Impresa San Paolo, impresa al San Paolo

Stampa questo copione

IMPRESA SAN PAOLO, IMPRESA AL SAN PAOLO

            IMPRESA SAN PAOLO, IMPRESA AL SAN PAOLO

                                           Commedia in due atti e un prologo di Patrizia De Cristofaro

                                            TRAMA

                                      PROLOGO

Il prologo si svolge nello spiazzo antistante la discoteca “Il drago verde”. Sono le due della notte di un giorno di inizio ottobre del 2011. Manuel Gargiulo e Loredana, la sua ragazza, escono dalla discoteca per prendere un po’ d’aria. Manuel riceve una  telefonata: è Clementina, la quale gli rivela che aspetta un figlio da lui. Saputo ciò, Loredana scoppia in una fragorosa risata: non può credere nemmeno lontanamente che il suo ragazzo possa aver avuto rapporti con quel “sorcetto”. Naturalmente anche Manuel è sicuro del fatto suo, tuttavia è preoccupato perché conosce bene i genitori di Clementina. Loredana rientra nella discoteca e Manuel rimane da solo e meditabondo. Gli si avvicina Filiberto Chetafrecchia, il classico guappo di cartone. Filiberto gli “ordina” di fargli accendere la sigaretta che ha tra le labbra, ma Manuel non ha l’accendino. Il guappo, allora, estrae un coltello a serramanico e glielo infila nel ventre. Alfonsina, la cameriera di casa Gargiulo, trovandosi a passare, assiste all’accoltellamento. Se ne va via di corsa dicendo a se stessa, tremante e piena di paura, che quella notte lei la deve trascorrere in casa dei Gargiulo: non può rimanere sola.

                                                                   

                                               PRIMO ATTO

Poco dopo. Siamo in casa del professor Vittorio Gargiulo. La signora Luisa viene svegliata di soprassalto dall’insistente suono del campanello. E’ la cameriera che cerca di raccontare alla sua datrice di lavoro il fatto dell’accoltellamento. Tuttavia, un po’ per la paura che le impedisce di portare a termine il racconto, un po’ per altre concause, non vi riesce. Infatti arriva Graziella, vicina di casa dei Gargiulo, la quale ha vinto 500.000 euro al Superenalotto, ma non trova il biglietto vincente. La donna “costringe” il professore e sua moglie ad aiutarla a cercarlo a casa sua. Mentre i tre sono alla ricerca del biglietto, irrompe dai Gargiulo donna Cesira col marito Carmine e Clementina. Inviperita e isterica, donna Cesira dice che la figlia (in verità bruttina)  è stata “disonorata” da Manuel, che aspetta un figlio da lui e che pertanto il ragazzo deve “fare il suo dovere” immediatamente. Invano Carmine e il professore tentano di calmarla e di farla ragionare. Finalmente arriva Loredana con un agente di polizia. La ragazza dice che Manuel è stato accoltellato e che ora si trova al pronto soccorso.

                                                SECONDO ATTO

La corsia di un ospedale. Sono le quattro del pomeriggio del 10 ottobre 2011. Vittorio e Luisa sono in spasmodica attesa. Il medico di turno dice loro che Manuel sta bene, ma che, a causa dello shock subito, difficilmente tornerà a parlare. Il professore e sua moglie cadono nel più profondo sconforto. Sono distratti (si fa per dire) da Graziella che, petulante, continua ad esortare Luisa ad affidarsi a san Paolo in quanto sua nonna tempo addietro ha ricevuto dal santo una grande grazia, e dal signor Coviello, lì perché sua moglie è ancora ricoverata ma grazie a Dio verrà dimessa l’indomani, che si lamenta della mala sanità. L’unica nota allegra in questo tristissimo pomeriggio è rappresentato dalla venuta della famiglia di Clementina. Dopo essersi scusata coi Gargiulo per la scenata di qualche giorno prima, donna Cesira annuncia che sua figlia non aspetta nessun figlio: si è trattato di un semplice ritardo.

Improvvisamente, proveniente da una stanza, si sente un urlo disumano: “GOOOOOL!!! IL POCHO!!!” Subito dopo Manuel esce dalla stanza e comincia a correre come un forsennato per la corsia continuando a ripetere: “Il Pocho Lavezzi!” Il Napoli ha vinto per due a zero sulla Roma. Manuel ha ritrovato la parola. Graziella, esultante, grida al miracolo. Il medico, dal canto suo, suggerisce prudentemente di andarci piano con i miracoli. Clementina asserisce che il miracolo lo ha fatto Lavezzi. Più filosofo, il professor Gargiulo dice che il vero miracolo lo ha compiuto lo stesso Manuel. Difatti il miracolo non lo ha fatto né san Paolo, né Lavezzi, ma soltanto la passione sviscerata di suo figlio per il Napoli. In altri termini Manuel avrebbe ripreso a parlare anche se a segnare fosse stato… Mazzarri.

PERSONAGGI

VITTORIO GARGIULO, professore di liceo

LUISA, sua moglie

MANUEL, loro figlio

LOREDANA, ragazza di Manuel

ALFONSINA, cameriera

GRAZIELLA, vicina dei Gargiulo

CARMINE CALVANESE

CESIRA, sua moglie

CLEMENTINA, loro figlia

FILIBERTO CHETAFRECCHIA, guappo

DOTTORE

COVIELLO

AGENTE

SAVASTANO, infermiere

MANZAGLIA, infermiere

VOCE DELLA DEGENTE

                                         

                                                     PROLOGO

Lo spiazzo antistante la discoteca “Il drago verde”. In fondo c’è una porta a vetro scorrevole verde, che dà accesso nel locale; sopra la porta campeggia l’insegna luminosa “Il Drago Verde”, con accanto l’inquietante sagoma di un drago (naturalmente verde). A destra vi è uno di quei massicci poggi che sovente si trovano ai lati delle strade. Lo spiazzo è illuminato quasi a giorno da due lampioni, la cui fredda e bianca luce al neon è in netto contrasto con quella verde dell’insegna e del drago. Durante tutto il prologo si ode in sottofondo una musica da discoteca, musica che ovviamente diventa più intensa quando si apre la porta.

Sono le due della notte di un giorno di inizio ottobre del 2011.

All’aprirsi del sipario la scena è vuota. Dopo un poco la porta si apre ed entrano, avvinghiati, Manuel e la sua ragazza Loredana, la quale richiude la porta.

LOREDANA (è una bella ragazza di 16 anni. E’ alta e slanciata. Truccata pesantemente ma non volgarmente, il suo abbigliamento è quello tipico dei ragazzi d’oggi quando vanno a ballare. Tirando un profondo sospiro di sollievo) Ah! Finalmente! Un poco d’aria! Ci voleva proprio! Tutto quel fumo, quella folla, quegli odori… Mi è venuto un mal di testa… Mamma mia! (Accende una sigaretta)

MANUEL (anche lui è un bel ragazzo ed ha 22 anni. Scuotendo la testa e ridacchiando) Senti, Loreda’, tu mi fai morire.

LOREDANA Perché?

MANUEL Ma come? Tu dici che ti fa male la testa, sei voluta uscire per prendere una boccata d’ossigeno, e che fai? Ti accendi la sigaretta. E’ un controsenso.

LOREDANA (contrariata) Che c’entra. (Avvicinandosi a lui) E poi… Non sono voluta uscire soltanto per fumare. (Leziosa) Volevo un po’ di coccole.

MANUEL (abbracciandola, tenero) Oh!... Piccola…

LOREDANA (c.s.) Dimmi che mi ami.

MANUEL (c.s.) Ti amo, sì.

LOREDANA (c.s.) Anch’io. Tanto tanto.

MANUEL (la bacia a lungo. Squilla il suo cellulare. Mentre prende il telefonino) Scusa. (Al telefono) Pronto. (Ascolta, quindi infastidito) Ah, sei tu. Dimmi. (C.s., poi più contrariato che sorpreso) No! Ma ti rendi conto di quello che stai dicendo? (C.s.) Ma è impossibile! (C.s., tagliando corto) Va bene, ne parliamo con calma domani. (Stacca bruscamente la comunicazione e ripone il telefono in tasca)

LOREDANA Chi era?

MANUEL (in un sospiro di insopportabile pazienza) Clementina.

LOREDANA Ah. Che voleva? Non mi dire che quella secchiona non è riuscita a fare la versione di greco.

MANUEL (c.s.) Magari! Ha detto che aspetta un figlio.

LOREDANA (ridendo con fragore) Un figlio? Da te? Quel sorcetto? E’ assurdo! Quella è una pazza! (Breve pausa. Seria) Guarda, Manuel, che Clementina si fosse innamorata di te non ci vuole la zingara per capirlo, ma che si sia inventata addirittura di aspettare un figlio da te… Ma lasciala perdere, senti a me!

MANUEL (amaro) Eh… La lascio perdere…

LOREDANA Non ci vuole niente, scusami tanto. Tu domani la pigli in disparte e le dici chiaramente che non sei innamorato di lei e che è perfettamente inutile che lei continua a inventare stronzate del genere pur di tentare di incastrarti. Basta. E chi s’è visto s’è visto.

MANUEL (c.s.) No, Loreda’, la cosa non è così semplice. Tu Clementina non la conosci bene. Quella è furba. Quella è capacissima di dirlo a suo padre, che è un caro amico di mio padre. Allora il padre di Clementina sicuramente si presenterà a casa mia e… quello che succederà te lo lascio immaginare. Uffà!

LOREDANA (superficiale) Ma no! Non ti preoccupare, che tutto si metterà a posto. (Fa per abbracciarlo)

MANUEL (divincolandosi) Scusami, Loreda’, adesso non è proprio il momento. Fammi pensare.

LOREDANA (comprensiva) Va bene. Io torno in discoteca. Ti aspetto dentro.

MANUEL (con la mente da un’altra parte) Sì, sì, ci vediamo tra poco.

La ragazza esce per la porta. Rimasto solo, Manuel passeggia un poco, cogitabondo, quindi si siede sul poggio.

MANUEL (illuminandosi d’improvviso) Sì! Loredana ha ragione. Con Clementina parlerò chiaro. In fondo Clementina è brutta, ma non è scema: se ne farà una ragione.

Dal fondo a sinistra lentamente entra uno strano personaggio. E’ Filiberto Chetafrecchia. Costui è un uomo sui 45 anni. Indossa un vistoso abito blu a grosse righe rosa, una camicia arancione, una cravatta verde a pois rossi e un paio di mocassini gialli. In testa ha un cappella bianco con una fascia marrone sulla tesa. Gli pende dalle labbra una sigaretta spenta. Filiberto, insomma, è il classico guappo di cartone dell’immaginario collettivo.

FILIBERTO (una volta accostatosi a Manuel, perentorio e con affettata calma) Famme appiccia’!

MANUEL Mi dispiace: non fumo.

FILIBERTO (ironico) Ah, “non fumo”? Guaglio’, tu mme rispuosto accussì pecchè a mme nun me canusce, eh?

MANUEL (sorridendo) No. E’ la prima volta che vi vedo.

FILIBERTO (c.s.) Sta bene. Allora t’’o ddico io. Guaglio’, io so’ Filiberto Chetafrecchia, aliasso l’ommo ‘e parola, fu  Pascalino ‘a sguessa e fu Papele ‘o malamente. Me so’ spiegato?

MANUEL (c.s.) Ah. Manuel Gargiulo. Piacere. (Gli tende la mano destra)

FILIBERTO (c.s. e guardandosi bene dallo stringergli la mano) Piacere mio, per carità! (Minaccioso) Guaglio’, a chi cerca ‘e mme fa’ n’affronto io nun ce metto niente: piglio ‘o curtiello  e ce ‘o ‘nfilo int’’a panza. E’ chiaro? (Così dicendo estrae sul serio un coltello a serramanico e lo punta verso il ventre di Manuel)

MANUEL (apparentemente disinvolto per nascondere un istintivo timore) Un momento. Per favore, posate quel coltello perché non mi sembra il caso… Ragioniamo con calma.

FILIBERTO (concedendo con ironia, ma sempre con il coltello puntato verso la pancia di Manuel) E sta bbene! Ragioniamo con calma. Parlate.

MANUEL (c.s.) Io vi ripeto che non fumo. Facciamo una cosa: adesso vado dentro, mi faccio prestare un accendino e vi faccio accendere la sigaretta. Aspettate un momento. (Fa per avviarsi nella discoteca)

FILIBERTO (furente perché ormai per lui quella è un’onta che va lavata col sangue) Comme? Aspettate nu mumento? A mme? A Filiberto Chetafrecchia? Guaglio’, Filiberto Chetafrecchia nun ha maie aspettato nisciuno e niente! He’ capito? (E lo accoltella)

Alfonsina entra dal fondo a destra. Alfonsina è la cameriera della famiglia Gargiulo. Veste miseramente ed ha un cagnolino al guinzaglio.

MANUEL (comprimendosi l’addome, emette un grido di dolore) Ahi! (Si accascia per terra)

ALFONSINA (s’irrigidisce e lancia un urlo disperato) Vergine ‘e Pumpeie! Nu muorto! (In fretta prende il cane in braccio e con altrettanta fretta esce per il fondo a destra. Rientra immediatamente, senza cane. A se stessa con voce tremante) No, no. Io stanotte nun pozzo sta’ sola. Io me metto paura! Io vaco add’’a signora mia! (Esce per il fondo a sinistra)

                                          FINE DEL PROLOGO

                                          PRIMO ATTO

Dieci minuti dopo. La camera da pranzo di casa Gargiulo. In fondo vi è un tavolo rettangolare con intorno sei sedie un poco scostate. Sul tavolo vi sono una tovaglia, dei piatti sporchi ammucchiati in un angolo, un vassoio contenente il resto di una torta e un involto fatto con carta stagnola richiuso alla meglio, infatti s’intravedono alcune fette di prosciutto crudo. Dietro il tavolo c’è una parete attrezzata con sopra oggetti vari. A sinistra vi è un uscio scorrevole a vetri, che immette a destra nelle camere da letto e a sinistra in cucina. La porta è chiusa.

Il sipario si apre mentre suona il campanello insistentemente. La stanza è buia e vuota. Il campanello suonerà a intervalli brevi e sempre con una certa insistenza fino a quando Luisa aprirà la porta d’ingresso.

LUISA (è stata svegliata di soprassalto, per cui è infastidita e assonnata. Dall’interno) Maronna mia! Chi è a chest’ora? Ma che ore so’? ‘E ddoie e nu quarto. (Alludendo a qualcosa che evidentemente succede spesso) Uè! Chillo fa sempe chesto! Se scorda ‘a chiave, se retira tarde e mme sceta. Che ‘o pozzeno! (Accende una luce che s’immagina provenga dal corridoio. In questo istante suona ancora il campanello) Eh!... Un momento!... (Dopo poco con grande sorpresa) Uè, Alfonsi’! E tu che ci fai qua a quest’ora?

ALFONSINA (dall’interno, tremante e sconvolta) Buonasera, signo’. Signo’, faciteme trasi’. Uh, signo’, è succieso na cosa troppa brutta!

LUISA (c.s., materna, entrando dalla comune a destra e accendendo la luce nella stanza, seguita da Alfonsina) E vieni, vieni. Siediti, riposati un poco.

ALFONSINA (sedendosi) Grazie assaie. Chella bella Vergine ‘e Pumpeie v’’o rrenne!

 LUISA (piuttosto allarmata) Allora? Che è successo?

ALFONSINA (sconvolta) Uh, signo’, na cosa troppa brutta!

LUISA (c.s., azzardando) Ma… Per caso qualche mascalzone ti ha violentata?

ALFONSINA (c.s.) Fosse ‘o cielo, signo’! E’ succiso na cosa ancora cchiù peggio! (Repentinamente cambia discorso e chiede) Signo, so’ venute po’ chili pariente vuote?

LUISA Sì, sì, sono venuti.

ALFONSINA Se ne so’ gghiute già?

LUISA Se ne sono andati verso le undici.

ALFONSINA E vuie stiveve a durmi’ già?

LUISA (dubbiosa) Alfonsi’, ma tu sai mo che ore sono?

ALFONSINA (candida) No. Ma che ore ponno essere? L’unnece e nu quarto, l’unnece e vinte, no?

LUISA (ironica) Sì, di domani. Alfonsi’, sono le due e un quarto.

ALFONSINA (esclama meravigliatissima) Vergine ‘e Pumpeie! ‘E ddoie e nu quarto ‘e notte? Signo’, m’avit’’a perdona’. Che brutta figura che aggio fatto!

LUISA (accomodante)Va bene, non fa niente; però abbassa la voce perché se no il professore si sveglia.

ALFONSINA (ridendo da cretina del suo caso) No, signo’, sapite che è succiso? Quanno me so’ reterata, me so’ mmisa ‘ncopp’’o lietto e me so’ mmiso a vere’ ‘a puntata. Forse verenna verenno me so’ addurmuta. A nu certo punto m’è venuto a sceta’ Puppo…

LUISA (interrompendola incuriosita) Chi è Puppo?

ALFONSINA (col tono di chi chieda: “Non sapete chi è Puppo?!”) ‘O cagnolino mio.

LUISA Ah, tieni un cane? Non lo sapevo.

ALFONSINA ‘A mo?! Signo’, oramaie so’ quase tre mmise che ‘o tengo. ‘O truvaie mmiezo a na campagna; se vere che ‘o puveriello s’era sperduto pecchè faceva “bu, bu”. Me facette cumpassione  e m’’o purtaie ‘a casa mia. (Intenerita, alludendo al cane) Signo’, e quanto è bellillo! Quanno vo’ asci’ pe’ gghi’ a ffa’ ‘e fatticielle suoie, fa c’’e zampetelle accussì vicino ‘o lietto mio e mme chiamma. (Pausa) Signo’, si nun era pe’ Puppo, io stasera nun avesse… (Un improvviso e forte scoppio di pianto le impedisce di continuare)

LUISA (ingiungendole di calmarsi col gesto e con la voce) Zitta, zitta, che si sveglia il professore. (Impaziente) Ma si può sapere che è successo?

ALFONSINA (gemendo) Signo’, nun me facite penza’! Na cosa troppa brutta! (Pausa. Non piange più. Indicandolo) Signo’, chisto è ‘o dolce che è rimasto?

LUISA (non spiegandosi gli improvvisi sbalzi di umore della ragazza) Sì…

ALFONSINA Signo’, me ne posso mangia’ un poco?

LUISA (c.s.) E mangia…

Alfonsina si taglia un’abbondante porzione di torta e la mangia con avidità.

VITTORIO (dall’interno, deprecando) Guarda cca. ‘A luce ancora appicciata int’’a stanza ‘e pranzo! Cose ‘e pazze! (Entra dalla comune a destra. Il professor Vittorio Gargiulo ha circa 60 anni. E’ gioviale, simpatico e un po’… filosofo. Logicamente, data l’ora, è in pigiama. Fa per spegnere la luce, ma si accorge della presenza di sua moglie) Lui’, tu staie ancora cca?

LUISA Sì.

VITTORIO (scorge pure la cameriera e la apostrofa compiaciuto) Uè, Alfonsi’! Buon appetito! Che, sei caduta dal letto?

ALFONSINA Noo. Buonasera, professo’.

VITTORIO (allarmato a Luisa) Ma che è stato?

LUISA (sottovoce) Non lo so. Alfonsina non me l’ha voluto dire, però secondo me è stata molestata.

VITTORIO (constatando) Ah.

LUISA (premurosa) Ti abbiamo svegliato?

VITTORIO No, no, me so’ scetato io. Me so’ venuto a piglia’ nu bicchiere d’acqua. Chillu prusutto era buono, ma era nu poco troppo salato.

ALFONSINA (subito e interessata) Signo’, chillu prusutto che avisteve regalato e che io ogge aggia tagliato a ponta ‘e curtiello?

LUISA Sì, Alfonsi’.

ALFONSINA (ipocritamente implorante) Signo’, nun me ricite niente. Me ne posso piglia’ na fetta?

LUISA (col tono di chi voglia dare uno spassionato consiglio) Adesso? Tu mo hai finito di mangiarti la torta: ‘o prosciutto potrebbe farti male… Te lo mangi domani.

ALFONSINA (c.s.) E gniammo, signo’. Io  me ne mangio nu pucurillo. (Vogliosa) Pecchè sapite pecchè? Quanno ogge ‘o stevo taglianno, m’è venuto nu gulio… (Senza attendere oltre, prende una fetta di prosciutto e la divora. Da intenditrice) Buono, buono!

VITTORIO (avviandosi) Io vaco a bere.

ALFONSINA (prontissima) Prufesso’, scusate, nun me ricite niente: ve truvate, me purtate pure a me nu bicchiere r’acqua?

VITTORIO (la guarda, poi studiatamente scherzoso) Alfonsi’, io tengo l’impressione che tu si’ venuta a chest’ora pe’ mangia’ e bere.

LUISA (per sottolineare l’inopportunità dello scherzo) Vitto’! Porta un bicchiere d’acqua a Alfonsina, fai presto.

VITTORIO Sì, sì. (Esce per la comune a sinistra)

GRAZIELLA (dall’interno) Permesso?

LUISA (sussultando) Chi è?

ALFONSINA Me pare ‘a voce r’’a signora affianco.

LUISA (con affettata cerimoniosità verso l’interno)Prego, prego, accomodatevi, signora Graziella.

GRAZIELLA (entra dalla comune a destra. Graziella è la vicina di casa dei Gargiulo. E’ vestita di tutto punto. Da come parla e gesticola s’indovina che è un poco svagata e distratta) Grazie. Buonanotte… Cioè, buongiorno… Insomma, la porta era aperta e sono entrata.

LUISA (come per chiedere spiegazioni alla cameriera, sicura di ricevere una risposta affermativa) Alfonsi’?

ALFONSINA Signo’, m’avit’’a perdona’: me so’ scurdata r’’a chiurere. (A Graziella) Signo’, mo l’avete chiusa la porta?

GRAZIELLA E certo.

VITTORIO (entra dalla comune a sinistra con un bicchiere colmo d’acqua. Porgendolo alla cameriera) Vive, Alfonsi’, vive.

ALFONSINA Grazie assaie, prufesso’. (E beve come un’assetata nel deserto)

GRAZIELLA Professore, buonasera.

VITTORIO Oh, signora Graziella! Come state? (Galante, ma alla buona) Uè, voi diventate sempre più bella! A che dobbiamo la vostra visita a quest’ora?

GRAZIELLA  Innanzitutto chiedo scusa se mi sono introdotta in casa sua a notte fonda. Sono veramente desolata, mi creda. Ma se l’ho fatto, è perché mi è capitata una cosa tremenda.

VITTORIO Vi hanno molestata pure a voi?

LUISA (lo rimbrotta alla stessa maniera di un rimprovero ad un bambino) Vittorio!

GRAZIELLA No, questo no, fortunatamente. Ma… a pensarci bene, quello che mi è capitato è una cosa ancora peggiore, da un certo punto di vista. Io non… No, forse è meglio che vi spieghi tutto dall’inizio.

LUISA (mostrandole una sedia) Prego, signora, sedetevi e raccontateci. Se vi possiamo aiutare…

GRAZIELLA Grazie, sì, mi siedo con piacere perché, signora, mi creda, mi tremano un poco le gambe. (Siede) Dunque, benché io non sia una napoletana verace, come si dice, da quando sto a Napoli mi sono sempre voluta addentrare nelle usanze dei napoletani.

ALFONSINA (interrompendola) Brava!  

GRAZIELLA Ieri l’altro notte ho fatto un sogno che mi ha particolarmente colpita. Era il due maggio. Io stavo in cucina e mi stavo prendendo una tazza di caffè con la schiuma, come piace a me. All’improvviso ho sentito bussare alla porta; sono andata a aprire e mi sono trovata di fronte una ragazzina che poteva avere si e no tredici – quattordici anni, vestita da sposa, e chi io non avevo mai visto prima.

ALFONSINA (c.s.) Teh! E chesta è na “granda” meraviglia!

LUISA (redarguendola) Alfonsi’, e per favore! Facci sentire! Signora, allora?

GRAZIELLA Questa ragazzina aveva in mano una bella scatola, come fosse stata una scatola che conteneva una cosa preziosa. Mi ha dato la scatola e mi ha detto: “E’ per te.”. Io l’ho ringraziata, le volevo dire che non la conoscevo e le volevo chiedere chi era, ma mi sono trovata in cucina un’altra volta. Stavo bevendo ancora il caffè, però era già ora di pranzo. Volevo aprire la scatola e mi sono svegliata.

ALFONSINA (c.s.) Guardate, che peccato! Allora non sapete questa ragazza che regalo vi ha fatto. Mannaggia! Ma però sicondo me doveva essere un regalo importante: ‘e spose rialeno sempe belli ccose.

Stavolta Luisa redarguisce la cameriera soltanto con lo sguardo.

GRAZIELLA (continuando a raccontare) Ieri mattina, mi dovete credere, mi sono svegliata talmente impressionata e colpita che ho pensato di andarmi a giocare i numeri del sogno al Superenalotto. Detto fatto. Alle dieci sono andata in una ricevitoria, ho raccontato il sogno all’impiegato e lui mi ha consigliato di giocare 2, il giorno; ; 44, il caffè con la schiuma; 84, la sposa; 90, la ragazza; 6, il regalo; e 5 il mese di maggio. Ho puntato cinque euro.

ALFONSINA (c.s.) Signo’, scusate, ma però sicondo me questo signore ha sbagliato a vi dare i numeri: vi doveva fare giocare solamente il mese di maggio. In questa cosa qua il giorno non ci azzecca niente. Pure la buonanima di mammà quando si sognava, per dire, il due di novembre, si giocava solamente il mese di novembre.

GRAZIELLA E no. Invece l’impiegato della ricevitoria purtroppo mi ha fatto giocare i numeri giusti perché stasera li ho controllati sul televideo: sono usciti tutti e sei. Ho vinto cinquecentomila euro.

ALFONSINA Vergine ‘e Pumpeie! Chesta sì che è stata na furtuna troppa grossa!

LUISA Complimenti! Auguri felicissimi! Che questi soldi ve li possiate godere per mille anni!

VITTORIO (interdetto) Signora Graziella, perdonatemi, ma non ho capito bene. Voi avete vinto cinquecentomila euro e avete detto che l’impiegato della ricevitoria (marcato) purtroppo vi ha fatto giocare i numeri giusti?

GRAZIELLA (disperata) Sì! Sì! Professore, accidenti a me! Il biglietto vincente non lo trovo!

  

Pausa.

LUISA (basita, non credendo a ciò che ha sentito) Uh, voi che dite?!

ALFONSINA Signo’, ma voi dove lo avete messo il biglietto?

VITTORIO Cretina! Se la signora si ricordava dove ha messo il biglietto, non veniva qua, no?

ALFONSINA Ah, già.

VITTORIO Signora Graziella, vi prego, cercate di fare mente locale. Voi avete detto che i numeri li avete controllati sul televideo. Giusto?

GRAZIELLA Sì.

VITTORIO (soddisfatto) Benissimo! Ora, immagino che mentre li controllavate, il biglietto ce l’avevate in mano. Giusto?

GRAZIELLA E no. Io quei numeri li conoscevo a memoria. Appena ho capito che avevo vinto, sono andata rovistando dappertutto, si figuri, perfino tra le pentole.

VITTORIO Addirittura?! Ma mi sembra un poco strano che un biglietto del Superenalotto voi lo mettevate tra gli utensili della cucina.

GRAZIELLA No, è proprio qui che lei si sbaglia, caro professore. Io sono un poco distratta, faccio le cose senza badare a quello che sto facendo, poi mi dimentico tutto. Niente di più facile che il biglietto io l’avessi lasciato in mezzo alle pentole… Ma là non c’era. Ho telefonato immediatamente a mio marito… Lui è partito ieri mattina, è andato a Cesena per due – tre giorni per lavoro… Mio marito mi ha arronzata, come si dice a Napoli, dicendomi che quello non era il momento di pensare al biglietto del Superenalotto.

VITTORIO (rimproverandola bonariamente) Signora Graziella, però pure voi… Dico: voi andate a disturbare vostro marito che sta lavorando per dirgli che non trovate il biglietto del Superenalotto? Jammo!...

ALFONSINA Prufesso’, scusate, ma però sicondo me have ragione ‘a signora. (A Graziella col tono di chi per esperienza sappia bene le cose della vita come vanno) Signo’, stateme a senti’ a me: tutte ll’uommene so’ accussì. O a fforza o a bona voglia, è ‘a femmena che s’adda sbruglia’ tutte cose.

GRAZIELLA (dopo essere rimasta assorta per un lungo istante, lancia un grido che vuole essere di esultanza, ma che suona come se fosse accaduto qualcosa di tragico) Un momento!... Aspettate!...

LUISA (sussultando e impaurita) Signo’, che c’è?!

ALFONSINA (evidentemente credendo che Graziella si sia sentita male) Vergine ‘e Pumpeie! Signo’, nun facite accussì pecchè io me metto paura. Io, doppo chella cosa troppa brutta che m’è succieso primma, già sto tieneme che te tengo, mo ve ce mettite pure vuie…

VITTORIO (calmissimo, con un rassicurante sorriso) Vi siete ricordato qualcosa, è vero?

GRAZIELLA (felice) Sì! Mi sono ricordata che ieri quando sono ritornata a casa, ho fatto il cambio di borsa. Nella borsa che ho svuotato c’era molta cartaccia… scontrini, fogli con appunti inutili… Tutta quella cartaccia l’ho messa via. Sicuramente ho messo via anche il biglietto. Ma, per mia fortuna, io faccio la raccolta differenziata: la carta la butto in una busta apposita. (Leziosamente supplichevole) Professore, la prego: venga con me a casa mia. Mi aiuti a rovistare nella busta della carta. Le do un paio di guanti di gomma.

VITTORIO (ridacchiando) Mo? (Guarda l’orologio) Alle due e mezza? No, signora bella: adesso non mi pare proprio il caso…Se siete sicura che il biglietto lo avete buttato inavvertitamente nella busta della carta, lo troveremo anche domani. Domani mattina vengo a casa vostra e vi aiuto a fare la ricerca. Tra le altre cose, adesso sto in pigiama… No, no, non sta bene.

GRAZIELLA (c.s.) Non fa niente. Professore, lei è un bell’uomo anche in desabillè. D’altra parte, capirà il lungo viaggio che dobbiamo fare! Abitiamo sullo stesso pianerottolo…

VITTORIO (ancora riluttante) Lo so, ma…

LUISA (accomodante) Vitto’, e nun ‘a fa’ longa! Che ci vuole a trovare un biglietto nella carta straccia! Più a dirlo che a farlo. (Autoritaria) Andiamo!

VITTORIO (per amore di pace) E andiamo.

LUISA Incomincia ad andare tu con la signora, che dopo vengo pure io. Prego, signora Graziella, fate strada. (Graziella e Vittorio escono per la comune a destra) Alfonsi’, tu che vuoi fare? Te ne vuoi andare?

ALFONSINA A chi! Vergine ‘e Pumpeie! Signo’, doppo ‘a cosa troppa brutta che m’è succieso, vuie me ne vulite fa’ i’ a durmi’ a me sola?! Noo! Signo’, io mi rimango qua.

LUISA (incerta) Ma…

ALFONSINA Signo’, nun ve preoccupate. Io mme fernesco ‘e sparicchia’ ‘a tavola, po’ mme veco nu poco ‘a televisione, v’aspetto a vvuie e a ‘o professore e po’ ce ne iammo a durmi’ tutte quante. Iate, iate.

LUISA (si arrende) Va bene. (Ed esce per la comune a destra)

Mentre la ragazza sparecchia, uscendo al bisogno per la comune a sinistra, proveniente da fuori la porta d’ingresso, si ode un tramestio di passi e di voci confuse. Le voci diventano distinte quando qualcuno inizia a piangere forte.

CESIRA (dall’interno, rivolgendosi a qualcuno e alludendo probabilmente a colei che sta piangendo, in tono stridulo e nervoso) La senti? La senti?

CARMINE (dall’interno) Sì, Cesi’, tu hai ragione, ma te pare che ‘e ddoie e meza ‘e notte nuie ce putimmo presenta’ ‘a casa r’’o prufessore pe’ parla’ ‘e nu problema accussì serio? Siente a me: iammucenno a cucca’. Quando è domani se ne parla.

CESIRA (c.s.) E invece io ti dico che è proprio perché si tratta di un problema serio che non possiamo perdere tempo. Il professore è un uomo di mondo e certamente ci scuserà se siamo venuti a importunarlo a quest’ora. (Suona il campanello. Alfonsina esce per la comune a destra. Dopo pochissimo dalla stessa parte irrompe Cesira come una furia. La donna è accaldata e agitatissima) Dove sta la signora Luisa? Dove sta il professore?

Dalla comune a destra entrano Carmine e Clementina, seguiti da Alfonsina, la quale non ci si raccapezza di fronte a quella irruenza. Clementina, a dire la verità, è proprio bruttina. Ha 18 anni. I capelli sono raccolti in due spesse trecce. La ragazza ha un paio di occhiali da secchiona; inoltre indossa un vaporoso vestitino rosa di antica foggia, un vestitino che ricorda molto quelli che indossavano le signorinelle di buona famiglia dell’Ottocento. Clementina piange a dirotto.

CARMINE (ironico) Se stanno facendo nu balletto. (Con un altro tono) Cesi’, a chest’ora che vuo’ che stanno facenno? Stanno a durmi’. (Ad Alfonsina) Signori’, abbiate pazienza, ma quella mia moglie è terribile: quando si mette in testa una cosa… Vi abbiamo svegliata, eh?

ALFONSINA A me? No, nun ve preoccupate. Io tutt’’e sere me ne vaco a durmi’ ‘a casa mia, ma però stanotte so’ rimasta cca pecchè ‘a via r’’e… mo nun m’arricordo che ore erano… Aggio purtato a Puppo, ‘o cagnolino che tengo io, a ffa’ ‘e fatticielle suoie vicino a chella discoteca che sta dirimpetto ‘a casa mia, e mm’è ssucieso na cosa troppa brutta… (Implorante) ‘On Ca’, pe’ favore nun me facite parla’ pecchè o si no me vene ‘a chiagnere n’ata vota. (Volutamente rivolge la sua attenzione a Cesira, che continua a passeggiare nervosamente in lungo e in largo) ‘Onna Cesi’, calmateve. (Incuriosita) Ma ch’è stato?

CESIRA (c.s.) Eh, ch’è stato ch’è stato… Cara mia, qui si tratta di onore!

CLEMENTINA (piangendo) Brava mamma! Hai detto bene! Si tratta di onore!

CESIRA (c.s. e quasi con circospezione alla cameriera) Io mo non so se posso parlare… Tu sei signorina… (Decisa, più che altro per liberarsi di un macigno) Non fa niente, va’. Io parlo lo stesso. I tempi sono cambiati. Con le schifezze che si vedono in giro oggi come oggi pure le signorine non si scandalizzano più di niente. Alfonsi’, in poche parole mia figlia aspetta un figlio.

ALFONSINA (niente affatto impressionata, tuttavia sinceramente partecipe allo stato d’animo di Cesira) Teh!

CESIRA (proseguendo) Va bene che mia figlia è ancora…intatta, comunque in qualche modo il figlio del professore si è approfittato di lei. E quello che è peggio è che mia figlia è alunna del professore. Hai capito, Alfonsi’?

ALFONSINA E come, non ho capito? Che, a me m’avita pigliata pe’ scema?

CLEMENTINA (piagnucolando, ma estasiata in cuor suo) Due settimane fa Manuel mi venne a prendere fuori la scuola e mi invitò ad andare con lui a fare una passeggiata. A un certo punto, non so come è successo, ci siamo desiderati…

CESIRA (interrompendola) Clementina!

CLEMENTINA (non badandole) …e abbiamo fatto il petting.

CESIRA (in tono che non ammette repliche) Clementi’, e basta mo! Che cos’è questo modo di parlare? Va bene che i tempi sono cambiati, ma non esagerare, figlia mia!

VITTORIO (dall’interno) Avete visto, signora Graziella? E meno male che ho avuto l’idea di andare a controllare meglio sul televideo, se no qua si faceva mattina!

GRAZIELLA (dall’interno, in palese stato confusionale) Certo…

CARMINE (alquanto disorientato) Alfonsi’, ma… ‘O professore non sta dormendo?

ALFONSINA No, ‘on Ca’, pecchè sapite pecchè? Quanno me ne so’ venuta cca, pe’ tramente me stevo ripiglianno nu poco, è venuta pure ‘a signora affianco. ‘A signora affianco ha vinciuto cinqucientomila euro ‘ Superenalotto, ma però nun trova ‘o biglietto. Mo so’ gghiute essa, ‘o prufessore e ‘a signora Luisa ‘a casa  r’’a signora affianco pe’ vere’ si pe’ chi sa ‘o biglietto stesse int’’a busta r’’e ccarte malamente.

GRAZIELLA (dall’interno, ormai ripresasi, tagliando corto) Va bene, va bene. Tutto è bene quello che finisce bene. Arrivederci, signora. Professore, mi scusi ancora del disturbo. Buonanotte.

LUISA (dall’interno) Signora, voi state un poco scossa. Venite dentro, vi pigliate un bel bicchiere di acqua e zucchero e ve ne andate a letto.

GRAZIELLA (c.s.) Grazie, non c’è bisogno. Adesso sto bene.

VITTORIO (invitante, c.s.) Prego, signora Graziella, accomodatevi. Mi sa mi sa che stanotte difficilmente si dorme.

GRAZIELLA (escludendo decisamente l’ipotesi, c.s.) Ma no!

VITTORIO (c.s.) No, non mi riferivo al fratto vostro. Mi pare che prima ho sentito la voce di don Carmine Calvanese.

LUISA (molto meravigliata, c.s.) Don Carmine? A casa nostra? A quest’ora? A fare che?

VITTORIO (sospirando, c.s.) E chi lo sa.

LUISA (entrando dalla comune a destra con Graziella) Venite, signo’. Sedetevi un poco. (Graziella si siede) Buonasera. (Carmine, Cesira e Clementina rispondono al saluto) Alfonsi’, abbi pazienza, vai a pigliare un bicchiere d’acqua alla signora e ci metti dentro un cucchiaino di zucchero.

ALFONSINA (uscendo per la comune a sinistra) Subito. (Esce)

VITTORIO (entra dalla comune a destra. Cordiale e stringendogli la mano) Caro don Carmine!

CARMINE Professore amabile!

VITTORIO (baciandole la mano) Donna Cesira.

CESIRA (a denti stretti) Buonasera, buonasera.

ALFONSINA (entra dalla comune a sinistra con in mano un bicchiere d’acqua poggiato su di un piattino. Offrendolo a Graziella) Signo’, bevete. Quella l’acqua e zucchero fa bene.

GRAZIELLA Grazie. (Beve)

ALFONSINA Prufesso’, avite truvato ‘o biglietto?

VITTORIO No, ma comunque ‘a signora s’era sbagliata. Abbiamo controllato meglio sul televideo: non è uscito il quarantaquattro, è uscito il quarantacinque.

ALFONSINA Lassa fa’ a chella bella vergine ‘e Pumpeie!

VITTORIO (dopo aver osservato per un poco Clementina che continua a piagnucolare, certissimo di aver indovinato il motivo per il quale ella si trovi lì con i genitori, la rimbrotta in modo scherzoso) Ah, Clementina Clementina! Ma, insomma, io come devo fare con te, eh? E dire che stamattina, in classe, quando vi ho assegnato quella versione di greco, io l’ho pure pensato: “Sta versione ‘e Senofonte è troppo difficile. So’sicuro che pure ‘a Calvanese nun riuscirà a farla e che farà come minimo la nottata.” E infatti… Ma tu addirittura scomodi a mammà e a papà per venirmi a dire che la versione non l’hai fatta? Figlia bella, e che esagerazione!...

Clementina scoppia a piangere forte.

CESIRA (agitatissima, le dà un sonoro scappellotto) Statte zitta! Vedrai che mo risolviamo tutto. Il professore ha capito male, mo ci chiariamo e… Professo’, non dicendo mancamente, Clementina è un angelo; voi sapete quant’è studiosa ogni oltre dire. Nossignore, mia figlia l’ha fatta la versione e l’ha fatta pure bene perché dopo l’è andata a controllare sul computer.

VITTORIO (soddisfatto) Ah, brava! Eh, ma io lo dico sempre, che quando uno è appassionato a una cosa… Ma… allora?... Non capisco…

CESIRA (investendolo, come presa da un attacco isterico) Professo’, voi avete detto bene quando avete detto che quando uno è appassionato di una cosa… Proprio così! Però mia figlia non è appassionata solamente di qualcosa, in questo momento Clementina è appassionata pure di qualcuno… Professo’, vostro figlio dove sta?

CARMINE (autoritario) Cesi’, ma che, si’ pazza?! Che c’entra ‘o professore? Te l’ho detto pure prima: queste sono cose che se l’hann’ ‘a vere’ ‘e guagliune tra di loro. Professo’, scusate, ma quando mia moglie se mette na cosa ‘ncapa… E io gliel’ho detto pure: “Va bene, vuoi andare a parlare con il professore? E ci andiamo domani con calma.” .Lei si è incaponita a volervi venire a disturbare a quest’ora…

VITTORIO (basito e preoccupato) Don Carmine, scusate, abbiate pazienza. Posso sapere che è successo? Che c’entra mio figlio?

CARMINE (evasivo e superficiale) No, professo’, niente.

CESIRA (c.s.) Come niente, come niente! Tua figlia è incinta e tu dici niente?! Professo’, qua è inutile girare ancora attorno alle cose. Clementina fra otto mesi sarà madre e il padre dell’anima innocente che nascerà è vostro figlio Manuel. Caro professore, vostro figlio, approfittando dell’ingenuità di Clementina, ha fatto… Beh, voi mi avete capita, no?

CLEMENTINA (parla in fretta mentre piange e si dispera, per cui si capisce ben poco di ciò che dice) Mamma, ma che stai dicendo? Se dobbiamo parlare, dobbiamo dire esattamente le cose come stanno. Io tengo diciotto anni, quindi non sono ingenua come dici tu. (Como per chiedere una qualche approvazione) Vi pare? (Zittisce nella speranza che qualcuno dica qualcosa, tuttavia  poiché nessuno parla, la ragazza continua con più stizza) Certo, adesso Manuel dovrà prendersi le sue responsabilità, però non è del tutto colpa sua: anche io sono stata consenziente.

CESIRA (c.s. e dandole un altro schiaffo) E finiscila di piangere! Che nun s’è capito niente ‘e chello che he’ ritto!

CLEMENTINA Mamma, ti ripeto che io con Manuel ho fatto soltanto petting.

CESIRA (c.s., ceffone compreso) Uè, Clementi’, tu he’ ferni’ ‘e ricere sti pparole! He’ capito? (Più calma e quasi orgogliosa) Sì, questo è vero: mia figlia è intatta. (Nuovamente agitatissima) Però, professo’, voi capite?, mo i fatti sono questi.

VITTORIO Va bene, va bene. Donna Cesi’, adesso cercate di calmarvi. E che miseria è questa! Voi avete dato due schiaffi alla povera Clementina manco fosse venuta la fine del mondo! Diciamo che i due ragazzi si sono un poco lasciati andare. State tranquilla: a tutto c’è rimedio, tranne alla morte e qua non è morto nessuno, anzi fra poco verrà al mondo una nuova vita.

GRAZIELLA (a Cesira) Aspetti, signora. Io… vorrei capire meglio. Mi scusi se m’intrometto in cose che in fondo non mi riguardano.

CESIRA (in tono quasi normale) Figuratevi! Dite, dite.

GRAZIELLA Ecco… Lei ha detto che sua figlia è intatta. Ora… d’accordo che in certi casi tutto è possibile, ma sono episodi più unici che rari… Io mi domando: non potrebbe darsi che c’è stato un errore di valutazione, nel senso che c’è stato un falso allarme o qualcosa del genere?

LUISA E come no! Pure io avevo pensato la stessa cosa.

ALFONSINA Ma però a me me pare che ‘a signurina Clementina na cosa ‘a rice. Chillo mo ‘o signurino Manuel nun s’’a po’ spusa’. (Suona il campanello) Chillo ‘o signurino…

VITTORIO (interrompendola) Alfonsi’, ‘a porta.

ALFONSINA (tra le nuvole) ‘A porta? Quale porta, prufesso’?

VITTORIO Hanno bussato. Non hai sentito?

ALFONSINA (c.s.) Uh, sì?! Io non aggia sentuto niente. E… che faccio? Vaco a vere’ chi è?

VITTORIO Va’, va’. Tanto ormai… Abbiamo fatto trenta, facciamo trentuno.

La ragazza esce per la comune a destra.

CARMINE (umile) Professore, signora Luisa, io sono veramente mortificato per il fastidio che vi abbiamo dato.

LUISA (formale) Don Carmine, nessun fastidio. Queste sono sciocchezze.

ALFONSINA (dall’interno, spaventata) Vergine ‘e Pumpeie! Signurina Loreda’, v’hanno arrestata?

LOREDANA (dall’interno. Da come parla è evidente che ha fretta, tuttavia è altrettanto evidente che è serena. Scoppia a ridere) Alfonsi’, che dici?! E’ vero che è accaduto un fatto piuttosto grave, ma da qui a dire che mi hanno arrestata…

ALFONSINA (c.s.) Ah, ‘mbe’, vulevo ricere io. Ma… Scusate, signurina Loreda’, chistu  puleziotto chi è?

LOREDANA  (dall’interno) L’agente sta con me, ma non è niente, non ti preoccupare. Il professore e la signora stanno dormendo?

ALFONSINA (c.s.) ‘O cche! Stanno scetate.

LOREDANA (c.s. e niente affatto sorpresa) Va bene, allora possiamo entrare. (Entra dalla comune a destra, seguita dall’agente di polizia e da Alfonsina) Buonasera. (Anche il poliziotto bofonchia “Buonasera”) Professore, signora, non c’è tempo da perdere: dobbiamo andare agli Ospedali Riuniti.

I presenti si guardano interrogativamente tra loro, poi:

LUISA (allarmata) Mamma mia! Che dobbiamo andare a fare agli Ospedali Riuniti? Loreda’, che è successo?

LOREDANA Ieri sera io e Manuel siamo andati in discoteca, no? A un certo punto siamo usciti fuori per prendere un poco d’aria, poi io sono ritornata in discoteca e lui è rimasto fuori. Quando sono uscita un’altra volta perché Manuel non rientrava, l’ho trovato a terra che si lamentava chiedendo aiuto.

 ALFONSINA (tremante, grida coprendosi il volto con le mani) Vergine ‘e Pumpeie! (A Luisa) Signo’, chesta è ‘a cosa troppa brutta che v’aggia ditto primma che m’era succieso. Teh! Signurina Loreda’, nientemeno chillo che steve ‘nterra era ‘o signurino Manuel?

LOREDANA Sì. E’ stato accoltellato.

VITTORIO (incredulo) Come accoltellato? Forse s’è appiccecato cu quaccheruno?

 AGENTE (senza dare troppa importanza a ciò che dice in quanto è abituato ad avere a che fare con fatti del genere) No, vostro figlio non ha litigato con nessuno. E’ stato accoltellato per motivi futili, come succede sempre quando ci sta di mezzo Filiberto Chetafrecchia..

VITTORIO E chi è?

AGENTE (c.s.) Nu guappo ‘e cartone, il quale dopo il fatto è venuto in Centrale e si è venuto a costituire. Questo Chetafrecchia ha chiesto a vostro figlio di fargli accendere una sigaretta, vostro figlio non aveva l’accendino perché non fuma, e Filiberto l’ha accoltellato.

LUISA (sconvolta) Mamma mia! E’ terribile!

ALFONSINA Teh!

GRAZIELLA Cose dell’altro mondo!

VITTORIO E mo mio figlio sta agli Ospedali Riuniti?

 AGENTE E già, perché poi io e un mio collega  siamo corsi sul posto e lo abbiamo trasportato in ospedale.

CLEMENTINA (ansiosa) L’hanno operato?

 AGENTE (c.s.) E beh, mo non vi saprei dire se l’hanno operato già. Sicuramente deve essere operato, ma non c’è da preoccuparsi, devono disinfettare e suturare la ferita, si tratta di dieci minuti.

LOREDANA Adesso non c’è tempo da perdere.

LUISA Sì, sì. (All’ agente) Mi vado a vestire. (Esce in tutta fretta per la comune a destra)

VITTORIO Due minuti e andiamo.

Buio di colpo.

                                         FINE DEL PRIMO ATTO

                                     SECONDO ATTO

La corsia del reparto di chirurgia generale degli Ospedali Riuniti . In fondo vi sono quattro porte chiuse contrassegnate dai numeri 235, 236, 237 e 238. Una panca smaltata in bianco si trova verso destra ed un’altra verso sinistra.

Sono le ore 16,00 del pomeriggio di domenica 10 ottobre 2011.

Quando il sipario si apre, troviamo Vittorio, Luisa e Graziella seduti sulla panca di sinistra,in trepidante attesa: Luisa consulta spessissimo l’orologio; la signora Graziella, le braccia conserte, ha una perenne espressione di pazienza; Vittorio, forse per cercare di distrarsi, si guarda intorno. Manzaglia è seduto sulla panca di destra. L’infermiere ha una minuscola radio nella tasca della divisa e, tutto compreso con i gomiti sulle ginocchia e il mento tra le mani, sta ascoltando la partita Napoli - Roma attraverso gli auricolari. Entra Savastano dal fondo a sinistra col carrellino che reca l’occorrente per fare le medicazioni e si avvicina al collega.

SAVASTANO Manza’? (Pausa) Manza’? (Pausa. Tra sé, sfiduciato, alludendo al collega) Eh! Chisto quanno è ‘e turno a rummeneca e ce sta ‘a partita r’’o Napoli, è na tragedia! (Più forte e scuotendolo) Uè, Manza’! E levatille nu poco sti cosi ‘a rint’’e recchie!

MANZAGLIA (sussulta, si accorge della presenza dell’altro infermiere, si toglie gli auricolare, sbuffa e chiede sgarbato) Che vuo’?

SAVASTANO Aggia i’ a ffa’ ‘a medicazione ‘a vicchiarella che è stata operata aiere. Me vuo’ veni’ a da’ na mano?

MANZAGLIA No, Savasta’, è impossibile. Tu ‘o ssaie che ‘a rummeneca r’’e tre ‘e cinche nun me pozzo movere ‘a cca.

SAVASTANO E figuriamoci!Stanno ancora uno a zero? (L’altro fa di sì con la testa) A che minuto stammo?

MANZAGLIA (piuttosto seccato) Mo è accuminciato ‘o sicondo tiempo. E mo, Savasta’, pe’ piacere, famme senti’.

SAVASTANO ( dirigendosi verso la porta 238, sfottente) Manza’, tu è inutile che faie: vuie perdite, perdite.

MANZAGLIA (con lo stesso tono) Va’, va’, che tu te chiamme Lucariello e nun sulo nun saie fa’ ‘o presepio, ma nun ce saie mettere nemmeno nu pastore ‘ncoppo.

SAVASTANO (tagliando corto) Sì, sì… Vaco a mmereca’ ‘a vecchia. (Esce per la porta 238)

Manzaglia si rimette gli auricolari. Con una certa fretta dalla sinistra entra il dottore e gli si accosta.

DOTTORE Scusate, Manzaglia.

MANZAGLIA (alludendo alla partita che sta ascoltando, infervorato, col tono di chi voglia dirigere un’azione di gioco) Vai! E tira! (A denti stretti) Che peccato! Nu gol mancato! (Alzando per un attimo gli occhi al cielo, scorge il medico che lo guarda sardonico) Uh, dotto’, scusate. (Ammirato) Dotto’, Hamsik è fortissimo! Ha fatto n’azione… Ma ha perso un poco troppo tempo. Che peccato!

DOTTORE (c.s.) State sentendo la partita, eh?

MANZAGLIA (infervorato) Sì, sì. Napoli – Roma. Sta vincendo il Napoli per uno a zero. Stanno al terzo minuto del secondo tempo. (Con altro tono) Dotto’, mi volete? Ditemi.

DOTTORE Dovreste andare a fare la Voltaren al bambino della centoventidue.

MANZAGLIA Ci devo andare io?

DOTTORE (ironico) Mo ci vado io.

MANZAGLIA (alzandosi, a malincuore) No, non vi preoccupate: sto andando. (Uscendo per la sinistra, tra sé) Tanto, che ce vo’ a ffa’ na serenga?! (Esce)

VITTORIO (si alza e si avvicina al medico, imitato da sua moglie e da Graziella) Dotto’, chiedo scusa.

DOTTORE (cortese) Prego.

VITTORIO Io sono il padre di Manuel Gargiulo. Vorrei notizie precise sulle condizioni di mio figlio. ‘A verità, dotto’, da stamattina non ci ho capito molto: un collega vostro mi ha detto che mio figlio domani può ritornare a casa; un altro invece ha detto che deve stare sotto osservazione ancora per qualche giorno… E… capirete…

DOTTORE (professionale) Certo. Sì, tutto sommato vostro figlio sta bene e domattina verrà dimesso.

VITTORIO (molto preoccupato) Dotto’, scusate, che significa “tutto sommato”?

DOTTORE (tentennando) Beh, la ferita è guarita, però… Beh, il ragazzo ha subito un violento shock, che ha compromesso leggermente l’area del cervello deputata al parlare.

LUISA (sconfortata) Manuel non parla?

DOTTORE No, per il momento no. (Più rassicurante) Ma state tranquilla: vostro figlio riacquisterà l’uso della parola, però non prima di otto – nove mesi.

LUISA (c.s.) Mamma mia! Otto – nove mesi, dotto’?

DOTTORE (con l’impassibilità tipica dei medici) Eh, sì, purtroppo. (In fretta) Adesso vogliate scusarmi: vi devo lasciare. Permesso.

VITTORIO (biascica appena) Prego, prego, dotto’. E grazie.

Il dottore esce per la sinistra. Vittorio, mogio e pensoso, va a sedersi. Anche Luisa, che piange sommessamente, sorretta da Graziella che le mormora incomprensibili parole di conforto, si siede. Savastano entra dalla porta 238 ed esce per la sinistra.

LUISA (colpita profondamente, piangendo) Mamma mia! Per otto – nove mesi…

GRAZIELLA (battendole affettuosi colpetti sulla spalla) Su, su, non pianga, si faccia coraggio.

LUISA (c.s.) Vitto’, tu non dici niente?

VITTORIO (in un lungo sospiro) E che aggia ricere? Ci vuole pazienza, cara mia. (Improvvisamente ottimista) Ma tu devi stare tranquilla: otto o nove mesi pure passano.

LUISA (c.s.) Eh, sì… Beato te che la fai così facile…

GRAZIELLA Ma sì! Il professore ha ragione. Otto o nove mesi sembrano lunghi, ma passeranno in un lampo. Intanto lei faccia una bella cosa: dica tre “Gloria al Padre” a San Paolo.

LUISA (c.s. e alquanto scettica) A San Paolo?

GRAZIELLA Sì. Come lei sa, San Paolo era uno degli Apostoli di Gesù. Mia nonna paterna… che possa stare nella schiera dei Troni!... mi raccontava sempre… Signora, mi creda, quando lo raccontava, venivano i brividi a lei e a me… Mia nonna mi diceva sempre che il 29 giugno del ’42 lei si svegliò di mattina con un dolore al nervo sciatico così forte che non poteva alzarsi; se provava a farlo, si torceva per il dolore. Quel giorno i bombardamenti arrivavano ogni dieci minuti. Mia nonna abitava al primo piano e i bombardamenti erano violentissimi. Ogni volta che sentiva la sirena, logicamente la povera nonna voleva scappare nel ricovero, ma non riusciva ad alzarsi dal letto. Il 29 giugno è la festa di San Paolo e mia nonna, disperata e piena di paura, gli disse tre “Gloria al Padre”. Alle tre del pomeriggio… Signora, adesso lei non mi crederà… Alle tre del pomeriggio suonò la sirena e mia nonna si alzò. Scappò nel ricovero come se non avesse mai avuto quel dolore al nervo sciatico.

LUISA (ha ascoltato con interesse il racconto di Graziella ed ora non piange più) Veramente?

GRAZIELLA Giuro. Io stessa quando, per esempio, mi sento un poco nervosa, dico con fede tre “Gloria al Padre” a San Paolo e mi passa tutto. Su, signora, preghi anche lei. Bastano tre “Gloria al padre” e dopo ogni “Gloria” bisogna recitare la giaculatoria “San Paolo, aiutalo tu.” , perché lei chiede la grazia per suo figlio.

LUISA (convinta) Sì, sì.

GRAZIELLA (invogliandola ad alzarsi) Su, venga con me. (Indicando la sinistra) Là in fondo, appena svoltato l’angolo, c’è una piccola cappella. Vengo con lei. Andiamo a pregare nella cappella.

VITTORIO Signora Graziella, perdonate, ma… Per carità, io non metto assolutamente in dubbio quello che avete detto: la Teologia è molto più grande di noi e a volte per noialtri è inspiegabile. Però mi domando: se Dio e di conseguenza i Santi sono in cielo, in terra e in ogni luogo, non c’è tutta questa necessità di andare a pregare nella cappella. Non vi pare?

GRAZIELLA Certamente, però qua la cappella è a due passi ed è meglio andare là. (Avviandosi ad uscire con Luisa per la sinistra) Su, signora, andiamo.(Ed escono)

COVIELLO (dall’interno, soddisfatto) Brava! Hai fatto un bel riposino. Come ti senti?

VOCE DELLA DEGENTE (dall’interno) Bene.

COVIELLO (c.s.) La cicatrice ti fa male?

VOCE DELLA DEGENTE (c.s.) No.

COVIELLO (c.s.) E alzati. Ti siedi sulla poltrona.

VOCE DELLA DEGENTE (c.s.) No, magari più tardi. Vorrei stare un’altra oretta a letto: mi fa male un poco la testa. Anzi, nella borsa c’è una bustina di Aulin. Pigliamela.

COVIELLO (c.s.) Ma che, sei pazza?! Non sono neppure dieci giorni che ti sei operata… Mo vado a domandare all’infermiere se te la posso dare, poi eventualmente… Anzi, mettiti la vestaglia così andiamo a domandare insieme. Può darsi che pigliando un poco d’aria, tu ti senta meglio.

VOCE DELLA DEGENTE (c.s.) No, no, vai tu.

COVIELLO (c.s.) Va bene. Torno subito. (Entra dalla porta 235. Vociando) Infermiere? Infermiere. (Più forte) Infermiere! (Constata tra sé con amara ironia) E che ne parliamo a fare. I signori infermieri non lavorano nei giorni feriali, figurarsi di domenica! (Si avvia per la sinistra e s’imbatte in Manzaglia che sta rientrando) Ehi! Che modi! (L’infermiere senza badargli va a sedersi sulla panca a destra. Insistente) Chiedo scusa…

MANZAGLIA (come il più “sanguigno” degli allenatori) Marekia’, e passa al centro, che Cavani è smarcato! (Battendo violentemente il pugno della mano destra contro il palmo della sinistra) Mannaggia! E te l’avevo detto pure!

COVIELLO Mi scusi…

MANZAGLIA (con sopportazione) Dite.

COVIELLO Mia moglie è stata operata nove giorni fa di appendicectomia. Ora, poco fa si è svegliata con un po’ di emicrania.

MANZAGLIA (sgarbato) Ah. E io…?

COVIELLO No, niente. Volevo sapere soltanto se è consigliabile darle una bustina di Aulin. Sa, per alleviare un poco l’emicrania.

MANZAGLIA (dopo averlo guardato a lungo negli occhi,c.s.) Ma vuie site nu bellu tipo, ‘o ssapite? Ma comme, io sto sentenno ‘a partita e vuie vulite sape’ ‘a me si ‘a mugliera vosta ce putite ra’ o no ‘a bustina ‘e Aulin. C’ha rate, nun c’ha rate… A me che me ne fotte!

COVIELLO (andandosi a sedere accanto a Vittorio) Cose da pazzi! Ma vedete che modo di rispondere! Dico: lei ha sentito? (Vittorio non risponde, assorto com’è nei suoi pensieri) Quando poi parlano della malasanità del napoletano! Hanno ragione! Lei ha notato che scempio? Una sporcizia inaudita; ti vengono a fare le medicazioni con i ferri non sterilizzati a dovere, per non parlare inoltre… Dio, Dio! E’ assurdo! Qua per avere un’informazione devi sborsare almeno cinque euro! E dire che io mia moglie non volevo farla operare a Napoli. Come un fesso sono stato a sentire una parente di Evelina, la mia signora, e adesso mi pento non una, ma mille volte. Intendiamoci, l’operazione è riuscita bene e domani mia moglie sarà dimessa, però, santo Dio!, un po’ di umanità! Veda, io sono di Senigallia, ma mi trovo a Napoli perché quindici giorni fa venimmo a trovare i parenti di mia moglie e quando lei cominciò ad avvertire lancinanti dolori appendicolari, volevo tornare immediatamente a Senigallia per farla operare da un mio carissimo amico: Felice Buzzi. In breve, invece mi feci convincere a farla operare a Napoli e… ed ecco i risultati. (Gridando) Il personale paramedico fa schifo! (Pausa. Tra sé) Mah! (A Gargiulo) Lei è il padre di quel giovanotto che è stato accoltellato davanti alla discoteca? (Vittorio annuisce) Come sta suo figlio?

VITTORIO Abbastanza bene, grazie.

COVIELLO Auguri. (Sospirando) Ci vuole pazienza. Purtroppo le malattie vengono in carrozza e se ne vanno a piedi. (Pausa. Visto che il suo interlocutore è poco disposto a colloquiare, si alza) Beh, permesso. Vado da mia moglie. (Esce per la porta 235)

LUISA (entrando dalla sinistra a braccetto con Graziella. Ha in mano un bicchierino di plastica colmo di caffè) Signo’, sarà suggestione, ma io mi sento meglio.

GRAZIELLA E certo. Lei si è affidata completamente a San Paolo. Stia tranquilla: San Paolo le farà la grazia.

LUISA  Vitto’, siamo state in cappella, poi siamo andate allo spaccio e abbiamo preso il caffè. (Porgendogli il bicchierino) Tieni. Te l’ho portato pure a te.

VITTORIO Grazie. Mo nu poco ‘e cafè ce vuleva proprio. (Beve un sorso, quindi fa una smorfia di disgusto) Puah! Ih che ciofeca!

LUISA  (alludendo al caffè) Eh, fa nu poco schifo. Ma, comme se dice?, questo passa il convento. (Ricordando) Ah, mi hanno telefonato sia Loredana che ‘a signora Cesira. Mo vengono a trovare Manuel. Io però non ho detto che Manuel non riesce ancora a parlare: chella, ‘a povera Loredana l’ha visto pe’ terra accoltellato, Clementina è incinta… No, io ricesse è meglio che nun dicimmo niente. Vi pare, signo’?

GRAZIELLA E certo.

SAVASTANO (entra dalla sinistra con in mano il  contenitore dei termometri. Si avvicina al collega e s’informa) Manza’,  ancora uno a zero?

MANZAGLIA Sì. Mannaggia ‘a miseria! Savasta’, duie minute fa ‘o Pocho s’ha magnato nu gol fatto!

SAVASTANO  ‘A partita sta pe’ ferni’, eh?

MANZAGLIA Mancano vintucinche minute.

SAVASTANO (sfottente) Perdite, perdite.

MANZAGLIA (questa volta scherzoso) Savasta’, nun fa’ ‘a seccia.

Savastano esce per la porta 238.

LOREDANA (entra dalla destra trafelata e ansante) Finalmente! Eccovi qua! Ho girato tutti gli Ospedali Riuniti. Buonasera. (I tre rispondono al saluto)

Savastano entra dalla porta 238 ed esce per la 237.

LUISA Ma perché, Loreda’, io non te l’avevo detto che Manuel era ricoverato in chirurgia generale?

L’infermiere entra dalla 237 ed esce per la 236.

LOREDANA Sì, però qua ci sono quattro padiglioni di chirurgia generale!

Savastano entra dalla porta 236 per uscire immediatamente per la 235.

GRAZIELLA Ah, ecco. Siediti un poco, su.

L’infermiere entra dalla porta 235.  Ha in mano il contenitore dei termometri vuoto. Esce per la sinistra.

LOREDANA No, grazie. Vorrei andare a vedere Manuel. Dove sta? (Vittorio e Luisa, che non vogliono che la ragazza scopra la verità, o almeno non così repentinamente, si scambiano uno sguardo imbarazzato)

GRAZIELLA (indicando l’uscio 236) Sta in questa stanza qua, però… Secondo me è meglio che tu ti trattenga prima un poco con noi e più tardi lo vai a salutare. Sai, starà riposando, proprio in questo momento l’infermiere gli ha portato il termometro per prendergli la temperatura… Hai visto tu stessa, no?

LOREDANA Infatti. Ma sta bene?

GRAZIELLA Sta bene, sta bene, non ti preoccupare. Domani mattina ritorna a casa.

LOREDANA Ah, bene. Signora, glielo giuro: in questi giorni sono stata così agitata e nervosa… Non ho telefonato per non disturbare, ma stanotte non ho proprio dormito e allora oggi mi sono fatta animo e coraggio, ho telefonato alla signora Luisa e sono venuta.

GRAZIELLA E certo. (Continua a chiacchierare sottovoce con Loredana)

CESIRA (entra dalla destra, seguita da Carmine e da Clementina. Gioviale) Buonasera.

VITTORIO (cordiale) Uè! Donna Cesira amabile! (Le bacia la mano) Don Carmine caro!

CARMINE (stringendogli la mano) Professore.

CESIRA Signora Luisa, buonasera.

LUISA  (affabile) Buonasera. Tutto bene?

CESIRA Non c’e male, grazie.

LUISA Clementi’, e tu? Eh, tu stai na bellezza!

CLEMENTINA  Sì, ringraziando il Signore, adesso sto proprio bene.

CESIRA Per la verità noi non avremmo voluto disturbare, ma Clementina ha insistito per venire prima per sapere proprio dalla voce di vostro figlio come sta, e poi perché vi vuole dare una bella notizia . A proposito, Manuel come sta?

LUISA Sta bene. Domani torna a casa. Adesso sta riposando e noi perciò stiamo qua fuori.

CESIRA E’ giusto. Meno male, va’: è finito tutto. (Dopo una piccola pausa, compartecipe) Però l’ha passata brutta, eh, signora Lui’?

LUISA (mal celando un’intima e profonda pena) Eh, sì… (Senza alcun preavviso, passa di palo in frasca) Clementi’, mamma mi ha detto che tu mi vuoi dare una bella notizia. Sarebbe?

CLEMENTINA (superficiale) No, niente di che. Quando quella notte venni insieme a mamma e a papà a casa vostra… Beh, mi sono sbagliata: è stato un falso allarme.

LUISA Meglio così.

CESIRA Come no! Voi non potete credere che piacere fu per me quando chesta me ricette che s’era sbagliata. (Con aria circospetta) Capirete, signora Lui’, chella ‘a guagliona veramente nun ha fatto niente.

CLEMENTINA Infatti. Ho fatto soltanto petting.

CESIRA (dandole una piccola spinta) E dàlle cu sti parole!

CARMINE (dopo aver consultato l’orologio) Professo’, oramaie so’ ‘e quatte e meza. Io credo che mo Manuel si sarà svegliato. Possiamo andarlo a trovare, vi pare?

VITTORIO (indugiando) E… Certo… Però… Don Carmine, io direi: aspettiamo ancora un poco. Pure perché… Don Carmine, parliamoci chiaro: Manuel non riesce ancora a parlare.

CARMINE (interdetto) Come non riesce ancora a parlare?

VITTORIO (sospirando) Eh. Che vi devo dire? Na mez’oretta fa abbiamo parlato c’’o duttore il quale ci ha detto che Manuel, a causa dello shock che ha avuto, prima di otto – nove mesi purtroppo non riuscirà a parlare.

CARMINE Ahia! Questo non ci voleva, eh?

VITTORIO Eh.

VOCE DELLA DEGENTE (dall’interno) Ma no! Dove vuoi andare? Qui dentro fa troppo caldo perciò mi si sono arrossate un poco le guance, ma sto bene, non ti preoccupare.

COVIELLO (internamente, gridando inviperito) E no, cara mia! Questa è allergia. Come infatti tu sei diventata rossa esattamente sei minuti dopo che ti ho dato l’antidolorifico. No, no, no! Ma che, scherziamo? Tu sei stata operata. Io mi debbo assicurare!

CLEMENTINA (allarmata) Che è successo?!

CESIRA Ma chi è stu pazzo?!

GRAZIELLA Questo signore dovrebbe capire che sta in un ospedale e non al mercato.

LUISA Vitto’, ma è Coviello che sta alluccanno?

VITTORIO  Sì, Lui’, è isso. (Agli altri) Non vi preoccupate. Ormai io ci ho fatto l’abitudine. Se tratta ‘e nu signore che ce l’ha con tutto e con tutti.

GRAZIELLA Li mortacci sua! Ma grida sempre così, come se stesse succedendo un’ecatombe?

VITTORIO E che volete sapere, cara signora Graziella! E questo è niente perché questo signore pure di notte dà in escandescenze.

GRAZIELLA E allora che si ricoverasse in un ospedale psichiatrico!

COVIELLO (c.s.) Basta! Adesso mi devono sentire questi disgraziati che fanno finta di venire a lavorare per rubarsi i soldi dello Stato! (Entrando molto infuriato dalla stanza 235) Disgraziati! Ma adesso  se non mi stanno a sentire, li sistemo io! Li denuncio presso la direzione generale! (Si avvicina a Manzaglia che sta ascoltando la radio a capo chino) Infermiere. (Più forte) Infermiere! (Quasi tra sé) No, è inutile, è inutile! Sono stato stupido io che l’ho chiamato! Che speravo? Che si fosse tolto quegli aggeggi dalle orecchie per fare una volta tanto il suo dovere? Manco a pensarlo! No, no: è troppo, troppo! Adesso lo sistemo io: una bella denuncia e lo rovino. (Fa per uscire per la sinistra, tuttavia si ferma perché scorge altre persone. Un poco mortificato) I signori vogliano scusarmi, ma devono intendere: ho un diavolo per capello.

LUISA (serafica) Signor Coviello, che c’è?

COVIELLO (nervoso) Che c’è? C’è che… (Più calmo) Dunque, gentile signora, mia moglie nove giorni or sono ha subito un urgente intervento di appendicectomia. Adesso, ringraziando Iddio, sta bene, tanto è vero che domani verrà dimessa.

LUISA Auguri.

COVIELLO Grazie. Oggi pomeriggio, però, si è svegliata con una violenta emicrania. Io, piuttosto preoccupato, sono venuto a chiedere a… (indicando Manzaglia) quello là se potevo darle un antidolorifico. (Con ironia mista a disprezzo) Il signor infermiere mi ha risposto, con un’arroganza che non le dico, che facessi come meglio mi sarebbe parso: a lui non gliene importava niente. Le ho dato l’antidolorifico e dopo sei minuti di orologio mia moglie è diventata rossa come un pomodoro maturo. Allergia sicuramente. Adesso, e loro hanno visto, sono venuto a chiamare un’altra volta l’infermiere. L’ho chiamato due volte, due! Ma lui, come si dice qui a Napoli, manco p’’a capa.

GRAZIELLA (come a voler giustificare l’infermiere) E certo. Sta ascoltando la radio con gli auricolari.

COVIELLO E le sembra giusto che un infermiere durante il suo turno di lavoro ascolti la radio tranquillo e beato?

GRAZIELLA Ha ragione: non è giusto. Però c’è un altro fatto da non sottovalutare: oggi è domenica.

COVIELLO (nuovamente infuriato) E allora? Che, forse di domenica non si può morire?

GRAZIELLA No, signor Coviello, io non ho detto questo. Voglio dire che oggi per fortuna tutti i ricoverati non hanno bisogno di niente. Se non c’è nulla da fare, gli infermieri ascoltano un poco di radio. Non è mica un reato.

COVIELLO (c.s.) Signora, questa per me è truffa! Truffa ai danni dello Stato, della Bandiera, ai danni di tutto! Eh, no! Stando così le cose, è mio dovere informare la direzione generale. Scusino. Con permesso. (Fa per uscire per la sinistra)

LUISA (tempestiva e persuasiva) Ma dove volete andare?! Mo la direzione sta chiusa.

COVIELLO Ah, già. Oggi è domenica… Va bene, ci vado domattina.

LUISA (c.s. e prendendolo delicatamente per un braccio) Venite con me, signor Coviello, che mo ve lo chiamo io l’infermiere. (I due si avvicinano a Manzaglia. Dandogli un colpettino sulla spalla) Manzaglia.

MANZAGLIA (sussultando e togliendosi gli auricolari) Chi è? (Inaspettatamente cortese) Ah, signo, siete voi. Ditemi.

LUISA Scusate, il signor Coviello qua ha bisogno di voi.

MANZAGLIA (c.s., alzandosi) Dite.

COVIELLO (visibilmente sorpreso dalla cortesia dell’infermiere) Mi scusi. Le volevo chiedere se potesse venire un momento da mia moglie. Sa, poc’anzi le ho dato l’antidolorifico come mi ha detto lei, ma dopo sei minuti la mia signora è diventata rossa. Io penso che abbia avuto una reazione allergica.

MANZAGLIA (gentile) Mo vediamo subito. (Fa per aprire l’uscio della stanza 235)

COVIELLO (fermando quel gesto) Aspetti, vengo con lei, l’accompagno.

MANZAGLIA (più che sicuro del fatto suo) Non c’è bisogno. Voi rimanete qua. Ieri mattina pure sono venuto io dalla signora: so perfettamente qual è il problema. Vado e torno. (Uscendo per la porta 235)  Permesso. (Esce per rientrare subito dopo) Ecco qua. Tutto a posto.

COVIELLO (non crede ai suoi occhi) Di già?! Cosa ha avuto mia moglie? Una reazione allergica, eh?

MANZAGLIA Scusate, ma vuie int’’a stanza tenite na serra?

COVIELLO No, perché?

MANZAGLIA Signor Coviello, imt’’a cammera r’’a signora ce steveno perlomeno trentotto gradi! ‘A povera signora steve ammurbanno. Aggia aperto ‘a fenesta e fra poco vostra moglie ripiglia il suo colorito naturale, non vi preoccupate.

COVIELLO (poco convinto) Ah. Allora lei dice che mia moglie è diventata rossa per il caldo?

MANZAGLIA Ma sicuramente! (Quasi scherzoso) Signor Coviello, ma vuie forse ve cririreve che vostra moglie avev’’a sfuga’ ‘o murbillo?

COVIELLO (rassicurato) No, io volevo essere prudente. Ad ogni modo, grazie. Vado a prendere un caffè. Lo vuole anche lei? Glielo porto.

MANZAGLIA No, grazie. (Estraendo la radiolina dalla tasca della divisa, accendendola e mettendosi gli auricolari nelle orecchie. Preoccupato) Aggia lassato ‘a Roma che ce steva ranno sotto… (Sedendosi di nuovo sulla panca di destra) Sperammo che ‘o Napoli nun se facesse fa’ fesso all’urdemo all’urdemo.

Coviello esce per la sinistra.

CESIRA ‘Mbe’, signora Lui’, noi mo ce ne andiamo. Non fa niente che non abbiamo potuto vedere Manuel. Ci vediamo a casa. (Baciando Luisa) Arrivederci.

LUISA Arrivederci.

CESIRA (stringendo la mano a Vittorio) Arrivederci, professo’.

VITTORIO Ve ne andate?

CESIRA E sì, vi lasciamo tranquilli.

VITTORIO Come volete. (Stringendole la mano) Arrivederci.

CARMINE (stringendo la mano a Luisa) Signora, vi saluto.

LUISA Buona serata.

CARMINE (un piccolo inchino a Graziella e a Loredana) Signora. Signorina.

GRAZIELLA Arrivederla.

LOREDANA Buonasera.

CARMINE (stringendo la mano a Vittorio) Arrivederci, professo’. (Sottovoce e allusivo) Mi raccomando: non vi perdete d’animo, passerà pure questo.

CESIRA Clementi’, bella a mamma, andiamo.

CLEMENTINA (ubbidiente) Sì. (Come una bambina ben educata fa la riverenza a Luisa e a Vittorio)

CESIRA (avviandosi per uscire per la destra) Di nuovo.

CLEMENTINA Aspetta, mamma. Scusami. Un attimo soltanto.

CESIRA (incuriosita) Che c’è?

CLEMENTINA  No, niente. Io vorrei rassicurare Loredana perché tra me e Manuel davvero non c’è stato niente. C’è stato…

CESIRA (interrompendola, a denti stretti) E va bene. La rassicuri un’altra volta. Mo ce ne dobbiamo andare.

MANZAGLIA (scattando in piedi, i pugni in alto) Oh anema! Grandissimo!!!

CARMINE Ch’è stato? Il Napoli ha segnato?

MANZAGLIA (entusiasta) Sì! Ha signato Lavezzi!

CARMINE (dopo aver lanciato un’occhiata all’orologio) Va be’, oramaie mo è fatta. (Volendo dire che la partita è quasi finita) So’ ‘e cinche manco nu quarto…

MANUEL (dall’interno prorompe in un grido che rasenta il disumano) GOOOOOOOOOOL!!!

LOREDANA (spaventatissima) Che cosa è successo?

GRAZIELLA Forse qualcuno che si sente male.

LUISA Mamma mia! Vitto’, chisto nun è nu reparto ‘e chirurgia generale: chisto è nu manicomio! Ogni tanto se sente n’allucco.

VITTORIO (ridacchiando) E’ overo, eh?

CESIRA (guardandosi intorno come alla ricerca di qualcosa che avvalori la sua ipotesi, si aggrappa al braccio del marito) Aiuto, Carmine. Chesta è na scossa ‘e terremoto!

CLEMENTINA Oh, Dio! Il terremoto! (Piangendo e strillando) Io ho paura.

CARMINE (infastidito) Ma quale terremoto! Nun me facite rirere!

MANUEL (entra di corsa dalla stanza 236. Mentre continua a correre avanti e indietro come un forsennato, tutti lo guardano a occhi spalancati) Il pocho! Il pocho! Il pocho! Mamma mia! Il pocho!!!

LUISA (disperata, gli urla dietro) Manuel! Figlio mio! Che t’ha pigliato? Calmati!

MANUEL (abbracciando sua madre) Mamma, la partita è finita. Il Napoli ha vinto per due a zero! Tu capisci?

LUISA (allibita, piange per la gioia) Ma… ma tu parli!

DOTTORE (entra dalla sinistra, seguito da Savastano) Che c’è, che c’è?

GRAZIELLA (emozionata e commossa) Dottore, un miracolo! Un miracolo! Manuel parla! San Paolo ha fatto la grazia! (Cade in ginocchio, gli occhi rivolti al cielo) Grazie!

SAVASTANO (incredulo) Parla? Veramente?

DOTTORE (incredulo) No, non è possibile.

MANUEL (incuriosito) Perché, scusate, non è possibile? Che, forse ero diventato muto?

DOTTORE (a disagio) Beh… in un certo senso… sì.

MANUEL (preoccupato) Come sarebbe? Ero diventato muto?

LOREDANA Manuel, io non capisco. Tu non potevi parlare?

MANUEL Ma che ne so, che ne so… Dotto’, chiedo scusa, voi stessi medici quando mi venivate a visitare, mi dicevate che per il momento non era necessario parlare…

DOTTORE (dopo una pausa voluta, grave) Vedi, tu sei un ragazzo intelligente e sai benissimo che le verità non sempre sono piacevoli. Che cosa ti dovevamo dire? Che per otto – nove mesi tu non avresti potuto parlare a causa dello shock subito?

MANUEL (sbarrando gli occhi) Veramente?

DOTTORE (grave) Eh, sì. Purtroppo sì. (Pausa) Soltanto…

MANUEL (più incuriosito che preoccupato) Soltanto…?

DOTTORE Soltanto… E’ inspiegabile quale shock tu abbia potuto avere in questo momento talmente forte da fare sbloccare istantaneamente l’area del linguaggio del tuo cervello.

GRAZIELLA Macché shock! Noi, io e la signora Luisa, prima siamo andate in cappella e abbiamo pregato fervidamente San Paolo. E’ stato Lui che ha voluto fare il miracolo!

DOTTORE (scettico) Signora cara, io sono cattolico praticante e ai miracoli ci credo. Però e perciò le posso assicurare che i miracoli avvengono raramente e in situazioni gravissime… che so, in un malato di tumore, in un malato di SLA… Purtroppo i miracoli non avvengono per inezie del genere.

MANUEL Ma quale miracolo, signora Grazie’! Con tutto il rispetto per San Paolo, se proprio vogliamo parlare di miracolo, è stato Lavezzi che lo ha fatto. Io mi sono limitato istintivamente a gridare “gol!” quando il pocho ha segnato.

CARMINE (ironico) Addirittura?! ‘Aspita! Lavezzi tene chesta potenza? Iammo, Manuel, nun ce fa’ rirere!

LUISA (ridendo) Guardate chisto a che va a penza’.

GRAZIELLA (seria) Manuel, non ripetere più quello che hai detto. Questa è blasfemia.

CLEMENTINA Sentite, secondo me è stato solo e soltanto Manuel che con la sua volontà ha sbloccato l’area deputata al linguaggio del suo cervello.

VITTORIO Scusate, posso dire io una parola?

TUTTI Prego, prego. Dite, professo’. (E altre parole analoghe)

VITTORIO D’accordo, la volontà. Anzi, soprattutto la volontà. Signori miei, mio figlio ogni anno si fa l’abbonamento al Napoli, nei distinti: mio figlio nutre un amore sviscerato per il Napoli. Dunque, è stata proprio questa sua passione sviscerata che lo ha sbloccato. Io so’ sicuro che Manuel avrebbe ritrovato l’uso della parola pure se là avesse segnato… Mazzarri!

Buio di colpo.

                                                FINE