In nome del papa re

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SERAFINO – Dato in Roma dì 22 del mese di ottobre dell’anno del Signore 1867

In Nome del Papa  Re

di Luigi Magni

1977

Versione teatrale di Antonello Avallone

2009

Personaggi

Monsignor Colombo

Serafino

Contessa Flamini

Don Marino

Cesare Costa

Gaetano Tognetti

Giuseppe Monti

Teresa

Cardinale

Gesuita

Capo dei “Bravi”

Guardie, carcerieri, bravi

Scena uno

Casa di Monsignor Colombo. Porta di ingresso a destra, porticina di una cantina in prima a sinistra, porta di interno seconda a sinistra. Arredi, due scrivanie,una poltrona, tenda grande sul fondale che, alzata, darà luogo agli altri spazi dell’azione.

Colombo sta dettando una lettera al Perpetuo Serafino

SERAFINO               - Dato in Roma, dì 22, del mese di ottobre dell’anno del Signore 1867

MONSIGNORE        -  Beatissimo padre, il sottoscritto, monsignor Colombo da Priverno, dichiara:

SERAFINO               - Aspettate, prima mettiamo chi siete!

MONSIGNORE        - Come chi so’?

SERAFINO               - Giudice del tribunale supremo della sacra consulta….

MONSIGNORE        - Dichiara...

SERAFINO               - …Vescovo ausiliario di Itri, Sovilo e Castro dei Volsci…

MONSIGNORE                    - Dichiara!

SERAFINO                           - …Pretore del pontificio collegio di Ciociaria e terra di lavoro.

MONSIGNORE                    - A capo!

SERAFINO                           - A capo di cosa?

MONSIGNORE                    - Dei titoli! Sò finiti i titoli? Andiamo al fatto, Serafì!

SERAFINO               - Ah, come volete voi. Dov’ eravamo rimasti?

MONSIGNORE                    - A “dichiara”..

SERAFINO               - Dichiara?

MONSIGNORE                    - (pausa) Ah... Niente, ‘n dichiaro niente. Qui ce vò ‘na premessa di carattere generale.

SERAFINO               - Cancello?

MONSIGNORE                    - Scrivi. Visto lo stato miserevole, in cui versa Roma, in questi giorni di angoscia e di paura...

SERAFINO               - Di paura...

MONSIGNORE                    - …Porte della città murate a pozzolana... strade deserte, come se fosse scoppiato il colera... cannoni sulle piazze, barricate...(botto da fuori) daje! Pattuglie de Zuavi, che battono il selciato giorno e notte….

SERAFINO               - Giorno e notte...

MONSIGNORE                    - Che hai lasciato aperto?

SERAFINO               - Er  periodo.

MONSIGNORE                    - No. Sento uno spiffero, una correntina d’aria...

SERAFINO               - È tutto chiuso.

MONSIGNORE                    - E allora che è sto gelo che me corre su per filo della schiena?

SERAFINO               - È quello che ve ce core da vent’ anni, almeno da quando ve conosco io.

MONSIGNORE                    - Bande garibaldesche che battono il contado… e la rivoluzione, che dentro e fuori le mura, incalza, al grido dissennato ‘O Roma, o morte!’,….

SERAFINO                - A proposito, ma che sarà tutta sta smania de pija’ Roma, che se ne faranno poi?

MONSIGNORE                    - Gli Italiani?

SERAFINO               - Sì, gli Italiani.

MONSIGNORE                    - Te ne accorgerai. (pausa) Ma visto altresì, beatissimo padre, il tuo silenzio...

SERAFINO               - Ma je damo der tu ar papa?

MONSIGNORE                    - Beh tanto è n’ appunto, dopo ‘o correggemo.

SERAFINO               - Il tuo silenzio...

MONSIGNORE                    - Davanti al massacro compiuto dagli Zuavi pontifici nel lanificio Aiani in Trastevere, là dove i tuoi eroi da presepio hanno scannato sedici Romani...

SERAFINO               - Ma devo scrivere proprio così? Contestuale?

MONSIGNORE                    - Perchè non è vero?

SERAFINO               - Va beh, va beh, tanto è un appunto, poi dopo correggemo.

MONSIGNORE                    - No. Questo rimane così

SERAFINO                - Ma adesso ve la pigliate pure co li Zuavi, gente accorsa da tutto er monno pe’ risponne all’accorato appello del pontefice? Cristiani veri! De fede!

MONSIGNORE                    - (fa il segno dei soldi con le mani)

SERAFINO                           - Va beh,  so’ pagati bene... però ce difendono!

MONSIGNORE                    - Contro Giuditta Tavani Arquati?

SERAFINO               - E chi è?

MONSIGNORE                    - Una delle sedici vittime del lanificio.

SERAFINO               - (critico) Aaah, annamo bene.

MONSIGNORE        - Ma come... l’hanno scannata come ‘na capra, j’hanno infierito a baionettate sul cadavere, oh! Una donna di quarantadue anni, gravida, che te vie’ incontro col figlioletto al collo...

SERAFINO               - (lo interrompe) E ‘a pistola ‘n mano.         

MONSIGNORE        - Ah, manco quella je volevi dà... Scrivi, scrivi...(butta documenti nel camino)

SERAFINO               - Volete brucia’ la casa adesso?

MONSIGNORE                    - È la tua?

SERAFINO               - Ah, pe’ mme potemo pure brucia’ ‘l tavolino, ‘e ssedie, tutto...

MONSIGNORE                    - Il sottoscritto! Eccettera, eccetera... ferito da questi avvenimenti, e dopo alcune notti passate insonne...

SERAFINO               - Insonne...

MONSIGNORE                    - Insonne! Ad ascoltare la voce della coscienza e l’esplosione delle bombe alla Orsini, che ormai a Roma scoppiano dappertutto...

SERAFINO               - Dappertutto...

MONSIGNORE                    - Però hai notato? Stanotte non s’è inteso manco un botto.

SERAFINO               - Eh. Non è ancora detto...

(si sente una forte esplosione, al Monsignor cadono di mano le carte)

MONSIGNORE                    - Ma portassi pure iella, tu!

SERAFINO               - Casomai so ‘n presago!

MONSIGNORE                  - Eh, lo stavo per dì pure io. (chiude la finestra, getta fogli a terra) Dov’eravamo rimasti? Ho perso il filo.

SERAFINO               - Il discorso è sempre retto dal sottoscritto, e cioè da voi.

MONSIGNORE                    - Ecco.  E qui riacchiappiamo “dichiara.”

SERAFINO               - Dichiara?

MONSIGNORE                    - Dichiara fin da adesso la sua indisponibilità per i processi penali, che in conseguenza dei fatti ricordati, ipso facto, seguiranno. E prega pertanto la Santità Vostra, di esonerarlo per il prosequio dall’incarico di giudice, e da tutte le mansioni attinenti a esso ufficio.

SERAFINO               - Ve chiamate fori?!

MONSIGNORE                    - Stiamo al  “redde  rationem”, Serafì. E’ il punto di arrivo di un lungo travaglio interiore.

SERAFINO               - E proprio adesso?

MONSIGNORE                    - Eh sì, una crisi di coscienza mica sceglie il momento, arriva quando je pare a lei.

SERAFINO                - E guarda caso v’ ariva quanno che stanno p’ ariva’ l’italiani. Sarà na coincidenza, ma se fossi papa io, me farebbe ‘na bruttissima impressione.

MONSIGNORE                    - Sarà una coincidenza, ma anche se fossi papa tu, io guarda caso, me so rotto li cojoni proprio adesso!

SERAFINO               - Voi! Voi che siete sempre stato il più fedele servitore del trono e dell’altare... che avete punito con mano ferma e giusta i ribelli, l’assassini, i sicari! Voi non potete! Se adesso trema la mano a voi, è finita!

MONSIGNORE                    - Serafì... Qui non finisce perchè arrivano gli Italiani, qui, arrivano gli Italiani proprio perchè è finita.

SERAFINO               - Io ‘n capisco.           

MONSIGNORE        - Non importa. Tu metti solo a chiude: prostrato come sempre al sacro piede, distinti saluti, Colombo da Priverno….(riferendosi al contenitore su cui ha fatto i sulfamidici) E butta quella zozzeria laggiù

Serafino esce dalla porta principale

Scena due

Casa di Cesare Costa. Cesare, Giuseppe, poi Flaminia

CESARE           - Buonasera!

TERESA            - Buonasera Marì.

GIUSEPPE        - Sera.

MARIA             - E Gaetano?

CESARE           - Adesso viene. Si è fermato un momento giù al cantiere.

MARIA             - (all’altro uomo) Voi restate a magnà un boccone con noi?

GIUSEPPE        - No, grazie sora Marì, vado a casa. C’è Lucia sola con le creature, come si fa?

MADRE            - Ah.

GIUSEPPE        - Resto solo un minuto, così saluto Gaetano.

MARIA                (guarda Cesare)

CESARE           - Mò viene.

MARIA             - Ma davero non volete restà?

GIUSEPPE        - No, davero, senza complimenti. (sente il rumore) Eccolo, va’.

TERESA            - Ma che viè, in carozza? Ha fatto i sordi?

GIUSEPPE        - E’ la contessa Flaminia

Entra la contessa Flaminia.

FLAMINIA       - Grazie a Dio ci siete tutti. No! Manca Gaetano. Dove sta?

CESARE           - Viene subito.

FLAMINIA       - Avete fatto un bel capolavoro.

CESARE           - De che?

FLAMINIA       - Che ha fatto il comitato rivoluzionario dopo il massacro al lanificio? Non ha estratto a sorte tre nomi per un’azione di rappresaglia?

CESARE           - E io che ne sò.

FLAMINIA       - Ah tu non lo sai? Allora sappi che questi nomi stanno già sul tavolo della polizia. Perchè grazie a Dio a Roma le spie non mancano mai. E stando al fatto che stanotte è saltata per aria la caserma degli Zuavi, si suppone per rappresaglia, voi che dite che gli succederà a sti tre?

GIUSEPPE        - Ma chi so’ sti tre?

CESARE           - E che ne so?

FLAMINIA       - Chi so’? Uno è Giuseppe Monti. ( a Maria)L’altro è Gaetano Tognetti, il figlio vostro. Il terzo sei tu: Cesare Costa.

MARIA             - Cesarì, tu m’hai detto sempre la verità: Gaetano torna a cena o devo levà

                              ‘l piatto?

CESARE           - Torna.

MARIA             - (alla contessa) Beh, consolatevi: voi avete un figlio solo in pericolo, io ce ne ho due. Perchè il figlio vostro l’ho cresciuto come se fosse mio. Qui non è un segreto per nessuno.

TERESA            - Poi che ce frega chi è il padre, la madre...

MARIA             - Bona.

GIUSEPPE        - Oh! Oh! Qui bisogna taglia’ la corda.

FLAMINIA       - Meno male che l’avete capita. Io fuori c’ho la carozza. Avanti, proviamo a passare il confine.

CESARE           - Dobbiamo aspetta’ Gaetano.

FLAMINIA       - Ma qui non si può più aspettare nessuno! Maria diteglielo pure voi!

CESARE           - Buoni! Con l’agitazione non si risolve niente; e noi dovemo restà qui. A ma’, grazie per le informazioni, ma adesso è meglio che ve ne annate. Voi non ce sapete vive nella congiura.

MARIA             - Neanche noi. Però ce se semo abituate.

CESARE              Passate da st’artra parte. (la contessa esce)

Gaetano bussa alla porta della casa.

GIUSEPPE        - E’ Gaetano.

CESARE           - Allora?

MARIA             - Parla. Tanto so tutto.

GAETANO       - Ho fatto il conto: a tutt’adesso 23 cadaveri de zuavi sono stati estratti da sotto le macerie. Ma che avemo fatto?

CESARE           - Che avemo fatto? Giuditta Tavani Arquati è vendicata. Allegri ragazzi!

Bussano all’entrata

VOCE                - In nome del papa re, aprite!

MARIA             - Allegri un cazzo, figlio.

                                           Scena tre

Interno dell’abitazione del Monsignor Colombo, intento a cantare con Serafino un canto sacro. Sono tutti e due in camicia da notte. Serafino, poi, pensieroso, si interrompe

Ave Maria

Ave Maria, Benedicta  tu in mulieribus

Et benedictus,    

benedictus  fructus ventris

ventris tui, Jesus

Ave Maria

MONSIGNORE        - Oh, Serafì!

SERAFINO               - No scusatemi, stavo a penza’... mo che non volete più fa’ il giudice, che farete nella vita?

MONSIGNORE        - Faccio il prete, non basta?

SERAFINO               - Sì, ma... c’avrete sempre diritto all’appannaggio?

MONSIGNORE        - Mò che è st’ appannaggio?

SERAFINO               - Io! Un prete, solo un prete...

MONSIGNORE        - Un prete semplice...

SERAFINO               - …Sì, semplice…. ha diritto al Perpetuo?

MONSIGNORE        - E che ne so? Può esse pure de no. In caso ce rinuncio

SERAFINO               - E così, dopo venti anni di servizio che non ho mai visto ‘na lira che è ‘na lira, uno me dice: te saluto, arrivederci e grazie. Ma lo sapete quanti soldi sono in moneta vent’anni d’aretrati?

MONSIGNORE        - Serafì, tu sei l’amministratore della casa, c’hai la cassa, pijate tutto.

SERAFINO               - E che me pijo? ‘N c’è niente!

MONSIGNORE        - Allora non te pij niente! Ma che voi da me? Io te posso solo benedì.

SERAFINO               - E basta?

MONSIGNORE        - E te lo fai bastà.

Bussano.

SERAFINO               - Bussano eh?

MONSIGNORE        - E apri!

SERAFINO               - A gratis?

MONSIGNORE        - E allora non aprì, fa come te pare.(cerca un pitale in un mobile)

SERAFINO               - E va be’, c’ha sempre raggione lui! (va ad aprirelentamente) Coro…

MONSIGNORE        Sta attento che così te poi pure rompe ‘n femore

 SERAFINO              La contessa Flaminia! Prego...

Scena quattro

Entra la contessa.

FLAMINIA               - Scusatemi, Monsignore se v’ ho disturbato.

MONSIGNORE        - (nascondendo il pitale dietro le spalle)No, scusatemi voi, se vi ricevo così.

SERAFINO               - Ma siccome che stavamo p’ anna’ a letto... (gli leva il  pitale dalle mani)

MONSIGNORE        - (a Serafino) Oh! E mannaggia... (alla Contessa) Prego...

FLAMINIA               - (si inginocchia) Salvatelo! Voi che potete, per carità salvatelo! E’ stato arestato stanotte co’ altri du’ compagni, l’hanno portati alle carceri nove, hanno fatto salta’ la caserma de li zuavi...

MONSIGNORE        - Sì, ma metteteve comoda, rialzateve... Hanno fatto saltare la caserma?!

FLAMINIA              - A voi nun mancherà er modo, potete tutto a Roma, e io c’ho solo lui nella vita, nun c’ho artro.

MONSIGNORE        - È il vostro amante?(vede Serafino che non è ancora uscito)

                                   Serafì, ma te ne voj anna’ ?! (Serafino esce)

FLAMINIA               - Da voi non me l’aspettavo.

MONSIGNORE        - Beh, è quello che si dice.

FLAMINIA               - Lo dice anche mio marito che per amante ho un ragazzino. Ma detto da lui è normale.

MONSIGNORE        - Va beh, ma allora chi è?

FLAMINIA               - È mio figlio.

MONSIGNORE        - Voi avete un figlio. Io non l’ho mai saputo!

FLAMINIA               - E difatti non ho mai voluto che lo sapesse nessuno. Perrò adesso, date le circostanze, so’ costretta a divvelo, ma solo a voi.

MONSIGNORE        - No ma fateme capì: uno che va in giro a fa saltà le caserme sarà pure grande!

FLAMINIA               - No, è piccolo, c’ha 19 anni. È ‘n passerotto.

MONSIGNORE        - Un passerotto bombarolo!

FLAMINIA               - È del 49, figlio della rivoluzione, apposta è cresciuto così. Ve lo ricordate?

MONSIGNOR           - Eh, e chi non se lo ricorda il ‘49! Sparavano dappertutto! Garibaldi a cavallo sul Gianicolo.

SERAFINO               - (rientrando) …Luciano Manara a Villa Spada…

MONSIGNORE        - Ma chi ti ha chiesto niente!

SERAFINO               - La Repubblica!

MONSIGNORE        - Ecco, la Repubblica, un gran casino! Va’. (Serafino riesce)

FLAMINIA               - Sì, ma per un attimo ci avevamo creduto pure noi.

MONSIGNORE        - Voi. Io facevo il lavoro mio, assistevo i moribondi...

FLAMINIA               - E io ndo’ stavo?

MONSIGNORE        - Ah già, voi eravate infermiera volontaria.

FLAMINIA               - Più che altro cercavo de rendeme utile. E poi la sera con le ossa rotta andavamo a cerca’ ‘n posto per buttarce giù a dormì, ‘ndo capitava...

MONSIGNORE        - Eh no...

FLAMINIA               - Faceva ‘n freddo...! Questo non ve lo ricordate?

MONSIGNORE        - Eh, pe’ scaldacce ce soffiavamo addosso come il bue e l’asinello....

FLAMINIA               - Se mettevamo uno vicino all’altro… stretti stretti...

MONSIGNORE        - Stretti stretti.

FLAMINIA               - Troppo stretti!

MONSIGNORE        - Pare un’eternità. Ma quanti anni so’ passati?

FLAMINIA               - Solo 19…. Tanti quanti ce ne ha mio figlio.

MONSIGNORE        - ….È curioso…… Uhm….. Ma che volete dì?

FLAMINIA               - Quello che avete capito benissimo.

MONSIGNORE        - (si alza e va verso un’immagine sacra)Ma come per una volta? Una volta sola nella vita... dopo vent’anni m’ aspetti al varco.

FLAMINIA               - Adesso avete due motivi per salvarlo: uno perchè è figlio mio, l’altro perchè è pure vostro.

MONSIGNOR          - Non lo dì, non lo dì neanche per scherzo, io so’ prete!

FLAMINIA               - Eh no! Tu sei il padre!

MONSIGNORE        - Ma il padre de chi? Che io non so neanche di chi stamo a parlà! Io non lo conosco! Non basta che un giorno una te dice:” tu c’hai un figlio” e quello si regola in conseguenza! Io... io non so’ preparato!

FLAMINIA               - Ma se aspettamo che te prepari, je tajiano la testa!

MONSIGNORE        - Niente. Non posso fa’ niente. Io ho fatto una scelta grave, decisiva. Io non so’ più niente, non so’ manco più giudice, oggi stesso ho scritto al papa, ho dato le dimissioni dall’incarico.(le fa vedere la lettera)

FLAMINIA               - Eh no! (straccia la lettera)

MONSIGNORE        - Eh, ma la decisione resta! Io l’ho presa in coscienza. Una lettera si riscrive.

FLAMINIA               - E un figlio non si resuscita, dopo che te l’hanno ammazzato.(va verso la porta, si ferma) Mettece pure questo, sul carico della coscienza. La contessa esce.

SERAFINO               - Ecco qua. Questa adesso ve la bevete calda calda e poi subito a letto. Ma che c’avete?

MONSIGNORE        - Che c’ho, niente. Preparame il vestito, devo usci’.

SERAFINO               - A quest’ora?

MONSIGNORE        - (va rapidamente verso le scale che portano in camera e sale).Anzi no. Corri appresso alla contessa Flaminia. Dille d’aspettamme davanti alle carceri nove. Io intanto vado avanti!

SERAFINO               - E le dimissioni?

MONSIGNORE        - E c’ho ripensato( entra in camera)

SERAFINO               (Va alla porta e a voce alta..) Signora Contessa, ha detto Monsignore d’aspettallo davanti alle carceri nove, lui va avanti !

(prende il vassoio e va verso la camera)

Ma chi lo capisce…so’ arrivati gli italiani perchè è finita. No, è finita perché so’ arivati l’ italiani..Me fa alza’ nel core de la notte pe’ scrive le dimissioni perché s’è rotto li cojoni…poi le butta. Die pijate tutto quelo che c’è nella cassaforte…le ragnatele me pjio. E’ che c’ha le mani bucate. Ariva uno: Monsignore avrei bisogno. E lui: Serafì daje qualcosa. Ariva n’artro: Serafì daje quarcosa.  Io mica ‘o so se è meglio che j’’o levano l’appannaggio.  

Questa ( la camomilla) è mejo che me la bevo io, così me calmo.

Scena cinque

Alle carceri nuove.

Don Marino sta interrogando i ragazzi responsabili dell’attentato

DON MARINO        - Siete voi, il nominato Monti Giuseppe?

GIUSEPPE                - Signor sì.

DON MARINO        - Siete voi, di voi tre, ad avere moglie e figli ?!!?

GIUSEPPE                - Quali tre, eccellenza?

DON MARINO        - Voi e quegli altri due che sono stati arrestati in casa Tognetti.

GIUSEPPE                - Ah perchè, ce n’erano altri due? Non c’ho fatto caso.

Entra Monsignor Colombo.

DON MARINO        - Eccellenza.

MONSIGNORE        - È il primo?

DON MARINO        - Sissignore, abbiamo principiato adesso.

MONSIGNOR          - Prego, fate come se non ci fossi.

DON MARINO         - Qui, abbiamo prove sufficienti per condannarvi senza processo. Ma noi, prima di essere giudici, siamo preti. E non c’è colpa, per grande che sia, che non possa essere cancellata dal pentimento. Confessa i tuoi delitti, dichiara che sei colpevole, e per ricompensa avrai la grazia piena e intera.

GIUSEPPE                - Ah ! E va beh, so’ stato io. Però me so’ pentito e grazie per la grazia. Posso annà?

DON MARINO        - Eh no, un momento. Così non vale.

GIUSEPPE                - E perchè?

DON MARINO         - Perchè come la grazia è piena e intera, così la confessione deve essere conforme.

MONSIGNORE        - E certo.

DON MARINO         - Eh! Mica hai potuto fare tutto da solo! Portare i barili con la polvere, accendere la miccia, ci devi dire chi ti ha aiutato, almeno i nomi. Perchè solo così la confessione diventa piena e intera.

GIUSEPPE                - E solo così io divento spia.

DON MARINO        - Via, non sofisticare sulle parole! L’importante è che ti facciamo la grazia.

GIUSEPPE                - Ma siccome la fate solo alle spie, io me rimagno tutto e non me pento più. Anche perchè non so’ stato io.

DON MARINO        - E chi è stato?

GIUSEPPE                - A che fa’?

MONSIGNORE        - Lasciate perdere. Non ci cavate un ragno da un buco. Troppo smaliziato!

DON MARINO        - Avanti un altro.

Esce Giuseppe accompagnato da una guardia che dopo un po’ torna con Gaetano

MONSIGNORE        - Mi hanno detto invece, che uno degli altri due è più tenerello, quasi un ragazzino.

DON MARINO        - Oh quanto a questo tutti e due... Sono coetanei.

MONSIGNOR          - Tutti e due del 49?

DON MARINO        - Un’annata buona per il vino!

MONSIGNOR          - Embè, certo.

Entra Gaetano.

DON MARINO         - Siete voi, il nominato Tognetti Gaetano?... Vi ho fatto una domanda, rispondete!... Siete voi, il nominato Tognetti Gaetano?

MONSIGNORE        - (vedendo che il ragazzo è stato pestato)Ma che gli è successo?

DON MARINO        - Oh niente, è cascato per le scale.

MONSIGNOR          - J’avete menato, eh?

DON MARINO        - Noi eccellenza? E quando mai!

MONSIGNORE        - Uhm. Ma come, pare un Cristo alla colonna! (a Gaetano)E tu non

dici niente!

DON MARINO        - Parla, rispondi! Sua eccellenza ti ha fatto una domanda.

GAETANO               - Che devo dire?

DON MARINO        - Chi è stato a far saltare la caserma.

MONSIGNORE        - No, io voglio sapere chi è stato a menaje! Chi è che ti ha ridotto così!

GAETANO               - (osserva prima la guardia)…..Nessuno. So’ cascato da solo.

MONSIGNORE        - Va beh, va beh. Mettete seduto. Ma, siete proprio sicuro che sta creatura...

DON MARINO         - Sono tutti così. Di fuori sono angeli e di dentro sono demoni eccellenza! Non sono come noi...

MONSIGNORE        - …che semo demoni dentro e fuori. (A Gaetano) Tu sei nato a Roma?

GAETANO               - Sì.

MONSIGNOR           - Per cui sei romano proprio de famiglia. No, mica lo dico perché uno come te quando deve pija ‘na decisione mica sta a pensà alla famiglia. Perchè dico, ce l’avrai una madre?

GAETANO               - Eh.

MONSIGNORE        - E un padre?

DON MARINO        - Figuriamoci! Il padre! (ride)

MONSIGNORE        - Beh! Che c’è da ride?

GAETANO               - Io mio padre non l’ho mai conosciuto.

MONSIGNORE        - Percui, non sai neanche chi è.

DON MARINO        - Ingravidò la madre e poi non la volle neanche sposare!

GAETANO               - Non è vero!

DON MARINO        - Come non è vero!

GAETANO               - No!

DON MARINO        - (incalzando) Ci sono i rapporti di polizia!

GAETANO               - Sono tutte bugie!

DON MARINO        - (idem) Carta canta!

MONSIGNORE        - Beh, ma fatelo parlà!

GAETANO                - Non sposò mio madre per condizione sue. Aveva una missione da compiere, era un uomo di fede.

DON MARINO        - Vedete, più sono lazzaroni e più i figli gli vogliono bene.

MONSIGNORE        - Ma come lazzaroni, un uomo di fede!

DON MARINO        - Sì, ma della fede loro! Garibaldi, Mazzini! Morì in difesa della Repubblica, Antonio Tognetti!

MONSIGNORE        - Chi?

DON MARINO        - Il padre! Famoso, un cattivissimo soggetto.

MONSIGNORE        - Ma è sicuro?

DON MARINO        - Di là c’è tutto un fascicolo! Braccato da otto polizie!

MONSIGNORE        - Allora dimolo subito! Eh! Che stamo a trascinà l’interrogatorio! Se è fijo der padre... (guardando il ragazzo ha un moto di coscienza) È fijo der padre.

DON MARINO         - Appunto. Talis pater... questi sono delinquenti costituzionali, eccellenza! Di padre in figlio!

MONSIGNORE        - Mi pare che anche con questo non ci caviamo un ragno da un buco.

DON MARINO        - Io dico che se insistiamo...

MONSIGNORE        - No, troppo tosto...

DON MARINO        - Tosto?

MONSIGNORE        - Passiamo al terzo. Però se permettete quello vorrei interrogarlo da solo.

DON MARINO     (fa segno alla guardia di portare via il ragazzo)

MONSIGNORE        - L’istruttoria è vostra, io sono qui in via del tutto privata. Sono stato incaricato da una persona a cui sta molto a cuore la sorte del giovanotto, persona che per ovvie ragione di discrezione non posso nominare...

DON MARINO        - La contessa Flaminia.

MONSIGNORE        - Ah, ce lo sapete?

DON MARINO        - Ma che è l’amante della contessa lo sanno tutti!

MONSIGNORE        - Allora restate a portata di mano, perchè dopo il colloquio, può essere che ve debba chiedere un favore.

DON MARINO        - E può essere che prima ve ne debba chiedere uno io.

MONSIGNORE        - Ah, così, subito?

DON MARINO         - Beh, visto che siete a portata di mano. E poi come si dice: una mano lava l’altra.

MONSIGNORE        - Guardata che è un azzardo chiedere prima: se poi è una cosa che non potete fa’?

DON MARINO        - Ma per voi eccellenza posso fare tutto!

MONSIGNORE        - Anche far sparire il fascicolo riguardante il giovane in oggetto?

DON MARINO         - A dirvelo con franchezza, io per diventara vescovo sarei disposto a far sparire anche mia madre!

MONSIGNORE        - Nun c’annate tenero. Comunque ne posso parlare con il Santo Padre. Dite che basta?

DON MARINO        - Non saprei proprio come sdebitarmi.

MONSIGNORE        - L’avete già fatto. Non avete fatto sparire il fascicolo?

DON MARINO        - Fate conto che me lo sono già mangiato. Tutto, pagina per pagina. Guardia!

Scena sei

Nella sala dell’interrogatorio c’è una piccola prigione. Colombo, una volta che la guardia ha aperto, vi entra.

MONSIGNORE        - Ammazza che freddo che fa qua dentro. Ma non vi danno niente, una coperta, uno scaldino?

CESARE                    - Voi chi siete, er sovrintendente de ‘e carceri? No, perchè in caso c’avrei qualche rimostranza da fa’.

MONSIGNORE        - Cascherebbe nel voto, fijo. Io sono solo un giudice del tribunale, non è di competenza mia.

CESARE                   - Già, voi potete solo sega’ er collo. Noi lo sappiamo bene chi siete (fischia           imitando il suono della decapitazione)

MONSIGNORE        - E veramente non senti freddo?

CESARE                   - No, anzi, io sudo.

MONSIGNORE        - Eh beh, si capisce, sarà la giovinezza. Io invece sento sempre un gelo nell’ossa…

CESARE                   - Sarà ‘a vecchiaia.

MONSIGNORE        - Eh... E come te chiami?

CESARE                   - Me fate carcerà, e non sapete manco chi so’?

MONSIGNORE        - T’ho chiesto come ti chiami, se po’ sape’ o no?

CESARE                   - Cesare Costa.

MONSIGNORE        - E perchè Costa?

CESARE                   - Eh... E che ne so’...?

MONSIGNORE        - No dico... allora anche tuo padre fa Costa di cognome.

CESARE                   - Mi padre è fuori causa.

MONSIGNORE        - Il motivo?

CESARE                   - È ignoto.

MONSIGNORE        - Non se po’ sape’?

CESARE                   - (ribadendo) È ignoto mi padre...

MONSIGNORE        - Ah... E tua madre non ti ha mai detto chi è? Chi è, chi era...

CESARE                    - No, io capisco che adesso a voi ve piacerebbe scopri’ chissà quale retroscena, ma chi volete che sarà stato? Intrighi da salotto, da società de merda... Io comunque a mi madre nun j’ho mai chiesto niente. ‘N so’ affari mia.

MONSIGNORE        - E c’hai ragione pure te! È naturale che poi i figli crescono pieni di rancori, di veleno...

CESARE                   - No, a me me va bene tutto...

MONSIGNORE        - No io te capisco, fijo...

CESARE                   - Nun me chiamate fijo...

MONSIGNORE        - T’ho chiamato fijo?

CESARE                   - Eh sì!

MONSIGNORE        - Nun ce fa’ caso, lo usano i preti.

CESARE                   - E a me non me ce chiamate.

MONSIGNORE        - Te fa proprio tanto schifo?

CESARE                   - Ce so’ due cose ar monno che me fanno schifo: mi padre… e i preti.

MONSIGNORE        - ‘A more’, lo sai che nova c’è? Che se me volevi riusci antipatico, embè, ce se proprio riuscito. Ma è mejo così, mejo, così se levamo subito er pensiero! È inutile sta’  a crea’ rapporti sbagliati, che poi quando vai a strigne, ma a me che me ne frega, ma chi te conosce!

CESARE                   - Ah zi prè, ma che siete, mbriaco?

MONSIGNORE        - E poi guarda che l’interessamento mio è del tutto personale, proprio perchè me l’hanno chiesto, e sei pure fortunato, perchè io ho già capito: tu sei il peggio di voi altri tre.

CESARE                   - E perchè sarei fortunato secondo voi?

MONSIGNORE        - Perchè sei libero, dall’istruttoria non è emerso niente a carico tuo. Te ne puoi anna’. (apre la porta della cella)

CESARE                   - (fa per uscire, poi si ferma) Che trappola c’è li fori?

MONSIGNORE        - C’è una carrozza che ti aspetta, e dentro c’è tu’ madre.

CESARE                   - Ah, ah. Mi madre. E allora ho capito tutto.

MONSIGNORE        - Che hai capito?

CESARE                   - E ho capito pure il vostro interessamento personale.

MONSIGNORE        - E cioè?

CESARE                    - Ah zi prè! Anche se di padre ignoto, so’ sempre un rampollo della nobiltà romana, e la nobiltà è devota al papa Re. E la rivoluzione chi la fa, chi la fa?

MONSIGNORE        - No, dillo te.

CESARE                    - La fa il popolo proletario, i poveracci, chi non c’ha niente de suo. E se uno della mia estrazione si unisce alla ignobile plebaglia non se po’ dì. O se po dì?

MONSIGNORE        - No, tu me devi dì solo quanto devo restà con sta porta aperta, me sto a pija na pleurite!

CESARE                   - Ma perchè non la chiudete! (fa per chiudere, il monsignore lo ferma)

MONSIGNORE        - Approfitta... la libertà sta in fondo al corridoio.

CESARE                   - Embè, al cesso. E lì che l’avete messa, zi prè?

MONSIGNORE        - E non mi chiama’ zi prete, io nun so’ tuo zio!

CESARE                    - Ce mancherebbe solo questa... m’ammazzerei da la vergogna. (va in fondo alla cella)

MONSIGNORE        - Richiudo?

CESARE                    - Ma come potete pensà che me ne vado e lascio i compagni miei qui dentro? Ma per chi mi avete preso!?

MONSIGNORE        - (esce, chiude poi riapre) Guarda che ho richiuso, eh?

CESARE                   - E avete fatto bene.

Scena sette

Vicino alla porta d’uscita della prigione

DON MARINO        - Allora?

MONSIGNORE        - Eh?

DON MARINO        - Non ve lo portate via?

MONSIGNORE        - Ah già. Andatelo a prendere, va’.

DON MARINO         - Subito. (Manda due guardie, si sentono delle colluttazioni) Non vuole venire.

MONSIGNORE        - Ma caro don Marino, se voleva venì me l’ero già portato via da me!

DON MARINO        - E allora che facciamo?

MONSIGNORE        - Eh! Se siete capaci di carcerà la gente a calci e botte, sarete capaci di scarcerarla alla stessa maniera!

DON MARINO        - Ma è una procedura anomala! Non è mai successo!

MONSIGNORE        - Eh beh, succede adesso! Je date due calci e via!

Don Marino entra. Si sentono dei rumori di dentro, calci, pugni. Riescono lui e due guardie che sostengono Cesare, svenuto.

MONSIGNORE        - (che era rimasto nella zona interrogatorio, vedendoli uscire e

vedendo Cesare svenuto) Ma che gli avete fatto?

DON MARINO        - Niente...

MONSIGNORE        - Io avevo detto du calci...

DON MARINO        - Non sono bastati!

                                                             BUIO MUSICA

                                                               Scena otto

Casa di Monsignor Colombo. (Colombo è addormentato sulla scrivania)

SERAFINO               - Grazie a Dio, ‘na bellissima giornata. Monsignore! Monsignore!

MONSIGNORE        - Eh!

SERAFINO               - (guardandolo in faccia) Mamma mia che spavento! Che state a fa’ a quest’ora in poltrona?!

MONSIGNORE        - E che ne so? Ah, me sò appoggiato un momento a riflette e me devo esse addormentato. (tossisce)

SERAFINO               - Senti, senti, che grancassa! Ma nun era meglio se v’ appoggiavate al letto, al caldo, eh?

MONSIGNORE        - E che uno va a letto alla mattina? Sono rientrato tardi ieri sera, mi sono messo a scrivere al papa e... e s’è fatto giorno. Tiè.( gli porge la lettera) Ho ridato le dimissioni.

SERAFINO               - Beato chi ve capisce.

MONSIGNORE        - Domani gliele porti. (tossisce, poi prende un biscotto) Questo l’hai mozzicato tu?

SERAFINO               - Io? E che ve davo, l’avanzi miei?

MONSIGNORE        - È un mozzico...

SERAFINO               - È che  la cucina è piena de topi, se vede che so’ arrivati alla credenza e hanno rosicchiato un po’.

MONSIGNORE        - Ah... (mangia) So’ creature de Dio...

SERAFINO               - Si... Che brutta faccia che avete

MONSIGNORE        - È la faccia della cattiva coscienza. Stanotte ho commesso un’ingiustizia.

SERAFINO               - Chi fa ‘l giudice qualche volta è ingiusto.

MONSIGNORE        - Serafì! Che fa il pecoraro se se perde ‘na pecora?

SERAFINO               - Torna indietro, e la riporta nel gregge.

MONSIGNORE        - E se se ne perdono altre due?

SERAFINO               - Proprio sfortunato sto pecoraro, eh?

MONSIGNORE        - Tu rispondi a me: che fa?

SERAFINO               - Torna indietro, e va a cercare le altre due.

MONSIGNORE        - Ecco! Io questo stanotte non l’ho fatto.

SERAFINO               - Va beh. (prende il vassoio e va verso la porta della camera)Il gregge va, e se qualche pecora se perde, tante volte il pecoraro neanche se ne accorge. Mica è colpa sua.

MONSIGNORE        - Ah, e ‘a  risolvemo così? Eh... E poi il gregge... qual è il gregge giusto? Quando le perdi e poi le riporti, lo sai qual è il gregge giusto? Lo sai tu?

SERAFINO               - Eh... Io sarò pure un cojone, ma la penso in un altro modo.

MONSIGNORE        - Sentiamo. (Serafino prende il vassoio Ed esce) Oh! Nun se po’ sapè? Ma che è, un segreto?

SERAFINO               - (torna indietro)Er  gregge va de qua, va de là, va  ‘ndo’ capita... quello che conta è il pascolo, perchè il pascolo è tutto del Signore.

MONSIGNORE        - Serafì adesso ho capito perchè non ti sei fatto prete.

SERAFINO               - Io?

MONSIGNORE        - Tu sei un’anima eletta! Tu quando morirai non puzzerai di morto, odorerai di fiori, di violette, di balsamo!

SERAFINO               - Ma, insomma...

MONSIGNORE        - Sarai un cadavere fragrante, e io mi inchino profondamente...

Bussano.

SERAFINO               - Bussano eh?

MONSIGNORE        - E chi è?

SERAFINO               - Ah, pe’ mme non è. Voi aspettate gente?

MONSIGNORE        - No no, io non aspetto più nessuno, quello che potevo fà l’ho fatto, l’ho fatto pure male, oh! Io non ce so’! Non ce so’ più per nessuno! (va dentro)

                                  

Scena nove

Entrano tre uomini che hanno portato via Cesare dal carcere, con cesare imbavagliato.

CAPO                        - Monsignor Colombo?

SERAFINO               - Non c’è, non c’è più per nessuno!

CAPO                        - (estrae una pistola) Chiamalo, che è meglio!

SERAFINO               - (spaventatissimo)Monsignore! Monsignore! Monsignore!

MONSIGNORE        - (riuscendo dalla porta interna)E meno male che ‘n c’ero per nessuno!

SERAFINO               - Monsignore!

MONSIGNORE        - Che è? Che succede?

CAPO                         - Scusate ma questo appena ripijati i sentimenti s’è messo a strillà, come lo passavamo er confine?

MONSIGNORE        - E l’avete portato qui!

CAPO                         - Eh, ma se lo riportavamo dalla signora contessa, il conte Ottavio... voi lo capite? Qui ce vo’ un posto sicuro!

MONSIGNORE        - Va bene, ma io dove lo metto?

UOMO                       - (indicando una porticina ) Qui che c’è?

MONSIGNORE        - Ma lì c’è un ripostiglio, una cantina...

SERAFINO               - C’è sta pure la cassaforte...

MONSIGNORE        - Ma te voj sta’ zitto!

UOMO                       - E mettemolo qui!

MONSIGNORE        - Calma, calma! Andiamo per ordine! Ma come, io sono giudice, nascondo gli imputati! (a Cesare, che è imbavagliato)Adesso se ti sciolgo che fai, strilli?

CAPO                        - Monsignore non ve fidate

MONSIGNORE        - E invece io me fido. Anche perchè se strilla je do un cazzotto in bocca. (toglie il bavaglio a Cesare) Visto? A stì ragazzi, bisogna daje un minimo di fiducia. Se no per forza che poi si ribellano, diventano...

CESARE                    - Aiuto! Aiuto! Fatemi... (Cesare prova a scappare e Capo lo tramortisce con un pugno)

MONSIGNORE        - Ma no così, eh!

CAPO                        - Ma questo ce fa carcera’ a tutti quanti!

UOMO                       - Monsigno’, ndo lo mettemo?

MONSIGNORE        - E ndo lo mettemo? Mettemolo là dentro! (indica la porticina)

CAPO                        - E io che avevo detto? Daje!

MONSIGNORE        - Aspettate, vi faccio un po’ di luce, ce stanno tre scalini. Serafino!

CAPO                         - Non vi preoccupate, che noi ce vedemo come li gatti! (entrano portando Cesare  a braccia)

MONSIGNORE        - Eh!

Si sente un tonfo forte

SERAFINO               - Ma che succede?

MONSIGNORE        - So’  i gatti.

CAPO                        - (di dentro) È cascato Cesarino.

MONSIGNORE        - S’è fatto male?

CAPO                        - (idem, sminuendo)Niente, ‘n s’è fatto niente.

MONSIGNORE        - (a Serafino) Sbrigati.

SERAFINO               - Ma chi è sto Cesarino?

MONSIGNORE        - Cesarino è... Ma che vuoi sapè? Ma che te devo dì tutto? Va, va... mi pare che cominciamo a esagerà con ‘sta confidenza!

                                                            BUIO MUSICA

SCENA  9 BIS

Canzone di Teresa

di Tosto - Cenci

DICONO CH’È COSÌ CHE VIÈ L’AMORE

Quanno ch’er sole se ne va a nisconne

dietro dell’artra parte de la Terra

che nissuno po’ dì dove se trova

un pensiero me pija e me confonne

È come un soprassarto

na spina dentr ar petto

na scossa de tremore

un botto a capoletto

un nun so che ner core

che strigno la coperta

e ner sogno me incarto

Dicono ch’è così che viè l’amore

lacrima de na stella sperza in cielo

che me verrà a bagnà mentre che dormo

e ce straformerà in farfalla e fiore

Io me l’inzogno cor sorriso tuo

che me vieni a svejà cor primo sole

pe pijamme cor vento de carezze

e damme er primo bacio de matina

Ma qui sta notte nun fenisce mai

che si ciavessi l’ale me n’andrei

a chiedeje a le stelle ndo’ sta er Sole?

chi si nun torna lui nun viè l’amore

Caccia sto scuro

tira su er sipario

riaccenni er foco

famme vedé Roma

famme capì che c’è

dietro sto muro

de fumo de cannele e incenzo nero

Abbasta de giocà a sta moscacieca

nun vojo più sta pezza sopra all’occhi

famme capì er colore dove sta

e allora troverò sta libertà

Scena dieci

Colombo, seguito da Serafino,entrano in scena dalla camera, in camicia da notte. Serafino è mezzo addormentato

MONSIGNORE        - (prima, di dentro, si sente discutere)Hai finito de bofonchia’?Ma se te dico che non riesco a dormi!

SERAFINO               Ma ‘nd’annamo a quest’ora de note,sembrano du’ fantasmi

 MONSIGNORE       Lo sai com’è, capitano quelle notti che…

SERAFINO               - (si riappoggia sul tavolo+  e dorme)

MONSIGNORE        - Ma che fai, dormi?

SERAFINO               - Non posso?

MONSIGNORE       - Ma come, sei voluto veni’ a dormi’ nella camera mia, hai detto: semo vecchi, c’avemo il sonno leggero, frammentario, mettemose insieme.. così schiacciamo due ave marie, famo du’ parole...

SERAFINO              - Questo l’avete detto voi. Io appena metto la testa sul cuscino m’addormo come ‘n sasso.

MONSIGNORE       - Ma allora che stamo a fa’ insieme, potevi resta’ in camera tua! Eh! E poi fai un casino quando stai a letto, te volti, smanii, rantoli, discorri nel sonno, eh!

SERAFINO               - Ma guardate che siete voi... tossite, fumate, e piangete.

MONSIGNORE        - Pure.

SERAFINO               - E. sì, voi nun ve ne accorgete, ma piangete tutta la notte. Ma perchè nun dormite, dico io... ?

MONSIGNORE        - E non me viè...

SERAFINO               - Provate a contare le pecore...

MONSIGNORE        - Le conto, le conto, ma arrivo sempre fino a tre e poi me fermo. Va beh...

Prende il pitale da un mobile si volta e fa pipì.

SERAFINO               - Adesso me dovete spiega’ perchè adoperate il pitale mio: va bene l’intimità, ma a me me fa senso.

MONSIGNORE           - Ma tu non dovevi dormì? E allora dormi, e nu’ rompe li cojoni.(si avvicina alla finestra e guarda fuori, nel frattempo Serafino si riaddormenta) Serafì! C’è uno che sta a fa’ ‘na serenata. Eh... Io pure da giovane cantavo sotto ‘na finestra che non s’apriva mai... e proprio vicino alla persiana, c’era una Madonnella de coccio che piagneva, per via che era addolorata. Finché una sera la finestra s’aprì, e venne giù una secchiata d’acqua che un altro po’ me affogo. E restammo a guardasse, io e la Madonnella. Io tutto fracico, lei che piangeva… me fidanzai con lei. Un amore che ancora me dura. (Serafino russa) Dormi, dormi... tanto sto a parlà col muro.Un’esplosione in lontananza. Aridaje! E te pareva.

Scena undici

Mentre Serafino dorme, Colombo va verso la porticina dove è chiuso Cesare.

MONSIGNORE        - (tossisce da dietro la porta)

CESARE                   -Chi è?

MONSIGNORE        - No, so’ io. È pieno di spifferi!

CESARE                   - (di dentro) Che volete?

MONSIGNORE        - Niente, passavo qui davanti... c’hai freddo, eh?

CESARE                   - ( di dentro) C’ho freddo sì!

MONSIGNORE        - Ecco, così va bene! E’ inutile dì “io sudo”, quando fa freddo fa freddo per tutti. Eh, almeno è un punto in comune. Vuoi una coperta?

CESARE                   - ( di dentro) Nun me serve niente.

MONSIGNORE        - Come non detto. Vuoi che seguitiamo a parlare?

CESARE                   - ( di dentro)De che?

MONSIGNORE        - De quello che capita, così, per conoscersi meglio, per fare amicizia.

CESARE                   - (si affaccia alla finestrella della porticina) Amicizia, noi due?

MONSIGNORE        - Beh, forse amicizia è un po’ troppo ma insomma, pe’ capisse.

CESARE                   - Monsignò, ma che andate cercando?

MONSIGNORE        - No dico... Tu adesso piglia quell’amico tuo, quel Gaetano, tutto biondo, pare un San Tarcisio... invece è un satanasso che fa saltà le caserme!

CESARE                   - Eh...

MONSIGNORE        - E pure te... sì, sei arrogante, ma non c’hai la faccia di...

CESARE                   - La faccia da che?

MONSIGNORE        - Ma come può esse tutta sta cattiveria che vi portate dentro e di fuori non si vede...? Che c’avete?

CESARE                   - Ve posso risponne co’’na domanda?

MONSIGNORE        - Prego.

CESARE                   - Voi chi siete?

MONSIGNORE        - In che senso?

CESARE                   - Chi siete voi, davanti alla storia, voi, i preti, il papa Re... che rappresentate?

MONSIGNORE        - Diciamo... il potere?

CESARE                    - Sì, ma un potere che non esiste più. Voi farete pure questo processo per l’attentato alla caserma ma, in nome de quale legalità? In nome de che?

MONSIGNORE        - In nome del papa Re.

CESARE                   - Appunto. Per cui sapete che succederà in aula?

MONSIGNORE        - No, non lo so, dimmelo te.

CESARE                    - Che l’accusati diventeranno accusatori, e se rovesceranno le carte sul tavolino della storia.

MONSIGNORE        - Eh beh, interessante. Però non hai calcolato una cosa: er mazzo lo famo noi, c’avemo tutti l’assi, e quando non ce li avemo, baramo pure. Hai perso.

CESARE                    - Ma allora perchè non me fate annà sul banco degli accusati pure a me, perchè me tenete prigioniero!

MONSIGNORE        - Ah Cesarì, io c’ho pazienza, te stò a sentì, ma tu mica puoi abusa’...

CESARE                   - Ah, io abuso? Voi me sequestrate e io abuso?! Ma che volete da me?

MONSIGNORE        - Io! Ma tu che voi da me! Oh! Sempre col dito puntato, accusatore. Io stavo tanto bene a dormì, perchè m’hai svegliato e m’hai fatto venì qua!?!

CESARE                   - Ah Monsignò, ma... ve sentite bene? Tornate a letto, che è mejo.

MONSIGNORE        - Ecco, è mejo.

SERAFINO               - (che si è svegliato nell’ultima parte del dialogo)Ve capisco, è normale… a Roma… ‘na città di preti… uomini soli votati al celibato…

MONSIGNORE        - Eh?

SERAFINO               - No dicevo, anch’io da giovanotto me so’ ‘nnamorato de ‘n chierichetto, ma per fortuna, passa. Passa tutto.

MONSIGNORE        - Ah sì? Allora famo così: tu da stanotte torni a dormì in camera tua.

SERAFINO               - Monsigno’? Io dicevo ‘n chierichetto!

MONSIGNORE        - Comunque io non te ce voglio più a dormì accanto a me!

Scena dodici

Bussano alla porta.

SERAFINO               - E chi sarà a quest’ora?

MONSIGNORE        - E che ne so, sta casa è diventata ‘n porto de mare!

SERAFINO               - (ha aperto) È la contessa!

MONSIGNORE        - Contessa… scusate l’abbigliamento!

SERAFINO               - Il Monsignore non riesce a dormire, poco fa  me so’ svejiato e non c’era più    accanto a me. Sa’, noi dormimo insieme…

MONSIGNORE        - Daje. No, cioè sì, perchè abbiamo un’età e il sonno frammentario, per questo dormiamo insieme... ma non che uno dice... insomma, che può pensà…. Va beh, pensatevela come ve pare.

FLAMINIA               - Scusate l’ora tarda ma purtroppo ho dovuto aspettare che mio marito si addormentasse.

MONSIGNORE                    - Ormai so’ abituato.

FLAMINIA               - (lo guarda con riconoscenza)Grazie per quello che hai fatto. Io poi non ti ho neanche detto chi era dei tre.

MONSIGNORE        - Eh... L’ho riconosciuto subito. Proprio quello doveva esse... Ce n’era uno educato, caruccio, bono, niente, era er fijo de n’antro. Gli ho detto approfitta, fuori c’è la libertà... ‘andò l’avete messa, ar cesso’ no, dico, guarda, c’è tua madre che ti aspetta: me cojoni’. Roba da sbatterlo al muro, un caratteraccio... ma da chi avrà preso?  Sì ? Eh !... e te pareva!

FLAMINIA                           - E adesso come sta?

MONSIGNORE        - Sta bene, ma non c’è bisogno di corrergli sempre appresso. Accomodatevi.

FLAMINIA               - No, grazie. Preferirei andare da lui.

MONSIGNORE        - Calma, e che è tutta sta fretta? Per vent’anni l’avete fatto vivere lontano da voi...

SERAFINO               - Già...

MONSIGNORE        - Avete visto che bel risultato?

FLAMINIA               - Ma che me volete fa’ il processo?

SERAFINO               - Beh questo è vero, povera donna.

MONSIGNORE        - (a Serafino) Tu non c’hai niente da fà di là?

SERAFINO               - A quest’ora de notte?

MONSIGNORE        - Beh va a vedere, và.

SERAFINO               - Ma che fastidio ve do?

MONSIGNORE        - Non puoi sentì! Non te riguarda!

SERAFINO               - Per quello che me ne frega (Serafino esce )

MONSIGNORE        - La verità è che una madre i figli se li deve cresce da sè. Non basta pagare il mensile.

FLAMINIA               - Vi sembrerà strano, ma Maria Tognetti, la donna che lo ha allevato, non ha mai voluto una lira. D’altra parte, io come lo crescevo? Lo mandavo alla caccia alla volpe? Lo allevavo tra servi e carrozze? Lo facevo diventare come mio marito, il conte Ottavio, un imbecille...?

MONSIGNORE        - E così lo avete mandato a scuola dal popolo, e che ha imparato? A fa’ la rivoluzione.

FLAMINIA               - So’ tempi brutti. Apposta lo porto a Parigi.

MONSIGNORE        - A Parigi?

FLAMINIA               - Almeno è un posto più civile, lì sta al sicuro.

MONSIGNORE        - Ah va beh, se basta andà a Parigi allora vengo pure io! Così al mattino lo portiamo a spasso al Bois de Boulogne, sui lungoteveri della Senna... Ma lo sapete invece dove dovrebbe andà vostro figlio? Sul patibolo.

FLAMINIA               - Perchè è pazzo!

MONSIGNORE        - E che vuol dì pazzo? Non dovete dà una risposta che non significa niente! Voi me dovete solo dì chi è uno che a vent’anni vo’ morì, mentre noi all’età nostra stamo ancora attaccati alla vita come ostriche! Anzi come cozze... Chi è uno così?

FLAMINIA               - Ah, e da me lo volete sapere? Monsignore, io sono ‘na donna, mi chiedete un parere solo quando vi fa comodo... potevate chiedermelo quella volta, se mi andava de sposà il conte Ottavio! Io a Cesarino adesso posso solo volergli bene.

MONSIGNORE        - E vi siete mai domandata perchè lui non vuole bene a voi?

FLAMINIA               - Ma voi siete diventato padre da due giorni  e già sputate sentenze?

MONSIGNORE        - No, io voglio solo capì!

FLAMINIA               - E io invece ci ho rinunciato da un pezzo! Io voglio solo portarlo via!

Sì! A Parigi!

MONSIGNORE        - E io che dico? Che dicevo? Che ho detto? Mò je volete fa fa solo quello che ve pare a voi! Ma i figli sono diversi, e noi invece de esse contenti che non ce somigliano, li volemo fa’ diventà come noi che poi neanche se piacemo! Non so voi... Io comunque a me... nun me piacio pe  gnente.

FLAMINIA               - E allora  mandiamoli allo sbaraglio! Mannamo Cesarino alla ghigliottina solo pe’ favve contento!

MONSIGNORE        - A me? A me no! Comunque, se lui ce volesse annà, amen.

FLAMINIA               - Voi me fate paura...

MONSIGNORE        - Eh, pure voi a me. Serafino!

SERAFINO               - Comandi!

MONSIGNORE        - Accompagna la signora.

FLAMINIA               - Non me lo fate neanche vedere?

MONSIGNORE        - È mejio de no.

SERAFINO               - È mejio de no.

FLAMINIA               - Ma non finisce così.

La contessa esce.

SERAFINO               - State messo male...

MONSIGNORE        - Hai sentito tutto?

SERAFINO               - Tutto, tutto... Dopo tant’anni che stamo ‘nsieme... perchè ‘sti misteri? Non m’avete detto mai niente.

MONSIGNORE        - Ma se non lo sapevo manco io. E poi te dovessi crede che è ‘na buona notizia.

SERAFINO               - Monsigno’? Ma se voi siete il padre, io, pe’ lui, che so’?

MONSIGNORE        - Niente. Che je sei?

SERAFINO               - Eh già. Er perpetuo non conta un cazzo.(rimane tristissimo)

MONSIGNORE        - Se famo una partita. Alza, va!

SERAFINO                           (rimane sconsolato, non alza le carte)

MONSIGNORE        (tentando di scuoterlo) Serafì, non è colpa mia se il perpetuo non è parente! Vuoi che je dico de chiamatte zio? Vuoi che j’o dico? E non je lo posso dì! Non sa manco che io sò il padre!

SERAFINO               - Stiamo messi male, eh?

MONSIGNORE        - Va beh stiamo messi male, basta che la pianti.

SERAFINO               - Ho alzato.

MONSIGNORE        - ‘N me va più.

SERAFINO                           Beh, io me ne torno a letto

MONSIGNORE        In camera tua !

SERAFINO               In camera mia… Er pitale lo posso prenne ?

MONSIGNORE        E’  ‘l tuo !

SERAFINO               (prendendolo e guardando dentro) Er pitale sì !

Monsignore rimane pensieroso. Guarda la porta della cantina. Si avvicina, poi ci ripensa. Torna un’altra volta. Apre lo sportellino e comincia a chiamare.

MONSIGNORE        Cesarì ….Cesarino, che fai  ?

CESARE                    Chi è ?

MONSIGNORE        Daje co sto chi è! So’ io, chi deve esse ?

CESARE                    Se po’ sape’ che ve pjia? V’ho già detto che con me nu c’è gnente da fa’.

                                    Nun me piacciono l’omini, figuramose li preti

MONSIGNORE        No, ma che stai a dì, oh, te dovessi crede….per carità…. volevo solo sape’ che stavi a fà

CESARE                    Ma secondo voi uno  che sta chiuso prigioniero dentro na cantina e nun po’    dormì pe li pensieri, che fa pe’ addormentasse ?

MONSIGNORE        Conta le pecore ?

CESARE                    E io sto a conta’ li sorci… Perché me guardate così ?

MONSIGNORE        ….Te piace Parigi  ?

CESARE                    Parigi ?

MONSIGNORE        …Sei mai stato a passeggià al Bois de Boulogne ?

CESARE                    Ar buà de che ?

MONSIGNORE        Sur lungotevere della Senna

CESARE                    ‘Ndo’ rimarebbe sto lungotevere ?

MONSIGNORE        E’ un posto sicuro… dove te vorrebbe  portà tu madre.

CESARE                    Mi’ madre non ha mai capito un cazzo de me

MONSIGNORE        Già….tu padre, forse…. t’avrebbe capito

CESARE                    Io devo capì perchè ve piace così tanto tirà sempre in ballo mi padre

MONSIGNORE        Ma tu je voi bene ?

CESARE                    A chi ?

MONSIGNORE        A tu madre ?

CESARE                    Ma a voi che ve ne frega ?

MONSIGNORE        Così, perché pure io c’ho bisogno de capi’….

CESARE                    A zi’ pre’…..io ve l’ho già detto prima, voi nun state bene, annate a letto e vedrete che domattina ve passa tutto…(lo guarda)speriamo.(si ritira dentro)

MONSIGNORE       (tra sé) Ma sì, è mejo che me ne torno a letto …(comincia a salire le scale verso la camera)Me schiaccerò du’ Ave Maria da solo.

                                                              

Scena tredici bis

In chiesa. Alcuni fedeli si avvicinano ad un banco per la comunione, tra essi appare Maria.

L’officiante è don Colombo

DON COLOMBO     Ecce agnus dei, ecce qui tollit peccata mundi.

Domine non sum dignus ut intres sub tecto meo sed tantum dic verbo et sanabitur anima mea.

Domine non sum dignus ut intres sub tecto meo sed tantum dic verbo et sanabitur anima mea.

Domine non sum dignus ut intres sub tecto meo sed tantum dic verbo et sanabitur anima mea.

(avvicinandosi ai fedeli, da la comunione ai primi due ripetendo ogi volta)

Corpus domini nostri Jesus Cristi animam tuam custodiat in vitam aeternam.

            Corpus domini nostri Jesus Cristi animam tuam custodiat in vitam aeternam.

(quando vede Maria si ferma e la guarda imbarazzato per la sua presenza)

MARIA          (a voce bassa, ma risoluta) Il figlio vostro l’avete salvato, il mio no .

DON COLOMBO     ( piccola pausa, continua il rito) Corpus domini nostri…

MARIA          No, da voi no ! (si alza e lascia la chiesa)

Scena 14 A

La mattina seguente. Serafino, vestito un po’ elegante,  appare sulla porta interna e comincia a scendere le scale, si avvicina alla porta della cantina per parlare con Cesarino, con una ferma intenzione

SERAFINO               Cesarino

CESARINO               Monsigno’, e mo basta !

SERAFINO               Non sono Monsignore, sono Serafino

CESARINO               Daje, ma allora è ‘n vizio de famija

SERAFINO               Che vuoi da mangiare ?

CESARINO               Non sapevo che i carcerati c’aveveno er menù alla carta

SERAFINO               Ma questa è ‘na prigione ‘n po’ speciale

CESARINO               E me ne so’ accorto.

SERAFINO               Cosa vuoi che te prepara pe’ pranzo Serafino tuo

CESARINO               ‘A Serafino tuo, ma chi te conosce, ma chi te la da tutta sta confidenza

SERAFINO               Allora me voi chiama’… zio Serafino?

CESARINO               Io nun te vojo chiama’ proprio

SERAFINO               C’hai fame, eh ?

CESARINO               C’ho fame sì, è da ieri che non magno

SERAFINO               Te piace er pollo?

CESARINO               Me fa schifo

 SERAFINO              Er tacchino ?

CESARINO               Er tacchino se da ai malati. Mo che ce penso, ‘o sai che me piacerebbe a me:

un bell’abbacchio co le patate

SERAFINO               Ma se ti faccio l’abbacchio con le patate… poi me ce chiami “zio”

CESARINO               Tu portame l’abbacchio, poi ne parlamo.

Serafino tutto contento risale le scale e si avvia verso la parte interna della casa

BUIO

Scena quattordici

MONSIGNORE        - (mentre si veste) Ma questo è abbacchio...

SERAFINO               - Arrosto!

MONSIGNORE        - Con le patate?

SERAFINO               - Con le patate! E dovete senti’ quant’è bbono!

MONSIGNORE        - Ecco vedi, oggi c’hai indovinato.

SERAFINO               - Nun è mica pe’ voi!

MONSIGNORE        - Ah, te lo magni tutto te!

SERAFINO               - Adesso non semo mica più noi due soli dentro  a sta casa, eh! A proposito, è arrivata ‘na lettera per voi dal tribunale. È sul tavolo mio.

MONSIGNORE        - È arrivata aperta?

SERAFINO               - (si muove da una stanza all’altra, volutamente indaffaratissimo)Siete stato convocato! Domani comincia il processo per l’attentato alla caserma.

MONSIGNORE        - (tra sè) Ma vedi tu… uno nun ce po’ ave’ ‘n segreto, un... (a Serafino) Tu non dovevi portare la lettera delle dimissioni?

SERAFINO               - (di dentro)Eh, ma qui il da fare è aumentato, caro... Gliela porto domani!

Il monsignore strappa la lettera delle dimissioni. In quel momento bussano alla porta.

MONSIGNORE        - Bussano!

SERAFINO               - (di dentro)Non posso aprire! Ho le mani occupate.

MONSIGNORE        - (apre e appare Teresa)Una volta erano gli uomini che andavano appresso alle donne: è proprio vero che s’è rivoltato il mondo.

TERESA                    - Ancora ‘n s’è rivoltato niente, però stamo sulla bona strada. Io voglio solo vedè Cesarino.

MONSIGNORE        - Pure voi! Ah, ma è ‘na fissazione! No, dico, ma perchè non mettiamo il bando, non lo esponiamo come il pupo dell’Ara Coeli! C’è nessuno che vuo’ vedè Cesarino? ( si affaccia e urla fuori la porta) Signò, voi volete vedè Cesarino?

VOCE DONNA        - No, io non voglio vedè nessuno, per carità!

MONSIGNORE        - Che strano, quella signora non lo vo’ vedè! Ma... chi è Cesarino?

TERESA                    - Io voglio solo sapè se si nasconde o se lo tenete prigioniero.

MONSIGNORE        - E che cambierebbe, casomai?

TERESA                    - Cambierebbe che, se si nasconde, io non perderei più tanto tempo a voleje bene.

MONSIGNORE        - Siete la ragazza sua?

TERESA                    - (annuisce)

MONSIGNORE        - Va bene, entra.

TERESA                    - Monsignò, non è che poi , ‘na vorta che sto dentro, Cesarino nun ce sta e voi me fate ‘no scherzo da prete?

MONSIGNORE        - Se c’hai sto dubbio nun entra’! Mica te stò a costringe!

TERESA                    - Ma voi non ve la dovete pija! È che la prima volta che me so’ dovuta difende da un prete c’avevo diec’anni.

MONSIGNORE        - E io l’ultima volta che me so’ dovuto difende’ da ‘na donna ce ne avevo cinquanta! A more’, la vita è una lotta! Voi entra’ o no?

TERESA                    - Ah don Colò, ditemelo chiaro: Cesarino ce sta o non ce sta?

MONSIGNORE        - Entra e vedrai da te.(Teresa entra)- Da questa parte.

SERAFINO               - (Arriva da  dentro con il piatto del pranzo in mano)Devo servire a Cesarino l’abbacchio?

MONSIGNORE        - Quello, dopo.

SERAFINO               - E diventa freddo!

MONSIGNORE        - Ma che so’ tutte ste premure? Non sei mica tenuto sa’? Poi che te sei messo addosso, co’ sto coso al collo… (si riferisce ad un abbigliamento più ricercato)

SERAFINO               - Io non sono tenuto a fargli da mangiare e voi gli portate le donne...

MONSIGNORE        - Ma che dici?

SERAFINO               - Sì, che dico... me capisco da solo! (appoggia il tegame sul suo tavolo)

MONSIGNORE        - (indicndo la porticina a Teresa) Ecco, Cesarino sta qui dentro?

TERESA                    - È sicuro?

MONSIGNORE        - E mo’ provamo. Cesarino! Cesarino! (Cesarino no risponde)

TERESA                    (sorride come a dire”lo sapevo che non c’era”)

MONSIGNORE        (trovando la soluzione) Ce stai, fijo?

CESARE(d.d.)          - Non me chiamate fijo se no ve dò un calcio in bocca!

MONSIGNORE        - Ce sta.

TERESA                    - Allora è vero che lo tenete prigioniero!

MONSIGNORE        - Aspetta. (apre la porta) C’è una visita.

CESARE(d.d.)          - Lasciate perde che oggi non è aria.

MONSIGNORE        - Allora la mando via?

CESARE(d.d.)          - Teresa!

TERESA                    - Cesarì!

SERAFINO               - (con il piatto) Tutta sta roba che se rovina. Ma n’ era meglio se se mangiava un boccone prima? …Nun je farà male… così, a stomaco voto?

MONSIGNORE        - Ma che dovemo fa’? So’ creature...

SERAFINO               - (comincia a spiare da un pertugio della porta) Eh! Monsignore... venite un po’ qua. Guardate... So’ creature, eh?

MONSIGNORE        - (guarda, si ritrae) So’ creature de Dio... d’altra parte. Ma che te stai a arazza’?

SERAFINO               - Eh, un po’ si...

MONSIGNORE        - Nnamo, va’...

SERAFINO               - Sì sì sì, andiamo che è meglio.

MONSIGNORE        - Che fai?

SERAFINO               - Ce lo mangiamo noi! Freddo nun è più bono!

MONSIGNORE        - Ma che è diventata sta cantina, il vestibolo dell’inferno? Lussuria, gola, oh! E cercamo de stà in grazia di Dio, eh!

SERAFINO               - E lo buttamo via?

MONSIGNORE        - Eh ‘o buttamo...! (prendendo una coscia)Questo che è?

SERAFINO               - Abbacchio!

MONSIGNORE        - Sì, ma nella fattispecie?

SERAFINO               - Beh, è grazia di Dio!

MONSIGNORE        - Ecco! Tu ce stai in grazia de Dio? No! E allora mo magno io! Uhm! (comincia a mangiare, poi prende un pezzetto di patata) Tiè, ‘na patata. È bono! Lo vedi che c’hai indovinato oggi! E non s’è freddato!

SERAFINO               - ‘O dicevo io: caldo è più bbono..(avvicina piano la mano al vassoio per prenderne un pezzo, ma Monsignore gli da uno schiaffo sulla mano)

MONSIGNORE        L’amo scoperto er sorcio d’’a dispensa !

Fine primo atto

Secondo tempo

Scena uno

Tribunale

PRESIDENTE                                                                                                

Appare evidente, ottimi padri, che i recenti avvenimenti sediziosi, e non ultimo l’attentato alla caserma Servistori, sono parte integrante di una stessa strategia eversiva mirante al rovesciamento delle istituzioni. Giunge ora notizia che il noto pregiudicato Garibaldi, alla testa di una banda forte di cinquemila uomini e cinque cannoni, sta muovendo da Monterotondo su Mentana nel tentativo di entrare nel regno. Sappiamo chi sono i mandanti, ma il popolo romano è estraneo a questi fatti ed aspetta da noi un atto, che oltre a restituirgli la sacralità, suoni da monito e da scoraggiamento.

Ed è in accoglimento di questa istanza, che saldo nel principio ‘salus publica suprema lex’, senza spirito di vendetta, e invocando l’onnipotente iddio che ci illumini le menti, e constatato il delitto di insurrezione contro il sovrano, promosso in Roma la notte del 22 ottobre 1867, e accompagnata da incendio e devastamento di edificio pubblico, nonchè di molti omicidi di militari pontifici, e constatato inoltre che di tali delitti furono agenti principali, con animo deliberato, Giuseppe Monti, soprastante muratore, e Gaetano Tognetti, muratore, visti gli articoli 84, 260 e 275 del regolamento sui delitti e sulle pene, e in applicazione dei medesimi, è stato chiesto da Monsignor Procuratore, per i soprannominati, la condanna alla pena di morte di esemplarità, da eseguirsi mediante il taglio della testa.

Ciò premesso, Vossignori,  prima di procedere alla votazione, vorrei ricordare ai giudici   l’importanza di questo processo, in un momento in cui sono messi in discussione l’autorità del papa e della stessa religione. I ribelli, gli assassini, i sicari, quelli che attentano alla sicurezza del trono e dell’altare, sono già celebrati martiri da parte di coloro che negano la legittimità del potere temporale. Ora... ogni atto di clemenza quindi, sia pure ispirato ai più alti principi della cristiana carità, si potrebbe facilmente interpretare come una conferma di questa sciagurata opinione. Ma non vorrei influenzare le vostre libere decisioni. Ora, a voi il giudizio. Chi si pronuncia per la pena di morte, risponda sì. Chi è contrario, risponda no. E che Iddio lo perdoni.

DON MARINO                     - Di Venanzo (SI). Borzato (SI). Corrente (SI). Fedi (SI). Colombo. Colombo!

PRESIDENTE           - Monsignor Colombo!

MONSIGNORE        - Eh?

PRESIDENTE           - Monsignore, tocca a voi!

MONSIGNORE        - Scusate, ero sovrappensiero. Che devo fa’?

PRESIDENTE           - Non avete udito la richiesta di monsignor procuratore?

MONSIGNORE        - Ah, sì!

PRESIDENTE           - Meno male! Colombo ha detto sì, andiamo avanti.

MONSIGNORE        - Eh no, un momento: io ho detto sì, in quanto ho sentito la richiesta!

PRESIDENTE           - Allora che dite?

MONSIGNORE        - No io volevo dire una cosa ma adesso non me la ricordo più. C’ho una confusione in testa... Ma che sarà, la vecchiaia?

PRESIDENTE           - Monsignore, siamo tutti vecchi qua dentro! Voi rispetto a noi siete un bambino! O ci volete intrattenere sugli acciacchi dell’età?

MONSIGNORE        - No no, per quanto sembra ieri che i leoni ce se magnavano al Colosseo...

PRESIDENTE           - Monsignore, se avete qualcosa da dire ditelo alla svelta, perchè dobbiamo concludere.

MONSIGNORE        - C’avete paura che ve more il boia? Ah già, perchè pure il carnefice è decrepito! Capirai, sta in servizio dal 1802! (ride)

PRESIDENTE           - E vi fa ridere?

MONSIGNORE        - Ma perchè, stavo a ride? E secondo voi questo è un processo che fa ride? Così, senza accusati in aula, senza avvocati difensori, fa ride. Qui si chiede la pena di morte per due imputati che non hanno neanche confessato, e fa ride? Tuttavia, nella relazione di monsignor Marino, io leggo... E che leggo, ‘ndo stanno? (cerca gli occhiali) Ah, eccoli qua. Leggo... che Monti e Tognetti nel corso dell’istruttoria, hanno tenuto un contegno tale da non lasciare dubbio alcuno sulla loro reità. Mica mi direte che fa ride?

PRESIDENTE           - Ma perchè dovrebbe far ridere?

MONSIGNORE        - Oh... vedo che se cominciamo a capì. Allora, domanda: basta per condannarli a morte?

PRESIDENTE           - Vorreste insinuare che non abbiamo prove sufficienti?!

MONSIGNORE        - Se sono queste, è evidente che non ce le avete. Ma facciamo conto che ce le avete. Che cambia? Basta per condannarli a morte?

PRESIDENTE           - Basta sì. Basta e ne avanza.

MONSIGNORE        - Vedete? Non cambia. Semmai cambiano i tempi! Ma tanto a Roma chi se ne accorge. (rivolto a un monsignore) Voi magari ve credete che stamo ancora qui a giudicare Giordano Bruno, ma quando cambiano i tempi, ottimi padri, cambia il modo di vedere le cose. E cambia anche la morale sulla quale si fonda la legge.

PRESIDENTE           - La nostra legge non cambia. Deriva direttamente dal Vangelo.

MONSIGNORE        - Va beh. (fa per uscire) Permesso. Permesso... scusate il disturbo eh?

PRESIDENTE           - Ma dove andate?

MONSIGNORE        - E me ne vado, che sto a fa’ qui! O famo discorsi seri o sennò è inutile...

PRESIDENTE           - (lo interrompe) E noi non desideriamo altro che ascoltare il vostro.

MONSIGNORE        - Ecco. Allora per piacere, non le dimo queste cose! Dicevo... visto che è cambiata la morale, il concetto di colpa e di innocenza che c’hanno loro, ormai è diverso dal nostro. Noi crediamo ancora nell’obbedienza, e loro credono nelle bombe. E certo che c’hanno torto, ma mica è detto che per questo c’avemo ragione noi! (chiude la porta)

PRESIDENTE           - Il processo continua a porte chiuse?

MONSIGNORE        - No, c’è uno spiffero. E poi porte aperte o chiuse che deve entrà qui?

PRESIDENTE           - Io vorrei che entrasse lo Spirito Santo a illuminarvi.

MONSIGNORE        - Quello se per sbaglio ci fosse entrato una volta, non credo ci entrerebbe più.

PRESIDENTE           - Monsignore! Voi state mettendo in dubbio la legittimità di questo tribunale!

MONSIGNORE        - Giovanotti!? A Roma c’è la guerra, è inutile che se lo nasconnemo! E qui so’ zompati per aria 23 soldati di un esercito che siccome è il nostro ce può pure dispiacè, ma sapete chi è stato a farli zompà?

PRESIDENTE           - Monti e Tognetti!

MONSIGNORE        - Soldati pure loro! Soldati di un altro esercito che non è il nostro, un esercito in borghese. Ma stiamo attenti, eccellentissimi padri, che quando un esercito è in borghese, è un esercito di popolo... e col popolo, ce se sbatte sempre il grugno. Garibaldi alle porte! E Satana col cappello da bersagliere avanza su Porta Pia! Fratelli siamo vecchi... c’avemo le ore contate. Volemo fa’ una buona azione prima di mori? Una sola: mannamo il boia in pensione, e chiudemo in bellezza. Eh? Cercamo de esse preti. Io solo questo vi chiedo. D’esse preti, che non ce perdemo niente. E’ finita, eh? ( nessuno parla o reagisce)Eh! E’ proprio finita...

PRESIDENTE           - Per cui immagino che dopo questa dichiarazione voi vi pronucerete per il no.

MONSIGNORE        - Eh, no!... Volentieri voterei no. Ma votando riconoscerei implicitamente la legittimità del tribunale per cui sarebbero boni pure i sì.

PRESIDENTE           - Allora vi astenete?

MONSIGNORE        - Eh, sarebbe uguale. Facciamo così: fate conto che io so’ uno che non c’è, uno che non esiste.

PRESIDENTE           - Allora mettete assente e andiamo avanti. Possiamo proseguire?

MONSIGNORE        - E a me lo domandate? Io nun ce so’!

PRESIDENTE           - Meglio così. Prego monsignori, continuiamo.

VOCE                        - Ferreri. (SI) Alzani (SI). Morini (SI). Camilli (lo svegliano)(SI). Andrè (SI). Carlos (SI).

PRESIDENTE           - E anch’io sì. Undici “sì”, su undici presenti. Il tribunale supremo della sacra consulta decide morte all’unanimità.

Scena

due

Scena due

Casa del Monsignore. Bussano. E’ la contessa Flaminia con altri uomini.

SERAFINO               - Vengo, vengo! (vede i bravi)Per carità! Non ho fatto niente, io non sò niente!

CAPO BRAVI          - Levati di mezzo! Dove sta Cesarino?

SERAFINO               - Lo domandi a me?! Sta in cantina! Ce l’hai messo tu!

FLAMINIA               - E allora aprite!

SERAFINO               - Fate voi...

CAPO BRAVI          - Ma è chiuso!

FLAMINIA               - Aprite!

SERAFINO               - Volentieri signora, ma la chiave ce l’ha don Colombo!

FLAMINIA               - Cesarino!

SERAFINO               - Shhh! Contessa, no, eh...forse Cesarinoè stanco…perché…fate piano

Dalla finestrella della porta spunta il volto di Teresa.

FLAMINIA               - Voi che fate lì dentro?

TERESA                    - Divido la sorte.

FLAMINIA               - Ma voi non dividete proprio niente!

TERESA                    - Ah. (di sfida)

FLAMINIA               - Cesarino! Adesso vieni via con me!

CESARE                   - Ah ma’...

FLAMINIA               - Buttate giù la porta!

L’uomo prende la rincorsa per sfondare la porta. Arriva, da fuori, Monsignor Colombo.

MONSIGNORE        - È così che s’aprono le porte? Che me volete buttà giù casa?

FLAMINIA                 - Aprite!

MONSIGNORE           - Calma! Non tocca a voi decidere. (a Cesare) Tu che vuoi fa’? Voi annà co’ mamma?

CESARE                     - Io voglio parlare con voi.

MONSIGNORE          - E io pure.  Il Monsignore prende la chiave da un mobile, apre e li fa uscire.

FLAMINIA                 - (a Serafino) Hai visto? È lì che stava.

SERAFINO                 - Sì, ma bisognava sapello.

MONSIGNORE          - (a Cesare) Resta qua.

FLAMINIA                 - E noi?

MONSIGNORE           - Voi aspettate de là. Che fate, come ve pare? Questa è casa mia, a voi ve ricevo quando me pare a me..

FLAMINIA                 - Eh no!

MONSIGNORE           - (a Flaminia, piano) Fra cinque minuti ve lo portate via...(il gruppo, guidato da Serafino si trasferisce nell’altra stanza)

Scena tre

                                                                     Casa del Monsignore.

CESARE                   - Come è andata in tribunale?

MONSIGNORE        - Cesare, io te devo parlà de ‘n’altra cosa.

CESARE                   - Qual è stata la sentenza?

MONSIGNORE        - Me dispiace per voi, ma non si so’ rivoltate le carte sul tavolino della storia. Undici sì, su undici presenti.

CESARE                   - E bravo il monsignore. Così avete votato morte pure voi.

MONSIGNORE        - Cesarì, qui non ce puoi più stà, non è più sicuro. Bisogna che te ne vai.

CESARE                   - Dove? A Parigi co’ mamma?

MONSIGNORE        - Stamattina ho visto tutto un movimento di zuavi, de francesi, che uscivano da Porta Pia... Garibaldi sta a Mentana, il cerchio si chiude.

CESARE                   - E io me nascondo come un sorcio.

MONSIGNORE        - Anche se non vuoi bene a tua madre, fallo per Teresa, quella è venuta a piagne da me, dice per carità nascondetelo, e io pure...

CESARE                   - Pure voi che?

MONSIGNORE        - (esita) E io pure t’ho nascosto! Un minimo de riconoscenza!

CESARE                   - Io non devo niente a nessuno!

MONSIGNORE        - E allora va’, va’ a morì ammazzato co’ Garibaldi, se te pare da sorcio sta’ nascosto! Sarà sempre meglio che mette la testa da te sotto la ghigliottina! (prende una pistola dal cassetto) Tiè. E usala bene. (Cesare gliela punta addosso) T’ho detto usala bene!

CESARE                   - E meglio de così! Monti e Tognetti saranno vendicati prima ancora che c            aschi la mannaia.

Spara. Ma la pistola non è carica. Il Monsignore estrae le pallottole dal cassetto e carica l’arma.

MONSIGNORE        - Queste so’ le cartucce. Era de povero papà. Ce se ammazzò pe’ na donna, pensa. È l’unica cosa che m’ha lasciato. Dice, tiella da conto, te potrà sempre servì. A me! Eh, quando i padri non ce indovinano mai! Tiè. E adesso me spari o non me spari, non me ne frega più niente. Perchè già m’hai sparato.

Scena quattro

Bussano.

VOCE                        - In nome del Papa Re, aprite!

MONSIGNORE        - Shh...( alla voce rientrano tutti)

CESARE                   - Apro io, tanto è per me.

MONSIGNORE        - Ndo vai? Ma che fai? Fermatelo. ‘Ndo va? Ma che fa? (lo bloccano) Nell’altra stanza, andate tutti di là. Non ve fate vedè, via, via... Che è? (a Serafino che voleva seguire il gruppo) Tu ‘ndo cazzo vai, apri! Via, via, svelti.

Entrano le guardie.

MONSIGNORE        - La porta!

CAPITANO              - Che?

MONSIGNORE        - No, non dicevo a voi. Serafì, chiudi, che pure il capitano qui me pare cagionevole.

CAPITANO              - Siete voi il nominato Monsignor Colombo da Priverno?

MONSIGNORE        - Una volta a Roma me conoscevano tutti.

CAPITANO              - Allora seguiteci.

MONSIGNORE        - E il motivo, di grazia?

CAPITANO               - La difesa da voi pronunciata in tribunale a favore dei criminali Monti e  Tognetti.

MONSIGNORE        - Insomma, in altre parole, mi arrestate.

CAPITANO               - Abbiamo ricevuto ordine di scortarvi in un luogo che non siamo tenuti a rivelarvi, ma se posso aggiungere un parere personale vi consiglio di obbedire.

MONSIGNORE        - Potete aspettare fuori mentre  prendo il mantello?

CAPITANO              - Prego.

Scena cinque

Rientrano tutti.

CESARE                   - Ma come! Voi li avete difesi?

MONSIGNORE        - Io? No, io ero assente... Tanto è vero che non volevo manco aprì bocca... poi invece me sò messo a parlà, ma così, improvvisando... se la saranno presa a male. So’  vecchi… so’ permalosi...

CESARE                   - No! Quelli sono vendicativi! Vi ammazzeranno!

MONSIGNORE        - Perchè, tu che me volevi fa’?

CESARE                   - Vi chiedo scusa. (i ragazzi gli baciano la mano)

MONSIGNORE        - ( abbracciandoli )Oh, eh, e che è! Eh, figli miei... oh! Ho detto figli! Scusa, Cesarì. È uso dei preti...

SERAFINO               - Ma dove vi portano...?

MONSIGNORE        - Ah Serafì, non te ce mette pure te.(esce, poi sulla soglia)

                                   Eccomi, Capitano

Scena sei

TERESA                    - Cesarì!

CESARE                   - Terè, io vado a Mentana, tu aspettami.

TERESA                    - Cesarì, se rivedemo a Roma. Ce pensi? Senza preti e senza papa. Tiè (gli dà la pistola)

FLAMINIA               - Eh no!

CESARE                   - Ah ma’, state buona, la vita è la mia, devo andà, capite?

FLAMINIA               - Ma dove vai?

TERESA                    - ( che controlla la strada)Dai che adesso non c’è nessuno!

FLAMINIA               - Non ce andà!

CESARE                   - Addio!

SERAFINO               - (sconvolto dall’indifferenza di Cesare)Va beh che ‘n conto ‘n cazzo... ma almeno bonasera!

FLAMINIA               - Cesarì!

Si ode uno sparo

FLAMINIA               - No!!! (escono tutti di fuori)

CAPO BRAVO         - Il conte Ottavio! Gli ha ammazzato l’amante.

Scena sette

                                                   La stanza di ricevimento del gesuita.

GESUITA                  - Vieni avanti figliolo, non stare in complimenti. Mettiti comodo! Non ti sentire sotto accusa.

MONSIGNORE        - E come faccio? Io mi ci sento da quando sono nato.

GESUITA                  - Fai bene, figliolo. Stiamo tutti sotto accusa. A proposito...

MONSIGNORE        - Sì.

GESUITA                  - Questa è una lettera di pentimento, di Monti e Tognetti: hanno scritto al papa per fare abiura e per implorare la grazia e l’apostolica benedizione. Sapessi quelle povere cristiane della madre di Tognetti e della moglie di Monti in che stato si trovano! (pogendola)La vuoi leggere?

MONSIGNORE        - No, no, ci credo.

GESUITA                  - Beh io capisco che magari avresti apprezzato da parte loro una maggiore fermezza e coerenza, eh?

MONSIGNORE        - Conosco la vostra capacità di persuasione.

GESUITA                  - Ma quei poveri diavoli se ne sono fatti un dovere. Del resto come potevano restare sordi alle preghiere delle famiglie? Guarda, guarda queste donne, guarda questi angioletti, come potrebbe un padre... eh, quello che non si farebbe per i propri figli... vero, monsignore?

MONSIGNORE        - No, non lo so.

GESUITA                  - Monti mi si è raccomandato personalmente affinchè queste due povere creature vengano accolte e allevate in un nostro convento. Vero, sora Lucia?

LUCIA                      - Bontà vostra eminenza.

GESUITA                  - (prendendo in braccio il più  piccolo)Vieni un po’ qua, figliolo. Noi li offriremo a Dio per compensare la scellerataggine del padre e ne faremo due bravi soldati della compagnia di Gesù.

MONSIGNORE        - Ah.

GESUITA                  - Lo vedi dunque come si opera quando si vuole aiutare la gente? Non come hai fatto tu.

MONSIGNORE        - Come ho fatto io?

GESUITA                  - È quello che mi domando anch’io. È quello che ci domandiamo tutti. Anche il Santo Padre ne è rimasto molto molto addolorato.

MONSIGNORE        - Eh, dispiace assai.

GESUITA                  - Ad ogni modo io non metto in dubbio la tua buona fede. Ma la strada era sbagliata. Quella portava dritti dritti alla ghigliottina.

MONSIGNORE        - Invece la vostra dove li porta?

GESUITA                  - Alla grazia. La grazia di chi non persegue la vendetta ma il perdono.  Tu invece hai fatto l’apologia delle bombe!

MONSIGNORE        - Ma per fortuna non m’ha dato retta nessuno.

GESUITA                  - E molto hai peccato verso queste povere donne.

MONSIGNORE        - Questo è vero. E a loro chiedo perdono.

GESUITA                  - Bravo. Solo chi si umilia sarà innalzato.

MONSIGNORE        - (va dalle donne)Non gliele date ste creature. Non gliele date, Le alleveranno nell’odio verso il padre, riportatevele a casa.

GESUITA                  - Ma non mi pare che tu ti stia umiliando.

MONSIGNORE        - Difatti io stavo dicendo un’altra cosa.

GESUITA                  - Mh. Voi andate adesso figliole, andate, abbiate fede. Il santo padre veglierà questa notte in preghiera, con la domanda di grazia sotto il cuscino dell’inginocchiatoio, per ispirarsi se firmarla o no... ma state tranquille, firmerà, firmerà. Addio, addio, andate care, andate, andate. (le donne escono)

MONSIGNOR           - (guardando un teschio sulla scrivania) Sempre più allegri voialtri, eh?Un bell’oggetto: semplice ma espressivo.

GESUITA                  - Non credi alla nostra buona volontà di salvarli...vero? Eppure uno l’abbiamo già salvato.

MONSIGNORE        - Quale dei due?

GESUITA                  - Il terzo. O credi di averlo salvato tu? Siamo noi che te lo abbiamo permesso.

MONSIGNORE        - Voi sapete sempre tutto, eh?

GESUITA                  - No, è che quello che c’è da sapere, noi lo sappiamo sempre prima degli altri. Per esempio, che Cesare Costa è tuo figlio, tu l’hai saputo soltanto adesso, mentre noi lo sappiamo da quando è nato.

MONSIGNORE        - Avreste potuto dirmelo, seppur in forma confidenziale.

GESUITA                  - Abbiamo voluto evitarti una crisi di coscienza inutile.

MONSIGNORE        - E adesso invece?

GESUITA                  - Eh... vieni, vieni un po’ qua. Guarda chi c’è.(gli fa guardare attraverso               l’occhio di un teschio sul muro)

MONSIGNORE        - Ma è il Papa !

GESUITA                  - Il Santo padre ha voluto degnarsi di vegliare da noi questa notte, anche per comunicare immediatamente al confessore la sua ispirazione se firmare la grazia.

MONSIGNORE        - Confessate pure a domicilio.

GESUITA                  - Sì ma... il vecchio è bislacco, tu lo sai. Potrebbe saltargli in mente di graziarli...

MONSIGNORE        - Sarebbe grave, eh?

GESUITA                  - Beh, in un momento come questo sarebbe un grave errore.

MONSIGNORE        - Beh, però ci sarete sempre voi pronti a convincerlo.

GESUITA                  - No... non ci sarò io, ci sarai tu. Sarai tu, che lo convincerai, che dovrai anzi convincerlo a respingere la grazia.

MONSIGNORE        - E perchè proprio io?

GESUITA                  - Perchè solo così noi avremo la certezza della tua obbedienza, e potremo considerarti recuperato. E questa è la cosa figliolo che aldilà della condanna dei criminali mi sta più a cuore.

MONSIGNORE        - No, Eminenza, io non condanno più nessuno, non ci contate. Io non ci credo più.

GESUITA                  - Non credi più? Ma come, hai perduto la fede?

MONSIGNORE        - Ma che fate, il gesuita con me? Voi avete capito benissimo, in che non credo più. Io voglio fa’ solo il prete, lasciatemelo fa’, che già è una faticata.

GESUITA                  - Ma non capisci che così stai condannando tuo figlio?

MONSIGNORE        - Pazienza, l’avevo immaginato che il prezzo era questo. Comunque prima lo dovete piglià.

GESUITA                  - Se non prendiamo lui prendiamo te, qualcuno dovremo pur prendere.

MONSIGNORE        - Ecco, allora restiamo d’accordo così. Posso andare?

GESUITA                  - Sei ancora il padrone.

Scena otto

Casa del Monsignore. In scena da una parte Flaminia, Teresa, Serafino con il volto affranto e piangenti.

MONSIGNORE        - (rientrando quasi di corsa) È andato via Cesarino?

SERAFINO               - Quasi.

MONSIGNORE        - Ma come quasi? Deve andà via subito, possono arrivare i carabinieri da un momento all’altro, i gesuiti sanno tutto, quelli...

Dall’altra stanza portano Cesare gravemente ferito e lo adagiano su un tavolo

CESARE                    - (delirante) Sono un volontario romano. M’hanno beccato al primo colpo. Non ho neanche fato in tempo a prende posizione.

UOMO                       - C’ha preso per garibaldini. Se crede de sta a Mentana.

CESARE                   - Però a Roma, io e due compagni miei, la parte nostra l’abbiamo fatta.

SERAFINO               - Il conte Ottavio gli ha fatto un’imboscata.

FLAMINIA               No. So’ stata io. (a Cesare) Come stai... È la mamma che parla...

CESARE                    - (afferra il braccio del Monsignore) Generale! Voi stavate a Roma nel ‘49, quando so’ nato io, poi ve ne siete andato, e so’ rimasto orfano. Poi siete ritornato, e ho ritrovato un padre. Tornamo a Roma insieme?

MONSIGNORE        - Sì, figlio.

CESARE                   - E buttamo al fiume tutti i preti.

MONSIGNORE        - Beh...

CESARE                   - Ve lo dissi. L’ho promesso.

MONSIGNORE        - E allora lo famo.

CESARE                   - Magari ne risparmiamo uno solo.

MONSIGNORE        - Chi?

CESARE                   - Uno che ha cercato di salvare la testa di Monti e Tognetti.

MONSIGNORE        - È amico tuo?

CESARE                   - Sto a morì, eh... però, morì a vent’anni fa ‘ncazza’.

MONSIGNORE        - Eh, i ribelli morono sempre a vent’anni. Pure quando non morono...

SERAFINO               - Povera pecorella.

MONSIGNORE        - Il signore è il mio pastore. Nulla mi mancherà. In verdi  pascoli mi fa riposare.

CESARE                   - Che avete detto?

MONSIGNORE        - Niente figlio. Ad acque tranquille mi conduce, ristora l’anima mia. In grazia del suo nome mi guida per sentieri di giustizia...

CESARE                   - Andiamo a  Roma?

MONSIGNORE        - Stiamo a andà. E anche se andassi per la valle della morte non temerei alcun male, perchè tu sei con me.

CESARE                   - Ssshh

MONSIGNORE        - Che è?

CESARE                   - Me sembrava de sentì una voce che pregava.

MONSIGNORE        - Te sarà sembrato.

Muore. I presenti si segnano.

Scena nove

Casa del Monsignore.Colombo detta una lettera a Serafino

MONSIGNORE        - Beatissimo padre...

SERAFINO               - A capo?

MONSIGNORE        - Come te pare. Ho appreso in questo momento che la domanda di grazia per i condannati Monti e Tognetti è stata respinta. E ci siete rimasto in piedi tutta la notte... che v’è successo, Santità? Lo Spirito Santo non vi ha illuminato? O invece di un colombo bianco vi è sceso sulla testa un corvo nero, travestito da gesuita? Di conseguenza, i condannati Monti e Tognetti saranno decapitati questa mattina alle sette. (guarda l’orologio) Cancella... Sono stati decapitati questa mattina alle sette. Ma non scrivi?

SERAFINO               - (piange) Pare come che non fosse successo niente.

MONSIGNORE        - (gli si avvicina, consolatorio)Serafì! I morti non morono, Cesarino è andato a dormì, e fra un po’ c’annamo pure noi, quanto credi che ce manca per fasse notte... l’importante è che un giorno ci risvegliamo, noi ce credemo, e poi che ce frega...

SERAFINO               - Ma Cesarino mica  ce credeva ... bisogna vede’ poi quando ce svejiamo... se ci ritrovamo insieme!

MONSIGNORE        - Io comunque  i passaporti glieli ho dati... e poi per il resto, Serafì! Stamo nelle mani Sue. Oh, Serafi’, è tardi, c’è la messa funebre per Cesarino. Me devi vestì. Intanto i pijo i vestiti…Ecco li metto qui su tavolo…(Si prepara alla vestizione ma vede che Serafino è rimasto piangente al tavolo. Si commuove, poi si fa forza, prende la tonaca di Serafino e va verso di lui

C’aveva raggione quella regazzina…s’è proprio rivortato er monno…S’è mai visto un monsignore che veste er perpetuo?...Dai, arzete, Serafì, prima che ce ripenso. (l’aiuta a mettere la tonaca poi torna al posto di prima pensando che Serafino comincerà a vestirlo) Ah Seraì, tu lo sai che io nun so’ capace ametteme sta robba, nun so’ manco ‘ndo comncia.

Sì, scusate. Lo veste quando ha finito Monsignore si muove per uscire ma Safio rimane impietrito e piangente. Monsignore allora trova la forza alla commozione e va a mettergli la cotta. Quando ha finito…

Ecco qua, un bel fiocchetto a Zio Serafino (Si commuove e scappa verso l’uscita)Andiamo, forza.

SERAFINO Monsignore..

MONSIGNORE Che c’è ancora ?

SERAFINO Grazie

MONSIGNORE Prego…Sìma nun te e abbituà.

                                                           BUIO MUSICA

Scena dieci

Il Monsignore celebra messa e sta per arrivare a dare la  comunione a qualche parrocchiano

MONSIGNORE        - Pax domini sit semper vobiscum. (a chi ha lasciato la porta della Chies a aperta) La porta !

Entra in chiesa  il gesuita.

SERAFINO               - Ma che vole questo?

MONSIGNORE        - Vuole me, non vedi che s’è portato la scorta.(continua la messa)

                                  

MONSIGNORE        Ecce agnus Dei. Ecce qui tollit peccata mundi. Domine…(tre volte)

Da le ostie ai fedeli, uno dopo l’altro, finchè arriva al Gesuita.

MONSIGNORE        - No. A voi, no.

(Torna sull’altare) - Per i nostri defunti Monti, Tognetti e Costa. Raequiem eterna dona eis, Domine: et lux perpetua luceat eis. Requiescant in pace.

SERAFINO               - Amen.

MONSIGNORE        - Dominus vobiscum

SERAFINO               - Et cum spirito tuo.

MONSIGNOR          - Ite, missa est.

                                               FINE