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Dramma in un atto

di Friedrich Dürrenmatt

Titolo originale dell'opera "DIE PANNE"

Traduzione di Italo Alighiero Chiusano

(da IL DRAMMA - 34° anno - n. 267 - Dicembre 1958)

LE PERSONE

(secondo l'ordine di entrata)

TRAPS

IL MECCANICO

L'OSTE

IL GIUDICE

IL PUBBLICO MINISTERO

L'AVVOCATO DIFENSORE

PILET

SIMONETTA

TOBIA


(Una musichetta in sordina. Rumore di automobile in corsa).

Traps           — Quel Wildholz! Gliela farò vedere io. Eh, caro il mio uomo! Ora ti concio per le feste. Gli tiro il collo, gli tiro. Avrà di che stupirsi. Senza misericordia! Né grazia né perdono. Eh no, bello, a me non la fai. Che ci ho scritto in fronte « gio­condo»? Il tinque per cento, vuoi fregarmi. Il cin­que per cento! Eh, ma ho buon fiuto, io. Fortuna che l'affare con Stürler ha funzionato. Ci faccio un bel guadagno, l'ho infinocchiato proprio per benino. Be', cos'ha 'sta macchina?

(Rumori di automobile in crisi)

Non si muove. Niente da fare. Me­no male che a due passi c'è una stazione di servi­zio. Ehi, sentite!

Il meccanico — Che cos'ha la vostra Studebaker?

Traps           — E che ne so? Stavo per affrontare questa salitella, quando a un tratto mi si ferma e non va più avanti.

Il meccanico — Fatemi un po' vedere. (Armeggio di ferri) Ah, ecco. Vedete?

Traps           — Accipicchia! Ci vorrà una riparazione un po' seria, no?

Il meccanico — Credo anch'io.

Traps           — Quanto ci mettete a rimettere in sesto la macchina?

Il meccanico — Potete venirla a ritirare domattina alle sette.

Traps           — Domani?!

Il meccanico — Considerate che sono le sei di sera.

Traps           — E' lontana di qui la stazione?

Il meccanico — Mezz'oretta di strada.

Traps           — Sì può pernottare in paese?

Il meccanico — Andate  a  vedere  alla  locanda dell'Orso.

Traps           — E va bene. Mi chiedo soltanto che cosa abbia il motore. Io non me ne intendo. Oggigiorno siamo alla mercé dei meccanici come un tempo a quella dei predoni di strada. Ecco la locanda del­l'Orso. Quel grassone sarà l'oste, immagino.

(Musi­ca di armonica. Brusio festivo)

Avete una camera libera?

L'oste          — Mi dispiace: tutto occupato. C'è il con­gresso dell'associazione allevatori di bestiame.

Traps           — Ci sono altre locande in paese?

L'oste          — Sono occupate anche quelle dai congres­sisti. Ma andate un po' dal signor Werge, la villa bianca in fondo allo stradone e poi a sinistra: quello riceve ospiti. (La musica dell'armonica dissolve len­tamente).

Traps           — Avrei fatto meglio a prendere il treno. Ma non parte che tra un'ora e poi dovrei cambiare due volte. Non me la sento proprio. E intanto la mac­china dovrei pur tornare a ritirarla. Carino, 'sto villaggio. Chiesetta, ecco una quercia gigante, ca­sette per una sola famiglia, ci abiteranno impiegati in pensione, gente che vive di rendita; cascine so­lide, pulite, guarda, anche i mucchi di concime messi su con cura. Quanto si dànno da fare! (Mug­giti, suono di campanacci) Mucche. Non ci man­cava altro. Si sa, siamo in campagna. Bella sera di estate, il sole ancora alto in cielo, domani è la gior­nata più lunga dell'anno. Forse avrò un'avventura, a volte si trovano delle ragazze carine in questi po­sti sperduti: una Luisa, una Caterina, come recen­temente a Grossbiestringer, una nottata coi fiocchi, si chiamava Eva. La villa, circondata di faggi e di abeti, davanti un giardino piuttosto grande, mica male, verso la strada alberi da frutta, aiuole di ver­dura, fiori dappertutto. Strano che prendano ospiti, qui, sembra una specie di pensione. Gente che ha gran bisogno di soldi. (Cigolio di un cancello) Nessunoin vista. Vialetti di ghiaia. Ehilà!

Il giudice    — Che cosa desiderate?

Traps           — Il signor Werge?

Il giudice    — Sono io.

Traps           — Il mio nome è Traps, Alfredo Traps!

Il giudice    — Piacere.

Traps           — Mi hanno detto che avrei potuto pernot­tare in casa vostra. Ho avuto una panne.

Il giudice    — Accomodatevi.

Traps           — Quanto chiedete?

Il giudice    — Niente.

Traps           — Niente? Ah be', questa!... Siete babbo Natale in persona?

Il giudice    — Avvicinatevi. Venite sulla veranda. (Brusio di voci).

Il pubblico ministero — Oh, eccone uno che arriva. Era tempo!

L'avvocato difensore  —  Che  pacchia!   Sembra un industriale.

Il pubblico ministero — Macché, un viaggia­tore di commercio.

Pilet            — Stupendo.

Traps           — Oh, non vorrei disturbare.

Il giudice    — Non disturbate affatto. Sono solo, mio figlio è negli Stati Uniti, sicché sono più che contento di ospitare ogni tanto qualcuno.

Traps           — Ma ne avete già, degli ospiti.

Il giudice   — Amici.  Pensionati, come me. Ve­nuti a vivere in questo villaggio per via del clima. Passeremo la serata insieme, si farà una cenetta. Vi invito a essere dei nostri.

Traps           — Caspita! Un'ospitalità simile non esiste più, al mondo. Sembra quasi una favola.

Il giudice    — Permettete che vi presenti: un pub­blico ministero in pensione...

Il pubblico ministero — Il mio nome è Zorn.

Traps           — Felicissimo.

Il giudice    — Un avvocato in pensione...

L'avvocato difensore — Permettete?  Kummer.

Traps           — Molto lieto.

Il giudice    — Il signor Pilet.

Traps           — Tanto piacere.

Pilet            — Stupendo.

Il giudice    — Questo è il signor Traps, Simonetta. Pernotterà qui.

Simonetta — In quale stanza, signor Werge?

Il giudice    — Ma Simonetta, dobbiamo prima sco­prirlo, no?

Simonetta — Capisco.

Il giudice   — Perché sapete, signor Traps, i nostri ospiti occupano ciascuno la camera che corrisponde alle loro qualità.

Traps           — Un'idea originale.

 Il giudice   — Volete un po' di vermut?

Traps           — Volentieri.

Il giudice    — Con un goccio di gin?

Traps           — Non so neanche come ho fatto a meri­tare tutto questo.

Il giudice    — Gli è che con la vostra visita voi ci rendete un servizio.

Traps           — Un servizio?

Il giudice    — Potreste partecipare al nostro giuoco.

Traps           — Con piacere. Di che giuoco si tratta? (Risatine imbarazzate).

L'avvocato difensore — Un giuoco un po' sin­golare.

Traps           — Capisco. Lorsignori giocano a soldi. Ci sto con entusiasmo.

Il pubblico ministero — No, non è questo il nostro giuoco.

Traps           — Ah no? (Risatine imbarazzate).

Il giudice    — Il nostro giuoco consiste in questo, che la sera torniamo a esercitare le nostre antiche professioni.

Traps           — Le vostre antiche professioni?

Il pubblico ministero — Giochiamo al tribunale.

Traps           (ridendo) — Accidenti, roba da far venire i brividi!

Il giudice    — In genere riesaminiamo i famosi pro­cessi storici: il processo di Socrate, il processo di Gesù, il processo di Giovanna d'Arco, il processo Dreyfus, anche l'incendio del Reichstag, oppure invitiamo a comparire diversi personaggi del pas­sato.

L'avvocato difensore — Così ieri, ad esempio, abbiamo dichiarato irresponsabile Federico di Prussia e l'abbiamo messo sotto tutela.

Traps           — E' davvero un giuoco singolare.

Pilet            — Stupendo, vero?

Il pubblico ministero — Ma il meglio, natural­mente, è quando possiamo giocare sul vivo.

Traps           — Immagino.

Il giudice    — Perciò di tanto in tanto qualche mio ospite ha la compiacenza di mettersi a nostra disposizione.

Traps           — Ma è più che naturale.

Il giudice    — Voi, però, non siete obbligato a pren­der parte al gioco, signor Traps.

Traps           — Ma certo che gioco anch'io!

Il giudice    — Volete un whisky o una vodka?

Traps           — Un whisky.

L'avvocato difensore — Sigaretta?

Traps           — Tante grazie.

L'avvocato difensore — Fuoco?

Traps           — Grazie, ho l'accendino. Un regalo di mia moglie.

Il pubblico ministero — Per quanto concerne la vostra parte, egregio signor Traps, sappiate che è molto facile da recitare, saprebbe farlo chiunque.

Traps           — Sono curioso.

Il giudice — Il giudice, il pubblico ministero e l'avvocato li abbiamo già: sono ruoli, del resto, che presuppongono una certa conoscenza della materia e delle regole del giuoco. L'unica parte vacante è quella dell'accusato. Ma, ripeto, voi non siete mini­mamente tenuto a giocare con noi.

Traps           — Che sorta di delitto dovrei aver com­messo?

Il  pubblico  ministero  —   Una  questione  del tutto irrilevante, amico mio.  Un delitto si trova sempre. (Risate sommesse).

Traps           — M'incuriosite proprio.

L'avvocato difensore — Signor Traps, giacché vi siete deciso a partecipare al giuoco, bisogna che vi dica due parole un po' sul serio.

Traps           — A me?

L'avvocato difensore — In fondo sono il vostro difensore.

Traps           — Grazie, molto gentile.

L'avvocato difensore — Venite, andiamo in sala da pranzo ad assaggiare il Porto del signor Werge. Un vino stravecchio, dovete provarlo. (Passi) Bella sala da pranzo, vero? La grande tavola rotonda solennemente imbandita, austere seggiole dagli alti schienali, quadri secenteschi alle pareti, roba auten­tica, non cose strampalate come quelle che dipin­gono oggigiorno; dalla veranda si sentono conver­sare i nostri amici, dalle finestre aperte si vedono i fuochi del tramonto, giunge il cinguettio degli uc­celli, su questo tavolino un gruppo di bottiglie, al­tre sul camino, in quella cesta le bottiglie di Bor­deaux. Venite, venite, è un'atmosfera confortevole, la poesia del focolare, ci riempiamo due bei bic­chieri di porto e beviamo alla nostra salute.

(Tin­tinnio di bicchieri urtati nel brindare)

Traps           — Eccellente!

L'avvocato difensore — Nevvero? La miglior cosa è che mi confessiate subito il vostro delitto, allora vi posso garantire che in giudizio la spunte­remo. Il pubblico ministero, quel signore alto e secco col monocolo, è già sulla novantina, d'accordo, ma è ancora in pieno possesso delle sue facoltà mentali, ai suoi tempi è stato una celebrità mondiale, e anche il nostro anfitrione è un giudice molto severo e forse addirittura pedante. Come vedete, la situazione non è priva di pericolo. Ciononostante mi è riuscito di salvare la stragrande maggioranza dei miei clienti; solo una volta, nel caso di un omi­cidio per rapina, non c'è stato niente da fare. Ma un omicidio per rapina nel vostro caso è da esclu­dersi, mi sembra; o no?

Traps           (ridendo) — Purtroppo non ho commesso nessun delitto, caro dottor Kummer. Strano, però, che il pubblico ministero porti il monocolo. Non è roba passata di moda? Alla salute!

L'avvocato difensore — Prosit! Quanto a me, preferisco i miei occhiali a molla. Vi sentite inno­cente, signor Traps?

Traps           — Ah be', sentite! Ho forse una faccia da delinquente?

L'avvocato difensore — Hm. E va bene. Soprat­tutto, pensate a ogni parola che dite, non chiacchie­rate a vanvera, se no va a finire che vi condannano ancora a qualche annetto di carcere senza ch'io possa farci nulla.

Traps           (ridendo) — D'accordo, d'accordo.  Diver­tente, 'sto giuoco di società, devo ammetterlo.

L'avvocato difensore — Ecco che arrivano gli al­tri. Sediamoci  al   tavolo.   Simonetta  ci  servirà la cena.

Il pubblico ministero — Che cosa si mangia?

Simonetta — Zuppa di tartaruga.

Pilet            — Stupendo.

Tutti            — Buon appetito. (Si ode sorbire la mi­nestra).

Il pubblico ministero — Ebbene? Imputato, che cosa avete da offrirci? Un bell'assassinio, spero.

L'avvocato difensore — Debbo protestare, signor procuratore. Il mio cliente è un imputato senza de­litto, una vera rarità giudiziaria. Egli è innocente, del tutto innocente.

Il giudice    — Come come?

Il pubblico ministero — Innocente?

Pilet            (cupo) — Eh?

Il giudice    — Ma è inaudito.

Il pubblico ministero — Dobbiamo esaminarlo. Ciò che non può esistere non esiste.

Traps           (ridendo) — Fate pure, signor procuratore!

Simonetta — Trote, signori, accompagnate da un leggero, frizzante vino di Neuchâtel.

L'avvocato difensore —  Il  mio antipasto pre­ferito!

Pilet            — Stupendo.

Il pubblico ministero — La vostra età, signor Traps?

Traps           — Quarantacinque anni.

Il pubblico ministero — Professione?

Traps           — Rappresentante generale di commercio.

Il pubblico ministero — Benissimo. Avete avuto una panne?

Traps           — Sì, per caso: è la prima volta da un anno a questa parte.

Il pubblico ministero — Ah, ecco: e un anno fa?

Traps           — Be', conducevo ancora la vecchia mac­china. Una Citroen 1939; ora invece ho una fuori­serie, una Studebaker rosso sangue.

Il pubblico ministero — Una Studebaker? Ah, interessante! E da poco tempo, dite? Prima, imma­gino, non eravate rappresentante generale, no?

Traps           — Ero un semplice, comunissimo commesso viaggiatore in articoli tessili.

Il pubblico ministero — Già, la ripresa econo­mica.

Simonetta — Il signore prende le trote col burro fritto o con la maionese?

Traps           — Con la maionese.

L'avvocato difensore (sottovoce) — Vi ripeto, si­gnor Traps, state attento! Ogni domanda del pub­blico ministero ha un suo fine preciso.

Traps           — Signori miei, debbo dirvi che finora le serate più divertenti, per me, erano quelle che passo al circolo della Cuccagna, ma ora confesso che que­sta serata tra uomini è ancora più spassosa.

Il pubblico ministero — Ah, siete socio della Cuccagna?   Significativo.  Che  soprannome   avete, là dentro?

Traps           (orgoglioso) — Casanova.  Marchese Casa­nova.                                                  

Pilet            — Stupendo.

Il pubblico ministero — E' un soprannome che corrisponde alla vostra vita privata?

L'avvocato difensore (sottovoce) — Attento! (For­te) Un po' d'insalatina di Bruxelles, per favore!

Traps           — Caro signor pubblico ministero, soltanto in parte. Sono rigorosamente sposato, padre di quat­tro figli, e se a volte mi capita qualche avventura extraconiugale, son sempre cosette occasionali e pri­ve d'ambizione.

Simonetta — Un altro bicchiere di Neuchâtel?

Traps           — Grazie, è un nettare.

Il giudice    — Caro signor Traps, vorreste avere la bontà di raccontare per sommi capi la storia della vostra vita agli amici che vi circondano? Poiché abbiamo deciso, carissimo ospite e peccatore, di giu­dicarvi e, possibilmente,  di mettervi in  gattabuia per un bel numero di anni, mi pare che sia il caso di saper qualcosa di più personale, di più privato, di più  intimo  sul  conto  vostro:   perciò storie di donne, il più possibile salate e pepate.

Gli altri     — Su su, dite, dite!

Pilet            (cupo) — Una volta abbiamo avuto tra noi un lenone, signor Traps, che ci ha raccontato una serie di gustosissime storielle professionali, e con tutto ciò se l'è cavata con quattro anni di carcere. Veramente stupendo.

Traps           — Che volete che vi racconti, di me? Io non sono affatto un lenone. Conduco una vita banalis-sima, signori miei, una vita assolutamente comune, ve lo confesso subito. Alla salute!

Gli altri     — Salute!

(Tintinnio di bicchieri)

Simonetta — Funghi alla crema, signori, e come vino Château neuf du Pape.

Pelet           — Stupendo.

Il giudice    — Bene, signor Traps: come vedete, l'atmosfera per ascoltare le vostre confessioni è or­mai creata.

Traps           — Una giovinezza difficile, è stata la mia. Mio padre era un operaio di fabbrica, un prole­tario, caduto nei lacci delle dottrine di Marx e di Engels, un uomo tetro e amareggiato che non si è mai curato di me. Mia madre una lavandaia, sfiorita ben presto. Non potei frequentare che le scuole elementari, le elementari soltanto.

Il pubblico ministero — Interessante. Solo le elementari. Però vi siete fatto strada, eh, carissimo!

Traps           — Lo credo bene. Ancora dieci anni fa non ero che un venditore ambulante e andavo di casa in casa con una valigetta. Un duro lavoro, sgam­bare dalla mattina alla sera, dormire su mucchi di fieno in alberghetti equivoci. Ho cominciato dalla gavetta, nel mio ramo, proprio dalla gavetta. Oggi, invece, signori miei, vorrei che vedeste il mio conto in banca. Non per vantarmi, ma c'è nessuno di voi che abbia una Studebaker?

L'avvocato difensore (sottovoce) — Ma siate pru­dente!

Il pubblico ministero — E come ci siete arrivato?

L'avvocato difensore (c.s.)— State attento e parlate un po' meno.

Traps           — Ho assunto la rappresentanza generale dell'« Efèstion » sul nostro continente.

Il giudice    — L'« Efèstion »? Che cos'è?

Traps           — Semplicissimo, giudice e anfitrione. Se oggi esiste il nylon, il perlon, il myrlon, prodotti sintetici di cui quest'alta corte avrà indubbiamente sentito parlare, esiste anche l'« Efèstion », il re dei tessuti sintetici,  resistente,  trasparente,  e tuttavia un beneficio per i reumatici, utilizzabile tanto nel­l'industria che nella moda, tanto in pace che in guerra, la stoffa ideale per paracadute e al tempo stesso la materia più piccante, come camicie da notte femminili, come posso garantire per osserva­zione personale.

Gli altri     — Ohò!

Il giudice    — Per osservazione personale!

Pilet            — Stupendo.

Simonetta — Lombata di vitello, carciofi e un pastoso St-Julien-Médoc 1927.

Traps           — Una cena da pascià.

Il pubblico ministero — Lo credo bene. Il nostro anfitrione fa lui stesso le compere, quel vecchio buongustaio.  Ma torniamo a voi.  Continuiamo a esaminare, a indagare, a sviscerare il vostro caso. Come siete arrivato a ricoprire un posto così lu­crativo?

L'avvocato difensore (sottovoce) — Attenzione, pericolo in vista.

Traps           — Non è stato facile. Ho dovuto prima battere Gygax, ed è stata dura.

Il pubblico ministero — Senti senti:  e questo signor Gygax, chi sarebbe?

Traps           — Il mio principale di un tempo. Accidenti, questo Bordeaux dev'essere squisito, a giudicare dal profumo.

Il pubblico ministero — E dite un po', carissimo: sta bene, il signor Gygax?

Traps           — E' morto l'anno scorso.

L'avvocato difensore   (sottovoce) —  Siete,  am­mattito?

Il pubblico ministero — Morto! Sicché avremmo finalmente scovato il nostro bravo defunto, che è la cosa principale. Signori, vi invito a degustare il St-Julien-Médoc in onore di questa scoperta. (Tin­tinnio di bicchieri) Veniamo dunque al nostro mor­to, ch'è spuntato all'orizzonte. Può darsi che possa saltar fuori un bell'omicidio, commesso dal nostro caro Traps per la sua e la nostra gioia.

Traps           (ridendo) — Mi dispiace, signori, mi dispia­ce, ma debbo deludervi.

(Risate)

Il pubblico ministero — Be', non desistiamo. Ri­capitoliamo, piuttosto. Il signor Gygax è morto l'an­no scorso, avete detto?

Traps           — Otto mesi fa.

Il pubblico ministero — Dopo che voi assumeste quel posto?

Traps           — No, poco prima.

Il pubblico ministero — Ah! E di che cosa è morto?

Traps           — Disturbi cardiaci.

Il pubblico ministero — Benissimo. Per ora non mi occorre altro.

L'avvocato difensore — Imprudente, Traps, molto imprudente. Credetemi, ho una lunga esperienza: grazie ai disturbi cardiaci il pubblico ministero ne ha mandato più di uno sul patibolo.

Il pubblico ministero — A che età è morto il signor Gygax, mio caro Traps?

Traps           — A cinquantadue anni. Mi passate ancora un po' di salsa?

Il giudice    — Giovanissimo.

L'avvocato difensore (sottovoce) — E tutto que­sto lo confessate così tranquillamente?

Traps           (ridendo) — Non temete, mio caro avvocato: quando comincerà la seduta starò più in guardia. (Silenzio).

L'avvocato difensore — Ma sciagurato, che cosa volete dire? Quando comincerà la seduta?

Traps           — Perché? E' già cominciata, forse? (Risate).

Il giudice    — Non se n'è accorto, non se n'è accorto.

Pilet            — Stupendo.

Traps           (interdetto) — Signori miei, scusate tanto, ma immaginavo che il gioco avesse un'aria più so­lenne, più dignitosa, più formale, facesse più aula giudiziaria, insomma.

Il giudice    — Carissimo signor Traps, la vostra faccia costernata, un momento fa, era semplice­mente impagabile. Il nostro modo di giudicare vi sembra strano e un po' troppo allegro, a quanto vedo, egregio amico. Ma vedete, noi quattro, in­torno a questo tavolo, siamo pensionati, e abbiamo pensato bene di liberarci dall'inutile farragine delle formule, dei protocolli, dei verbali, delle leggi e da quant'altro ingombra e soffoca le nostre aule giu­diziarie. Noi giudichiamo senza tener conto di quel­la zavorra che sono i codici coi relativi articoli.

Traps           — Niente articoli del codice? Un'idea me­ravigliosa!

L'avvocato difensore — Amici cari, vado a pren­dere una boccata d'aria prima che venga in tavola il pollo e tutto il resto: una passeggiatina igienica e una sigaretta fanno bene. Invito il signor Traps ad accompagnarmi.

Traps           — Volentieri, avvocato.

L'avvocato difensore — Attraversiamo la veranda e usciamo nella notte, che finalmente è scesa sulla terra, calda e maestosa. La mia vena poetica, amico mio. Datemi il braccio.

Traps           —  Prego.

L'avvocato difensore — Una sigaretta.

Traps           — Santo cielo, come me la sono goduta, là dentro.

L'avvocato difensore — Caro amico, prima che torniamo in sala ad affrontare il pollo, permettete che vi parli un attimo sul serio, e cercate di tener­ne conto. Voi mi siete simpatico, giovanotto, vi voglio addirittura bene, vi parlerò come un padre: se continuiamo così, il nostro processo se 'ne va a carte quarantotto.

Traps           — Scalogna. Ma state attento: mi par di vedere uno stagno, una panchina di pietra, sedia­moci.

L'avvocato difensore — Le stelle si specchiano nell'acqua, che gradevole frescura. Ce n'è bisogno, in questa notte d'estate. Dal villaggio suono di canti accompagnati dall'armonica, ecco la voce so­lenne di un corno alpino.

Traps           — L'associazione allevatori di bestiame fa festa. Le risate! Troppo divertente, quel giuoco di società. Alla prossima seduta della « Cuccagna » dobbiamo introdurlo assolutamente anche noi.

L'avvocato difensore — Nevvero? Par di rivi­vere. Io cominciai a deperire, mio stimabile amico, quando andai in pensione e, rimasto improvvisa­mente ozioso, me ne venni in questo villaggio a godermi la vecchiaia. Che attrattive ci sono qui? Nulla, non tira vento, ecco l'unico vantaggio. Cli­ma salubre. Che te ne fai, se lo spirito ti resta inoperoso? Il procuratore stava per morire, il no­stro anfitrione si sospettava già che avesse un can­cro allo stomaco, ecco il bel risultato. Allora ci venne l'idea di quel giuoco, e tac!, diventò la nostra fonte di salute, gli ormoni tornarono a fun­zionare, la noia scomparve, riacquistammo energia, spirito giovanile, elasticità, appetito. E adesso gio­chiamo ogni settimana con gli ospiti del giudice, che fungono da imputati: secondo chi capita, merciaiuoli ambulanti, turisti; ier l'altro abbiamo per-sino condannato a vent'anni di carcere un depu­tato al parlamento: fu solo grazie alla mia abilità che riuscì a scampare la forca.

Traps           (ridendo) — La forca?! Siete spassoso, sapete.

L'avvocato difensore — Perché?

Traps           — La pena di morte è abolita, no?

L'avvocato difensore — Nella giustizia statale; ma qui abbiamo a che fare con una giustizia pri­vata, e la ripristiniamo: è proprio la possibilità di comminare la pena di morte che rende così emo­zionante il nostro giuoco.

Traps           — Allora dovreste avere anche un boia.

L'avvocato difensore — L'abbiamo, l'abbiamo: il signor Pilet.

Traps           (spaventato) — Pilet? Quello che dice sem­pre « stupendo »?

L'avvocato difensore — E' stato uno dei migliori, dei più valenti carnefici del paese che confina col nostro:  ora è in pensione anche lui, ma è ancor sempre versatissimo nella sua arte. Che cosa avete?

Traps           (con sforzo) — Non so. (Scoppia improvvi­samente a ridere) Di colpo ho avuto paura. Ma sono sciocchezze. La serata sarebbe meno allegra e gustosa senza carnefice, e godo già al pensiero di raccontare il fatto alla « Cuccagna », dove certo, una volta o l'altra,  faremo venire anche il boia, dietro un piccolo compenso e pagandogli le spese di viaggio... Ehi, avete udito?

L'avvocato difensore — Che altro c'è?

Traps           (impaurito) — Un grido... non avete sentito?

L'avvocato difensore — Un grido?

Traps           — Sì, dentro casa.

L'avvocato difensore — Ah, era Tobia.

Traps           — E chi è Tobia?

L'avvocato difensore — Ha avvelenato sua mo­glie.

Traps           — Sua... moglie?

L'avvocato difensore — Sì, e perciò sei anni fa l'abbiamo condannato all'ergastolo. Veramente avrebbe meritato la pena di morte, ma siccome è irresponsabile...

Traps           — Sei anni fa? Ed è ancora qui?

L'avvocato difensore — Come ospite. Quando non abbiamo altri ospiti, lui recita la parte dei vari personaggi storici. Ieri, appunto, fu Federico il Grande. Ora è libero, dato che siete venuto voi. Dorme in una cella da ergastolano, e di notte è un po' irrequieto, per il resto una cara persona.

Traps           — Una cella da ergastolano?

L'avvocato difensore — Così chiamiamo le stan­ze in cui ospitiamo coloro che abbiamo condannato alla reclusione a vita. Abbiamo una stanza per ogni genere di pena.

Traps           (ridendo) — Ci son cascato di nuovo. Ho avuto davvero paura. Una casa dell'altro mondo, questa.

L'avvocato difensore — Confidenza per confi­denza: voi avete ucciso Gygax, vero?

Traps           — Io?

L'avvocato difensore — Be', giacché è morto!...

Traps           — Ma non è mica colpa mia.

L'avvocato difensore — Mio caro giovane amico, capisco il vostro ritegno. Di tutti i delitti, gli omi­cidi sono i più penosi da confessare. Ma con me potete  confidarvi   tranquillamente,   io   conosco  la vita e ho per voi la più larga comprensione.

Traps           — Ma io non ho proprio niente da con­fessare.

L'avvocato difensore — Eh eh eh! Che discorsi son questi? Bisogna pur confessare, che lo si voglia o no, e qualcosa da confessare c'è sempre. Orsù, dunque, amico caro, non fate il difficile, e parlate francamente: in che modo vi siete disfatto di Gygax?

Traps           — Mio caro avvocato, il fascino particolare di questo giuoco (se un principiante come me può esprimere il suo modesto parere) consiste nel fatto che chi recita la parte dell'imputato ogni tanto si sente venire i brividi. Il giuoco minaccia di con-vertirsi in realtà. Ci si chiede, a un tratto: sono o non sono un delinquente, il vecchio Gygax l'ho ucciso oppure no? Si resta tutti scombussolati, sem­bra proprio di stare al cinema, e perciò, confidenza per confidenza: sono proprio innocente della morte di quel vecchio gangster.

L'avvocato difensore — E va bene. Innocente. Speriamolo. Venite, torniamo in casa, in sala da pranzo, dove il pollo è già in tavola e lo Château Pavie 1921 brilla cupo nei bicchieri.

(Brusio di voci. Risate)

Il pubblico ministero — Eccoli di ritorno.

Il giudice    — Finalmente.

Pilet            — Stupendo.

Il pubblico ministero — Il pollo è squisito.

Il giudice    — Cucinato secondo una ricetta segre­ta di Simonetta.

Il pubblico ministero — Una leccornia.

Il giudice    — Sedetevi, signori, noi stiamo già la­vorando di ganasce.

Il pubblico ministero — Una domanda, caris­simo e stimatissimo imputato, una domanda: voi ci avete detto, poco fa, che il signor Gygax era morto d'una malattia di cuore. E' proprio vero?

Traps           (divertito) — Verissimo, signor procuratore.

Il pubblico ministero — Parola d'onore?

Traps           — Ma sì.

Il pubblico ministero — Non lo avreste piutto­sto... avvelenato?

Traps           (ridendo) — No, niente del genere.

Il  pubblico  ministero  —  Gli  avreste   sparato, forse?

Traps           — Neanche.

Il pubblico ministero — O gli avete preparato un bell'incidente automobilistico? 

(Risate).

L'avvocato difensore (sottovoce) — In guardia! E' un tranello.

Traps           — Siete decisamente sfortunato, signor pub­blico ministero. Gygax morì d'infarto cardiaco, e non era nemmeno il primo attacco: già qualche anno prima ne aveva avuto uno, il vecchio pirata, lo so di certo.

Il pubblico ministero — Ah, e da chi l'avete saputo?

Traps           — Da sua moglie, caro procuratore.

Il pubblico ministero — Da sua moglie?

L'avvocato difensore (sottovoce) — Attento! Per l'amor del cielo.

Traps           — Signori, questo Château Pavie 1921 su­pera le mie aspettative. Sono già al quarto bicchie­re. Ma perché l'alta corte non creda ch'io le na­sconda qualcosa, voglio dire la verità e attenermi alla verità, anche se il mio avvocato non fa che bisbigliarmi «attento»! In una compagnia di amici come questa non è il caso di far complimenti: vi si sopporta anche la verità, voglio sperare. Tra me e la signora Gygax, sapete, c'è stato qualcosa. Eh be', che volete, quel vecchio filibustiere era spesso in viaggio e trascurava la sua bella e appetitosa mogliettina nel più indegno dei modi, e allora, sapete com'è, di tanto in tanto ho dovuto far la parte del consolatorc sul canapè di casa Gygax e più tardi, a volte, anche nel talamo coniugale.

(Risate omeriche)

Il giudice    — Una confessione, una confessione!

Pilet            — Stupendo.

L'avvocato difensore — Che sconsiderato.

Traps           — Signori miei, che c'è da ridere?

Il giudice    — Non ha capito, non ha capito!

Il pubblico ministero — Signor Traps, siete ancor sempre in buone relazioni con la signora Gygax?

L'avvocato difensore — Attento! E' una doman­da decisiva.

Traps           — Dopo la morte di Gygax non l'ho più vista.   Sapete,  non volevo comprometterla,  povera vedovella! (Risate clamorose).

L'avvocato difensore  (furente) — C'è  cascato! Naturalmente.

Pilet            — Si arriva alla pena di morte,  si arriva alla pena di morte.

Simonetta — Formaggio.

Traps           — Ci sono cascato? Signori, non capisco. Negli affari non si scherza, lo ammetto, è una lotta a coltello, chi volesse far troppo il gentiluomo an­drebbe in malora. In fondo sono padre di famiglia. Guadagno soldi a palate, è vero, ma sgobbo come dieci elefanti, ogni giorno mi faccio i miei bravi seicento chilometri con la mia Studebaker. Che ci volete fare, il commercio è una lotta e la vita pri­vata una giostra. Oggi si cede a una tentazione, domani si resiste; oggi si commette un piccolo adul­terio, domani no; è una questione di fortuna, nes­suno può rimproverarmi nulla.

Il pubblico ministero — Vedremo, vedremo!

Il giudice    — Signori miei, per celebrare degna mente  questa  serata  stappiamo  una  bottiglia   di Château  Margot   1914.  Vedete, è  ancora  ermeti­camente  chiusa.  Annusiamolo,  ammiriamolo,   ver­siamolo solennemente  al  signor Traps questo vi­nello, come ringraziamento per le ore meravigliose ch'egli ci fa trascorrere. Che ve ne pare?

Traps           — Magnifico!

Pilet            — Stupendo.

Il giudice — Egregi signori, l'interrogatorio del nostro caro imputato sarebbe concluso. Invito il pubblico ministero a pronunciare la sua piccola re­quisitoria.

L'avvocato difensore — E va bene, signor Traps, ascoltiamo questa requisitoria. Resterete di stucco vedendo quel che avete combinato con le vostre imprudenti risposte. Ora, però, non perdete la testa, vi trarrò io dall'impiccio. Coraggio! Soprattutto concentrazione, raccoglimento. La notte è silenziosa, solo dal villaggio s'ode il lontano suono di qualche organino, un coro di voci virili canta « Presso la fontana fuori le mura »: non sarà certo questo a disturbarci. (In lontananza coro maschile).

Il pubblico ministero — Il bello di questa se­rata, amici miei, ciò che la rende particolarmente riuscita è il fatto che abbiamo scoperto un omicidio, preparato con tale raffinatezza, che naturalmente la nostra giustizia statale non poteva che lasciarselo sfuggire.

Traps           — Un omicidio? Ah, be', questa poi!... (Scoppia a ridere) Come barzelletta non c'è male! Ora capisco dove volete arrivare! Mi si vuoi con­vincere che ho commesso un omicidio. Eh no, si­gnori miei, con me non attacca.

Il pubblico ministero — E' proprio questo che occorre dimostrare, tanto più che l'accusato si ritie­ne ancora innocente. Voglio però dir subito: si tratta di un lietissimo evento. La scoperta di un omicidio fa battere più forte i nostri cuori, ci pone di fronte a nuovi compiti, a nuove decisioni, a nuo­vi doveri, e perciò mi permetto di congratularmi col nostro caro ed egregio colpevole, dato che senza un colpevole è piuttosto difficile scoprire un assas­sinio, far seguire il suo corso alla giustizia. Bevo pertanto alla salute del troppo modesto Alfredo Traps, che un benevolo caso ha portato in mezzo a noi.

(Voci di giubilo. Tintinnio di bicchieri)

 

Tutti            — Evviva Alfredo Traps!

Traps           — Signori, la benevolenza che mi dimo­strate mi commuove profondamente. Non mi ver­gogno delle mie lacrime, è la più bella serata della mia vita.

Il pubblico ministero — Anch'io ho gli occhi pieni di lacrime.

Traps           — Procuratore, caro, carissimo amico!

Il pubblico ministero — Imputato, caro, caris­simo Traps!

Traps           — Diamoci del tu.

Il pubblico ministero — Mi chiamo Kurt. Alla tua salute, Alfredo!

Traps           — Alla tua, Kurt!

Il pubblico ministero — Ripenso con orrore ai tempi in cui, servitori dello Stato, dovevamo eserci­tare una ben tetra professione. Come tutto è cam­biato! Mentre una volta non facevamo che saltare da un processo all'altro, oggi possiamo istruire co­modamente, con tutto nostro agio, in un'atmosfera di gaiezza, impariamo ad amare l'imputato, la sua simpatia ricambia la nostra, è un affratellarsi reci­proco. Ed è bene che sia così, perché la giustizia, amici miei, è una cosa serena, alata, non qualcosa di spaventoso, di terrificante come è divenuta la giustizia ufficiale.

Traps           — Viva la giustizia!

Gli altri     — Viva la giustizia!

Il pubblico ministero — E dopo questo brindisi permettetemi di apprezzare il fatto. Credo di aver trovato la parola giusta, visto che la mia requisito­ria non vuol essere affatto un discorso intimida­torio che possa mettere in imbarazzo il nostro ami­co, bensì un apprezzamento che gl'indichi il suo delitto, glielo faccia fiorire sotto gli occhi, glielo faccia conoscere appieno. Soltanto sul puro piede-stallo della conoscenza è possibile erigere il mono­litico monumento della giustizia.

Traps           — Sembra una favola, sembra proprio una favola!

Il pubblico ministero — Che cosa è dunque ac­caduto? Come ho fatto a scoprire che il nostro caro amico è autore di un omicidio, e non di un omi­cidio qualsiasi, ma di un omicidio raffinatissimo, attuato senza spargimento di sangue, senza far ri­corso a mezzi quali il veleno, la pistola e simili?

Traps           — Son proprio curioso di sapere.

Il pubblico ministero — Come esperto in ma­teria devo sempre partire dal principio che dietro ogni fatto, ogni persona, può appiattarsi un delitto.

Traps           — Uehi!

Il pubblico ministero — Il primo sospetto me l'ha ispirato la circostanza che il nostro rappresen­tante generale ancora un anno fa girava in una vecchia Citroen, mentre oggi si pavoneggia al vo­lante di una Studebaker.

Traps           — Eh, ma allora il mondo dovrebbe pullulare di assassini!

Il pubblico ministero — Ora io so, naturalmen­te, che viviamo in un periodo d'intensa ripresa economica, e così il mio sospetto fu dapprima assai vago, più che altro una specie d'intuizione di tro­varmi di fronte a un fatto consolante: la scoperta, appunto, di un omicidio. Che il nostro caro amico abbia occupato il posto del suo principale, che, per farlo, abbia dovuto sbarazzarsi di costui, che que­sto signore sia morto, tutti questi fatti non erano ancora delle prove, ma argomenti che rafforzavano, che concretavano sempre più quel mio vago pre­sentimento. Un sospetto logicamente fondato non scaturì che al momento in cui fummo informati di che cosa era morto quel leggendario principale: di un infarto cardiaco. Qui si trattava di dedurre, di combinare, di dar prova di acume, di fiuto, di procedere con somma discrezione, di seguire le or­me della verità, di riconoscere nell'ordinario lo stra­ordinario, di vedere lo specifico nel generico, una forma definita nella nebbia, di credere a un omi­cidio proprio perché sembrava assurdo supporlo.

Traps           — Difatti è assurdo.

Il pubblico ministero — Diamo un'occhiata al materiale a nostra disposizione. Tracciamo un pro­filo dei defunto. Sappiamo poco su! suo conto, ciò che sappiamo l'abbiamo ricavato dalle parole del nostro simpatico amico. Il signor Gygax era il rap­presentante generale della casa « Efèstion », pro-duttrice di tessuti sintetici, cui attribuiamo volen­tieri tutte le gradevoli qualità che il nostro caris­simo Alfredo ci ha saputo magnificare. Gygax era un uomo, possiamo dedurre, che badava al sodo, sfruttava senza riguardi i suoi dipendenti e sapeva come si fanno gli affari, anche se i mezzi di cui si serviva erano spesso più che discutibili.

Traps           — Esatto: l'avete fotografato, quel vecchio filibustiere!

Il pubblico ministero — Inoltre possiamo pen­sare che il signor Gygax amasse farsi vedere, agli occhi del mondo, come un tipo robusto e sanissimo, come uh uomo d'affari estremamente fortunato, all'altezza di qualunque situazione e furbo di tre cotte, ragion per cui teneva accuratamente segreto il suo grave vizio cardiaco (anche qui citiamo il nostro Alfredo), considerando quel disturbo con una specie di rabbia dispettosa, quasi fosse una per­dita di prestigio personale.

Traps           — Magnifico, siete proprio un mago!

L'avvocato difensore (sottovoce) — Ma volete star zitto?

Il pubblico ministero — Si aggiunga che il de­funto trascurava sua moglie, una donnina che possiamo immaginare piuttosto bella e appetitosa... il nostro caro amico, almeno, si è espresso su per giù in questi termini...

Traps           — Una donna che lèvati!

Il pubblico ministero — Per Gygax contava solo il successo, solo gli affari, e sembra molto proba­bile ch'egli fosse persuaso della fedeltà di sua mo­glie e che si giudicasse un personaggio così stra­ordinario, un uomo di così raro fascino da esclu­dere che a lei fosse mai passata per l'anticamera del cervello l'idea di un adulterio, sicché sarebbe stato un durissimo colpo, per lui, se fosse venuto a sapere che sua moglie lo tradiva col nostro am­mirato Casanova della  « Cuccagna ».

Traps           — Difatti ci rimase male!

Il pubblico ministero (sorpreso) — Ci rimase male?

L'avvocato difensore (sottovoce) — Ma pensate un po' a quel che dite, per l'amor di Dio! Ora avete rivelato una cosa gravissima.

Il pubblico ministero — Oh, guarda, e come lo venne a sapere, quel vecchio demonio? Glielo con­fessò la sua appetitosa mogliettina?

Traps           —  Eh,   no,   aveva   troppa  paura  di  quel gangster.

Il pubblico ministero — Lo scoprì lui stesso?

Traps           — Impossibile:  era troppo pieno di sé.

Il pubblico ministero — Hai forse confessato tu, mio caro amico e don Giovanni?

Traps           — E' un po' imbarazzante,  Kurt,  rispon­dere a questa tua domanda.

L'avvocato difensore — Vorrei avvertire il signor Traps ch'egli non è tenuto affatto a rispondere.

Il giudice    — Certo, non è obbligato a farlo.

Il pubblico ministero — Va bene.

Traps           — Alta corte! La perspicacia del pubblico ministero merita un incoraggiamento. Buon gioca­tore è solo colui che prende sul serio il proprio gioco:   questo vale anche per il gioco che stiamo facendo.  Io non ho paura della verità. Ammetto che uno dei miei amici avvertì Gygax, e che fui io che lo indussi a farlo. A me non piacciono i misteri: non mi piacciono qui come non mi piac­quero allora, quand'ebbi quella relazione con Käthi.

(Prima un profondo silenzio, poi risate omeriche)

Il  pubblico ministero — Una confessione, una confessione in piena regola.

Pilet            — Stupendo.

L'avvocato difensore — Più sciocchi di così si muore.

Traps           — Ma che avete, signori? Perché vi met­tete a ballare a quel modo?

Il pubblico ministero — Amici miei, permettete che per la gioia mi arrampichi sulla sedia, conti­nuando la mia arringa da posizione più elevata. Il caso è lampante, abbiamo raggiunto l'ultima cer­tezza. Consideriamo il nostro stimabile assassino, Alfredo era dunque schiavo di quel bandito. An­cora al tempo della guerra il nostro amico faceva il venditore ambulante, meno ancora, senza paten­te, un vagabondo che vendeva mercé abusiva, cer­chiamo d'immaginarcelo, un piccolo borsanerista, e ora s'era tirato su, aveva un posto fisso in una ditta: ma chi riposa mai sul ramo ch'è riuscito a raggiungere, quando sopra la sua testa, verso la cima, per dirla poeticamente, occhieggiano altri rami carichi di frutti migliori? E' vero che guada­gnava bene, filava da un negozio di tessuti all'altro, la Citroen funzionava a dovere, ma il nostro caro Alfredo vedeva, a destra e a sinistra, spuntare nuovi modelli di macchine, filar via rombanti, vo­largli incontro, sorpassarlo. Il benessere aumentava in tutto il paese, perché tenersi in disparte?

Traps           — Proprio così, fu proprio così, lo ammetto.

Il pubblico ministero — Ma tra il dire e il fare... Il suo capo gl'impediva di far strada, lo sfruttava, maligno, tenace, gli dava degli anticipi condizio­nati a nuovi impegni, sapeva legarlo in modo sem­pre più spietato.

Traps           — Giusto: non potete immaginare, signori, come quel vecchio brigante mi tenesse attanagliato.

Il pubblico ministero — Era perciò necessaria una soluzione radicale.

Traps           — Altroché!

Il pubblico ministero — Il nostro caro amico co­minciò ad agire dal lato affari. Non è difficile imma­ginare in che modo. Consideriamo la sua natura, il suo carattere. Si mise segretamente in contatto coi fornitori del suo principale, sondò il terreno, promise condizioni più vantaggiose, provocò un po' di torbido, si accordò con altri viaggiatori in arti­coli tessili, fece insomma quello che si dice il doppio giuoco.

Traps           — Che volete mai, signori, si usa così.

Il pubblico ministero — Ma poi gli venne l'idea di seguire anche un'altra strada.

Traps           — Un'altra strada?

Il pubblico ministero — Allacciò una relazione con l'appetitosa mogliettina del signor Gygax. Come gli venne fatto? Forse la cosa ebbe inizio una sera sul tardi...

Traps           — Esattamente.

Il pubblico ministero — D'inverno, forse, verso le sei, mentre la città era già bella notturna, coi suoi lampioni dalla luce d'oro, le vetrine e i cine­ma illuminati, e dappertutto insegne luminose verdi e gialle, confortevole, voluttuosa, seducente.

Traps           — Indovinato!

Il pubblico ministero — Si era recato, al vo­lante della sua Citroen, lungo le strade umide di pioggia, al quartiere dei villini, dove abitava il suo principale.

Traps           — Esatto, proprio al quartiere dei villini.

Il pubblico ministero — Una cartella sotto il braccio, ordinazioni, campioni di stoffa, bisognava prendere una decisione importante, ma la berlina di Gygax non si trovava al suo solito posto, all'orlo del marciapiede. Ciononostante Traps attraversò lo scuro parco, suonò il campanello, venne ad aprire la signora Gygax, che gli disse che suo marito non sarebbe tornato a casa, quella sera, e che la dome­stica era uscita, ma che lo invitò ugualmente, gentilissima, a entrare in casa e a prendere un ape­ritivo.

Traps           — Ma è incredibile come riesci a indovinar tutto, caro Kurt!

Il pubblico ministero — E' l'esercizio. I destini si assomigliano. Lui e lei si sedettero l'uno accanto all'altra in salotto. Non si può nemmeno parlare di seduzione, né da parte di Traps né da parte della donna: non fu che un'occasione favorevole, che lui seppe cogliere al balzo. Lei era sola e si an­noiava, non pensava a niente di particolare, era felice di aver qualcuno con cui discorrere, l'ap­partamento era gradevolmente riscaldato. Lei era in abito da sera, immaginiamo... o meglio, indossava una vestaglia a fiorami variopinti. E mentre Traps le sedeva accanto e vedeva il suo collo di neve, l'ini­zio del suo seno, ed essa cominciò a chiacchierare, ostile verso suo marito, delusa, come il nostro sti­mabile amico non tardò a rendersi conto, Traps capì che doveva ingaggiar battaglia quando l'aveva già ingaggiata. E ben presto venne a saper tutto sul conto di Gygax: le sue precarie condizioni di salute e la sua assoluta convinzione che sua moglie non l'avrebbe mai tradito (da una donna che vuol vendicarsi veniamo a sapere qualsiasi cosa), e così continuò a intrattenere quella relazione, poiché ormai aveva deciso di rovinare il suo capo anche con quel mezzo, qualunque cosa dovesse accadere.

Traps           — Con quel mezzo?

Il pubblico ministero — Così quella brutta sto­ria seguì il suo corso, finché venne il momento in cui Traps ebbe in mano tutte le fila, i soci d'affari, i fornitori, quell'amabile donnina, e allora non gli restò che far scattare la trappola, e provocò lo scandalo.

Traps           (lentamente, stupito) — Feci scattar la trap­pola?

Il pubblico ministero — Poi venne l'ora fatale in cui Gygax fu informato di ogni cosa. Il vecchio pirata riuscì ancora a guidare fino a casa sua, pos­siamo supporre, livido di rabbia; già mentre era al volante era tutto imperlato di sudore, grandi fitte dalla parte del cuore, mani tremanti, la macchina che passava col semaforo rosso, poliziotti che fi­schiavano irritati, una marcia penosa dalla rimessa fino alla porta di casa, poi il crollo, forse in cor­ridoio, quando sua moglie gli venne incontro.

Traps           (sottovoce) — Non è mica colpa mia!

Il pubblico ministero — Non durò più a lungo, il medico gli somministrò ancora la morfina, poi la morte, ancora un piccolo rantolo, una specie di singhiozzo; Traps a casa sua, nella cerchia della sua sposa, dei suoi quattro figli, che stacca il rice­vitore.

Traps           — Tremendo, è proprio andata così.

Il pubblico ministero — Costernazione, giubilo, « ce l'ho fatta! », tre settimane dopo la Studebaker. Questi i fatti. Non mi resta che riassumere e chie­dere la pena.

Traps           — Ma santo cielo, di che cosa potete ac­cusarmi?

Il pubblico ministero — Il signor Gygax è stato ucciso con premeditazione.

Traps           — Con premeditazione?

Il pubblico ministero — Il nostro amico Alfredo ha agito «dolo malo», con intenzione dolosa. Ha agito con la piena coscienza che un adulterio avreb­be potuto far morire Gygax.

Traps           — Ma non lo sapevo mica!

(Silenzio)

Il pubblico ministero — Ah no? Non sapevate che Gygax era malato, gravemente malato, che una grande emozione, un forte colpo l'avrebbe potuto uccidere? 

(Silenzio)

Traps           — Non ho detto questo.

Il pubblico ministero — Che cosa, non avete detto?

Traps           — Ho detto ch'era gravemente ammalato, il vecchio gangster, ma non che una forte emo­zione avrebbe potuto ucciderlo.

Il pubblico ministero — Ma caro Alfredo, non avevate deciso di non dire nient'altro che la verità, in questo circolo di amici?

(Silenzio)

Traps           — E va bene. Sicuro, un'emozione poteva ucciderlo. Era una pazzia, del resto, da parte sua, lavorare ancora in quelle condizioni. Ma prima mi sono soltanto espresso male. Volevo dire chela mia relazione con sua moglie non aveva niente a che fare con la sua grave malattia.

Il pubblico ministero — Proprio niente?

Traps           — Niente, vi assicuro.

Il pubblico ministero — E perché, allora, avete fatto informare il signor Gygax del fallo di  sua moglie?

Traps           (incerto) — L'ho già detto: perché non mi piacciono i misteri.

Il pubblico ministero — Me ne rallegro. Un lato positivo del vostro carattere, carissimo amico Alfredo. Che cosa ha detto la signora Traps?

Traps           — Mia moglie?

Il pubblico ministero — Avete fatto informare anche vostra moglie, visto che non vi piacciono i misteri?

Traps           — Ma io... io ho dei figli, signor procura­tore, non posso mica distruggere il mio matrimonio, dovete ben capirlo.

Il pubblico ministero — Ma certo, caro Traps. La signora Gygax, dunque, è senza figli, vero? (Silenzio) Ebbene?

Traps           (sottovoce) — Sì, ne ha anche lei.

Il  pubblico ministero — Anche lei.  Curioso. Ma il  suo matrimonio si poteva distruggere, no?

(Silenzio)

Traps           (deciso) — E sia! Se il signor pubblico mi­nistero vuol saperlo ad ogni costo: sì, volevo di­struggere il loro matrimonio.

Il pubblico ministero — Ah.

Traps           —  Per passione.   Perché amo  la  signora Gygax.

Il pubblico ministero — Capisco. Casanova in fiamme. Ma perché adesso non visitate più la vo­stra amata?

Traps           (disperato) — Signor avvocato!

Il  pubblico ministero — Parlerà poi.  Per ora si limita a pulire nervosamente il suo «pince-nez». Rispondete voi, piuttosto, alla mia domanda.

Traps           — Dovevo pur far strada negli affari, no? A qualunque costo! Ma non volevo uccidere Gy gax, credetemi, non me lo son neanche sognato.

Il pubblico ministero — Non ve lo siete nean­che sognato?

Traps           — Sto dicendo la verità, ve lo giuro! Per­ché non volete credermi?

Il pubblico ministero — Ma io vi credo sulla parola, carissimo amico Alfredo. Voglio soltanto eliminare certe contraddizioni che mi par di rav­visare nella vostra verità. Spiegatemi soltanto che fine perseguivate informando Gygax del vostro adulterio, e tutto è a posto. Non l'avete fatto per amore alla verità, non l'avete fatto per amore alla signora Gygax: perché mai, allora, l'avete fatto?

Traps           — L'ho fatto per... Volevo danneggiarlo.

Il pubblico ministero — Ecco una risposta. Ora abbiamo fatto un po' di strada. Danneggiarlo, in che modo?

Traps           (con sforzo) — Così... come veniva...

Il pubblico ministero — Negli affari?

Traps           — Negli affari, sì... O meglio, veramente no, tutta questa faccenda non aveva niente a che vedere con gli affari.

Il pubblico ministero — Allora nella salute?

Traps           — Piuttosto. Sì, forse anche questo.

Il pubblico ministero — Cercar di danneggiare nella salute un uomo gravemente ammalato signi­fica, in fondo, tentare di ucciderlo, non vi pare?

Traps           — Ma signor procuratore, non è possibile: non potete ritenermi capace di questo!

Il pubblico ministero — Eppure è stato possi­bile.

Traps           — Ma io l'ho fatto senza pensarci!

Il pubblico ministero — Avete agito senza alcun piano?

Traps           — No, questo è dir troppo.

Il pubblico ministero  —   Secondo un piano, dunque?

Traps           — Dio mio, perché mi tormentate così?

Il pubblico ministero — Ma non vi tormento affatto. Siete voi che vi tormentate. Io vi aiuto sol­tanto a scoprire la verità. E' importante, per voi, sapere se avete ucciso o no. Spesso si uccide senza saperlo. E io ne debbo venire in chiaro. O avete paura della verità?

Traps           — No. Ho già detto che non ne ho paura.

Il pubblico ministero — E allora? Qual è dun­que la verità?

(Silenzio)

Traps           (lentamente) — Pensavo spesso che mi sa­rebbe piaciuto torcere il collo a Gygax, accopparlo, ma son cose che succedono, vengono a tutti,, a volte, pensieri così.

Il pubblico ministebo — Ma voi non vi siete limitato a pensare, imputato, voi avete anche agito.

Traps           — Sì, è vero, ma... Gygax è morto d'infarto cardiaco, e non era mica sicuro che gli venisse.

Il pubblico ministero — Voi, però, dovevate con­tare sulla possibilità che gli venisse, una volta in­formato dell'infedeltà di sua moglie.

Traps           — Certo era possibile.

Il pubblico ministero — E tuttavia avete agito.

Traps           (disperato) — Gli affari sono affari!

Il pubblico ministero — E l'omicidio è omicidio. Voi  avete  agito  contro  Gygax  pur  sapendo  che avreste potuto ucciderlo.

Traps           — Be', sì...

Il pubblico ministero — Gygax è morto. Dun­que l'avete ucciso.

Traps           — Be', forse... indirettamente sì.

Il pubblico ministero — Dunque, siete o non siete un assassino?

Traps           — Lo riconosco... sono un assassino.

Il  pubblico ministero — L'imputato confessa. Ci troviamo di fronte a un omicidio attuato con tale raffinatezza  che,  tranne un  adulterio,  non è apparentemente   accaduto  nulla   di  contrario   alla legge: apparentemente, dico. Ragion per cui, visto che quest'apparenza è stata distrutta, io ho l'onore, come pubblico ministero di questa corte privata -e chiudo la mia requisitoria - di chiedere la pena di morte per Alfredo Traps.

Traps           (come risvegliandosi) — Io ho ucciso.

Simonetta — Torta,  signori,  caffè,  cognac del 1893!

Pilet            — Stupendo.

L'avvocato difensore — Ecco fatta la frittata! Ancora un imputato che crolla, un'altra confes­sione spontanea. Poi devo venir io a difenderli. Consoliamoci con la bellezza di quest'ora, con la sublimità della natura dinanzi alle finestre. I faggi stormiscono. Le due di notte, la festa alla locanda dell'Orso è ammutolita, il vento non ci porta più che la canzone finale: « La nostra vita è come un viaggio».

(Coro maschile, in lontananza)

Il giudice      — La parola alla difesa.

L'avvocato difensore — Ho ascoltato con molto piacere la fantasiosa requisitoria testé pronunciata dal nostro pubblico ministero. Certo, Gygax, quel vecchio schiavista, è morto, il mio cliente ha do­vuto soffrire molto per causa sua, a poco a poco ha concepito nei suoi riguardi un vero e proprio astio; ha cercato di rovinarlo,  chi lo nega? dove non avviene ogni giorno la stessa cosa? Ma quel che è pura fantasia, è il voler considerare un as­sassinio la morte di quest'uomo d'affari gravemente ammalato di cuore.

Traps           — Ma io ho ucciso!

L'avvocato difensore — In contrasto con l'im­putato, ritengo l'imputato innocente, anzi, del tut­to incapace di commettere un delitto.

Traps           — Ma se l'ho commesso!

L'avvocato difensore — Ch'egli confessi di aver attuato  l'omicidio  così  raffinatamente  attribuitogli dal pubblico ministero è psicologicamente più che comprensibile.

Traps           —  Di  comprensibile  c'è  soltanto  che  ho commesso un delitto.

L'avvocato difensore — Basta guardarlo in fac­cia, l'imputato, per convincersi ch'è un uomo del tutto innocuo. Egli gode d'essere amato, stimato, rispettato da tutti noi, gli piace anche che lo si ammiri un poco per la sua Studebaker rossa, sicché il pensiero di aver commesso un autentico, perfetto, raffinato omicidio comincia a piacergli sempre più, e a ciò non è estranea l'azione del vino di Neuchâtel, di Borgogna, lo straordinario cognac del 1893. Pertanto, è più che naturale che ora si rifiuti all'idea di veder riconvertito il suo crimine in qual­cosa di comune, di borghese, di quotidiano, in uno di quei fatti che la nostra vita porta con sé, un frut­to della nostra civiltà occidentale, ch'è venuta per­dendo a poco a poco la fede, il Cristianesimo, i valori universali, ed è perciò diventata un caos, co­sicché il singolo non ha alcuna stella che lo guidi, dovunque non si vedono che disordine e abbruti­mento, violenza e immoralità, per cui il nostro buon Traps dev'essere considerato non un crimi­nale, ma una vittima del nostro tempo.

Traps           — Ciò non toglie ch'io sia un omicida.

L'avvocato difensore — Traps è un esempio per molti. Quando dico ch'è incapace di commettere un delitto non intendo con questo ch'egli sia del tutto innocente: al contrario. Egli è forse impli­cato in ogni genere di colpe, commette adulteri, imbroglia, si arrangia in tutti i modi per tirare avanti, ma non al punto, vedete, che la sua vita si componga solo di adulterio, imbroglio e diso­nestà: no, la sua vita ha anche i suoi lati buoni, altroché, le sue virtù, egli è un uomo d'onore, tutto sommato; solo che è come intaccato, come inquinato di scorrettezze e di colpe, alla maniera di tutte le esistenze di media levatura: ma è pro­prio questo che lo rende inetto alle grandi colpe, agli atti univoci, a un deliberato delitto, ed è la coscienza di questa sua incapacità che lo fa sognare di averne commesso uno.

Traps           — Ma, avvocato, è precisamente il con­trario. Prima sognavo di essere innocente, ora in­vece mi sono svegliato e vedo di essere colpevole.

L'avvocato difensore — Se consideriamo il caso Gygax a mente fredda, con obiettività, senza la­sciarci incantare dalle mistificazioni del pubblico ministero, giungeremo alla conclusione che il vec­chio gangster può ringraziare della sua morte più che altro se stesso, la sua vita disordinata, la sua complessione fisica. Tutti noi sappiamo che cosa sia e che cosa provochi il cosiddetto logorio della vita moderna, specie negli uomini d'affari: ansietà, ru­mori, nervosismo e matrimoni falliti. Ecco ciò che vogliamo dimostrare. Rivolgerò al mio cliente una domanda precisa. Imputato, che tempo faceva la sera che morì Gygax?

Traps           — Ci fu una tempesta di vento, signor av­vocato. Molti alberi vennero sradicati. L'avvocato difensore — Benissimo. Avremmo co­sì anche l'occasione esterna che provocò la morte: come si sa, infatti, nelle giornate ventose gl'infarti cardiaci, i collassi, le embolie si moltiplicano enor­memente.

Traps           — Ma non è questo che importa!

L'avvocato difensore — Importa solo questo, in­vece, caro signor Traps. Si tratta chiaramente di una pura fortuita disgrazia, dalla quale si vuol tirar fuori un omicidio, come se la morte di Gygax fosse l'effetto di un calcolo infernale, come se il caso non ci avesse avuto la minima parte. Sono desideri ben comprensibili, ma senza il peso della realtà. Ammetto che il mio cliente abbia agito senza scrupoli, ma che volete, è soggetto anche lui alle leggi della vita sociale; ammetto che più di una volta abbia voluto uccidere il suo principale, ma che cosa non pensiamo, che cosa non facciamo col pensiero, ma col pensiero soltanto? Un'azione che non si limiti al solo pensiero qui non esiste, non è assolutamente accertabile. Che l'imputato abbia voluto far dispetto a Gygax informandolo, con scar­so senso di opportunità, dell'adulterio commesso... be', santo cielo, in fondo lo si può capire. Lo stesso Gygax era spietato, brutale, sfruttava i suoi dipen­denti. E perché ora fare una colpa al nostro buon Traps anche del fatto che non va più a visitare la vedova? Non era mica un vero amore, via! No, signori miei, è assurdo lanciare una tale accusa sul mio cliente; ancora più assurdo, poi, che lui stesso si metta in testa di aver commesso un omicidio. Si direbbe che, oltre una panne automobilistica, egli ne abbia subito un'altra, una panne psicologica. Perciò faccio richiesta che Alfredo Traps sia pro­sciolto con formula piena.

Traps           (fuori di sé) — Signori, ho da fare una di­chiarazione.

Il giudice    — La parola all'imputato.

Traps           (a bassa voce) — Ho ascoltato l'incredibile arringa del mio difensore con la più viva indigna­zione, quella del pubblico ministero, invece, col più profondo turbamento. Non vorrei dilungarmi sul discorso del mio difensore: esso non è che una sola calunnia. Circa l'arringa del pubblico mini­stero vorrei invece fare alcune precisazioni: non che siano importanti, ma potrebbero servire a sve­lare in pieno la verità. Così la signora Gygax, ad esempio, non mi ha ricevuto in vestaglia, ma in un « kimono » rosso-cupo; inoltre, l'infarto cardiaco non ha colpito il signor Gygax nel corridoio di casa sua, ma nel suo magazzino: fecero ancora in tempo a portarlo all'ospedale, poi morì sotto la tenda di ossigeno... ma, ripeto, sono fatti irrile­vanti. Io sono un assassino. Non lo sapevo quando misi piedi in questa casa, probabilmente non vo­levo saperlo, ma ora lo so. Non osavo pensarci, si vede ch'ero troppo vile per essere sincero, ma ora ho trovato il coraggio necessario. Sono colpevole. Lo riconosco con orrore, con meraviglia. La colpa è sorta dentro di me, direi, come un sole: illumina tutto il mio interno, lo brucia. Non ho altro da dire. Prego il tribunale di pronunciare la sentenza.

 Il giudice   — Caro Alfredo Traps, voi vi trovate dinanzi a un tribunale privato. Perciò, in quest'at­timo solenne mi sento in dovere di chiedervi se riconoscerete la sentenza che emetterà questa corte non ufficiale.

Traps           — La riconosco in pieno.

Il giudice    — Benissimo. Voi riconoscete il nostro tribunale. Levo dunque il mio bicchiere, pieno di cognac bruno-dorato del 1893. Tu hai ucciso, Alfredo Traps, non con un'arma, no, ma attra­verso la sventatezza del mondo in cui vivi; perché che sia stato tutto intenzionale, come vorrebbe farci credere il pubblico ministero, non mi par del tutto dimostrato. Tu hai ucciso solo in quanto per te era la cosa più naturale del mondo togliere di mezzo uno che ti dava fastidio, agire senza riguardi, qua­lunque cosa potesse accadere. Nel mondo che tu attraversi rombando con la tua Studebaker non ti sarebbe successo nulla, ma ora sei venuto da noi, nella nostra piccola, bianca villa silenziosa, da quat­tro vecchi signori che hanno fatto luce nel tuo mondo col limpido raggio della giustizia. E' curiosa a vedersi, la nostra giustizia, lo so bene: sogghigna da quattro facce incartapecorite, si rispecchia nel monocolo di un vecchio procuratore, nel «pince-nez» di un poetico avvocato, ridacchia nella bocca sden­tata di un giudice brillo e già un poco farfugliante, splende rossa sulla testa calva di un grasso boia in pensione, è una stravolta, grottesca, balzana... ma sì: pensionata giustizia, ma anche così è pur sempre la giustizia, nel cui nome, mio povero, caro Alfredo, io ti condanno a morte.

Traps           (a bassa voce, commosso) — Alta corte, vi ringrazio. Vi ringrazio di tutto cuore.

Il giudice    — Carnefice,  portate il condannato nella stanza dei condannati a morte.

Pilet            — Stupendo.

Il pubblico ministero — Una bella serata, una allegra serata, una serata divina.

Il giudice    — Proprio un bel gioco.

L'avvocato difensore — E' da qualche tempo che ho una iella!...

Il pubblico ministero — Il nostro lavoro sarebbe terminato.

L'avvocato difensore — Ora il nostro caro Pilet deve fare il suo dovere. Del resto è ora. Il mattino già si affaccia alle finestre con la sua luce di pietra, i primi uccelli cinguettano.

Pilet            — Stupendo. Venite, signor Traps.

Traps           — Vengo.

Pilet            — Stupendo. La scala. Vi porgo il braccio.

Traps           — Tante grazie.

Pilet            — Stupendo.

Traps           — Avrete già... voglio dire: avrete già con­dotto a morte parecchia gente, immagino.

Pilet            — Ma naturale: in tanti anni di professione!

Traps           — Capisco.

Pilet            — Stupendo. Attento, non inciampate! Be', vi tiro su.

Traps           — Tante grazie.

Pilet            — Vi assicuro, alcuni avevano una paura! Non riuscivano neanche più a camminare.

Traps           — Faccio il possibile per essere coraggioso. Cos'è quell'aggeggio lì appeso al muro?

Pilet            — Un serrapollici.

Traps           — Un serrapollici?

Pilet            — Stupendo, vero?

Traps           — Ma non è uno strumento di tortura?

Pilet            — Molto antico. La casa è piena di oggetti del genere. Il signor Werge ne fa raccolta.

Traps           — E questo cavalletto?

Pilet            — Uno strumento rinascimentale: per rom­pere le ossa. Ecco la vostra stanza. E' per i condan­nati a morte. Contigua a quella destinata agli erga­stolani.

Traps           (spaventato) — Ehi, avete udito?

Pilet            — E' soltanto Tobia. Ha il sonno un po' agitato.

Traps           — Chi è che geme, adesso?

Pilet            — E' l'onorevole dell'altro ieri. Smaltisce an­cora la sbornia.

Traps           — Non occorre che fingiate, signor Pilet, no davvero: ora capisco che cos'è questa casa (An­sima di terrore).

Pilet            — Calma, calma. Tra poco sarà tutto pas­sato.   Entrate.   (Porta che scricchiola) Acqua  cor­rente, un bel letto comodo:  stupendo.

Traps           — Tutto questo non serve più. Che altro cavalletto è questo?

Pilet            — Cavalletto? Ma è una ghigliottina. Fa an­ch'essa parte della collezione.

Traps           — Una... una ghigliottina...

Pilet            — Stupendo. Toccate un po'. Legno di quer­cia. Aspettate, ora tiro su la mannaia. Affilatissima. Là, ora è pronta, c'è voluto un po' di sforzo.

Traps           — P... pronta?

Pilet            — Stupendo. Toglietevi la giacca.

Traps           — Capisco. E' inevitabile.

Pilet            — Vi aiuto. Ora apriamo il colletto.

Traps           — Grazie, faccio da solo.

Pilet            — Voi tremate.

Traps           — Ne ho ben motivo, no? Non è mica uno scherzo, tutto questo.

Pilet            — Gli è che avete bevuto troppo. Ecco, il col­letto è aperto.

Traps           — Non ho più nulla da dire. In fin dei conti sono un assassino. Fate presto.

Pilet            — Stupendo.

Traps           — Sono pronto.

Pilet            — E le scarpe?

Traps           — Le scarpe?

Pilet            — Non volete togliervi le scarpe?

Traps           — Ma non è mica necessario!

Pilet            — Ah, be', sentite! Siete proprio un gen­tiluomo! Andate a letto con le scarpe?

Traps           — A letto?

Pilet            — Non volete dormire?

Traps           — Dormire?

Pilet            — Stupendo. Ecco, e ora sdraiatevi.

Traps           — Ma...

Pilet            — Là, ora vi copro. Stupendo.

Traps           — Ma io sono un assassino, signor Pilet, devo essere giustiziato, signor Pilet, devo... Ecco, se n'è andato... ha spento la luce. Ma io sono un assass... sono un... sono... sono stanco, in fondo tutto è un giuoco, un giuoco, un giuoco! (Si addormenta).

Simonetta — Signor Traps. Svegliatevi. C'è sotto l'autista con la macchina.

Traps           — La macchina?

Simonetta — Ma che cosa avete, signor Traps? Sono le nove.

Traps           — Le nove? Santo cielo, i miei affari! Devo essermi sbronzato mica male, ieri notte. Le scarpe, dove sono le mie scarpe? Chiudiamo il colletto... là, e adesso la giacca. E' appesa al cavalietto.

Simonetta — Eccovi già vestito, signor Traps. Il signor Werge si scusa. Non volete far colazione? Il deputato è già in sala da pranzo.

Traps           — Non  ho  tempo.  Devo ripartire.   Sono in ritardo. Arrivederci. Tante grazie per l'ospitalità. Mi son divertito un mondo. E ora di corsa, attra­versiamo il giardino.

(Scricchiolio di ghiaia)

Tobia           — Il signore permette che gli apra il can­cello?

Traps           — E voi chi siete?

Tobia           — Sono Tobia, signore. Curo il giardino del signor Werge. Una mancetta me la date?

Traps           — Tenete, eccovi un marco.

Tobia           — Tante grazie, signore, tante grazie.

Traps           — E' in ordine la macchina?

Il meccanico — C'era un guasto all'albero di tra­smissione. Venti marchi e cinquanta.

Traps           — Tenete. E ora, al volante! (Musichetta in sordina) Devo aver detto un sacco di scemenze, la notte scorsa. Ma che cosa c'è stato, veramente? Una specie di processo, mi pare. Mi ero messo in testa di aver commesso un omicidio. Che assurdità. Proprio io, che non farei male a una mosca. Che idee va a tirar fuori la gente, quando va in pen­sione. Be', acqua passata. Si hanno ben altri gratta­capi, quando si sta in mezzo agli affari come me. Quel Wildholz! Eh, ho buon fiuto, io. Il cinque per cento, vuol fregarmi, il cinque per cento! Eh, caro il mio uomo! Ora ti concio per le feste. Gli tiro il collo, gli tiro. Senza misericordia.

* Copyright Friedrich Dürrenmatt 1958.