In una casa di campagna

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IN UNA CASA DI CAMPAGNA

Commedia in tre atti

di Stanislaw Ignacy Witkiewicz

Traduzione di Elena Barbaro e Lamberto Trezzini

PERSONAGGI

Il Padre, Dyapanase Nibek          - Proprietario terriero nel Governatorato di Sandomir. Sulla cinquantina. Indossa una veste color tabacco. Porta un bracciale nero di lutto. Capelli scurì già molto ingrigiti. Sbarbato. Baffi.

Sofia e Amelia Nibek                  - Sue figlie:   Sofia,12 anni, bionda. Amelia, 13 anni, bruna. Ve­ stono entrambe di rosa. Sciarpe di color az­ zurro pallido, fiocco nei capelli.

Il Cugino, Jésore Pasiukowski    - Poeta. Bruno, rasato; veste di nero. Ventotto anni.

Aneta Wasiewicz                        - Cugina dei Nibek e di Jésore. Ventisei anni. Professoressa di musi­ca. Capelli castani.

Il Fantasma della Madre             - Anastasia Ni­bek, nata Wasiewicz - Sulla trentina. Bionda, molto graziosa, occhi cupi. Veste in bianco, di stoffe vaporose. Porta in testa una coroncina di margherite. Parla in tono solenne (salvo indicazioni speciali). Incede con un passo che par sfiorare il suolo.

Due Impiegati                             - due giovani sui trentacin­que: Ignazio Kozdron, bruno, dal viso gla­bro. Nel 1° e nel 3° atto porta un vestito color tabacco; di color beige nel 2° atto. Sti­vali. - Giuseppe Maszejko, biondo, col pizzetto. Nel 1° atto porta un vestito grigio da cavallerizzo. Nel 2° e nel 3° atto, un vestito di tela gialla e stivali.

La Cuoca, Ursula Rancif            - Sui 45 anni. Blusa grigia e sottana. Fazzolettone rosso. Massiccia.

Marcel Labouche                        - Sguattero. Sui quindici anni.

L'azione si svolge a Kozlowic, nel Governa­torato di Sandomir - Polonia. 1921.

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

Un salottino nella dimora dei Nibek. Sta scendendo una oscurità grigiastra. Due fine­stre sul fondo. Porte a destra e a sinistra. Fra le finestre: un insieme di mobili rossi piutto­sto usati. A  destra, un tavolino a tre piedi.

SCENA I

Dyapanase Nibek, seduto su un divano da­vanti alla finestra, fuma la pipa. Vicino a lui, su una poltrona, Aneta, in cappellino e tailleur grigi. Tiene una borsetta a sacco.

Aneta                            - Allora, zio, raccontami come è suc­cesso.

Nibek                            - (allegramente). Bene, ti dirò alla buo­na come sono andate le cose. Fai conto che si tratti di un dramma, anzi, dell'inizio di un dramma. (Tira una boccata dalla pipa) Otti­mo tabacco. Be', è andata semplicemente co­sì : mia moglie - tua zia Anastasia - è morta. (Si alza e fa cadere la cenere dalla pipa bat­tendola sulla scarpa) Punto e basta. Capito?! E per piacere, non azzardarti mai più a farmi delle altre domande. (Scuote la pipa contro la tavola ed esce filato da destra. Lo si sente gridare) Sofia! Amelia! Andate subito in sa­lotto a far compagnia a vostra cugina. Aneta è smarrita nei propri pensieri. Pausa.

SCENA II

Entrano Amelia e Sofia. Aneta sussulta, af­franta, poi abbraccia Amelia con il braccio destro. Sofia corre verso destra, e Aneta la stringe col suo braccio sinistro.

Aneta                            - Sono venuta a prendere il posto della vostra mamma. (Con commozione) La vo­stra povera mamma, mia zia. Vi insegnerò a suonare il piano, se non dovrete tornare in collegio. Ho appena finito il conservatorio musicale, meritandomi una medaglia.

Amelia                          -  Per noi fa lo stesso, medaglia o no. E la mamma, non c'è bisogno che nessuno prenda il suo posto, perché noi non la rim­piangiamo affatto così, ma in tutt'altro modo.

Aneta                            - (con tenerezza). In che modo la rim­piangete? Ditemelo. Amelia (ridendo imbarazzata). È meglio che lo dica Sofia, io non so spiegarmi.

Sofia                             - (coraggiosamente). Io, il giorno che hanno seppellito mamma nel cimitero, ho seppellito tutte le mie bambole, vedi, là in giardino. (Indica la finestra) Lei (indica Ame­lia) è già un anno che non gioca più con le bambole, ha tredici anni. Mamma era la più grande e la più bella delle mie bambole. An­che il babbo giocava con lei come se fosse una bambola. Era la bambola di tutti noi. Mamma diceva che dalle nostre parti le si­gnorine a dodici anni smettono di giocare alla bambola. Io ho dodici anni, e la mamma è morta. I becchini hanno seppellito la mia mamma e io ho seppellito le mie bambole. Non domandatemi altro perché non vi dirò più niente.

Amelia                          -  Sì, è la verità. Dalle nostre parti è una cosa ereditaria.

Aneta                            - Come mai non portate il lutto. Per­ché vestite di chiaro?

Sofia                             - È un desiderio della mamma. Lo di­ceva sempre. Fin da un anno fa.

Aneta                            - (alzandosi). Capisco, O' meglio imma­gino. Aspettatemi qui tutte e due. Quando farà buio vi racconterò delle cose molto in­teressanti e strane. Ora debbo uscire. (Esce da destra).

SCENA III

Le ragazzine si siedono: Amelia sul divano, Sofia sulla poltrona a destra.

Amelia                          -  Com'è stupida! Hi! Hi!... Crede che ci racconterà delle cose strane. Figurati!? Io vedo adesso, davanti a me, degli occhi rossi, là, dietro la stufa. Un mostro che striscia e si sfrega tutto contro di me. Si siede sulle tue ginocchia,

Sofia                             - Ho una paura da matti. Sofia, io, proprio niente. Sai che ti dico? Andiamo a giocare col tavolino.

SCENA IV

Il  Cugino, Jésore Pasiukowski, compare sull'uscio senza essere notato dalle sorelline. Guarda la scena.

Amelia                          -  D'accordo. (Si alza e va a prendere il tavolino a tre gambe, lo sistema fra il divano, la tavola grande e la poltrona in cui è seduta Sofia) Ma mi raccomando, non t'im­pressionare.

Sofia                             - D'accordo. Ma tu, non cominciare su­bito a metterti paura.

Amelia                          -  Non è vero! Io non ho paura di niente!

Il Cugino                       - (scivolando silenziosamente fino al centro della stanza). Tu non hai paura che di me, Amelia.

Amelia                          - (che trasalisce e poi si padroneggia). Io non ho paura nemmeno di te, piccolo léso.

Sofia                             - (al Cugino). Vieni ad aiutarci a chia­mare gli spiriti.

Il Cugino                       - Bene, ma a patto che poi mi aiute­ rete a passare la serata. Oggi non andrete a letto tanto presto. Mi sento terribilmente solo, e non ho denaro per partire.

Amelia                          -  Va bene, ma adesso siediti.

Il Cugino si siede sulla poltrona, voltando le spalle al pubblico; sposta il tavolino verso de­stra. Pausa. Il tavolino comincia a muoversi.

SCENA V

Senza rumore, senza un fremito, il Fantasma della Madre entra dalla porta di sinistra e passa a destra senza dir parola. Il tavolino sussulta diverse  volte, e poi si immobilizza.

Amelia                          -  Oh! La mamma è già arrivata! Nessuno si muove. Il Fantasma siede sul di­vano, a sinistra di Amelia, e poi si irrigidisce.

Il Cugino                       - Io ho inteso dire di caverne in cui non si scava né in lungo né in largo, né in avanti né per traverso, ma soltanto dentro la verità: un piccolo pertugio per il quale Iddio tenta invano di tendere la sua mano all'uomo.

Il Fantasma                   - (con voce solenne). Hai ragio­ne, Jéso, cugino mio; ma per qual motivo egli si contenta di provare, anziché farlo ad­dirittura?

Sofia                             - Non far domande di questo genere, mamma; è peccato.

Amelia                          -  Sta' zitta, Sofìa. Lascia che la mam­ma dica tutto quello che vuole. Il Fantasma. Io sono morta di mia volontà. Non mi sono suicidata e nessuno mi ha uc­cisa: volevo morire, e sono morta. Mi è ve­nuto un cancro al fegato. Nessuno di voi lo sapeva, perché celavo accuratamente i miei dolori.

Sofia                             - E tu giocavi con noi e con papà? Il Fantasma. Vivevo il mio martirio.

Il Cugino                       - Ho idea che costei non sia un vero fantasma.  Mia cugina è viva,  forse è soltanto ipnotizzata.

Il Fantasma                   - Non so che dirvi. Non ho opi­nioni in proposito. (Chiude gli occhi).

Sofia                             - Mamma dorme. Guarda,

Amelia                          - 

Il Cugino                       - (si alza, si avvicina al Fantasma e ne solleva una mano). È un caso davvero straordinario. Eppure è un fantasma, un vero fantasma. La sua mano è priva di peso. Ma non potrebbe essere tutta un'illusione? (Si scosta dal Fantasma) Temo che stasera alle dieci mi sentirò terribilmente solo. (Alle ra­gazzine) In nome di Dio, non abbandonatemi, stasera.

Sofia                             - È arrivata una nostra cugina. Ti farà compagnia lei, dopo le dieci. Noi, a quell'ora, saremo già a letto.

Il Cugino                       - Quale cugina? Vuoi dire la piccola Aneta con cui giocavo da piccolo?

Il Fantasma                   - (senza aprire gli occhi). Pro­prio lei. Vedrete che cose orribili succede­ranno. Sono contenta, sono proprio contenta.

Il Cugino                       - (camminando nervosamente su e giù per la stanza). Di cose veramente orri­bili non ne esistono, lo conosco la guerra, la rivoluzione, la morte delle persone care, la tortura. Ma non è nulla. Soltanto la noia è spaventosa: accorgersi che non viene in men­te un solo verso, e tuttavia voler scrivere qual­che cosa; qualche cosa di cui non si ha la minima idea. Come sta succedendo a me, adesso. Ah! Questa, è la vera tortura!

Il Fantasma                   - (aprendo gli occhi e rabbrivi­dendo per tutto il corpo). No, la cosa più ter­ribile è il male fisico, specialmente il cancro al fegato. Ma io non sono poeta, non me ne intendo dei vostri dispiaceri.

Amelia                          -  Come è sciocco, questo Jéso! Hi... Hi... Ormai non mi fa più paura. Quando la mamma è qui con noi, non ho più paura di nessuno.

SCENA VI

Entra da destra la Cuoca, che posa sulla ta­vola una lampada a paralume già accesa.

 

La Cuoca                      - E allora? La signora non si è trovata bene all'altro mondo ed è venuta a trovarci?

Il Fantasma                   - Sì. Ora smettila di seccarmi. Più tardi verrò in cucina.

La Cuoca esce.

SCENA VII

Da destra entra Dyapanase Nibek, con Aneta sottobraccio.

Nibek                            - (indicando il Cugino). Capisci? Co­stui era l'amante di Anastasia. (Verso di lei) Ecco perché l'ho uccisa!

Il Fantasma                   - (senza scuotersi). Non è vero. Il mio amante era Kozdron; e sono morta soltanto per un cancro al fegato.

Nibek                            - (con angoscia). Sempre le stesse men­zogne! Questa disgraziata mente perfino nella tomba!

Il Fantasma                   - (si scuote e perde la sua rigi­dezza per la prima volta). Ah, ah, ah, ah... (Ride).

Il Cugino                       - (al Fantasma). Non ridere così, cugina; forse lo zio Dyapanase ha ragione. Non so più cosa pensare.

Amelia                          - (senza alzarsi). Vergognati, Jéso!

Sofia                             - (senza alzarsi).  Non  mentire  in  quel modo!

Il Fantasma                   - Ah! Ah! Grazie, figliole mie, di aver preso le mie difese. Non gli ho mai voluto bene, a quel Jéso.

Il Cugino                       - (al Fantasma). Ma come, non ti ricordi, l'anno scorso, in primavera? Come puoi aver dimenticato i nostri incontri in giardino? Ti farò ricordare io: erano le cin­que del pomeriggio, i lillà erano tutti in fiore. Ti ho letto una poesia. (Declama) « Vi­so translucido esangue, / maschera di morte solenne! / Ardono, lugubri, i ceri - / qual­cuno recita un'orazione. / O muta angoscia dei fuggiti istanti, / nella deserta casa lo spirito attende. / Perché non siamo mai vi­cini, / ma dopo la morte, soltanto, uniti? / E nulla mai si cambia. / Silenzio spaventoso del cadavere / a riconferma del rimprovero. / Il pensiero, nella sua demenza, / comincia a credere nell'Altro Mondo: / a raffrontare, nella propria impotenza, / gli arresti irrime­diabili... ».

SCENA VIII

Entra  la   Cuoca.

La Cuoca                      - Signor Nibek, il signor Kozdron le chiede se può andare da lui in ufficio. Nibek. Fatelo venire qui. Stavo appunto per mandarlo a cercare. La Cuoca esce.

SCENA IX

Detti, meno la Cuoca.

Il Fantasma                   - Sì, adesso mi ricordo di quella poesia. Ma tutto finì a quel punto. Sì, sarebbe potuto succedere qualche cosa. E invece suc­cesse nulla.

Nibek                            - (con tono ammirativo). È una poesia meravigliosa. Che versi deliziosi! Ma le cose non si fermarono a quel punto, me lo sento.

Il Cugino                       - (furioso). Niente affatto « finì lì »; anzi, tutto cominciò allora. Tutto: la mia felicità e la mia disumana angoscia. Soffrivo terribilmente, ma scrivevo come una mac­china. Dopo la tua morte, più nulla. Neanche più un verso. Come un gran colpo di scopa dentro alla testa. (Si lascia cadere sulla sedia, a destra).

SCENA X

S'odono battere colpi decisi alla porta di de­stra. Kozdron entra senza attendere risposta. Stivali, frustino. Avanza di un passo verso Nibek, a destra vicino ad

Aneta                             - Parla a vo­ce alta.

Kozdron                        - (senza vedere il Fantasma). Buona­sera, signori, signore. (Stringe la mano a Nibek) I prezzi aumentano. Il grano sta cre­scendo. Si va a gonfie vele. (Riprendendosi) Abbiate la compiacenza di presentarmi.

Nibek                            -  Mia cugina, Wasiewicz. Il signor Kozdron, il mio braccio destro.

Il Fantasma                   - Braccio destro; e figura di si­nistra sull'altare dove io troneggiavo.

Il Cugino                       - (sollevandosi). Non è vero! Non è vero!

Kozdron si gira e scorge il Fantasma, che è illuminato solo per metà, e la cui parte supe­riore si perde nella penombra verde del pa­ralume. Kozdron rimane come morto, spalle al pubblico, senza riuscire a pronunciare una parola.

Il Fantasma                   - (alzandosi con solennità). Oh, non mi rinnegare, Ignazio! Ero tua e sono ancora tua, qualsiasi cosa...

Nibek                            -  Ah, ah, ah!... Cominciamo bene. Ve­dremo chi dei due l'avrà vinta.

Kozdron                        - (d'improvviso si contorce, come se fosse preso da uno spaventoso mal di ven­tre, e cade sulle ginocchia, spalle al pubblico). Ah! Ah! Ah!... Ma è orribile! Che significa tutto questo? La defunta è qui! Ah! Ah! Mi sento morire. (Si copre il viso con le mani e rimane in ginocchio).

Nibek                            -  Ah, ah, ah!... Hai visto? Ti rinnega, Anastasia.

Kozdron                        - (sempre in ginocchio, il viso fra le mani). Ho paura. Portatela via. È morta. Non voglio più aprire gli occhi. Non voglio più vedere nulla. Chi siete voi, tutti voi? Oh, mio Dio! Non voglio più aprire gli oc­chi! Oh, potessi diventare cieco! (Si abbassa e si rialza come se facesse delle genuflessioni).

Il Fantasma                   - È sempre stato un gran vi­gliacco, ma è così che lo amavo. (Rimane immobile).

Il Cugino                       - Tu amavi soltanto me, Anastasia. Io non scriverò mai più nulla.

SCENA XI

Entra la Cuoca.

La Cuoca                      - Signor Nibek, il signor Maszejko le chiede di venire subito in ufficio. Dice che stamattina tutte le cagne della fattoria si sono prese il cimurro.

Nibek                            -  Ditegli di venire qui.

La Cuoca esce.

SCENA XII

Sulla porta la Cuoca si scontra con Maszejko che sta irrompendo.

Maszejko                       - Signor Nibek, le cagne hanno preso tutte il cimurro. Sono disperato. Cosa facciamo?

Nibek                            -  Le faremo guarire, signor

Maszejko                       - Voi siete un gran brav'uomo. Tranquillizza­tevi.

 

Il Cugino                       - (calmo). Zio, avreste potuto pre­sentarmi a questa signora. Mi sembra di ca­pire che siamo parenti.

Nibek                            -  Il signor Jésore Pasiukowski, mio ni­pote, poeta. La signorina Aneta Wasiewicz.

Il Cugino prende Aneta per la mano e la guarda negli occhi con espressione intenta. Maszejko, che si è voltato al suono della voce del Cugino ed ha scorto il Fantasma, corre verso quest'ultimo con evidente umiltà. Koz­dron è ancora immobile, gli occhi chiusi.

Maszejko                       - (al Fantasma). Ah! Chi vedo! La nostra signora! Buona sera, buona sera. Al­lora, come va la salute?

Il Fantasma                   - (con gesto regale, gli porge la mano da baciare). Buonasera,

Maszejko                       - Ti ringrazio. Tutto va bene, dacché sono un fantasma.

Maszejko le bacia la mano con rispetto. Il Fantasma passa a sinistra camminando con il passo altero di un fantasma che si rispetti. Maszejko la segue saltellando.

Nibek                            - (indicando Kozdron). Guardate cosa combina questo idiota.

Il Fantasma                   - (vicino al Cugino e ad Aneta, a sinistra). È così che l'amavo, ed è così che l'amo.

Maszejko                       - La nostra signora vuol scherzare. Vedo con piacere che tutti sono di buon umore. (Si frega le mani) Già, non è altro che un semplice attacco di epilessia, niente di grave.

Il Fantasma                   - (a Maszejko). Ma certo, siamo proprio di buon umore. Non è vero, Dyapa-nase? Voi mi combinavate gli appuntamenti con lui, signor

Maszejko                       - (Maszejko è tur­bato).

Kozdron                        - Taci, mi fai diventare pazzo. Io credevo che fosse morta. Non voglio più ve­der nulla, non voglio sentire nulla. (Si tappa gli orecchi con i pollici e gli occhi con le altre dita).

Nibek                            -  Signor Maszejko, voi e mia moglie siete le due persone più robuste della casa. Tiratelo su e portatelo nel mio ufficio. Forse tornerà in sé.

Il Cugino                       - Non permetterò assolutamente che lei tocchi questo schifo. Me ne occupo io da solo.

Il Fantasma                   - Neanche per sogno, cugino. (Designando Aneta) A te affido la tutela di una vergine. Afferratelo, signor Maszejko.

Afferrano Kozdron, lei per i piedi, lui per la testa, lo raddrizzano a fatica, lo traspor­tano verso la destra ed escono.

SCENA XIII

Detti, meno il Fantasma, Maszejko e Koz­dron.

Il Cugino                       - Che iniquità!

Aneta                            - Andiamo, cugino, calmati. Questa è la volontà della defunta.

Nibek                            -  Sissignore, la volontà della mia de­funta sposa è sacra, in questa casa. Eppure, non crederò mai che lei abbia avuto un'av­ventura con Kozdron.

Il Cugino                       - (prendendolo per un braccio). Grazie,  zio.  Ti sono riconoscente.

SCENA XIV

Il Fantasma entra da destra con incedere solenne.

Nibek                            -  Da dove sei passata?

 

Il Fantasma                   - (solennemente). Per il corri­doio della rimessa e la nostra camera da letto, Dyapanase.

Nibek                            - (spaventato). Come!? Ma se la porta è chiusa.

Il Fantasma                   - Che c'è di strano? Volevo sa­lutare le bambine.

Nibek                            -  Ah!... È incredibile... (Fila via per la sinistra).

Amelia                          - (alzandosi). Ero così triste, pensavo che tu ci avessi dimenticate.

Il Fantasma si avvicina alle ragazzine e le bacia sui capelli, mentre esse le baciano le mani.

Il Fantasma                   - Come potete pensare una cosa simile?

Amelia                          -  Rimani a cena, mamma. Il signor Kozdron è così buffo quando tu lo spa­venti.

Sofia                             - Resta, mamma. Ci divertiremo tanto!

Il Fantasma                   - No, bambine mie. Sono stan­ca. Verrò a giocare con voi domattina. Ades­so debbo andare in cucina.

Le bacia ancora una volta. Il Cugino, che finora teneva Aneta per un braccio, la attira verso destra, sotto la luce della lampada.

Il Cugino                       - Avvicinati, che ti possa guardare bene, cugina.

Aneta                            - Certo, mio bel cugino, guardami pu­re quanto ti piace.

Il Fantasma                   - Sì, guardala bene, léso. Ab­bine cura e amala di un amore senza limiti. Forse lei potrà ridarti l'ispirazione. (Passa solennemente a destra e sparisce per la porta).

SCENA XV

Le ragazzine si stiracchiano e sbadigliano. Nibek fa irruzione dalla destra.

Nibek                            -  È incredibile! È passata attraverso la porta chiusa. Cosa ne dite, bambine?

Amelia                          -  Niente. Siamo un po' stanche. Nibek le accarezza i capelli.

SCENA XVI

Entra la Cuoca.

La Cuoca                      - La cena è pronta.

Aneta                            - Ah! Finalmente! Non è venuto in mente a nessuno, in questa casa, che arrivavo da un viaggio. Non mi avete offerto nem­meno una tazza di tè!

Nibek                            - (gettandosi verso di lei). Cugina mia, perdonami! Ma adesso andiamo a rimpinzarci come lupi. (La prende per un braccio e la conduce verso la porta di destra. Escono).

Amelia                          - (passando a destra, verso il Cugino). Oggi è meglio che non ci fai giocare. Siamo già così stanche. Potresti giocare con Aneta, questa sera.

Il Cugino                       - (come preso dal delirio). Non so ancora nulla. Non posso dir nulla. Se oggi non scrivo una poesia, giuro che divento matto.

Sofia                             - (carezzevole). Il mio Jéso scriverà. Adesso andiamo a mangiare, poi vedrai che ti metterai a scrivere. Vieni. (Lo attira verso la porta).

Il Cugino                       - Vorrei tanto crederti, bambina mia! (Escono).

Amelia                          -  Quanto è stupido, questo léso, hi... hi...  (Esce).

ATTO SECONDO

Il giardino davanti alla dimora a Kozlowic. Alberi rosso e oro. A destra, un frutteto i cui alberi hanno il tronco imbiancato a calce. Un sentiero largo un paio di metri, dapprima perpendicolare al proscenio, piega poi verso destra, contornando alcuni cespugli in fiore. A destra, qualche grande albero, alla cui om­bra -  quasi al centro della scena - è appa­recchiata una tavola: burro, miele, formaggio, frutta, panini. È l'indomani del primo atto: una bella mattinata di settembre. Sono le nove. A una cinquantina di passi, sul fondo, si scorge la casa fra gli alberi.

SCENA I

A tavola, faccia al pubblico, Sofia e Amelia Sono vestite di bianco e stanno guardando un libro illustrato. La Cuoca, che ha appena portato dei bricchi fumanti di caffè e di latte, riempie le tazze con l'aiuto di un mestolo.

La Cuoca                      - Mangiate, bimbe mie. Non aspet­tate vostro padre, è nell'ufficio col signor

Kozdron                        - E quella signorina che è arrivata ieri, lei si sta mettendo delle creme sulla faccia e chissà cosa altro. Si vede che ha delle abitudini da gran signora.

Sofia                             - Ursula, ti prego, non dire stupidag­gini.

La Cuoca                      - Sofia, se non ti comporti bene, il padrone ti obbligherà di nuovo a baciarmi la mano, come prima che morisse la signora. Sofia   (quasi  piangendo).   Va'   via!   Vattene subito via! Hai capito?!

La Cuoca si allontana, minacciando col dito.

Amelia                          - (abbracciando la sorella). Ursula, lasciaci tranquille. Sofia oggi è molto nervosa.

 

La Cuoca                      - (fermandosi). Oh! So benissimo che scherzi fanno i nervi alla gente. Nervi, nervi... Ma è roba da vecchi, non da ragazzine  come  voi!

SCENA II

La Cuoca si allontana verso destra e incro­cia il Cugino. Quest'ultimo non si è rasato, ha gli occhi cerchiati e l'aria di un cadavere.

Il Cugino                       - Un momento! Mi sembra che stia per succedere qualche cosa. Può darsi che mi rimetta a scrivere. (Si siede a tavola, a destra).

Amelia                          -  Vuoi un po' di caffè?

Il Cugino                       - Versalo pure, forse lo berrò. Però non mi disturbare. (Trae di tasca una ma­tita e alcuni fogli, poi comincia a scrivere facendo smorfie orribili. Si ferma, riflette, si rimette a scrivere, ecc.).

Amelia versa il caffè e ride fragorosamente.

Sofia                             - Lascialo stare,

Amelia                          -  Non distur­barlo, deve scrivere.

Il Cugino prende il caffè, che beve lenta­mente, mangiando una mela. Continua a scrivere. Pausa.

Amelia                          - (triste). Domani torneremo in col­legio,

Sofia                             - Che tristezza, dover lasciare tutto. S. I. Witkiewicz, disegno a matita e inchiostro del 1932: « Baltaras Kor-bowa si sposa sopra la strada, la foresta nera gli rispose col solito silenzio

 

Sofia                             - Ho una strana sensazione, come se non dovessimo lasciare questa casa e non tornare in collegio mai più.

Il Cugino                       - Zitte, ragazze. Di queste cose parleremo dopo. Adesso, lasciatemi finire. (Scrive furiosamente).

SCENA III

Da destra arriva Nibek a braccetto di Koz­dron.

Nibek                            -  Andiamo, andiamo, signor Kozdron, tranquillizzatevi una buona volta. Siamo fra gente a modo. Lasciamo perdere questa fac­cenda. Che lei esista o non esista, che sia viva o sia morta, che si tratti di un'illusione o no, qualunque cosa sia, dovete sentirvi fra noi come in famiglia. (Dà un colpetto a Koz­dron su una spalla).

Kozdron                        - (con aria molto perplessa). Io, signor Nibek, preferirei essere morto piutto­sto che vedere una cosa simile. Il sole splen­de, è una bella giornata, eppure ho l'impres­sione che tutto sia coperto da un velo nero, come se avessi un velo nero davanti agli oc­chi. Oh, se potessi almeno smettere di pen­sarci.

Nibek                            -  Vediamo un po', mio buon amico. Guardate: ecco le mie due figliole, ecco mio cugino che sta scrivendo, al lavoro fin da stamattina...

Il Cugino                       - (rialzandosi a metà, senza smet­tere di scrivere). Io... Non vi dico buongior­no... Ancora un momento... Sto per finire...

Nibek                            -  Ma noi non ci formalizziamo affatto. Sappiamo cosa significa l'ispirazione. Amelia, servi il caffè al signor

Kozdron                        - Dite buon­giorno, bambine.

Le ragazzine salutano. Amelia serve il caffè al padre e a Kozdron. Nibek e Kozdron so­no seduti sulla panca a sinistra, sotto un grande tiglio. Kozdron è il più vicino al proscenio.

Kozdron                        - (con sollievo). Ah, mi sembra che mi stia passando. Sapete, ricomincio a star meglio.

Nibek                            -  Ma certo. Ve lo ripeto: anche se è andata così, anche se - mi capite, vero? -non mi sembravate proprio a posto, ormai il passato è passato. L'ho ammazzata e ades­so siamo liberi.

Kozdron                        - In nome del cielo, non dite altro! Ricomincio ad avere la testa confusa. Ah, ah, ah!

Nibek                            - (alzandosi bruscamente). Insomma, bisogna proprio trattarvi come una fem­minuccia isterica. (Urla) Bevi immediatamente il caffè o ti spacco il cranio, razza di pappa molla. Silenzio! Taci! E smettila di pensare! (Si calma, mentre le ragazzine sghignazzano) Dovete abituarvi, uhm!... all'idea che, uhm... che se tutto questo è successo, vedete?... voi dovete abituarvi all'idea, vivere normalmente. Da Kozlowic non vi lascio andar via, met-tetevelo bene in testa. Senza di voi mi sento come se mi mancasse un braccio, mi sento senza testa: ho perduto la testa, capite? (Ride). Kozdron, tremante, beve il caffè, rovescian­done sulla tovaglia e sugli abiti. Mangia un panino, ficcandoselo brutalmente fino in fondo alla gola.

Kozdron                        - (con la bocca piena). Mi sforzerò, signor Nibek, mi sforzerò. Ma adattarmi d'un colpo a questa idea... Non ci riesco. (Quasi piagnucolando) E dato che non ci riesco...

Il Cugino                       - (alzandosi). Ma, signori, potreste pur prendere in considerazione che sto scri­vendo! Per la prima volta da mesi... Ma già. a voi non importa niente. Si dirige verso destra e incontra Aneta Wa-siewicz che, tutta vestita di bianco, fresca e graziosa, si dirige verso la tavola. Nibek incoraggia garbatamente Kozdron a bere. Le ragazzine si immergono nuovamente nei loro  libri.

SCENA IV

Detti, più Aneta.

Aneta                            - Buongiorno a tutti.

Il Cugino                       - Buongiorno, cugina. Scusami, fra poco avrò finito. Ho ricominciato a scrivere.

(Fila verso destra, si sdraia sull'erba, scrive febbrilmente e corregge, agitando le gambe). Aneta si avvicina alla tavola.

Nibek                            -  Guardate Aneta, come è splendida stamattina. Flirtate un po' con lei. Noi in­tanto ce ne andiamo in ufficio. Kozdron saluta Aneta, che si avvicina alle ragazzine e le bacia sui capelli, quindi ri­mane dietro di loro.

Nibek                            -  Aneta, caffè?

Aneta                            - No, grazie, zio. Non ho tempo per flirtare col signor Kozdron, e in quanto al caffè, l'ho già preso a letto. Bambine, an­diamo alla lezione. Mi sono già messa d'ac­cordo con vostro padre perché non ritor­niate in collegio quest'inverno. Io rimango qui e vi insegnerò tutto quello che vorrete.

Nibek                            -  Già, è vero. Me ne ero completa­mente dimenticato. Volevo dirvelo io stesso, bimbe mie.

Sofia                             - Oh, grazie, papà. Vedi, Amelia? Te lo avevo detto. Tutto si avvera, come nel sogno.

 

Amelia                          -  Che felicità, babbino! (Baciano le mani al padre e corrono a raggiungere Aneta) Ti vorremo bene come alla mamma, Aneta, e forse anche di più!

Aneta                            - (passando vicina al Cugino). Poi mi leggerai  i tuoi versi, vero,  cugino?

Il Cugino                       - (senza alzarsi). Bene. Ma non so ancora se ne verrò a capo. Ho ancora qual­che verso che non mi viene. Aneta e le  bambine escono.

SCENA V

Detti, meno Aneta e le bambine. Un mo­mento più tardi si odono degli esercizi al piano: la «Scuola della velocità » di Czerny.

Nibek                            -  Non è commovente? Non vi sem­brano angeli? Che donne meravigliose di­venteranno. Bisognerà che io lavori come un negro per dar loro tutto ciò che si meritano. Scommetto che non vi sono altre due bam­bine come loro in tutta la regione. Ma che dico?! Non c'è niente di simile da qui a Varsavia. Due piccole anime pure rinchiuse nelle brume eteree, signor

Kozdron                        - Certe volte mi meraviglio che mangino, bevano, dormano e si sveglino come tutti gli esseri umani. Sofìa è un elfo, e Amelia sembra una silfide. Ebbene, rispondete, signor Kozdron.

Kozdron                        - (servendosi nervosamente di caffè). Due   bambine  deliziose,   l'ho   sempre   detto.

Nibek                            -  E chi me le ha messe al mondo? Ana­stasia, signor Kozdron, Anastasia! In loro dobbiamo onorare l'anima e anche il corpo della nostra cara defunta. Capite? E non farci prendere da una crisi isterica per la prima stupidaggine che succede. (Si sentono ancora gli esercizi al piano).

Kozdron                        - E voi ricominciate! Avevo appena ritrovato il mio equilibrio, e voi ricominciate! Ma voi sospettate di me per davvero?

Nibek                            -  Io non sospetto di niente e di nes­suno. Ma ammettetelo: non è forse possi­bile? Non è forse vero che la mia defunta moglie aveva due amanti? Uno, in tempi passati; l'altro, adesso. (Con un'improvvisa inquietudine) Ma, ditemi: Sofia, è vera­mente mia figlia? Ha due occhi così diffe­renti dai nostri, da quelli di Anastasia e dai miei. Sofia nei suoi occhi ha quegli stessi stupidi riflessi violacei che avete voi. E lo stesso sorriso idiota.

Kozdron                        - (alzandosi). Voi mi insultate! State oltrepassando ogni limite!

Nibek                            - (respingendolo brutalmente a sedere). Signor Kozdron, ricordatevi che, senza di voi, io non sono niente. La sorte delle mie figlie è nelle vostre mani. (Con un'improv­visa inquietudine) Forse avete del denaro da parte? Forse volete per davvero... Oh! Mio Dio... Chi diavolo vi obbliga a re­stare qui in questa maledetta Kozlowic? Po­treste andarvene in qualsiasi momento, e invece restate piantato qui come un fungo. E forse vi moltiplicate qui proprio come i funghi dopo la pioggia. Signor Kozdron, ve ne scongiuro...

Kozdron                        - (solennemente). Vi do la mia più sacra parola d'onore che non è vero. Ma ora, vorrei cambiare di impiego.

Nibek                            - (buttandosi in ginocchio). Ve ne sup­plico! Farò tutto quello che vorrete. Mi pro­curerò delle amicizie altolocate... Le mie figlie sposeranno dei conti, dei principi... Farò di voi un uomo di gran classe: ma non abbandonatemi ora.

 A destra appare il Fantasma, che cammina lentamente sul sentiero. Una leggera nuvola annebbia la luce del sole, che si attenua.

Kozdron                        - Bene. Lo farò per un riguardo a voi. Talvolta sento di amarvi come un padre. (Bacia Nibek sulla fronte).

SCENA VI

Detti, più

Il Fantasma                   - Il Cugino è talmente impegnato a scrivere, che non si accorge dell'arrivo del Fantasma.

Il Fantasma                   - (avvicinandosi alla tavola). Vo­luttà suprema: vedere il marito e l'amante in perfetto accordo. Da viva non mi era mai successo.

I due uomini si separano bruscamente e la guardano.

Kozdron                        - Ah! Ah! Ah!... (S'appoggia all'al­bero con la mano destra).

Nibek                            - (urlando). Silenzio, o ti ammazzo come un cane. (Tira fuori una rivoltella e l'agita minacciosamente sotto il naso di Koz­dron) Un'altra parola e ti schiaccio come un insetto!

Kozdron si padroneggia con uno sforzo so­vrumano e si irrigidisce, la faccia sconvolta. Il Cugino guarda la scena con la coda del­l'occhio e scrive le ultime frasi.

Nibek                            -  E va bene!... Anastasia, vuoi pren­dere il caffè con noi, il buon caffè del mat­tino, con una tartina al burro e miele? O preferisci il formaggio? Ursula ha appena scovato una capra straordinaria.

Il Fantasma                   - Bene, Dyapanase. Prenderò il caffè con voi. (Siede a fianco delle bambine, rigida   e   immobile).

Nibek                            -  Vuoi della vodka? È tanto tempo che non prendiamo più insieme la vodka, il mattino di festa. Ti ricordi?... Ci farà bene...

Il Fantasma                   - Sì, mi ricordo. Prendi la vodka. Quella di ciliegie che faccio io in primavera.

Nibek                            -  Perfetto. (Parte di corsa verso la casa, facendo balzi da giovanotto).

SCENA VII

Detti, meno Nibek

Il Fantasma                   - (a Kozdron). Intanto, dammi un po' di caffè, caro Ignazio. E smettila di aver paura. Anche da fantasma, io sono diversa dalle altre. Sono un fantasma che mangia e beve. Bevo perfino la vodka, mio povero  Ignazio.

Kozdron, fino a quel momento immobile, freme con tutto il corpo, e, come ipnotiz­zato, serve il caffè al Fantasma. Il sole torna a rischiarare il paesaggio. Il Cugino butta via matita e fogli, si rotola nell'erba, e poi, sdraiato sul dorso, le mani sotto la testa,   guarda   il  cielo  azzurro.

Kozdron                        - Ecco. Bevi, Anastasia. Forse, ve­dendoti bere, mi farò una ragione.

Il Fantasma                   - (bevendo il caffè a piccoli sorsi). Vedo che stai facendo qualche progresso. Ieri, ti sei discreditato in modo vergognoso.

Kozdron                        - Perdonami, Anastasia, ma non sa­pevo assolutamente che cosa pensare. Oggi - a partire da questo momento - sono de­ciso  a   tutto.

Il Fantasma                   - Allora, non mi rinnegherai più davanti a lui?

Kozdron                        - (deciso). Non parlare così. Sol­tanto un sottilissimo velo mi separa dalla più terribile delle paure. Se si rompe, di­vento pazzo. Per amor di Dio, non spaventarmi più. (Le afferra la mano destra) Oh, come è leggera la tua mano. Non pesa più nulla. Oh, oh, ho di nuovo paura.

Il Fantasma                   - (prende la sua tazza con la mano sinistra e beve). Calmati. Vedi che bevo il mio caffè.

Kozdron                        - (padroneggiandosi). Bene, sarò cal­mo. Qualunque cosa avvenga. Ma dimmi: Sofia, è figlia di Nibek o è mia? Tutto si confonde nel mio cervello, non riesco più a capire che cosa sìa successo prima e che cosa dopo.

Il Fantasma                   - (con un sorriso). Povero Igna­zio, non ti inquietare. Sofìa è figlia di Dyapanase. Ti do la mia parola di fantasma. Non ti basta? Ho tutte le date scritte nel mio diario. Non hai ancora letto il mio diario?

Kozdron                        - Avevo paura a metterci le mani.

Il Fantasma                   - Ebbene, leggilo, e fallo poi vedere a Dyapanase. Dovete conoscere en­ trambi la verità.

Kozdron                        - Te l'ho chiesto, di Sofia, perché lui ha fatto delle allusioni, poco fa, sugli occhi azzurri della bambina e su una certa somiglianza nel sorridere. E a parte questo, te lo debbo confessare: sento un grande at­ taccamento per Sofìa.

Il Fantasma                   - Puoi continuare a volerle bene con la coscienza tranquilla. Gli occhi violetti le vengono da mia madre. Nibek non lo sa. Calmati, Ignazio, porgimi la fronte, lascia che ti baci. Sei sempre stato vile e ripugnante, ma anche questo mi piaceva in te.

Kozdron si china, il Fantasma lo bacia sui capelli.

SCENA VIII

Entra Nibek, con una bottiglia nella mano destra e quattro bicchierini tenuti fra le dita della sinistra.

Nibek                            - (fermandosi nello scorgere la scena). Ecco un'altra novità. Avevi ragione tu, Anastasia.

Il Fantasma                   - (scostando Kozdron). Certo, mio caro Dyapanase. Lo stavo dicendo pro­ prio adesso a Ignazio: i fantasmi non men­ tono mai. Ero la sua amante.

Kozdron                        - Sì, signor

Nibek                            -  Ho sedotto vo­stra moglie. Lo confesso. (Incrocia le mani sul petto).

Nibek si dirige alla tavola con passo pesante, vi posa la bottiglia e rovescia i bicchierini in mucchio. Nella casa gli esercizi al piano sono cessati, e qualcuno, certamente Anela, esegue una sonata di Schmidt.

Nibek                            - (respirando pesantemente). E Sofia? Rispondete, traditori!

Il Fantasma                   - Sofia è figlia tua, Dyapanase. Te lo giuro, quanto è vero che sono un fantasma. Qualche giorno prima di morire ho lasciato il mio diario a Ignazio; ma que­sto buono a nulla non ha ancora trovato il coraggio di leggerlo. Piuttosto, leggetelo in­sieme, e tutto si chiarirà. Finché ero viva, mentivo spudoratamente, te lo confesso; ma da fantasma, no. I fantasmi hanno un loro codice d'onore, perfino i fantasmi di donna. Quel codice d'onore che manca ai vivi. Sofia ha preso gli occhi azzurri da sua nonna, mia madre nata Depivierge.

Il Cugino sì sveglia e si stiracchia sull'erba.

Nibek                            - (con sollievo). Se Sofia è veramente mia figlia, vi perdono tutto. Ti perdono di avermi tradito per tanto tempo con questo povero disgraziato di Kozdron.

 

Il Cugino                       - (rialzandosi). Ma come! Osa an­cora sostenere di non essere stata la mia amante? Rinnega me, un artista, per un vol-garissimo Kozdron, un miserabile dipenden­te! E pensare che è per te che ho creato tutto ciò che ha un qualche valore. Non mentire più, Anastasia. Non mentire in fac­cia alla morte. Io ti ammazzo, se menti ancora!

Nibek e Kozdron osservano la scena stupe­fatti. Infine Nibek afferra nervosamente la bottiglia, sì versa un bicchiere e lo vuota. Poi serve Kozdron che beve d'un fiato, quindi si risiede e beve ancora.

Il Fantasma                   - Tu dimentichi, cugino mio, che sono un fantasma e che la morte, per me, ha lo stesso senso che il venire al mondo per voi. Non si può morire che una sola volta, ahimè!... Se lo dico io, ci puoi cre­dere. (A Nibek) Da' un po' di vodka anche a me, Dyapanase.

Nibek l'accontenta macchinalmente.

Il Cugino                       - Basta con questa filosofìa da stra­pazzo. Tu rappresenti la tragedia della mia esistenza, e non permetterò che si scherzi su ciò che mi è costato la perdita quasi de­finitiva del mio genio creativo. Se non fosse per questo poema che oggi ho partorito con tanta fatica, non so cosa sarebbe stato di me. E anche questo lo debbo soltanto alla tua apparizione di ieri, per breve che sia stata.

Il Fantasma                   - Ti sbagli, cugino Jéso. Io ca­pisco le cose assai meglio di te. Tutto deriva dalla tua immaginazione poetica, alla quale non mi sono mai voluta sottomettere: ecco perché non sono mai stata tua.

Il Cugino                       - (con furore). Tu eri mia. Mi ri­cordo delle notti che abbiamo passato insie­me, quando lui, il mio povero zio, correva da una città all'altra per vendere il suo grano. Sono ancora pieno di rimorsi, questi ricordi mi pesano; ma quando si è senza denaro, bi­sogna pure darsi da fare. Tu mi appartenevi, Anastasia, smettila di mentire così sfaccia­tamente!

Nibek                            -  Calmati, nipote. Ne riparleremo a mente fredda.

Il Fantasma si immerge in una profonda ri­flessione e macchinalmente si versa della vodka e beve.

Nibek                            -  Vedi, Jéso, lei sostiene che i fanta­smi non dicono mai bugie, e io le credo. Kozdron in persona mi ha confessato che loro due mi tradivano da anni.

Il Cugino                       - Questa è una cosa semplicemente mostruosa. (Con ironia) Forse, cugina, eri un fantasma allora, e invece sei viva adesso. Forse è questo che vuoi farci credere.

Il Fantasma                   - (d'improvviso). Aspettate! A-spettate un momento! Può darsi che io non menta e tuttavia che mio cugino abbia ra­gione pure lui. Deve pur esserci una spie­gazione. Vedete: avevo un cancro al fegato. È un male ereditario fra i Depivierge. Una buona razza, i Depivierge, ma purtroppo pre­disposta al cancro. Anche mia madre ne è morta.

Nibek                            -  Come sarebbe a dire « anche »? Vor­resti farci credere che non sei stata assassi­nata da me? Ma se ti ho ammazzata come una cagna rabbiosa, proprio con questa Browning modello Clément! (Tira fuori una rivoltella e la agita sotto il naso del Fan­tasma).

Il Fantasma                   - Mettila via e calmati, Dyapa­nase. Sei molto eccitato e c'è il rischio che ammazzi per sbaglio uno di questi signori. Io, naturalmente, non ho paura: sono un fantasma, io. Ah, ah, ah!...

 

Nibek                            - (obbedisce e ripone la rivoltella). Ha il coraggio di scherzare in un momento si­mile. Ti ho già ammazzata una volta. Ca­pisci cosa significa?

Il Cugino                       - (minaccioso). Finiamola, non sop­porterò oltre. Basta con questi scherzi stupidi.

Il Fantasma                   - E allora, che differenza fa, che tu sopporti o no? Cosa potresti fare con­tro un povero fantasma come me?

Kozdron                        - (uscendo dal suo stupore). Possiamo regolare i nostri conti fra noi, senza che tu te ne immischi. Possiamo spararci addosso l'uno all'altro come selvaggina. Possiamo ignorarti completamente, Anastasia. Con que­sto signore (designa il Cugino) ho un conto aperto. Mi ha offeso, mi ha perfino trattato da Kozdron, cosa che non posso tollerare. E per di più, sostiene di averti portata via a me!

Il Cugino vorrebbe dire qualcosa, ma il Fan­tasma lo interrompe, protendendo le mani fra i due uomini.

Il Fantasma                   - Ignazio, sappiamo che sei un vigliacco. Ora hai bevuto e ti sei fatto co­raggio, ma domani te ne pentirai. Quanto a quello là (designa il Cugino), è capacissimo di ammazzarti a freddo. Non ha paura di niente, lui. E adesso, basta con le sciocchez­ze. Si tratta della verità. Mi sembra una cosa abbastanza importante. (Minacciando) In­somma, mi ascoltate sì o no?

Nibek                            - (obbediente). Parla, ti stiamo ascol­tando.

Il Fantasma                   - Stai calmo, Dyapanase, e ascoltami bene. La mia collera può essere più pericolosa di tutti i vostri capricci a mio riguardo.

Kozdron                        - Mio Dio, ci risiamo, mi riprende la paura.

Nibek                            -  Sapete, provo come un'ombra di ter­rore. Nome di Dio! Eppure siamo ancora in pieno giorno.

Il Cugino                       - Signori, io non ho paura di nulla, eppure mi sento a disagio.

Il Fantasma                   - (// guarda con un sorriso can­zonatorio). Allora, ascoltatemi. Avevo un cancro, e soffrivo terribilmente, sebbene nes­suno di voi se ne fosse accorto. Prendevo dell'oppio a litri, e talvolta non sapevo nem­meno più chi io fossi. Quando ero in quello stato, forse allora può esser successo qual­cosa fra noi due, ti pare, cugino? (Guarda verso Pasiukowski).

Il Cugino                       - Ma sì, certamente. Ora tutto mi è chiaro. Allora non ci capivo nulla: tal­volta mi respingevi senza una ragione, altre volte mi lasciavi fare tutto quel che volevo.

Nibek                            -  Adesso non esagerate, amici miei; lasciate perdere i particolari, in mia pre­senza. Accetto la tua ipotesi. Ma che cosa hai da dire quando affermo che ti ho ammaz­zata come un cane, dopo essermi convinto, coi miei occhi, del tuo tradimento? È succes­so appena dieci giorni fa. Non sono mica matto! Tu dormivi tranquillamente, ed io ti ho sparato dritto nel cuore. Deve pur esserci il segno del colpo. Che idiota sono a non averci pensato prima. Vieni in casa con me, andiamo subito a verificare.

Il Fantasma                   - Sei il solito sciocco, Dyapa­nase. Ricomincio a piacerti e ti andrebbe di stare un po' solo con me. (Nibek appare turbato) Sei proprio uno sciocco, mìo caro, più ancora di quanto pensassi: un fantasma non può avere alcuna traccia sul suo corpo, dato che è privo di corpo. Il resto non è che illusione ottica e tattile, tutto qui.

Nibek                            -  Sì. Che orribile granchio ho preso. Ma è vero: tu sei bella anche da fantasma. Scusatemi, signori, se parlo a cuore aperto.

Kozdron                        - Basta così, signor

Nibek                            -  Non è giusto burlarsi così apertamente dell'amante della propria moglie!

Il Cugino                       - E voi credete davvero zio, che vi avrei permesso di appartarvi anche solo un momento in compagnia di lei? Io l'amavo veramente.

Il Fantasma                   - (minacciando). Basta! Finitela! (Di nuovo dolcemente) Allora, se riprendia­mo dal punto in cui eravamo arrivati, ecco la mia ipotesi: tu mi hai uccisa nel sonno, e, quel ch'è peggio, mentre dormivo sotto l'effetto dell'oppio. Ciò spiega perché per tutto questo tempo ho sempre creduto di esser morta di cancro. Capisci, semplicione? Noi abbiamo tutti ragione: tutti e quattro, quanti siamo.

Nibek                            -  Queste donne, quando ci si mettono, ci fanno credere qualunque cosa, fantasmi o non fantasmi che siano. È diabolica, questa intelligenza femminile.

Il Fantasma                   - E va bene. E adesso, chiama le bambine. Basta con le chiacchiere. Voglio divertirmi con loro, come prima.

Nibek                            -  Bene, Anastasia. Sono sempre stato il tuo strofinaccio e lo sono ancora. Obbe­disco. (Va verso la casa e grida) Bambine! Venite in giardino. C'è la mamma! (La mu­sica continua) Con questo maledetto fracasso non ci sentono. (Esce da destra).

SCENA IX

Detti, meno Dyapanase Nibek          

Il Fantasma                   - Ed ora, signori, riconciliatevi e smettetela con queste storie di vivi. Avanti, cosa aspettate? Sono « io » che comando. (/ giovanotti si danno la mano) Ecco, benis­simo. (A Kozdron) E tu, Ignazio, va' nel pa­diglione a prendere il mio diario. Dovete leggerlo, tu e Dyap, capisci?

Kozdron                        - (alzandosi). Obbedisco, Anastasia. Mi hai trattato come un cavallo bolso. Ad­dio. Lasciami riposare un po', dopo tutta questa storia. (Se ne va lentamente per la sinistra, immerso nei suoi pensieri. La mu­sica cessa bruscamente).

SCENA X

Il Cugino e il Fantasma.

Il Cugino                       - Non oso domandartelo, Ania; ma lasciami leggere il tuo diario.

Il Fantasma                   - A che servirebbe? Non c'è una sola parola che ti riguardi. Ti arrabbe­resti a morte.

Il Cugino                       - Te ne supplico, Ania. Oh, sa­pere che il giorno in cui ero pazzo di vo­luttà, tu eri in un altro mondo! Dammi que­sta soddisfazione, almeno : che io sappia la verità.

Il Fantasma                   - Ecco che riaffiora il tuo ma­sochismo di poeta. Povero nevrotico. (Con voce ferma) No, mi oppongo risolutamente.

SCENA XI

Da sinistra fanno irruzione Nibek e le bam­bine, poi Aneta.

Sofia                             - Mamma, davvero giocherai con noi? Come prima?

Amelia                          -  Come sono contenta! Mamma, come sei buona.

 

Nibek                            - (ad Aneta). Guarda, Aneta, che qua­dro di felicità. Perché non poteva essere così anche prima? Perché è andato tutto di tra­verso?

Aneta                            - Devi vivere per le bambine, zio. Sol­tanto per le bambine. Sono due creature me­ravigliose, queste piccole.

Nibek                            -  Sì, è davvero stupefacente che esi­stano. Più ancora di questo. (Indica il Fan­tasma).

Il Cugino                       - Bene, adesso vorrei dirvi qual­cosa io. Ho appena finito di scrivere un poe­ma, dopo un'interruzione terribilmente lunga. (Al Fantasma)   Posso  leggertelo,  cugina?  È dedicato a te, o meglio alla tua memoria. Il   Fantasma   (tenendo   le   bambine   fra   le braccia). Leggi pure, mio povero Jéso. Leggi per tutti, mio pietoso grafomane.

Il Cugino                       - E allora, bene. Siate indulgenti. Mi   ero  ormai  rassegnato   all'idea   che  non sarei più riuscito a scrivere nulla.

Aneta                            -   Senza   tanti   preamboli,   cugino.   Ti facciamo credito.

Il Cugino                       - Ecco il titolo : « Quando tutto andava bene, era inevitabile che tutto si gua­stasse ».

Nibek                            -  Bel titolo. Va' avanti.

Il Cugino                       - (leggendo sul foglio). « Le sorel­line bevon nei bicchieri / come in un ditale / un verde-pallido veleno, un terribile / ve­leno pallido. / E stanno per morire, le lor mani / negli spasimi già si torcono, già / i lor colli si piegan come steli, / e s'inclinan le teste come appassiti fiori. / Una foglia è scivolata / sull'acqua nera. / Qualcuno è sce­so (ma subito è rientrato) / nel giardino della sera; / già si cancella la seconda testa / in una / ombra funesta / di spasimi piena. / Lontano dal maniero, nei campi, il giorno / ordinario e triste, ingrigisce, e si spegne. / Venne un cagnolino, annusò i cadaveri / e, arrabbiato, ripartì. / Venne un ometto, che cuoceva i dolcetti / per gustarseli lui. / Piangeva, piangeva, / si rosicchiava le un­ghie / fino al gomito impiastricciate ». Marcel fa irruzione. È in grembiule. Marcel. Signore, il signor Maszejko vi de­sidera in ufficio.

Nibek                            -  Non vedi, idiota, che il signorino sta recitando una poesia? Di' a Maszejko che venga qui.

Il Cugino                       - (riprende a leggere). « Il padre ser­rò le pugna, / urlò selvaggiamente / a Dio. / Tutti furori colti da terrore, / da un ter­rore terribile e grigio ».

Nibek nasconde il viso fra le mani. Il Fan­tasma lascia Sofia e si nasconde il viso con la mano destra.

Il Cugino                       - « Allor che così bene si stava / al cader della sera / nella degli alberi tran­quilla pace, / nella piccola dimora».

Sofia                             - Ma è deliziosa! È come nei sogni. Vor­rei che tutto fosse così.

Amelia                          -  Anch'io. Ma ti debbo dire la verità: léso è un idiota, non capisce niente.

Il Cugino                       - (al Fantasma). Questo mio risve­glio, cugina, lo debbo a te. Grazie per tutti i miei tormenti.

Il Fantasma                   - (scoprendo il volto bagnato di lacrime). Vedi, io piango. Io, un fantasma, piango. Sebbene la tua poesia non mi piac­cia. Ti dico la verità: il meri+o è suo. (Indica Aneta) Ella ti ama. Siate felici. (Sì alza) Non ho il fazzoletto. Di solito, i fantasmi non piangono.

Amelia                          - (porgendole il suo fazzoletto). Tieni, mamma. Asciugati gli occhi.

 // Fantasma si terge le lacrime. Da destra entra Maszejko, vestito di tela gialla e sti­vali. Nibek si scopre il viso. Il Cugino Pa-siukowski si avvicina ad Aneta, che è ritta a destra, turbata.

Maszejko                       - Buongiorno, signore, signori, buongiorno. Non do la mano a tutti. (Al Fan­tasma) Nostra signora, bacio le mani. Ma che vedo mai? La nostra signora piange! Oh, tut­to si aggiusta. A proposito, signor Nibek, sono riuscito a far passare il cimurro a quasi tutte le cagne. Non ce l'ho fatta sol­tanto con Aldona e Fifì. Bisognerà abbat­terle.

Nibek                            -  Signor Maszejko, Kozdron mi ha con­fessato tutto. So che avete fatto da ruffiano a mia moglie. Ma vi perdono, perché non c'è nessuno come voi capace di salvare le mie cagne dal cimurro. (Maszejko appare leggermente turbato) Io perdono tutto a tut­ti, e non voglio altro* che una cosa, che le mie figlie siano felici, niente altro. Maszejko si inchina.

Aneta                            - (che fino a quel momento ha parlato a bassa voce con il Cugino). No, adesso no. Andate a mettervi in ordine e fatevi la bar­ba. Siete ridotto in modo che mi passa la voglia di parlarvi. (Si allontana sul fondo con il Cugino).

SCENA XII

Detti, meno Aneta e il Cugino.

Il Fantasma                   - (che di tanto in tanto si vuota un  bicchiere  di  vodka).   Ebbene,  lasciatemi sola   con   le   bambine.   Vogliamo   divertirci come  una volta. Le Bambine. Sì, mamma. Giochiamo.

Nibek                            -  Bene, Anastasia. E noi, signor Mas­zejko, andiamo in ufficio.

Maszejko                       - (al Fantasma). Arrivederci, signo­ra. E se la nostra signora, con tutto il ri­spetto, dovesse prendersi il cimurro, la pre­go, signora, conti su di me. La rimetterò a posto in men che non si dica.

Il Fantasma                   - (minacciando). Vi prego di evitare le vostre stupide facezie, signor Mas­zejko.

Maszejko fa un inchino e segue Nibek ver­so il fondo della scena.

SCENA XIII

Il Fantasma e le due ragazzine.

Amelia                          -  Mamma, cosa fai quando non sei qui con noi?

Sofia                             - Sta' zitta,

Amelia                          -  Non fare domande di  questo  genere.

Il Fantasma                   - Sì, Sofia ha ragione. Ed ora, ascoltatemi bene. Se volete che tutto sia bello, se volete che tutto avvenga come nei sogni, fate quello che vi dico. Quando co­mincerà a fare scuro andate nella rimessa. Ursula vi darà la chiave, gliene ho già par­lato. Là, sullo scaffale di mezzo, a destra, c'è una piccola chiave. Con questa seconda chiave aprirete lo sportello di destra della mia farmacia. Sul ripiano più alto c'è una fialetta di liquido scuro. Prendetela, porta­tela nella vostra camera, e bevetene una metà per ciascuna. Che nessuna cerchi di imbrogliare l'altra: proprio la metà. Capi­to? Non posso occuparmene di persona per­ché sono un fantasma. Capirete più tardi che cosa significhi.

Sofia                             - (stringendosi contro il Fantasma). Va bene, mamma. Grazie della fiducia.

Amelia                          - (stringendosi anch'essa contro il Fantasma). Anch'io ti ringrazio, mamma. Ma perché quella cosa non ce la dai tu stes­sa? Ieri, hai pure trasportato il signor Koz-dron.

Il Fantasma                   - Non è la stessa cosa. Non parliamone più. Capito? Ed ora, andiamo a giocare, come facevamo prima. Suvvia, cor­retemi dietro, mentre io cerco di scappare. (Fa dei balzi leggeri, a sinistra, fra gli alberi. Le bambine la inseguono ridendo).

ATTO TERZO

La camera delle bambine. In fondo, una fi­nestra. A destra e a sinistra, dei letti, e, più vicino al proscenio, delle porte. Tappeti-scendiletto. Muri bianchì. I raggi del sole al tramonto cadono obliquamente attraverso la finestra. Al centro, una tavola e due sedie. Appese ai muri, sopra i letti, fotografie, car­toline illustrate e simili.

SCENA I

Kozdron entra da destra; porta alcuni qua­derni rilegati in nero. Nibek lo segue: è ve­stito come al primo atto. Anche Kozdron ve­ste color tabacco.

Nibek                            -  Qui staremo meglio. Le bambine so­no andate con Aneta a raccogliere gli ultimi funghi della stagione. Sedetevi, signor Kozdron. Dobbiamo portare la nostra croce fino alla fine. (Siedono alla tavola. Kozdron a sinistra, Nibek a destra) Possiamo quindi considerare queste date come accertate. Sofia è certamente mia figlia. Almeno questo.

Kozdron                        - Bene, eravamo rimasti al punto che voi eravate partito in gennaio, a fare un giro. Vi ricordate? Il grano era a 148 il moggio.

Nibek                            -  Mi sono lasciato turlupinare in mo­do incredibile. Ma non ha importanza. Leg­gete.

Kozdron                        - (leggendo). « Diciotto gennaio. So­no di nuovo sola. Dyap è partito per la città. Resterà via per parecchi giorni. Ignazio mi piace sempre meno. E tuttavia in un certo modo lo amo ancora ». (Parla) Acc... sta di­ventando una cosa poco simpatica per me.

Nibek                            - (contento). Andate avanti. Non pos­siamo mica prendercela con una morta.

Kozdron                        - Se almeno la smettesse di venire qui. Sento aleggiare nell'aria qualche guaio. Ho sempre paura. Di giorno è ancora sop­portabile, ma quando ci penso, la notte, mi sento il sangue gelare nelle vene.

Nibek                            -  Volete decidervi? Altrimenti, datelo a me, vado a leggerlo per conto mio.

Kozdron                        - (leggendo). « Mi sento sempre peg­gio. Per la prima volta ho dovuto prendere dell'oppio. Una meraviglia. Sono le tre. Igna­zio è appena uscito. Ero come morta. Co­mincio a odiarlo. Non sento niente ».

 

Nibek                            -  Ahah, benissimo!... Almeno è stata punita.

Kozdron                        - (leggendo). « Venticinque gennaio. Dyap è ritornato. L'amo molto, ma è tal­mente disgustoso che non posso sopportare nemmeno il contatto della sua mano. Sofia ha la febbre. Temo sia la scarlattina. Che sia per punizione di aver mentito? ». Il Cugino  entra  da  sinistra,  senza  bussare.

SCENA II

Il Cugino                       - Ah, scusatemi. Ho scritto un'al­tra poesia, e vorrei leggerla alle bambine.

Nibek                            -  Sta' un po' tranquillo. Non le sec­care. Potresti far loro del male, con le tue sciocchezze.

Il Cugino                       - Ah, state leggendo qualcosa? Dei quaderni, vedo. (Si avvicina) È la sua calli­grafìa. Ve ne supplico, permettetemi di leg­gere. Me ne ha dato il permesso lei stessa.

Nibek                            - (a Kozdron). E va bene, possiamo permetterglielo. Che ci provi.

Kozdron                        - Certamente. Non ho niente in contrario. La defunta mi ha ordinato di riconciliarmi col signor Pasiukowski.

Il Cugino                       - Date qui. Guarderò soltanto quei punti che mi riguardano. (Prende i quaderni l'uno dopo l'altro) Marzo... aprile... maggio... Ecco. (Legge) « Due maggio. È arrivato Jé-sore. Sembra che sia una specie di cugino. Mi   piace.   Ma   non   mi   permetterò   niente altro, anche se potrei approfittarne una volta ancora, prima di morire. Scrive dei versi penosi, sebbene ci sia qualche cosa, in fon­do, che commuove ». Caspita, questo è tut-t'altro che gentile!

Nibek                            - (contento).   Avanti,   continua,   Jéso. Sta' tranquillo che non mi arrabbierò.  Il sole si spegne, e a partire da questo mo­mento cade a poco a poco la penombra.

Il Cugino                       - (a Nibek). Ma, zio, perché non mi avete ucciso?

Nibek                            -  Francamente, non me la sentivo di ucciderti a tradimento. E quanto a bat­termi con te, non mi andava per niente. E le bambine? Capisci, mi avresti ammazzato a colpo sicuro. Avresti sparato per primo. E allora? Va', va', continua.

Il Cugino                       - Ecco, ecco. All'inizio, non è niente; tutto è cominciato in seguito. (Legge) « Tredici maggio. Ieri, a notte tarda, Jéso è venuto da me. Ho preso quasi centocin­quanta gocce di laudano e mi sono addor­mentata mentre lui leggeva una poesia. Oggi vorrebbe farmi credere che sono la sua amante. Sono buffi, questi poetastri. Certa­mente si è sognato di esser stato con me ». (Parla) Ah, allora è così? Non avete un'idea di quello che è successo allora. Mi ha quasi fatto impazzire.

Nibek                            -  Basta. Un po' di rispetto per i miei capelli bianchi.

Il Cugino                       - (perdendosi nella lettura del dia­rio). Niente. Neanche una parola. Non una sola allusione. Sempre la medesima teoria: tutto avviene in sogno. (Legge) « Quìndici giugno. Ignazio mi ha trascinato quasi per forza fino a casa di

Maszejko                       - Ha tanta paura di Dyap, che ormai non viene più a trovarmi. Ha paura perfino che ci troviamo nella sua camera ». (A Kozdrori) Ah, allora mi ingannava anche con te, miserabile sal­tafossi. Questa me la pagherai!

Kozdron                        - Vi domando perdono. La volontà della defunta è sacra per me. Ma conti­nuate. Io lo so cosa è avvenuto il quindici giugno. Io l'amavo ancora, ma la paura era più forte dell'amore. Ero preso fra due supplizi. Non so quale dei due fosse il peggiore.

Il Cugino                       - (leggendo). « Sono fuggita. Basta con gli inganni. Voglio morire pura. Non mi resta che l'oppio. Non sarò mai l'amante di Jéso. Per il bene suo e mio ». (Parla) Ah, vedete? Amava soltanto me!

Nibek                            -  Ma tu non l'amavi affatto. Io solo l'amavo. Ma era tanto tempo fa. Non scri­veva diari, allora. Non potrete mai capire che cosa fosse.

SCENA III

Marcel fa irruzione dalla destra.

Marcel                           - Il signor Maszejko vi desidera su­bito in ufficio. Dice che è una cosa impor­tante. Il grano va a 162 il moggio. Nibek  afferra  i quaderni ed esce correndo dalla destra.

Kozdron                        - (saltando su). Sono miei, sono di mia proprietà. Ridatemeli subito! (Esce cor­rendo dietro Nibek, seguito da Marcel).

SCENA IV

Il Cugino, solo.

Il Cugino                       - Oh, mio Dio! Non ero che un fantasma. Io, io, ero il vero fantasma! M'il­ludevo di giocare alla vita esibendo le mie viscere cruente. Che cosa ripugnante. Lei sì, era reale. Mille volte più reale di me, pur non sapendo nulla. E adesso, lei giuoca a fare

Il Fantasma                   - Perché, in fondo, i fan­tasmi debbono saper tutto. A meno che l'altro mondo non sia esattamente uguale a questo. (Si siede al posto di Kozdron) Ma in tal caso, perché esiste? A che servirà men­tire per un'infinità di secoli, se alla fine ci troveremo al punto di prima? O i fantasmi esistono, oppure non esistono. O l'Aldilà è diverso dal nostro mondo, oppure non è che una sciocchezza, una invenzione di bestie insoddisfatte della vita, una trovata non de­gli uomini, ma dei bruti. Sì, deve essere senz'altro così. E non può esserci null'altro. Tutto non è che illusione: Kant, Schopen­hauer, Nietzsche. Che sarabanda di pensieri, su questa linea di dubbi essenziali. Sono problemi al limite della mia intelligenza. Debbo tirarmene fuori. Ci sono tante altre cose: tutte le matematiche e Russell. Non ci arriverò mai, non ho abbastanza cervello. Oh, miseria, miseria dei desideri essenziali! Sono come quel re che avrebbe voluto es­sere un filosofo, e come quel filosofo che avrebbe voluto essere un re. E invece non sono altro che un poeta squattrinato, ospite nella fattoria di parenti ricchi, e fra l'altro, neanche tanto ricchi. Che mostruosa mise­ria! Io, povero poeta, studente di filosofia mancato, eternamente in vesti nere. E se avessi un'automobile? Non sarei ugualmente un povero diavolo? Comunque, nulla mi spaventa. Potrei desiderare ogni cosa, e per qual ragione non lo faccio? Perché mai non lo faccio?

Fa sempre più scuro, la luce va calando gradatamente.

SCENA V

Da destra entra il Fantasma Molto solenne e molto serio. Il Cugino non lo vede.

Il Fantasma                   - Perché? Perché sei un rima­ tore poverello, stravagante, ma dappoco, sper­ duto nel mondo reale. (Il Cugino si gira con un certo sbigottimento) Non aver paura.

Il Cugino                       - Vieni, Anastasia. Mia carissima Ania. Io non ho paura di nulla. Perché do­ vrei temere te, proprio te? Tu mi appar­ tieni, viva o morta. Nessuno ti ha mai amata così.

Il Fantasma                   - È proprio di questo che volevo parlarti. Hai letto il mio diario, malgrado la mia proibizione. Ti perdono. Ma guarda che non è tutto vero quello che sta scritto «nero su bianco», come s'usa dire. Ora mi rendo conto di come si possa mentire anche scrivendo un diario. Io non arrivo a ca­pirti, e, per essere franca, non ti accetto come artista. Non riconosco gli artisti in generale, e rifiuto te in particolare. Può darsi che sia una mia deficienza, lo confesso fran­camente. Ti ho sempre amato. La mia vera vita è cominciata quando ti ho conosciuto. Io non avrei voluto esser tua. Avevo un cancro al fegato, eredità dei Depivierge. Ot­tima razza, i Depivierge. Non volevo legarti a me. Fisicamente, capisci? Ai legami spi­rituali ci credo poco. (Il Cugino cade in ginocchio davanti a lei) Sono una donna. Anche da fantasma, sono soltanto una donna. Dimmi, mi amavi veramente? Dimmi la ve­rità. Anche gli artisti, in fondo, sono una specie di fantasmi, solo che loro sono qui, sulla terra. Dimmi la verità, fra noialtri fantasmi non possono esserci menzogne. È proprio vero che mi amavi?

 

Il Cugino                       - Ti amo; amo soltanto te, Ania. E ti amerò sempre.

Il Fantasma                   - Via, non promettere troppo. so tutto. Tu vivrai perché non temi la morte. Tu l'hai domata. È quello che più mi piaceva in te. O forse no. Forse, quello che preferivo erano le tue labbra quando mi desideravi. Ma io sapevo tutto. Il cancro al fegato.   Perdonami, e sii  felice.

Cugino                          - Non posso. Perché sei tornata dall'altro mondo? Perché debbo perderti an­cora? Preferisco la morte a questa separa­zione. Lascia che io muoia. Senza il tuo per­messo, non sarei neanche capace di to­gliermi la vita. Sono tuo, soltanto tuo.

Il Fantasma                   - Parli così perché sai che sono un fantasma. E sai benissimo che tutto ciò che hai detto è falso. Tu sei vivo! E io non posso perdonartelo, anche se sei un artista. In fondo, ciò ci avvicina. Ma tu sei vivo. Se ora ti gettassi le braccia al collo e baciassi le tue labbra con un bruciante bacio umano, domani forse proveresti disgusto di me, e mi inganneresti con una sguattera o con la prima sgualdrina incontrata in città. Am­mettilo che è vero. So bene che adesso non ci credi, ma nel profondo della tua anima e del tuo corpo, in qualche parte di te, senti che è così. Non lasciarmi andar via con la tua menzogna. Sono qui per l'ultima volta. Non mentire più. Vorrei che la tua bocca, che non ho mai baciato, mi dicesse la verità all'ultimo  momento.

Il Cugino                       - Sì, adesso non ci credo; ma qual­cosa mi induce a pensare che è come tu dici. Sì, è vero. Lo ammetto mio malgrado. Oh, come tutta questa storia è ripugnante!

Il Fantasma                   - Grazie. E tuttavia forse tu mi hai baciata, forse sono stata tua. Tutto è avvenuto come tu immagini. Benché io non sappia nulla e sia pura come una ver­gine nei tuoi riguardi, tutto è stato come tu lo senti. Ero e sono tua. (Gli si avvicina e lo bacia fra i capelli).

Il Cugino                       - Ania, tu sei morta per causa mia, senza nemmeno esser colpevole. Oh, come potrò sopportare questa sofferenza disumana? Avevo così ben sepolto i miei ricordi dentro di me, che quando sei arrivata, ieri sera, non sono nemmeno trasalito. Non era una posa: non sentivo veramente niente.

Il Fantasma                   - È per questo che ti amo. Tu sei coraggioso, sei forte. Per questo ti amo, non per le tue stupide poesie. Per noi, per i vivi come per i fantasmi, la poesia non significa nulla. E adesso, basta. Ora debbo compiere i miei doveri di fantasma, capisci?

Il Cugino                       - Ania, rimani con me. Io ti amo. Non posso vivere senza di te. Quando sarai partita, tutto mi sembrerà così meschino, così disgustoso, che non potrò sopravvivere.

Il Fantasma                   - Senti? Sta arrivando qualcuno. È lei. Non sono per nulla gelosa. I fan­tasmi non soffrono di gelosia e dicono sem­pre la verità, perfino i fantasmi di donna. Amala e sii felice. Vado a rammentare le mie ultime volontà alle mie figliole. Qua­lunque cosa accada, sii dalla mia parte, sii solidale con il fantasma di me. (Passa len­tamente  a  destra  e  sparisce  per  la  porta).

SCENA VI

Da sinistra entra Aneta. Il Cugino è tuttora in ginocchio. È ormai quasi buio.

Aneta                            - Scusami, cugino, ma perché te ne stai in ginocchio qui tutto solo, come se ti prosternassi davanti a qualcuno? La mia ca­mera è laggiù. (Indica la porta a destra) Sono venuta a mettermi un po' in ordine dopo la passeggiata. Ma tu, che fai qui?

Il Cugino                       - (facendo fìnta di cercare qualcosa per terra). Volevo leggere una poesia alle bambine, ma non le ho trovate. Sto cer­cando una spilla da cravatta. Mi è caduta da qualche parte; ma non riesco a trovarla.

Aneta                            - Una spilla da cravatta? Che idea! Aspetta, che ti aiuto. (Si mette in ginocchio anche lei. Cercano. Pausa).

Il Cugino                       - (bruscamente). Aneta, Aneta! Ti amo! Da ieri non capisco più nulla. Tu sei l'unica donna che mi sia mai piaciuta. Ti amo, e mi piaci alla follia. So chi sei. Ieri, ti ho riconosciuta mentre giocavi.

Aneta                            - Ti sei fatta la barba, almeno? (Gli passa la mano sulla faccia) Sì, sei liscio, sei giovane, sei bello, e la tua poesia mi è piaciuta molto.

Il Cugino                       - L'ho scritta soltanto per te. Solo per te. E lo devo a te, se sono ridiventato un artista. Ti amo!

Aneta                            - Però stamattina non dicevi mica così. Stamattina le tue poesie le dedicavi al fantasma di mia zia.

Il Cugino                       - Certo. Quella dedica resterà sua. Ma tutto quello che scriverò d'ora in avanti, lo dedicherò soltanto a te, Aneta. Per la prima volta sono veramente innamorato.

Aneta                            - Come faccio a crederti? Scommetto che dici le stesse cose a tutte le ragazze che incontri.

Il  Cugino                      - (la bacia; in ginocchio, davanti a lei). Ti amo, ti amo.

SCENA VII

Dalla sinistra fanno irruzione Sofia e Ame­lia, che subito retrocedono spaventate.

Aneta                            - (alzandosi). Andiamocene. Ci hanno visto. (Ella lo attira verso destra. Il Cugino la segue senza far parola. Si sente lo scatto della serratura chiusa a chiave dall'altro lato della porta) Sofìa e Amelia ritornano a passi cauti. Sofia tiene in mano un flacone. Proprio dietro a loro entra Ursula, tenendo una lampada con un paralume rosa in carta-seta. Posa la lam­pada sulla tavola ed esce senza far parola.

Sofia                             - E adesso, beviamo. Deve avvenire tutto come nei sogni.

Amelia                          -  Ho paura di qualche cosa. Non so bene di che.

Sofia                             - Non aver paura,  sciocchina.  Ce lo ha detto la mamma di farlo, no!?

Amelia                          -  Ma che facevano qui dentro, quei due là?

Sofia                             - Si baciavano. Io non vorrò mai la­sciarmi baciare da nessuno. È una cosa su­dicia. Bevi per prima,

Amelia                          -  Sei tu la più grande.

Amelia                          -  No, bevi prima tu. Però mi piace­rebbe di sapere come fa la gente quando si  bacia.

Sofia                             - (dopo aver bevuto la metà del con­tenuto del flacone). Bevi, è amaro, ma sa di buono. Ora tutto avverrà come nei sogni.

Amelia                          - (guardando per un momento la bot­tiglia). E va bene; siccome lo ha detto la mamma, bisognerà farlo. (Beve e posa poi la bottiglia sul tavolo).

Sofia                             - Adesso mi sento proprio bene. Ho il e Mio che mi si irrigidisce. Vedo degli strani mostri. Ma sono mostri buoni, si sfregano contro di me come cuccioli.

 

Amelia                          -  Sofia, ho paura. Era così amaro!

Sofia                             - Non è nulla. Vieni vicina a me, sul mio letto. (La attira sul letto di sinistra).

Amelia                          -  Mi sento così stranita. Ho la testa confusa.

Sofia                             - (si corica e la attira a sé). Oh, non ci far caso. Sdraiati e non pensarci più. Vedrai che sarà tutto come nei sogni.

Amelia                          -  Adesso anch'io mi sento bene. Ve­do tutto oscillare, non capisco come. Ab­bracciami,

Sofia                             - (Si abbracciano) Sento co­me dei campanelli nelle orecchie. Dei cam­panellini piccoli piccoli. Debbono essere d'argento.

Sofia                             - Sì. Il sogno comincia. Non muover­ti più.

Si stendono immobili sul letto. Entra Ursula, che mette a posto la lampada ed esce. Pausa.

SCENA VIII

Nibek entra dalla destra.

Nibek                            -  Be'!... Dormite?... Vi siete tanto stan­cate a raccogliere funghi?... Svegliatevi, mie silfidi, mie piccole adorate, miei corpìcini eterei, mie piccole anime luminose e pure. (Si avvicina al letto) Dormono, poverine! Se sapeste come vi voglio bene! Oh, se poteste capirlo, anche soltanto per un minuto. Ma non lo capirete mai. I figli non sanno mai nulla dell'amore che gli portano i genitori, ma è meglio così. Ne sarebbero intossicati per tutta la vita. (Cade in ginocchio da­vanti al letto) Cosa ci può essere di più ter­ribile del peso dei sentimenti? Anche lei le amava, a modo suo, la povera Anastasia. (Prende Amelia per la mano) Ursula ha fatto per voi un nuovo dolce. Marcel sta lavo­rando la pasta fin da mezzogiorno. (D'im­provviso) Ma che succede?... Questa mano è fredda. Amelia!... Di' qualche cosa!... (La scuote) È fredda. (Scuote Sofia) Sofia, risve­gliati!... (Scuote Sofia, poi si rimette a par­lare tranquillamente) Sono fredde. Sono morte. Sapevo che sarebbe successo qualche cosa di terribile. (Urla) Aiuto!... (Poi si fer­ma,  pietrificato).

SCENA IX

La porta di destra si apre e Aneta fa irru­zione, seguita dal

Cugino                          - Entrambi hanno un'aria strana. Lei ha i capelli in disordine. Lui pure; e inoltre ha il colletto slacciato e la cravatta snodata.

Aneta                            - Che succede?

Nibek                            - (uscendo dai suoi pensieri). Tu avre­sti dovuto far loro da madre. Eccole, sono già fredde. Sono due piccoli cadaveri, due cadaveri indifferenti, non sono più le mie figliole. Nulla serve più. So che è la fine. (Alza le braccia) Oh, mio Dìo!... Come hai potuto permetterlo!... (Abbassa le braccia) Sia fatta la tua volontà. E pensare che mi succede proprio quando il grano è salito a 162 il moggio, e potrei diventare ricco, e dar  loro tutto.  (Esce da sinistra).

SCENA X

Detti, meno Nibek. Aneta si avvicina al letto e  tocca le bambine.

Aneta                            -   Sono  già fredde.  Il dramma si  è compiuto.

Il Cugino                       - No, non è possibile. Ma perché?... Perché?...   Forse   una   malattia   improvvisa? (Tocca   il   corpo   delle   bambine)   Sono   già fredde. È tutto finito.

 

Aneta                            - Ma come è possibile? Un momento fa passeggiavamo insieme. Erano piene di salute. È incomprensibile.

Il Cugino                       - Ora capisco. È stata lei, Anasta­sia. Comprendo solo adesso quel che di­ceva; troppo tardi, troppo tardi.

SCENA XI

Da sinistra entra il Fantasma            . Ursula lo se­gue portando sulle braccia alcune candele. Gli altri arretrano verso destra. Il Cugino tiene Aneta stretta al braccio.

Il Fantasma                   - Ursula, accendi una candela. (Ursula esegue l'ordine) Ora fa' cadere qual­che goccia di cera qui. (Ursula fa cadere qualche goccia di cera e fissa l'altra can­dela). Ora qui. (Ursula ripete gli stessi gesti).

Il Cugino                       - (si scosta bruscamente da Aneta, la quale si sforza di trattenerlo. Parla con acredine). Io so chi è la causa di tutto que­sto. Sei tu, criminale. Volevi uccidermi, e invece hai ucciso queste innocenti. Ma lo so io chi sei!...

Il Fantasma                   - Peggio per te. Eppure, tu eri innamorato di me, cugino.

Il Cugino                       - Sicuro, ed è stato il mio più grande errore. Adesso, ti odio. Ti odio e ti disprezzo. Assassina delle tue figlie!

Il Fantasma                   - Che tu avresti sedotto, se co­stei (indica Aneta) non fosse arrivata. Me­glio per te.

Il Cugino                       - Non è vero!... Mille volte no!... l'amo! Non ti lascerò sparlare di lei in questo modo.

Fantasma                       - Meglio per te. Per lei, non lo so. Dipende da tante cose. Sarà capace di fare in modo che tu ti attacchi a lei?... Aneta, sii per lui... No, non dirò più niente. La vita vorrebbe impadronirsi nuovamente di me, come stamattina. Addio. Siate felici. (Si dirige verso sinistra, camminando con passo solenne, tipicamente da Fantasma. Sulla porta si scontra con Nibek che è seguito da Kozdron e da Maszejko. Nibek passa senza guardarla. Lo stesso fa Kozdron. Essi si di­ rigono verso il letto. Maszejko si ferma).

Maszejko                       - Ah! Signora! che disgrazia! È come con quelle cagne di Powierzynce : nes­ sun modo di fargli passare il cimurro, né ad Aldona né a Fifì. Tanto peggio, signo­ ra, non ci si può far niente.

Nibek e Kozdron si inginocchiano davanti al letto.

Il Fantasma                             - Il signor Maszejko ha ragio­ ne. (Al Cugino) E tu hai letto il mio diario. Mentivi, quando non volevi ammetterlo. Avresti dovuto parlarmene per primo'.

Il Cugino                       - Sì. Io non perdo tempo con stu­pidi formalismi. Ho appreso dal tuo diario che tu amavi soltanto me. E ciò mi lascia del tutto indifferente. Tu sei un fantasma, un « vero »

Fantasma                       - Ora ne sono convinto per davvero.

Il Fantasma                   - (solennemente). Tanto meglio per te. Addio, Dyapanase. Addio, Ignazio. Per sempre, per sempre.  (Esce da sinistra).

SCENA XII

Marcel fa irruzione da destra.

Marcel                           - (impiastricciato con la pasta. Con la punta delle dita regge una torta). Vorrei far assaggiare questo dolce alle signorine. (Si ferma) Me lo ha detto l'Ursula.

Nibek                            - (rialzandosi). Ma non vedi, razza di idiota,  che le signorine sono morte?  Sono morte! Non lo capisci, cretino? (Scoppia in singhiozzi e cade ginocchioni. Marcel si av­vicina al letto e si inginocchia vicino a Koz­dron).

Maszejko                       - Suvvia, signor Nibek, calmatevi.

Nibek                            - (si calma d'improvviso e si rialza). Lo so. È tutto finito. 11 mondo resta là, da qual­che parte, lontano. Ma per me, è finito tutto. Kozdron è sempre in ginocchio e prega.

Il Cugino                       - Ebbene, zio mio... Aneta lo interrompe. Nibek esce da sinistra.

Aneta                            - Lascialo tranquillo. Per lui è vera­mente finito tutto. Ma non per te. (Lo ba­cia sulla bocca) Ti amo. Ora nulla potrà più separarci. A destra, si ode un colpo di arma da fuoco.

Il Cugino                       - (stringendosi a lei). Mio Dio, si è ucciso!...

Aneta                            - E allora? Tanto meglio per lui e per noi. Sii forte fino alla fine.

Il Cugino                       - (riprendendosi). Hai ragione. Tu prenderai  il  posto che lei ha tenuto in me fino ad oggi. Del resto, questa era la sua volontà.  Lo  capisco,   ma  non  sento   nulla.

SCENA XIII

Ursula entra da sinistra.

La Cuoca                      - La cena è pronta.

Kozdron e Marcel si rialzano. Durante tutto questo tempo Maszejko se ne è rimasto a fumare tranquillamente, a sinistra.

Aneta                            - Bene, la cena è pronta. Non c'è più nessun fantasma in mezzo a noi. Soltanto cadaveri e gente viva. Comincia una vita nuova.

Anela si dirige verso sinistra, a braccetto del Cugino.Dietro di loro, seguendoli come automi, Kozdron e quindi Maszejko. Quindi ancora Marcel Labouche, con le mani tuttora impiastricciate di pasta. La scena resta vuota per un momento. Restano i cadaveri delle due fanciulle e i due ceri.

SCENA MIMATA

Sulla soglia, a destra, compaiono il Fanta­sma e Nibek, rivestiti di un sudario bian­co. Entrano e si fermano a due passi dalle bambine. Il Fantasma fa un segno in dire­zione delle bambine. Queste ultime si levano come automi e vanno verso gli spettri dei loro genitori, i quali fanno un mezzo giro ed  escono,  seguiti dalle  loro  figliole.

FINE