)

SCENA OTTAVA

Armando, poi Daniele.

Armando                - (solo) Mi ama! Me l’ha detto! Ah, come sono felice! Ah…

Daniele                   - (entrando) Buongiorno, Armando.

Armando                - Sei tu. (tra sé) Povero ragazzo.

Daniele                   - È giunta l’ora della filosofia. Il signor Perrichon si sta raccogliendo in meditazione, e fra dieci minuti conosceremo la sua risposta. Povero amico mio!

Armando                - Perché, poi?

Daniele                   - Nella guerra da noi combattuta, tu hai commesso errori su errori.

Armando                - (stupito) Io?

Daniele                   - Guarda, Armando, io ti voglio bene, e voglio darti un buon consiglio che ti servirà per un’altra volta. Tu hai un difetto capitale!

Armando                - E quale?

Daniele                   - Credimi, io ho vissuto più di te, e in una società più evoluta! Prima di fare un favore a qualcuno, assicurati anzitutto che costui non sia un imbecille.

Armando                - Perché?

Daniele                   - Perché un imbecille è incapace di sopportare a lungo quel peso schiacciante che si chiama riconoscenza; vi sono anche persone di spirito che sono di costituzione così delicata…

Armando                - (ridendo) Su, svolgi il tuo paradosso!

Daniele                   - Vuoi un esempio? Il signor Perrichon…

Perrichon                - (passando il capo alla porta del padiglione) Il mio nome!

Daniele                   - Mi permetterai di non porlo nella categoria degli uomini superiori. (Perrichon scompare) Ebbene: il signor Perrichon ha finito un po’ alla volta per prenderti in uggia.

Armando                - Lo temo davvero.

Daniele                   - Eppure gli hai salvato la vita. Credi forse che questo episodio gli ricordi un bel gesto di abnegazione? No! Gli ricorda tre cose: primo, che non sa andare a cavallo; secondo, che ha avuto torto a calzare gli speroni, e ciò nonostante il parere contrario della moglie; terzo, che ha fatto un capitombolo in pubblico.

Armando                - Sia pure, ma…

Daniele                   - E siccome ci voleva un finale a questo bello spettacolo pirotecnico, tu gli hai dimostrato come due e due fanno quattro, che non tenevi in nessun contro il suo coraggio, impedendo il duello… che non ci sarebbe stato.

Armando                - Come?

Daniele                   - Avevo preso le mie precauzioni. Anch’io, a volte, rendo qualche servigio.

Armando                - Ah, lo vedi!

Daniele                   - Sì, però io mi nascondo, mi copro con una maschera! Quando penetro nell’umana miseria dei miei simili, lo faccio con calzari di velluto e senza lampada, come in una polveriera. Per cui concludo…

Armando                - Che non bisogna far piaceri a nessuno?

Daniele                   - Oh no! Ma bisogna agire nell’ombra e scegliere la propria vittima. Per cui concludo che il sunnominato Perrichon ti detesta; la tua presenza lo umilia, si sente obbligato, tuo inferiore. Tu lo schiacci, quell’uomo!

Armando                - Ma questa è ingratitudine!

Daniele                   - L’ingratitudine è una varietà dell’orgoglio. È l’indipendenza del cuore, ha detto un simpatico filosofo[13]. Ora, il signor Perrichon è il fabbricante di carrozze più indipendente di tutta la (….) senza pericolo per sé, è un colpo da maestro! Così ho seguito una tattica completamente opposta alla tua.

Armando                - Quale?

Daniele                   - Mi sono lasciato cadere… a bella posta! In un piccolo crepaccio per niente pericoloso.

Armando                - A bella posta?

Daniele                   - Non capisci? Offrire a un fabbricante di carrozze l’occasione di salvare il proprio simile, senza pericolo per sé; è un colpo da maestro! Così, da quel giorno, io sono la sua gioia, il suo trionfo, il suo fatto d’arme. Al mio apparire il suo volto s’illumina, il ventre gli si gonfia, gli spuntano le penne di pavone nel pastrano. Lo tengo in pugno, come la vanità tiene l’uomo. Quando si raffredda, lo rianimo, lo gonfio, lo faccio stampare nel giornale… a tre franchi la riga!

Armando                - Ah, be’, sei stato tu?

Daniele                   - Diamine! Domani lo faccio dipingere a olio, a tu per tu con il Monte Bianco! Ho ordinato un Monte Bianco piccolissimo e un Perrichon immenso. Per finire, mio caro, ricorda bene questo, e soprattutto non dirlo a nessuno: gli uomini non si affezionano affatto a noi per i servigi che noi rendiamo loro, bensì per quelli che essi ci rendono.

Armando                - Gli uomini, forse, ma le donne?

Daniele                   - Oh, le donne…

Armando                - Esse capiscono la riconoscenza, sanno custodire in fondo al cuore il ricordo del beneficio ricevuto.

Daniele                   - Dio, che bella frase!

Armando                - Per fortuna, la signora Perrichon non condivide le idee del marito.

Daniele                   - La madre è forse dalla tua parte, ma io ho dalla mia l’orgoglio del padre. Dall’alto del Montanvert il mio crepaccio mi protegge![14]

SCENA NONA

Detti, Perrichon, La signora Perrichon, Enrichetta.

Perrichon                - (entra accompagnato dalla moglie e dalla figlia; è molto serio) Signori, sono lieto di trovarvi qui assieme. Loro mi hanno fatto entrambi l’onore di chiedermi la mano di mia figlia. Ora conosceranno la mia decisione.

Armando                - (tra sé) Ci siamo.

Perrichon                - (a Daniele, sorridendo) Signor Daniele, amico mio!

Armando                - (tra sé) Sono perduto!

Perrichon                - Ho già fatto molto per lei, voglio fare ancora di più. Voglio darle…

Daniele                   - (ringraziando) Ah, signore!

Perrichon                - (freddamente) …un consiglio… (piano) Parli più piano quando è vicino a una porta.

Daniele                   - (stupito) Ah be’!

Perrichon                - Sì, la ringrazio della lezione. (forte) Signor Armando, lei ha vissuto meno del suo amico, lei è meno calcolatore, ma mi piace di più. Le do mia figlia.

Armando                - Ah, signore!

Perrichon                - E badi che non cerco di sdebitarmi verso di lei, desidero rimanerle obbligato… (guardando Daniele) perché solo gli imbecilli non possono sopportare quel peso schiacciante che si chiama riconoscenza. (si dirige verso la destra; la signora Perrichon fa passare la figlia dalla parte di Armando, che le offre il braccio)

Daniele                   - (tra sé) Pigliati questa!

Armando                - (tra sé) Oh, povero Daniele!

Daniele                   - Sono battuto! (ad Armando) Dopo, come prima, diamoci la mano.

Armando                - Oh, con tutto il cuore!

Daniele                   - (andando verso Perrichon) Ah, signor Perrichon lei origlia alle porte!

Perrichon                - Eh, Dio mio, un padre deve pur cercare di informarsi. (prendendolo da parte) Via, mi dica la verità, lei là ci si è gettato apposta?

Daniele                   - Là dove?

Perrichon                - Nel crepaccio!

Daniele                   - Sì, ma non lo dirò a nessuno!

Armando                - La prego. (strette di mano)

SCENA DECIMA

Detti, Majorin.

Majorin                  - Signor Perrichon, ho riscosso il dividendo alle tre, e mi sono servito ancora della carrozza del signore per riportarle più rapidamente i suoi seicento franchi. Eccoli!

Perrichon                - Ma non era urgente.

Majorin                  - Chiedo scusa, era urgente, abbastanza urgente: ora siamo pari, assolutamente pari.

Perrichon                - (tra sé) Quando penso che stupido sono stato!

Majorin                  - (a Daniele) Ecco il numero della sua carrozza, sono sette quarti d’ora[15]. (gli dà una carta)

Perrichon                - Signor Armando, saremo in casa domani sera, e se lei vorrà farci piacere venga a prendere una tazza di tè.

Armando                - (correndo verso Perrichon, piano) Domani, non ci pensi neppure! E la promessa fatta al maggiore! (ritorna vicino a Enrichetta)

Perrichon                - Ah, è vero! (forte) Moglie mia, figlia mia, domani si riparte per la Mer de Glace.

Enrichetta              - (stupita) Che?

Signora Perrichon  - Ah, questa poi! Ne siamo appena giunti. Perché ritornarci?

Perrichon                - Perché? E puoi chiederlo? Non comprendi che voglio rivedere il luogo in cui Armando mi ha salvato?

Signora Perrichon  - Però…

Perrichon                - Basta così! Questo viaggio mi è comandante[16]… (correggendosi) mi è comandato dalla riconoscenza!

FINE


[1] Nella guardia nazionale, istituita nel 1970 e formata allora da cittadini dai sedici ai sessant’anni. Divenuta obbligatoria, nel 1852, per i cittadini compresi fra i venticinque e i cinquant’anni, venne soppressa durante il Secondo Impero, per riapparire, alla caduta di questo, nel 1870-71. Poi scomparve definitivamente. I borghesi parigini che a turno montavano la guardia, erano spesso facile bersaglio degli scherzi di tutti per le loro attitudini scarsamente marziali.

[2]Il maggiore si reca a Chamonix, ma a quell’epoca, per raggiungerla, era necessario abbandonare la ferrovia a Ginevra e proseguire in carrozza.

[3] Chalon-sur-Saona, 126 km a nord di Lione.

[4] Ferney-Voltaire, piccolo villaggio di frontiera a 7 km da Ginevra, in territorio francese, celebre per il soggiorno che vi fece il ‘patriarca di Ferney’ dal 18758 al 1778, anno della sua morte. I borghesi parigini, che si atteggiavano volentieri a volterriani, ne facevano spesso meta dei loro viaggi per visitarvi il castello di Voltaire, con bella vista sul lago di Ginevra.

[5] Jean-Nicolas Bouilly (1736-1842), avvocato parigino che nel periodo della Rivoluzione francese contribuì a organizzare l’istruzione elementare. Autore di tragedie, commedie e opere buffe, scrisse racconti patetici per gli adolescenti: Racconti a mia figlia (1809), Racconti offerti ai bambini di Francia (1824-25), e altri.

[6] Dal 1826 al 1867, a Parigi, nella via omonima, fu questa una prigione per debitori insolventi, che vi erano rinchiusi fino a estinzione del loro debito: a spese, per, dei loro creditori.

[7] Sala da ballo parigina, in via Montaigne, molto frequentata dal 1840 al 1875.

[8] Regione a sud di Parigi, fertile e pianeggiante.

[9] Precettore di Ippolito nella Fedra di Racine. Nel quinto atto della tragedia, fa un racconto della morte del suo allievo ritenuto alquanto enfatico e prolisso

[10] Tenuta nei pressi di Parigi, già soggiorno dell’imperatrice Giuseppina, che vi si ritirò dopo il suo divorzio. Oggi museo di ricordi napoleonici.

[11] Nel testo: affaire, che significa ‘affare’ e anche ‘vertenza cavalleresca’.

[12] Nel 1860, la Savoia era stata ceduta alla Francia.

[13] Si tratta di Luois-Victor-Nestor Roqueplan (o Rocoplan) (1804-1870), letterato di spirito e direttore teatrale. Suoi sono anche i motti, che citiamo perché in carattere con la commedia, Qui oblige s’oblige, e Un service n’oblige que celui qui le rend (‘Chi fa dei piaceri s’impegna’, e ‘Un favore non impegna che colui che lo fa’).

[14] Parodia della celebre frase di Napoleone in Egitto: ‘Dall’alto di queste piramidi quaranta secoli mi contemplano’.

[15] Nell’atto IV, Majorin, dopo aver accettato il passaggio che Daniele gli offriva nella sua carrozza da nolo, se n’era servito per ritornare. Ma non ha pagato il noleggio, che allora si calcolava a tempo, non a distanza come con i moderni tassametri.

[16] Commandant si dice in francese il maggiore, o comandante di battaglione. Di qui, la gustosa papera di Perrichon.