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IN COLLABORAZIONE

Commedia in un atto

Di WASHINGTON BORG

PERSONAGGI

LAURETTA

RENATO

DORINA

GIULIO

Commedia formattata da

(Una stanza civettuola che serve da studio e salotto in casa di Renato. Finestra a destra. In fondo dive usci: quello verso sinistra è per la stanza da letto, l'altro per l'anticamera. Renato, seduto alla sua massiccia scrivania, ingom­bra di carte e libri, scrive infervorato. Dopo un momento ecco sbucar dall'uscio, verso sini­stra, fra le tende, due occhi furbi segnati di bi­stro te una boccuccia a cuore più rossa del vero. E' Lauretta, la moglie di Renato).

Lauretta                           - Testardo!... Ancora lì?!...

Renato                             - Lo vedi.

Lauretta                           - Eh no, caro. La domenica no. La domenica mi appartiene. (Va lesta alla scri­vania e scompiglia tutto come meglio può).

Renato                             - (strillando) Lascia! Lascia!... Sei matta?... Le mie cartelle, perbacco!...

Lauretta                           - Che grazia!...

Renato                             - Che grazia?... Ma come!... mi rompi il filo, mi scompigli così... mi metti l'in­ferno tra le carte... e osi dire « che grazia »?... Devo lavorare e non ho tempo da perdere.

Lauretta                           - (stizzita) E allora, crepa!

Renato                             - E tu lasciami crepare... Oh bel­la... (Sbuffa e riordina le carte) La domenica... Come se la domenica... La domenica per me è come tutti gli altri giorni... Non posso, cara, pagarmi il lusso della domenica solo perché la mia signora moglie ha il tic del riposo festivo.

Lauretta                           - E' per la tua salute!... sono io la sciocca che me ne interesso!

Renato                             - Ti ringrazio. Non sono mai stato tanto bene in salute come ora che lavoro.

Lauretta                           - Bene?... (Non è persuasa).

Renato                             - Benissimo!...

Lauretta                           - Ti sei visto questa mattina che bel colorito giallo intorno agli occhi?...

Renato                             - No.

Lauretta                           - Male!... Del resto, sai, peggio per te... Seguita pure... Anch'io, caro, la do­menica, visto che il mio signor marito...

Renato                             - (alzando gli occhi) Ebbene?...

Lauretta                           - (in gesto di minaccia) Vedrai!...

Renato                             - Scriverai le novelle come il tuo si­gnor marito?... Ottimamente! E' un'idea che approvo. Il lavoro nobilita.

Lauretta                           - No, caro Renato. Le novelle io non le scrivo... Se mai preferisco viverle.

Renato                             - Viverle?... accidenti!... Bada, Lauretta, ce ne sono a lieto fine e altre che fi­niscono male.

Lauretta                           - Oh, per me « lietissimo », caro. Non ti turbare.

Renato                             - Ma se t'incoraggio, anzi!... Come novelliere, capirai, ci ho tutto da guadagnare. A corto di fantasia, mi darai gli spunti... E sa­rà tanto di risparmialo per me.

Lauretta                           - Ridi?... Non si sa mai... Ri­dere così è da sciocco. (Siede nervosa).

Renato                             - (dopo un momento, guardandola) E dire che questo « sciocco », come tu grazio­samente dici, si rompe la schiena per stare a tavolino dieci ore il giorno, e frusta e si logora il cervello... per chi?... perché?...

Lauretta                           - (con ima risatina impertinente) Per me!...

Renato                             - No? E per chi dunque?... Non è forse per la comodità di una casetta, non dico di lusso, ma lucida, ma civettuola come la vo­levi?... Non è per acconciarti, per agghindarti, come una donnina che ha i suoi gusti, i suoi grilli, le sue calze che costano un occhio, le sue pretese?...

Lauretta                           - No, amico mio. Ti conosco... Troppi pesi per le mie spalle, comprese le cal­ze che hai l'aria di rimproverarmi!... Di', piut­tosto, per la tua vanità, per la tua ambizione di scrittore!... Altro che calze!... Le tue no­velle che circolano. Il tuo nome che si stampa. I tuoi articoli, le tue pappardelle che ti pro­curano adulazioni bugiarde.

Renato                             - (offeso) Pappardelle?... (Scatta) Me le pagano, cara, me le pagano le mie pap­pardelle!... Alla fine del mese, tira la somma e vedrai che salsa piccante queste mie pappar­delle che dici!... Sono centinaia e centinaia di lire che provvidenzialmente ci piovono nella casa!... (Con gesto impaziente) Oh insomma, questo è il mio mestiere, questo so fare, e di questo viviamo. Non ho mica il posticino co­modo alla Banca come il nostro buon vicino Solari, sai?... il bel Giulio che ci abita accanto - (indica a sinistra) divisi da quel muro, e ce lo sentiamo anche sbadigliare... Lui sì che può andarsene la domenica, o tutti gli altri giorni, se vuole, lustro, incaramellato, nel suo costu­me «grigio-perla, con le mani in mano, per non saper che fare!...

Lauretta                           - (seccata) Veste Benissimo... E' inutile che tu lo metta in caricatura!

Renato                             - Io?... Figurati!... Ce lo ha già messo Domineddio quel giorno stesso nel farlo nascere. (Si mette a scrivere. Lungo silenzio).

Lauretta                           - (si alza, va intorno. Guarda l'oro­logio sulla mensola: è irrequieta, ma si domina e cambia il suo gioco: gli si avvicina alle spal­le; gli si appoggia al seggiolone, con moine da bimba capricciosa e imbronciata) Subito si offende il signore... E poi che c'entra Solari?... Tu, subito: ombroso, scontrose, permaloso!... (Gesto impaziente di Renato) Sì, sì, permalo­so!... Tutti gli aggettivi peggiori in « oso » e prima, invece, tutti i migliori: affettuoso, pre­muroso, vigoroso...

Renato                             - (alzando gli occhi) Vigoroso?... Ti prego di credere...

Lauretta                           - No, no, so quel che dico... Or­mai, non c'è che il lavoro, il tuo lavoro, per prenderti, per infiammarti, per farti vibrare!... Tutto il resto, me compresa, non conta.

Renato                             - Non esagerare.

Lauretta                           - Sì, sì, è la verità. (Pausa) Come se io non leggessi, e non apprezzassi, o non ca­pissi, tutto quello che scrivi!... L'ultima novella « Compare Jesu » la so a memoria... Vuoi che te la reciti?... Ti sfido a sentirmi sal­tare una parola sola!... Ho prestato il fascicolo a Solari. E' piaciuta immensamente anche a lui. Poveraccio, tu lo mortifichi sempre e lui, invece, brucia l'incenso della sua ammirazione per tutto quello che scrivi, che dici, che fai.

Renato                             - (solleticato) Ah sì?... Gli è pia­ciuta? Vi è piaciuta quella novella?...

Lauretta                           - (col gesto per magnificare) Eh... Figurati...

Renato                             - (battendo la mano sui foglietti già scritti) Vedrai qui!... Vedrai questa!... E' una donnina terribilmente complicala...

Lauretta                           - Mi va.

Renato                             - A me non ancora. Sono a mezza via: è un labirinto: non so come uscirne...

Lauretta                           - Vuoi che ti conduca...

Renato                             - Toh... la mano.

Lauretta                           - Credi che non saprei suggerirti?

Renato                             - Possibilissimo. Le donne hanno una psicologia sbrigativa. Noi ci fissiamo in­torno al nodo di una questione, e ci giriamo intorno prima di scioglierlo...

Lauretta                           - Noi, invece: zac!... una bella forbiciata e il nodo è bello e sciolto.

Renato                             - Si fa presto a dire: zac!... Ti vor­rei vedere un po' qui, mia cara, nei miei panni.

Lauretta                           - Perché no?... vestimi.

Renato                             - (solenne) L'uomo è un buffone che spesso danza sopra un precipizio. Lo sai?

Lauretta                           - Lo so.

Renato                             - Lo dice anche Balzac... Il mio, della novella, sai perché danza?... Te lo spiego in due parole. Perché è la sicurezza nell'amor suo che lo fa danzare!... E sai il preci­pizio?... Lei, la moglie: una donnina compli­cata, che lo ripaga sminuzzandogli l'anima, e riducendolo, nelle sue mani di bimba, un gio­cattolo tragico, per romperlo!...

Lauretta                           - Però, certamente, una donnina, quella della tua novella, molto carina con i suoi trucchi ingegnosi e le sue adorabili fin­zioni. No?...

Renato                             - Come lo sai?...

Lauretta                           - Suppongo... Vedi; suppongo anche che ella abbia un amante.

Renato                             - L'ha... Sicuro che l'ha.

Lauretta                           - Che importa?... Se ella saprà abbindolare il marito con molto garbo: lasciarla fare. Se no: no. Perché la tragedia? Perché il precipizio, con buona pace del tuo Balzac?... Credimi, le cose semplici sono le più efficaci nella vita... e anche, se permetti, nelle novelle. Leva dunque il precipizio, e lascialo eternamente danzare quel tuo marito... Sarà più tragico così nella sua inconsapevole continuità. Non ti pare?

Renato                             - (sospeso, guardandola, lisciandosi il mento) Toh, guarda... senza pensarlo, vedi, forse imi suggerisci un'idea magnifica.

Lauretta                           - Se te lo dico io, Renato!... (Gli butta le braccia al collo) Amore, devi credermi sempre... La tua novella correrà meglio perché sarà più vera.

Renato                             - (stringendola) Però, Lauretta, quelle donnine così, vedi, le amiamo accarez­zare per gusto di novellieri solamente. Anzi, le preferiamo spesso alle altre perché ci danno il filo da attorcigliare come ci pare e piace per arrivare alle più disperate conseguenze. Ma nel­la casa, ma nella vita, per il santuario dei nostri affetti, che sono poi tutta la nostra vita, son quelle come te, sai, quelle che ti somigliano...

Lauretta                           - Non ti fidare... La donna è come il mare... Io, per esempio, vedi, mi sento un pochino quella della tua novella.

Renato                             - Ah, sì?... sei Rosalba? (Ride) E allora io sono Taddeo: lasciami danzare!

Lauretta                           - Danza, caro... danza Taddeo... (Lo preme, lo scuote, lo stringe nel collo).

Renato                             - Mi sconquassi così!

Lauretta                           - Ma,se sono Rosalba... I suoi trucchi ingegnosi... capirai...

Renato                             - Buona, buona... mi soffochi...

Lauretta                           - (improvvisamente, sostando) Ahi!... Taddeo!...

Renato                             - Cos'è?...

Lauretta                           - Un momento... Un capello bian­co!... Fermo lì: non muoverti (glielo strappa) Zitto!... Un secondo... (Gli strappa anche il secondo) Oh... Dio!... Ancora!... Un terzo...

Renato                             - (balzando per il dolore) Oh, in­somma!... Una ciocca mi hai strappato!... Che ti piglia?... Hai giurato di farmi uscir dai gangheri?... E lasciali in pace i miei capelli bian­chi. Anche domenica scorsa te la sei presa coi miei capelli bianchi, e mi hanno fatto andare in bestia!... Mi dici delle cose graziose, sissignora: ma se per ogni parola carina che mi di­ci, mi devi strappare una ciocca: tante grazie!.. Ne faccio a meno.

Lauretta                           - (con uno scatto furioso) Tante grazie a te!...

Renato                             - A me?...

Lauretta                           - Sì, perché sci un villano !

Renato                             - (acceso) Ah sì?... \Ulano?... Mi prendi per il giocattolo tragico nelle tue manucce di bimba?... Ti sbagli!... Nelle novelle for­se, ma nella vita è un'altra cosa. Rosalba, tu, se ti fa piacere, fin che vuoi; ma io, sai, Tad­deo: un corno!... Resto Renato fin che campo... Tanto è vero, guarda... (con gesto rapido pren­de alla rinfusa tutte le sue cartelle).

Lauretta                           - (precipitandosi spaventata) Che fai?... (Respira) Credevo tu volessi stracciarle.

Renato                             - (dopo aver gettato e chiuse le car­telle nel cassetto, drizzando il capo) Tanto è vero, dico, che ho le mie volontà e faccio quel che mi pare e piace, che ora pianto qui tutto e me ne vado !... Addio !

Lauretta                           - («ridando) Vai?...

Renato                             - Sì, vado! vado! (Si avvia).

Lauretta                           - Ecco, lo dicevo: ombroso, scon­troso, permaloso...

Renato                             - Scaglia, scaglia, Rosalba... Non mi cogli, cara. (Sparisce da l'uscio in fondo).

Lauretta                           - (con una mossuccia inimitabile delle labbra) Torna presto, Taddeo!

Renato                             - (in lontananza) Torno a mezzanot­te, se il diavolo non mi sprofonda!...

(Lauretta sta dritta accanto all'uscio, la te­stina leggermente piegata come per ascoltare. Sente sbatacchiare la porta sul pianerottolo di casa, e subito scoppia e si torce in una risata).

Lauretta                           - Ah! se avessi la penna così fa­cile come facile ho la trovata!... (Ride anco­ra) Che gusto sarebbe!... (Corre alla finestra e sta in vedetta con gli occhi fissi alla strada) Eccolo!... Corre!... Non si volta neppure!... Che amore! Toh!... (Gli manda un bacio sulle dita. Sta un momento ferma a guardare. Poi si volta di colpo. Sembra pensierosa e sospira). Mah!... dopo tutto... (Rimette svelta un po' di ordine intorno e ogni tanto una frase mozzata fa guizzare il lampo d'un suo pensiero) E' la vita finzione?... o è la finzione ch'è vita?... (Sta un attimo sospesa con qualche cosa in mano da n potrei) Vediamo, vediamo... Non confondiamo le idee... (Si getta a sedere, si concentra, il mento tra il pollice e l'indice, come a seguire l'interiore ragionamento) Lau­retta: Rosalba... Renato: Taddeo... e l'altro?... Come si chiama l'altro?... (Si alza e corre alla scrivania. Apre il cassetto e. prende i foglietti scritti di Renato. Si mette a leggere qua e là, poi dice ad alta voce quel brano che più le torna): « ...Di una prontitudine veramente pro­digiosa nel saper concepire in un lampo, nei momenti più difficili e intricati, la trama d'una nuova avventura per dar luce di verità alle cose più assurde e impensate... « Oh Ro­salba, sei adorabile » le diceva Cui zio, non appena Taddeo aveva voltato le spalle, ed era uscito di stanza, felice e beato... ».

(Sulla porta, un momento prima, era com­parsa Dorina, la cameriera. E' in cappello e borsetta, con le gambe più nude del bisogno, già pronta per uscire. Dorina, in, ascolto, a quel « felice e beato », per Taddeo, scoppia a ri­dere. Lauretta subito si volta).

Lauretta                           - Tu?...

Dorina                             - Io, signora.

Lauretta                           - Ascoltavi?

Dorina                             - Lei leggeva ad alta voce. (Sorride) Benissimo, sa?...

Lauretta                           - Benissimo cosa?

Dorina                             - Quello che il signore scrive e la mia signora legge.

Lauretta                           - Brava... Sei evoluta.

Dorina                             - (con importanza) Leggo Pirandel­lo... E non c'è pagina del signore che anch'io subito non legga.

Lauretta                           - Ah sì?... Lo dirò al signore.

Dorina                             - (tutta moine e mossucce) Oh, lui, si figuri... Appena mi guarda.

Lauretta                           - Ti piacerebbe che ti guardasse?

Dorina                             - Diamine... siamo donne... a chi non piace?...

Lauretta                           - (seria) Io ti prego, Dorina, di leggere meno e di tenere gli occhi abbassati.

Dorina                             - (gli occhi bassi) Li tengo, signora, non dubiti. So il mio dovere. Ma quanto a leg­gere meno...

Lauretta                           - Basta!... (Rimette le cartelle nel cassetto e chiude) Allora, vai?

Dorina                             - (sostenuta) Faccio osservare alla signora, che senza bisogno di dirmelo, ero già pronta, come vede. Anche domenica scorsa, an­che l'altra domenica, alla stessa ora, capivo che dovevo spicciarmi se volevo trovare aperta la farmacia, per la solita ricetta della signora... Oh, non stia in pensiero se tardo; quei farma­cisti sono così inverosimilmente lunghi. (Si av­via) E' incredibile come sono lunghi...

Lauretta                           - (bieca, guardandola) Lo vedo che sei troppo intelligente...

Dorina                             - Bontà sua... Anche epici farmaci­sti, non dubiti... molto più intelligenti di me. (Sparisce dall'uscio).

Lauretta                           - (buia e pensierosa un momento, si scuote improvvisamente) Sciocca!... (Va su e giù nervosa) Mi ha fatto inghiottire un rospo, quella sciocca!... Me la pagherà!... (Se­guita nel suo andare su e giù rabbioso. Si fer­ma di colpo davanti alla parete di sinistra perché sente, in quel momento, battere al muro. E' il bel Giulio, il vicino di casa che picchia col suo « toc, toc » dall'altra parte del muro). Sì, sta fresco il bel Giulio!... Batti, batti... Mi tro­vi in un bel momento... (Si allontana subito. Ma i colpi riprendono più forti, e lei s'infuria) Non capisci, santo cielo, che ho i nervi?... Oh! (Torna precipitosa al muro e grida per farsi sentire) Niente! Niente! Non rispondo!... (Si stacca subito e sbuffa) Stupida io... Valeva la pena di strappargli i capelli per farmi venire i nervi. (Si getta a sedere e drizza la testina te­nebrosa, le gambe incrociate più su del ginoc­chio, e un piedino che va su e giù come la sven­tola davanti al fuoco).

(Di là dal muro, a distanza, si sente cantare il bel Giulio, con voce da tenore, quei brutti versi del « Trovatore »: « Sconto col sangue mio        - l'amor che posi in te. Non ti scor­dar di me   - Leonora addio... Leonora addio... »).

Lauretta                           - (sulla sedia, il gomito poggiato al­lo schienale e la testa sulla mano) Canta, canta... Hai visto uscire Renato, poi Dorina, e hai ripreso filato... Sì, caro'. (Con le parole del canto) « Addio, addio ». Non ini commuovi. Dormo. (Chiude gli occhi).

(Dopo qualche momento, si sente il girar di una chiave nella serratura, il leggero sbattere della porta in anticamera, e poi subito lo stri­sciar di due piedi che si avvicinano. Eccolo, è lui, il bel Giulio, incaramellato, lustro, nel suo costume grigio-perla, che sbuca dall'uscio in fondo e si ferma a breve distanza dalla soglia).

Giulio                              - (guardando intorno e scoprendo Lau­retta in quell'atteggiamento, sulla sedia, con gli occhi chiusi) Ebbene?... (Sorride) Che silenzio!... (Le si avvicina) Dormi?... (Subito con gesto largo, toccandosi la fronte) Ho capi­to!... Sei deliziosa! Il tuo dormire è per dirmi: « Siam soli!... Niente paura... Il tempo è no­stro, possiamo dormirci sopra come su teneri guanciali ». Non è così? (E' beato) Dormi, dor­mi cara., mi prendo il guanciale anch'io. (Pren­de una sedia e le si mette accanto). Ma santodio, perché farmi aspettare tanto?... E' un bel po' che Dorina è uscita. Aspettavo il tuo « toc, toc» che non veniva. Palpitavo, fantasticavo... Mi decidevo a fare il « toc toc » io... Ma niente!... Neppure il mio bel canto! Neppure a fare il Caruso e il Tamagno insieme!... Muro sordo e impassibile, nel borbottio incomprensibile che mi veniva dall'altra parte... E allora, non c'era altro: la chiave!... La magica chiave!... Non a l'ho mai benedetta tanto!... (Le passa una mano a farfalla davanti agli occhi) Ohe, destati. Ora puoi destarti. (Ma Lauretta non apre gli occhi, e lui le si piega) Apri gli occhi, cara... Spalan­ca le tue meravigliose ostriche!...

Lauretta                           - Ostriche ? !... (Lauretta spalan­ca gli occhi, offesa) Bel modo di esprimerti.

Giulio                              - (ride, ride) Lo dicevo che ti sare­sti subito svegliata.

Lauretta                           - Se non bai altre immagini, puoi far fagotto e sparire. (Si allontana seccata).

Giulio                              - Ti sei offesa?... Ma come?... Se ne dicon di tutti i colori degli occhi... a mandorla, fosforescenti, di pernice, di gazzella... E io per voler dire di più... Non mi hai neppure lasciato il tempo di finire... (Si alza) Due ostriche che si spalancano per mettere in luce le tue divine perle!... (L'uscita improvvisa, declamata in quel modo, fa ridere Lauretta).

Lauretta                           - Sei buffo!... Mi fai ridere e non ne avevo voglia.

Giulio                              - Mia cara... Stile novecento... Bi­sogna farci l'orecchio; ma il buono* è sempre in fondo. (Le prende una mano per baciargliela, ma lei, svelta, gli strappa la mano prima di farsela baciarti). Sei crudele!...

Lauretta                           - Oggi non è il giorno. Ti ho già detto che ho i miei nervi.

Giulio                              - Da quando?...

Lauretta                           - Da quando una mosca, quella tale mosca, mi ha punta in mezzo al cervello... Oh, con me, ci vuole poco, sai... Tutte le dome­niche, poi, non sono sempre le stesse... e così anche le donne... Anzi a proposito, ridammi la chiave.

Giulio                              - Ridai ti la chiave? Sei matta! (Si scosta subito).

Lauretta                           - No, no... Non scherzo... Ridam­mi la chiave... (Lui gira, intorno alla scrivania: lei lo insegue e si arrabbia) Ti ho detto di ri­darmela! (Pesta e ripesta i piedini, per terra).

Giulio                              - (fermandosi a distanza) Prima di tutto, vedi, per ridartela, come dici, bisogne­rebbe che tu me l'avessi data; il che non è... In secondo luogo, per pretenderla, come la pre­tendi, che fosse tua, il che neppure è.

Lauretta                           - Come non è?

Giulio                              - No, cara. E' mia.

Lauretta                           - Ma se apre la mia porta!...

Giulio                              - Bella ragione. Apre anche la mia.

Lauretta                           - Allora è una chiave falsa. Lo dirò a Renato di cambiar subito serratura. (Si è seduta sul bracciolo della poltrona).

Giulio                              - (dopo un momento, guardandola) Sei ingrata con la mia povera chiave... Te lo sei dimenticato quel nostro primo giorno!

Lauretta                           - (gli occhi bassi) Era di sera...

Giulio                              - Già... era di sera.

Lauretta                           - (con un sospiro) Renato stava a Milano.

Giulio                              - Già... a Milano... Ci conoscevamo appena, allora... ma già mi piacevi immensa­mente... e anche tu mi guardavi.

Lauretta                           - Io?... (Stizzita) Perché ricor­darmelo?...

Giulio                              - Per la mia chiave che tu hai avvi­lita, e ora mi sento fremere in lasca. (Breve pausa). Quel giorno, tu salivi lenta lenta le scale... e io, dietro di te, lento lento, le salivo anch'io. (Pausa) La luce mancava, ma dai finestroni la luna ci pensava. A ogni svolta di ram­pa c'era quel raggio che accendeva due snelle gambette rosa e due piedini che mi voltavano i tacchi... La luna di sopra e io di sotto; figurati se mi indugiavo...

Lauretta                           - (gli occhi bassi) Ti sentivo.

Giulio                              - Alle spalle...

Lauretta                           - Naturalmente, se ti voltavo i tacchi...

Giulio                              - Poi, sul pianerottolo...

Lauretta                           - Basta!... (Si tura gli orecchi, via lui seguita).

Giulio                              - Io avevo già aperto la mia porta, e tu sulla tua, ancora suonavi, battevi e chiamavi. Dorina non c'era e la porta da sola, certo, non poteva aprirsi... Fu allora, ricordi?... Fu allora che ti dissi... « Mi permette, signora?... Chissà se la mia chiave... ». E, infatti, per un miracolo, la mia chiave apriva!... Non dimenticherò mai il tuo bel sorriso e il tuo « grazie » sospirato, in quel modo. Soli eravamo nel vano oscuro...

Lauretta                           - (balzando) Canaglia!...

Giulio                              - Fu il nostro primo bacio... Questa è la vera storia dì questa chiave (la mostra) che io pongo in onore... (La rimette in tasca).

Lauretta                           - Per il mio disonore. (Si allon­tana e guarda distratta dalla finestra).

Giulio                              - (le va vicino e le parla alle spalle) Andiamo, Lauretta, perché t'allontani...

Lauretta                           - Guardavo dalla finestra se ve­devo spuntare Taddeo.

Giulio                              - (impazientito) Oh, senti: se mi parli in geroglifici, io ti giuro che mi squaglio! (Fa già l'atto di infilare l'uscio, ma lei, svelta, lo agguanta alla giacca).

Lauretta                           - Fermati, sciagurato!

Giulio                              - Mi strappi la giacca.

Lauretta                           - Se io son Rosalba... Zitto, non mi interrompere. Tu non sai, come la fantasia ha bisogno di slanci senza intoppi... Dunque, dicevo, se io son quella, tu sei l'altro... Curzio, tu sei, il mio Curzio!... (Lo conduce e piomba­no insieme sul divanetto). Che bisogno dì rivederti, amore... Che palpiti, quando mi sei lon­tano. ..

Giulio                              - (lasciandola fare) Oh, guarda...

Lauretta                           - Zitto!... (Gli si stringe accanto come infreddolita) Ma che c'è voluto, sai, per giungere alla felicità di quest'ora!... Non vo­leva muoversi, lui... e io allora: Ahi!...

Giulio                              - Un capello bianco! (Ride).

Lauretta                           - Poi, trac! un secondo.

Giulio                              - Che cara!... (Le prende una manuccia e gliela stringe).

Lauretta                           - E poi non bastava... C'era Do­rina che mi paralizzava...

Giulio                              - Dorina?

Lauretta                           - Non me lo nominare.

Giulio                              - Sei tu che la nomini.

Lauretta                           - (con un sospiro) E poi ancora la mia mosca... Il rimorso...

Giulio                              - (col gesto di scacciarle la mosca) Via, via, brutta mosca!... E' velata.

Lauretta                           - Che caro! (Gli poggia la testina sulla spalla) Parlami, parlami... Ridimmi di quel giorno... Oh, quel giorno... La luna...

Giulio                              - Le scale...

Lauretta                           - Le due porte...

Giulio                              - La chiave...

Lauretta                           - .Sì, amore, « la chiave »... Ri­petimi, come quel giorno, tutte le belle parole che sai, anche quelle in libertà che non sai... (Socchiude gli occhi nel palpitare delle ciglia) Che dolcezza in questo momento!...

Giulio                              - Oh, senti... Curzio o non Curzio... Chiamami un po' come vuoi... Ma qualunque Curzio, in questo momento, sarebbe il Curzio che intendo io!... (La prende, la stringe: lei gli si abbandona con la testina rovesciata, e lui la. tempesta di baci appassionati) Sì, mia ve­spa, mio tormento, mio bel diamante insieme! Tutte le parole che vorrai, e i baci in libertà, per bruciare con te, oggi, domani, sempre sino alla consumazione nostra, in tutti i secoli (Se­guita a tempestarla di baci).

Lauretta                           - (languida) Ora basta, amore.

Giulio                              - Perché basta?...

Lauretta                           - (vuol sciogliersi) Perché così.

Giulio                              - Sul più bello?...

Lauretta                           - (si divincola e si alza di scatto) Ti ho detto basta!... (Si allontana, ombrata, prende su quel mobiluccìo a destra lo spec­chietto d'argento e si ricompone i capelli).

Giulio                              - Ma che ti piglia?...

Lauretta                           - Niente, una gran voglia di pian­gere.

Giulio                              - (dal divanetto, lanciandole una guar­data storta) Ho capito... Tramonta la luna... (Sogghigna) Chissà che fatica devi fare...

Lauretta                           - A ravviarmi i capelli?...

Giulio                              - (seccato) No. Parlo della luna... la nostra luna... A farla sorgere e tramontare in un momento!

Lauretta                           - E' facile. (C'è lì sul mobiletto anche lo scotolino per il trucco). E' come met­tersi il belletto. (Si passa e ripassa, il lapis sulle labbra per accenderle di rossetto).

Giulio                              - E io me lo tolgo!... E' il tuo co­loracelo che certamente mi è restalo. (Si stro­fina stizzosamente la bocca col fazzoletto).

Lauretta                           - Bravo!... Riprendiamo i nostri volti... Tu ritorni garbato, e io...

Giulio                              - E tu ti rimetti a piangere. (Sog­ghigna ancora) Musica !

Lauretta                           - Sì, a piangere, a piangere! Tu lo dici così per dire una sciocchezza: senza pensare che la tua sciocchezza mi coglie in pieno vero... Sissignore, a piangere!... (Gli si pianta di fronte con le mani sulle reni) Che ne sai tu?... E Renato che ne sa? Per te, per lui, in generale per tutti gli uomini, sin dalla crea­zione del primo uomo - scimmione certamen­te - la donna è stata sempre guardata da un solo punto di vista, rimasto in voi ingenito, sin dalla prima che avete visto fare il bel salto di scimmietta, per sgranocchiarsi anche lei, po­veraccia, il suo buon frutto acerbo, sul ramo dondolante in mezzo al verde... Che spasso: avete detto... e vi siete divertiti un mondo.

Giulio                              - Fin qui, mi pare, niente di male.

Lauretta                           - C'è il male. Il male è questo sen­tirci, per il vostro gusto, sempre scimmiette, che spesso ci offende e ci fa tentare, per gusto nostro, gli altri bei salti che poi, il più delle volte, ci lasciano stucche e non ci divertono un bel niente.

Giulio                              - E allora?...

Lauretta                           - E allora... Voi, quando voltate le spalle, vi date una scrollatina e accendete urta sigaretta... e noi, poverette, si resta col nostro tormento.

Giulio                              - Io, vedi, non ho ancora acceso la sigaretta! (Ride).

Lauretta                           - Oh, puoi fumarla!...

Giulio                              - (di scatto, alzandosi) No!... e ne ho una matta voglia!... Questi sono i sacrifici che, per quelle scimmiette, noi uomini sappia­mo fare.

Lauretta                           - Figurali!... Stiamo fresche...

Giulio                              - Andiamo, andiamo... (Vuol pren­derla dalla vita; lei .n dibatte, ma finisce per restarvi presa) Non essere cattiva... Cambia la tua musica, Lauretta... Torna Rosalba, come prima... io mi struggo, vedi, per ridiventare Curzio, come dianzi, sul divanetto.

Lauretta                           - (sbottando a ridere) Curzio.

Giulio                              - (stringendola) Il tuo Curzio.

Lauretta                           - E se tornasse in questo mo­mento, Taddeo?...

Giulio                              - Non me lo nominare!

Lauretta                           - E' sanguinario. Ci sbranerebbe!

Giulio                              - Che infamia! (Restano un momen­to silenziosi e abbracciati).

Lauretta                           - (sollevando il viso nel palpitare de­gli occhi) Curzio, dimmi, se io fossi tua mo­glie, la tua moglietta?...

Giulio                              - (con una piccola smorfia) Ecco, per essere franco... mi piaceresti meno.

Lauretta                           - Villano!... (Si divincola subito e si allontana).

Giulio                              - (ridendo) Ma sì, cara... il frutto proibito... il ramo che penzola con la scimmiet­ta... (Le si avvicina) E tu allora... tu dunque... Se io fossi tuo marito?

Lauretta                           - (brusca) Devo dirtelo?

Giulio                              - Sì, cara... dimmelo.

Lauretta                           - Avrei un amante: Taddeo!

Giulio                              - Deliziosa! divina!... Mi elettrizzi.

Lauretta                           - (subito, col gesto per farlo tacere) Non ti elettrizzare troppo... zitto! (Stanno un momento in ascolto) Sento il suo giro di chiave... Oh Dio!... E' lui, Taddeo!

Giulio                              - (smorzato, le braccia ciondoloni) E ora che cosa gli si dice?...

Lauretta                           - (avvampando) Che cosa gli si dice?... Che sei venuto per tentarmi, per insi­diarmi, per rubare la mia e la sua pace!...

Giulio                              - Sei matta?

Lauretta                           - (precipitandosi e chiamando) Taddeo!... Taddeo!... (Sparisce dall'uscio di fondò).

Giulio                              - (agitato, piombando sul divanetto) E' matta!... Aspettami, sì, un'altra domeni­ca!... Ora come me la cavo?... Che gli dirò?... Neppure un temperino per difendermi!

(La voce tonante di Renato dall'anticamera: « Curzio ?!?... Curzio, hai detto ?!...». E su­bito un precipitar di passi per inseguirsi, e su­bito Renato sulla porta, roteando gli occhi, e Lauretta che gli si aggrappa disperatamente).

Renato                             - Voi!... Voi, Curzio!... Voi che credevo un amico!...

Giulio                              - (balbettando) Non so perché devo essere Curzio... e non... non... dovrei essere un amico.

Renato                             - (minaccioso) Voi, un amico?...

(Ma non sa più reggere lo scherzo suggeri­togli dalla moglie, in quell'attimo, in antica­mera, e scoppia in una risata. Scoppia a ridere anche Lauretta. Scoppia a ridere, in ultimo, sforzandosi, anche Giulio).

Giulio                              - (rinfrancato, alzandosi) Ah!... do­vevate dirmelo...

Lauretta                           - Che paura!... (Seguitando a ri­dere tutti e tre).

Renato                             - E' quella matta di mia moglie... Ha letto una mia novella... capirete.

Lauretta                           - Perdonatemi, Solari... Siete troppo di spirito per non stare agli scherzi.

Giulio                              - Oh, figuratevi. Se c'è da ridere, mi ci metto subito anch'io nella novella... Per quel Curzio, vi assicuro, già mi ci prendevo gusto. (Ride).

Lauretta                           - (a Renato) Gli dicevo, dianzi, della tua novella.

Giulio                              - Come fate per avere tante belle idee?...

Renato                             - Come faccio?... La vita, caro... basta guardarsi intorno...

Giulio                              - Ero venuto un momento per espri­mervi la mia grande ammirazione per « Com­pare Jesu » e riportarvi il fascicolo. (Si tocca la lasca) Che testa! Credevo d'averlo in tasca!

Renato                             - Non importa. Ce lo riporterete un'altra volta.

Giulio                              - Grazie. (Si stringono le mani). Ora vi levo il disturbo.

Renato                             - Oh, per noi...

Giulio                              - No, no... Per voi, il lavoro... e per me, la domenica... i miei svolazzi abituali...

Renato                             - Beato voi.

Giulio                              - Non troppo. Vi giuro che non troppo. Qualche volta negli svolazzi si lascia qualche penna...

Renato                             - (con malizia) Capisco...

Giulio                              - (bacia la mano di Lauretta) I miei omaggi, signora.

Lauretta                           - (accompagnandolo all'uscio) Un'altra volta, spero, non pili cinque minuti soli come le visite dei medici.

Giulio                              - Oh, figuratevi!... (Lo sguardo tru­ce) Con che letizia!...

(Lauretta ride, escono insieme parlando, e dopo poco Lauretta torna).

Renato                             - (in piedi, davanti alla scrivania, met­tendo in ordine i suoi foglietti) E' andato quell'idiota?...

Lauretta                           - Andato.

Renato                             - Finalmente... Morivo d'impazien­za... ero tornato scalmanato... (Fa dei gesti larghi, come per dire: tu sapessi!) Non ve­devo l'ora...

Lauretta                           - Non capisco...

Renato                             - Non capisci?... Il lampo!... quel tale lampo... (L'abbraccia) Tu, cara, tu che me l'hai suggerito.

Lauretta                           - Io?... quando?...

Renato                             - Ma come!... Trac: un capello bianco!... Trac: un secondo!... Capisci?... Ma è lei, non la vedi?... La donnetta della mia novella!... (Ride). Le sue spiritose trovate per farlo uscire dai gangheri e levarselo dai piedi.

Lauretta                           - Chi?

Renato                             - Il marito, santodio!... Taddeo, quello della novella... (Ride) L'astuzia deli­ziosa per trovarsi sola!... Perché lei, la monel­la, aspettava il suo amante!

Lauretta                           - Cui zio?... (Ride).

Renato                             - Curzio, sì, Curzio!... Ed ecco la mia novella bell'e fatta. (Bacia la moglie) Vedi bene, cara, niente tragedie e niente precipizi!... Lui danza...

Lauretta                           - Aspetta!... (Corre in fondo dove c'è anche un grammofono. Lo monta, lo ca­rica, e si sente subito la musica d'un jazz-band).

Renato                             - Brava!... Lui danza, e noi lascia­molo danzare!

Lauretta                           - Lasciamolo danzare!... (Ridono tutti e due).

Renato                             - Ora, buona, eh?... Lasciami scri­vere... Butto giù in un momento e poi son tuo.

Lauretta                           - Sì, caro... Sì, Taddeo.

(Renato si è seduto alla scrivania e si mette a scrivere. Il grammofono seguita a suonare. Lauretta va alla finestra, guarda nella strada e saluta Giulio col fazzoletto).

FINE