Inascoltate voci

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INASCOLTATE VOCI DI UN CORTILE AL CHIUSO

Sebastiano Di Bella

INASCOLTATE VOCI

(commedia in due atti)

Personaggi:

Donna Cristina

Don Paolo

Sagrestano

Don Nicola

Donna Virginia moglie di don Nicola

Matteo fratello di don Paolo

Placido fratello di don Paolo

Marianna Castiglia

Avvocato Cancilia

Don Gaetano Runci

Trama:

Don Paolo è un religioso poliomielitico che accoglie nella sua casa bambini abbandonati che poi affida con successo alle famiglie della città. Purtroppo non gli è riuscito di sistemare due bambini, ormai grandicelli, uno, Francescuzzo, perché poliomielitico l’altro, Nino, perché troppo affezionato a quest’ultimo e ogni volta che viene affidato ad una famiglia, fugge e torna a stare con l’amico malato che senza di lui soffrirebbe molto.

Purtroppo, il comportamento del generoso Nino preclude allo stesso, non essendo più un bambino, le possibilità di trovare nuove famiglie. E proprio per questo don Paolo lotta, affinchè almeno Nino si salvi dalla perenne condizione di “senza famiglia”, a costo di fare soffrire il povero poliomielitico.

Don Paolo contatta diverse famiglie ma riceve dinieghi. Alla fine mentre sta costringendo i fratelli a prendersi cura nel futuro di Nino in cambio di un congruo lascito, l’avvocato Cancilia, dopo lunga riflessione, adotta Nino e Francescuzzo.  


Sebastiano Di Bella

INASCOLTATE VOCI

ATTO I

Un ampio salone con mobili pieni di polvere, scaffali con vecchi libri, divani e poltrone un tempo lussuose e adesso logore, quadri di valore alle pareti, tendaggi eleganti alle finestre, una scrivania a lato di una finestra, colma di carte e al centro della parete un grande Crocifisso.

Una vecchia donna sta spazzando e riordinando. Di tanto in tanto si ferma, tira un sospiro di sollievo, rimurgina qualcosa:

- ma! sia fatta la volontà di Dio! Lui solo ci può salvare. Lui solo può risolvere certe situazioni. Paulinu ancora no capisci; eppure ha studiato al seminario e sa che contro la volontà del Signore non si può andare. Stamatina si bilia chiù du solutu. Pacenza! Chi ci pozzu fari iò?

Entra don Paolo e saluta. Cammina con due grosse stampalle sotto le ascelle:

- buongiorno donna Cristina.

Donna Cristina con premura:

- salutate Gesù Cristo e s’abbenedica.

Don Paolo sembra di cattivo umore, si dirige verso la sua scrivania e cerca fra le carte:

-  Avete toccato o tolte carte?

Donna Cristina, quasi terrorizzata:

- no, no! Per carità, nuddu tocca nenti. Ma ormai si sapi chi quannu peddi na' catta a cuppa è sempri a mei!

Don Paolo piuttosto irritato:

- siete insolente e petulante, come al vostro solito. State zitta che mi irritate di prima mattina ed io, invece, ho molto lavoro da sbrigare. Fate presto e andate!

Donna Cristina remissiva:

- cammiti Paulu, chi non ti poi agitare; l'ha detto pure il medico: ti fa male. Tu ti pigghi tuttu a core e quannu i cosi non vannu comu avennu annari, ci resti mali.

Don Paolo è quasi arrabbiato:

- Che c’entra questo discorso? Uno la mattina si sveglia in grazia di Dio, si dice le sue preghiere, si prepara al meglio per affrontare la giornata e deve sentire le vostre lamentele di incompresa e povera vittima dei miei accessi d'ira. A proposito, stamattina a messa mancavate; eravate stanca?

Donna Cristina:

- stanca? Ma cu tuttu chiddu chi c' e' i fari cà pi pozzo pemmettiri mi mi riposu? Non venni picchì don Raffaele puttau dudici ova, e poi oggi avia a fari u pani, u sapiti, no?

Don Paolo con aria meravigliata:

- ma chi è a prima vota chi si fa u pani ta sta casa? O pi dudici ova ni scoddamu du Signuri?

Mentre don Paolo si siede ed incomincia a rovistare fra le sue carte, donna Cristina continua a parlare ma usando un tono di compatimento e comprensione:

- aviri pacenza. U munnu è fattu a cusì e tu no poi canciari. Ci voli pacenza e basta! Non t’ abbiliari. U dutturi tu dissi: tranquillità!hai bisognu di tranquillità.

Don Paolo alza gli occhi dalla scrivania e guarda sospettoso donna Cristina:

- è la seconda volta che mi nominate il dottore e che mi supplicate di avere pazienza, visto che della mia salute non vi curate così spesso, mi volete dire finalmente cosa é successo stamattina?

Donna Cristina con tono bonario:

- niente, niente è successo! C'avi a succedere! Ringraziamo a Dio e a tutti i Santi non succidiu nenti...settiti, Paulinu, chi non poi pigghiari dispiaciri....

Don Paolo, sempre più irritato:

- e se non ci sono dispiaceri perché mi devo sedere? Benedetta donna, volete dirmi cosa è successo?

Donna Cristina:

- nenti … nenti...

Don Paolo sbatte le carte che aveva in mano sulla scrivania ed urla:

- benedetta cristiana ve l'ho già detto mille e una volta, non dovete girare intorno al fatto, dovete dire subito quello che mi dovete dire. Girate e rigirate intorno alla questione, come se questi giri servissero a qualcosa.... ditemi subito cosa è successo!!

Donna Cristina impaurita balbetta:

- statti cammu, nenti succiudiu, cosi chi si ponnu risovviri...

Don Paolo al limite della pazienza:

- prima dite: si non succidiu nenti! Poi aggiungete: cosi chi si ponnu risovviri. Siete dura, vi ostinate a non parlare; eppure mi dovreste conoscere bene: mi avete visto nascere e crescere e dovreste conoscere il mio carattere; e, invece, sono io che conosco voi. Anche se non parlate, so bene quando avete da dirmi qualcosa di brutto, pertanto mi siedo, vi faccio contenta e vi ascolto, e non tollero più questo vostro modo di fare.

Donna Cristina, sentendosi in colpa, con tono molto dolce:

- Pauluzzu, ma chi mi dici ciatu mei. No sai chi ti vogghiu beni?

Don Paolo:

- ancora! Santa pazienza, reggimi i sentimenti!

Donna Cristina, ora risoluta e decisa:

- Nino scappau da casa i don Nicola.

Don Paolo, senza fare finire di parlare donna Cristina, si alza con le stampelle dalla poltrona paonazzo in volto ed incomincia ad urlare:

- perchè non mi avete chiamato subito? Perché non me l'avete detto subito? Era vostro dovere avvisarmi.

Donna Cristina tenta di calmare don Paolo:

- Paulino, figghittu, statti cammu. U sacciu chi sbagliai, ma comu ti pozzu dari sti notizi si sacciu chi ti fanno biliari. Ti senti mali e iò mi scantu.

Don  Paolo, resosi conto del sincero accoramento della donna, cerca di calmarsi, ma ancora trema e si sente internamente un vulcano che vuole esplodere. Riesci a dire appena:

- va bene sono calmo e tranquillo, raccontatemi tutto!

Donna Cristina, badando a scegliere le parole appropriate e il ritmo del discorso giusto, dice:

- ti giuru chi mi n'accuggia stamatina prestu, quannu annai a ruspigliari i picciriddi. Visti che Franciscuzzu non era sulu to so lettu, m'avvicinai e visti chi cu iddu c'era Ninu. L’avii a vidiri quant'erunu beddi! Dummiunu bracciati comu a du angiuli du Paradisu! M’ a cridiri: non mi vinni cori mi ruspigghiu

Don Paolo è agitatissimo, urla:

- siete pazza, perchè non mi avete chiamato subito? Vi siete comportata malissimo ed anche questa ve la scriverò nella lista delle vostre malefatte. Benedetta donna vi ho sempre detto di non fare di testa vostra! Ma voi dura come un mulo...

Donna Cristina, vedendo don Paolo paonazzo e preoccupata, gli si avvicina e con tono molto docile incomincia a dire:

-Paulinu, figliuzzu, u vidi...

Don Paolo non le dà il tempo di finire la frase:

- finitela con questi nomignoli ridicoli! Quando mi volete rabbonire o raggiungere uno scopo tutto vostro mi chiamate Paolino o Paoluzzo, finitela che non lo tollero più!

Donna Cristina per niente intimorita, ma apparentemente remissiva, continua:

- comu ti pozzu contari cosi chi ti fannu dispiaciri si poi ti bilii! Non mi dai mancu u tempu mi ti dicu na cosa chi subito ti veni a bava a bucca e mi fai scantari.

Don Paolo, che non si calma:

- voi non vi preoccupate della mia salute! A quella ci so pensare io e il mio medico. Voi fatevi i fatti vostri e non dimenticate che siete la mia ser... la mia cam... la mia donna di casa e io sono un sacerdote.

Donna Cristina lo guarda fisso negli occhi e con molta calma dice:

- Paulinu, voi chi non sacciu cu sugnu iò? Sugnu a to serva, a to cammarera, comu dici tu, ma sugnu puru to mamma. Tu scuddasti chi finu a vint'anni mi chiamavi mamma?

Don Paolo risoluto:

- smettetela! Non nominate mia madre che neanche la ricordo più. E non ricominciate con la solita storia! Ditemi piuttosto cosa é successo stanotte!

Donna Cristina con tono più persuasivo:

- Paulinu tu dissi prima: iò non sacciu nenti: stamatina mi n'accuggia. Ci dumannai a Ninu du unni trasiu e mi rispunniu chi trasiu da finestra chi era ca sciangazza. Ma tu avii a vidiri a Franciscuzzu com' era contentu: dd'occhiceddi ci ridiunu suli.

Don Paolo ancora irato e paonazzo:

- adesso basta! Lascio tutto. Vado dai superiori e dico di mandare altri io non me la sento più di combattere. Mi faccio dare una parrocchia e mi faccio il curato. Qui, oltre che combattere contro la febbre, la fame e la debolezza bisogna lottare con un diavulazzo che tutti i jonna potta, quannu va bene, na cammuria. Basta, io non ce la faccio più!

Donna Cristina, facendo finta di spolverare:

- ma chi dici Paulu! Chi no sai chi mottu tu l’offanatrofiu chiudi? Cu voi chi si piglia cura di sti nuccenti? Sulu picchi sunnu senza nuddu non n’annu a conusciri beni? A cu ci lassi sti picciriddi a monsignore? Pi du jorna e va beni ma u tezzu stai tranquillu chi giá si scudau.

Don Paolo con la mano sul mento riflettendo dice:

- state zitta! Non dite maldicenze!

Donna Cristina per nulla intimorita dal rimprovero continua:

- chi é, tu scuddasti i sacrifici pi ricoghiri st'animi nuccenti? Iò no, non mu scuddai. Tu scuddasti quantu annasti e vinisti dunni monsignori? E na vota  chistu e poi chiddu e poi così e poi colá, mancu s'aviamu a fare na nova ferruvia. E tu scuddasti chi i to frati e i to soru non vuliunu e misunu tanti cosi contra?

Don Paolo fa finta di non ascoltare, ma quando gli vengono nominati i fratelli e le sorelle ha un sobbalzo e ricomincia ad urlare:

- vi ho detto di stare zitta! Muta! Muta! Muta! Parlate male pure dei miei fratelli!

Donna Cristina accondiscendendo :

- e va bene. Sto zitta e non parlo più. Ma tu tu scuddasti chi i to frati e i to soru i criscia comu a figghi? Iò i vogghiu beni. E comu si vogghiu beni!

Don Paolo andando col bastone su e giú per la stanza:

- anche questa é una storia vecchia che di tanto in tanto vi piace tirare fuori. La conoscono tutti, ma a voi piace ricordare perché vi venga riconosciuto il merito di avere cresciuto i cinque figli del barone Munnia.

Donna Cristina, scuotendo la testa in segno di disaccordo:

- Paulino, figghiuzzu, quannu t'arribi non capisci chiú nenti; figuriti se vogghiu meriti. Certo si sti meriti mi dati tu i to soru e i to frati mi pignu contenta. E puru tu si contentu quannu venunu e ti salutunu i piciriddi che eppumu cá. Ah quantu n'a sabatu! A quantu ci dasti na famigghia! E di chistu non si contentu? E cosí quannu venunu i to soru e i to frati iò sugnu contenta.

Don Paolo:

- certo che sono contento; anche se non mi stanco di pensare e di dire che avrei potuto fare meglio o di piú. Ma stu picciriddu m'ava dato e mi dugna chiú pinseri i l'autri. Questa é la quarta volta che fallisce il tentativo di collocarlo in una famiglia. Devo essere piú risoluto. Ora una bella lezione non gliela toglie neessuno. Non posso tollerare che dopo tanto lavoro per persuadere don Nicola e la moglie tutto vada a scatafascio. Basta! Ora basta!

Donna Cristina dice dolcemente:

- ma Paulinu chi stai dicennu! Aviri a pacenza c'avutu fino a ora. I cosi a pocu a pocu ca pacenza e cu l’aiutu du Signuruzzu si giustunu. Pacenza ci voli! É un picciriddu e ancora non capisci. E poi si vidi ca voluntá du Signuri non é chidda toi.[ abbassandosi e quasi con voce flebile] Si vidi che Lui ha altri progetti per Ninu. Non t'affligiri chi ti senti mali e poi cu ci dugna versu a sti picciriddi? Tu u sai iò non sugnu capaci, non sacciu mancu leggiri e scriviri,  e figuriti l'autri chi jannu a cuscenza du lupu.

Don Paolo va su e giú per la stanza. Sta pensando e riflettendo, ma il suo cervello non riesce ad elaborare nulla: é in ebollizione e sente anche un tremore interno che lo vuole schiantare. Donna Cristina intuisce il suo malore, s'avvicina e molto discretamente cerca di sviarlo dai suoi pensieri pressanti:

- ora chiamo u sagristanu e ci dicu mi va a cattare u zuccuru cosí priparu na cuddura pi stasira; un pezziceddu a l'unu i fazzu filici i picciriddi. Tu chi dici, Paulinu?

Don Paolo non risponde, sembra assente; donna Cristina ripete:

- tu chi dici Paulinu?

Don Paolo che finalmente ha recepito il discorso con tono quasi mortificato dice:

- mandate il sagrestano dalle benedettine che mi avevano detto che ci avrebbero preparato un buon dolce; grazie a Dio loro possono fare pure la caritá a noi. Vedremo poi come sistemare le cose, forse é meglio non affrettare le decisioni vediamo come...

Bussano alla porta, donna Cristina con voce autorevole:

- avanti, avanti!

La porta si apre lentamente e compare un vecchio piuttosto malandato e incurvato (il sagrestano), fra  un uomo ed una donna. Lentamente dice:

- c' é don Nicola e so mughieri.

I due col volto abbassato e con soggezione si guardano attorno per cercare con lo sguardo di don Paolo che si era seduto in poltrona. Don Nicola col berretto in mano saluta, la moglie mortificata abbassa ancora di più la testa:

- vossia s'abbenedica. Buona giornata pure a voi donna Cristina.

Don Paolo:

- benedetti, benedetti figlioli.

Anche donna Cristina, quasi commossa, risponde al loro saluto:

buongiorno, accomodatevi, sedetevi.

I due coniugi si guardano e non sanno da dove cominciare il discorso, don Paolo avverte il loro disagio e parla per primo:

- ho appena saputo che Nino é tornato all'orfanatrofio. E’ successo qualcosa?

Con un filo di voce risponde la donna:

- don Paolo nui ni cupputtammu comu n’avia cummannato ossia. Ma u picciriddu non parava, non vulia diri nenti. Ió ci dumannava: Ninuzzu chi hai? Non rispunnia mai. Nicola su puttau a fera, nenti. Scunsulatu era e scunzulatu ristau. E poi mancu manciava e mi faciva na pena.....

Don Paolo:

e perché non siete venuti subito a dirmi di come stavano andando le cose? Forse avrei potuto fare qualche cosa.

Don Nicola con gli occhi bassi e quasi intimorito:

- Ió ci avia pensatu. Ma mi paria bruttu. Pinsai chi cu tempu i cosi si giustavunu.

Don Nicola e la moglie stavano ancora impiedi in segno di deferenza. Don Paolo cerca di metterli a loro agio, si siede:

- sedetevi e state tranquilli. Sono cose che succedono, purtroppo! Ora vedremo cosa fare. Intanto ditemi: voi siete disposti a riprendervi Nino?

Don Nicola e la moglie si guardano a cercare ciascuno il consenso dell'altro. Poi donna Virginia abbassa gli occhi e sembra avere capito il pensiero del marito, il quale non senza imbarazzo dice:

- vossia u sapi, pi nui annaria beni, semu sulitti e ciccamu affetto, ma u picciriddu non ci voli stari.

Donna Virginia, si alza e va verso don Paolo e vincendo la timidezza:

- vossia u sapi quantu mi farai piaciri aviri un figgi, sapiri ca nostra robba va a cocchidunu chi ni vuliu beni e chi ni fici di bastuni pa vicchiaia. Ma ca fozza non si ponnu aviri i cosi e mancu l'affettu. Si Ninu non voli stari no putemu obbligari. Vossia m'avi a cridiri: mi facia na pena chi non ci dicu. dijunu briscia e dijuni si cuccava. Ci avia fattu u lettu....

La voce di donna Virginia é interrotta da improvvisi rumori e voci che salgono nella stanza dal cortile. Il sagrestano si sporge dalla finestra guarda e poi girandosi dice:

- sunnu i picciriddi. I nisceru pi falli giucari: oggi è na bella junnata.

Don Paolo:

- e sí! Puru iddi cominciunu a junnata. Senza pensieri, spero. [poi si rivolge al sagrestano] Andate a dare una mano a don Peppino, che oggi mi sembrano scalmanati ed anche lui ha i suoi anni.

Contemporaneamente donna Cristina e donna Virginia si avvicinano alla finestra a guardare. Donna Cristina:

- Madunnuzza bedda sunnu cuntenti, sunnu tutti attonno a Ninu e vaddati a Franciscuzzu: l'occhi ci ridunu suli!

Donna Virginia, guardando soprattutto Nino:

- n'autru picciriddu, n'autru picciriddu è! Ah si m'avissi incutu a me casa cuddi stissi occhi! Ah si a me casuzza avissi sintuto a so voci!

Il malinconico sfogo intenerisce il cuore di donna Cristina che istintivamente si rivolge ai due coniugi:

- non vi dispirati, padri Paulu vi fará cuntenti u stissu. Iddu trova sempri u modu pi risolviri i situazioni.

Don Paolo visibilmente contrariato dell'interferenza di donna Cristina, lanciandole un'occhiata fulminante per zittirla, si alza dalla poltrona e si avvicina a don Nicola che si era alzato pure lui per vedere i bambini dalla finestra:

- andate a casa. Riprendete il vostro lavoro. Ringraziate il Signore lo stesso ed abbiate fiducia nella sua misericordia. Sono sicuro che in questi giorni ci darà i consigli per decidere. [Poi si rivolge a donna Virgilia, alla quale prende le mani e le stringe fra le sue] State serena donna Virginia. Voi non avete nessuna colpa, anzi avete fatto tutto quello che si doveva fare. Si vede che nostro Signore ha voluto diversamente. Non disperate, nostro Signore ha in serbo pe voi altre ricompense.

Donna Virginia commossa:

- grazie padre. Mi siti sempri di conforto. Vossia s'abbenedica.

Don Nicola:

- grazie don Paolo. S’abbenedica.

Donna Virginia sorride mestamente, lascia la stretta di don Paolo, va a salutare e baciare donna Cristina, poi si aggrappa al marito al quale fa cenno di andare. Don Paolo li accompagna alla porta salutandoli affettuosamente.

Chiusa la porta don Paolo si affaccia alla finestra a guardare i bambini giocare, li osserva attentamente. poi chiude la finestra e fa un'amara riflessione a voce alta:

- se restassero sempre bambini quante pene gli eviterei!  

Don Paolo va verso la scrivania, fa cenno a donna Cristina di avvicinarsi e con tono perentorio le dice:

- portatemelo subito qui e senza fare tante storie.

Donna Cristina:

- sí scinnu subitu. Ma invece di dirigersi verso la porta si dirige verso la finestra per guardare i bambini giocare] Ma vaddati! Vaddati quantu si vonnu beni: Ninu iavi supra i spaddi a Franciscuzzu e u sta facennu girari pi tuttu u cottili.

Don Paolo:

- fate come vi ho detto, andate.

Don Paolo si accosta alla scrivania e cerca qualcosa fra le sue carte. Donna Cristina, che non vorrebbe scendere a prendere Nino, indugia. Nel frattempo, dopo aver bussato, entra il sagrestano:

- ci sunnu i frati di vossia.

Don Paolo assai irritato si rivolge al sagrestano con tono deciso:

- ditegli che non ci sono, che sono andato via stamattina...

Prima che don Paolo completi la frase i due fratelli sono giá entrati. Quello che era piú avanti quasi ironicamente gli dice:

- addirittura non ci vuoi neanche vedere! Eppure siamo fratelli.

Donna Cristina, invece, che era quasi all'uscio, nel vederli li accoglie con un sincero sorriso e con parole affettuose:

- Matteo, Placiduzzu. Comu sugnu contenta chi vinistu! Comu siti? A casa su tutti boni?

Donna cristina abbraccia e bacia prima Matteo al quale domanda:

- to mugghiri com'è?  E i to figghi?

Matteo risponde calorosamente alle domande di donna Cristina:

- tutto bene, grazie a Dio!

Donna Cristina con lo stesso affetto abbraccia e bacia Placido:

- Placiduzzu, comu sì figghiu? Faciti passari misi mi vi faciti a vidiri, mancu si sariumu luntani.

Placido ricambiando le effettuositá, replica:

- ma voi donna Cristina, sapete dove abito, potete venire quando volete e se non avete la possibilitá mi mandate a chiamare che vengo personalmente io a prendervi.

Donna Cristina:

- oh figghiu duci. Che beddu! Vidi chi belli cosi chi midici! Comu pozzu lassari cá? I travagghi non mancunu e ormai sugnu vecchiaredda e mi stancu. Ma non ci pinsamo, dai. Chi vi pottu? Matteo chi ti fazzu?

Matteo:

- nulla, donna Cristina. Grazie assai.

Donna Cristina:

- ah no! Vi pottu du biscotta all'anici,chiddi chi ti piaciunu quanneri picciriddu.

Don Paolo, visto che donna Cristina si dilungava, con tono perentorio la riprende:

- vi avevo detto di scendere e di fare quella tale commissione. Non perdete tempo!

Donna Cristina:

- vado, vado.

Don Paolo che vuole mostrare una certa fretta:

- venite sempre in momenti e nelle giornate sbagliate. Ho da sbrigare tante cose e le ore scorrono veloci.

I due fratelli sorridono ironicamente, ma intuiscono che veramente il momento non é quello giusto. Poi Matteo il piú grande dei due:

- Paolo non essere sempre rancoroso con noi lo sai che ti vogliamo bene.

Don Paolo replica prontamente:

- certamente non siete qui per dirmi che mi volete bene! Ditemi subito che volete che ho un appuntamento con l'arcivescovo. I miei problemi e quelli di questa casa non possono risolversi in poco tempo. Magari nostro Signore mi desse la possibitá di farlo!

Matteo, mentre Placido gira intorno:

- problemi che si possono risolvere; basta un poco di ragionevolezza.

Placido interviene, aggiungendo:

- ed eliminare l'astio.

Don Paolo innervositosi delle parole dei due fratelli, quasi urlando:

- ragionevolezza, astio. Ma voi che state dicendo? Io ho una grande famiglia sulle spalle e una responsabilitá dalla quale nessuno mi puó sollevare. E non solo devo pensare al presente di questa casa e dei suoi orfani, ma anche al suo futuro, a quando non ci saró piú.

Matteo con tono molto piú dolce:

- Paolo, possiamo sistemare tutto; e certamente non vogliamo che la casa che tu hai aperto venga chiusa e che i tuoi bambini vadano a finire sulla strada. Su questo puoi stare tranquillo. Che l'opera iniziata da te continui é anche nostro desiderio.

Placido:

- noi siamo onorati del tuo impegno e della tua dedizione verso questi fanciulli abbandonati. Hai fatto un’opera grandiosa. Neanche gli sforzi di tanti uomini messi insieme erano riusciti a fare tanto!

Don Paolo:

- bravo Placido hai detto bene! Sono bambini abbandonati e anche disprezzati. Ma non ho fiducia. Voglio dire non metto in discussione i vostri buoni propositi. Non ho fiducia nel genere umano, troppo  egoista, volubile ed opportunista. Non lo dovrei dire, la mia condizione di religioso me lo impedisce, ma la verità che sta sotto gli occhi di tutti purtroppo é questa.

Placido, terribilmente colpito dalle parole del fratello:

- la tua vita e il tuo sentimento sono stati troppo condizionati dalle esperienze negative e forse dovresti essere piú generoso verso il genere umano. E poi noi che colpa ne abbiamo se tu hai sofferto?

Don Paolo:

- io non ho sofferto! Ho dovuto subire le sofferenze da parte di chi avrebbe dovuto evitarmele, e questo è peggiore della sofferenza. Ma é inutile parlarne ancora, anche questo é un vecchio discorso.

Matteo concitato:

- parliamone, invece, cerchiamo di capire fino a che punto c' entrano i tuoi fratelli. Diamo a ciascuno la propria responsabilitá.

Don Paolo lascia le stampelle e si siede in poltrona, ha intenzione di fare un lungo discorso:

- ormai siete qui e sono costretto a sentirvi e parlarvi [pausa]. Non cerco colpe da addossare. Non ho bisogno di trovare un colpevole. Ora mi interessa ben altro. Non posso essere superficiale e non posso permettermi di sbagliare. devo garantire assistenza a questi abbandonati ed accogliere tutti quelli che verranno anche nel futuro. Francamente cerco aiuto ed ho tante difficoltà, e questi sono i miei pensieri e le mie preoccupazioni il resto mi interessa poco.

Matteo fingendo disinvoltura e fissando i ritratti degli antenati alle pareti:

- Paolo siamo qui, infatti, per tentare di risolvere la questione. Siamo disponibili affinché venga garantito il futuro della casa che hai creato. Capisci, peró, che non possiamo rischiare che il palazzo vada in mano a degli estranei. Dopo di te cosa succederá? Te lo sei chiesto?

Don Paolo sta riflettendo e riesce appena a dire:

- ci sto pensando, ma non trovo la soluzione. Tutte mi sembrano inadeguate e so pure che non posso contare sull'aiuto di nessuno.

Placido, che aveva ascoltato tranquillamente interviene:

- Paolo, questo é il palazzo della nostra famiglia e non puó finire in mani estranee. Principalmente devi pensare a ció e poi sai benissimo che questa non era la volontá di nostro padre.

Don Paolo irritato per l'espressione infelice del fratello con veemenza dice:

- lo so, é stata la volontá di Dio. Volontá giusta ed infallibile. Se nostro padre avesse avuto piú tempo e se ci avesse pensato prima mi avrebbe tolto anche questo diritto.

Placido con tono sereno per calmare il fratello:

- non devi dimenticare che sei un religioso e che non avresti potuto garantire una discendenza e quindi il palazzo di famiglia sarebbe stato destinato a me e a Matteo.

Don Paolo, alzandosi a fatica dalla poltrona e perdendo la pazienza, dopo aver preso le stampelle ed essersi messo al centro della stanza, urla:

- insomma, cosa volete? Non ho tempo da perdere in discussioni che abbiamo fatto tante volte. Sappiate che ormai questo palazzo é la casa degli orfani e degli abbandonati. Su questo non recedo minimamente.

Placido e Matteo si avvicinano al fratello e cercano di calmarlo:

- non ti agitare che ti fa male! Stai tranquillo, ascolta almeno la nostra proposta.

Don Paolo ancora piú irritato:

- e allora andate dritto alla questione. Non sopporto questi giri di parole, questo tentare di convincermi con assurdi e complicati ragionamenti. Parlate!

Matteo, che pare non aver capito le intenzioni del fratello Paolo e che continua a girare intorno alla questione, osserva:

- ma Paolo il palazzo é quasi tutto chiuso e per i tuoi orfani ne usi solo una parte! A che scopo tenerlo chiuso?  L' orfanatrofio si puó fare anche in una casa meno prestigiosa.

Don Paolo:

- forse dimenticate che il palazzo è un bene e che puó garantire il futuro all'orfanatrofio. Comunque, andate avanti, vi ascolto.

Placido, aggiustandosi il colletto e parlando come se la questione fosse di poco conto:

- abbiamo parlato con l'arcivescovo; é pronto a mettere a disposizione un locale e soprattutto si impegna a sostenere e vigilare la tua opera non solo adesso, ma anche nel futuro.

Don Paolo piuttosto ironico:

- non credo alla generositá gratuita: qual é stato il prezzo?

Risponde Matteo:

- cediamo il fondo delle vignazze e ....

Mentre Matteo sta ancora parlando entra donna Cristina con un vassoio pieno di biscotti:

- chisti i fici ió e sunnu comu quannu eru picciriddi. Manciati chi ora vi pottu un pocu di rosoliu. Paulinu, pigghiattiniddi uno puru tu.

Don Paolo fa un cenno di rifiuto [non ci pensa minimamente a prendersi il biscotto]; poi con voce astiosa si rivolge alla donna:

- vi avevo detto di portarmi qui Nino, ma voi fate sempre di testa vostra.

Donna Cristina:

- ma Paulinu, sta giucannu e non poi sapiri quantu si sta scialannu Franciscuzzu. U potta supra i spaddi e u fa curriri e iddu ridi, affacciti e vidili. Mancu si sariuni frati.

Don Paolo, che non sopporta le iniziative della donna , torna a sedersi nella poltrona e con tono fermo e deciso:

- vi ho detto di portarmi qui Nino. Certe cose vanno discusse subito, altrimenti si dimenticano. Andate, fate quello che vi ho detto già due volte.

Donna Cristina tergiversando:

- ora ci vaiu. C’i pigghiu du bicchieri di rosolio e to frati e scinnu.

Don Paolo, che non intende che la donna perda ulteriore tempo:

- non portate niente. Se lo vogliono vi chiameró [ poi rivolgendosi ai due fratelli]. E le nostre sorelle in tutto ció che parte hanno avuto? Si accontentano che il nome della famiglia abbia il suo glorioso palazzo oppure sono state ricompensate?

Matteo, fingendo che tutto era stato stabilito in serena concordia dice:

- giustamente abbiamo ceduto qualche cosa del nostro personale patrimonio. Ma devo dire che sono d'accordo e che hanno condiviso il nostro intento con entusiasmo.

Don Paolo con una mano al mento, cinicamente dice:

- se fossi morto senza testamento tutti questi problemi non l'avresti avuti, cosí come non li ho avuti io morendo nostro padre. Ma io francamente, per evitare brutte situazioni ci ho giá pensato, solo che mi resta da modificare qualche piccola cosa, giusto per non lasciare dubbi.

Placido, che era rimasto in silenzio ad ascoltare don Paolo mangiando i biscottini all'anice che gli ricordavano i tempi dell'adolescenza e della gioventú, interviene:

- Paolo forse noi avremmo il diritto di sapere quali siano le tue intenzioni. E poi non hai detto cosa pensi della nostra proposta.

Don Paolo é furioso:

- diritti? Solo perché vedete sfumare le vostre ambizioni di nobili parlate di diritti. Ma è il vostro orgoglio che parla! La vostra nobiltá che mi ha privato perfino dell'affetto di nostra madre ha calpestato non solo il mio diritto di  vivere ma anche quello di scegliere.

Matteo, piuttosto sconcertato:

- Paolo, la mamma é morta giovane e noi non avremmo potuto impedire le decisioni di nostro padre. Noi non ti abbiamo allontanato, sai bene che è stato nostro padre.

Don Paolo, quasi urlando:

- lo so, certo non ci si poteva opporre, ma voi vi siete lasciati contagiare dalla vergogna di avere un fratello, per giunta primogenito, storpio che non riusciva a fare un passo senza il sostegno di qualcuno. Uno storpio da rinchiudere, da tenere lontano e nascosto, una figura umana che avrebbe gettato vergogna sulla famiglia, uno scandalo intollerabile che non poteva essere mostrato all’esterno, agli amici a i parenti [ don Paolo si ferma. Ha come un nodo alla gola, ma poi prende un respiro e continua]. La maggiore vergogna che aleggia nelle stanze di questo palazzo è legata alle feste,  ai convivi fra tavole imbandite riccamente e musiche allegre, per celebrare la nascita del primogenito del barone Munnia. Ma poi quando si accorsero di queste gambe......

Placido, che aveva ascoltato attentamente:

- non puó essere una colpa gioire per la nascita di un figlio!

Don Paolo maggiormente irritato per non essere stato capito dal fratello:

- non é la nascita che deve dare gioia ma la vita del figlio. Un figlio é sempre da mostrare, anche se storpio o se in qualunque modo colpito dalla malasorte.

Matteo, che capiva il risentimento di don Paolo nei confronti del padre:

- Ma anche lui ha sofferto tanto. La tua condizione gli aveva reso infelice la vita.

Don Paolo:

- non é necessario ricordarmelo.  Appena si accorse delle mie gambe senza energia e della mia impossibilitá di camminare, mi ha allontanato dai suoi occhi, chiudendomi con donna Cristina nell'appartamento piú lontano dal suo. Di tanto in tanto veniva a trovarmi la mamma. Mi guardava tristemente e si sentiva colpevole di avere dato al  marito un figlio invalido. A  volte sentivo le grida dei vostri giochi e i vostri pianti ed avrei dato la qualunque cosa se avessi potuto essere presente.

Matteo:

- credimi, anch’io volevo giocare con te. Soprattutto quando è morta la mamma.

Don Paolo ancora con tono fiero e quasi spavaldo:

- e poi cominciarono i collegi, dove nessuno veniva a trovarmi; e dopo i collegi il seminario. Ah come avrei voluto fuggire da quelle prigioni! come avrei voluto essere con voi a casa con la mia famiglia! E queste gambe ferme, morte, inutili che mi impedivano di andare. Guardavo dalle finestre e vedevo la libertà, ma non era per me. Mai una visita, un rientro a casa. Solo lettere piene di bugie, anche quando una ricorrenza o un evento avrebbe richiesto la mia presenza. Vi sarete accorti che ai funerali della mamma non mi ci portarono. Vero?

I due fratelli ascoltano don Paolo con attenzione e nello steso tempo pensano a tutte quelle occasioni perdute che avrebbero potuto unirli. Il senso d'isolamento vissuto da don Paolo li pervade e si mostra in un sottile pentimento che non riesce, però,  a manifestarsi. Matteo si sente commosso e riesce a dire:

- hai ragione Paolino, ti abbiamo abbandonato! Ma siamo in tempo per rinsaldare l'affetto della nostra famiglia.

don Paolo rammaricato:

- quello che avrebbe bisogno di rinsaldare gli affetti con la famiglia sono io. Lo sconosciuto per voi fratelli e per le sorelle e per tutti i nipoti sono io. Voi non sapete chi sono realmente io! Mi sento uno sconosciuto fra voi! Ma anche se la vita che ci resta ci concedesse di conoscerci veramente come fratelli, chi potrebbe compensare il vuoto di una vita senza affetto e senza amore?  Ho avuto con me donna Cristina, la chiamavo mamma. Ma io avevo il bene a portata di mano e non potevo goderne. Ora sono i miei orfani a darmi quello di cui la vita e la sorte mi hanno privato. Ringrazio Iddio. Nulla puó essere piû grande di questo bene.

Matteo:

- come vorrei rimediare!

Don Paolo di scatto e pieno di rabbia:

- avete trovato il sistema giusto per rimediare: prendervi il palazzo, la casa degli orfani.

Placido quasi irritato per l'amara osservazione del fratello:

- non siamo qui per cacciare i tuoi orfani, ma per dare alla nostra famiglia il suo palazzo. Gli orfani avranno una loro casa e per sempre.  A meno che tu non voglia punirci e non voglia realizzare la tua vendetta.

Don Paolo, piuttosto contrariato:

- non dimenticare che sono un religioso, anche se non per mia scelta; la mia umanitá, il mio rispetto per l'uomo non mi permette di conoscere la vendetta. Ma sono debole e fragile come tutti gli uomini e non sempre nostro Signore mi dá la grazia della tolleranza. Ho imparato ad accettare la volontá del Signore ed ho sperimentato il suo sostegno; affidandomi a Lui non sbaglio, per questo devo dirvi che la vostra proposta non mi interessa. Tuttavia, se il Signore mi lancia segnali per accettarla non mi opporró minimamente, anzi saró ben felice di lasciare questo palazzo alla mia famiglia.

Placido, che aveva ascoltato il fratello guardandolo negli occhi, risponde:

- questa non é una soluzione e non abbiamo discusso di nulla!

Matteo a sostegno di Placido:

- infatti, le proposte vanno discusse! Ad una proposta si risponde con altra proposta. Ci sará un'alternativa, faccela conoscere, forse potremmo trovare punti d'accordo.

Don Paolo con tono sfiduciato ed ormai stanco per il tempo che aveva sottratto ai suoi impegni, taglia definitivamente la discussione:

- purtroppo non c'é alternativa. In questo momento é questa la situazione. Adesso lasciatemi al mio lavoro gli impegni sono tanti e l'etá avanza: non riesco a risolvere piú cose in una giornata, come facevo prima.

I due fratelli si scambiano uno sguardo d'intesa: hanno capito che é inutile insistere. Per adesso don Paolo ha altre questioni per la testa piú urgenti e piú brucianti. S'avvicinano al fratello, lo abbracciano e con sincera riverenza lo salutano.

Placido:

- s'abbanedica.

Matteo:

- sia lodato Gesú Cristo.

Don Paolo, accompagnandoli alla porta:

- ora e sempre sia lodato.Siate benedetti.

Chiusa la porta della sala don Paolo sente un fuoco che gli sale dallo stomaco alla gola. Aspetta qualche minuto affinché non venisse sentito dai due fratelli, poi rompe il silenzio della stanza con un urlo quasi animalesco:

- donna Cristina! Donna Cristina! [nessuna risposta]. Donna Cristina, benedetta donna, dove siete?

Si apre la porta e appare donna Cristina:

- cá sugnu. Paolo, chi c'é? stava cuppagnannu a Placidu e a Matteo. Javia assai chi ne vidia! Ma chi ci dicisti? Mi pariunu siddiatii!

Don Paolo:

- non sono affari vostri. Vi avevo detto di portarmi qui Nino e non l'avete ancora fatto. Ho capito che vi piace farmi arrabbiare. Non capite che lo devo punire! Che devo salvarlo dall'abbandono perenne. Devo sistemarlo in una famiglia. Non puó restare a vita in questa casa.

Donna Cristina, quasi scandalizzata dalle parole di don Paolo:

- ma Paulinu, chi stai dicennu? A casa i Ninu é chista! [s'avvicina teneramente a don Paolo e quasi sussurando continua]. U sai ca cetti voti m'avi chiamato mamma? Comu a tia quann'eri picciriddu.

Don Paolo paonazzo in volto e molto arrabbiato, si lascia cadere in una poltrona:

- andate, non state lí a fare prediche che il prete sono io! uscite e fate quello che vi ho detto fin da stamattina. correte!

Donna Cristina va verso la porta borbottando:

- curru, curru. Comu u putia putari cá u picciriddu si c'erunu i to frati? Mah! Pacenza!

Mentre donna Cristina apre la porta, don Paolo cambia decisione. Si volta di scatto verso la donna e le dice:

- anzi, fate una cosa piú urgente andate da Marianna Castiglia e ditele che devo parlarle urgentemente. scendendo dite al sagrestano che ho due commissioni per lui.

Donna Cristina:

- da Marianna Castiglia?

Don Paolo:

- sì, andate, via, via non perdete altro tempo!

Donna Cristina, perplessa:

- vado, vado [e chiude la porta dietro di sé]

Don Paolo si rialza dalla poltrona e con fatica si porta al centro della sala. Ha mille pensieri in testa e non sa da dove incominciare. Ma il suo unico obiettivo é trovare una famiglia a Nino. Sente bussare alla porta ed invita ad entrare:

- entrate! Entrate!

E ' il sagrestano col berretto in mano :

-  vossia mi cumannassi.

Don Paolo gli si avvicina per farsi capire meglio:

- andate dall'avvocato Cancilia e didegli che deve parlargli urgentemente. La stessa cosa dite a don Gaetano Runci, il fattore del barone Belviso. Ripeto: l'avvocato Cancilia e il fattore Gaetano Runci.

Il sagrestano fa cenno col capo di avere capito. Esce. Don Paolo al centro della sala su di una stampella e con una mano sotto il mento. Ha il cervello in fiamme: deve trovare una soluzione. Stringe la bocca come per dare piú forza al suo cervello e poi si  convince che ce la puó fare:

- troveró la soluzione.

FINE I ATTO

INASCOLTATE VOCI

ATTO II

La scena si apre sulla solita sala. Don Paolo é seduto dietro la scrivania intento a leggere carte e a prendere appunti. Sente bussare e con voce sommessa dice:

- avanti!

Appena il tempo di completare la parola che la porta si apre, facendo apparire donna Marianna Castiglia accompagnata da donna Cristina.  La donna ossequiosamente saluta:

- salutate Gesú Cristo!

Don Paolo si alza dalla sedia con difficoltá, prende le due stampalle e va incontro alla donna:

- ora sempre,  cara figliola! Grazie per avere dato ascolto alla mia preghiera. Ho urgenza di parlarvi.

Donna Marianna accelera il passo per evitare la fatica a don Paolo, poi quando gli é vicina gli prende la mano destra e gliela bacia con reverenza:

- padre non ringraziatemi, sono felice di essere qui e soprattutto se posso esservi utile. Sono io che ringrazio voi.

Don Paolo fa cenno a donna Cristina di uscire e poi indica a donna Marianna di accomodarsi. Appena lei si siede su una poltrona gli si pone di fronte all’impiedi. Inizia a parlare lentamente evitando inutili parole:

- vi sarete meravigliata di avervi fatto chiamare, ma la questione che vi devo esporre é molto urgente e se non conoscessi la vostra sensibilità e la Vostra generosità con cui date aiuto a questa casa non l'avrei mai fatto.

Donna Marianna confusa dai tanti complimenti, risponde:

- nulla padre, nulla. Se posso fare qualcosa per i vostri bambini lo faccio con tutto il cuore.

Don Paolo decide di arrivare subito alla questione:

- donna Marianna, ho un bambino da collocare in una famiglia. Non posso trattenerlo più nella casa; non voglio correre il rischio che ci resti a vita. Come voi sapete noi cerchiamo di affidarli piccolissimi alle famiglie affinché il legame affettivo si solidifichi presto. Ma questo bambino non ha avuto la fortuna di trovare una famiglia. No che siano mancate le occasioni, ma ogni qualvolta che gli é stata data una famiglia poi sfortunatamente, non saprei dirvi i motivi, lo hanno riportato qui.

Donna Marianna che aveva ascoltato con attenzione dice:

- e cosa posso fare per questo bambino?

Don Paolo sembra non aver sentito la domanda della principessa e non risponde. continua:

- tempo fa mi avete parlato della grande gioia di vostra cugina che ora fa da mamma ad un nostro bambino. Quando ne avete parlato i vostri occhi esprimevano tanta felicità e tanta malinconia. Prendete Nino per figlio. Sono certo che potrà darvi tanto amore e che potrà riempire la vostra casa di felicità. E’ un bambino buono ed affettuoso, ed ha bisogno di tanto amore.

Donna Marianna, che non si aspettava tale proposta, si alza dalla poltrona, guarda più da vicino don Paolo e con tono risoluto dice:

- se Dio non mi ha voluto fare madre, non sarò certo io a cambiare le cose e ad andare contro la sua volontà. Non si può essere madri senza conoscere le doglie del parto!

Don Paolo molto imbarazzato a causa della imprevista risposta, non sa cosa dire. Donna Marianna, dopo una breve pausa riprende il discorso:

- comunque, contate sul mio aiuto; scriverò ai miei parenti e troveremo una famiglia per Nino.

Don Paolo scoraggiato, ma quasi implorando:

- ma io per Nino avevo pensato a voi come madre. Voi sareste la madre giusta, lo sento. Non mi sbaglio.

Donna Marianna:

- perdonatemi! Non posso essere madre!  Dio non l'ha voluto. Non me la sento.

Don Paolo, deluso dalla risposta, con voce interrotta dice:

- non potete conoscere quale sia la volontá del Signore e soprattutto non potete conoscere il significato di questa privazione. Forse che abbia voluto farvi madre diversamente? Io penso di sí: avete tutte le qualitá per essere madre.

Donna Marianna si alza lentamente dalla poltrona e poi con tono duro, avvicinandosi a don Paolo replica:

- vi prego, non aprite una ferita da tempo chiusa. [lunga pausa, poi donna Marianna prende la mano di don Paolo e baciandola continua] Perdonatemi, non posso. Datemi la vostra benedizione.

Don Paolo impreparato a quella risposta con voce flebile risponde:

- siate benedetta. Ma pensateci! Un figlio può… può darvi tanto. E voi meritate tanto.

Un improvviso sferrare di carrozze e di zoccoli insieme alle allegre grida dei bambini si alza dal cortile e sembra colmare il vuoto che stava lasciando donna Marianna che mestamente esce. Don Paolo é rimasto immobile. Uscita la donna il rumore diviene quasi assordante: é arrivato qualcuno. Richiama tutte le sue forze, suda, sente il cervello scoppiare non puó rischiare un altro no. Deve convincere l’avvocato o il fattore a prendersi Nino. Con le stampelle va verso la scrivania si siede cerca di calmarsi non ci riesce. Donna Cristina bussa e apre la porta e con atteggiamento molto cerimonioso introduce i due ospiti:

- avanti, avanti! a saluti comu va?  E la famiglia chi dici?

Ciascuno degli ospiti risponde che tutto va bene, ma entrambi sono confusi: non capiscono cosa voglia da loro don Paolo, il quale senza alzarsi li accoglie ossequiosamente:

- buongiorno! avanti! vi ringrazio di essere venuti. E grazie anche per la sollecitudine. Ma vi siete dati appuntamento? Come mai insieme?

L’avvocato Cancilia:

- ma ci siamo incontrati qui sotto, proprio davanti al vostro palazzo.

Don Paolo con molta calma si alza prende le stampelle e va verso i due ospiti. L'avvocato Cancilia anticipa il fattore, va verso don Paolo e gli bacia la mano:

- s'abbenedica reverendo. Spero che non sia successo nulla di grave.

Don Paolo lo rassicura con un cenno della mano e poi aggiunge:

- nulla di grave! Un problema per la cui risoluzione non ci vogliono né avvocati né giudici!

Mentre don Paolo va incontro al fattore, che era rimasto quasi sull' uscio, l' avvocato ironicamente continua:

- speriamo allora che non ci voglia la mano di Dio!

Don Paolo porge la mano all'altro ospite. Coglie la battuta ironica dell'avvocato al quale lanciando un'occhiata fa capire che é quello che ci vuole. Poi saluta don Gaetano:

- benvenuto don Gaetano, come state? E vostra moglie?

Don Gaetano bacia la mano di don Paolo:

- s'abbenedica! [dopo qualche secondo di riflessione risponde alle parole del prete]: padre, si tira e si accetta la volontá del Signore, anche se é doloroso.

Donna Cristina che era rimasta immobile, improvvisamente smorza la discussione che stava assumendo toni tristi:

- vi pottu du biscottini all'anice freschi; li ho fatti ieri mattina; e vi pottu puru un bicchirino di rosolio fatto pure da me. Cosí discurriti megghiu!

L'avvocato Cancilia:

- grazie donna Cristina. Lo so che il vostro rosolio fa resuscitare i morti. Portatemene un bel bicchiere da vino!

Donna Cristina orgogliosamente:

- ma certo avvocato! Vi ni dugnu puru na bottigghia pa casa. Intanto datimi u mantellu e u bastoni.

L’avvocato si toglie il mantello e lo porge insieme al bastone a donna Cristina:

- grazie! Grazie.

Don Paolo che non ha gradito l'interruzione causata da donna Cristina, coglie al balzo l'occasione:

- Donna Cristina, portate nella cantinella l'avvocato e fategli scegliere due bottiglie di vino. Non c'é piacere maggiore sapere che il vino buono é bevuto da veri intenditori.

L'avvocato ha capito che deve lasciare soli don Paolo e don Gaetano, il fattore, e senza tentennamenti raggiunge donna Cristina, la quale ben felice di regalare il suo rosolio, invita l'avocato a seguirla:

- venite venite avvocato. Stati appressu a sta vecchia.

I due escono. Don Paolo non sa come cominciare il discorso: troppo dolore attanaglia don Gaetano! Don Paolo cerca le parole giuste e il tono più appropriato:

- vi ho mandato a chiamare perché so che il dolore vostro e di vostra moglie é ancora come il primo giorno. Con un poco di buona volontà e con la preghiera si può ricominciare daccapo.

Don Gaetano quasi in lacrime:

- padre, come possiamo ricominciare daccapo quando ci manca l'unico figlio che il Signore ci aveva mandato? Casa nostra é una tomba; anzi é la tomba di nostro figlio. Nulla potrà riportare l'allegria di un tempo. Chi ci potrà dare la gioia di un figlio che ti aspetta!

Don Paolo:

- ma forse il Signore vi potrebbe dare un'ulteriore possibilità. Qui abbiamo tanti bambini e certamente uno di essi potrebbe non cancellare, ma attutire il dolore. So bene che la morte di un figlio te la porti dentro come una spina nel cuore, ma bisogna andare avanti. Tutto quell'amore che voi e vostra moglie avevate per vostro figlio potete darlo ad un altro.

Don Gaetano con voce accorata:

- don Paolo, mio figlio é stato privato della luce, delle bellezze del mondo, é stato privato di tutto, della vita, non possiamo togliergli pure il nostro amore. Io e mia moglie lo teniamo in vita amandolo e ricordandolo sempre.

Don Paolo commosso non sa come insistere, aggiunge timidamente:

- voi non vivete d'amore, ma avete trasformato il bene e l'amore in dolore. Un bambino potrebbe....

Don Gaetano con parole ferme:

- vi prego padre, non insistete. Io e mia moglie abbiamo scelto di continuare cosí la nostra vita [don Gaetano si alza e continua]. Se non avete altro da dirmi andrei via.

Don Paolo cerca di fermarlo, ma non sa quali parole usare. Sente il cuore battere all'impazzata e vorrebbe fare ragionare quell'uomo, fargli capire che non solo il figlio morto ha bisogno di affetto ma anche quelli vivi, quelli che le disgrazie della vita li hanno costretti in orfanotrofi:

- aspettate don Gaetano. Con un altro figlio non cancellate la memoria di quello che è morto! Forse anche vostro figlio avrebbe desiderato un fratello!

Don Gaetano, che era arrivato quasi all'uscio, si gira, torna indietro e replica:

- noi non abbiamo voluto altri figli per dare tutto l'affetto a lui.

 

Don Gaetano prende la mano di don Paolo la bacia e lo saluta:

- vossia s'abbenedica.

Don Paolo non può rispondere, un nodo gli sta serrando la gola.  La rabbia lo vince e con un gesto rapido butta a terra alcune carte accumulate sul tavolino vicino a lui. Don Gaetano sparisce oltre l'uscio da dove provengono le voci di donna Cristina e dell'avvocato Cancilia:

- bevetelo alla salute nostra e che la grazia di Dio non ci abbandoni mai!

L'avvocato Cancilia oltrepassa l'uscio:

- lo berró pure alla salute di don Paolo, perché abbia lunga vita e forza e possa continuare la sua opera, come ha sempre fatto.

Don Paolo decide di essere diretto. Fa un cenno con la mano a donna Carolina, perché si allontani:

- é proprio di questo che devo parlarvi. Dei miei bambini, di sti picciriddi. Nella vostra bella famiglia manca un bambino. Vorrei affidarvene uno.

Le parole di don Paolo trovano impreparato l'avvocato, il quale, per prendere tempo prima della risposta, dice:

- ah! Ecco perché don Gaetano aveva la faccia piú nera del carbone! Sicuramente gli avete fatto la stessa proposta.

Don Paolo:

- non vi ho fatto chiamare per parlare di don Gaetano e della sua faccia. Il Signore vi dà la possibilità di prendervi un bambino e di avere quel figlio che sempre avete desiderato. Un figlio riempie la vita e dà significato ai vostri giorni, al vostro lavoro.

L'avvocato molto confuso balbetta:

- ma io non so, dovrei sentire mia moglie, e poi... e poi così velocemente come si fa a decidere.

Don Paolo va verso la finestra, la apre e con un gesto autoritario dice:

- venite a vedere quanta gioia c'é in questa casa ma che rallegra solo i muri; guardate quanto bene e amore chiuso in questo cortile e che potrebbe dare, invece, gioia, vita, allegria.

L'avvocato Cancilia si sporge dalla finestra e guarda con attenzione, poi richiude. Fissa i suoi occhi in quelli di don Paolo, li abbassa e dice:

- avete ragione, padre! Tanto amore che non vede la luce. Non sappiamo aprire il cuore, ci manca il coraggio.

Don Paolo si lascia cadere nella poltrona più vicina e lascia cadere le stampelle. Ha l'impressione che anche con l'avvocato sarà un fallimento. Adesso non sa come continuare. L'avvocato riapre la finestra e si sporge per guardare ancora. Si sentono i bambini giocare. Richiude la finestra e meravigliato dice:

- uno si sta divertendo portando sulle spalle un altro piú piccolo.

Don Paolo:

- non lo fanno per gioco: quello che sta sulle spalle é paralitico, come me. L' altro se lo porta a spasso per non lasciarlo solo.

L'avvocato:

- deve essere molto forte!

Don Paolo coglie lo spunto per continuare a parlare:

- é il bambino che vorrei darvi per figlio. Si chiama Nino. L'hanno portato qua che aveva appena un anno, magro, malato, sporco. Ma é bastato latte e pane ed é cresciuto meglio degli altri. E’ forte, ma anche buono e sensibile.

L'avvocato Cancilia, curioso, chiede:

- e come mai é ancora con voi? Mi pare che voi li date alle famiglie quando sono ancora piccoli.

Don Paolo é indeciso, non sa se dire la verità. Alla fine tergiversando e balbettando dice:

- Nino si é affezionato come ad un fratello a Francescuzzu, il paralitico che porta sulle spalle. Ogni volta che si é presentata l'occasione di andare ad una famiglia é stato troppo male per avere lasciato il suo amico e lo hanno riportato qui. Adesso mi pare che devo essere più duro e non lasciarmi intenerire.

L'avvocato appare confuso e sinceramente commosso:

- sarebbe bello se tutti e due trovassero la stessa famiglia, proprio come due fratelli.

Don Paolo impaziente:

- avvocato che ne dite? Un figlio d’amare e che ricambierà il vostro amore. Non sarete più soli.

L’avvocato non ha parole, si confonde:

- i miei nipoti… i miei fratelli ... per i miei nipoti sono come un padre….

Don Paolo lo interrompe:

- ma non lo siete! Ricordatevelo! Anzi il proverbio dice: niputi putili! Un figlio, anche se non del proprio sangue, é sempre un'altra cosa!

L'avvocato Cancilia:

- é proprio questo il problema che sarebbe un figlio solo di nome e di fatto. E il sangue? I miei fratelli si sentirebbero traditi, le cose di nostro padre andrebbero ad uno sconosciuto.

Don Paolo risentito per le osservazioni dell'avvocato replica:

- scusatemi avvocato, ma voi pensate veramente che fare una famiglia sia solo il sangue? La famiglia si basa sull'amore e l'amore é l'unico vincolo che lega i diversi componenti. I  vostri nipoti adesso sono piccoli e come tutti si legano alle persone che gli mostrano affetto; ma pensate a quando saranno grandi: quelli che avranno materialmente di meno da voi odieranno quelli che avranno avuto di più, anche se fossero fratelli, e vi porteranno sempre rancore perché a loro parere non avete fatto le cose giuste. Ma voi avete desiderato veramente di diventare padre?

L'avvocato gira per la sala e fingendo disinvoltura ora guarda un quadro ora un tappeto ora l'orologio sulla consolle, poi repica:

- io e mia moglie abbiamo invidiato i nostri fratelli e le nostre sorelle: non é mai stata un'invidia livida, ma una sorta di continua domanda, perché essi sì e noi no? ce lo siamo chiesto più volte soprattutto quando i loro figli riempivano con i loro giochi le stanze della nostra casa e quando andavano via lasciavano vuoti, silenzi e tanta malinconia. Un giorno abbiamo parlato pure dei vostri bambini, ma non abbiamo avuto il coraggio di affrontare la conversazione fino in fondo. Ciascuno di noi due non voleva fare sentire l'altro in colpa. L’impossibilità di diventare genitore è un doppio dolore: per i figli che non si hanno avuti e per avere negato al coniuge la gioia di essere chiamato padre, madre.  

Don Paolo  percepisce che sta perdendo tempo e che non riuscirà a convincere l'avvocato, cerca quindi di concludere la conversazione:

- avvocato, deduco che preferite vivere nel silenzio della vostra casa. Che il Signore vi dia conforto e che sostenga pure vostra moglie.

L'avvocato Cancilia si gira verso il prete lo guarda rassegnato e s'avvia alla porta. Torna indietro prende la mano di don Paolo la bacia e dice:

- mi dispiace! perdonatemi. S'abbenedica.

Don Paolo non puó rispondere, fa solo un cenno di saluto con la mano. Poi piomba nella poltrona prendendosi la testa fra le mani. Il cervello é in tumulto e si sente avvampare da un fuoco invisibile. Ma sa che non può arrendersi, che non può distruggere e condannare la vita di Nino. Deve pensare ancora, deve escogitare una soluzione, piaccia o no, deve riuscirvi. Si alza dalla poltrona e sulle stampelle gira per la sala, ma sente che i muscoli si stanno irrigidendo che la mente si sta offuscando. Dall' addome sente salire l'angoscia che si ferma alla gola e non lo fa respirare. Finalmente un urlo lo libera:

- perché diviene impossibile dare un padre ad un figlio? Mio Dio aiutaci tu! Sento che le forze stanno sparendo, non mi abbandonare pure tu.

Travolto dall'ira, aiutandosi con una stampella travolge tutto quanto gli capiti sotto gli occhi, urla ancora:

- Signore non posso abbandonare Nino. Illuminami per aiutarlo.

Si apre la porta e appare donna Cristina spaventata, si porta le mani al volto:

-Gesú, Gesú, chi sta succitennu? Paulinu, chi fu?

Donna Cristina cerca di raccogliere gli oggetti sparsi sul pavimento; don Paolo é paonazzo e fermo al centro della sala:

- Maddunuzza bedda, chi ti pigghiau?

La donna si rende conto che don Paolo non sta bene, quindi l'avvicina e lo prende sotto il braccio per farlo sedere. Lui si lascia guidare. Man mano che lo spinge verso la poltrona lo tranquillizza:

- cammiti Paulinu! Contra a voluntá du Signuri non si pò annari.

Lo fa sedere e gli toglie le stampelle dalle ascelle, continua a parlare:

- ma tu voi ruvinari tuttu chiddu c’amu fattu finora? U sai chi si ti senti mali cá non ce nuddu chi sapi commanari? Statti cammu pi carità. Ancora hai tanti cosi i fari pi sta casa.e Ma poi mu dici picchì t’à pigliasti a cori sta storia i Ninu? Chi c'é sulu Nino ta sta casa? Ti stai scuddannu dill'autri.

Donna Cristina va verso un tavolo versa dell'acqua in un bicchiere e teneramente lo porge a don Paolo:

- bivi! leggio leggio chi t'affui. Ancora si tuttu ribillato!

Don Paolo beve lentamente; sente riacquistare le forze; poi quasi balbettando e facendo cenno a donna Cristina di riprendersi il bicchiere dice:

- Non posso condannare un bambino a restare sempre senza una famiglia, gliela devo trovare!

Donna Cristina:

- Paulinu, non insistiri. No vidi chi nuddu di tri u vosi?

Don Paolo a cui il bicchiere d'acqua aveva dato nuovo vigore:

- non perdete mai il vizio di origliare!

Donna Cristina:

- giá, picchi si si l'avissiru pigliatu ti vinia a bava a bucca! A mumentu murivi!

Don Paolo, che adesso é più calmo ha già pensato ad altra soluzione:

- scriverò a Palermo, a Catania. Lo mando in un posto da dove non potrà scappare. Ma da questo  orfanatrofio se ne deve andare. A costo di ridarlo a don Nicola e di farlo legare con una catena di ferro al letto.

Donna Cristina cerca di smorzare i toni:

- e quannu su pigghia na famigghia luntana comu facemu a sapiri su trattunu bonu? A cu conuscemu chi ni pó fari na cosa simili? Aviri pacenza! C'iá truvari na famigghia cà vicinu.

Don Paolo, ormai calmo e rilassato:

- non é facile! Il fatto é chi stu disgraziatu i picciriddu voli stari cu Franciscuzzu.

Donna Cristina sorride:

- no voli lassari! Chiddi su comu a du frati.

Don Paolo:

- lo so, lo so. Ma Franciscuzzu é perduto, purtroppo: nessuno se lo porterà a casa; è destinato a restare con noi. Lo vedete quando vengono qui: lo guardano, lo accarezzano, ci lasciano l’elemosina, ma neanche domandano come si chiami. A chi può interessare un bambino storpio e deficiente? Lo hanno portato qui apposta per liberare il mondo, secondo loro, da un essere inutile.

Donna Cristina:

- ma Ninu u voli beni! Comu su cura!

Don Paolo:

- questo é stato lo sbaglio! non abbiamo avuto il coraggio di separarli prima e ora è troppo tardi. Ma dobbiamo salvare Nino. Purtroppo Franciscuzzu ne soffrirà ma non possiamo permetterci di condannarli tutti e due allo stesso destino.

Donna Cristina che continua a mettere ordine nella stanza, si accorge che l’avvocato Cancilia ha dimenticato il mantello e il bastone:

- cu sapi a cu pinsava l’avvocatu! Si scuddau u mantellu e u bastuni. Ora ci mannu cu sagristanu.

Don Paolo si gira, guarda donna Cristina e poi gli ordina:

- posate tutto lì. Verrà più tardi a prenderseli. Non scomodate nessuno.

Donna Cristina posa tutto in maniera ordinata su una poltrona:

- comu dici tu. Comu veni ci dugni.

Donna Cristina dopo una lunga pausa si avvicina a don Paolo e quasi sussurrando gli dice:

- Paulinu, ma comu si ponnu dividiri sti du picciriddi? Sunnu megghiu di du frati.

Don Paolo amareggiato e carico di pensieri:

- niente sentimentalismi! Bisogna andare avanti e via, senza pensarci due volte.

Donna Cristina, alzando le mani ed implorando la grazia divina, esclama:

- Dio mio, come non puoi capire! Tu stissu dici chi quann'eri te culleggi e to siminariu vulivi scappari e si non era pi jammi motti avissi scvappatu. Tu ricoddi comu mi stringivi fotti fotti quannu t'aviunu a pottari a colleggiu? Quanti lacrimi, Signuruzzu! Tu vulivi scappari picchì vulivi a mia.

Don Paolo cerca le stampalle, le trova e si tira su. Si dirige verso donna Cristina:

- non ricordatemi quel periodo. Non ricordatemi tutte quelle pene. Ma non capisco che c'entra la mia storia con quella di Nino.

Donna Cristina, si gira e con un sorriso mesto, risponde:

- e invece c'entra. Tutti i dui non vuliti peddiri u beni.

Don Paolo:

- ma se appena gli diamo una famiglia che gli vuole bene scappa!

Donna Cristina sempre mestamente:

- e iavi raggiuni i scappari: a so famigghia é Francescuzzu; l'unicu beni soi é Franciscuzzu. Si cucca cu iddu, ci dugna a manciari u latti, u fa giucari. E Franciscuzzu ci ridi e u cecca. Chista è a so fammigghia!

Don Paolo alza il tono della voce:

- ma che dite? Siccome è affezionato a Franciscuzzu, secondo voi, lo devo lasciare sempre qui? Io voglio che abbia una famiglia regolare con padre, madre e persino fratelli...

Donna Cristina:

- Paulinu, Ninu non sapi chi voli diri peddiri u beni du padri e da madri, non l'avi mai conusciutu. Ma si pedde l'affettu d'un frati sapi chiddu chi peddi. Paulinu, chistu a fari: non c’iá fari peddiri a so frati!

Don Paolo spazientito:

- donna Cristina la vecchiaia vi fa farneticare, non sapete quello che dite.

Donna Cristina va verso la finestra:

- non sacciu chiddu chi dicu? facciti, vidulu chi to occhi: sunnu sempi insemi. E Nino sapi chi senza iddu Franciscuzzu non po’ stari.

Don Paolo ascolta superficialmente donna Cristina, mentre un altro progetto balena nella sua testa e quasi liberandosi di un peso dice a se stesso a voce alto:

- vogliono il palazzo? Glielo do, ma devono prendersi cura dell'orfanatrofio e dare una famiglia a Nino e a Franciscuzzu.

Donna Cristina lo guarda sconsolata, gli si avvicina, vorrebbe dirgli qualcosa, ma sa che é inutile. Tuttavia non puó fare a meno di dire:

- ricuminciamu n'autra vota! San Vincenzu Ferreri mantenini i sintimenti!

SCENA II

La scena é ambientata nella solita sala; si ode un certo brusio. Dietro alla scrivania c'é don Paolo; davanti alla scrivania, seduti, i suoi due fratelli Placido e Matteo. Più distante donna Cristina che rassetta. La voce di don Paolo si alza su tutte:

- i proverbi antichi sono proprio veri! La notte porta consiglio e per quanto riguarda la nostra questione di notti ne sono passate più di una, per cui la decisione é stata pensata e ripensata.

Placido felice delle espressioni del fratello:

- eh, sì! Certe decisioni non si possono prendere all'improvviso, senza pensare i pro e i contro. E poi la nostra é sempre stata una famiglia che pur salvaguardando l'orgoglio l'onore, ha sempre scelto la discussione e l'accordo.

Don Paolo:

- spero che non mi direte di no. É brutto parlare di accordi fra fratelli, vero Matteo? Ma noi non siamo eterni e dobbiamo lasciare a chi viene dopo di noi le cose belle e fatte, scritte dal notaro, così non nascono malintesi futuri.

Matteo, un po' sospettoso del cambio d'intendimenti del fratello, fa un cenno di consenso con la testa e poi aggiunge:

- già! Che sappiamo cosa succede dopo di noi? Meglio regolarsi con le carte scritte.

Don Paolo riprende il suo discorso:

- non posso lasciare il palazzo nelle mani di sconosciuti, sono certo che alla mia morte lo spoglierebbero come la vigna a settembre. Nello stesso tempo l’orfanatrofio deve continuare a vivere. Mai nessun bambino dovrà essere rifiutato. E l'impegno non deve essere solo nostro ma anche dei vostri figli e dei figli dei vostri figli.

Placido interrompe il fratello:

- ma proprio per questo abbiamo cercato il sostegno dell'arcivescovado. La chiesa é eterna e può vigilare sull'orfanatrofio e su i suoi beni.

Matteo aggiunge:

- anche l'arcivescovado avrà il suo tornaconto: gli abbiamo destinato per vigilare un fondo.

Don Paolo, che non perde di vista i fratelli, cerca fra le sue carte gli appunti e dice:

- ho già parlato col notaio e mi ha fatto una relazione di come più o meno devono andare le cose.

Non trovando gli appunti si spazientisce:

- quando si cerca una cosa non si trova.

Matteo:

hai fatto bene a parlare col notaio!

Placido rivolgendosi a don Paolo:

- cerca con calma che sicuramente é in mezzo a tutte le scartoffie.

Don Paolo:

- ti pare, Placidino! Non sono scartoffie é tutto lavoro; é fatica che mi sta aspettando da tanti giorni. Eccola qua; si era nascosta.

Don Paolo apre il foglio piegato, si mette più comodo per leggere meglio, guarda i fratelli e poi con un tono remissivo a lui sconosciuto dice:

- però c'é dell'altro di cui non avevamo parlato nell'ultima discussione. Si tratta di un impegno di cui é indispensabile che voi ve ne facciate carico.

Matteo sorridendo ironicamente:

- mi era sembrato troppo facile! Sentiamo quale trappola ci hai preparato.

Placido:

- prima sentiamo, no?

Don Paolo già sente il sangue arrivargli alla testa, ha il tempo di dire "sentite" che donna Cristina prevedendo un suo attacco d'ira, interrompe la conversazione:

- comu sugnu contenta! Finalmenti sta storia finisci! Mi paria na cosa cusí brutta che fra vui frati c'eruni sti discussioni!

Don Paolo tirando un sospiro di sollievo:

- come al solito vi impicciate delle cose che non sono vostre.

Donna Cristina:

- e chi dissi, paulinu! Mezza parola parai. E chi é vu scuddastu chi vi fici di madri?

Don Paolo:

- ora basta! state zitta e andate sotto. Stiamo discutendo di cose che non vi interessano.

Poi si rivolge ai fratelli riprendendo il discorso interrotto:

- vi stavo dicendo che il vostro impegno è indispensabile. Anzi è una condizione.

I due fratelli si guardano a vicenda interrogandosi con gli occhi. S’avverte un certo imbarazzo. Placido quasi timoroso rompe il silenzio:

- dicci qual è la condizione e speriamo sia una cosa che si possa fare.

Don Paolo con parole lapidarie e ferme:

- se non vi prendete due orfani dei miei come figli, l'accordo non si può fare.

Matteo si alza e con voce sostenuta:

- é un ricatto! E da un fratello, peraltro prete, non me lo sarei mai aspettato.

Placido é rimasto immobile non sa come sbloccare la conversazione. Tira dalla giacca Matteo e gli dice:

- siediti! Parliamone! Non ti sentire perseguitato!

Si gira verso don Paolo:

- ma di questo non avevamo parlato proprio.

Don Paolo:

- infatti, non ne avevamo parlato. Diciamo che é una vecchia questione e che segnala il mio fallimento. Sono due bambini che nessuno ha voluto.

Placido esclama:

- due bambini e che nessuno ha voluto!

Donna Cristina si avvicina a Matteo gli pone una mano sulla spalla e lo fa sedere, subito dopo con voce pacata dice:

- se si tratta di trovargli una famiglia lo possiamo fare, fra i contadini, i fattori e gli operai dei nostri fondi c'é sempre qualche famiglia che volentieri prenderebbe un bambino.

Don Paolo fissando il fratello e scandendo la voce:

- non sto offrendo braccia da lavoro. Voglio dare figli a dei padri.

Placido, che ha capito le intenzioni del fratello, domanda:

- vuoi dire chi li dobbiamo prendere noi come figli?

Don Paolo:

- esattamente!

Questa volta é Placido a non condividere le proposte del fratello:

- ma ti rendi conto, Paolo, che noi dovremmo allevare figli di chi sa chi? Sederli a tavola con noi, farli giocare con i nostri figli. Ma é impensabile! ti posso assicurare che mi prenderò cura di loro e la stessa cosa, ne sono certo, fará Matteo. Avranno una vita migliore, studieranno, non gli mancherà nulla, ma non possono essere parti della nostra famiglia!

Don Paolo amareggiato fa finta di non avere sentito il fratello. Si alza, mette le stampelle sotto le ascelle ed esce dalla scrivania. Donna Cristina lo aiuta, ma egli con un gesto sgarbato l'allontana. si pone dietro a Placido, si piega leggermente e gli sussurra in un orecchio:

- e uno dei due, oltre che paralitico é pure deficiente!

Matteo che fino a quel momento era rimasto zitto:

- trovi sempre modo per punirci.

Don Paolo:

- punirvi? Vi sto dando affetto, bene, amore.  Questi due bambini possono darvi quello che mi é stato impedito di dare a voi;  e finalmente voi potete dare a me tutto quello che non mi avete dato.

Qualcuno bussa. La porta si apre lentamente. Tutti fissano la porta. Compare il sagrestano:

- c'é l'avvocato Cancilia.

Il sagrestano non ha il tempo di finire la frase che l'avvocato é sull'uscio:

- buongiorno, s'abbenedica reverendo,scusate....

Matteo e Placido si guardano e uno dei due dice all'altro: ma l'hai chiamato tu?

Don Paolo risponde al saluto dell'avvocato e poi aggiunge:

- vi aspettavamo. Donna Cristina voleva mandarveli, ma io gli ho detto: che, mi vuoi privare di rivedere l'avvocato Cancilia?

Donna Cristina toglie da una poltrona il bastone e il mantello ben ripiegato, raggiunge l'avvocato e glieli porge. L' avvocato con gesto delicato l'allontana da sé, guarda negli occhi don Paolo e dice:

- sono venuto a prendermi i figli che Dio non mi ha dato!

Don Paolo ha un momento di smarrimento, non capisce immediatamente. Poi quando realizza urla:

- donna Cristina, aprite la finestra!

Donna Cristina corre per eseguire l'ordine. Improvvisamente la stanza é invasa dal brusio allegro dei bambini che giocano nel cortile. Don Paolo si lascia cadere in una sedia. Le stampelle cadono a terra fragorosamente. Porta le mani al volto e piange.

FINE