Il viaggio di Celestino

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ACHILLE CAMPANILE

IL VIAGGIO DI CELESTINO

Quattro Atti

1936      Non rappresentata

personaggi

Giacomo

Giulia

Edmondo

Piera

Scipione

Susanna

Capizzucchi

Elvira

Clara

Terenzio

Aristide

Antonio

Celestino

Avvocato Fava

Avvocato Delle Bobole

Il Viandante Scalcagnato

Suo Figlio

Il professor Limone

Facchino

Il Parrucchiere

Il Gendarme

Facciata della Pensione «La Quiete» sugli Appennini. A sini­stra tavolini apparecchiati. Distributore di benzina.

atto primo

La luce cinerea dell'alba, salendo come un incenso dalla terra verso il cielo, schiarisce la facciata della pensione «La Quiete», tra le montagne. Passa un brivido nel bosco, s'odono piccoli fre­miti tra le fronde degli alberi e gli uccellini si mettono a cin­guettare.

La pensione, un poco fuori del paese, sta sulla strada che pas­sa tra le montagne. Chi sa quante volte sarete passati in auto­mobile davanti a uno di questi alberghetti che d'estate ospitano villeggianti; chi sa quante volte persone stese sulle sedie a sdraio v'hanno fatto un festoso cenno di saluto. Poco lungi dal­la pensione c'è una pompa distributrice di benzina, davanti a una casupola.

Mentre una luce ancora grigia dà colori incerti ai fiori lilla, gialli e cilestrini delle grame aiuole ai lati dell'entrata, s'apre la porta della pensione e viene fuori Aristide il cameriere col grembiule davanti e una scopa in mano e comincia a spazzare il suolo sotto il pergolato e fra i tavolini del giardinetto.

Contemporaneamente s'apre la porta della casupola accanto alla pensione, ne esce il vecchio Antonio anch'egli con una sco­pa in mano e si mette a spazzare il ciglio della strada davanti al­la casupola.

Tra un colpo di scopa e l'altro, Aristide sogguarda Antonio, che spazzando s'avvicina alla pensione. Quando questi è presso di lui, il cameriere smette di spazzare e lo fìssa con occhi di ba­silisco.

I.

Aristide e Antonio.

Aristide     Indietro, con questa polvere volgare!

Antonio (ghignando)        Sta' a vedere che la tua è polvere di stelle.

Aristide(con disprezzo)    Che cosa scopi, tu? Sterco di capre. Io spazzo carte, pezzi di         fogli, frammenti di manoscritti, ec­co che cosa spazzo. Il mio è un lavoro di concetto.

Antonio (con un riso sgangherato che rivela più l'invidia che lo scherno)    Ah, ah!

Aristide(raccogliendo detriti della propria spazzatura e levan­doli superbamente in alto)        Ecco qua, questo è un fram­mento di manoscritto buttato via dal generale Cobollis,      que­sta è una scatola vuota delle pillole del conte Capizzucchi, questa è una pagina di diario stracciata della signorina Elvi­ra de Rubillis, questa è la busta d'una lettera             proveniente dalla capitale, questo è un mozzicone di sigaretta col boc­chino dorato.          Quando mi mostrerai nella tua spazzatura re­sidui di questa fatta, potrai competere con   me.

Antonio (livido, si sente schiacciato dall'imponente documen­tazione dell'avversario; davvero sotto la sua scopa non ha che detriti di capre; nella rabbia impotente non       trova di meglio che lanciare al rivale un insulto)        Lavapiatti!

Aristide  (alzando la scopa)        Chi lavapiatti?

Antonio    Se fai un passo, ti spacco la testa.

            I due rientrano, mentre escono dalla pensione Giulia e Giacomo.

II.

Giacomo, Giulia, Piera e Edmondo.

Giacomo   (a Giulia)   Sono proprio contento di avere scelto que­sto luogo di villeggiatura.     Che pace! Che tranquillità!

Giulia     Siamo stati fortunati soprattutto perché ci sono sol­tanto persone simpatiche,           con le quali si va d'accordo che è un piacere. (Vedendo entrare la coppia Edmondo-            Piera)Buongiorno, signora Piera. Buongiorno, signor Edmondo.

Piera e  Edmondo         Buongiorno, buongiorno.

Scambio di saluti; i nuovi venuti prendono posto a un'altra ta­vola. Aristide torna e affigge presso la porta la minuta del pran­zo. Giacomo la legge con interesse.

Giacomo(a Giulia)   E’ un'ottima cosa questa di esporre la minuta del pranzo fin dalle          prime   ore del mattino, in modo che i pensionanti possano prepararsi spiritualmente al     pasto. (Aristide toma coi caffellatte.) Il pensionante esce dall'alber­go pensando:       «Oggi, dunque, mangerò nasello gratinato». Mi concentro qualche istante, pensando al    nasello gratinato e poi comincio la mia giornata.

Giulia         Mi pare il modo di guastarsi la giornata fin dal mattino.

Giacomo   Perché, Giulia? Viviamo! C'è posto anche per il nasel­lo gratinato, nella vita. Ha   anch'esso diritto di cittadinanza.

Piera  ( placida)       E come!

Edmondo (c. s.)       E come!

Giulia        Se è gratinato, vuol dire che non aveva diritto di citta­dinanza.

Edmondo  Anche questo è vero.

Piera                        Certo.

Edmondo       A me piace il nasello gratinato.

PIERA            Anche a me.

Prendono tutt'e quattro il caffellatte, mentre escono dall'alber­go sul ballatoio, il conte Capizzucchi e Terenzio.

III.

Detti, Capizzucchi e Terenzio.

Capizzucchi   (esce, inforca le lenti e va a leggere la minuta) Nasello gratinato. Bene,          bene, bene. (Siede a un tavolo.)

Terenzio (esce e va a leggere la minuta)   Nasello gratinato. (Fa una piccola smorfia.            Scambio di saluti. Poi Terenzio, a Capizzucchi, che ha un libro giallo) Lei sempre coi            suoi libri gialli.

capizzucchi        È l'unico svago per un vecchio scapolo come me, ormai fuori                        concorso.

Terenzio                Che c'entra? Anch'io leggo i libri gialli.

capizzucchi  (mostrando il suo libro)    Vede?    La farfalla incate­nata.

Terenzio                Conosco. Interessante. Dov'è arrivato?

capizzucchi        A quando scompare il professore.

Terenzio               Ha capito chi è il colpevole?

capizzucchi   (allarmato)          Non me lo dica.

Terenzio    Io lo capii subito. Perché, quando mi accingo a leg­gere un libro giallo, per            prima cosa vo' all'ultima pagina a vedere chi è il colpevole. Questo mi permette di            gustare me­glio le sfumature e le bellezze stilistiche del contesto.

capizzucchi        Grave errore! Questo è un genere di letteratura che richiede tutta una        speciale tattica nel lettore. Il libro giallo bisogna saperlo leggere e io mi lusingo di       saperlo leg­gere. Mai sfogliarlo a caso.

Edmondo   Certo.

Piera            (come l'eco)    Certo.

capizzucchi        Guai se si viene a sapere in anticipo chi è il colpe­vole. Il libro perde           ogni fascino.

Piera                        Certo.

Edmondo   (come l'eco)    Certo.

capizzucchi        (a Terenzio)    Pensi che io, verso l'ultima pagina, quando sento che sta     per essere rivelato il colpevole, copro le righe con la mano e poi le scopro una alla         volta,   per tema che l'occhio involontariamente intraveda il nome prima del tempo.

Terenzio    Questa, però, è un'esagerazione. Quasi quasi sarei tentato di rivelarglielo io          quel nome.

capizzucchi (allarmato)  Guardi che me ne avrei a male.

Terenzio                Stia tranquillo, non parlo.

Capizzucchi s'immerge nella lettura; Giulia s'accomoda nella sua sedia a sdraio e lavora d'uncinetto. Intanto esce sul balla­toio Scipione, omaccione con una grande barba nera, in cal­zoncini e polpacci nudi, da turista, con una piccozza da arram­picatore, una lanterna e un seggiolino pieghevole sotto il braccio; si ferma anche lui a leggere la minuta, indi va a prender po­sto a una tavola.

iv.

Detti e Scipione.

Scipione  (con voce stentorea) Buondì a tutti.

Terenzio    Signor Scipione, buongiorno. La signora dorme an­cora?

Scipione     Si sta vestendo. Facciamo una passeggiata al Pizzo Tre Corni.

Terenzio    Passeggiata per modo di dire. Sono dieci chilometri fra andare e tornare. (Stendendosi nella sua poltrona a sdraio) Io, le dirò, sono un fortissimo camminatore,      ma quel­lo che mi andicappa è la stanchezza. Se a un certo punto non mi stancassi,        andrei avanti chi sa quanto.

Scipione     Io, invece, non conosco la stanchezza.

Terenzio   Ma vedo che si porta dietro un seggiolino.

Scipione     È per quando scendo dalla carrozza.

Terenzio   Ah, la fa in carrozza?

Scipione    E vuole che la faccia a piedi?

Terenzio   In carrozza anch'io resisto molto. Ma perché porta la piccozza?

Scipione    È l'ultima novità della moda sportiva: (preme una molla e la piccozza si apre,      trasformata in ombrellino da so­le) un ombrellino da sole.

Terenzio    E la lanterna?

Scipione    Un panierino per la colazione.

V.

Detti, Elvira e Clara.

Escono dall'albergo sul ballatoio le signorine Elvira, bruna, e Clara, bionda e seggono a prendere il caffellatte dopo aver scambiato qualche saluto.

Terenzio    Dormiglione!

Elvira        Si riposa così bene in questo silenzio!

Intanto anche Piera e Edmondo, finito di prendere il caffellatte, spostano le loro sedie    a sdraio per metterle in fila con le altre e vi si stendono su. Piera fa un gomitolo di lana mentre Edmon­do le regge la matassa. Poi anche Elvira e Clara portano le loro sedie a sdraio in rango con le altre. Scambio di cortesie con qualche vicino che fa posto.             «S'accomodino. Qui.» «Prego, pre­go non si disturbino.» «Qui prende meglio il sole.» ecc. Clara si stende e si mette a ricamare. Elvira, che ha in lavorazione una maglia di lana, ne misura le spalle su quelle di Terenzio e poi si stende nella sua sedia e si mette al lavoro.

Adesso sono tutti stesi in fila davanti all'albergo, in quest'or­dine, da sinistra a destra:

            Piera, che fa il gomitolo,

            Edmondo, che le regge la matassa,

            Giulia, che lavora d'uncinetto,

            Giacomo, che legge un libro giallo,

            Capizzucchi, id.,

            Elvira, che fa la maglia di lana,

            Terenzio, che si bea al sole nel dolce far niente,

            Clara, che ricama,

            Scipione, che legge il giornale.

Terenzio    Che pace!

Una pausa di silenzio.

Poi si sente, lontano, lo strombettio d'un'automobile a tre note: «Tatà - ta ta ta tà!

(do fa - do la do fa)».

S'ode avvicinarsi lo strombettio e il fracasso d'un motore.

Dopo poco entra dalla destra Celestino al volante della sua minuscola e sgangherata macchinetta utilitaria. Egli è equi­paggiato quasi come un aviatore o un corridore automobilista: occhialoni da corsa, casco paraorecchi, spolverino, ecc.; si ferma davanti alla pompa della benzina e strombetta con fare au­toritario.

VI.

Celestino, Antonio e Detti.

ANTONIO  (placidamente affacciato alla sua finestrella)   Vuole la benzina?

AGOSTINO     Si discute tanto di arte razionale, mobili razionali, architettura razionale; ma,      benedetta gente, cominciate col rendere razionale la vita. Lei vede che mi fermo     

            davanti al distributore della benzina, chiamando, e mi domanda se vo­glio la benzina. E   che dovrei volere? Un mazzo di fiori? La sua domanda è superflua. È irrazionale.       Bisogna semplifica­re. Due litri.

Antonio(uscendo dalla sua casupola e cominciando a pompare la benzina) Ma vede,           signore, io non sono per lo stile ra­zionale. Alcuni personaggi non più giovanissimi         sono rima­sti ferocemente attaccati a certi concetti ch'essi ritengono audaci. Ma sappiano che il cosiddetto '900 altro non è che il «dernier cri» dell'800. (Intanto ha             finito di pompare. Mentre Celestino paga)  Ha bisogno d'altro?

Celestino   Ho bisogno d'altro! Ma benedetto uomo, se avessi bisogno d'altro glielo chiederei. Avrò bisogno, forse, d'un al­tro litro di benzina stasera quando ripasserò, nel         viaggio di ritorno, perché vado lontano; ma adesso la sua domanda è superflua e tale      da produrre impaccio nell'ingranaggio dei rapporti sociali, con conseguente             rallentamento, perdita di tempo e di energia. Tutto questo perché? Perché il mondo

            non è razionale. Tutto, tutto. Vede, per esempio,(indicando Scipione che legge un           giornale) la barba di quel signore...

Scipione   (alzando gli occhi dal giornale; piccato)     Che c'entra la mia barba?

celestino             Oh, niente. Volevo dire soltanto, mi scusi, sa, coi dovuti riguardi per lei, che la    sua barba sarà bellissima, ma non è razionale.

Mentre Scipione, che è rimasto a bocca aperta per l'uscita, lo guarda indignato, senza trovare una risposta, riparte strombet­tando, pomposamente. Il vecchio Antonio rientra in casa.

VII

Detti meno Celestino e Antonio. Poi Susanna.

Scipione     Che razza d'imbecille! La mia barba non è razionale!

Giacomo (senza dar troppo peso alla cosa)    In fondo, però, in quello che dice costui, pur con     le sue esagerazioni, c'è qual­cosa di vero. A che serve avere una barba simile?

Scipione     Come a che serve? E a che serve essere senza barba?

Giacomo    D'accordo. Ma, poiché è inutile, via. Questo è razio­nale.

Scipione     Fino a un certo punto. La barba nasce da sé. Quindi, poiché è inutile non averla, è irrazionale tagliarla. D'altron­de, è un ornamento.

Giulia                     Ma è un ornamento inutile. Orpello.

Giacomo (a Giulia)   Che orpello! Non è mica una barba finta. (A Scipione) Del resto, vede,

            perfino la barba finta serve a qualche cosa. Serve a camuffarsi. Ma la barba vera non       serve proprio a niente.

Scipione     Nemmeno per sogno. Se la natura ce l'ha data, vuol dire che serve a qualche         cosa.

Giacomo    Serviva. Serviva in altri tempi. Quando l'uomo era ancora selvaggio. Serviva        forse per vestirlo, o per riparare il collo dal freddo, o per incutere spavento nei nemici,             sa il diavolo a che serviva. Ma oggi, con la vita che facciamo, non so­lo è inutile ma è     addirittura dannosa. Può prendere fuoco.

Scipione     Andiamo, prende fuoco! L'ha presa per un pagliaio. Del resto, sono assicurato     contro l'incendio. Ed ho l'estintore. Le dirò anche che doversi radere tutti i giorni è una schiavitù e una perdita di tempo.

giacomo   Ma avere la barba è antigienico. Per quanto sia, non è mai pulita.

Scipione     Prego credere, signori.

Clara                      Io certo non bacerei un uomo con la barba.

Scipione  (sostenuto)  Fortunatamente, signorina, non tutte le donne la pensano come lei. clara  (dispettosa)               Questione di gusti.

scipione  (nervoso, s'alza e chiama in direzione d'una finestra dell'albergo) Susanna! Susanna!

Susanna (affacciandosi)     Che c'è?

SCIPIONE                 Spicciati se vuoi fare questa passeggiata!

SUSANNA                Mi sto vestendo. Che modi!

SCIPIONE(nervoso) Andiamo, andiamo! Io mi avvio. (Via)

Susanna (placida)Calmati, Scipione. Tu hai bisogno di bromu­ro. (Si ritira dalla finestra e dopo qualche minuto esce dall’’albergo e se ne va nella direzione dove è andato il marito.)

VIII

Detti meno Scipione e Susanna.

Terenzio    Io, però, non trovo che la barba sia tanto irraziona­le. Per conto mio la uso come   orologio. Mi regolo su quanto è cresciuta per capire se è presto o tardi. La mattina,       appena sveglio, mi tocco le guance; se me le sento lisce, mi rimetto a dormire; se no,      salto dal letto: «Santo cielo, che ora ho fat­to!». Quando ho un appuntamento galante            non mi rado per tema di non potermi poi regolare con l'ora.

Giacomo    Ma per far questo bisogna appunto non avere la barba.

Terenzio    Già, è vero. Però uno scopo deve averlo, se ce l'ab­biamo.

Giacomo    E perché? Anche l'appendice l'abbiamo e non serve a niente. Del resto, signori,    la natura non ha che uno scopo: la conservazione della specie. Bisogna guardare tutto   da que­sto punto di vista e così si spiegano molte cose. Perché la barba l'hanno soltanto           gli uomini e le donne no? Evidente­mente perché non si confondano gli uomini con le donne.

Terenzio    E lei vuol dire che io, sol perché non ho la barba, po­trei essere scambiato con      una donna?

Giacomo    Non dico questo. S'intende, inorigine la Natura ci fornì di questo mezzo per          evitare gli equivoci. Poi abbiamo imparato a riconoscere gl'individui dei due sessi         senza bisogno di quel distintivo ed ecco che la barba è diventata inutile come           l'appendice e finirà per scomparire.

capizzucchi(interloquendo con una vocetta stridula e un poco timidamente) In Natura si    riscontra anche che il maschio è sempre più appariscente e - diciamolo pure - più bello    del­la femmina.

clara   (saltando su inviperita)      Chi lo dice?

capizzucchi        Me ne appello a tutti i presenti.

TERENzio  (fatuo)     Io personalmente preferisco le femmine ai maschi.

clara                      Bravo!

capizzucchi        Questa è un'altra faccenda. Io ho enunciato una regola costante.

clara                      Se la regola è vera, lei, caro conte, è un'eccezione.

capizzucchi  (punto sul vivo)         Eppure, cara signorina, debbo dirle che da un punto di       vista, diciamo così, di estetica ar­chitettonica, io sono più bello di lei.

clara                      Non mi faccia ridere.

capizzucchi                    Sono più bello, sì.

clara                                  Lei si fa delle illusioni. Si guardi allo specchio.

        Qualcuno ride.

CAPizzuccHi        Non c'è proprio da ridere. Io ho formulato una te­si scientifica.         (Indignato,s'alza ed entra in albergo senza sa­lutare nessuno.)

XI.

Detti meno Capizzucchi.

Giacomo    II conte Capizzucchi voleva dire semplicemente che il maschio è in generale        più appariscente della femmina, perché deve attirarla, e che forse in origine l'onor del         mento serviva per attirar la femmina.

clara          Forse in origine, ma oggi non l'attira più. A me, per lo meno, non mi attira           affatto.

Elvira        Eppure a me gli uomini con la barba non dispiacciono.

clara          Uh, che orrore, Elvira mia! Sposeresti un tipo come; Mosè?

Elvira        Come Mosè no, ma con un bel pizzettino sì.

Giacomo   Dite quello che volete, ma per me la barba è un resto di barbarie.

Giulia         Lo dice la parola stessa: barba, barbarie.

Giacomo    Che c'entra barba con barbarie?

giulia         Come che c'entra? Barbarie deriva dalla parola barba.

Giacomo   Santo cielo, guai quando le donne si mettono a parlare di cose che non     capiscono.

Giulia         Le capisco molto bene. E se credi di trattarmi come un'ignorante, ti           sbagli. Le due parole hanno la stessa etimologia. La stessa radice.

Giacomo    Almeno non farti sentire quando dici simili bestialità.

Giulia        Le bestialità le dici tu. Presuntuoso, ignorante e villano.

Giacomo    Ma sta' zitta. Non ti vergogni? Ti sentono.

Giulia         Dovresti vergognarti tu di trattarmi così in presenza della gente.

                        Pallone gonfiato.

Giacomo    Giulia, smettila.

Giulia         Oggi non vengo a tavola.  (S'alza ed entra in albergo sulle furie.)

X.

Detti, meno Giulia, che poi torna.

Giacomo   Le donne, che disastro!

Clara          Sapeste come siete disastro voi.

Giacomo   Ma fanno sempre una questione personale di tutto.

Clara          Lei l'ha offesa.

Giacomo    E’ lei che ha offeso me. (Giulia riappare pronta per andare a passeggio e            s'avvia sostenutissima.) Dove vai?

Giulia         Dove mi pare.

Giacomo  (alzandosi e seguendola)    Giulia!

Giulia         Non mi seccare.

Giacomo    Giulia, finisce male.

Giulia         Va' all'inferno! {Via.)

Giacomo (inseguendola; drammatico) Giulia, bada a quello che fai. Non mettere        l'irreparabile fra noi. Pensaci! Giulia! Giulia! (Via inseguendo la moglie. S'ode la sua     voce allontanarsi.)

XI.

Capizzucchi e detti, meno Giacomo e Giulia.

capizzucchi  (uscendo dalla porta dell'albergo; a parte, m mente, ad Aristide, che   durante le scene precedenti è entrato e uscito dall'albergo per servire i pensionanti)

            Aristide fatemi preparare il conto.

Aristide                 II signore parte?

capizzucchi        Non son uso stare in luoghi dove mi si manca di riguardo. Vado a fare      un telegramma e fra mezz'ora voglio trovare il mio bagaglio giù.

Aristide     Va bene.

Capizzucchi via a destra e Aristide entra nell'albergo.

xii.

Detti meno Capizzucchi e Aristide.

Terenzio, Elvira e Clara s'alzano dalle tavole rispettive e vengo­no nella strada.

Terenzio (a parte, a Elvira, fremendo)    Cosicché, la signorina ha un debole per gli   uomini col pizzetto, eh?

ELVIRA        Che c'entra? Ho parlato in senso generico.

Terenzio (amaro)  Ah, s'intende. Anch'io, in senso generico preferisco le bionde alle             brune. (A Clara) Clara, vuol fare una passeggiata con me?

CLARA   (maligna) Se non dispiace a Elvira.

ELVIRA (con crescente interna irritazione) Che c'entro io? An­zi, mi fa piacere. Divertitevi.

CLARA          No, se ti dispiace, vieni anche tu con noi. (Maligna­mente) Non vorrei che poi       mi dicessi che ti porto via i cor­teggiatori.

ELVIRA (c. s.)  A me? Ma io ne trovo quanti ne voglio! Te lo regalo.

TERENZIO    Lei, cara signorina, regali le cose che le appartengo­no. Clara, andiamo?

CLARA    (raggiungendo Terenzio e mettendoglisi sotto braccio) Eccomi. (Via a sinistra.)

ELVIRA  (tra sé, quasi piangendo) Hai ragione che non ci sono altri li giovinotti in albergo,       se no ti farei vedere! (Via a destra.)

XIII.

Edmondo e Piera.

Sono rimasti in scena soltanto Edmondo e Piera.

Edmondo (secco) Per me ci sono tipi che stanno meglio sbarbati e tipi no.

Piera                       Certo.

Edmondo (c. s.)         Trovo che un mingherlino sta meglio sbarbato.

piera                                    Anch'io.

Edmondo             Ma insomma con te è impossibile fare una discussione. Sei sempre del      mio parere. E sostieni un punto di vista contrario almeno una volta, santo cielo. Se          sosteniamo tutt'e due la stessa cosa è inutile discutere.

 piera                       D'accordo.

Edmondo             D'accordo! Ma se sto dicendo che non dobbiamo essere d'accordo?

piera                        Dico: sono d'accordo con te nel fatto che, se siamo d’accordo, non           possiamo discutere. Ma che vuoi farci se anch’io sono convinta che un mingherlino sta            meglio sbarbato.

Edmondo   Che donna impossibile! Da dieci anni che siamo sposati, ci fosse stata una            volta che avesse manifestato un parere opposto al mio. Io dico bianco, lei dice bianco;        io dico  nero e lei nero.

piera            Caro Edmondo, tu non te ne accorgi, ma anche tu la pensi come me, sempre, su   tutto, in un modo esasperato. Potrei citarti migliaia di casi.

Edmondo             Senti, Piera, o sono io che la penso come te, o sei tu che la pensi come      me, il fatto è che la pensiamo allo stesso modo e questo mi rende infelice.

piera             Rende infelice me, caro.

Edmondo   Lo vedi? C'è una cos che mi rende infelice?  Rende infelice anche te.

piera             Ma per forza. Sto dicendo che sono infelice proprio perché andiamo        d’accordo. Non posso discutere, non posso polemizzare, non posso sforgarmi.

EDMONDO   E’ quello che dico anch’io

PIERA                       Lo vedi? Adesso sei tu che la pensi come me.

EDMONDO Ma se io lo sto dicendo da mezz’ora!

piera           Io lo penso da anni. Non ne posso più. È una vita insop­portabile.

Edmondo  Sicuro. Così non si va avanti.

piera           D'accordo.

Edmondo  Sono stanco di sentirmi dire «d'accordo».

PIERA            D'accordo.

Edmondo   Sono stanco di sentirmi dire «anch'io».

Piera            Anch'io.

EDMONDO   Ma tu vuoi provocarmi. E di' una volta almeno: io invece no, io non sono di         questo parere. No. Sempre: anch’io, io pure, d'accordo. Che tortura, che vita d'inferno!

 PIERA           Sì, inferno, tortura, anche per me. Io invidio quei mariti e moglie che si     prendono a capelli. Almeno discutono. Al­meno vivono.

 EDMONDO  Se sapessi come li invidio io.

PIERA               (esasperata) Ma sentitelo! Ma sentitelo se non la pensa come in tutto. Io li invidio? Li invidia anche lui. È questa eterna placidezza, questa perpetua bonaccia della nostra esistenza, quello che mi fa diventare pazza. Soffoco. Voglio separarmi.

EDMONDO   Ah, sì, anch'io. Non ne posso più.

PIERA                       Nemmeno io.

EDMONDO   Adesso vado da un avvocato.

PIERA            Anch’io

EDMONDO   Bè, Piera, è inutile continuare a rilevare quest'insopportabile situazione a ogni      passo. Tanto durerà ancora per poco. Tu sei d'accordo con me di mettere in mezzo       degli avvocati e questo è necessario, visto che noi, andando sempre d’accordo, non       potremmo discutere la separazione. Dis­cuteranno gli avvocati. Soltanto, vorrei pregarti           d'una cosa: dimentica per un momento d'essere sempre d'accordo in tutto, fa forza a te   stessa e vedi se ti riesce di non chiamare lo stesso avvocato chiamerò io. Questo mi       pare necessa­rio, perché almeno possano litigar loro. Sei d'accordo?

PIERA             D’accordissimo.

EDMONDO   Figuriamoci se non era d’accordo. Allora, mettiamoci d’accordo … Cioè... Sì,    chiameremo gli avvocati Fava e Delle Bobole, che sono in villeggiatura qui. Scegli            quello che preferisci.

piera            Scegli tu, io non ho preferenze.

Edmondo       Nemmeno io ho preferenze.

piera            Ma qualcuno dovrà scegliere.

Edmondo e piera   (insieme)       E perché dovrei essere io?

Edmondo   Vedi? Non si va avanti così. (Tira fuori due monete)             Deciderà la sorte.

            Il ventino è Fava, il pezzo da cinque lire è Delle Bobole. (Presenta i pugni chiusi.)

piera            Destra.

Edmondo   T'è venuto Fava. Io prenderò Delle Bobole.

piera            Ma se preferisci Fava...

Edmondo   Adesso non ricominciamo. Fava abita da quella par­te, Delle Bobole dall'altra.                  Andiamo a chiamarli.

Via, l'uno a destra, l'altro a sinistra.

XVI.

Aristide solo, poi Antonio.

Aristide (che da qualche istante è venuto sul ballatoio, in giacca da fatica e berretto, a sparecchiare                 le tavole; tra sé alludendo a Edmondo e Piera)  Fra tanta gente che viene quassù in         villeggiatura, non ho mai visto un marito e una moglie  così bene assortiti. Proprio la             coppia ideale.

Sipario.

Atto secondo

Stessa scena.

I.

Aristide e Antonio.

Aristide (vede il vecchio Antonio che s'è affacciato alla sua fi­nestrella) Oh, Antonio! Beato te che         non fai niente dalla mattina alla sera. È un miracolo se passa un'automobile in un          giorno. A proposito, sai che ti dico? Quella teoria a me mi convince.

Antonio  (flemmatico)         Quale teoria?

Aristide     Quella del signore che ha preso la benzina.

Antonio     Ah, quel cretino della vita razionale.

Aristide     Sì, in realtà noi non siamo razionali. C'è tutto da rifare in questo campo. In           fondo anche i capelli, a che servo­no? Prendi per esempio l'illuminazione solare, non è      razionale. Non è a luce indiretta.

ANTONIO     Aristide, ho paura che tu ti metti su una brutta strada.

ARISTIDE     Sono razionale.

ANTONIO     Tu non sei razionale, sei cretino.

Aristide rientra nell'albergo con stoviglie.

II.

Antonio e il professor Limone.

Il professor Limone, con grossi occhiali e redingote, arriva dal­la destra accaldato e si ferma vicino alla pompa della benzina asciugandosi il sudore.

Antonio     (dalla finestra)            Vuole la benzina?

limone  (cercando con lo sguardo chi ha parlato)  M'hanno preso per automobile. ( Vede        Antonio)  Scusate, brav'uomo, è vero che questa pensione è molto quieta?

Antonio     Si chiama appunto «La Quiete».

limone        Ma tante volte il nome non corrisponde alla realtà, Io. per esempio, alloggio         nell'altro albergo, al «Posta e Pernice». Non c'è né la posta né la pernice. In compenso,

           

            c'è molto chiasso. Allora ho pensato di trasferirmi qui. Io, sapete» sono uno studioso.      Ho bisogno di quiete, di solitudine.

Antonio     Quest'albergo è rinomato per la solitudine. Tutti quelli che cercano la solitudine   accorrono qui dai più lontani paesi. Con permesso.(Si ritira e chiude la finestra.)

III.

Limone e Aristide.

limone(tra sé) Non voglio sentir altro. Questo è l'albergo che fa per me. (Ad Aristide, che è   riapparso sul ballatoio per finire di sbarazzare)    Ehi, ci sono camere?

Aristide    Si parla tanto di arte razionale, architetturarazionale, mobili razionali, ma             cominciate col rendere razionale la vita, benedetta gente. Lei si presenta in un albergo     e domanda  se ci sono camere. In un albergo non ci sono camere. La sua domanda è        superflua. È irrazionale.

limone (apre le braccia) Abbracciatemi. Abbracciatemi, vi dico. Io sono il professor   Limone. Capite, ora? L'apostolo del razionalismo applicato. È la mia buona stella che     vi ha messo sulla mia strada. Oh, cielo! Uno scienziato di fama mondiale ha da    imparare qualcosa venendo fra questi rozzi montanari.

 Aristide    Adesso non cominci a offendere.

limone       Tutt'altro, caro. Pensate che io sto scrivendo un libro che farà epoca:  Lo stile        razionale in casa e fuori. Vengo qui per lavorare in solitudine e trovo in voi il più        genuino cam­pione della vita razionale. Non capite che in voi lo stile ra­zionale è innato, istintivo, allo stato puro? Voi siete l'anello che mancava alla mia catena, il trionfo             vivente della mia te­si. E chi si muove più da quest'albergo? Dunque, ditemi, le vostre      parole sono per me una dolce musica: la mia doman­da era irrazionale. Verissimo. Me ne accorgo anch'io. Ma io intendevo dire se ci sono camere disponibili.

Aristide    Ora cominciamo a ragionare. Nossignore. L'albergo è completo.

limone        E mi fate fare tutto questo discorso?

Aristide    Cioè, un momento. C'è il conte Capizzucchi in par­tenza. Fra mezz'ora si libera     una camera.

LIMONE        Benissimo. Una camera per me.

Aristide     Anche quel «per me» è ozioso. Si presume che la ca­mera è per lei. E del resto       all'albergo importa poco se sia per lei o per altri.

LIMONE        Oh, caro! Toh! (Gli getta un bacione.) E che avrei do­vuto dire?

ARISTIDE     Niente. Niente alla lettera. Si presenta. Io capisco che vuole una camera e gliela   do. Se la camera non c'è, non mi muovo. Lei capisce che non c'è e se ne va.

LIMONE   (incantato, quasi non crede ai propri orecchi) Perfetto. Io dovrei appuntarle             queste cose. Me le ripeterete poi con calma. Ne farò oggetto d'una relazione al            prossimo congresso scientifico. Voi sarete il documento umano della mia opera    monumentale. Ma ditemi, come avete queste teorie? Di dove siete?

ARISTIDE     Sono di qui, ma ho studiato a Rocca di Mezzo.

LIMONE        E dov'è Rocca di Mezzo?

ARISTIDE     A due chilometri da qui.

limone        Parlatemi di voi. No, parleremo poi.Fra mezz’ora avete detto che sarà libera la     camera? Fra mezz’ora sarò qui. Vado a disdire al «Posta e Pernice». Pensate: sono       solo al mondo. Non ho nessuno. Non un fratello, non un           amico. Spero d'averlo             trovato in voi. A tra poco.

Aristide     Ah, dimenticavo: io accetto la mancia.

limone        Come sarebbe a dire?

Aristide     Ci sono locali dove è vietato accettare la mancia. Qui non è vietato. Non già                    che io la voglia, ma, nel caso che me la deste, l'accetterei.

limone        Ma io non ve la do.

Aristide     E io non la pretenderò. Mi sono limitato a informarvi per il caso che vi      domandaste: qui è permesso             o no accettare la mancia?

limone        Grazie della premura, ma, ripeto, io non ve la do. Comunque, avete fatto bene a dirmelo.

Aristide  (con un sorrisetto di scherno)   Ci sono certi che rifiutano la mancia.

limone        Che cretini! A tra poco. (Via dalla parte d'onde è venuto.

Aristide finisce di sbarazzare le tavole durante le prime battute della scena seguente, indi via.

IV.

Edmondo, Piera, avvocato Delle Bobole e avvocato Fava.

La voce di Aristide.

Dalla destra entrano Piera e l'avvocato Fava; dalla sinistra Edmondo e l'avvocato Delle Bobole. Scambio di saluti.

Edmondo (salutando l'avvocato della moglie, Fava) Buon­giorno, avvocato Fava.

FAVA                          Caro signor Edmondo.

            Saluti.

PIERA                 (c.s.)           Buongiorno, avocato Delle Bobole.

DELLE BOBOLE     Riverisco signora.

EDMONDO    (agli avvocati) Vogliono accomodarsi nella sala?

FAVA            Qui si sta più freschi.

I due avvocati vanno sul ballatoio.

EDMONDO              Già conoscete i fatti e la nostra decisione. Vi pre­ghiamo di discutere il      lato interessi della faccenda. Noi ci ri­tiriamo e appena avrete concretato qualcosa       favorite chia­marci. (Verso l'interno dell'albergo) Aristide!

LA VOCE DI ARISTIDE    Comandi, signor Edmondo.

EDMONDO   (c. s.) Portate due birre fresche ai signori che sono qui fuori. Le segnerete sul       mio conto. (Via lui a destra, Pie­ra a sinistra.)

V.

Fava e Delle Bobole.

FAVA (prendendo posto col collega a una tavola) Mi pare che il fatto sia assolutamente             sproporzionato alle conseguenze.

delle bobole     Non vuol dire. Tante volte, tra moglie e marito è una goccia quella che      fa traboccare il vaso.

fava             Ma è nostro dovere tentare una conciliazione.

delle bobole     Vedi, Carlo, ti dirò per esperienza che questi tentativi non approdano a     nulla. Quando s'è arrivati a una si­tuazione d'incompatibilità, anche se si riesce ad      appianare il piccolo incidente che è stato - diciamo così - la scintilla che ha dato fuoco    alle polveri...

fava             O la goccia che ha fatto traboccare il vaso...

delle bobole     Come vuoi. Domani ci sarà un'altra scintilla...

fava                        O un'altra goccia.

delle bobole     O un'altra goccia, se preferisci, e saremo da capo.

fava             E sta bene. Allora non ci resta che andare avanti. Tu co­nosci i fatti?

delle bobole     Sì. Una sciocchezza. La scintilla...

fava                        La goccia...

delle bobole     Lui ha detto che un mingherlino sta meglio sbarbato.

fava                        Veramente questo l'ha detto lei.

delle bobole     No, no, me l'ha raccontato lui stesso.

fava                        Hai capito male. Comunque non ha importanza.

delle bobole     Ha importanza e come! Tu capisci che bisognerà fare una valutazione        dei fatti, vedere chi ha torto e chi ha ra­gione. La questione muta profondamente          d'aspetto, se lei ha qualche motivo per sostenere una cosa piuttosto che un'altra. Tu    m'intendi. Uno con barba, piuttosto che uno senza.

fava            O se lui è un provocatore che vuol cimentarla a ragion veduta.

delle bobole     Giustissimo. Allora bisogna assodare.

Via l'uno a destra, l'altro a sinistra, mentre entrano dalla destra i due della scena seguente.

VI.

Il Viandante Scalcagnato e Figlio. Poi Aristide.

Il Viandante Scalcagnato - tipo di pover uomo afflitto da ristrettezze finanziarie, scalcagnato, vestito di nero, con la bombetta e un nodoso bastone per difendersi dagli attacchi dei cani da pastore  - e suo Figlio, che potrà avere un dodici-quattordici anni entrano dalla destra sudati, sotto il solleone; ché ormai è passato mezzogiorno.

il figlio     Papà, se ci pigliassimo due birre?

il viandante scalcagnato (drammaticamente) Figlio mio ormai sei in età da            potertisi esporre le cose come stanno. Sappi  dunque che io sono rovinato. Il mio        patrimonio è finito nelle mani dei creditori, da anni. Speculazioni errate e un eccessivo        gravame ipotecario hanno divorato ogni mio avere. E tu mi parli di due birre. Anch'io le vorrei, ma, purtroppo...

Aristide   (uscendo dall'albergo con vassoio)      Ecco le due birre.

viandante  (sorpreso)     Chi le ha ordinate?

Aristide     II signor Edmondo per lorsignori.

viandante           Ma si debbono pagare?

aristide                 Tutto pagato.

viandante           Oh, grazie. (Bevono) Ma che brava persona, questo signor Edmondo. Aristide                       Ah, sì, veramente brava.

vii.

Detti. Poi Fava e Delle Bobole, un momento.

Mentre i due bevono la birra, Fava e Delle Bobole rientrano, ognuno dalla parte donde era uscito, e traversano in fretta la sce­na, sbuffando, accaldati. Mentre s'incrociano.

FAVA   (a Delle Bobole)       Lei è di là.

DELLE BOBOLE     (a Fava, insieme)       Lui è di là.

Escono dalle parti opposte.

VIANDANTE                (riconsegnando ad Aristide i boccali vuoti) Ringrazi tanto il signor        Edmondo.

ARISTIDE            Non mancherò.

Aristide via.

VIII.

Viandante e Figlio.

FIGLIO (al padre)               Papà, chi è il signor Edmondo?

VIANDANTE                                   E chi lo sa? Sarà bene allontanarci in fretta.

Via.

Entrano dalla destra Elvira e il conte Capizzucchi, conver­sando.

IX.     

Elvira e Capizzucchi.

Elvira        No, no, caro conte, quello che vi ha detto Clara è ingiusto. Io trovo che siete il     più simpatico fra tutti i villeggianti.

capizzucchi        Voi siete molto gentile, mia cara, ed io accolgo le vostre parole      unicamente come una prova della vostra squisitezza d'animo.

Elvira       No, no, quel che è giusto è giusto. A me non piacciono i giovinotti scipiti             d'oggi. Trovo che è molto più interessante un uomo maturo e voi...

capizzucchi       Tacete. Mi basta il pensiero delicatissimo. Iosonoun cuore solitario,         signorina. E sono anche un timido. E pensi che ho partecipato l'anno scorso al           congresso dei cuori solitari e, benché ce ne fossero molti dell'uno e dell'altro sesso,         non ebbi il coraggio d'attaccar con nessuna delle congressiste. Un'invincibile timidezza        mi paralizza, quando sono in presenza d'una persona dell'altro sesso, specie se giovane    e bella.  È stato sempre così, e questa è la ragione per cui sono diventato un vecchio             scapolo.

elvira                    Vecchio, poi!

capizzucchi       Be', l'età magari non ancora. Ma mi pare che nessuna donna potrebbe        interessarsi di me.

Elvira                   Errore.

capizzucchi                    Vedete, se voi oggi non m'aveste gentilmente parlato, non avrei     mai avuto il coraggio di rivolgervi La parola. Mi sembra che tutte le donne debbano       trovarmi goffo.

Elvira       Per niente affatto.

capizzucchi       Parlate sinceramente?

Elvira                   Dico quello che penso.

capizzucchi        Oh, signorina, le vostre parole mi fanno bene al cuore. Pensate che            avevo deciso di lasciare quest'albergo, dove mi sentivo così solo. E adesso mi pare un        Paradiso, per merito della vostra presenza e delle vostre parole gentili.

Elvira        Troppo buono.

capizzucchi        Comprendetemi. Non sono uno sciocco e non mi faccio illusioni, che        mi renderebbero ridicolo. Capisco be­nissimo quello che dipende unicamente dalla   vostra genti­lezza d'animo. Ma mi basta. Sono sempre così solo! Sapeste, signorina,             com'è triste la mia vita! Guardate: libri gialli e so­litudine. (Mostra il libro.)

ELVIRA        Ah,La farfalla incatenata. L'ho letto. Ha capito chi è il colpevole?

capizzucchi        Non me lo dite.

ELVIRA                    Non farei mai una simile mascalzonata.

capizzucchi        Ma adesso, dopo aver parlato con voi, il mondo non mi sembra più un                  deserto. Scusate un momento, voglio avvertire l'albergo che non parto più.(Lascia il libro su un tavolinetto ed entra nell'albergo.)

X.

Elvira, Terenzio e Clara; poi Capizzucchi.

Entrano dalla destra Terenzio e Clara.

TERENZIO (a Elvira, ironico)   Complimenti, complimenti, abbiamo visto.

ELVIRA        Che cosa?

TERENZIO    Di lontano sembravate due colombi che tubavano. Il vecchietto s'è            ringalluzzito, eh?

ELVIRA        Il conte Capizzucchi è una persona simpaticissima, che ne vale dieci, di certi        giovanotti che so io.

TERENZIO    E tienitelo, allora, cara, nessuno te lo tocca.

ELVIRA  Certamente. Ascolta …

TERENZIO    Va' all'inferno.

Elvira        Crepa.

capizzucchi       (uscendo dall'albergo, a Elvira)  Ecco fatto.  (Via con Elvira.)

Elvira(guarda Terenzio ironicamente, prendendo sottobrac­cio Capizzucchi e             canticchiando, mentre escono)

            Fior di giaggiolo,

            gli angioli belli stanno a mille in cielo...

(Aria della «Cavalleria rusticana».)

Terenzio   Di lei non m'importa. Ma quel vecchio rammollito s'accorgerà che non son tipo    da prendersi in giro. Di lui mi vendico. E la mia vendetta sarà terribile. (Furioso, si       guarda intorno, quasi per cercare la vendetta. Vede il libro giallo lasciato da           Capizzucchi sulla tavola e un ghigno satanico gli increspa il volto; prende il libro,   scrive un biglietto, lo mette nel libro e se ne va.)

XI.

Professor Limone, Facchino, Terenzio in fondo, poi Aristide.

Torna dalla destra il professor Limone seguito da un facchino piegato letteralmente in due sotto l'enorme peso d'un grandissimo baule.

facchino Questo baule pesa come un accidente.

limone       Ci sono libri, mio caro. Tutti libri. Io, sapete, sono uno studioso. Voi         v'intendete di studi?

facchinoIo voglio scaricare il baule.

Aristide (uscendo dall'albergo; al professor Limone) Non c’è più la camera per lei.

limone        Come? Prima mi fate disdire al “Posta e pernice” e poi mi dite che la camera        non c'è più. Vi faròpagare i danni.

 Aristide   II conte Capizzucchi non parte più. Non è colpa mia.

limone        Deciderà il magistrato. (Al Facchino) Torniamo al «Posta e Pernice». (Via.)

XII.

Aristide, Capizzucchi, Elvira.

capizzucchi(rientra affannato con Elvira)       Aristide, avete vi­sto il mio libro?

Aristide  (prende il libro di sulla tavola)  È questo, signor conte?

capizzucchi        Sì, grazie. (Aristide consegna il libro e via. Dal li­bro cade una lettera.)      Una lettera? (Raccoglie la lettera, l'a­pre con mano tremante) Una lettera anonima?       (Sorpreso legge e tosto con impeto di rabbia getta il libro a terra)   Ma­scalzoni!

ELVIRA        Lo butta via?

CAPIZZUCCHI Che volete che me ne faccia? Dal momento che un mascalzone mi ha   rivelato chi è il colpevole. (Via, la­sciando la lettera sulla tavola.)

xiii.

Fava e Delle Bobole.

Fava e delle bobole  (insieme) Avevo ragione io.

FAVA             Lei mi ha confermato d'aver detto che un mingherlino sta meglio sbarbato.

delle bobole     Benedetto il cielo, non sono né pazzo né sordo.

            Lui m'ha confermato d'averlo detto lui.

FAVA            Ma allora qui c'è un enorme equivoco. Bellissima, bellissima!

delle bobole     E già, nella foga della discussione non hanno capito che si battevano        per l'identica tesi. Ah, ah! Che gente! Ma allora tutto è risolto. Bisogna chiamarli.

Via l’uno da  destra, l'altro da sinistra.

XIV.

Aristide. Poi Giacomo e Giulia. Indi Clara, Terenzio, Elvira e Capizzucchi.

Aristide si fa sulla porta dell'albergo e suona il tam-tam della colazione. Cominciano a rientrare i pensionanti; tutti acciglia­ti, neri; prima coppia, Giacomo e Giulia; mentre essi

parlano, passano la coppia Clara e Terenzio e la coppia Elvira e Capizzucchi; controscene di Elvira e Terenzio, che si vogliono ingelosire reciprocamente.

Giacomo    Ma senti, ragiona...

Giulia         Non resto un giorno di più in un albergo dove sono stata pubblicamente   insultata da mio marito.

Giacomo   (rassegnato)     E va bene. (Chiama)              Aristide!

Aristide     (smette di suonare il tam-tam)           Comandi.

Giacomo    Senti, caro, noi partiamo. Tu resti?

Aristide     Iosì.

Giacomo    Bene, allora facci preparare il conto. A cheora passail treno per Roma?

Aristide (consulta l'orario)  Dunque, dunque, il treno per Roma passa a mezzanotte alla        stazione di Piedicolle.

Giacomo    Benissimo. Partiamo a mezzanotte.

Aristide     Per andare a Piedicolle ci sono 20 Km e c’è il trenino locale delle 11 in     coincidenza col direttissimo.

Giacomo    Ottimamente. Partiremo alle 11.

Aristide     L'ultima corsa della funicolare in coincidenza del trenino è alle 10.

Giacomo    Alle 10 allora.

Aristide     Ma se vogliono valersi della carrozza dell’albergo per andare alla funicolare,       questa parte alle 9.

Giacomo    Alle 9, allora.

Aristide     Però, siccome stasera c'è la festa, lacarrozza anticipadi un'ora.

Giacomo    Senti, dimmelo francamente: dobbiamo andarcene  subito?

Aristide     No. Ma se vogliono mandare le valige direttamente alla stazione di Piedicolle,     c'è un furgoncino che fa questo servizio per i signori villeggianti. Così stasera       partiranno con comodo, senza pensieri. Ma in questo caso debbono pre­parare subito il    bagaglio, perché il furgoncino parte fra po­co, dovendo fare il giro di vari paesi.

Giulia         E’ una buona idea.

Giacomo    Brava. E io dovrei mettermi subito a far le valige?

Giulia         Ma ti pare possibile, stanotte, mettersi a fare quattro trasbordi di valige, fra          carrozza, funicolare, trenino e diret­tissimo?

Giacomo (rassegnato)  E va bene. Vuol dire che adesso invece di mangiare vado a fare le     valige. Con questo caldo da mori­re. Se dovesse venirmi un colpo, poi, non ti   lamentare. L'hai voluto tu. Resterai vedova.

Giulia         Pazienza.

Giacomo    Pensaci.

GIULIA         Meglio vedova che quattro trasbordi con le valige, di notte.

Giacomo    Una donna, sola, alla tua età... E sta bene. Vai pure a mangiare.

GIULIA          Io non ho appetito. Sono stanchissima e ho bisogno Soltanto di riposo.

Entrano nell'albergo.

ARISTIDE     (al ragazzo dell'albergo) Corri al «Posta e Pernice» e di' al professor Limone        che ritiri la querela, perché la camera ci sarà stasera. (Si rimette a suonare il tam-tam.)

SIPARIO

atto terzo

Stessa scena.

I.

Aristide e Giacomo.

All'alzarsi del sipario è fermo davanti alla porta dell'albergo un furgoncino e Aristide va sistemandovi sopra le valige di Giaco­mo, mentre questi sorveglia l'operazione dalla finestra della sua camera, in maniche di camicia, asciugandosi il sudore. Poi il furgoncino parte.

Aristide  (a Giacomo)  Il signore scende per la colazione?

Giacomo   Che colazione! Non ne posso più dalla stanchezza. Ho fatto una sfacchinata.       Adesso mi metto a riposare. (Si ritira e chiude la finestra.)

Aristide entra nell'albergo

II.

Piera, Edmondo, avvocato Fava, avvocato Delle Bobole.

Intanto sono entrati da una parte Piera e l'avvocato Fava, dall'al­tra Edmondo e l'avvocato Delle Bobole. I due coniugi sono neri. Gli avvocati soddisfattissimi e misteriosi.

piera  (all'avvocato Fava, entrando)   Ma insomma, perché questi misteri?

Edmondo (a Delle Bobole)  È quello che dico anch'io. Che co­sa avete deciso?

delle bobole     Adesso lo saprete.

FAVA            Datevi la mano. (Edmondo e Piera li guardano sorpresi.) Abbracciatevi, via!       (Li spingono. Edmondo e Piera non si muovono.) Ma non capite che siete d'accordo? Edmondo                Appunto per questo vogliamo separarci.

delle bobole     Ma non d'accordo nell'idea di separarvi. L'inci­dente è nato mentre voi      sostenevate tutt'e due la stessa cosa.

piera           Naturalmente.

dellebobole     E allora fate la pace. Il nostro compito è finito.

Edmondo  (agli avvocati)  Scusate, non avete capito niente: noi vogliamo separarci perché     andiamo d'accordo su tutto e questo c'impedisce di fare delle discussioni.

delle bobole   (sorpreso, cercando di raccapezzarsi)    Come, come, come?

Edmondo  Ogni volta che io esprimo un'opinione, mia moglie mi dice: «giustissimo». Che    altro posso aggiungere io? Se insisto nel dimostrarle che la mia opinione è giusta, lei   mi dice: «Verissimo». E mi tappa la bocca.

piera            Tàl'e quale come fa lui con me.

fava            E non siete soddisfatti?

piera            Ma che vita è questa? Mai uno sfogo!

Edmondo  Sono anni che andiamo avanti in questo monologo a due, in questo tète à tète       silenzioso.

I due avvocati si guardano sorpresi.

fava  ( a Delle Bobole)         Hai capito?

delle bobole     La questione è molto più complicata di come credevo. (Ai due clienti)       Ma scusate, non potreste cercare di pensarla diversamente, almeno in qualche cosa? Edmondo                        Non dipende da me. Io dico quello che penso.

piera                        Anch'io.

Edmondo              La sentite? Questa è la mia vita dalla mattina alla se­ra. Di sentirmi dire:    «anch'io», o qualcosa del genere.

piera             è anche la mia vita.

Edmondo    Che vi dicevo? La mia vita; la sua vita. È esasperante.

piera                        Ah, sì, proprio esasperante.

Edmondo  (con le mani nei capelli)     Ma la sentite? Sembra l'eco.

piera            Ma, Edmondo, tu ripeti cose che io ho detto mille volte.

Edmondo   Le ho dette anch'io.

piera (agli avvocati)     Sentono? Noi diciamo sempre tutti e due le stesse cose. È vita? fava          Ma scusate, se proprio ci tenete a discutere, e visto che andate così bene           d'accordo, perché non cercate di mettervi d'accordo su questo: che di quando in          quando e magari a turno, uno dei due, tanto per rendere possibile una discus­sione,    sostenga il contrario di quello che sostiene l'altro.

Edmondo   E che discussione sarebbe? Oltre tutto farebbe rab­bia sostenere l'opposto di         quello che si pensa, in contraddit­torio con uno che sostiene proprio la vostra opinione.

piera            Giustissimo. (Ogni volta che uno dei due coniugi ap­prova quello che dice             l'altro, l'altro ha uno scatto nervoso.) Con che calore si potrebbe sostenere la tesi            contraria?

Edmondo              Proprio così.

Scatto di Piera.

fava   (a Delle Bobole) Ma guarda come vanno d'accordo. Strappano gli schiaffi.       

piera            Se fa rabbia a voi, figuratevi a noi che ci viviamo.

Edmondo   E come!

Scatto di Piera.

piera            Lo sentono come approva?

delle bobole     È davvero un caso grave. Scusate. Ragioniamo un po' con             calma. Vediamo se si può risolvere. Siete sicuri di andare d'accordo su tutto, proprio su tutto? Avete discusso, che so io, d'arte, di politica, di letteratura, di sport? Forma e             contenuto, '900 e '800, «Lazio»-«Roma»?

piera            Siamo tutt'e due per la «Lazio».

delle bobole     «Milan» - «Inter».

piera                        Siamo tutt'e due per il «Milan».

Edmondo   Che vuol discutere? Se le dico che appena uno esprime un'opinione l'altro è          d'accordo? Basta. È finita. Non si va avanti.

delle bobole     Ma avete provato con argomenti meno consue­ti, che so io, su questioni     d'astronomia, di filosofia?

Edmondo   S'è tentato tutto. (Drammatico) Dall'immortalità dell'anima agli spaghetti al         pomodoro, lei la pensa come me e questo è asfissiante.

fava            Ma allora perché non cercate di litigarvi per il fatto che andate d'accordo?

piera            Lo stiamo facendo. Ma siamo stati subito d'accordo che l'unica è separarci.

fava            Ma invece di separarvi, profittate, continuate a litigarvi su questo tema.

Edmondo   E come è possibile? Se io sono convinto che per questa ragione non ci resta che   separarci...

piera                       ... e io sono dello stesso avviso...

Edmondo       ... è impossibile discuterne.

fava            Ma io voglio convincervi invece che non è il caso di se­pararvi.

delle bobole     Senti, non li convincere tutti e due. Convincine uno solo, se no saremo     da capo.

fava            Hai ragione. Allora cercherò di convincere lei, signora, che mi sembra più             ragionevole.

Edmondo              Ma sono ragionevole anch'io.

fava                        Lei stia zitto, mi faccia il favore. E non cerchi d'influen­zare l'opinione       della signora.

Edmondo              Ma se io cerco proprio il contrario.

fava                        Tanto meglio. Allora, favorisca ritirarsi un momento co­sì non c'è               pericolo che io convinca anche lei.

Edmondo  (a Delle Bobole)    Benissimo, noi andiamo a far colazione dentro. (S'avvia per                entrare in albergo.)

fava (a parte, a Delle Bobole)  Fammi il favore, cerca di convincerlo della necessità di      separarsi, io cercherò di convincere del contrario la moglie e vediamo se è possibile             metterli d'accordo, cioè, di disaccordo, insomma, di farli pensare diversamente l'uno    dall'altra.

 delle bobole    Proviamo.   (Entra in albergo con Edmondo.)

III.

Avvocato Fava e Piera.

fava Lei, signora, mentre aspettiamo la colazione, venga a fare due passi con me e stia a         sentire senza preconcetti.

piera                        S'immagini. Sono piena di buona volontà.

Parlando escono da destra, mentre dalla sinistra rientrano il Viandante Scalcagnato e suo Figlio tristi, assetati e stanchi.

IV.

Il Viandante Scalcagnato e suo Figlio, poi Aristide.

viandante Non c'è da battere un chiodo. (Si ferma presso le tavo­le asciugandosi il sudore.    Dall'interno dell'albergo s'ode ac­ciottolio di piatti e stoviglie.) Senti, senti. Tutti hanno un desco fumante, tutti fanno colazione e noi niente. Aristide (uscendo con un vassoio; al             Viandante e Figlio)     Ec­co la colazione per lorsignori.

viandante (sorpreso)     Eh?! Aristide La manda il signor Edmondo. Ha detto che intende    assolutamente che anche loro facciano colazione qua fuori, perché non è giusto che    mentre tutti mangiano lorsignori restino digiuni.

viandante     Finalmente, ecco uno che ragiona.

Aristide          Tanto più, ha detto, che possono benissimo parlare anche mangiando.

viandante    Ah, s'intende.  (Siede col Figlio e si mettono a man­giare            soddisfattissimi.)

Aristide rientra nella sala da pranzo dell'albergo.

V.

Piera, Fava e detti, meno Aristide.

Piera e l'avvocato Fava rientrano passeggiando dalla sinistra e traversano lentamente la scena per uscire dalla destra, mentre parlano.

fava            Anzitutto, voglio dirle che andare sempre d'accordo tra moglie e marito non è      poi un gran male.

piera            Ma d'accordo su tutto, caro avvocato, è cosa da morire.

fava            Glielo concedo. Però ella ammetterà che è preferibile al non andare d'accordo.

piera            Non sono del suo parere. Ma continui pure.

fava            No, tengo a questa premessa …

Parlando escono dalla destra.

VI.

Viandante Scalcagnato e Figlio. Professor Limone e Facchino.

Rientra il professor Limone seguito dal Facchino sempre più curvo sotto l'enorme baule.

limone       Alt.

Facchino Posso scaricare?

Limone       Un momento. Dovete portarmelo in camera.

facchino Non ce la faccio più. È da stamattina che ho questo baule addosso.

limone        Pazientate ancora pochi istanti. Se no poi, lo sapete, ci vogliono quattro uomini    per rimettervelo sulle spalle. (Vede Aristide che esce a servire il Viandante e suo Figlio e si               fa avanti.)

Scena muta razionale fra lui e Aristide. Limone si mette in posizione d'attesa. Aristide gli fa cenno d'aspettare un minuto. Guarda la finestra di Giacomo e fa il gesto d'uno che dorme. Muta interrogazione di Limone, che non ha capito.

Aristide     (secco, razionale)       Dorme.

limone        Chi?

Aristide     II viaggiatore in partenza.

limone(secco, razionale) Svegliarlo.(Aristide fa un gesto di costernazione; Limone,    duramente) Svegliarlo! Non capite che ho disdetto al «Posta e Pernice»?(Secco e             autoritario)       Finestra?

Aristide indica la finestra di Giacomo. Limone prende un sasso e lo tira sulle impannate. La finestra si apre e appare Giacomo che sbadiglia.

Aristide     Scusi, signore, abbiamo dato via la camera.

Giacomo    Di già? Va bene. Adesso la libero. Il tempo di vestir­mi. (Un'orribile smorfia si                disegna sul suo volto appena det­te queste parole, come per un pensiero improvviso; e tosto egli          emette un lugubre ululato) Uh! Uh! Uh! Ho chiuso nel­le valige anche i vestiti che dovevo   mettermi addosso; anche le scarpe! Bisogna raggiungere il furgoncino. Dov'è?

Aristide     Vattelapesca. Sta facendo il giro dei paesi. Lo troverà a mezzanotte alla   stazione di Piedicolle.

Giacomo    E come vado alla stazione di Piedicolle ? In camicia?

facchinO  (A Limone, da sotto il baule)              Signore, il baule pesa.

limone        Un momento, caro, se no poi ci vogliono quattro uo­mini. (A Giacomo) Signore,     ho bisogno della camera.

Giacomo   Ma non capisce che sono nudo? Ho soltanto questa camicia addosso. È una         camicia da giorno. Non ho nemme­no le scarpe, i calzini.

limone        Ma io ho disdetto al «Posta e Pernice». Vi farò causa. (Ad Aristide) Vi mangerò      l'albergo. (A Giacomo) Le porterò via anche la camicia.

Giacomo       Aristide, per pietà, si raggiunga il furgoncino! Sguinzagliate dei ciclisti a Vallefonda, a Roccadilepre, a Torredimezzo, a Pratoverde, a Belvedere, a           Macchiarossa; si per­lustri la montagna. Non capisci che se no, io non posso par­tire        nemmeno stanotte?(A Limone)   È nel suo interesse. Io non posso muovermi se non ho

            i miei abiti.(Si ritira e ri­chiude la finestra.)

Aristide     In realtà non c'è altro da fare che battere la monta­gna in cerca del motofurgoncino. Adesso manderò dei ra­gazzi. (Al professor Limone) Vuol dire che lei             avrà la bontà di tornare più tardi.

limone        Pazienza che stai per scapparmi!  (Al Facchino) Tor­niamo al «Posta e Pernice».    (Via col Facchino mentre Ari­stide rientra in albergo.)

VII.

Piera, avvocato Fava. Viandante e Figlio (che continuano a mangiare a quattro palmenti disinteressandosi del resto).

fava(rientra con Piera, passeggiando e sempre catechizzando­la) Voi e vostro marito dovreste rassegnarvi. C'è di peggio. E ora, al secondo punto: forse, se desistete dall'idea di sepa­rarvi, con un po' di buona volontà, con un po' di spirito con­ciliativo,      prò bono pacis, insomma, potrete trovare qualche piccolo punto di disaccordo.

Piera            Impossibile.

fava             Ma via! Se l'uno o l'altro, o magari tutt'e due... no, tutt'e due no... se l'uno o         l'altro vorrà non essere troppo intransi­gente con se stesso, finirete per non andare più         d'accordo, almeno nelle piccolezze. Occorre della buona volontà, nient'altro che             questo.

piera            Per conto mio ce la metto. Provi a dirlo anche a mio marito.

fava                        No, se lo dico anche a lui è finita.

Continuano a bassa voce ed escono dalla parte opposta.

VIII.

Viandante, Figlio e Aristide, poi Capizzucchi.

Aristide  (uscendo dall'albergo sul ballatoio; al Viandante)  Il signor Edmondo vuol sapere se hanno finito.

viandante    (mangiando a quattro ganasce)    Non ancora.

capizzucchi (uscendo sul ballatoio, radioso, elettrizzato; ad Aristide misteriosamente)         Aristide, tu dovresti farmi un favore. Quando hai finito il servizio, dovresti andare in    pae­se al «Piccolo Parigi» e farmi mandare in albergo una dozzi­na di cravatte da    scegliere, le migliori, mi raccomando. Che ci sia anche una cravattina nera per il ballo    di questa sera. Che altro volevo dirti? Ah, ho bisogno di tagliarmi i capelli; dovresti        farmi venire il parrucchiere in albergo. (Rientra nella sala da pranzo.)

viandante           Cameriere, dica al signor Edmondo se "si possono avere due buoni                       sigari.

Aristide     Subito.            (Rientra in albergo.)

IX.

Viandante, Figlio, Fava e Piera.

fava (rientra con Piera, continuando un discorso)  Il mio col­lega sta in questo momento         catechizzando Edmondo perché insista nell'idea di separarsi. Fra poco lo chiamerò, lei     gli anderà incontro, dirà che non vuole separarsi, l'abbraccerà e così litigherete.

Proseguono a bassa voce, uscendo dalla parte opposta.

X.

Viandante, Figlio e Aristide.

Aristide (tornando, al Viandante) Il signor Edmondo dice che la richiesta del sigaro è una    provocazione perché il siga­ro era l'unica cosa in cui non andavano d'accordo e adesso    lei si mette a fumare anche i sigari. Perciò manda un solo si­garo.

viandante           Ma non vorrà mica farmelo pagare!

Aristide (offeso)    Ci mancherebbe altro! Tutto pagato.

viandante           Lo ringrazi tanto da parte mia.

Aristide via.

XI.

Viandante, Figlio, Fava e Piera.

fava  (rientra con Piera, continuando un discorso)  E se lui do­vesse cambiare idea, lei dice

            che vuol separarsi. Cerchi, in­somma, di provocarlo, dandogli torto sistematicamente. piera     Veramente mio marito considera una provocazione il fatto che io gli dia          ragione. In ogni modo tenterò.

fava            Andiamo a chiamarlo. (Entrano in albergo.)

il figlio del viandante      Papà, io ho l'impressione che il signor Edmondo ci abbia    confuso con qualcuno.

viandante                      Credi?

figlio                      Non so. Il suo contegno nei nostri riguardi ha qualche lato poco chiaro.     Credo che ci converrebbe tagliare la corda.

viandante           Forse non hai tutti i torti. Peccato. Si stava così bene!

S'alzano.

viandante           Comunque torneremo all'ora di cena e vedremo come si regolerà con         noi. (Vede il foglietto che Capizzucchi ha lasciato cadere.) To', hanno perso una lettera. (Raccoglie il foglietto e legge.)

figlio                      Che dice?

viandante  (atterrito)      Un delitto!

Via col figlio.

XII.

Piera, Edmondo, avvocato Fava e avvocato Delle Bobole.

Edmondo (uscendo dall'albergo, agli avvocati che l'accompa­gnano) Insisto     assolutamente per la separazione.

piera (con forza)     E io no.

fava            (piano, a Piera)          Brava!

Edmondo   (sorpreso, fìssa Piera incredulo)        Finalmente non sei del mio parere.    Abbracciami. Non mi separo più.

delle bobole     Sia lodato il cielo! Ce l'abbiamo fatta.

piera  (piano, irritata, a Fava)       Lo vede? Subito d'accordo; io dico che non voglio separarmi e lui: non mi separo più.

fava (a parte, a Piera)    Ma lui non vuole più separarsi perché non siete d'accordo.

piera (c.s.)   Ma se non vuole più separarsi, ecco che siamo nuovamente d'accordo.

fava (c. s.)    E lei gli dica subito che invece vuole separarsi. Energica!

piera (a Edmondo)                E io voglio separarmi.

Edmondo (deluso)   Allora non era vero che non sei del mio pa­rere! Allora eri d'accordo        con me nell'idea di separarti.

fava (piano a Piera)           Dica di no.

piera            No. Ci ho ripensato. Non voglio separarmi.

delle bobole   (piano a Edmondo)       Dica di sì, insista.

Edmondo              E io sì. Voglio separarmi.

fava                         Molto bene. Bravi.

delle bobole (a Fava) Allora, mi pare inutile che si separino, se ormai hanno raggiunto     il disaccordo.

 

piera e Edmondo          Certo. (Accorgendosi d'aver detto la stessa cosa, hanno un gesto    di rabbia.)

fava   (rassegnato)             Be', se siete d'accordo per non separarvi, l'unica cosa che vi resta   da fare è separarvi. (A Delle Bobole) Andiamo ad abbozzare l'atto.

Via entrambi.

SIPARIO

ATTO QUARTO

Stessa scena.

È l'ora in cui, in montagna, le greggi tornano all'ovile e s'o­de la campana della sera. Suono di campanacci di greggi che tornano all'ovile. Suono di campana. Durante l'atto annotta e s'accendono i lumi sul ballatoio.

All'alzarsi del sipario sono in scena Elvira e Terenzio, seduti sul muricciuolo della strada.

I.

Elvira e Terenzio.

TERENZIO     Hai cominciato tu, col pizzettino. Per ingelosirmi. Per farmi soffrire.

Elvira        Ma tu avevi già cominciato, con Clara. Quando io t'a­mo più di me stessa.

Terenzio    Non è vero.

Elvira        E pretenderesti anche che fosse vero? Non ti basta che te lo dica? (Si mette a       piangere)    La commedia, in amore, è un pensiero gentile, una prova d'amore.

Terenzio    (commosso)    Hai ragione. Via, non piangere più.

Elvira   (rincarando la dose delle lagrime) E credi che pianga sul serio? Il mio pianto è una   finzione, per farti piacere. Tut­to per te, brutto mostro, che mi ricompensi in questo modo.

Terenzio (pentito)                         Perdonami.

Si abbracciano.

II.

Detti, Aristide e Antonio. Poi Capizzucchi.

Aristide arriva trafelato dalla destra.

ANTONIO     (che da un istante s'è affacciato alla sua finestrella, gli fa cenno di non far            chiasso per non disturbare i due in­namorati) St! (Gl'indica i due abbracciati.)

Aristide     II bacio, in fondo, a che serve?

Antonio     Ma fa piacere.

Aristide     Che vuol dire? È inutile.

Antonio     Lo dici tu.

Capizzucchi appare sulla porta dell'albergo e vede i due inna­morati abbracciati. Resta dolorosamente sorpreso.

I due si staccano e se ne vanno assieme.

Aristide (a Capizzucchi) Ecco le cravatte. (Gliele sciorina da­vanti.) Il parrucchiere tarderà    un po', perché è occupatissi­mo con le signore per il ballo di stasera.

capizzucchi   (patetico) Grazie. Le cravatte non servono più. Anche il parrucchiere non      serve più. (Via malinconico.)

III.

Aristide e Antonio. Poi Giacomo alla finestra.

Antonio (ad Aristide)  È stato qui il professor Limone e mi ha incaricato di dirti che a ogni    costo gli prepariate la camera, perché al «Posta e Pernice» hanno affittato la sua e lui      l'ave­va disdetta per colpa vostra. Altrimenti vi fa causa e vi man­gia tutto l'albergo.

Aristide     Oh, santo cielo!  (Chiama)    Signor Giacomo.

Giacomo   (affacciandosi)   Be'?

Aristide     La camera!

Giacomo    E le valige?

Aristide     Le troverà alla stazione a mezzanotte. Non s'è riusci­ti a trovare il furgoncino. Giacomo          Ma come vado alla stazione? Lo capisci sì o no che sono in camicia?

Aristide     Vada con un lenzuolo addosso.

Giacomo    Ma ti pare possibile che io parta involtato in un len­zuolo? Che vada facendo il       fantasma?

la voce di Giulia   (dall'interno della camera)            Giacomo!

Giacomo  (con un gemito)            Ahi! S'è svegliata mia moglie.

la voce di Giulia                    Invece di stare a far conversazione alla fine­stra, occupati                della partenza. Si può sapere dove hai ficcato i miei vestiti?

Giacomo allibisce. Senza far motto chiude la finestra. Alcuni istanti di silenzio, durante i quali Antonio e Aristide fissano an­siosi la finestra di Giacomo. Poi dall'interno della camera giun­ge fracasso di stoviglie e bacinelle rotte. Antonio e Aristide scambiandosi occhiate di spavento, si ritirano, mentre arrivano gli avvocati Fava e Delle Bobole.

IV.

Avvocato Fava e avvocato Delle Bobole.

fava (entrando con Delle Bobole, al quale sta terminando di leggere rapidamente la bozza     dell'atto di separazione) «…onde appare necessaria la separazione poiché se sono     d'ac­cordo di separarsi, debbono separarsi perché lo vogliono; se sono d'accordo di non           separarsi debbono separarsi perché non hanno raggiunto il disaccordo; se lui insiste        per sepa­rarsi e lei per non separarsi la conclusione non potrà essere che una di queste             due: o che si separano, e in tal caso lei avrà adottato l'opinione dell'altro e quindi             saranno da capo; o che non si separeranno, e in tal caso lui avrà adottato l'opinione di             lei e quindi saranno da capo lo stesso».

delle bobole    Chiarissimo. Vai a chiamarli. Io aspetto qui. (Siede sul ballatoio, mentre    Fava entra nell'albergo.)

V.

Giacomo e Giulia alla finestra e Delle Bobole. Poi Edmondo, Piera e Fava.

Giacomo    (riapre la finestra; vede Delle Bobole)   Caro Delle Bo­bole, è una fortuna che       tu sia qui. Giudica tu...

Giulia    (facendosi alla finestra e interrompendolo)   Lascia par­lare me.

Giacomo    Dannazione della mia vita! Soltanto lei sa parlare, soltanto lei è intelligente.

Giulia         Ma smettila, presuntuoso! Non c'è volta che io apra bocca e che lui non mi dia     sulla voce, che non mi dia torto. In tutto.

Giacomo    Ma sei tu. Se io dico bianco, tu dici nero. Sistemati­camente. Per partito preso.

Edmondo (che da qualche minuto è venuto sul ballatoio con Piera e l'avvocato Fava, e ha     ascoltato con morboso interes­se)     Cosicché avete delle discussioni?

Giacomo    Delle discussioni? Volano i piatti. La nostra vita è una perpetua discussione.        Non andiamo d'accordo su niente.

Edmondo   Ma finirete bene per arrivare a una conclusione, no?

Giacomo    Che conclusione? Si rimanda il seguito, come in un romanzo d'appendice.

fava (a Edmondo e Piera)      Imparate. Prendete esempio.

Piera            Scusate, venite un momento fuori.

Giacomo    Siamo in camicia.

Delle bobole     E vestitevi! Che scioperataggine è questa? A momenti è notte e   siete ancora in camicia.

Giulia  (indicando il marito)        Quest'imbecille...

Giacomo              Di' tutto, allora. Comincia dalla storia di stamattina. Non è onesto             isolare un episodio che è conseguenza di qual­che cosa che tu ben sai.

GIULIA         Allora bisogna che dica anche il precedente di ieri, che spiega la storia di                         stamattina.

Giacomo   Quand'è questo, cara, bisogna raccontare quello che mi stai facendo da una          settimana, se no non possono capire la ragione per cui ieri...

Giulia         Ma io non sono una pazza che di punto in bianco cam­bio. Sei tu che da un           anno...

Giacomo    E ti sei domandata perché? Ti rendi conto che tu fin dal 1938...

Giulia         Ma allora di' tutto. Comincia dal primo dissenso...

Giacomo    E va bene. Dovete sapere che il giorno in cui spo­sammo, e precisamente                           mentre uscivamo dalla chiesa...

Giulia         Parla piano che viene gente.

Continuano a bassa voce accalorandosi sempre più nei gesti tutti e sei, fino a esplodere quando verrà detto.

VI.

Terenzio, Elvira e detti.

Terenzio  (rientrando a braccetto con Elvira; tenero)   No, so­no io che ho mancato e ti          chiedo scusa.

Elvira  (tenera)      No, no, sono stata cattiva io. Perdonami.

Terenzio (cominciando ad alterarsi)  Non insistere Elvira. Ve­di, te lo dico con calma.           Perché ti ostini?

Elvira        Perché sono stata cattiva, ecco. E tu ora vuoi contrad­dirmi.

Terenzio    Ricomincia, sai.

Elvira        Ma sei tu che ricominci.

Terenzio   Testarda!

Elvira       Non ti far sentire, che c'è quella civetta di Clara.

            una baruffa. Durante il dialogo seguente essi litigheranno a bassa voce in disparte.

VII.

Scipione, Susanna, Capizzucchi, Clara e detti.

Scipione, vestito da turista come la mattina, rientra nerissimo insieme con Susanna, placida.

Susanna   Ma si può sapere che cos'hai? Da stamattina schizzi veleno. Che t'è successo?      (Intanto, guardandosi allo spec­chietto del suo portacipria, si ritocca il trucco placida,         men­tre Scipione si palpa la barba con evidente malumore, im­musonito.)

Scipione    Dammi un momento quello specchio. (Si guarda al­lo specchio esaminandosi la    barba con difficoltà, a distanza, data la piccolezza di quello. Con rabbia) Questo           specchio è piccolo.

Susanna   (placida)   Vuoi che porti nella borsetta un armadio a specchio?

Scipione       (guardandosi ancora allo specchio; a Susanna) Co­me trovi la mia barba?

Susanna      Perché?

Scipione     Così. Domandavo.

Susanna    Che razza di domande.

Scipione    Tieni. (Fa per restituirle lo specchio, ma questo ca­de e si rompe.)

Susanna   Bravo. Hai rotto lo specchio. Disgrazia sicura. Non ne fai una buona. Hai le         mani di pasta frolla.

Scipione     Ma perché non l'hai preso?

Susanna   L'hai lasciato cadere tu. (Raccoglie i pezzi dello spec­chio.)

Scipione    Che fai adesso?

Susanna    Bisogna buttarsi i pezzi dietro le spalle, se no porta disgrazia.

Scipione     Che ridicole superstizioni.

Susanna    Mio caro, non si scherza con lo specchio rotto. (Con la solennità di chi compie     un rito si getta i pezzi dello spec­chio dietro le spalle.)

VIII

Detti, Limone e Facchino.

il professor limone     (che arrivava in quel momento, seguito dal Facchino sempre      curvo sotto l'enorme baule, riceve una scheggia dello specchio in un occhio) Ah! Mi      ha accecato!

IX.

Detti, Aristide e Antonio.

Scipione e Susanna sono atterriti. Dall'albergo esce Aristide a soccorrere il professor Limone, mentre Antonio scende dalla sua casupola per fare altrettanto; gli altri continuano a litigarsi a

bassa voce con gesti sempre più concitati, per conto loro; du­rante il dialogo seguente, Aristide rientra in albergo e ne rivie­ne fuori subito con una bacinella e delle bende. Il vecchio An­tonio ha messo una sedia dietro il professor Limone che ci sta riverso, lamentandosi.

Susanna   (a Scipione, in primo piano)              Lo vedi che disgrazia?

            Lo sapevo. La rottura dello specchio...

Scipione     Ma non è la rottura, è il lancio dello specchio che ha provocato la disgrazia. Susanna             Ma se non ti pigliava il ticchio di guardarti la barba allo specchio, questo non      succedeva. Si doveva guardare la barba, se no crepava. (Con rabbia) Tanto sei   ridicolo, sì, con quella barba. Non te ne accorgi? Non te l'ha detto nessuno? Te lo dico             io, tua moglie: ti fai ridere dietro. Sembri uno scimmione ammaestrato!

X.

Detti e il Parrucchiere.

Scipione ha ascoltato la tirata gonfiandosi di furore; sta per esplo­dere contro la moglie, quando dalla destra entra il Parrucchiere - ben riconoscibile dalla candida giacca, dalla valigetta coi ferri del mestiere e dal pettine che ha nel vistoso ciuffo della capigliatura - e va diritto verso Scipione.

parrucchiere    (rispettosissimo, a Scipione) Il signore desidera il barbiere? (Scipione gli    tira uno schiaffo. Il Parrucchiere ulu­lando sfodera un rasoio e fa per saltargli addosso, ma viene trattenuto da Antonio)   Lasciatemi! Lo ammazzo!

Scipione                 Mi ha provocato!

PARRUCCHIERE    Lo Sgozzo!

Antonio                 Fermo! Fermo! Tutto questo succede per un cretino che è passato stamattina in automobile e ha detto che la bar­ba non è razionale.

Scipione     E tutti mi si sono messi contro.

Terenzio    Meno la signorina Elvira.

capizzucchi        E che dovrei dire io? Sono stato offeso da tutti.

Giulia                     Meno che dalla signorina Elvira.

parrucchiere  (con la spuma alla bocca) Lasciatemi! Lasciate­mi! Lo voglio sgozzare.       (Riesce a liberarsi dalla stretta di An­tonio e si slancia col rasoio brandito per sgozzare Scipione).

Questi scappa dall'ingresso principale; il Parrucchiere lo inse­gue; poco dopo i due riverranno fuori sempre correndo dalla porta che dà sul ballatoio e rovesciando sedie e          tavole nuova­mente traverseranno la scena di corsa, per rientrare nella porta principale           e riuscire sul ballatoio.

Contemporaneamente, essendo esploso il litigio fra Giulia e Giacomo, questi salterà        dalla finestra, con lenzuolo addosso, cer­cando uno scampo; la moglie - anch'essa con   lenzuolo addosso - verrà fuori dalla porta dell'albergo, inseguendolo; Giacomo entra dalla porta del ballatoio e la moglie dietro, facendo entrambi i gi­ri in senso opposto alla coppia Scipione-Parrucchiere;  indi Giulia e Giacomo s'afferrano per i polsi, l'uno            trattenendo l'altra. L'avvocato Fava afferra Scipione e l'avvocato Delle Bobole afferra il Parrucchiere e si vede che cerca di spiegargli il doloroso equivo­co per il quale Scipione ha creduto d'essere preso in giro da lui. Intanto la coppia Edmondo e Piera             coi pugni alzati sta per prendersi a capelli, ognuno additando all'altro l'esempio ammi­revole della coppia Giacomo-Giulia.

Elvira e Terenzio stanno per accapigliarsi, Capizzucchi corre a fare scudo del suo corpo a Elvira e sta per venire alle mani con Terenzio; contemporaneamente Clara difende Terenzio contro Capizzucchi e Elvira la minaccia di cavarle gli occhi.

Aristide mette un impacco sull'occhio del professor Limone; Susanna, abbandonata su    una sedia, è svenuta per lo spavento e il vecchio Antonio cerca di farla tornare in sé    pompandole ad­dosso un potente getto di benzina mediante il lungo cannello del distributore. All'improvvisa doccia, Susanna balza in piedi e inviperita, brandendo la             seggiola aggredisce il vecchio Antonio che si difende minacciandola di nuovi spruzzi      di benzina con la pompa del distributore. Ciò facendo, tutti gridano le rispettive battute      qui sotto indicate.

parrucchiere    Io lo scanno!

delle bobole     (trattenendolo)   Guardi che c'è un equivoco. Non lo uccida!

Scipione                 E’ un insolente! Reggetelo forte.

fava                        Non aggravi la situazione!

Elvira   (a Clara)   Maligna, invidiosa e civetta! Ti cavo gli occhi.

Clara                     Bada, Elvira, ti do due schiaffi.

capizzucchi  (a Terenzio)   Lei è un facchino.

Terenzio               Lei è un vecchio rammollito.

Aristide  (a Limone)   Ma è inutile che si lamenti. Il lamento non è una cosa razionale.

limone     (alzandosi e brandendo la sedia per accopparlo)    Im­becille, asino, cretino!

Giacomo      Salvatemi! Reggetela! Mi accoppa. Io sono un infelice.

Giulia           Pallone gonfiato! Sono io un'infelice.

Edmondo   (a Piera, esasperato)    Tu non sapesti mai dirmi que­sto! Io sono un infelice!

Piera              Mollusco! Flaccidone! Sono io un'infelice.

Antonio (a Susanna svenuta su una sedia)    Signora, coraggio!

Spruzzo di benzina.

Susanna   (alzandosi di scatto e aggredendolo)     Pezzo di ma­scalzone!

facchino     (con voce lamentosa)           Il baule!... Il baule!...

Tutte queste battute vanno dette rapidamente. L'effetto dev'es­sere della massima confusione.

Nel colmo della confusione, entra il gendarme.

XI.

Detti e il Gendarme.

gendarme (additando il baule sulle spalle del Facchino) Fer­mi tutti! In questo baule c'è       un cadavere!

limone        Un cadavere?

gendarme            Ho una denunzia. (Legge il foglio avuto dal Vian­dante) «L'assassino è      il professore, che ha chiuso la vittima nel baule».

capizzucchi        Ma questo è il delitto dell'ultimo romanzo giallo, La farfalla incatenata.

 tutti  (in atti di disperazione)  Ah! Lo stavo leggendo anch'io! (Costernazione generale, a      cui segue un silenzio angoscioso).

Nel silenzio, come nel primo atto, ma dalla parte opposta, s'ode lo strombettio d'un'automobile che s'avvicina Ta-tà-ta tà-ta tà! Tutti, tacendo all'improvviso come per incanto, si fermano qua­si pietrificati nei rispettivi atteggiamenti sopra descritti coi pugni alzati e lì lì per darsele:

Giacomo contro Giulia; Edmondo contro Piera;

Parrucchiere (con rasoio) e Delle Bobole contro Scipione e Fava;

Capizzucchi contro Terenzio; Elvira contro Clara;

Professor Limone, con sedia alzata, contro Aristide con bacinella brandita;

Facchino con baule sulle spalle.

Si sentirebbe volare una mosca.

Nel silenzio generale s'ode di nuovo più forte lo strombettio dell'automobile che s'avvicina.

Antonio       E’ il colpevole di tutto, il signore di stamattina.

E’ Celestino che ripassa nel suo viaggio di ritorno. Ormai tutti guardano dalla parte dond'egli sta per arrivare.

XII.

Detti e Celestino.

Ecco la macchinetta entra in iscena dalla sinistra, si ferma e re­sta in attesa. Il gruppo minaccioso gli sbarra la strada, tutti s'avvicinano, con passi lenti e inesorabili, pronti a scattare.

celestino   (comincia a spaventarsi)    Ma... che c'è? Che volete da me?

Con scatto felino, selvaggiamente, tutti gli sono addosso e lo percuotono, gridando, mentre cala il

             Sipario.