In questo solo mondo

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IN QUESTO SOLO MONDO

Commedia in tre atti e quattro quadri

di STEFANO LANDI

PERSONAGGI

flavio perres

ebeTORRIANI

ALESSANDRA, sorella di Ebe

GIUSTINA, loro madre

RICCARDO CAMÈO, industriale

LEOPOLDO SAVIO, medico

ELVIRA, vecchia domestica

CERULLI, ragioniere

FALZACAPPA, avvocato

MARIA, sua moglie.

Una piccola città industriale dell'Alta Italia. Dieci anni dopo la prima guerra europea.

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

Una terrazza al primo piano della casa. La facciata della casa è a destra. La terrazza è divisa in due parti: la prima, verso il proscenio, è come una veranda, più aggettata, e coperta da vetrate sul tetto, sulla parete di sinistra e su quella di fondo: da cui ' si scorge, meno largo, il secondo tratto scoperto, recinto da una ringhiera a pilastrini e dalle chiome degli alberi che svettano dal giardino sottostante. A sinistra questa ringhiera è interrotta per dar passo a una scala che monta dal basso, dal giardino: ma la scala non si vede, nascosta dagli alberi. Veranda e terrazza comunicano per una larga porta vetrata. Altre tre aperture sono nella parete destra  (facciata della casa): le prime due, una porta e una finestra, danno nella veranda, la terza nella terrazza scoperta. La veranda è sistemata a giardino d'inverno, con tante piante in vaso; i mobili, moderni, sono quelli a un ricco e comodo salotto. Al levar della tela la tavola in mezzo è apparecchiata per un rinfresco. E' illuminata soltanto la veranda, scarsamente, da un globo azzurrino che pende come uno strano frutto da una delle piante. Vi sono altri lumi spenti, che verranno poi accesi tutti insieme. Dalla prima porta vetrata e dalla finestra di destra, ora buie, entreranno nella veranda due zone di luce bianca, quando sarà data luce al salotto di là. Altra luce bianca illuminerà poi la terrazza scoperta, quando verrà accesa la grossa lampada infissa sulla seconda porta vetrata. Notte d'agosto.

 (E' in scena, appisolata sul divano, Giustina. E' una vecchina linda, graziosa, con un che di maliziosamente infantile nei vezzi con cui insinua le sue ragioni, pronta a ritrarsi, timida, davanti a ogni contrasto.

Una pendola batte la mezzanotte. Poco dopo s'ode dall’interno una risata dì Ebe; e due fasci di luce bianca penetrano nella veranda dalla porta vetrata e dalla finestra. Giustina si riscuote. Ebe entra da destra con Leopoldo Savio, e subito gira la chiavetta per dar luce alle altre, lampade. È sui trent’anni, agile ed eretta; gli occhi fermi come la voce; un fare risoluto, ma talvolta con un che di subitaneo. Elegantissima, vestita da sera, appare, en­trando, accaldata e nervosa.

Leopoldo Savio, vestito da sera         - (marsina), è tozzo e forte di corporatura, di carnagione bruna, con la calvizie coronata da una balza di capelli crespi, grigi; i baffi ingialliti dal fumo attorno la bocca tumida, dalle labbra scure).

Ebe                             - Oh, mamma! qua, al buio? Ti credevo a letto!

Leopoldo                    - Cara signora Giustina. (Va a baciarle la mano) Io invece ero sicuro di trovarvi in piedi e ansio­sissima di sapere...

Giustina                      - Eh ma sì: com'è andata la recita? Com'èche siete voi soli?

Ebe                             - Gli altri hanno aspettato Sandra, che doveva levarsi il trucco. Fa un caldo che non si respira! (Va ad aprire la vetrata in fondo).

Giustina                      - Ma che c'è? Non mi dite niente? Alloraè andata male?

Leopoldo                    - Ma benissimo, benissimo!

Ebe                             - Una recita di beneficenza, mamma, coi filo­drammatici: potevi credere sul serio che ci fosse peri­colo? Io non so piuttosto perché Sandra ci si sia prestata. Non le basta, recitare tutto l'anno?

Leopoldo                    - Invece ha fatto bene: se avesse rifiutato, l'avrebbero tacciata di superbia. E poi, mostrare il pro­prio valore, qua, ai concittadini, che son sempre gli ultimi a riconoscerlo... è stato opportuno!

Ebe                             - (siede) Oh, senti: io pure ho solo un mese di riposo all'anno: ma io me lo godo! (Subito a Giustina) E' stato buono Giorgio? (Prima che Giustina risponda) Volevo avvertirti, giacché ti prendo da sola...

Leopoldo                    - Da sola? e io? non conto?

Ebe                             - Tu? Altroché! a mamma, anzi, sei necessario. Per la tua voce.

Giustina                      - Ma che stai dicendo?

Ebe                             - Sì, caro: non c'è altra ragione! Una voce d'uomo, che ancora risuona qua dentro, forte e grave,in questa casa tutta di donne (subito, ridendo alle pro­teste dei due, contraffacendo Leopoldo): « Cara signora Giustina». E lei si sente protetta!

Giustina                      - (mentre Leopoldo ride) Savio è un amico, ed era come un fratello per tuo padre...

Ebe                             - (sempre scherzando, ma con una punta d'ama­rezza) Sai che m'ha detto, oggi? Che se non avessimo avuto un amico come te, nel momento che mancò il babbo... saremmo andate in rovina! (A Giustina) Me l'hai detto!

Leopoldo                    - Ah, signora, questo no: i meriti a chi spettano. (A Ebe) Sono tuoi. Dico davvero: senza la tua energia...

Ebe                             - (troncando) Grazie: commossa. Ma lasciami parlare, ch'è importante. (A Giustina) Devi badare che Giorgio, in questi giorni che Sandra è da noi...

Giustina                      - (pronta, difendendosi) Oh, io faccio quello che posso: ma...

Ebe                             - (interrompendo) Ecco perché ti parlo! E' al contrario, mamma: dico che tu devi lasciarglielo, invece: lasciarglielo interamente. Non si può, quel bambino, tirarlo da due parti. Devi tenerti indietro tu.

Leopoldo                    - Qui mi pare che Ebe abbia ragione. Si tratta di qualche settimana...

Giustina                      - Già, ma poi... riparare le cose storte di Sandrina, poi tocca a me!

Ebe                             - Non ci sono anch'io? Abbiamo tutto il tempo per noi, dopo.

Giustina                      - Tu, Ebe? Oh, per carità... Ti pare che il bambino ti capisca?... (A Leopoldo) Gli tiene certi di­scorsi, che...

Ebe                             - Be', capirà questo: che ci sono tante cose a cui egli ancora non può arrivare; ma che io le so. E le «o per il suo oggi e per il suo domani.

Giustina                      - (vivace) Ma tu invece l'allontani, così! Lo respingi!

Ebe                             - Pare. Pare a te, mamma, che ti fai piccola con lui: per stargli vicina tu.

Giustina                      - (alzandosi) Piccola? Non so come ti venga in testa! A me invece s'affida! Io lo proteggo: e lui lo sente!

Ebe                             - (con un sorriso, sicura) Io voglio che sia lui stesso poi, quando potrà, ad accostarsi a me. Io lavoro per dopo. E non temere: so quello che faccio. (A Leo­poldo innervosita) Senti: giacche se ne deve parlare... (Alla madre) Eravamo venuti avanti, io e lui, per un discorso serio.

Giustina                      - Allora... mi ritiro?

Leopoldo                    - Ma no, signora! Dovrei farlo con voi, anzi!

Ebe                             - Ha un incarico ufficiale! Mettiti a sedere.

Giustina                      - Con me?

Ebe                             -  Sai che Riccardo Carneo stasera ha voluto riem­pire di fiori tutto il palcoscenico? Gentilezze grandi!

Giustina                      - Carneo? (Illuminandosi) Ah, per Ales­sandra? Dimmi, dimmi (siede).

Ebe                             - I fiori certo erano per Sandra.

Giustina                      - Dio volesse! Ah, Dio volesse, Ebe! Pensa che sollievo sarebbe, se Sandrina nostra...

Leopoldo -------------- - (interrompendo con pena) Ma no, signora: coi princìpi di Carneo... Con quest'atto ha voluto soltanto dimostrare che lui è superiore a certe meschinità provinciali, e che...

Ebe                             - (interrompendolo) C'è l'arte, che salva tatto! (Subito, alla madre) Ma l'intenzione era di far cosa gradita a me.

Giustina                      - Come, a... te? Perché?

Ebe                             - (subito) Vedi, Leo? Anche la mamma... (S'alza) Ma è giusto!

Leopoldo                    - (subito, urtato) Non fare così, scusa! ( A Giustina) Vuole Ebe, signora.

Giustina                      - (quasi sbigottita) Vuole... Ebe?

Ebe                             - (con forza) Ma sì: è ridicolo! (Addita Giustina) Ed ecco la prova!

Leopoldo                    - (a Giustina, accalorato) Ah io non so! E' così... strabiliante, che qualcuno la domandi in moglie!

Giustina                      - (ritirandosi) Ma... no, no: non me l'aspettavo... Di sorpresa!

Leopoldo                    - Sorpresa, abbiate pazienza, se si fosse trat­tato di Sandra. Ma, animo: adesso che sapete! Non dite niente?

Ebe                             - (pronta) Che deve dire, Leo? Ti dico io, che ha ragione.

Leopoldo                    - (irritato)  Già, perché tu sei a posto! con la tua azienda elettrica! La posizione indipendente! e poi, figurarsi: ormai non ci pensi più! Non sei più ma donna come le altre!

Ebe                             - (sulle mosse d'andar via. Arrestandosi) Ecco: proprio per l'azienda! Ma se mamma ha già capito quel­lo che c'è sotto! Tutta una questione d'affari, mamma. (S'avvia).

Leopoldo                    - (trattenendola) Ti ripeto che sospetti a torto. L'azienda...

Ebe                             - (lasciandolo in tronco: in fretta, alla madre) Siamo vicini al termine in cui posso far valere la clau­sola del riscatto!

Leopoldo                    -  Bene: ammesso che tu la faccia valere! Ragiona con me!

Ebe                             - (sfuggendogli con un sorriso) Mi convinceresti! (Dalla soglia) E io caso mai voglio persuadermi con la mia testa.

Leopoldo                    - (con forza) Ma parlane almeno con tua madre!

Ebe                             - (tornando verso Giustina) E parliamone!

Giustina                      - (alzandosi, con un sorriso compassionevole) Oh Madonnina mia!

Leopoldo                    - E voi non vi tirate indietro! che avete molto più giudizio e molta più esperienza di quanto non creda questa brava ragazza: che fa con la sua testa!

Giustina                      - (impaurita) Ma sì, sì... (Sforzandosi, ad Ebe) Certo, figlia mia... questa è una possibilità... seria...

Ebe                             - (con benevola superiorità) Ma lo so bene, mam­ma cara. Credi di potermi dire qualche cosa a cui non abbia già pensato?

Leopoldo                    - (sdegnato) Senti: Dio voglia che tu non abbia mai a pentirti di codeste arie: con tua madre!

Ebe                             - Di che?

Giustina                      - Ma che dite, Savio!

Leopoldo                    - Con cui te ne sei liberata!

Ebe                             - (risoluta) Senti qua, mamma. Siedi. Pensa an­che tu: che cosa potrebbe darmi Riccardo Carneo: di «vero». (Appena Giustina è seduta, lasciandola per rivolgersi a Leopoldo) Siamo d'accordo, che la mia posizione... Sai quanto la calcolo anch'io? Una lira, come nei bilanci calcoliamo le sedi. Una lira!

Leopoldo                    - Parla a tua madre.

Ebe                             -  Ma la mamma mi capisce! (Accostandogli) Quello che conta, invece, è che io, oltre a uno stato, ho potuto farmi una casa, Leo: questa: mia: una casa viva! (a Giustina): dove trovo tutto, con te e Giorgio. (Subito a Leopoldo) Io ho Giorgio, caro: che ormai è lo scopo della mia vita.

Leopoldo                    - Pare che sia figlio tuo. E' di tua sorella!

Ebe                             -  Ah no, senti: se vogliamo parlare sul serio, non dirmi questo! Io e mamma lo sappiamo bene, e lo sai anche tu, via!, che è come mio. E se così non fosse, allora non sarebbe proprio di nessuno, povero Giorgio. È  mio, è mio, va' là!

Giustina                      - (convinto, ma con tristezza) Ah, questo sì, caro Savio... Con me che gli bado...

Ebe                             - Ecco! E io posso averlo™ senza il fastidio che mi darebbe un signor Carneo, padrone in casa. Fastidio, sì! Non è certo l'uomo a cui io... oh! Se vuoi saperlo: m'è odioso! odioso!

Leopoldo                    - Tu invece lo stimi. E non dovresti cercare altro. L'ideale, cara, non si trova.

Ebe                             - Io? Io lo so così bene, che non si trova, che...: ringrazio Dio, di questo figlio che m'ha dato così, puro, senza ammennicoli. Oh, ne abbiamo parlato fin troppo! Miniandosi a destra) Vado a rinfrescarmi un po'  (Esce).

Leopoldo                    - Ah, io l'ho sempre detto! Ebe è una di quelle che hanno perduto la guerra.

Giustina                      - La guerra? che guerra?

Leopoldo                    - Una delle tante donne che, con la guerra, si soli trovate a dover prendere il posto d'un uomo, e...

Giustina                      - E non l'ha saputo tenere, forse?

Leopoldo                    - Ma sì, e da brava! brave tutte, ammire­voli! Ma poi bisognava saper rinunziare a queste nuove dignità, per ritornare.

Giustina                      - Ebe non ha potuto!

Leopoldo                    - Poteva, poteva! Doveva cercare! E invece, l'orgoglio... e la nobiltà stessa della sua natura, ma so­prattutto l'orgoglio di ciò che riusciva a fare, l'ha por--tata a reprimere tutti i suoi istinti di donna!

Giustina                      - Ma se è una bravissima ragazza!

Leopoldo                    - Ragazza? E' arrivata, non solo a far da nomo negli affari, ma a costituirsi anche una famiglia, come « capo di casa », con voi, sua madre che - è incredibile! siete quasi diventata la moglie...

Giustina                      - Ma che vi scappa di bocca? (Ridendo) Oh, Madonnina mia!, è da ridere!

Leopoldo                    - ...la moglie! che gli bada alla casa! (Rile­vato) E avete perfino un figlio insieme: Giorgio, un figlio di cui siete i veri genitori: voi da madre e lei, Ebe, da padre! E questo è assurdo!

Giustina                      - Ma naturale che è assurdo! E' assurdo... a dirlo! mentre in realtà... in realtà non è affatto così! Si vive benissimo, tutte d'accordo, ognuna col suo la­voro! Ma guarda, guarda che idee! (Ridendo) Signore Iddio, mi viene da ridere di nuovo!

Leopoldo                    - (grave)  Voi in coscienza dovreste persua­derla ad accettare questo matrimonio.

Giustina                      - Ma io l'ho capito benissimo, perché lo rifiuta! Carneo ora si fa avanti per salvare i suoi inte­ressi. Non vi pare un'offesa, per una donna? (Trasportata) E non è la prima, da parte di quel signore! La prima «poteva bastare!

Leopoldo                    - Ma che offese, cara!

Giustina                      - (subito) Che ne sapete, voi?

Leopoldo                    - Infatti, è la prima volta che sento dire...

Giustina                      - (interrompendo) E allora state zitto! (Va a sedere, discosta).

Leopoldo                    - (movendosi per la scena) Signora, io v'av­verto. Lasci stare, Ebe, il riscatto della parte di Carneo ; e pensi piuttosto a pagare gli impianti nuovi che avete fatto nella vostra zona dopo la guerra: il bacino, le condotte forzate...,

Giustina                      - (con un sorriso, sicura) Come, non sono stati pagati?

Leopoldo                    - Sì: con operazioni di banca; che si vanno scontando; e intanto vi mangiano il reddito.

Giustina                      - (pronta) Ebe sa amministrare! E la nostra parte, adesso, varrà almeno tre volte quella di Carneo.

Leopoldo                    - E quanto vi rende, così gravata? Se non è un peso, è un continua pensiero! E in queste condi­zioni, Ebe vorrebbe assumersi anche il resto?

Giustina                      - Ma Savio: ho un po' di testa anch'io! Se voi stesso dite che quella di Carneo è oggi la zona che rende di più! Noi possiamo prendercela.-

Leopoldo                    - prava! Come? E il capitale per riscattarla? (Siede discosto. In terrazza, di là dalla parete vetrata di fondo, compare Ebe. Dopo avere acceso una sigaretta re­sterà là, in vista degli spettatori, a fumare e a farsi vento con un ventaglino. Leopoldo e Giustina non si accorge­ranno della sua presenza).

Giustina                      - Oh    - (Dio  - mi pare impossibile che Ebe... Lìeopoldo    - Ebe, ve lo dico io, s'è impegnata io una specie di gara con Riccardo. Per il «gusto di disprezzarlo! Lei, che continua la tradizione del babbo, l'iniziatore ar­dito, l'uomo di genio; e Riccardo, il figlio del vile socio capitalista, che bada soltanto alle rendite.

Giustina                      - Ebe non ha poi tutti i torti...

Leopoldo                    - Ma via, signora! farebbe meglio a imi­tarlo! e lavorare posatamente, come lui. E, meglio ancora, con lui: insieme; ricostituendo l'azienda com'era prima della divisione, al tempo della Società tra vostro marito e Carneo padre, tutta un blocco.

Giustina                      - Appunto! e che vuol fare, Ebe? Tutto unblocco!

Leopoldo                    - Già: come? in mano a lei? escludendo Carneo? Signora! Riccardo, a parte il dispiacere di ve­dersi togliere la sua zona - per un puntiglio, credete! un puntiglio! è costernato, perché a conti fatti...

Ebe                             - (dalla porta di fondo, calma) Certo, col matri­monio, la parte d'i Carneo non dovremmo più acquistarla, gravandoci per ciò d'altri pesi. Alleggerirebbe tutta la situazione.

Leopoldo                    - E tu che farai? (S'alza) Questi altri pesi finché la fortuna t'assiste, bene! Ma al primo incidente, impegnata ogni risorsa:1 come fai fronte? IT la liquida­zione! e più niente, né per lui né per voi!

Ebe                             - E' il rischio d'ogni sviluppo: e un'impresa viva vuol crescere, per forza. Ah! Io t'ho lasciato parlare, se no dicevi che, povera mamma..., la porto a occhi chiusi verso la rovina.

Giustina                      - (con un filo di voce)             - Savio ha fatto benea dirmi tutto.

Ebe                             - Eh Io vedo: t'ha messa in un covo di spine.

Leopoldo                    - Ma tu non rispondi! Che cosa decidi? (Di dentro, voci e risa di gente che s'avvicina).

Giustina                      - (alzandosi) Zitti, zitti: vengono: sono qua... (Entrano da destra Mariti Falzacappa col marito e Riccardo Carneo. Maria, una di quelle signore di pro­vincia che, in società, si studiano d'apparire perfino spre­giudicate. Vestita da sera. L'avvocato Falzacappn, in giac­ca nera e calzoni a righe, corretto verso gli altri ma un po' meno verso la moglie, pensa agli affari e conversa poco. Riccardo Cantèo, sui quarant'anni, sbarbato, ro­busto, con un fare da persona autorevole, serio e guar­dingo, ha poi un bel riso aperto e cordiale. Da compito cavaliere, quale vuole essere, indossa la marsina; senza nessuna raffinatezza, però).

Mabia                          - Oh, buona sera a tutti! Guardate: v'ho por­tato anche mio marito! Ci vuol Sandra, (per farci fare questi stravizi!

Giustina                      - (andando loro incontro) Oh che piacere: l'avvocato Falzacappa! Cara signora Maria! E voi, Carneo!

Camèo                        - (mentre durano i convenevoli) Alessandra verrà subito. Non è voluta venire in macchina con noi, per prendere una boccata d'aria.

Falzacappa                  - Già    - (sbircia Forologio a polso), spe­riamo che non tardi. Viene a piedi con Cernili.

Ebe                             - (malcontenta) E siete tutti qui? Voi tre e Cernili quattro? Dovevano venire cinquanta persone!

Maria                          - (subito a Leopoldo) Ah, dottore: questa Sandra! m'ha dato una tale emozione... sentitemi il polso! sentitelo! (Leopoldo le prenderà il polso, ridendo e parlerà a parte con lei. Frattanto Cantèo e Falzacappa, in crocchio con Ebe, le avranno risposto impacciati. Giustina è sola in mezzo).

Ebe                             - (ribattendo a Cantèo e Falzacappa) Sì, cari, ho capito: chi con una scusa e chi con un'altra... Ci conso­leremo col brillantissimo Cerulli: che è il mio segretario in ufficio!

Falzacappa                  - (stupido) Eh la capisco la vostra con­trarietà...

Camèo                        - (ridendo) Ma avvocato! Dovevate dire che Cerulli ora ha fatto da « primo attore »! (A Ebe) E vo­stra sorella mostra d'apprezzarlo moltissimo! (Resta in tronco perché Ebe, con sgarbo evidente, s'allontana verso il fondo della scena. A Falzacappa) Come se la colpa fosse nostra...

Falzacappa                  - Io sono venuto! (Sbircia l'orologio).

Giustina                      -  Ma accomodiamoci, signora Maria...

Maria                          - Sediamo, sediamo! (Ridendo) Ricordate quando venivo a fare i «empiti da Sandra, e voi v'affac­ciavate dalla porta: «E' proibito sedere sui letti »? (Ride, e con lei ride Giustina, che le siede accanto sul divano. Falzacappa le accompagna e resta in piedi lì vicino. Leo­poldo ha condotto Camèo da parte sul proscenio).

                                    - (

Leopoldo                    - Ma dì un po': che c'è stato, tra te ed Ebe? Ho saputo dalla madre... che tu, non so: l'hai offesa? Camèo           - (stupito) Io? quando?

Maria                          - Ah, io vorrei far l'attrice solo per ricevere tutti quei fiori!

Falzacappa                  - (subito) Maria: come se io non t'avessi mai offerto...

Maria                          - (interrompendolo) Un mazzolino per volta; va' là! (A Cantèo, che parla accaloralo con Leopoldo) Ma è un vero tradimento, Camèo! Voi la coprite di fiori, e la bella se ne va a braccetto con un altro?

Camèo                        - (frastornato) Tradimento? (Riprendendosi subito, sorridendo) Badate, signora, che voi ammettete una cosa pericolosissima, per tutte voi.

Makla                          - Io? quale, sentiamo!

Camèo                        - Eh, che basti offrirvi un tributo d'ammira­zione... dico: come il mio: di quelli che sarebbe scortesia respingere: e una donna è senz'altro impegnata?

Falzacappa                  - (subito alla moglie) Impara!

Maria                          - Impara tu! che col tuo mazzolino, poi pre­tendi...

Falzacappa                  - (troncando) Ma ti prego! (Subito a Ebe) Ah, signorina; la conversazione qui, senza la guida della padrona di casa...

Ebe                             - (pronta, sorridendo) La padrona di casa, per queste cose, è la mamma.

Camèo                        - (quasi aggressivo) Già! Perché voi vi sentite capace soltanto agli affari! (Di colpo, quasi commosso) La signorina non pregia in «è tante altre doti.

Maria                          - (con entusiasmo)  Bravo Camèo! Camèo ha imparato a fare i complimenti alle signore!

Falzacappa                  - (in fretta) Maria: dì alla signora Giu­stina...

Maria                          - Ah, sì, signora: sentite... eseguita a parlarecon calore. Sul proscenio sono: Ebe, Leopoldo e Carnea).

Leopoldo                    - (a Camèo, attaccando subito) Ebe badasoltanto al sodo, ma, a veder la questione nei suoi veritermini, non ci sta.

Camèo                        - E ha ragione! Vuol dire che ha imparato! (Sorridendo, con intenzione) Noi abbiamo avuto in pro­posito una disgraziata esperienza.

Ebe                             - (stupita) Cioè?

Camèo                        - (a Leopoldo) Ricordate che un tempo, tra mio padre e il suo, s'era fatto parola... in aria, d'un pos­sibile matrimonio tra me e lei? Ebbene, lei commise l'errore».

Ebe                             - (con sdegno, ma mitigando la voce perché gli altri non odano) Ah, io? un errore? Ma almeno tacete! (Carneo s'inchina. Ella, fremente, fa per ritrarsi con una esclamazione di sdegno. Ma poi, trasportata, a Leopoldo) L'errore mio sarebbe questo: che alla morte del babbo, vista la situazione in cui eravamo rimaste, con l'azienda di cui bisognava occuparsi subito...

Camèo                        - Ero alla guerra anch'io, come suo padre!

Ebe                             - Ma va bene! (A Leopoldo) Mi feci coraggio e gli domandai se voleva sposarmi. E non c'è altra da dire. (Fa per allontanarsi).

Camèo                        - Eh no: prego! Il modo! (A Leopoldo) Una lettera irta di cifre, un resoconto contabile. Lassù, da­vanti alla morte, avevamo un altro sentimento, signorina, di quel bene che nella vita è una donna. Sentirsi... quasi reclamato: per ragioni di convenienza, tutte estranee a un vero sentimento...

Ebe                             - Vi pare che avrei potuto rivolgermi a voi, senza queste ragioni?

Leopoldo                    - Ma, figliola mia, siamo giusti: a un uomo non può far piacere...

Ebe                             - Umiliava soltanto me, caso mai!

Camèo                        - No, Ebe. Voi, togliendovi quasi ogni valore... sapevate di non perderlo: facevate anzi un atto d'orgoglio. E’ l’unica difesa che mi rimaneva, per il mio amor proprio, fu di farvi osservare che.„ se dovevo ser­vire soltanto a risolvere una situazione d'affari, finché duravi! la guerra non avrei potuto accudirci... e che, per lesto di responsabilità, dovevo anche pensare al rischio di lasciarvi in una situazione ancor più imbrogliata; ve­dova... e magari con un bambino. Questa è « l'offesa », raro .Savio! (Maria e Giustina si sono alzate e s'avviano con Falzacappa verso la terrazza).

Maria                          - Noi andiamo in terrazza. Non sentite che caldo?

Leopoldo                    - (subito, per parare) Veniamo, veniamo Diche noi. (Maria, Giustina e Falzacappa escono nella lerraiza, dove Falzacappa darà luce alla lampada).

Ebk                             - C'era, dietro quel mio atto, l'impegno... (staccando) serio, onesto, consapevole, di tutta la mia vita a un uomo... di cui avevo stima. E voi lo sentiste dopo, al ritorno. Troppo tardi, Riccardo: quando io sotto quella vostra frustata, avevo trovato l'energia di... insomma, quando avevo già risolto da me ogni cosa. (Fa per «ru­llarsi alla terrazza ma s'arresta al tono con cui Carneo le ribatte).

Camèo                        - No! Ogni cosa? Gli affari... Vedete che vi date torto da voi stessa? e mi confermate che non vi im­portava altro? Altrimenti non sarebbe stato troppo tardi!

Leopoldo                    - Giusto! Giusto, cara Ebe!

Camèo                        - (incalzando) Come non è tardi neanche oggi! Tanto meglio se con un matrimonio vanno a posto anche gli interessi, ma non è questo! C'è da considerare ben altro! Ormai ci s'avvia tutt'e due a restar «oli, cara Ebe. E voi. avete ormai allontanato e sgomentato, tutti gli sciocchi che, se una donna attende agli affari, la vedono coi calzoni. Non siamo molti a capire che una donna può occuparsene benissimo, e a posti di responsabilità, e re­care quella che è.

Leopoldo                    - (conclusivo) Ma sì. E ora vorrei che tu riflettessi con calma.

Ebe                             - Sulla fortuna d'aver trovato ancora uno che mi considera una donna, (Prendendo il braccio, a Leopoldo e traendolo di lato, come per lasciar lì Cantèo, che resta od ascoltare) Non ti dico che... che senso mi facevo io stessa, allora, in quei giorni d'attesa... con le mani aperte davanti al sì o al no con cui un altro doveva decidere di tutta la mia vita. Come mi sono sentita donna, caro, in quei giorni! M'è bastato, credi, una volta e per sempre.

Leopoldo                    - E perciò ti sei messa a far l'uomo?

Ebe                             - Ma no, Leo: che uomo! Mi sono messa a fere come voi.

Leopoldo                    - (stordito) Scusa... e noi...?

Ebe                             - No! Io non lo chiamo far da uomo! Permettimi d'avere un altro concetto, di quel che è un uomo!

Camèo                        - (ridendo) Questo disprezzo non è per voi, dottore! E' per chi adesso le è caduto ai piedi. Niente di più femminile!

Ebe                             - (trasportata) Un uomo, l'avete conosciuto anche voi: mio padre! E mi vien da ridere, ora, se penso alla soggezione con cui ero entrata tra voi, nel vostro mondo. Sfido! avevo l'idea che tutti dovessero esser come lui... e allora si, dì sostanza veramente diversa da me ; con quella meravigliosa potenza di formare: quella virilità... vera: dello spirito! con cui s'appropriava le cose e dirigeva il suo destino! Ma noi, cari, via! Ho visto alla prova chele nostre azioni e 'i nostri sentimenti è difficile separarli netti: maschili, femminili: hanno un sesso molto con­fuso. Noi traffichiamo insieme, più o meno bene. Lui creava!

Camèo                        - Vostro padre era un uomo superiore! Questo si sa! Ma abbiate pazienza: non mi direte che per voi sono uomini soltanto quelli! E tutti gli altri che sono?

Ebe                             - (ridendo) Ma sì, caro: basterebbe che voi mi abbracciaste, per farmi confessare subito: ecco un uomo!

Camèo                        - (facendo per abbracciarla) Oh, vivaddio!

Ebe                             - (sottraendosi e dandogli in mano il ventaglio) Tenete: fatevi vento!

Camèo                        - (sventagliandosi) Grazie: ma soffiare sul fuoco sarà peggio! (Affettuoso, eccitato) Mi piace, che abbiate il gusto di queste vendette! (A Leopoldo) Non è facile da capire (a Ebe): ma io ormai...

Ebe                             - (ironica) Voi mi avete capita?

Camèo                        - Io sì! In tante cose che invece disorientano gli altri. (A Leopoldo) Per esempio: i suoi rapporti con Giorgio! (A Ebe) L'ho notato che voi non gli fate da mamma: che per -quella parte l'avete affidato alla nonna!

Ebe                             - Ah, l'avete notato! Non ho istinto materno, vedete.

Camèo                        - Chi volete imbrogliare! E' che l'avete troppo schietto e puro! La nonna, sì, è fatta proprio per pren­dere quel posto, quando manca la mamma vera; ma voi, voi avete sentito giustamente che dovete aspettare i «vo­stri » figli!

Ebe                             - Ah, ve lo spiegate così?

Camèo                        - E' certo che è così! Ed è molto bello!

Ebe                             - No, Riccardo. E' ancora più bello... e più diffi­cile. (Strana, turbata, sorridendo) Più difficile perché... mio Dio, sì, un petto d'uomo è sempre un appoggio fermo... vivo (gli poggia una mano sul petto): e sognare di acquistarmelo è pure una tentazione! (Ride).

Camèo                        - (congestionato) Ebe!... Perché... perché dite « sognare »...

Ebe                             - (secca) Perché da sveglia, uomini, per me, restano soltanto tinelli! Quelli che io riconosco per uo­mini anche se non mi abbracciano. (Esce in terrazza).

Camèo                        - (alterato) Ma come? Scusate.

Leopoldo                    - (trattenendolo) Lasciala stare. E' inutile.

Camèo                        - (adirato) E mi congeda in questo modo? Non sono un uomo, per lei! E s'è divertita a mettermi in mano il ventaglio! (Lo getta con rabbia su una poltrona alzando la voce terso la terrazza) La signorina vuol ve­nire con noi al fronte, la prossima guerra?

Mabia e gli altri           - (voltandosi stupiti)  Che c'è? Che c'è? Che dice? al fronte?

Ebe                             - (sorridendo) La prossima guerra, caro, saremo tutti in ballo! Oh, Sandra: buona sera! (Tutti in scena e sulla terrazza, si voltano verso il fondo, da dove risuona la voce di Alessandra, che appare salendo dal giardino, seguita da Cerulli: entrambi carichi di fiori che poi di­sporranno in veranda. Alessandra, bella donna formosa e appariscente, vestita con bizzarria, parla con voce na­turalmente ben timbrata modulandola, e recita un pò sempre. Ha il viso che appare ancora truccato per la scena. Cerulli è un bravo giovane, inappagato dalla sua condizione: cerca di valer di più recitando in filodram­matica e curando come può la sua testa, le sue mani e la misera eleganza dei suoi vestiti).

Alessandra                  - Scusate, ma siamo stati aggrediti!

Giustina, Maria e Leopoldo   - Sandrina! Aggrediti? - Possibile? Chi è stato?

Alessandra                  -  Fortuna che c'era Cernili!

Camèo                        - (risalendo verso gli altri che vengono avanti e rientrano nella veranda) Qualche malvivente?

Cerulli                         - Ma no: un pazzo che le ha consegnato una commedia! La signorina lo conosce... Non mi ha per­messo di dargli la lezione che meritava: altrimenti! (Aiuterà Alessandra a disporre i fiorì nei portafiori).

Alessandra                  - M'ha seguita da Milano. Mi perseguita. Un certo Perres. L'hanno cacciato non so da che gior­nale.»

Ebe                             - (quasi ostile) E perché ti perseguita?

Alessandra                  - Domandalo a lui. Ma basta: questa volta spero d'essermene liberata.

Cerulli                         - Con un bacio in fronte... ah!

Alessandri                   - Sì, ha voluto un bacio in fronte: per «consacrare la promessa» che gli avrei letto la com­media! Dev'essere alla fame... Oh, come noi, del resto! Cerulli: noi che abbiamo lavorato! Speravo che aveste apparecchiato fuori in terrazza! Io ho bisogno di re­spirare!

Giustina                      - S'era pensato che tu, venendo accaldata...

Camèo                        - (subito deciso) Un desiderio della nostra amica è legge! Su: tutti gli uomini: non ci vuol niente: trasportiamo la tavola!

Alessandra                  - Ma no, ormai! Piuttosto, spegnete quella luce là in terrazza: fa sentire di più il caldo! (Mentre Carneo, scansando Falzacappa che s'avviava, va lui, dicendo) « Io, io! » (Spegne e quindi torna. Ella, ridendo) Ah, siete un uomo prezioso, Carneo! Non perdete un'oc­casione per farvi voler bene!

Camèo                        - (dalla terrazza) Ah signorina, se voi me ne voleste davvero un po'!

Alessandra                  - Ma un po' ve ne voglio!

Camèo                        - E allora, un po', non mi basta più! (Risa).

Giustina                      - (un po' sperduta nella confusione) Aspet­tate che chiamo Elvira per servire...

Ebe                             - (subito) Facciamo da noi! E' bene anzi che Elvira resti di là, per Giorgio.

Camèo                        - Da noi, da noi! (Prendendo un vassoio per offrirlo in giro) Io m'offro per cameriere onorario! (Risa. Ad Alessandra) Pollo rifreddo?

Alessandra                  - Bravo! A Cerulli: servite Cerulli, Camèo!

Maria                          - (subito al marito dandogli in mano una bottiglia di spumante) Su, «tappala tu: rendici utile!

Cerulli                         - (confuso che Camèo gli offra il vassoio) Ma veramente, signor commendatore...

Cìmèo                         -  Non vi confondete, ragioniere: servizio co­mandato. Servitevi pure.

Maria                          - (subito ridendo ed additando Carneo) Ah, ma Alessandra, è una vera prova di devozione!

Alessandra                  - Eh, sì! Camèo comincia a farmi paura!

Camèo                        - (con finto cipiglio) E allora fuggite: perché cercherò di farvene sempre di più!

Alessandra                  - E se io v'aspettassi a pie fermo?

Camèo                        - Allora avrei paura io! (Risa).

Ebe                             - Cara, uno che ti molesta, credi di levartelo di torno coi baci in fronte?

Camèo --------------- - (subito) Ah, d'accordo! Se mai voleste liberarvi di me, non seguite quel metodo: sarebbe contro­indicato! (Risa. Subito serio) Ma, fuori di scherzo, se questo tale vi infastidisce: volete che me ne incarichi io?

Alessandra                  - Me lo fareste morire di paura! Siete troppo autorevole, voi.

Camèo                        - E' un ragazzo?

Alessandra                  - No, uno scombinato! Ha lasciato il giornale, perché deve farmi diventare la più grande attrice del mondo: lui!... In questo dramma che ha scritto per me dovrei fare una povera orfana bellissima, una povera Cenerentola - ora vi racconto - che però non diventa regina... perché la malignità dei suoi falsi parenti le impedirà sempre d'apparire bella!... moralmente, capite?

Falzacappa                  - (che ha stappato la bottiglia) Ecco! Pronti i bicchieri! Maria!

Alessandra                  - A me no! (A Camèo) Lo spumante mi mette un desiderio irresistibile d'innamorarmi: e non è il caso!

Maria                          - Ma noi vogliamo brindare alla tua fortuna! a'i tuoi trionfi! Devi bere anche tu! (Incitamenti e risa degli altri) « Sì, sì! con noi! con noi! ».

Elvira                          - (da destra rivolgendosi a Giustina) Signora, s'è svegliato: vuole la nonna... (Subito Giustina s'avvia premurosa; ma Alessandra, staccandosi dalla tavola, la trattiene).

Alessandra                  - Giorgio? Andiamo tutti a trovarlo! Op­pure: un'idea! portalo qui e gli facciamo assaggiare lo spumante!

Giustina                      - No, lascia, lascia che vada io! (Sta per uscire con Elvira),

Ebe                             - (subito a Giustina che esce) E digli che dorma subito, se no io mi dispiaccio!

Giustina                      - (di dentro) Glielo dico...

Alessandra                  - (fosca, con ira) Ma io voglio vederlo! (Agli altri, subito distratta) Sapete a chi pensavo durante la scena, quando lui (additando Cerulli) mi scaccia e mi inginocchio invocando il figlio? A lui, ho pensato: all'amorino mio, che non lo vedo mai!

Maria                          - (subito) Ah, hai fatto una voce che metteva i brividi! Davvero!

Alessandra                  - (ride) Cerulli è rimasto un momento a bocca aperta, prima di riattaccare!

Cerulli                         - Ma perché quel tono... non me l'aspettavo. Lei, alle prove...

Alessandra                  - (interrompendolo) Alle prove si pensa solo alla battuta e ai movimenti. Ma davanti al pubblico allora, vedete?, allora una resta davvero sola; con la sua povera vita... Anzi no: come separata dalla vita che 6Ì vorrebbe avere: i sentimenti veri, non sono più per noi! si deve vivere qua recitando: e il figlio mio lontano, che mi tende le braccine. Allora Si grida! Si cerca di raggiun­gere con la passione: una passione che c'insorge dentro all'improvviso... raggiungere il mondo della verità! Voi non potete capire. (Tace, soddisfatta dell’impressione che ha fatto sugli altri).

Maria                          - Ah, dev'esser terribile...

Ebe                             - Però... sulla scena, capisco, ma poi, in pratica, tutte le volte che t'accosti a lui con questi sentimenti... lo turbi inutilmente, perché lui non può capirti...

Alessandra                  - (fiera) Mi capirà un giorno!

Ebe                             - Ah, un giorno...

 

 Alessandra                 - E mi darà ragione: e sarà orgogliosodi me!

Maria  e altri               - Ali, certo! Sicuro!

Ebe                             - Non ne dubito. (Con tristezza) Benché, caraSandra, una mamma che non si lascia capire... proprio,quando abbiamo più bisogno d'intenderla tutta, chiara...'amore d'un bambino, per affidarsi         

Alessandra                  - (con uno scatto di livore, mascherato da unriso nervoso) Lo so che tu cerchi d'allontanarlo da me!Ma allora ti giudicherà!

Leopoldo                    - Ma che stai dicendo, figliuola? Calma,calma!

Ebe                             - (senza alcun risentimento) E non dire scioc­chezze. Sai, caso mai, chi può aspettare ad esser capito e conosciuto? Il padre.

Alessandra                  - (livida come sotto un oltraggio) Che padre? di chi parli?

Ebe                             - (subito) Sandra! come puoi credere? Parlavo in generale!

Alessandra                  - (trasportata) lo vivo d'arte anche per lui!  Per dargli un nome! Sono una che non ha bisogno di mettere i figli sotto il nome d'un uomo: posso dargli il mio: io!

Ebe                             - (un po' accalorata) Tu hai frainteso: io dicevo soltanto che ai bambini bisogna mostrarsi quando si pensa soltanto a loro... ci dobbiamo abituare a vedere ogni cosa coi loro piccoli occhi. E per ciò io - per farti un esem­pio  da lui, vestita così, non mi faccio vedere. Figurati che penserebbe a veder te, in codesto stato.

Alessandra                  - (ancora ridendo, ma già offesa) In quale stato? Di, dì, che mi diverto!

Leopoldo                    - Senti, vieni con me: dici che avevi caldo: andiamo in terrazza!

Alessandra                  - (scansandolo aggressiva contro Ebe) Ma voglio sentire che pensa! Gli apparirei... indecente? (Scop­pia a ridere) Ah, la provincia! (Montandosi) E mio figlio dovrebbe crescere tra tutte queste assurdità! Non vedo l'ora di potermelo riprendere. (In un violento insorgi­mento di passione) Ma voi intanto mi state facendo mo­rire nel suo cuore!

Ebe                             - Noi?

Alessandra                  - M'avete fatta diventare un ritratto al muro!

Ebe                             - T'inganna, la gelosia: non sono io, a usurparti quel posto Sandra. Dovresti ringraziar Dio che ci sia la mamma a tenerlo... O prenditela contro di lei! Ecco! Ma allora saresti davvero una sciocca e un'ingrata.

Leopoldo                    - (frammettendosi) Oh, questa è la parola «insta! Dovresti essere gelosa di tua madre. Sei persuasa? Be': ora dovete fare la pace.

Ebe                             - (contro Alessandra, fredda) E' colpa mia, se tu ti sei messa in condizione di non potergli dare niente di vero e di necessario?

Alessandra                  - Ah: niente?

Ebe                             - Soltanto cose superflue e di capriccio: che lo guasterebbero!

Alessandra                  - Ah: superflue! (Di scatto, gridando) Dov'è Emma? la mia cameriera? (Va alla porta a destra).

Giustina                      - (rientrando da destra) Ma zitte: che di là si sente tutto! (Non visto da alcuno in scena, Flavio Perres appare titubante sulla terrazza e s'avanza: s'arresta  irresoluto quasi sulla soglia dell’entrata in fondo.

 Alto, magro, sulla quarantina ma tuttavia giovanile, con la chioma bionda, ricca e mossa, divisa da un lato, e un pizzetto di barba che sembra messo di traverso perché se l'acciuffa quando riflette; occhi vividi e sfacciati, sor­riso arguto, faunesco. E' senza cappello e ha addosso un vecchio vestito che doveva essere di buon taglio, ora sformato, anche dagli scartafacci che gli empiono le ta­sche. Vorrebbe entrare, ma non osa: ascolta un po': si ritrae; torna a spiare).

Alessandra                  - (scansando la madre e uscendo per un momento da destra) Emma! Emma! (Mentre in scena Giustina dice: «Ma Sandrìna! ») Presto! i bagagli! Sì parte! (Rientrando in iscena) Me lo riprendo! Lo salvo!

Giustina, Leopoldo e Maria   - Ma che dici? - Via, via Sandra... - Te lo riprendi?

Alessandra                  - (subito a Carneo) Voi ci date un pas­saggio sulla vostra macchina fino alla stazione?

Giustina                      - (frapponendosi) Ma parla con me! Dove vuoi andare?

Alessandra                  - Dove mi porta il primo treno che passa!

Giustina                      - Oh Madonnina mia! Ebe!

Alessandra                  - E tu, se vuoi, vieni con me! Va a ve­stirti!

Giustina                      - Ma come, ora? Che stai dicendo, figlia mia!

Leopoldo                    - (risoluto, agli altri) ~ Sentite: ritiriamoci. Senza spettatori, vi calmerete!

Falzacappa                  - Ma sì, è meglio. Maria...

Giustina                      - No, non ve ne andate, in questo mo­mento...

Ebe                             - Commetti una cattiveria, di cui ti pentirai su­bito. E già lo sai.

Leopoldo                    - Ma sì, figliuola: appena dovrai tornare a recitare...

Alessandra                  - - No: è finita! Deve finire. Giorgio è mio.

Ebe                             - (sicura)  Non si tratta ne di me nè di te: ma di lui: del suo bene.

Alessandra                  - (a gran voce) Il suo bene è con me! Gliela farò io, la vita bella! col mio cuore! Giorgio mio!

Maria                          - (impaurita, additando la terrazza) Oh Dio! Chi c'è, di là?

Flavio                          - (era per allontanarsi: torna « precipizio e si presenta) Scusate: ho trovato il cancello aperto, ho sentito le voci... '   - (Ad Alessandra) Il dramma che vi ho consegnato poco fa...

Alessandra                  - (interrompendolo, tra le proteste degli altri) Ma, caro Perres, ora passate ogni limite! Me l'avete dato, lo leggerò...

Flavio                          - (subito, con un grido) No! (Mitigando, tra la meraviglia degli altri) No, vi prego, non lo leggete così. Devo cambiare tutto. Se ani restituite il manoscritto... (Ridendo) Perché era stupido: la solita cosa di far bella la prim'attrice. L'orfana dev'esser brutta. Voi, signora: brutta!

Alessandra                  - Vi sembra necessario? (Mentre gli altri ridono, a Cernili) Il manoscritto. Devo averlo passato a voi, Cernili. Rendeteglielo.

Flavio                          - (rianimato dalle risa che giudica sciocche) Se avrete questo coraggio», guardate quante cose!: la matrigna, invece d'odiarvi, vi compatisce, vi protegge! E voi (timidissimo, gestendo plasticamente): voi, povera orfana, di quest'affetto così insperato, sarete felice, no?Mentre l'amore della mamma per l'altra, la figlia vera, bella, è un l'atto naturale, normale, che non produce nulla di straordinario!

Ebe                             - (di scatto)Oh, uno che lo dice chiaro! un fatto naturale, la madre! ecco: alla fine! E non è clima da alte tragedie dello spirito!

Flavio                          - (frastornato ma con una punta d'ammirazione) Appunto... ecco! (Riprendendo) E vedrete come allora il dramma... Ma è inutile dirlo adesso! ) (A Cerulli) Il manoscritto?

Cerulli i                       - Ma non so... dove l'ho messo?

Flavio                          - (con uno scatto di disperazione e di sdegno) Avete perduto il mio manoscritto?

Alessandra                  - Io l'ho passato a voi! Ci mancava anche questa!

Flavio                          - Che ne avete fatto? L'unico esemplare!

Alessandra                  - Non agitatevi.

Ebe                             - (mima a Cerulli) Non avevate il soprabito. Cernili?

Cerulli                         - Già: nel soprabito! l'ho lasciato alla came­riera, lì al cancello!

Ebe                             - Allora andate: lo troverete appeso nell'ingresso. (Cerulli esce a destra. Rientrerà al luogo indicato col manoscritto).

Alessandra                  - (a Flavio) Oh, avete visto? Calma! (An­dando a sedere) B imparate che un manoscritto non si consegna mai, perché noi non si può rispondere d'uno smarrimento, con la vita che si fa, sempre in giro. Copie dattilografate, caro.

Flavio                          - Già e idenari? E scusate: le vostre par­rucche voi le perdete! in giro? Le parrucche no! (Si mo­stra impazientito, guardando la porta a destra).

Alessandra                  - Ma sapete che nessuno ha mai osato parlarmi con codesto tono?

Flavio                          - (irritatissimo) E hanno fatto male! (Di colpo, immedesimato) Io ho già pensato per voi a certi gesti vivi, del personaggio... veri! (Ne fa uno, evidente, di feli­cità segreta) Ve li insegnerò: troveremo effetti... d'un'evi-denza allucinante. (Guardandosi attorno, animoso e con­tento) Che stagione, eh? l'estate!

Maria                          - (voltandosi agli altri) Che centra l'estate! (Si rimetteranno a sedere Giustina e Maria; poi Leopoldo e poi Falzacappa: resteranno in piedi soltanto Flavio, Ebe e Carneo; e quindi Cerulli quando rientrerà).

Alessandra                  - Per vostra regola, nessuno ha niente da insegnarmi, Perres.

Flavio                          - (ironico e appassionato)  Nessuno? Vedrete quando metteremo su il mio dramma. (Convinto, distac­cato) In quell'opera c'è la mia e la vostra fortuna. (Ri­dono tutti di nuovo, tra esclamazioni d'ironica ammira­zione: «Ma guarda! Oh bella! Ne è sicuro! ». Questa volta finisce col sorridere anche lui).

Flavio                          - Capisco anch'io che a sentirlo dire da un autore sconosciuto...

Camèo                        - Ma chi ve l'ha detto, a voi, che siete un autore? (Risa).

Flavio                          - (sicuro, .sorridendo) In segreto, ma me lo dicono tutti, in segreto: per la simpatia con cui mi si fanno sentir vivi e veri... (Fissandolo, vivido) Oh ma perbacco! anche voi, in 'questo momento! con queste care spalle: paterne...

Ebe                             - Ah, è bellissima!

 Flavio                         - (subito a Maria) Non avete mai provato quando un altro Vi diventa... come della vostra stessa sostanza? Un uomo, signora: pensate a un uomo! (Su­bito a Camèo) Voi, una donna: è più facile.

Camèo                        - (irritato, voltandogli le spalle) Uh, smet­tetela!

Flavio                          - - Che c'è di strano? E come uno sforzo segreto della mostra forma: questa: di riprodurre le altre. Più o meno ne siamo capaci tutti quanti.

Ebe                             - (ridendo) Dite: non sarà la ragione per cui tante zitelle finiscono col somigliare al loro cane?

Flavio                          - (sorride, con intelligenza con lei) Ma: forse è un sogno: di tramutarsi. (A Giustina, che lo mira sgo­menta, con improvvisa simpatia) Sentendo d'amare... (Agli altri) Piccoli camaleonti segreti. (A Ebe) Ogni amore ci trasforma: e non è amore se non ci trasforma. (Ha avuto quel tono diretto, d'intesa con lei, che subito esclude tutti gli altri dal loro colloquio: ed Ebe gli risponde con lo stesso tono).

Ebe                             - Però è vero... che a considerare le cose del mondo come fate voi avvicinandovele così... con l'anima, da trasferircisi addirittura, si proverebbe un senso di liberazione.

Flavio                          - (negando col capo) I movimenti sono minimi.

Ebe                             - Perché? Tutte le cose...

Flavio                          - Amare, davvero? Ci è possibile solo tra di noi: nei limiti di questo nostro mondo umano, che è uno solo, dei tanti di Dio. Oltre, appena di là... è uno sgo­mento. Il vento! Sembra, sì, sembra talvolta di sentircene dentro l'anima: no? Ma una volta che ci provai davvero oh, non a trasmutarmi in vento anch'io! ma soltanto a prepararmi... ad annullare in me l'istinto di resistergli, e tenermi pronto a farmi prendere tutto... ah, fui per impazzire dal ribrezzo!

Ebe                             - Ribrezzo? di che? Ditemi!

Flavio                          - Di sentirmi tutto disperdere! e nello scatto di riaffermarmi, quasi mi slogai le braccia. Ah che che! (Con simpatia) Voi siete la sorella della signora Ales­sandra: ho indovinato?

Ebe                             - Avete indovinato...

Flavio                          - (inchinandosi) Onorarissimo di parlarvi. E, la mamma... (Inchina Giustina. Subito a Ebe) Ma Dio stesso, amarlo vero: nella sua totalità, creatore di tutti i suoi inondi... (Agli altri) Il mondo... delle muffe, per esempio! (Gli altri, stupiti e divertiti ripetono: «Le muffe? ») Sì! che a pensarci sono prodigiose: di strut­tura e di vita: prodigiose!; e certamente opera divina! Ma noi, amarlo davvero come creatore di esse... Velleità, poesia... Noi, nella verità... (A Ebe, conclusivo) E' giusto, credete, dirgli: Padre nostro, intendendo nostro, così, di noi soli uomini. Cosa di cui certo sorride. (Prendendo il manoscritto dalle mani di Cerulli ch'è rientrato e stana sconcertato ad ascoltarlo, e che ora siederà accanto alla porta) Grazie della gentilezza, e scusatemi (Subito a Carneo) Ben perciò, vedete, noi quaggiù... anche ad amarci tutti, tra noi... tutti gli uomini, e trasformarci senza tregua l'uno nell'altro in gloria di Dio... parrebbe chissà che! L'amore universale! E invece, nell'universo, non avremmo risolto proprio nulla. Una cosa che reste­rebbe tutta qua: sotto l'etere nero impenetrabile.

Maria                          - (trasecolata) Oh Signore Iddìo...

Ebe                             - (a Flavio) Eh no, invece! No! Qualche cosaavremmo risolto: avremmo chiuso le porte dell'Inferno!

Flavio                          - (colpito) Non ci avevo pensato! Ma è vero! Brava!

Camèo                        - (ad Alessandra) Abbiamo il vostro teatro in casa, cara signorina.

Flavio                          - Ma sì, forse... (Ad Alessandra facendo per ritirarsi) Perdonate. Il lavoro, dunque, (la voce gli s'in­crina) ve lo farò avere dattilografato.

Alessandra                  - (compatendo) Ma no, se non avete de­naro. Lo leggerò lo stesso. A rivederci.

Flavio                          - Siete buona. (La inchina e s'avvia, arrestan­dosi sulla soglia della porta vetrata) Ma per arrivare dove io già vi vedo... molto in alto, signora, molto in alto! dovete compirvi: compirvi spiritualmente: accanto ad un maestro disinteressato. Ricordatevelo. Ho inteso che vo­lete riprendervi il figlio. Giorgio! Bene! Il vostro vero, il vostro primo bisogno è intanto questo: di raccogliervi, di toccar terra di nuovo: e il figlio ci vuole assolu­tamente!

Ebe                             - (furente) Ma chi vi dà il diritto? con che co­scienza v'intromettete nella vita altrui, di qui non sapete nulla? Uno, piovuto dalla luna! e spacca sentenze: vergognatevi!

Flavio                          - (irritato e sdegnato) Ma perché la sua bellezza mentre gridava: Giorgio mio! è un segno! Un segno, la bellezza! Un tono vero, Alessandra Torriani; e vi ci potete fidare! (Risale all’uscita).

Ebe                             - Basta! Andate via!

Alessandra                  - (contrastata, sul punto di decidere) Perres! Flavio... aspettate... Io... Andate: e aspettatemi al cancello!

Flavio                          - (volgendoci di scatto) Ah no, signora! Ades­so? Con me: complice? no: da sola, la prima libera­zione, se ne siete capace! (Ergendosi) E poi sarete la mia interprete, col figlio ritrovato, nella vita che io vi darò. (Ritraendosi, gli occhi gli vanno alla tavola im­bandita) Se non morirò prima di fame, (Scattando) Ah! (Rapido verso l'uscita mentre tutti lo guardano, ed Ebe sì nasconde il viso tra le mani fremendo. Egli, nella ter­razza, prima di scomparire) Ma grida, Alessandra! Grida, parti! Da' vita al tuo cuore!

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

Uno spiazzato nella campagna coltivata, chiuso in fondo da filari d'olmi, maritati alle viti che di settem­bre aspettano la vendemmia, coi loro festoni colmi di grappoli.

A sinistra un grande macigno serve per un cantuccio adombra insieme con un pinastro che da dietro vi sporge sopra con la sua chioma. Il macigno fa da spalliera in basso a una irregolare panchina di pietra, davanti alla quale sono una tavola tonda, anch'essa di pietra, dal piede infisso nel terreno, e alcune seggiole di ferro. Infondo, da questo lato, s'intravede una facciata laterale, della cascina.

A destra la scena è limitata da un alto macchione di more assiepato su una muriccia di confine, che è inter­rotta in un punto per dar passo a un sentiero, praticabile; e quivi dal macchione sorge un noce.

Sul davanti, in mezzo, un alberetto morto, dai rami stecchiti.

QUADRO PRIMO

 ( Mattina sul tardi. Al levar della tela giungono in iscena dal fondo, venendo cioè dalla cascina, Giustina, vestita da casa con uno scialletto sulle spalle, e Leopoldo Savio, vestito di bianco, con un cappello di paglia in capo. Diranno le prime parole come gente che abbia altro in mente da quel che dice).

Giustina                      - Credevo che aveste la macchina. Al can­cello grande.

Leopoldo                    - No, sono a piedi. E di qua, per la scor­ciatoia, s'arriva in città in dieci minuti. (Arrestandosi) Signora, non vi fidate di me?, fatelo vedere da un altro medico. Giorgio è sanissimo! e non è digiuno come voi credete.

Giustina                      - Due giorni che non riusciamo a fargli prendere nemmeno un boccone!

Leopoldo                    - Ma no! Per me, s'alza di notte e va a rubare in dispensa!

Giustina                      - Oh... Dio volesse! me ne sarei accorta!

Leopoldo                    -  E allora ci sarà qualcuno che di nascosto... Sorvegliatelo e scoprirete che mangia! E calmatevi.

Giustina                      - Oh... se è così... è peggio! Ma sì: allora è volontà di farci soffrire! E... Savio, potete discorrere un momento con me?

Leopoldo                    - Immaginate. (Vanno a sedere) Non ho altre visite, perciò facevo questi due passi... Dite pure.

Giustina                      - Io vi chiedo un gran favore. Di parlare a Ebe.

Leopoldo                    - A Ebe? di questa faccenda?

Giustina                      - Di tutto il suo agire col bambino! Perché Giorgio, con la mamma che ultimamente... avete visto...

Leopoldo                    - Sì, sì, Sandra: gli s'era riaccostata.

Giustina                      - Una bellezza! Se l'è ritrovato nel cuore, dico io! Ma proprio per questo: ci voleva poco a capire che dopo, alla partenza di lei, per forza il nostro compito sarebbe diventato più... dico, tanto più delicato, mi pare!

Leopoldo                    -  Be', forse... Però Giorgio, doveva starsi buono! Con la promessa che tra due anni se ne andrà in giro con la mamma!

Giustina                      - Oh! Volete far ragionare un bambino? Toccava a noi! Ma Ebe non ha visto niente! Lui, ormai... non c'è mica da sentirsene offese, se una gli vuol bene davvero! era naturale che cominciasse a non fidarsi più tanto di noi, e...

Leopoldo                    - Non fidarsi di voi e della zia Ebe?

Giustina                      - Bisogna capire, bisogna capire! Io non me ne faccio! Lo prevedevo, vi dico, e sapevo già come avrei dovuto tenermi. E fidavo che da parte di Ebe... Quasi non se ne curava! Non ricordate che diceva: poi, poi: deve venire lui a cercare me: non ricordate?

Leopoldo                    - Sì: ma se ora se lo vede davanti ostile... diffidente...

Giustina                      - Ma non la difendete, per carità! Ha ag­gravato tutto.' e vi dico subito il perché: non ci aveva mai creduto che la sorella un giorno si sarebbe ripreso davvero il bambino. Ecco! E ora s'è messa a tenerlo stretto!

Leopoldo                    - Badate, che nell'amore di Ebe non c'è egoismo...

Giustina                      - S'è sentita mancare il tempo, Savio: è questo! Il tempo, perché lei vuol restare - io lo so - vuol restare nell'animo di Giorgio! (Con forza) Ma io dico: perché deve forzarlo? Il bambino non è suo! Bisogna farglielo intendere.

Leopoldo                    - (senza dichiararsi) Pensare che ci giura­vate: tutto ciò che Ebe faceva era sacrosanto».

Giustina                      - Ah non parlatemene! Ma s'è scoperta adesso! da che ha concluso quel maledetto riscatto: è arrivata dove voleva, capite? e adesso... Piena di diritti! Io, con mio marito, contavo qualche cosa! Ora mi sento trascinata... è la verità! e vederla così decisa, che c'è solo quel che lei ha in mente! Siamo dovute venir qua in villeggiatura, che ormai non è più stagione, perché aveva bisogno d'un respiro dopo tutto quel da fare... e Giorgio che non voleva: un tempo non me l'avrebbe contrariato così! per miracolo non lo picchia! Allora quell'ostilità che covava nel bambino, per forza, è venuta fuori! E io che sto in mezzo! Mi dovete aiutare, Savio.

Leopoldo                    - Se Ebe è fuori di strada - come 5o ho sempre detto, del resto - voi sola, col vostro affetto, potete vedere come c'è arrivata, e cercare...

Giustina                      - Io come posso... (Smaniando) Ma no, Savio: io non sono mai riuscita a ragionarci! Io mi con­sumo dentro! E se penso che alla fine sono la madre... (con uno scatto di cattiveria) piuttosto: metterle le mani addosso: quest'è l'impeto che mi viene! Se si potesse! Perciò mi raccomando! Savio: dovete farmi questa grazia.

Leopoldo                    - (con un certo sdegno) Voi volete sbrigar-vene. Vi basta che intervenga un terzo, non per vostra figlia, ma per risolvere un intoppo che dà fastidio a voi!

Giustina                      - (alzandosi) No, no, se non mi volete capire... scusatemi d'avervi disturbato. Se date ragione a Ebe...

Leopoldo                    - Dico che ora c'è da aiutarla! E queste vo­stre pene e quelle di Giorgio... cose Ida niente, abbiate pazienza! (Sempre più accalorato) E’ grave per Ebe! Anche rispetto a quest'imbecillino che ora le si ribella: e voi, signora, siete così pronta ad affermare che Ebe non ha alcun diritto su lui! (Alzandosi) Ma: davanti a me? (abbassando la voce) io ricordo, quando non c'era altro che un infortunio, capitato a una ragazza «ventata: e perfino voi, signora, atterrita dallo scandalo...

Giustina                      - (troncando) Perché vi scaldate tanto? Non volete parlare? Va bene! non c'è bisogno che vi scal­diate tanto! (All'improvviso) Ma Iquesto è lui: sta pian­gendo! (Avviandosi in fondo) Oh Dio mio! (Sopraggiunge dal fondo Ebe, con una scatola di biscotti in mano. Porta un gaio fresco abito da campagna. Infoscata, stenta a do­minarsi).

Ebe                             - Guardate che aveva: sotto la materassa!

Giustina                      - (fremente) Che gli hai fatto, al bambino?

Ebe                             - (stupita) Io? Mamma...

Giustina                      - Si «ente piangere da qui!

Ebe                             - E io l'ho picchiato, è vero? E’ il tuo primi pensiero!

Giustina                      - (ritirandosi) No, ma... che è successi, allora?

Ebe                             - Ecco, guarda: si nutriva a biscotti, il signorino: di nascosto!

Giustina                      - (racconsolata) Ah... Dio sia ringraziato, Birbante!

Leopoldo                    - Avete visto? Era tutta una commedia.

Ebe                             - (stanca, sedendo e lasciando sulla tavola la sca­tola)  Una cattiveria, era.

Giustina                      - (sicura) Ma, meglio così, mi pare! Ohi ma non dovevi andare a quello sposalizio, tu, sto mattina ?

Ebe                             - Io? Vedrò, mamma.

Giustina                      - Ma no devi andarci! (A Leopoldo) L'hanno invitata anche alla festa, al banchetto. Una ragazza di qua, che lei ha aiutata...

Ebe                             - (sorridendo) Sta tranquilla, che non gli dirò altro. E se proprio vuoi che non mi faccia vedere da lui...

Giustina                      - (innervosita) No, ma quella scatola di biscotti, dico: è un  regalo di sua madre». (Afferrando la scatola e avviandosi mentre Ebe si alza) Tu non capisci: io gliela riporto!

Ebe                             - (trattenendola) Mamma! Gli ho detto che i biscotti glieli darò io, quanti ne vuole: quando però avrà mangiato regolarmente a tavola. E poi gli restituirò anche la scatola, vuota. Per carità!

Leopoldo                    - (scherzando) Sì. Il corpo del reato bisogna sequestrarlo! (Serio) Questo capriccio deve smetterlo, scusate.

Giustina                      - (aggressiva) E allora io scrivo a Sandra! Subito: che venga e se lo porti via! Ormai deve tener­selo lei (contro Ebe) lei! Perché quando un bambino arriva a questo... a .rifiutare" il tuo cibo perché vuole la mamma (affiliandosi per impedire a Ebe d'interloquire): è così! è così! Ed è tutto diverso! Non è più' una levata di testa di tua sorella, che io fui d'accordo con te; è tutto diverso: ora è lui! e dunque è assurdo che tu t'ostini, e bada che... Ma è odioso! che tu gli abbia strap­pato un regalo di sua madre! Tu non c'entri più! (Non resta altro che la madre faccia il suo dovere: e io la costringerò!

Leopoldo                    -  Eh, aspettate: voi, caso mai, dovete deci­dere d'accordo con Ebe.

Ebe                             - (che si è rimessa a sedere, con uno stanco sorriso) Scrivile pure... e speriamo. Io non ci sono riuscita. Gli ultimi giorni gliel'avrò detto dieci volte.

Giustina                      - (stupita) Tu? a Sandra? che portasse via Giorgio?

Ebe                             - Ma sì, mamma, sì! Che vuoi che m'importi di lei? Pensare che lo scrupolo io l'avevo per te: la pena di levarlo a te. Non Io toglierebbe mica a me, Sandra, ma a te. Per me, anzi, il male è finché si fa desiderarecosì!

Giustina                      - (a Leopoldo) Io non la capisco!

Leopoldo                    - (a Ebe con un grave sorriso di comprensione)Sì, cara: brava. E poi, credi, anche se se lo riprendeste definitivamente, per te...

Ebe                             - (con vivacità) Non dire sciocchezze, Leo! Giorgio, passata la festa dei primi giorni, la novità... allora s'accorperebbe che io gli davo qualche cosa... qualche cosa di cui non potrà più fare a meno.

Leopoldo                    - E tu vorresti che fosse infelice, allora?

Giustina                      - Tu sei troppo orgogliosa, cara: chi sa che li credi d'essere per lui!

Ebe                             - Io? Niente, se lui non mi vuole. (A Leopoldo) Ma ti pare che lo abbandonerei? Mi basterebbe averlo qui un mese l'anno, quel mese che ora passa con lei. Già andrei a trovarlo a ogni occasione; e i regali allora glieli porterei io! Il tempo è per me: più Giorgio cresce  più diverrà mio: per forza. E Sandra….Ma anche perché no? Una mamma così bella... è un orgoglio,

Giustina                      - (irritata) Ah: nient'altro. Io non ti posso sentire! Quando un bambino la chiama in questo modo! Non sai quel che dici!

Ebe                             - (con una tenerezza improvvisa) Ti pare un cattivo sentimento? Ah, mamma: se lo gridasse Sandra mi farebbe ridere. La pena è quando lo gridi tu...

Giustina                      - (risentita) Una madre che ti dà la vita: poi non conta più niente? Tu non lo sai quello che fa una madre!

Ebe                             - Io? Io l'ho visto dia te, mamma mia: che lotta, ponte pene! In guerra contro... contro tutte le forze del mondo  che una vita così piccola ce la ritoglierebbe subito  se non ci fosse questa mamma, sempre, col suo calore e tutta la sua anima, a salvarcela! ogni giorno per anni e anni! E' lei, il nostro diritto a restare!

Leopoldo                    - E allora, scusa...

Ebe                             - Ma poi? Ci ha imposti a questo mondo nemico: poi? Nella nostra vera vita...

Leopoldo                    - Ma che dici, cara? La nostra mamma non tetta, sempre?

Giustina                      - (quasi insieme) Ma la sentite, la sentite!

Ebe                             - ( Scura e fosca) Questa è l'ingiustizia, caro! 11 tradimento fatto a noi donne; che, da quando l'ho ca­pito... Certo che resta: ma come? (Resta in quel senso di tenerezza verso noi stessi, qualche momento davanti a lei, quando vogliamo risentirci bambini... e nei ricordi, quando si ripensa alla nostra infanzia... una preistoria! E per forza: perché la nostra vita non è più quella che ciba salvato lei! E' quella che ci siamo presa noi, dopo: i la nostra! E lei rimane indietro a guardarci da laggiù con tutto quello che ha fatto per noi... e non è più altro che un sogno... (Con angosciosa tenerezza, alla madre) Oli iiovera mamma! Che sorte!

Giustina                      - (dallo stupore in cui era caduta ora riprendendosi, con amarezza) E dunque, dopo d'allora, non hai più avuto niente da me! Più niente!

Ebe                             - (con dolcezza) Ma via, mamma: il nostro è un coso unico, si può |dire! Io parlavo per me.

Voce di Camèo           - (di dentro, dal fondo) Permesso? Siete qui?

Leopoldo                    - Chi è: Riccardo? .

Camèo                        - (dal fondo con un giornale in mano, salutandocol cappello) M'ha detto Elvira dalla finestra che vi avrei trovati da questa parte: ma con gli strilli che faceva Giorgio...

Giustina                      - Ah io vado! Scusate! (Lascia la scatola e via di fretta dal fondo).

Ebe                             - Venite avanti, Riccardo. Davvero non vi aspettavo.

Leopoldo                    - E nemmeno io: in campo nemico!

Camèo                        - (sorridendo) Ma non sono qui per affari: solo per esservi utile. Avete visto i giornali di Milano? C'è una curiosa notizia di Alessandra. Niente di grave: ha abbandonato la Compagnia... (porgendo il giornale) ecco: proprio la vigilia del debutto.

Ebe                             -  Ah! (Mentre legge) Ma ha fatto uno scandalo... Rompe il contratto?

Leopoldo                    - Ma perché? (Legge anche lui di su la spalla di Ebe).

Camèo                        - Mi permettete di tenere in capo? (Si copre) Questo solicello di settembre è traditore.

Ebe                             - Non se ne capisce niente! E' una pazzia!

Leopoldo                    - Chi sa che c'è sotto!

Camèo                        - (subito) ilo intanto mi metterei a sedere.

Ebe                             - Sì, sì. Accomodatevi. (Torna a leggere).

Camèo                        - Si parla meglio! Ho visto al mercato quei cappelli di paglia da contadine, grandi, con un bel giro di papaveri: stavo per portarvene uno... (Siede) Ma sedete anche voi. Sentite, Ebe, io so qualcos'altro!

Ebe                             - Ah..dunque...  (Siede) Che c'è?

Camèo                        - Vi ricordate quel tipo, di quella sera? quel Perres?

Ebe                             - (Che ha fatto? Ah, Sandra. S'è messa con lui.

Leopoldo                    - (in piedi, ai cenni d'assenso di Carneo) Sciocca...

Ebe                             - Ah sì? (Di scatto, infoscata, a Leopoldo) Bada; giurerei che si ripara dal pericolo di doversi riprendere il figlio! (Prevenendo la protesta di Camèo) Oh, voi non sapete! qua c'è tutta una storia, di Giorgio che la rivuole a ogni costo! E io che l'avevo avvertita: che volevo obbligarla... Ci ha preso avanti!

Camèo                        - (stupito) Ma voi, scusate: non fareste oppo­sizione a ridarle il bambino?

Leopoldo                    - Ma Ebe no!

Camèo                        - Aspettate, allora! Credevo di dovervi prepa­rare un po' alla notizia... V'ingannate! Sono in città da stamattina tutt'e due: Sandra e Perres.

Leopoldo                    - Come, in città?

Camèo                        - Li ho visti io: ci ho parlato! E Sandra viene a riprenderselo: m'ha mostrato una lettera di Giorgio!

Ebe                             - Una lettera di Giorgio?

Camèo                        - Sì! L'ha chiamata lui stesso!: minacciando che appena finiti jcerti biscotti che lei gli aveva lasciato... sarebbe morto di fame!

Ebe                             - (fremente) E viene a riprenderselo: in com­pagnia del suo amante?

Camèo                        - Ah? Eh già... ma...

Ebe                             - (alzandosi) E vi hanno mandato avanti a pre­pararmi?

Camèo                        - (alzandosi) Ma no! come potete crederlo?Giorgio non li aveva avvertiti ch'eravate qua a villeggiaree loro si sono diretti alla vostra casa in città. Tra poco saranno qui. Io sono corso in macchina... (grave) perché volevo esservi vicino in questo momento. E poi ho da dirvi un'altra cosa, Ebe; che riguarda noi due: molto importante.

Ebe                             - (pensierosa) Senza coscienza: fino a questo punto. E può credere che io?... (A Leopoldo, che, esor­tato dai cenni di Carneo, s'avviava in fondo) Dove vai, tu?

Leopoldo                    - Avviso tua madre... E anche Giorgio; per tranquillarlo.

Ebe                             - Per tranquillarlo? Ma vi pare dunque che Sandra, così, si ripresenti come una mamma, per lui?

Camèo                        - Certo non è bello: ma ormai, credete, è decisa! E voi, come potete opporvi? Non potete mica impedirle di...

Ebe                             - Ma io sì! Posso abbandonare il bambino a una situazione così umiliante? (Piena di ribrezzo) Ma per il suo animo! Non ci pensate? e davanti a tutti! Fargli sopportare una simile vergogna?

Leopoldo                    - E che vorresti fare ?

Ebe                             -  Non lo so. Ma se lei resta con quell'uomo, io... Ha perduto ogni ritegno! (Guardandoli, con sdegno) E non si moverà nessuno!

Leopoldo E Camèo    - Ma è una situazione delicata, cara!  Dovete capire che noi...

Ebe                             - E allora ; la illuminerò! Chi è moralmente! ;

Leopoldo                    - Tu puoi farle molto male...

'

Ebe                             - Non è colpa mia! Verità! Avvisatela! Giorgio io posso ridarlo a lei sola! O «e no non avrò più ritegno neanch'io: arriverò a scoprirla: davanti al figlio: tutto: da prima che lui nascesse! (Subito) No, no, impossibile!

Leopoldo                    - Ma certo: impossibile! Non si deve! Giorgio resterebbe...

Ebe                             - Non devi dirmelo tu! (Affannata) Ma almeno fatele sentire anche voi la vostra riprovazione: dichia­rata: con la mamma ; tutti quanti!

Leopoldo                    - Ecco: tua madre! Spetta a tua madre, Ebe! Tu no!

Ebe                             - Io ne sarei felicissima! Ma posso sperare?...

Leopoldo                    - Fammi andare da lei, intanto. Vedrò! (Risale in fondo ed esce).

Camèo                        - (rimettendosi a sedere) Volete il mio parere? D'accordo che spetterebbe a vostra madre: e d'accordo con voi che vostra madre non otterrà nulla. Ma, cara, nemmeno noi, amici di famiglia; che faremo la faccia scura e diremo... che potremo dire? La forza l'avreste voi: ma giustamente avete sentito che arrivereste troppo oltre...

Ebe                             - Ma se voi dite...

Camèo                        - Io dico che ci vuole un, uomo: che abbia il diritto d'agire: d'imporsi, in nome della famiglia, e lasciando da parte Sandra. Di fronte a quel messere! Un nomo, vedete, può servire... Anche a prenderlo pel­le spalle e scaraventarlo fuori, se occorre... (La fissa) Sta a voi, Ebe, darmi questo diritto.

Ebe                             - Ma non insistete. Speravo che aveste capito, dopo quanto è accaduto...

Camèo                        - (staccando) Non è accaduto niente... perché io mi sono difeso.

Ebe                             - (stupita) Vi siete difeso? (Ride) Oh guarda!

Camèo .-------------- - Se ridete prima di sapere, dopo vi sembrerà una vendetta; e non è vero! Dobbiamo riderne insieme, tutt'e due: che voi m'avete cacciato dalla porta, e io sono rientrato dalla finestra.

Ebe                             - (turbata) Che significa?

Camèo                        - Messo fuori dell'azienda, vinto da voi, avrei dovuto perdere ogni speranza sulla nostra unione...

Ebe                             - Ma ditemi, insomma! che avete fatto! (Siede, vinta da un'improvvisa stanchezza).

Camèo                        - Me li avete dati voi, i capitali necessari!! Entro nel Consiglio del Banco regionale, al posto del conte Carrani, rilevandogli, le azioni. Il resto potete capirlo da voi.

Ebe                             - No. (Infoscata) Non capisco.

Camèo                        - No? Io ho una competenza, Elie. Ed è natu­rale che a rappresentare il Banco nell'amministrazione dell'azienda sia delegato io. (Sorride) Così controllerò tutto: anche la parte che prima era esclusivamente vostra...

Ebe                             - Mi opporrò! No, Riccardo: le mie idee... (Irri­tata dal sorriso di lui) Badate: ho un quadro dello stato... addirittura primordiale in cui mi avete lasciato i vostri impianti. Riflettete! Non vorrete che le prove di questa vostra « competenza » siano sottoposte ai vostri colleghi!

Camèo                        - I miei impianti rendono... E non v'illudete!, in Consiglio erano tutti contrari al vostro finanziamento: per potervi favorire è stato necessario prima quest'ac­cordo con me. (Rapido e incisivo) Avete ottenuto il denaro per mettermi fuori, solo quando chi ve lo ha fornito s'è accertato che io viceversa sarei rimasto, e con maggiori poteri di prima. La fiducia l'ho io.

Ebe                             - E allora m'hanno messa nelle vostre mani? Ma che tradimento è questo?

Camèo                        - State calma: ora dovremo andar d'accordo, per il vostro bene. Io vi aiuterò a portare un peso clic tutti giudicano troppo grave per voi.

Ebe                             - (si alza di scatto) Io, nelle vostre mani, non ci sto. Non ci sto. A costo di tutto. (Si allontana, agitala, ritorna) Piuttosto: darò via l'azienda!

Camèo                        - Dati i gravami, oggi non ne ricavereste niente.

Ebe                             - Ma sì... quasi niente. Mi son fatta giocare. Anche povera.

Camèo                        - Ma dite sul serio? Vi ho pure spiegato con quale sentimento io...

Ebe                             - Basta! Almeno andatevene! Ci siete riuscito! che volete di più?

Camìèo                       - (si alza e le. va contro esasperato: ma senz'alzar la voce) E allora chiedetelo a me. E io per voi mi rimangio gli accordi! Siete contenta? Non rilevo più le azioni di Carrani! Sono ancora in tempo! (La fissa un attimo e si allontana, agitato, sarcastico) E col denaro che mi resta in mano... libero anch'io! Il mondo è grande! (Fermo, gonfiandosi lutto) Ah sì, basta! (Tor­nando a lei, calmo) Ecco; mi basta avervi dato questa lezione. Come un uomo può difendersi, e poi, generosa­mente... Ma non voglio umiliarvi.

Ebe                             - (tutta in rivolta, quasi tra sé) Un uomo! questo tramestìo di sotterfugi, d'astuzie... Meglio, meglio che me ne tiri fuori: e così: a mani vuote...

Camèo                        - (con sdegno) Ora non fate la vittima!

Ebe                             - (a fronte, furente) Io? (Respingendolo) Tutto questo petto, per qnel che sapete fare; è sprecato! (Allontanandosi) Ma lui è generoso: pronto a ritirarsi dopo «vermi dato « la lezione »!,

.

Camèo                        - Ma vi ritirate voi, a quanto pare!

Ebe                             - (tornandogli contro) Lottare con me a far me­glio, a creare sul lavoro: ecco la lezione che mi convin­cerebbe: e non questa trappola, per legarmi le braccia e ridurmi come una di voi! Io sono d'un'altra razza. Da mio padre, avevo imparato che il denaro è un mezzo! Ma per voi ha un nome sacro: il capitale! e ha ragione chi riesce a sfruttarlo fino all'osso! (Di colpo, stremata) Oh, basta, davvero. Andate via.

Camèo                        - (togliendosi il cappello, calmo) Però queste belle cose, per cui credete d'aver ragione, potete dirmele in faccia, solo... per quei riguardi che si usano alle donne. (Con un sorriso) E io non vi tratterò mai diver­samente. (Si inchina ed esce dal fondo).

Ebe                             - (lo guarda uscire stupita, con un'esclamazione di sdegno. Resta agitata, con le mani sul viso. D'un tratto, come cedendo, chiama) Riccardo!

Camèo                        - (di dentro) Ebe?

Ebe                             - (tutta in attesa, quasi tra se, appena egli ricom­pare) Sono stanca.

Camèo                        - (grave e commosso, col cappello in mano) Non dovete confessarlo a me. (Le si appressa) Siete libera di scegliere, tra il mio aiuto e la vostra indipendenza, come prima.

Ebe                             - (appoggiandogli una mano sul petto) Oh, pro­prio... Se l'intenzione del Banco è di mettermi sotto tu­tela... che indipendenza più? Voi o un altro...

Camèo                        - (protettore) Meglio che sia io, non è vero? Brava Ebe: ne ero sicuro! (A questo tono, Ebe, rinfran­cata dall'avversione che ne prova, si scosta. E, allo stu­pore di Carneo).

Ebe                             - (ironica, amara) Sì, sì. E l'azienda è diventata una pacifica rendita. Con voi che mi dite come va am­ministrata, giudiziosamente... Ecco la conclusione. (Re­cisa) Ma lavorare con voi non .m'interessa. Sapete che farò? Metterò le firme. Per tenermi il posto. Il posto per Giorgio! Le mie vendette le farà lui! (Flavio Perres s'è sporto dalla siepe ed è entrato. Sbarbato, vestito pulitamente con un abito di seta cruda, senza cappello. In mano, un fuciletto flobert).

Camèo                        - Ma no, Ebe! Ma allora...

Ebe                             - Oh, il signor Perres! Ripulito! (Di scatto, av­viandosi in fondo) Dov'è Sandra? In casa?

Flavio                          - Se v'avesse trovato in città... (Con ira) Vi calava addosso come un falco dal cielo! Eh, non correte: ormai non ci saranno scontri.

Ebe                             - (che si è arrestata) Insomma, dov'è?

Flavio                          - Qua a una pensione, per riposare un po', prima. Non aveva chiuso occhio stanotte, in viaggio. Viene chiamata dal figlio! (A Carneo, aggressivo) Glielo avete detto?

Camèo                        - (scuro, seccato) Detto, detto.  

Flavio                          - (sfidando Ebe) Ecco: dal figlio! (Siede a cavalcioni d'una sedia).

Ebe                             - Datemi quella seggiola.

Flavio                          - (stonato, alzandosi e lasciando il fuciletto)  Perché?

Ebe                             - Perché state meglio in piedi. Che arie! Non vi si chiede pudore: un avventuriero! che si fa mantenere da una donna! ma almeno il tatto di non presentarsi...

 Flavio                         - (rapido, incattivito) Giudicato in eterno! Un po' di tempo, un po' di tempo e vedrete! Intanto sono il segretario: e costo pochissimo! (Mostrandosi) Giusto questo bel vestitino, perché lei crederebbe di sfigurare; e devo stare attento a non insudiciarmelo: me ne farebbe subito un altro.

Camèo                        - Quanto volete per lasciare in pace la signo­rina Alessandra?

Flavio                          - Come?

Camèo                        - Quanto volete? Dite quanto!

Flavio                          - Ah. Un milione.

Ebe                             - (reagendo) No, Riccardo: non v'intromettete. Voglio fare da me.i

Camèo                        - Buona. Poco fa, voi stessa...

Ebe                             - Tanto per il signor Perres, prender denaro da un uomo o da una donna non fa differenza! vi «arò grata se ve ne andrete: davvero.

Camèo                        - (andando a sedere in disparte) Con vostra sopportazione, io resto: per vostra madre e vostra so­rella! Sono un amico! (Accende il sigaro).

Flavio                          - (tornando verso Ebe, riconciliato) Ecco: al­meno sapere, prima di giudicare! Sandra è in un mo­mento di vera bellezza! terribile! chiusa in un sogno di rapina. E io ero senza fiato, io, pensando a Giorgio che: povero uccellin belverde...

Ebe                             - (vibrata) Giorgio, voi non dovete nemmeno nominarlo. E se credete d'impressionarmi con Sandra che viene come un falco...

Flavio                          - Eh! lasciate fare a me, che sono il merlo della situazione! Ve lo incanto io, con opportune modu­lazioni del mio fischio melodioso... Per farvi vedere che ci so fare: il fuciletto, il pensiero è stato mio, prima di partire: per accattivarmelo!

Ebe                             - E me lo dite! (Ride, fissandolo).

Leopoldo                    - (venendo dal fondo) Ebe; sai che Sandra?... (Stupito, a Flavio) Oh, guarda! (Decidendo) Voi non potete restare: in questo momento! (A Ebe) Sandra è in casa: c'era già quando io sono andato a...

Ebe                             - (alzandosi) Ah sì? (A Flavio sdegnata) E perché m'avete detto?... (Si avvia).

Leopoldo                    - (trattenendola) Aspetta, ora! ci raggiunge qui con tua madre'. Hanno fatto mangiare Giorgio e l'hanno coricato? perché stanotte era stato sveglio ad aspettarla! Sta' tranquilla che parleremo di tutto: io ho già accennato... (A Flavio) Vi ho detto che non potete trattenervi!

Flavio                          - (infuriato ma sempre a sedere) Allora: ha finto che voleva riposare, ed è corsa dal figlio da un'altra parte! Abbiamo perduto tutti un momento bellissimo! e sapeva quanto l'aspettavo.

Leopoldo                    - Oh! qua non ci può esser niente di bello, con la vostra presenza!

Ebe                             - E l'ha capito perfino Sandra! Insomma: uscite. (Sopraggiungono dal fondo Alessandra e Giustina. Camèos'alza).

Flavio                          - (meravigliato) Ma perché? (Subito alzandosi) Sandra: mi vogliono mandar via!

Alessandra                  - (subito seccata) Oh; fammi il piacere, tu!

Ebe                             - Come puoi mettere Giorgio accanto a quest'uomo? Se tu rivuoi tuo figlio...

Alessandra                  - (irritata, rapida: andando a sedere) Perforza lo rivoglio, cara: mi rivuole lui! Io ve l'avreilasciato ancora,, se foste riuscite a tenerlo buono! Per me è una 'bella complicazione, mi pare! Ah, ma s'adat­terà! Gliel'ho già fatto capire!

Ebe                             - (con ira) Rispondi a quel che t'ho detto!

Alessandra                  - Che è questo tono? Che c'entri tu?

Giustina                      - Per carità, figlie mie... Ma non è lei sola, Sandra: siamo tutti, e io... io la prima, scusa. Io non voglio vederlo! (A Flavio, senza guardarlo) Voi signore... non vi ricevo in casa mia. (Siede).

Leopoldo e Camèo     - (subito, ad Alessandra) Devi ren­derti conto, cara... (A Flavio) Approfittate. (Gli mostra l'uscita).

Alessandra                  - (troncando, stupita) Ma che c'è? Vi siete messi tutti d'accordo?

Flavio                          - (scansando Carneo; grave, a Giustina) Da­vanti a voi, signora, non ardisco nemmeno scusarmi: ma credete che nel mio cuore io non vi offendo! E sono certo che un giorno...

Alessandra                  - (troncando adirata) Finiscila, Flavio! Qui basta una parola: che tra noi non c'è stato niente! Capito?

Flavio                          - (cercando d'arrestarla) Ma Sandra!

Alessandra                  - Perché siamo fidanzati! e sposeremo regolarmente! e fi-dan-za-ti: due premi di virtù.

Flavio                          - (di scatto) Prego lorsignori di non divul­gare la cosa!

Leopoldo                    - Ma che dite?

Ebe                             - Fidanzati?

Camèo                        - Bellissima! (

Giustina                      - Ma come, Sandra?

Flavio                          - (eccitato) Pulizia, sì! un'esemplare fami­gliuola, vivace e propulsiva: l'unione fa la forza e il mondo è nostro! Ma per carità, signori: un'attrice, che dev'essere come un idolo, per la folla! Fosse questo un capriccio, glielo passerebbero: fossi io un bravo im­becille pieno di quattrini... Ma la notizia che Alessandra Torriani stringe un impegno serio: un impegno serio con uno come me: che non Si sa chi sono: senz'arte né parte...

Ebe                             - Mi piace che lo riconosce!

Flavio                          - (adirato) Per ora, dico! Finché non mi sarò affermato! (A Sandra) S'era detto e stabilito che doveva restare un segreto per tutti! (Agli altri) Pen­sate come si riderebbe di lei, la gente volgare: Io scialo di mettere sotto i piedi una reputazione! (A Sandra) Io mi tenevo i raffacci e stavo zitto!

Alessandra                  - Sì, caro: ma io basta! mi sono seccata, di far la parte della donna che non si può rispettare. Fidanzati! Ma possiamo farli ridere di più. A tanta pu­lizia, sapete chi ci ha tenuto? Eccolo qui! Io mi son dovuta adattare! (Ride).

Ebe                             - (cercando di scansare Camèo, vibrando, ad Ales­sandra) E anche Giorgio, forse... s'adatterà! come tu gli hai fatto capire! Un bambino: s'adatterà! Lui saprà « accattivarselo »!

Alessandra                  - Giorgio entra in famiglia: con sua madre, e uno che cercherà d'essere per lui...

Flavio                          - Ecco! Credete che veramente, io, coi senti­menti più puri...

Ebe ------------------ - (con un grido) Badate! (Si lancia contro Flavio; ma, trattenuta da Leopoldo e Camèo, ridendo  irosamente) Ma,può darsi! I sentimenti più puri a quel signore non costano nulla!

Leopoldo e Camèo     - Ebe: lascia stare: pensa ali stessa! Non vedete dove siete giunta? La strada per cui vi eravate messa: ma se appena ho voluto attraversai' vela, subito v'ho fatta cadere: che vuol dire? che non era strada per voi! E Giorgio, lo stesso! Non è per voi! E dunque non è finito altro che un errore! Ed è un beni, che sia finito! un bene!

Ebe                             - Perché ci siete voi, pronto ad accogliermi coi vostro petto generoso? (Sopraffacendolo) E avete aspettato il momento! Anzi l'avete preparato! Ma sbagliale, Perché allora, io, così... capisco mia sorella!

Alessandra                  - Oh: ti s'aprono gli occhi!

Ebe                             - E t'invidio! Almeno un tipo divertente! (A Flavio) Aria! La bellezza: e tutto gratis! (Agli atei) C'è anche questo, nella vita! (A Flavio) Io v'ammiri umilmente! Pazza che sono stata, a credere d'avere ac­quistato una dignità sopra le altre: a furia di lavoro e di rinunzie!

Camèo                        - (ancora sorridendo) Io certo non sono «divertente », ma...

Ebe                             - No: siete uno sciocco, odioso: se credete che ora... ah: mi salvate? Avete perduto più di me! e mise­revolmente T Io d'un colpo: voi un po' per giorno, per la strada! In questi dieci anni: da quando mi rifiutaste! Forse, a viverli insieme, non me ne sarei accorta: ma oggi, via! non avete uno specchio? Vi credete davvero uno di quelli... con cui una donna è generosa? (Lo guarda e ride) Oh, povero Riccardo! Oh, come mi fate ridere!

Giustina                      - Ma perché, Ebe?...

Ebe                             - (minacciosa a Flavio) E voi scomparite: non è vero?

Alessandra                  - (alzandosi, minacciosa) Insomma! Tu non hai nessun diritto...

Ebe                             - (gridando) Non è un diritto! Ma io non posso! Arrivare a niente... almeno sia niente! ma restare in quest'odio... (A Flavio) No: non lo sperate. Se ci siete voi, io non mi stacco! Non mi stacco! (Affrontandolo) Giorgio non deve conoscervi!

Flavio                          - (irritandosi) Ma io non ho alcuna mira, sul ragazzo! Che credete? Ho tali impegni verso me stesso!

Ebe                             - (ritraendosi, convulsa) Lo so! Lo so! e ve l'ho detto: vi ammiro! e vi immagino, insieme ; voi lo lasce­rete vivere... non è vero? Giorgio sarà contento: voi gli parlerete... Oh, Dio: ma questo è tutto! (Tornandogli contro, tremante) E io... se penso che... che sarete voi a formarlo! Per forza!... a fargli scoprire le cose del mondo... No! (Lo colpisce due volte sul viso) Ecco! Ecco! (Subito Leopoldo e Camèo accorrono per tratte­nerla: Alessandra scoppia a ridere: Giustina si copre il volto ; tutti esclamando confusamente: « No, Ebe! » -«Che fai? » - «Oh, povero Flavio!» - «Dio mio, Dio mio... » mentre s'avvicina dal fondo, di là dalla siepe, un suono di fisarmonica tra un allegro vocìo).

Flavio                          - (stupito con pietà) Ma allora, aspettate, è gelosia! E' gelosa di me! che io prenda il suo posto con Giorgio... (Ebe scoppia in pianto sottraendosi alle premure di Leopoldo ; Camèo va in disparte, s'è taciuto all'improvviso il suono della fisarmonica; dal vocìo si alza tra gli altri il richiamo d'una donna: « Signorina! Signorina Ebe! pronta? Ci aspettano in chiesa! ( la fisarmonica riattacca, forte).

Leopoldo                    - Ma, chiamano te? Ah, lo sposalizio! Aspetta, dirò io che...

Ebe                             - No: ci vado. (Rapida risale verso il varco: esce. Un'acclamazione saluta di là il suo apparire),

Flavio                          - Gelosia...

QUADRO SECONDO

 (La stessa scena, vuota, poche ore dopo. Quasi l'an­nebbia una luce rossa di tramonto, densa; che poi s'al­leggerirà spegnendosi a grado a grado nella tranquilla luminosità d'una lunga sera).

Voce di Flavio'           - (di là dalla siepe) Buona sera. Visiete divertita?

Voce di Ebe                - Che fate qui? (Ebe entra dal varco; Flavio s'affaccia con la testa da dietro la siepe).

Flavio                          - Avete ballato sull'aia, con l'organetto?

Ebe                             - Non mi son persa un giro! (Risale verso il fondo).

Flavio                          - Allora riposatevi, e sentite che bella notizia. Sapete quando mi sposerà Sandra? Quando voi spose­rete Carneo.

Ebe                             - (arrestandosi) Io? Che state dicendo?

Flavio                          - Scherzo! Si fa come Volete voi: senza di me. E' finito tutto.

Ebe                             - (con gioia) E' finito! (Si appoggia alla tavola commossa) Ma come? (Flavio scompare. Ebe siede) Sì, Dio mio: sarebbe stato troppo...

Elavio                         - (riapparendo sul varco) Sapevo che vi avrei dato una consolazione. Felicità in sogno, però... Devoaprirvi gli occhi!

Ebe                             - (sospettosa, con timore) Perché? Vi riconciliate?

Flavio                          - No no, il dissidio è insanabile. E' venuto in chiaro che io l'ho rovinata.

Ebe                             - Ah. Se n'è persuasa!'

Flavio                          - Sì. Per riprenderci Giorgio, non c'era mica bisogno di sciogliersi dalla Compagnia... non vi pare?

Ebe                             - (che s'aspettava altro) Infatti... è stata una scioc­chezza.

Flavio                          - (subito) Ecco! e dovevo impedirgliela io: toccava a me, come segretario... richiamarla alla ragione! Invece io, ci respiravo, in quell'aria di tragedia! E' ve­nuto in chiaro. A vederla in furore, col petto sommosso... ah, com'era bella! una meraviglia... E ora, pagare la penale, non sarà uno scherzo.

Ebe                             - Ah, già: la penale!

Flavio                          - (pronto) E il discredito per quest'atto d'in­disciplina? la difficoltà di trovare un altro capocomico disposto a scritturarla? Dovevate sentir Carneo! io l'ho proprio precipitata in un baratro.

Ebe                             - Carneo?

Flavio '                        - Sì, un atto d'accusa stringentissimo. Dopo di che, per fortuna l'ha presa lui sotto la sua protezione.

Ebe                             - Ma che dite?... che c'entra Riccardo?

Flavio                          - Per rialzarla. Riparerà lui, adesso. (Osservan­dola) E con lui, Sandra potrà stare tranquilla, no? Carneo ha la testa su le spalle.

Ebe                             - (sentendosi osservata) Ah, ecco... Forse è i meglio di tutto...

Flavio                          - E per ultimo, s'è chiarito anche... che io non sono un uomo di teatro. Sandra ha dichiarato che aveva fatto dì tutto, lei, per persuadersi che i miei drammi... e soprattutto le mie idee in fatto di recita­zione... ma... ecco: non la convincono più.

Ebe                             - Capisco... Vi hanno liquidato in tutti i sensi.

Flavio                          - E ne siete contenta?

Ebe                             - E me lo domandate? Ho già ringraziato Dio con tutto il cuore!

Flavio                          - (sottile, scrutandola) Ma Giorgio ora va con Carneo. E per voi, non sarà lo stesso?

Ebe                             - (alzandosi, con insofferenza) Oh, basta! Non è lo stesso! e, in ogni caso, voi non c'entrate!

Flavio                          - (c. s.) Dunque, io vi facevo più paura.

Ebe                             - (risalendo) Voi? accanto a Giorgio, voi mi fa­cevate ribrezzo!

Flavio                          - A torto, però. Ve l'avrei lasciato più libero, io. Sono un po' più largo di spirito, e più disinteressato... Mentre Carneo...

Ebe                             - Carneo farà i patti con me!

Flavio                          - (violento) Carneo è tutto intozzato contro di voi, di dignità offesa: e vedrete che rivincita si prenderà adesso, con l'autorità d'uno ch'entra a mettere a postoogni cosa! ha già sentenziato che se Giorgio è quel ragazzo capriccioso, intrattabile che è; tutta colpa vostra! Ma ora ci penserà lui: farà il padre sul serio: metodo e polso fermo! Ci avete guadagnato questo! E voi, an­date a dargli due schiaffi... povera Ebe!

Ebe                             - Non chiamatemi Ebe!

Flavio                          - (prendendola pei polsi) Ora potreste morire dì gelosia: morire, capite? se non ci fossi qua io, perliberarvi.

Ebe                             - (dibattendosi) Lasciatemi! che altro volete?andate via! lasciatemi.

Flavio                          - (lasciandola) Non posso lasciarvi così! V'ho aspettato apposta tutto questo tempo: tanto mi è parsa bella quella vostra illusione!

Ebe                             - (aggressiva) Cosa?

Flavio                          - Quel vostro impegno « paterno » con Giorgio, cara! Bello... ah, veramente bello: sapete perché? perché è invece tutta un'illusione da donna!

Ebe                             - (con ira, riprendendosi) Che cosa, illusione da donna? Per vostra regola, io, tra voi uomini, ci vivo da un pezzo, e non da donna, ma come uno di voi! e, se il vero compito vostro è di guidare un figlio alla sua vita d'uomo, e dargli posto tra tutti gli altri, e armarlo per la lotta: io, Giorgio, posso guidarlo meglio di tutti gli uomini che ho conosciuto finora!

Flavio                          - Voi? (intenso, rilevato) Voi sapreste gui­darlo... alla morte?

Ebe                             - (stupita di netto) Alla morte? (Dopo un attimo)Che morte?

Flavio                          - (sorridendo) Volevo ben dire! Vi è saltato il cuore in petto alla sola parola. Ma il punto è questo, cara: pensateci su. (La guarda un po', ancora attonita, e s'avvia lentamente al varco. Quando è per uscire) :

Ebe                             - (riscotendosi) Perres! Non credo che vi diver­tiate a tormentarmi... (Ripresa dall'ira) Oh, via, ascoltare uno che non ha più dignità! Andate, andate! Dai deboli come voi, c'è da aspettarsi di tutto!

Flavio                          - (fermo sul varco) Io? Io ho avuto il coraggio,cara, il coraggio di lasciare la vita comoda e il relativorispetto degli altri, che voi scambiate per la mia dignità...un bel giorno, tutto!: per qualche cosa « di più mio »! (D'improvviso, raggiungendola e mettendole in mano una carta che caverà di tasca: sorridendo) Per farvi vedere che debole sono io: ecco: riportate queste mille lire a Carneo.

Ebe                             - Che vuol dire?

Flavio                          - Che ora non ho più un soldo in tasca. E mi sento meglio!

Ebe                             - (con sdegno) Avevate... preso denaro, da lui?

Flavio                          - (con irrisione) Vi par brutto? Risarcimento, cara! mi spettava.

Ebe                             - (con un sorriso offensivo) Già: per il posto di segretario.

Flavio                          - (c. s., e con irritazione crescente) Oh, nobi­lissima creatura, si! per il posto di segretario! E il posto che avevo dovuto lasciar prima, per mettermi con vostra sorella, non lo contate? Ne ho perduti due, di posti! e il primo, quando ci penso...

Ebe                             - (c. s.) Una posizionona, mi figuro...

Flavio                          - (sincero, con rabbioso rimpianto) Scherza­teci! Ero sistemato come un dio! Poche lire al giorno...

Ebe                             - Ah, poche!

Flavio                          - (inviperito) Sì, sì: poche: e dunque niente superfluo! niente pericolo d'altre idee per la testa! E me la cavavo con due ore alla sera! perciò tutto il tempo libero per me! per il mio lavoro! Credete che sia facile trovare un posto simile? Questa, è la rabbia! (Sentendosi osservato, si ricompone) Adesso ce ne torneremo a Mi­lano a piedi.

Ebe                             - Allora fate una sciocchezza a restituire. Questo denaro è vostro, avete ragione: e poi, ha da servirvi per qualche cosa « di più vostro », come avete detto... Tene­telo, Perres...: e scusatemi.

Flavio                          - V'ho anche detto che mi sento meglio, ogni volta che posso fare un atto così: da vero imbecille. Salutatemi tutti. (Fa per andare).

Ebe                             - Perres! Ma non temete?...

Flavio                          - (voltandosi) Cosa?

Ebe                             - Se voi avete una mèta... non temete che il giro che avete preso... vi porterà fuori di strada?

Flavio                          - Avreste già potuto capire che ho così ben radicati in me certi cardini, io, che a qualunque rischio mi metta... bah: mi regalo qualche esperienza in più dello stretto necessario. Non ho niente da temere, io. Mentre voi purtroppo, voi... sì.

Ebe                             - (smarrita, con un'angoscia che tenta di dissimu­lare) Io, oggi, come oggi... sono arrivata a zero peggio di voi. (Una risatina; quindi, e. s.) E che brutte idee mi girano per la testa...

Flavio                          - (atterrito) Ebe!

Ebe                             - Ah, se foste così bravo da... da invogliarmi ad andarmene anch'io a piedi a Milano... insieme, a brac­cetto! (Scoppia a rider forte, convulsa).

Flavio                          - (serio) Non ridete. Si tratta, anche per voi, di ricominciare. Si può sempre. Se pensate a quel che v'ho detto, troverete la direzione.

Ebe                             - (d'un tratto) Vi dico davvero... Mi volete? (Con  una sfacciataggine che subito smuore) Mi... vuoi?

Flavio                          - (serio) No, che non dite davvero.

Ebe                             - (con ira, andando a sedere alla panchina) In­fatti! Credo che dovrei ringraziarvi. E allora lasciatemiin pace! Penserò ai vostri indovinelli: per trovare direzione! (Resta aggruppata, la testa tra le mani. scesa la sera, luminosa. Lontano, e addolcito dalla distanza, s'ode il coro contadinesco sul suono della  fisarmonica. Flavio ha guardato due volte al varco, della sia col desiderio d'andarsene: invece, con un sospiro, vai una seggiola e siede a cavalcioni).

Flavio                          - Cantano ancora, sull'aia...

Ebe                             - (con un sussulto) Oh... v'avevo sentito via... (Flavio non risponde e non la guarda) Allegri tutti, perché una ragazza, che fino a ieri era un fiore, mani... si carica della sua stolta vita di donna, rassegnata,

Flavio                          - (con insofferenza) Zitta: zitta.

Ebe                             - (dopo un po', stupita) E zitti... (Pausa: sempre il canto, e. s. A un tratto Flavio comincia a parlare, pian quasi per sé):

Flavio                          - Io sono stato fanciullo in un giardino,, con mia madre... Aveva tanto della vostra: umile, pieni di timori e di voglie represse, per il bene degli altri credendo sempre di non sapere, di non potere... Coi fiori, sapeva! aveva la passione dei fiori, e m'insegnò a cu­rarli fin da piccino, insieme con lei. E il nostro giardino era uno splendore - non come il vostro in città: con quelle povere aiuole, desolate d'esser così banali! era tutto vivo, tutto ricco del nostro amore! Eppure la mamma - vedova, poveretta - nel vedermi lì con lei sensi guida... tutto preso in quel bel giuoco di fare il giardi­niere... si smarriva, ogni tanto: mi guardava grattandosi la fronte con quelle sue manine, e sospirava: Signore, che ne sto facendo io, di questo ragazzo? La tentazione era forte anche per lei, di lasciar tutto lì: quel nostro paradiso... per provarsi a incamminarmi su una via più giusta: le vie pietrose degli uomini... Ma non ci riu­sciva I S'era messo in testa che per questo bisognava non pensar più al giardino; e tutte le volte che, con tanto sforzo di preparazione segreta, stava per gettarsi a questi sbaragli... impossibile! le cadeva l'animo: vedeva i suoi fiori, che sarebbero intristiti... e ci correva di nuovo, chiamando anche me. (Breve pausa) E così ci salvammo tutt'e due. Lei ebbe fino all'ultimo la consolazione di po­termi tenere tutto per sé, tutto suo come di,diritto per una mamma, senza dovermi « dare agli altri »...

Ebe                             - Dare agli altri?

Flavio                          - Sì, dare agli altri... o guidare alla morte: è lo stesso...

Ebe                             - Ma Perres...

Flavio                          - ...E io ebbi da lei, intero, quel dono che non s'aliena più: quel senso materno della vita... nostra di diritto! nostra per sempre! il dono vero, che lei sola può farci perché l'ha pagato, per noi, col suo rischio e il suo sangue! Questo senso necessario di libertà sicura, questa benedizione che mi ha legato alla terra, io li ho avuti dalla mia mamma: e non sarò mai uno schiavo! E il padre... il padre l'ho ritrovato poi da me, nel mondo degli uomini.

Ebe                             - Nel mondo degli uomini?

Flavio                          - Sì. Si ritrova per forza. Ebe.

Ebe                             - Ma che dite? è assurdo!

Flavio                          - Assurdo, quel che volevate far voi di Giorgio...

Ebe                             - Io? Io ne avrei fatto un uomo: un vero uomo! Se quell'esaltata di Sandra non si fosse cacciata di mezzo, dando peso a un capriccio... a uno stupido capriccio! e m'avesse lasciato fare: tra pochi anni, Giorgio, nelle miemani...

Flavio                          - Ma per carità! ma chi, di noi, ha da essere qualcuno, lo elegge Dio, cara: non lo decide suo padre: lo elegge Dio! E' Lui, il Padre vero, per tutti: vero com'è vera la madre: com'è vera Sandra! mentre un pover uomo di padre quaggiù... ma sì: giusto com'era-vate voi: una specie di facente funzione...

Ebe                             - E con ciò? Benissimo! L'ho pensato sempre anch'io che il padre, se non c'è, può anche essere un altro: e chi ne fa le veci, diventa il vero padre! Tantopiù, dunque!

Flavio                          - Ma non può farlo suo, quel figlio, Ebe! Suo, come volevate voi con Giorgio: da esserne così mortal­mente gelosa!

Ebe                             - Non può farlo suo? come? perché?

Flavio                          - Non deve! non deve!

Ebe                             - Non deve? perché non deve?

Flavio                          - (alzandosi e appressandosi, concitato, rilevatissimo) Ma perché c'è proprio per il contrario! Inten­detelo, finalmente! C'è: per farlo «di tutti», questo figlio: di tutti e del Padre vero: «uno di Dio come tutti »... E' il suo compito! Compito predestinato!: perché se anche il padre se lo facesse « suo », e lo tenesse per sé, come può fare una madre, nessun figlio nostro, tenuto così da due forze, uscirebbe mai dal chiuso della famiglia: nessuno arriverebbe più nella società umana... che resterebbe un deserto d'estranei... non esisterebbero patrie! non consorzio civile né lavoro per la civiltà! un deserto di focolari, gelosi l'uno dell'altro! focolari senza maiun ospite!

Ebe                             - (ansiosissima) Non è vero! non è vero! Io mi sento «tutta» di mio padre! Mi riconosco «tutta» da lui! e l'ho vivo in me, vivo, ancora, coi suoi sentimenti e perfino i gusti, il senso delle cose... Non è vero! Io sono, «sua», «sua»: io sono «sua»! e voi parlate perché non l'avete saputo, che cos'è un padre! un padre «vero»! siete un orfano! e vi siete consolato così, per non disperarvi! (Per ferirlo, aspra) E però, avete adot­tato una mentalità da bastardo! da trovatello!

Flavio                          - (calmo, sorridendo) E voi? verso vostra madre? Ma no, Ebe: guardate meglio in voi stessa. Voi vi dite « sua », e lo sentite come vostro padre « vero »: perché siete stata voi, a farvi sua! e sempre voi, ve lo siete acquistato e appropriato per padre! Ed è tanto bello: un gran titolo di nobiltà spirituale, possedere il proprio padre: quegli che in noi, è prima di noi: da cui discendiamo! Ma dobbiamo esser noi figli, a ricono­scerci suoi! lui no! lui, se volesse tenerci per sé, fermi, stretti, a non respirare fuori delle sue passioni, delle sue convinzioni... se s'ostinasse a pretendere di farci proprio quali ci vuole, e per sé: suoi davvero... ma sarebbe un soperchiatore: uno di quei padri esosi e tirannici, che poi non ottengon nulla: che la soperchieria gli torna sempre vana, col tempo!

Ebe                             - Ma io non dico...

Flavio                          - (subito) Né certo vostro padre era così!

 

Ebe                             - Mio padre? Oh, Dio benedetto...

Flavio                          - Ma lo so! certo! E dunque si rassegnò, come padre, a essere, oh non un Dio creatore che ti plasma a propria immagine e somiglianza!, ma l'anziano... l'uomo per te ; il più "vicino, che ti prende per mano... perché il piccolo uomo che deve arrivare tra gli altri, accolga da te quanto di meglio hai ida dargli: e poi, senza nessuna gelosia! anzi col desiderio che nel figliuolo tuo discen­dano i doni dello spirito quanti più è possibile, da quante più parti potrà giungergli un influsso paterno: da tanti incontri: da tanti altri uomini: che possono ugualmente essergli padri             - (un momento: tutti di Dio come noi... E i più degni, avvicinarglieli: morti da secoli: i creatori... Tutti coloro che a .un certo punto possono fornirgli una rivelazione che poi gli sarà buona alla vita. E perché, Ebe? perché? (Rilevato) Ma perché ci vogliono «tutti», per fare uno di noi: tutti! E così, si compie questo mistero della paternità: opera coordinata dell'in­tero mondo umano su uno spirito in formazione! (Un respiro) Che hai creduto, tu, invece? Ne hai rimpicciolito il senso. Avresti voluto esser sola... unica e sola, dà « padre », come ti sarebbe stato lecito soltanto da madre. Ecco, Ebe, perché vi dicevo che la vostra era un'illusione da donna... (Pausa tenuta. Stanco d'aver tanto parlato, ma esaltato da ciò che ha saputo esprimere, Flavio guarda Ebe con un largo sorriso, aspettandosene un altro di con­senso: ma Ebe è smarrita, pensierosa e combattuta).

Ebe                             - Io però... no... non capisco come si possa...: ilproprio figlio...

Flavio                          - (piano, conclusivo) E dunque sei una madre. Vuoi esser sola pei figli tuoi e tenerteli tutti per te.

Ebe                             - (d'improvviso, insorgendo) Ma che c'entra, gui­darlo alla morte?

Flavio                          - (rannuvolato) Perché parlarne? E' triste...

Ebe                             - Ah no, ora dovete parlarne! se sfuggite a que­sto, non vi crederò in nulla! in nulla!

Flavio                          - (triste) Pensate alla guerra... Pensate che voi non potrete dire, allora: « Su, 'figlio: è l'ora ». E toccadirlo a noi.

Ebe                             - Ah già. La guerra! Voi lo dite: «Su, figli»! Questa è la vostra superiorità: bella! da gloriarvenedavvero!

Flavio                          - Detto da noi, giova.

Ebe                             - Giova? a chi, giova? Ah già: alla patria! al consorzio umano! giova alla civiltà!

Flavio                          - Dà cuore ai figli, Ebe. Mentre se foste voi ad additarci quel limitare, non ci incoraggereste davvero a marciare! respinti dalla vita, ci sentiremmo: esclusi dal focolare e traditi, traditi: col cuore deluso e inaridito proprio nel punto che più dobbiamo averlo ricco per la lotta: ricco' anche del vostro pianto, che più è amaro e più diventa in noi «acro furore di vita! Voi, ci mande­reste soltanto a morire: già senza diritto alla vita: e peri­remmo i primi...

Ebe i                           - E se siete invece voi padri a farlo: allora no? allora 'forse i figli non muoiono più?

Flavio                          - (subito, con forza) Non muoiono più!

Ebe                             - Ma Perres! in nome di Dio, che dite? è as­surdo!

Flavio                          - Non muoiono più, con noi! Ma Ebe, in quel punto è già finita, la vita che ci avete dato voi, quel vostro dono, ricevuto per sempre: non è più così: la vita ormai è un bene da meritare, da pagare coi meriti mo­mento per momento: vita di cui esser degni: vita da uomo, che impone anche di morire... quaggiù!

Ebe                             - (in uno smarrimento rabbioso) Ma perché?... perché, dico? che ragione c'è! la ragione d'arrivare alla guerra!

Flavio                          - Tutti del cielo, non la conosceremmo. E così se fossimo soltanto della terra: oh, allora ci sapremmo ben godere, a ogni modo, questa vita! Ma in questo mondo è così, Ebe: siamo figli di madre e di padre: siamo fra terra e cielo: la pena che ci chiama alla guerra...

Ebe                             - (c. s.) Ah sì, infatti... vi chiama... vi chiama! L'ho visto (con un furore di rimpianto quasi ostile): anche lui: anche mio padre! Non gli toccava: aveva qua il suo posto di responsabilità... ed è voluto andare, come gli altri! E ci ha lasciate sole! anche lui! (Piangendo, aspra) Ed è vero: io, io mie l'ero fatto padre: ma lui... invece di tanta vita che me ne aspettavo, che avrei sa­puto ricambiargli: ecco, ha preferito questo... E che mi ha dato? che padre più è stato per me?

Flavio                          - (commosso) Ah no: perfetto, Ebe! che vi aveva già dato tutto, tutto quel che poteva! e vi ha dato ancora l'ultimo esempio; come s'arriva alla morte! (Rattenendosi, con l'intensità d'uno che grida) Ma insomma, donna! con voi, non si vince, la morte! E no, fra tutte, noi siamo le sole creature che possono vincerla! Noi abbiamo questo da Dio: abbiamo un di là! E mentre voi madri, al cospetto di questo di là, rifugiate in chiesa, sapete pregare più di noi... ma soltanto pregare! e poi, appena fuori di chiesa, toccate la vostra creatura viva e il di là non esiste più: siete tutte della vita, di questa, perché il figlio vostro viva qua, tutta la sua vita, co­munque! « come se non dovesse morire mai»! e il di là è diventato un senso astruso e ostile, da respingere con tutte le forze da cobai che amate... (Rilevato): noi, al­lora, noi padri, noi soli sentiamo la verità che, per sal­varci, bisogna anche saper morire: quando è l'ora! che moriremmo al tutto, cercando vita qua a ogni costo: moriremmo nello spirito! E allora solo, il figlio è no­stro: quando lo guidiamo di là... mostrandogli, mostran­dogli con l'esempio come un uomo ha da andarci! E al­lora la morte è vinta! Dio, Ebe, non è solo da pregare qua fermi in ginocchio: Gli si può andare incontro... C'è, Dio... C'è.

Ebe                             - (acre) Vorrei sapere, se ne siete così sicuro, perché restate a perder tempo qua in mezzo a noi pecca­tori! perché non vi siete fatto prete! predicate così bene!

Flavio                          - Avrei potuto, non è vero? Sì... ma ho avuto una mamma, vi dicevo, che m'ha saputo legare quaggiù... Ebe, date retta a vostra madre e vedrete subito quant'è bella la terra. Bella, Ebe. E poi, non è sempre guerra.

Ebe                             - (indispettita) Non posso soffrire quando fate queste voltate. (Brusca, irata) No: io... ora vedo, l'avver­sione che ho sempre sentita verso di voi...

Flavio                          - Verso di me?

 

Ebe                             - (con esasperazione) Verso voi uomini! Sieil voi, che la fate diventare orribile, la vita! come una» ledizione! come un peccato da scontare!

Flavio                          - (pensieroso) E' stato detto che c'è, un pes­tato, alle origini...

Ebe                             - Oh via!

Flavio                          - (subito, rianimato, leggero) Ma forse è in questo solo mondo, Ebe! Sì! E c'è speranza! Ah, Ebe, altrove si nascerà alla vita più puri: dalla mente stessa di Dio!

Ebe                             - (con inconscia ammirazione) Voi siete un pazzo

Flavio                          - (liberandosi, come in un canto, e quasi a sè stesso) E questo è il mondo dove Dio contempla come una vita nasce da due vite: una è una forza che mi tiene fermo, fermo alla terra con le mie radici, forza buia, mi nutre, e in se mi vuole... l'altra m'innalza e illumina! m'attrae dall'alto cielo: e qua mi fa leggero, come leg­geri su la Terra gli alberi che il Sole chiama!

Ebe                             - (c. s. con un soffio di voce) Perres...

Flavio                          - (estroso, tutto a lei, gestendo e sorridendo) Tanto ci dura il bene della vita quanto in noi vivo il senso della madre... mentre ci chiama di là l'altra voce tanto ci chiama che ci persuade. Ecco l'albero morto! (Improvviso, afferra il tronco dell'albero secco e, dai modo come vi fa scorrer sopra le mani, dà il senso della linfa che ascende e della forza del sole che discende: e l'albero tramanda, come avvivato, un lieve lucore di fosforescenza) Visse finché la Terra tutta amore gli diede cibo nel suo grembo nero, e l'amore del Sole era un respiro su, delle fronde, e incitamento a crescere! Poi, più possente, il Sole tutto lo guadagnò: discese a forza dai rami al tronco: fin nelle radici! lo prende alle radici: e il figlio... è arso. (Lascia l'albero, che si spegne),

Ebe                             - (con tremore) Flavio... sentite: Giorgio... io non penso più a Giorgio... Ma «io », che devo fare?

Flavio                          - (irritato) Che pretendete ancora da me? Ar­matevi da donna! non lasciatevi rubare da vostra sorella.., (Interrompendosi) Chi viene? ( S'è accesa sulla facciata della cascina una luce, che illumina un po' anche il da­vanti della scena: e s'ode dal fondo la voce di)

Camèo                        - Be', be', vado a cercarla io... (Un'altra luce si muove e viene avanti a sbalzi: quella d'una lampadina tascabile ch'egli tiene in mano avanzando).

Ebe                             - (alzandosi di scatto) E' lui... Riccardo. (Risolvendo, e accennando a risalire) Sì... Sì: ora vado a dirgli... come volete voi: sono pronta a essere sua moglie.

Flavio                          - (d'impeto) No! No, Ebe...

Ebe                             - (subito, piena di speranza) Perché no?

Flavio                          - (la guarda intensamente, combattuto: d'un tratto fugge al varco della siepe con un braccio a furia levato e, volgendole un ultimo sguardo, scompare: mentre ella lo richiama).

ìEbe-»                         - (con un grido d'ansia) Flavio!

Flavio                          - (di dentro, allontanandosi) Addio, Ebe!

Ebe                             - (trasognata) Addio, Flavio...

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

La veranda del primo atto, d'inverno. Di là dai vetri, gli alberi spogli. In iscena, i divani e le poltrone rico­perte di fodere di iuta. Presso il proscenio, sulla sinistra, v'è, aggiunto, un rozzo tavolinetto carico di carte e libri in disordine, con una seggiola impagliata.

Giornata grigia e ventosa, poco dopo mezzogiorno.

Al levar della tela è in iscena Flavio, seduto al tavo­linetto. Pensa, scrive e fuma. Veste rozzamente: stivali non lucidati, vecchi, sporchi; una giubba di fustagno e   - (otto un maglione; ma è pieno di salute, vigoroso, abbron­zato in faccia, la barba ricresciuta. Poco dopo spuntano nella terrazza in fondo, diretti alla veranda, Leopoldo ed Elvira. Leopoldo ha l'impermeabile e il cappello in capo, una busta di cuoio sotto il braccio. Elvira, con uno scialletto sulle spalle, gli apre la porta vetrata, l'introduce, e richiude dopo essere entrata anche lei.

Elvira                          - Che ventaccio! Perché passare di qui, poi!

Leopoldo                    - Devo parlare qui, a Ebe: senza farmivedere.

Elvira                          - Ma la signora vi aspetta: prima che arrivil'ingegnere.

Flavio                          - Chi arriva? Buon giorno, dottore.

Leopoldo                    - Buon giorno, Perres. Arriva Carneo: nonlo sapete?

Flavio                          - Ah già. Oggi... (S'alza).

Leopoldo                    - Sarà qui verso le due, in macchina: e ha convocato anche me. (Si sbarazza con calma dell'imper­meabile e del cappello consegnandoli a Elvira).

Flavio                          - E io vado a nascondermi! Incontrarmi in queste umili vesti con l'illustre capocomico...

Leopoldo                    - Mah, avrà altro per la testa, caro: con la Compagnia che gli va in scena fra tre giorni. Riparte subito: deve tornare a Milano avanti sera. Consolatevi, caro Perres.

Flavio                          - Io? di che?

Leopoldo                    - Per Sandra, ci voleva uno come Carneo.

Flavio                          - Perché le ha formato Compagnia? La starovinando!

Leopoldo                    - Ma non lo dite! Una Compagnia di primo ordine, grandi mezzi, un «lancio» clamoroso! Credete pure ch'è la vera spinta per un temperamento come quello di Sandra. Voi, che volevate obbligarla a racco­gliersi, a studiare...

Flavio                          - Le avrei fatto perder tempo! Può darsi,può darsi!

Elvira                          - E allora io... devo avvertire la Ebe chel'aspettate qui?

Leopoldo                    - Ma sì: non ve l'ho detto?

Elvira                          - Mi farete sgridare, che v'ho introdotto nella veranda. Non vuole che si disturbi il signor Flavio,quando scrive.

Leopoldo                    - Non sarà mica il proprietario della ve­randa, il signor Flavio!

Flavio                          - L'usufruttuario, dottore. D'inverno non servea nessuno...

Leopoldo                    - Gli altri anni serviva: suo soggiorno preferito!

Flavio                          - (stupito, confuso}  Ma no! qua? Possibile?

Elvira                          - (per uscire) Signor dottore! La Ebe s'era tanto raccomandata di non farglielo sapere! (Esce).

Leopoldo                    - Sentite, Perres, penso ch'è meglio che voi assistiate al nostro colloquio con Carneo: per Ebe.

Flavio                          - (andando al tavolino) Io? Io sgombro subito, e vi ringrazio d'avermi avvertito! Ebe mi sta mettendo in una situazione davanti a sua madre, sempre piùdifficile!

Leopoldo                    - Per fortuna voi vedete anche le ragionidella signora. E perciò...

Flavio                          - (trasportato) Ma mi tratti come un dome­stico! Ne più né meno! (Mettendosi a radunare carte e libri in un foglio di giornale) Che volete che m'importi? Io qui ho risolto la mia vita: con quel giardino ch'è anche la mia salute! Ho conquistato la libertà, e la di­gnità del mio lavoro: di questo mio, vero, qua: l'unica cosa che mi prema! Oh, e non ho più bisogno di niente! (Fa per avviarsi in fondo col pacco sottobraccio).

Leopoldo                    - Perres! Ebe, oggi, è a rischio di restare senza sua madre. Carneo viene per questo: per indurre la signora a stabilirsi con loro. Per Giorgio, capite?

Flavio                          - Con loro? (Lascia il pacco) Ebe non me ne ha fatto il minimo cenno...

Leopoldo                    - Lo so io solo, da una lettera confidenziale con cui Carneo m'ha avvertito, per avere il mio appoggio. Ma io sono contrario. Ebe non deve restar sola in questomomento!

Flavio                          - Niente da fare, dottore: la signora se ne andrà, perché Ebe la lascerà partire senza quasi accor­gersene...

Leopoldo                    - O peggio: provandone sollievo: per restarpiù libera! (Fissandolo) Non è vero, Perres?

Flavio                          - Più libera... con me? Oh. Sapete che vedo io, invece? che, senza la signora, la mia situazione qui diventa insostenibile: e dovrò andarmene anch'io!

Leopoldo                    - (con sdegno) E' da un pezzo, Perres!: da un pezzo che la vostra situazione qua non regge: il giar­diniere! E' da ridere, caro! Oh, non che voi, da parte vostra non lo facciate sul serio, e non lo sappiate fare! Benissimo, anzi! Ma andiamo, via! quanto deve durare ancora quest'equivoco?

Flavio                          - Già. Dovrei accettare, secondo voi, l'impiego alla «Tessile». Impiegarmi, e poi, con lo stipendiuccio assicurato, far famiglia, eh? Mettermi a posto, in tutto e per tutto! E finire d'esistere!

Leopoldo                    - Ma non dite impiego! E' lavoro da giorna­lista: all'ufficio propaganda; indipendente: senza orario...

Flavio                          - Grazie, grazie. (Staccando) Io non ho bisogno di niente! Una sola cosa vorrei: questa si! che non mi rovistassero tra le mie carte: anche per questo, meglio che me ne stia là nel baracchino: finché potrò. Pronto a far fagotto! (Sollevando altre carte dal tavolino) Io quel manoscritto non lo trovo più!

Leopoldo                    - Vedrete che oggi stesso il manoscritto torna al suo posto...

Flavio                          - Ah, voi dunque sapete! L'ha preso... Ebe? E chi le dà questo diritto?

Leopoldo                    - (esplodendo) Ma l'amore, caro! No? L'amore!

Flavio                          - Incredibile! Voi me ne parlate!

Leopoldo                    - E non scopro nessun segreto! Che serve negarlo a parole? Vi amate tutt'e due e ne siete felici! Oh: diciamo la verità! (Ebe, vestita con una cura più femminile, si mostra da destra mentre Flavio, che non la scorge, ribalte accalorato; turbata si ritira subito, fa­cendo un cenno a Leopoldo, di non svelarla).

Flavio1                        - Io, se l'amo, non l'ho mai detto! So difen­dermi, caro dottore: so che non posso caricarmi d'un"* peso inutile!

Leopoldo                    - Ah; una donna come Ebe, che vi ama: un peso inutile? Come vorrei che vi sentisse!

Flavio                          - (intuendo che Ebe ascolta) E mi senta! Me­glio! Peso inutile, per me: in queste condizioni!

Leopoldo                    - Ma sta a voi, di mutarle, le condizioni materiali!

Flavio                          - Io? me ne guardo bene! Queste, per me, sono ideali!

Leopoldo                    - Ideali, lo credo! perché potete approfit­tarvi del sentimento che Ebe ha per voi, e...

Flavio                          - Gratitudine: reciproca: in cambio del bene che le avevo fatto prima io, aprendole gli occhi!

Leopoldo                    - Ebe l'ha pagato un po' caro, da voi, que­sto benefizio!

Flavio                          - Caro?

Leopoldo                    - r Riducendosi povera: no? E da sciocca! Perché, se fosse rimasta con qualcosa in mano, allora forse ne potrebbe parlare, eh, Perres?

Flavio                          - (stupito) Non capisco che stiate dicendo! (Incattivito) Ma sì: allora se ne potrebbe parlare!

Leopoldo                    - (scoppiando) Evviva la franchezza! Ma siete stato voi, però: voi, a spingerla a dar via l'azienda a quei patti! ricavarne appena di che pagare i debiti! Contro il parere di tutti noi!

Flavio                          - E lei m'è stata riconoscente anche di questo! Si trattava di sgombrare il campo dalle macerie, per raggiungere la sua vera strada!

Leopoldo                    - (con irosa severità, imponendosi) Oh, in­somma; voi non dovevate immischiarvene, Perres! Non sentite l'enormità d'aver determinato così lo stato e la sorte d'una donna, che vi ubbidiva per amore: per cieca fiducia in tutto ciò che decretavate? Assumendovi una tale responsabilità, io pensavo che insieme vi sareste assunto anche l'obbligo di provvedere a lei!

Flavio                          - Ebbene, dottore, sì! sono stato io! ho proprio voluto ridurla povera: io! e sapete perché? per guar­darmi dal bel sentimento che m'avete attribuito: che, ricca, io avrei potuto sposarla, perché ricca!

Leopoldo                    - (gridando, spazientito) Ma se voi non la volete in nessun modo! Perres! Ricca no, per la vostra squisita delicatezza: e povera nemmeno, perché è un peso inutile!

Flavio                          - (gridando anche lui) Sappia aspettare! Una donna: aspetta! impari a esser donna! sappia aspettare! Perché io non debbo rovinare la mia vita, io che, uomo, ho da farmela per la « mia » strada!

Leopoldo                    - Ma allora... se non è che questo! (Cal­mato) Oh, santo Dio: non potevate dirlo subito? Certo, che aspetterà! purché sia un tèrmine ragionevole...

Flavio                          - (duro, preciso) No! Aspettare: senza termini! (Quasi tra se) E forse per nulla! (Mentre Leopoldo fa, sbalordito: «per nulla? ») Sì: per nulla: avete inteso benissimo! Perché io posso anche consumare inutilmente la mia vita, dietro ciò che tento di fare: e sono pronto a perdercela! e lei, se ha proprio bisogno di questo pazzo, metta in giuoco la sua!

Leopoldo                    - (furioso) Bene! bene! Dite, dite tutto! è quel che ci voleva! così almeno se n'esce! Dite tutto! (Verso destra) E tu vieni a sentire!

Flavio                          - (c. s., esaltandosi) E intanto impari a state al suo posto! Impari a non usare dei riguardi a me, che diventano sgarbi verso sua madre: e mi mortificano! e torni a scuola da sua madre: a scuola da sua madre; chepuò insegnarle che è sciocco, prender così un uomo!! provvedendo lei alla strada! Ogni uomo ha qualcosa da difendere, piccola o grande che sia: da difendere: di ciò ch'egli rischia di perdere proprio nel punto che la donna: acquista tutto, col matrimonio. E io non rischierò niente: è chiaro?

Ebe                             - (ch'è già entrata da destra, affannata) Ah Dio mio, Leo: non dovevi parlare, tu! Che bene credi di farmi? Basta; basta, ora! Voglio così anch'io! Basta!

Leopoldo                    - (stupito) Ah, basta... lo dici a me? E an­che tu vuoi così...

Ebe                             - Tu non puoi capire le esigenze d'un artista,

Flavio                          - (urtato, scattando) Ma che artista! L'arte non c'entra! Io sono un uomo! Un uomo che ha qual­cosa da fare! come tutti!

Leopoldo                    - Oh, bravo! Dicevo anch'io che l'arte non c'entra! Io so che tanti artisti hanno moglie e figli e li mantengono col loro lavoro. E se hanno talento, sono perfino ricchi!

Flavio                          - Ma io non ho talento!

Ebe                             - Ma no, Flavio!

Flavio                          - (con foga) Ma se fosse vero, dottore, a | quest'ora mi sarei buttato sui beni della vita: e vi so I dire che pochi saprebbero goderne quanto me! che fame! Allora sì: altro che il posto alla «Tessile»! Mestieri da far quattrini a palate: vendendo non solo l'ingegno, ma tutto: coscienza, dignità; a prezzo! senza scrupoli! se non ho più questo che mi tiene: capace di tutto!

Ebe                             - (a Leopoldo, desolata) Oh, vedi che gli fai dire?

Flavio                          - (seguitando) E per questo mi sono messo qua, nelle condizioni più felici: alla prova! all'impegno: e non posso vedere altro! non posso vedere altro!

Ebe                             - (con un grido) Ecco! e bisogna lasciarlo! libero! Libero! Leo!

Leopoldo                    - Ah sì? (Afferrando la busta di cuoio e traendone un fascio di carte) E allora potevi risparmiarmi la seccatura di procurargli il posto!

Ebe                             - No, Leo, per carità: sta zitto!

Leopoldo                    - (a Flavio) Eccolo il vostro manoscritto! Me l'ha passato lei, perché lo sottoponessi ai signori della «Tessile» in prova delle vostre capacità: e io ho fatto la mia parte: il posto è guadagnato! Aspettano che domani io vi presenti! E voglio vedere che farete; adesso!

Ebe                             - (sospesa, guardando Flavio) Ah, Dio mio...

Flavio                          - (con sprezzo, a Ebe) Voi avete fatto questo?

Ebe                             - Ma io, Flavio...

 

Leopoldo                    - (esasperato) Ah, è troppo! Ora s'indigna! Ma vergognatevi, invece!

Ebe                             - (piangendo) Perché, perché, Leo? Non dovevidirglielo, tu!

Flavio                          - (c. s.) Questa, per me, è la prova che nonposso più restare qui!

Leopoldo                    - E Dio sia lodato! Non perdi nulla, credia me!

Ebe                             - (difendendosi con energia) No! Flavio! Io vi avrei messo davanti questa possibilità... una possibilità effettiva, ma senza premere in alcun senso! Ecco: da esaminarla insieme: da ragionarne serenamente.

Elvira                          - (da destra, in fretta) Permesso? Signor dot­tore: l'ingegnere è arrivato: la signora...

Leopoldo                    - Ah, ci siamo! Vengo subito! E anche tu, Ebe: andiamo! Basta, cara!

Elvira                          - Sì, vogliono anche la Ebe.

Ebe                             - Ma sì! tra un momento: lasciatemi stare! Va tu, intanto: va! (Leopoldo con un'esclamazione e un alto di sdegno esce a destra, seguito da Elvira, che dirà, uscendo: «Poco sta, e piove...». Infatti il cielo s'è oscu­rato, e a quando a quando lampeggia).

Flavio                          - (con un sorriso di compatimento) Oh, po­vera Ebe...

Ebe                             - (offesa, adirata) Sciocco! Io penso a voi: nona me!

Flavio                          - (infuriato) Davvero? a me? (Staccando) Vi­vere non m'interessa, Ebe.

Ebe                             - Se fosse per un bisogno di purezza, non direi nulla. Sareste un santo. Ma voi siete divorato dall'ambizione. E allora vi guardate dalla vita: non per disinteresse: ma per paura. Per paura: perché ne avete paura,

Flavio                          - (agitato) Vi prego: lasciamo questo discorso!

Ebe                             - (con passione) Ma è la vostra tara, Flavio!

Flavio                          - (subito, ironico) La sola tara che vi fa dubitare con tanta angoscia del mio avvenire!

Ebe                             - Oh, voi sapete mascherarla agli altri, Flavio: ma non potete ingannare me! Flavio: tu credi di sal­varti, senza di me: e tu invece sciupi la tua vita e la mia! anche la mia! Senza ragione!

Flavio                          - (aspro) Non siamo due cari fanciulli, noi, per cui l'amore è tutto. Una vita alta e degna vuoi tu, una vita alta e degna voglio io.

Ebe                             - Ma io, la mia, se mi manchi tu...

Flavio                          - (furente, con voce tesa e scandita) Tu sei innamorata d'una simmetria. Sì! La nostra è la storia di due errori: ma con una Provvidenza! Ci ha fatto incon­trare, perché io, con questo mio sentimento così forte e intransigente del mio destino di creare senza conce­dermi vita...

Ebe                             - Che è il tuo errore, Flavio, il tuo errore!

Flavio                          - E lo conosco, ti dico! io potessi risanarti, mostrandoti l'assurdo a cui tendevi!

Ebe                             - Solo tu, potevi! tutti avevano provato a illu­minarmi: e tu solo hai potuto!

Flavio                          - Sotto quelle stelle fredde di morte! E ora tu «lo devi a Dio», d'illuminare me a tua volta! La simmetria perfetta. Bellissimo tema per un dramma.

Ebe                             - (quasi senza voce) Oh, Flavio: davanti a Dio, ti amo... e ti voglio. Io non sono più niente, senza di te non sono più niente: e per te, invece, sono la forza... divincere le piccole cose che ti legano... la fiducia in te stesso, che così spesso t'abbandona! io...

Flavio                          - Lo so. E sei quella che mi garantirebbe presso gli altri: che io non sarò più un estraneo, perduto al mondo, di cui diffidare: con te accanto, Ebe... So tutto! E il tuo grido: che bisogna, bisogna che accetti anch'io la mia parte di vita: i doni più cari della vita: perché soltanto allora non sarò più come un bastardo! quando avrò toccato nella gioia delle mie creature...

Ebe                             - Flavio... per carità, per carità...

Flavio                          - (con un riso lucente) E allora... ah, non sarei soltanto quella forza alta e terribile che li stacca da te e dalla casa e dalla vita... l'ho sempre saputo, io, che mi farò felice nella luce dei loro occhi... e questo riso di vita che ho io nei miei, che felicità sarà nei loro! e come li farò: liberi nel mio spirito! e il calore del mio petto che li rassicura: e la mia voce che dà loro un mondo di verità e di bellezza! La mia casa da fare: viva di me, dove appena io son lieto faccio lieti tutti... E che mi vuoi dire, ancora? Che dura un po' anche la vita, oltre l'opera! e merita, creare anche la vita?

Ebe                             - (offesa e adirata) No! Se non ti fossi stata vicina io, tu, questo, non l'avresti mai sentito! Mai! (Commovendosi) Mai sentito, ch'è vero! E non me ne vuoi dare nessun merito... (di nuovo adirata) perché sei vile: e la vita ti fa paura! sempre per questo sì: e preferisci pestarti il cuore sotto i piedi, piuttosto che... (Flavio l'ha afferrata per un braccio) E' inutile che mi guardi! Per questo, m'hai collocata in alto, nel tuo spi­rito: la Musa ispiratrice... perché non hai coraggio di prenderti nella tua vita una donna! Sì! Lasciami. Mi fai male. (S'è liberata).

Flavio                          - (gelido) Vuoi proprio spingermi a questa prova. Bada. Io la accetto. Ma coi riguardi che debbo a me stesso: io che mi rispetto.

Ebe                             - (smarrita) Non mi parlare così, Flavio: mi fai paura. (Insorgendo di nuovo) Ma è da ridere. Tu rispetti me, me, non te stesso. E' da ridere.

Flavio                          - (triste) Ora vuoi che il mio sangue m'accechi. Ebe, io ancora « non posso » amarti. Non pen­serei più che a te, a darti tutto ciò che meriti: e tu ora, per me, meriti troppo! (Con ira, sopraffacendola) Non che tu mi domanderesti nulla: lo so! ma io, io, non potrei fare altro! e per forza! anche i tuoi figli, tu li vedi felici, li vedi ricchi! Tutta la mia vita per loro! e io... No! No: non puoi essere tu. La troverò.

Ebe                             - Flavio!

Flavio                          - Una donna nella mia vita, sì: ma una che mi darà senza rischi tutto ciò che mi serve. La troverò,sta sicura.

Ebe                             - (con orrore, senza voce) Vattene. Vattene subito.

Flavio                          - (andando a riprender le carte dal tavolino) E anche tu puoi, allo stesso modo... (Rilevato) Gli amori sublimi, credi, sono più da scrivere che da vivere!

Ebe                             - (tutta in rivolta) Va libero, e risparmiati, ri­sparmiati, che sei troppo prezioso! Ma l'avaro non dàtesori, sai?

Flavio                          - (ergendosi) Tu offendi ciò che non intendinemmeno. Sciocca nemica dell'uomo. (Con un grido)Perché non hai saputo aspettare? No: tu ancora non seidegna del tuo destino di donna.

Ebe                             - (come forsennata) Va via! Esci! Ti, scaccio!

 (Flavio, tremante di collera, esce in fondo; mentre en­trano da destra Giustina, vestita per uscire con soprabito e cappellino, Leopoldo e Carneo, entrambi con l'imper­meabile sul braccio e il cappello in mano che deporranno su una poltrona).

Giustina                      - (entrando) Ma Ebe, che fai? T'aspet­tavamo!

Ebe                             - (impetuosa) Eccomi, eccomi! Buon giorno, Carneo, come state? Come sta Sandra? E Giorgio?

Camèo                        - Tutti bene, grazie. Vi avevo avvertita, mi pare, che io ho i minuti contati...

Leopoldo                    - E c'era da prendere una decisione im­portante!

Ebe                             - Eccomi! (Stupita) Ma tu, mamma, perché... perché sei vestita così?

Camèo                        - S'è discusso: vi aspettavamo per sentire an­che il vostro parere!

Ebe                             - (c. s.) Mamma!

Giustina                      - (impacciala) Io... s'è pensato ch'è meglio, che...

Elvira                          - (irrompendo in lacrime da destra, rumorosa) Ma come, signora? Così all'improvviso? Senz'avermi detto nulla? (Le due vecchie s'abbracciano e si tengono strette piangendo. Commosse. Ebe resta a mirare sgo­menta, quasi respinta da quella pena che s'effonde im­petuosa).

Giustina                      - Ah, povera Elvira! che pena! che pena!

Elvira                          - Signora! Portatemi con voi! dopo vent'anni mi lasciate sola? Con voi! con voi!

Giustina                      - Con me? magari! Ma dove? Non avrò più casa, io! E' finita, la casa!

Elvira                          - Non importa dove! Io non vi sarò di peso! non potete lasciarmi così! (Ebe d'un tratto si lancia, gri­dando come forsennata e strappando indietro Elvira.

Ebe                             - Basta! che c'entri tu? Levati! Tu lasci me, mamma! Lasci me! (Agli altri) Che pensata è questa?

Camèo                        - (severo e stupito, sopraffacendola) E' strano che voi la prendiate su codesto tono. S'è pensato anche a voi: d'alleggerirvi d'un peso, ora che disgraziatamente le vostre condizioni sono mutate!

Ebe                             - Non ci pensate. La mamma non se ne dovrà nemmeno accorgere! Io so lavorare! E non ho paura, io, della vita!

Giustina                      - Se credi che sia allegro per me... andar­mene raminga...

Ebe                             - Allora vuoi andartene tu? (Momento di so­spensione) E sta bene.

Giustina                      - (con pena) Tu ti metterai tranquilla... con la mia buona

Elvira                          - (a Elvira, intenerendosi) che ba­derà a tutto come se ci fossi io... (Elvira piange, accen­nando di sì. S'abbracciano) Ah! Vattene, povera vecchia, vattene subito... che mi fai troppa pena!

Elvira                          - (dopo averle bacialo a forza la mano) Ah, si­gnora, io... Oh Dio! Oh Dio! (Esce a destra con le mani sul volto).

Giustina                      - Io te la raccomando, Ebe...

Ebe                             - (con un grido) Ah mamma: tu non hai una parola per me! (Subito dominandosi) Non temere: la terrò con ogni riguardo. (Va a sedere, attristata).

Leopoldo                    - (intervenendo, grave) Ebe, io ero contrario a questa soluzione: per te, appunto... che ora t'accorgi... (Ebe lo fissa come attonita; egli accostandosi) Ma tuamadre, credi, non può fare altrimenti. Riccardo s'è im­pegnato ora con noi a regolare...

Camèo                        - Ma naturalmente, naturalmente: subito! Se la signora consente a riunirsi con noi; che diamine! Non posso mica pretendere che ci trovi in una situazione irre­golare! ho già richiesto le carte!

Leopoldo                    - Per sposare tua sorella... Vedi? E allora anch'io credo che...

Ebe                             - (ironica e offensiva) Per forza! Capisco: se è patto!

Leopoldo                    - Ma Ebe!

Giustina                      - (sdegnata) Ma è una fortuna, per Sandra!

Camèo                        - (esplodendo) Per voi, ero uno con cui nes­suna donna poteva esser generosa! E vostra sorella: Ales­sandra Torriani, mi ama! e mi ama suo figlio Giorgio! tutt'e due appoggiati a questo petto! e ora ci s'appoggerà anche vostra madre! ora che n'ha bisogno, ora che voi l'avete portata alla rovina! Voi non sapete quel che dite, e vi compatisco! (Subito, buon uomo) Ma andiamo, Ebe: volersi male, ormai... Io potrei essere per voi un buon fratello: davvero... (Le tende la mano).

Ebe                             - Sì... sì,

Riccardo.                    - (Gli dà la mano e si alza) Abbi pazienza. (Gli appoggia le mani sulle spalle) Tieni... (Lo bacia sulle guance) E con tutto il cuore, vi auguro a te e a Sandra... e a Giorgio... e a mamma... di star bene insieme, contenti. Scusami. (Volgendosi alla madre, con tenerezza) Ma tu, povera mamma, non ti sacrifichi troppo? (Giustina abbassa il capo e si restringe in se, senza rispondere).

Leopoldo                    - (con impaccio) Ebe, tua madre non si sacrifica. Vedi?... è d'accordo. .

Ebe                             - (vivace) Oh! a voi sembra che nel suo cuore abbia un gran peso, questo bisogno di Giorgio, d'un po' d'assistenza...

Camèo                        - E come no? Le ho detto che Sandra pur­troppo...

Ebe                             - Può badargli poco? Ma per poco che sia, cari, ormai, la madre resta pur sempre Sandra! e mamma non può illudersi! Che andrai a fare? Quello che potrebbe fare una governante!

Camèo                        - Ma sarà come qui, quando Giorgio era con te!

Ebe                             - (ferma) Oh, no, come qui no: e lei lo sa!

Giustina                      - (piangendo) Ecco... Ora t'accorgi di me! La prima volta! Ma io farò quel che posso: sarà sempre meglio di ciò che dovevo sopportare qui con te! E ti dico allora, ti dico che gli avevo scritto io stessa, di venire a togliermi di qui: io stessa, e prima che lui s'impegnasse...

Ebe                             - (stupita dolorosamente) Tu, mamma? prima: con loro?

Leopoldo                    - Aveva la speranza di riuscire con la sua presenza, coi suoi modi, a persuaderli a poco a poco...

Giustina                      - Ecco! Ecco! E Dio m'ha esaudita prima, Dio benedetto: m'ha risparmiato questa vergogna, ha parlato alla coscienza di questo galantuomo! Mentre tu  se vuoi saperlo - tu m'offendevi di più...

Ebe                             - Io? Mamma! Io che vivevo qua solo d'un sentimento? Ah, troppo alto, troppo alto, mamma, perché tu lo potessi comprendere!

Giustina                      - Tu, sì! a vederti perduta dietro quell'uomo: e niente; non poter far niente per trattenerti!Niente! Può stare una madre a questa umiliazione? Ve­dere come l'hai fatto diventare padrone... ah, sciocca! Un disgraziato che non poteva valersene! e allora, come se tu gli volessi proprio levare ogni dignità: anche a lui!

Ebe                             - (stupita) Io? Che dici?

Giustina                      - Dico quello che è! che sei arrivata a farmi sentire perfino pena per quell'uomo, e vergogna per te. Io non comprenderò i sentimenti tanto alti, ma io so bene invece come si comporta in ogni caso una donna che non perde il rispetto di se stessa, degna di fare una famiglia... una donna che vuol dare affidamento! Oh, io non ti servo a niente. Resta sola e vedrai. Ti farà bene, restar sola. (A Carneo) Andiamo, andiamo, caro. Scusami. Tu non devi far tardi. (A Ebe) Il mio vero figliuolo è lui, ora, più di tutt'e due voi: lui, il solo che mi ha saputo rispettare: come sì deve! E tu, Ebe... accompagnami fino alla macchina, e lì... ci sa­ luteremo...

Camèo                        - Ma già a proposito: Perres: io sono venuto anche a prendere Perres: per le prove! non sapete che mettiamo in iscena il suo ultimo lavoro? Dov'è?

Ebe                             - (smorendo a un tratto) Un lavoro... suo? (Con stacco) E lui sapeva già la notizia?

Camèo                        - No, che devo dargliela io. Ditemi dov'è! (Guarda l'orologio) Abbiamo perso il doppio del tempo, amici miei!

Ebe                             - Sandra non mi farà quest'affronto, ora! Io l'ho scacciato! E' nella sua camera che raccoglie la roba!

Giustina                      - Tu l'hai scacciato? Ebe! Dimmi, dimmi. figlia mia!

Camèo                        - (irritato) Ah, sentite! Questo poi non mi riguarda! Una bellezza: l'abbiamo fatto leggere anche a persone dell'ambiente, critici, e tutti, voce unanime.... Ora Sandra ci tiene! (Corre a destra per uscire).

Ebe                             - Lasciami, mamma! (A Carneo) Bada, no! ti proibisco...

Camèo                        - (irritato, sulla soglia) Tu mi proibisci? Io devo portarlo a Milano: e ora, cara mia, ho più paura di Sandra che di te! (Esce, seguito poco dopo da Leopoldo).

Ebe                             - Aveva ragione lui... ragione lui, a non voler pesi inutili. Tra poco, un autore riconosciuto! Ed è molto ridicolo, adesso, pensare che io l'avevo scacciato... (Ride, ma per non piangere. A un tratto, cedendo, in pianto) Mamma... mamma: aiutami tu! non m'abban­donare! (Lampeggia: ogni tanto rumoreggiano tuoni lon­tani: piove a dirotto).

Giustina                      - (levandosi il cappellino e gettandolo via) Io? che dici? io, figlia, mentre tu hai bisogno di me? oh che sciocca! Non ti disperare! Ora vedremo!

Ebe                             - Ma è finita! è finita! Ora ha la sua strada...

Giustina                      - Ma che dici, che finita! Anzi, solo ora può cominciare... (Impaurita) Tuona... è proprio un tem­porale... (Riprendendosi) Solo ora, e proprio perché è un uomo che ha la sua strada! Ma vedi che non capisci nemmeno da dove si principia? Ah che bambina, che bambina sei!

Ebe                             - Mamma, tu credi che ci sia speranza? Oh Dio, è vero: mi sento una sciocca, nient'altro... ma final­mente (cadendole in ginocchio davanti) non m'importapiù di niente, nemmeno di lui: se tu resti con me! Non importa: davvero! mi sento sicura: in qualche modo andrà... Mamma: tienimi con te!

Giustina                      - (carezzandole il capo) Zitta, zitta... non mi fare piangere! Tienimi con te: proprio ora che ti devo aiutare... a lasciarmi! (Subito) Ma per la buona via: e sarà bene. (Timida nel manifestarsi, ma sicurissima in se) E' un uomo d'ingegno... e io spero... anzi credo... che sia anche di cuore... Un po' strano... ma anche tuo padre... (Rivestito del vecchio abito del primo atto, che gli rida la sua fiera aria di signore decaduto, Flavio entra da destra; seguito da Leopoldo. Flavio, tra la gioia e l'angoscia, è in un'incontenibile eccitazione di tutte le sue energie).

Flavio                          - Sì: sì, inginocchiata. E anch'io vi ho posta in alto davanti a me, signora! in alto!

Leopoldo                    - (subito, trionfante) Ebe! non va a Milano: faranno le prove da soli! E vuole che domani io... (Ri­dendo) Camèo è partito su tutte le furie, con quest'acquazzone! Pretendeva che tu stessa ora lo obbligassi ad an­dare!

Flavio                          - (troncando con estrosa insofferenza) Ah, no! Così volete che tocchi terra, io? Badate al mio orgoglio, dottore! La mia gioia è Ebe!

Ebe                             - (in un soffio di voce) Mamma... Flavio...

Leopoldo                    - (subito a Flavio) Ma voi avete molta strada da percorrere: e forse non aveva torto Camèo a...

Flavio                          - (ridente) Io mi fermo: mi radico. (A Ebe) Mandaremo lontana, in giro pel mondo, tanta vita che qua sarebbe di più e c'ingombrerebbe! (A Giustina) Ah, ogni pietra della nostra casa avrà un'anima! (A Leo­poldo) E per fondamenta sotto i piedi, sotto i piedi, la vostra «Tessile»! Sì, sì! (A Ebe) Ora sì, posso: e tu vedi! Ora soltanto: davanti a me stesso! (S’avvia subito in fondo a spalancare la vetrata).

Ebe                             - (alzandosi) Perdonami...

Giustina                      - Ma...

Leopoldo                    - Io, signora Giustina, ho anche l'incarico da lui, di chiedervi...

Flavio                          - (ch'è uscito sotto la pioggia) Ebe! Ecco un uomo di buona volontà!

Ebe                             - (correndo a lui) Flavio! Flavio! (Esce in ter­razza e s'allontana con lui).

Giustina                      - (subito) Ma no: qui, Ebe, dico! e voi signore... (Subito, sorridendo) Oh Dio... sotto la pioggia, Savio: come due matti... Ma già... che gli fa la pioggia?

Leopoldo                    - Ubbidiranno alla vita, anche loro due. E voi, resterete qua, ora..

Giustina                      - Oh, io, adesso, qua o là... (Guardando lontano lieta, fiduciosa e assorta, dopo un sospiro di sol­lievo) Ah, sì. Una mamma, vedete, non vorrebbe mai morire, mai! (Commossa, tra pianto e riso) Ed è una gran cosa, quando si può dire: Dio, ti ringrazio: ora non servo più. Sono tanto, tanto contenta.

FINE