INAUGURAZIONE
di Rosso di San Secondo
Personaggi:
La vedova del celebre scrittore
La statua del celebre scrittore
(Riconoscendo nella statua la figura del marito, con una risata nervosa)
AH! Ah! Ah! Eccoti qua. Finalmente ci ritroviamo. Non sono 3 anni che sei morto e già sei monumento! Ti hanno inaugurato or ora! Ci sarà stata una grande folla certamente! Discorsi, evviva, battimani, ti hanno messo addosso anche una corona d’alloro! Bene, proprio bene! Meglio di così non ti poteva andare! Ma dì la verità… Non ti aspettavi di vedere comparire me, tua moglie!... “Quella lì…, pensavi, chiusa al manicomio non saprà neppure che ora sono diventato di marmo, immortale. Come non mi vide grande da vivo, non mi vede immortale da morto! Una pazza! Che cosa può capire una pazza? Ed eccomi invece qui mio caro! Devi pur riconoscere che non sono affatto pazza, né infatti sono fuggita da un manicomio per venirti a trovare, ma dalla casa di riposo dove ora sto magnificamente bene. Eri tu che volevi farmi ammattire per poi chiudermi al manicomio, ma io non sono stata mai una pazza, soltanto un po’ scossa di nervi! Vent’anni vicino a te! Quali nervi di donna avrebbero potuto resistere? Quante me ne hai fatte o uomo immortale! Quante me ne hai fatte vedere… Ma lo sai bene che se dovessi rinfacciartele tutte non la finirei più!
(Con ira)
Essere perfido, abominevole, spaventoso! Lo faccio io, ora, il discorso di inaugurazione! Anche se non mi ascoltano che gli alberi!
(Calmandosi d’un tratto e tornando a sorridere ironicamente)
Ma no! Non voglio davvero guastarmi il sangue! Diresti subito: - “E’ pazza!” – Non mi ammalerò più di nervi, perché tu, benché immortale, sei morto e non puoi più funestare i miei giorni!
(Fissando la statua)
Ah sì? Mi dici ancora, come spesso mi dicevi, che la colpa è stata mia? Mia la colpa è vero? Perché non ho saputo prendere la vita come andava presa! Ed ora, guarda un po’, ora ci voglio riflettere, qua la mano, parola d’onore!
(Tende la mano alla statua)
Ma tu sei un busto senza mani! Non fa nulla. Ragioniamo lo stesso. Tu mi dicevi che la causa della mia infelicità ero io medesima, perché non sapevo prendere la vita e sostenevi di amarmi, di avermi sposata, perché ero l’unica in grado di poter vivere nella sfera in cui vivevi. Mi lodavi spesso per la mia intelligenza. “Stupida – mi dicevi – stupida! Supera la vita, non ti ci perdere in mezzo! Guardala dall’alto e allora non soffrirai più della tua gelosia, nulla più ti toccherà…!” Insomma, ero intelligente, come mi dicevi prima o ero stupida come mi dicevi dopo? E c’impazzivo, mentre tu con la vita ci giocavi: delle sofferenze degli altri ne facevi novelle, commedie, racconti…
“Stupida – mi dicevi – lo sai tu che cosa è l’arte? Ora te lo spiego: l’arte osserva la materia grezza della vita, la elabora, la purifica, le da’ un senso e la fissa per l’eternità, La vita è formata da una serie di avvenimenti spesso senza senso: si sbriciola, si trasforma, si perde. L’arte invece ricrea, sintetizza, imprime una costruzione, forma un organismo a sé, ancora più vivo della vita, più vera della verità, perché una volta fissata, rimane immobile per sempre. Un artista è un uomo in carne ed ossa come gli altri, ma è assai più degli altri, perché è il mezzo vivente dell’arte immortale e perciò lontano ed al di sopra della vita e deve saperne ridere.
(Con ira)
Ma io ero una donna che viveva! E tu mi hai fatto vivere a metà. Quando stavo per abbandonarmi alla vita, tu mi tiravi indietro e mi asfissiavi!
(Una pausa. Piange voltandosi in modo che la statua non possa vederla)
Oh, bada! Non piango per te! Il sole è tramontato. Gia si fa buio!
(Rivoltandosi d’un tratto verso la statua con un brivido)
Tu ridi… Ti ho sentito ridere… Ridi di me che ti ho maledetto ed ora ti rimpiango!
(Scoppiando in singhiozzi)
Ed è vero, mi sento vuota, senza di te! Eri la mia tribolazione, il mio martirio, ma mi riempivi la vita. Ora capisco. Non era vero che vivessi a metà, vivevo interamente! Mi contraddico, ma tu me lo dicevi: la via è fatta di contraddizioni, soltanto l’arte non si contraddice. L’arte! Questa maledetta arte! Eppure… tutti benedicono l’arte! E la folla che ha inaugurata la tua statua, l’ha fatto perché tu le riempi la vita.
Quando si sentono vuoti, gli uomini leggono, si saziano della vita degli altri, rappresentata dagli scrittori. Ma che cosa devo leggere io che ho vissuto accanto a te, creatore d’arte? Io so come si creano romanzi, novelle, commedie, perciò non hanno più l’attrazione del mistero per me. Se tu continuavi a vivere la tua continua follia di palombaro dell’esistenza, capace di affondare nelle acque più torbide della vita,per poi emergere e divertirti a raccontare, la tua continua follia mi avrebbe condotta al manicomio magari, ma non mi avrebbe lasciata vuota un minuto. Ora invece… ora che sei morto… o meglio, che sei immortale… è tempo che me ne vada… A momenti compaiono le stelle! Ora tu ti godrai a tuo piacimento il creato: sole, cielo azzurro, vento, pioggia, grandine, neve, luna, firmamento stellato… Senza paura d’una polmonite o di un semplice raffreddore! Invece io dovrò aspettare forse a lungo per essere sotterrata e quando sarò sotterrata, nessuno di ricorderà più di me.
Se mai quelli che scriveranno la tua biografia mi onoreranno appena d’un cenno: “Ebbe per moglie una certa…” Ma finché son viva verrò a trovarti! Non c’è bisogno di dirti: “Aspettami!”, perché tu, ormai, stai sempre qui immobile.
Arrivederci! Torno alla casa di salute. M’hanno proprio guarita! Guarita come t’ho detto! Ma ero meglio non guarire… Guarita per sentire il vuoto? Tu eri un inferno! Ma stando all’inferno in vita, si poteva sperare che si scontassero i peccati e poi, dopo morti, al purgatorio e poi in paradiso…
Ma ora, per me che cos’è? Il limbo! E tu lì… fresco e beato come se non fosse nulla!
(Si allontana lentamente, ma prima di scomparire, volgendosi d’un tratto…)
Hai riso! Ti ho sentito ridere… Quegli stupidi.. ti hanno messo lì e non sanno che tu riderai sempre di loro e di tutti quelli che passeranno davanti a te per anni… ed anni… ed anni…
(Ride ed esce di scena)