Ines Mendo

Stampa questo copione


INES MENDO

e la sconfitta del pregiudizio

Un atto in cinque quadri

di PROSPERO MERIMEE

Versione italiana di Vinicio Marinucci

PERSONAGGI

IL re

don luis de MENDOZA

DON ESTEBAN, suo figlio

DON CARLOS

IL CURATO DI MONCLAR

JUAN MENDO

INES MENDO

UN NOTAIO

UN CANCELLIERE

PAESANI, GUARDIE

L'azione si svolge a Mondar, in Galizia, nel 1640.

Commedia formattata da

QUADRO PRIMO

La casa di Mendo.

Mendo                          - Quando sento parlare di un furto o di un assassinio, non posso fare a meno di impallidire, come se io fossi il colpevole. Finora le mie mani sono rimaste monde di sangue, ma se un giorno...

Il Curato                       - Grazie al cielo, questo villaggio è popo­lato da gente semplice e buona. Sono più di dieci anni che non si sente parlare di un delitto commesso a Mondar,

Mendo                          - Non importa; questa orribile idea si presenta incessantemente al mio spirito- Tutte le notti lo stesso sogno mi desta di soprassalto. Mi vedo nel mezzo della piazza del mercato, ai miei piedi è un uomo giovane, con gli occhi bendati, le mani giunte, supplicante. L'al­calde mi presenta l'accetta e mi dice: colpisci!

Il Curato                       - La preghiera ti libererà da queste vi­sioni, Mendo. Anch'io, quando presi gli ordini, vedevo tutte le notti, nei miei sogni, l'immagine di mia cugina che mi diceva di gettare l'abito e di fuggirmene con lei in America. Il digiuno e la preghiera hanno allontanato per sempre da me questi fantasmi perturbanti.

Mendo                          - Ah, no! Sempre mi perseguiteranno!

Il Curato                       - Pensa, Mendo, che tu potresti essere an­tera più disgraziato. Un inquisitore, che condanna un nomo su delle prove molto deboli, credi che sia più tranquillo di te? Un giudice, che va a firmare una sen­tenza dì morte, credi tu che sia lasciato in pace dalla sua coscienza? Eppure, essi non hanno trascurato nulla per informarsi. E' tanto difficile riconoscere la verità! Chi può vantarsi di conoscere un colpevole, all'infuori di Dio? L'opinione degli uomini ti tormenta... ma, vi­vendo lontano da loro, tu sei poco conosciuto. Nessun abitante di questo villaggio è abbastanza vecchio per aver conosciuto la professione di tuo padre.

Mendo                          - Oh, mio padre, signor curato...!

Il Curato                       - Soltanto io e l'alcalde sappiamo, credo, Che una legge ingiusta ti costringe a continuare il mestiere di tuo padre. Ma anche quando sarà impresso sulla tua fronte il segno di una professione che gli uomini hanno dichiarato infame, anche allora, Mendo, tu dovrai offrire le tue sofferenze a Dio, glorificare il Suo nome e attendere pazientemente che Egli ti consenta di ritornare a Lui. Credi forse che in cielo vi siano differenze di rango?

Mendo                          -  La mia unica speranza è in Dio!

Il Curato                       - Tu non hai avuto figli, così non lascerai degli infelici dopo di te. Devi ancora ringraziare il cielo.

Mendo                          -  Sì, ma mia figlia, la mia povera Ines! La vergogna del mio nome la seguirà... Ella non sa ancora nulla di questo spaventoso segreto, ma non so se potrò continuare a celarglielo per sempre... Dovrei metterla in un convento... ma potrà mai trovare un asilo?

Il Curato                       - Io lo credo, Mendo. Ella troverà uno sposo che dia maggiore importanza a un cuore puro piut­tosto che a uno stemma. Addio, per ora. Devo andare a portare a un povero ammalato degli aiuti, che il conte di Mendoza mi ha consegnato.

Mendo                          - Il conte... E' il più nobile, il migliore degli uomini. Voi lo sapete, nonostante sia un così gran si­gnore, si degna di venirmi a visitare, e non accorda un simile favore all'alcalde. Ahimè! Se venisse a sapere...

Il Curato                       - Non aver timore. Comunque, per pru­denza, ti consiglio di non avere troppa familiarità con lui. Addio. (Esce). .

Mendo                          - Vi bacio i piedi. (Solo) Maledetto, scac­ciato dalla società degli uomini! Vedendo il mio nome sulla mia tomba, nessuno dirà un «requiescat in pace ». Anche un assassino otterrebbe questa preghiera! E che ho mai fatto per meritare la mia sorte? Eppure, la Scrit­tura dice: «Il figlio non porterà le colpe del padre».

Ines                               - (entrando) Buongiorno, babbo.

Mendo                          - Buongiorno, figlia mia. Tu hai l'aria imba­razzata, come se avessi qualcosa da domandarmi.

Ines                               - Ma, babbo...

Mendo                          - Andiamo, parla.

Ines                               - C'è... c'è che... avendo messo tutto in ordine in casa... vorrei andare a passeggiare alla collina del Moro... se me lo permettete...

Mendo                          - A passeggiare... sola?

Ines                               - Ma, veramente... Don Esteban...

Mendo                          - Ascolta, Ines. Va pure, se vuoi. Io ti parlo come un amico, e potrei parlarti da padre. Noi siamo poveri, di bassa condizione. L'uomo che vai a vedere è ricco e nobile. Ricordati della favola del vaso di coccio e del vaso di ferro.

Ines                               - Eppure, il padre di Esteban... (si riprende) di don Esteban... don Luis, è così buono con tutti! Viene a trovarci spesso... Sapete bene quanto vi sia affezionato.

Mendo                          - Don Luis, che si è stabilito da soli tre mesi in questo paese e vive come noi separato dal villaggio, non trova accanto a sé altro essere umano all'infuori di me. Quindi, è quasi costretto a venirci a trovare. Per don Esteban, tu sei la sola donna possibile dei dintorni, e non è affatto straordinario che mostri un qualche in­teressamento per te. Ma bada che, anche se tra di noi vi fosse unicamente la differenza di classe, Ines Mendo non sarà mai la moglie di Esteban de Mendoza. E tu non vorrai essere la sua amante... Evita dunque ogni altro rapporto, che non sia di educazione, con i Mendoza.

Ines                               - Eppure, don Luis dice sempre che, nonostante egli sia conte, non tiene affatto alla nobiltà e che stima un contadino, figlio di gente onesta, altrettanto di un grande di Spagna.

Mendo                          -  Tutto questo è bello a dirsi, ma quando si viene alla pratica sono dei paradossi che si dimenticano facilmente.

Ines                               - E don Esteban... E' barone e ufficiale delle guardie... Ebbene! Egli dice che un nobile può benissi­mo sposare una popolana, perché egli la nobilita, e che ciò non fa alcun torto al sangue. Deve saperlo bene, lui. D'altra parte, noi siamo tutti discendenti d'Adamo, come dice monsignore il curato. Non vi sono che i mestieri che fanno le differenze. Suo nonno era cavaliere, e il mio... Che faceva mio nonno?

Mendo                          - (turbato) Mio padre...! Aveva... aveva il mio stesso mestiere.

Ines                               -  Tu sei addolorato, lo vedo, per quello che ti ho detto. Se proprio lo vuoi, non vedrò più Esteban. Ma, mio caro piccolo babbo, ti prego, lascia che te Io conduca soltanto per oggi; ti dirà qualcosa, forse.

Mendo                          - Io non parlo che per tuo bene. Bisogna che tu smetta di vederlo.

Ines                               - Eppure, mi ama tanto...

Mendo                          -  Lo credi tu, povera Ines!

Ines                               - Ne sono certa. Babbo...

Mendo                          - Dì-

Ines                               - Se mi volesse sposare?

Mendo                          - (alzando le spalle) Bah!

Ines                               - Se te lo venisse a dire?

Mendo                          - Ma lascia...

Ines                               - Ecco don Luis.

Don Luis                       - (entrando) Buongiorno, vicino... buon­giorno, cara bambina. Lasciaci soli un istante, e vai in giardino; troverai compagnia...

Mendo                          - Ines!

Don Luis                       - Tacete; sono io che le dico di uscire. Voi, restate; debbo parlarvi di qualcosa che sicuramente non vi aspettate. (Ines esce) Ma prima, lasciate che vi rimproveri. Siete uno strano uomo, Mendo; voi siete l'unico amico che noi abbiamo in questo paese, e non venite mai a trovarci!

Mendo                          - Scusatemi, monsignore. Un povero conta­dino come me non può fare compagnia a un signore del vostro rango.

Don Luis                       - Sciocchezze! Mi curo della mia nobiltà quanto di un vecchio stivale! Se io preferisco la vostra compagnia a quella di un grande, che «osa avete da dire? E poi, non c'è forse tra di noi una piccola obbligazione? Quando i muli stavano per gettarci in un precipizio, non siete stato voi ad afferrare le briglie e ad arrestarli?

Mendo                          - Chiunque al mio posto avrebbe fatto altret-tanto.

Don Luis                       - Andiamo! Ma ora ascoltatemi. Io non sono affatto orgoglioso. Sono filosofo, io. E ho letto gli atatichi. Amico mio, gli uomini sono ben sciocchi, con i loro pregiudizi sulla nobiltà. La casa di Mendoza è una delle più vecchie di Spagna, ed io sono del ramo più antico. Ebbene, per me sarebbe uguale chiamarmi Juan Mendo invece di Don Luis De Mendoza.

Mendo                          - (vivamente) Come?... Essere Juan Mendo?

Don Luis                       - In verità, Mendo suona un po' male all'orecchio, in confronto con Mendoza. Mendo... Mendoza... Eh sì, quel « za » ha indubbiamente i suoi meriti. Ma lasciamo i nostri nomi, e parliamo d'affari. Voi cono­scete mio figlio, un ragazzo simpatico, nevvero? Pieno di coraggio, di spirito, di talento. E' ufficiale delle guar­die, ed è avviato per i più brillanti incarichi. Dieci du­chesse gli hanno fatto delle proposte... Se avesse voluto, avrebbe sposato la figlia del duca di Bivar... Il duca di Bivar, intendete? Non è una famiglia nata ieri, quella del duca di Bivar.

Mendo                          - Bisognerebbe essere ciechi per non ammi­rare le qualità del barone di Mendoza.

Don Luis                       - Ma io sono filosofo, io. Che cos'è mai la nascita, mi sono detto. Che cosa ho fatto io verso la Provvidenza, per essere conte di Mendoza, grande di prima classe, comandante di Alcantara? Io non mi stimo affatto migliore. E' dagli antichi che ho preso queste idee... Ah, Seneca!

Mendo                          - Ma io non vedo...

Don Luis                       - Per venire al fatto, vi dirò... Indovinate... Mio figlio ama e vuole sposare... vostra figlia.

Mendo                          - Mia figlia!

Don Luis                       - Dapprima mi sono opposto... ma lui aveva perduto la testa. E siccome la disuguaglianza da parte dell'uomo non porta mai conseguenze e i Mendoza, gra­zie a Dio, hanno abbastanza nobiltà per illustrare due famiglie... ho dato il mio consenso, e vengo a chiedere il vostro per le nozze... Eh? Che ne dite?

Mendo                          - Come!? Monsignore... di quale macchia vo­lete offuscare il vostro stemma!

Don Luis                       - Sciocchezze! E' l'uomo che nobilita! E poi, vedete, io ho un debole per voi... Inoltre, sono filo­sofo... E poi, il duca di Medina-Sidonia, discutendo un giorno con me, mi ha sfidato a dare mio figlio a una popolana. Voglio mostrargli che la mia filosofia è anche pratica. Infine, il re ha conferito recentemente un gover­natorato a don Rodrigo Pacheco, che aveva fatto la stessa cosa di mio figlio.

Mendo                          - Monsignore... questo non può... Sapete bene chi sono io?

Don Luis                       - L'uomo più testardo della terra, vivaddio!

Mendo                          - Un Mendoza si unisce con...

Don Luis                       - Una contadina? Questo riguarda noi, non è vero? Che cosa avete da rispondere?

Mendo                          - Don Luis, io vi rispetto... io oso anche di amarvi... ma noi non dobbiamo più vederci...

Don Luis                       - E' pazzo!

Mendo                          - Non posso dirvi le mie ragioni, ma crediate che sono giuste.

Don Luis                       - Ma andate al diavolo! Come! Mio figlio «ma vostra figlia; vostra figlia lo ama; Esteban la vuol «posare, io acconsento, e voi, invece di ringraziarmi di tanto onore, andate menando il can per l'aia... Forse che il signore ci trova troppo poveri o troppo poco nobili per lui?

Mendo                          - Ines sa bene...

Don Luis                       - E sia! E' a lei che mi rivolgo. Se ella dirà di sì, anche voi acconsentirete, nevvero? Non si è mai visto un contadino fare tante difficoltà per essere nobi­litato!

Mendo                          - (dopo un silenzio) Sì! (Le dirò quello che ormai deve sapere. E' mia figlia, e ha diritto di cono­scere i miei segreti più di un estraneo.

Don Luis                       - Ah! I vostri segreti! Voi avete dei se­greti? Qualche segreto terribile, senza dubbio. Quanti uomini avete assassinato?

Mendo                          - Io?!

Don Luis                       - Scusate, caro amico, non offendetevi. So bene che siete un bravo e degno uomo, un buon padre di 'famiglia. Voi esercitate un mestiere che io onoro: sono i lavoratori che ci fanno vivere, a noi gentiluomini. E poi, non siamo tutti figli di Adamo, come dice Seneca?

Mendo                          - Monsignore, è impossibile...

Don Luis                       - Via! Avrete dormito male. Io vi lascio. Tornerò presto; ma ricordatevi che mi avete promesso di lasciare vostra figlia interamente libera.

Mendo                          - Deciderà lei stessa.

Don Luis                       - Ed eccovi preso. Addio. (Fa un movi­mento per uscire, poi torna) E niente minacce! Non fa­tele paura, a quella povera piccola. Ditele... Del resto, la preverrò io stesso. Dovrebbero mettervi al manicomio, per le vostre idee. (Fa per uscire).

Mendo                          - Ella non esiterà affatto.

Don Luis                       - Vedremo. Addio, Juan Mendo. Non ho mai visto un tuo pari!

Mendo                          - Monsignore, vi bacio i piedi.

Don Luis                       - (ritornello) Mendo, non dite «vi bacio i piedi». E' troppo servile. Dite come gli antichi: vi ba­cio le mani. E' sufficiente.

QUADRO SECONDO

Una valletta.

Don Esteban                 - (incontrandosi con Don Carlos) Don Carlos, voi qui, caro capitano?

Don Carlos                    - Non m'inganno? In questo deserto, il barone di Mendoza!

Don Esteban                 - Che diavolo fate qui? Credevo che non vi sareste mai risolto ad abbandonare i piaceri di Madrid.

Don Carlos                    - Vado a caccia. Sono venuto per sei mesi da mio padre, che è l'alcalde di questo buco mal­creato che si chiama Mondar. E voi, che fate qui?

Don Esteban                 - Mio padre ha comperato da poco una terra in questi dintorni. Avete ucciso qualcosa?

Don Carlos                    - No, non ho sparato. Ho rimandato il mio cavallo e i miei levrieri... (Con aria di mistero) Sono ben lieto di passeggiare un po' da queste parti.

Don Esteban                 - (con inquietudine) Ah! E perché mai...?

Don Carlos                    - (c. s.) Aspetto un'altra selvaggina... della quale siete anche voi un grande cacciatore, caro barone. Scommettiamo che è un qualche amoretto che vi conduce nelle vostre terre di nuovo acquisto?

Don Esteban                 - No, davvero... Che strana supposi­zione!

Don Carlos                    - Sentite. Dopo tre giorni da che sono in questo buco esecrabile, ho notato un'affascinante contadinella, che abita in questi dintorni. Ecco! Vedete quella casa là in basso? E' lì che abita.

Don Esteban                 - (a parte) La casa di Mendo!

Don Carlos                    - Una ragazza deliziosa, caro barone. Benché figlia di un contadino, a quanto sembra... è fatta proprio come si deve. Dei capelli, degli occhi di un nero!... Delle mani... passabili, benché sia il lato debole. Tutto sommato, voglio levarmi il capriccio.

Don Esteban                 - (aspramente) Signor capitano, la per­sona di cui voi parlate, non è di quelle con le quali po­tete levarvi il capriccio.

Don Carlos                    - Una contadina!

Don Esteban                 - Contadina o no, vi prego di dirigere la vostra caccia da un'altra parte.

Don Carlos                    - Ah, ah! A quanto pare, avete la prio­rità? E sia! Ma due cacciatori possono ben inseguire la stessa preda.

Don Esteban                 - Basta con gli scherzi! Sappiate, signo­re, che quella contadina, della quale tanto vi compiacete, domani sarà mia moglie.

Don Carlos                    - Vostra moglie?!

Don Esteban                 - Sì, signore, mia moglie.

Don Carlos                    - Ah! Ah! Ah! Lo scherzo è magnifico, ma davvero ammiro la vostra serietà. Così, eh? Ma non sapete che tra amici ci si passano le conquiste dopo quin-dici giorni di possesso?

Don Esteban                 - Signore, ancora una volta, vi parlo assolutamente sul serio. Vi prego di considerare fin da ora Ines Mendo come la baronessa De Mendoza.

Don Carlos                    - Una contadina baronessa De Mendoza! Benissimo! Ben pensato! E insistete! Guarda un po' che aria ipocrita!

Don Esteban                 - (battendo il piede) Quando vorrete finirla?

Don Carlos                    - Dopo la luna di miele, sarete più trat­tabile, e mi permetterete di prenderla in isposa! Ah! Ah! Ah!

Don Esteban                 - (dandogli uno schiaffo) Questo vi pro­verà che parlo seriamente.

Don Carlos                    - (con la spada alla mano) E questo pu­nirà la tua insolenza. (Si battono. Don Esteban lo uccide).

Don Esteban                 - Ecco, hai finito di divertirti, ora! Però, debbo pensare a salvarmi... A Madrid... In questa provin­cia c'è una gran severità per questa specie di affari. Ma ora, bisogna dire addio a Ines; mio padre la condurrà a Madrid... e il mio matrimonio non sarà ritardato che di qualche giorno. (Esce. Entrano due contadini).

Il primo Contadino       - E' una vera piaga, di questi tempi; i soldati congedati si sparpagliano da ogni parte, ma io non li temo. L'altro giorno, ne ho fatto svignare un paio che avevo incontrato verso sera vicino Navaja; andavo a tagliare della legna, quand'ecco che una di quelle canaglie, che s'era messo ventre a terra... (Inciampa contro il cadavere e cade in terra) Oh, messeri, prendete i miei denari, ma non uccidetemi!

Il secondo Contadino   - Imbecille! ET un uomo che non ucciderà più nessun altro. Vivaddio! E' il capitano, il figlio del nostro alcalde!

Il primo Contadino       - Oh! Che buco gli hanno fatto in mezzo allo stomaco!

Il secondo Contadino   - Guarda, guarda! Vedi laggiù un uomo che fugge? E' lui che l'ha assassinato, non c'è dubbio. Se l'acchiapperemo, avremo una buona ricom­pensa dall'alcalde.

Il primo Contadino       - Vado a cercare man forte al villaggio.

Il secondo Contadino   - No, resta vicino al cadavere; penso io a fare inseguire l'assassino.

Il primo Contadino       - Fa presto, che non mi piace restare troppo vicino a un morto...

QUADRO TERZO

La casa di Mendo.

Mendo                          - (solo) Questa passeggiata m'è stata necessaria per rinfrescarmi il sangue, e prepararmi a questo nuovo sacrificio. Bisogna che parli. Pazzo che sono stato! Ho creduto di poterle nascondere la sua coedizione... La sua testa si è riempita di illusioni, che la renderanno infelice per sempre. E' colpa mia. L'educazione che le ho dato ha nutrito queste illusioni. Avrei dovuto metterla in un convento fin da bambina. Non mi avrebbe mai conosciuto. Avrebbe seguito la via della religione, senza pensare che esisteva una condizione più dolce, nel mondo. Quanti rimproveri ho da farmi! Ma mia figlia era l'unico amico che avrei mai potuto avere... Come potevo separarmene?! Povera bambina! Ora bisogna che sappia la verità... Spez­zerò il suo cuore, ma attendere troppo a lungo sarebbe pericoloso. Eccola qui: facciamo appello a tutto il nostro coraggio.

Ines                               - (entrando) Sono stata una vera disobbediente. Ho visto poco fa Esteban, e siamo stati a passeggiare insieme; poi è venuto don Luis, e mi ha detto delle cose tanto belle che non ero più in me dalla gioia. Esteban ha detto che voleva che io fossi sua moglie, don Luis ha detto che voi gli avete detto che avrei fatto quello che avrei voluto. E' vero, babbo? O lo avete detto solo per scherzo? Oh, io l'amo tanto! Mi ha costretto ad accet­tare un anello di fidanzamento... Io non volevo, perché è troppo bello... ma don Lui» l'ha voluto assolutamente. Eccolo... come brilla!

Mendo                          - Ines, ascoltami, può essere che io ti parli per l'ultima volta.

Ines                               - (sorridendo) No!

Mendo                          - Ines, un uomo che uccidesse il suo prossimo sarebbe un essere detestabile; tutti gli uomini dovrebbero evitarlo.

Ines                               - Sì, babbo.

Mendo                          - Ma se quest'uomo fosse costretto dagli altri a uccidere il suo prossimo?

Ines                               - Come potrebbe essere costretto? C'è sempre la risorsa di morire, piuttosto che uccidere il prossimo. Ma che volete dire?

Mendo                          - (dopo un silenzio) Cosi tu hai consentito a sposare don Esteban? Tu sai che la sua famiglia è unii delle più illustri di Spagna. L'origine della sua stirpe) rimonta ai tempi del santo re Pelagio. E' congiunta a tutta la nobiltà di Castiglia, amica di tutti i grandi. Creai che egli non soffrirà quando i suoi parenti ed i suoi amici lo rimprovereranno per un matrimonio cosi male1 assortito? Tu l'ami. Vorresti che soffrisse degli insulti continui per causa di sua moglie?

Ines                               - E' lui che deve pensarci... Io discendo da onesti lavoratori e da antichi cristiani... Ci sono delle du­chesse, m'ha detto Esteban, le cui famiglie, cent'anni fa, non erano che di poveri mori. E poi, quando ha incominciato a farmi la corte, gli ho detto che lo andasse i; dire alle gran dame, e ci lasciasse in pace, noi contadine. Ma lui m'ha dimostrato tanto amore... tanto amore! che io mi sono persuasa che sarà più felice con me che con una infanta d'Aragona.

Mendo                          - Questo matrimonio lo priva di una fortuna! ci hai pensato, Ines?

Ines                               - Ma lui è ricco, e poi pensa, come me, che un po' d'amore vale molto oro.

Mendo                          - Una Ines Mendo sposare un Mendoza! Li figlia di un lavoratore ed un grande di Spagna!

Ines                               - L'infante Don Pedro, ha pure sposato la figlia di un lavoratore, che si chiamava Ines anche lei. La storia lo dice bene.

Mendo                          - E tu sai come questa unione fu felice. D'al­tra parte, Ines era la figlia di un lavoratore... Sai tu u don Pedro... Sai tu se anch'io sia un lavoratore?

Ines                               - (sorridendo) Lo vedo bene che lo sei.

Mendo                          - No, Ines, tu non sai nulla!

Ines                               - Che cosa avete, babbo? Mi guardate in un modo... Forse volete dire che c'è qualche macchia sulla nostra famiglia... che uno dei nostri nonni ha fatto qual­cosa di male...?

Mendo                          - E se si trattasse di tuo padre?

Ines                               - (spaventata) Non è possibile!

Mendo                          - (fuori di sé) Te lo dico io!

Ines                               - Gesù, Maria! Ma non può essere vero... Voi me lo dite per spaventarmi... per farmi rinunciare a questo matrimonio; e anche se fosse, quale delitto cosi grande avete potuto commettere, che non sia stato espiato dalla vita di sacrificio che fate in questa casa? Siete più severo di un monaco, verso voi stesso.

Mendo                          - Povera Ines! La macchia che porto in me non ti lascerà fino alla morte... Perdonami di avertela trasmessa! Ines... Io non sono colpevole di alcun delitto, eppure nessun uomo vorrebbe essere mio amico... Mia povera Ines... Mi è stata imposta l'orribile professione di mio padre... Io sono il boia di Mondar. (Esce, chiu­dendo la porta dietro a se).

Ines                               - (sola) Ho perduto Esteban! (Resta qualche minuto nel suo abbattimento) Ma voi, mio povero padre! Quanto vi compiango!... Dov'è? Era qui poco fa... Non è un sogno... è lui che m'ha parlato. Come avrei potuto immaginarmi tutto questo? Ma quella porta è chiusa... Ah! Mi ricordo! (Corre alla porta) Babbo, babbo! Venite! Io sono sempre vostra figlia, venite ad abbracciarmi! Ve­nite, voglio passare la vita a consolarvi!... Oh, non mi ascolta! (Batte alla porta) Babbo, babbo! Non mi fate disperare! Non abbandonatemi anche voi! Ah! Esteban, Esteban! Io t'ho perduto... Poco fa ero tanto felice! E in un istante, eccomi diventata la più disgraziata delle don­ne! Ahimè! Invece di sposarmi, non mi resta che di na­scondermi... Bisognerà dirgli tutto... perché sarebbe male nascondergli una cosa simile. Ma come dirgli in viso: «Esteban, io sono la figlia... ». Oh! Non oserò mai. Pure, bisogna bene che sappia... Ritornerà qui... e questo au­menterà la mia pena... Ah, sì! Gli scriverò…Non mi rivedrà più... Mi farò suora, e penserò sempre a lui. Pregherò il buon Dio per lui. E non farò più disonore al suo nobile sangue... Oh, perché non ho saputo prima di ehi ero la figlia! (Rientra Mendo, con una borsa di denaro) Babbo!

Mendo                          - Ines, questo ti appartiene, è tuo; viene da tua madre. Ti servirà per stabilirti nel ritiro che sce­glierai. .

Ines                               - O babbo, non ditemi di andarmene. Ho per­duto il mio Esteban, non toglietemi anche mio padre. Lasciatemi passare la vita a confortarvi, a farvi per sem­pre da amico.

Mendo                          - (piangendo nelle braccia di Ines) Signore! Perché non le avete dato un altro padre!

Ines                               - Signore! Fate che io lo conservi a lungo!

Mendo                          - Tu capisci che bisogna rinunciare a colui che ami. Avrai il coraggio di scrivergli, per rendergli la sua promessa?

Ines                               - Si, babbo... Sento che debbo farlo.

Mendo                          - Presto o tardi saprebbero la verità, dall'ai calde o da qualche altro. Don Esteban è un nobile giovane. Parlagli con franchezza, e digli... chi sei.

Ines                               - Debbo dirglielo...!

Mendo                          - Digli che ti allevarono nell'ignoranza della tua nascita, che io sono stato l'unico colpevole. E' meglio che lo sappia da noi che da un altro. Io ti lascio. (Esce).

Ines                               - (sola) Come incomincerò...? Sì, dirò la verità senza preamboli. Ahimè, anche questo calamaio è un suo dono. (Scrive) Forse avrà pietà di me... a Addio, Ines ». E tu, mio caro anello, speravo di conservarti per tutta la vita, e invece bisogna separarci. Non sono più degna di portarti. Addio! Addio! (Bacia ripetutamente Tonello. Entra don Esteban).

Don Esteban                 - Mia cara Ines, lascia che ti renda i tuoi baci.

Ines                               - (fugge dalla parte opposta della scena) Ah!

Don Esteban                 - Ti ho fatto paura? Tranquillati, tono io.

Ines                               - Voi...

Don Esteban                 - Sì, il tuo amore che viene.

Ines                               - Io non ho più amore! Io sono un'infelice che bisogna abbandonare!

Don Esteban                 - Abbandonarti, Ines! Ma non mi rico­nosci più?

Ines                               - In nome del cielo... Lasciami! Lasciami, bi­sogna!

Don Esteban                 - (avanzando verso di lei) Ma che cos'hai? Tu mi fai disperare. Perché questa paura?

Ines                               - Non mi toccare...

Don Esteban                 - Quel disgraziato Mendo ti ha turbato lo spirito. Non mancava che questo. Ines, basta con le bambinate... Forse non mi ami più?

 

Ines                               - Oh, sì! E' più forte di me. Ma... Ecco, prendi quella carta sul tavolo, e lasciami.

Don Esteban                 - Ma via! Perché questa paura di me?

Ines                               - Io non posso più amarti.

Don Esteban                 - Ancora i tuoi scrupoli! Ti diverti a farmi arrabbiare. Ecco, per punirti. (L'abbraccia di forza).

Ines                               - Non è stata colpa mia... mi hai abbracciato per forza... Non ho potuto dirtelo prima. Ecco, questo è ciò che devi sapere. (Gli porge la lettera).

Don Esteban                 - (legge; la sua figura si altera rapidamente. Ines gli si getta alle ginocchia piangendo. Don Esteban resta qualche momento affranto. All'improvviso, lacera la lettera e, sbarazzandosi con violenza delle braccia di Ines, la lascia cadere).

Ines                               - Ah!

Don Esteban                 - (sollevandola) Ines! Ti ho fatto male?

Ines                               - Oh! Tu mi chiami ancora Ines!

Don Esteban                 - Bambina disgraziata! Che male hai fatto per gettarti ai miei piedi?

Ines                               - Non ho saputo che poco fa... Se l'avessi saputo prima, non mi sarei lasciata amare...

Don Esteban                 - Povera Ines! E io potrei smettere di amarti? Non sei forse più la stessa Ines che mi ha tanto incantato?

Ines                               - lo non posso fare a meno di amarti...

Don Esteban                 - Maledetti pregiudizi! Dovrei sacrifi­carvi la mia felicità? Preferirei spezzare i miei stemmi piuttosto che rinunciare a lei!

Ines                               - Tu non mi disprezzi! Tu mi farai morire di gioia...

Don Esteban                 - lo t'amo, t'amo come prima.

Ines                               - (piangendo) Esteban... No, tu non puoi amarmi, tu sei un Mendoza.

Don Esteban                 - Io sono il tuo amore... e preferisco amarti piuttosto che essere un gentiluomo.

Ines                               - Oh! Vorrei morire! Io non potrò mai diso­norare l'uomo che amo!

Don Esteban                 - Che importa l'opinione degli uomini? Vale forse il tuo amore? (Vedendo che Ines sanguina un po' per la caduta) Tu sanguini, cara, ed è la mia violenza che ti ha fatto male. Oh, lascia che io ti gua­risca con i miei baci.

Ines                               -  Oh! Sono troppo felice! (Si getta nelle sue braccia. Entra il cancelliere con dei contadini armati).

Il Cancelliere                 - (toccando don Esteban con il suo bastone) In nome del Re, rispetto alla giustizia. Signor Mendoza, voi siete mio prigioniero. Rendetemi la vostra spada.

Don Esteban                 - Canaglia, aspetta.

Il Cancelliere                 - A me, amici!

Ines                               - Aiuto! Babbo! Aiuto! (Don Esteban è disar­mato).

Don Esteban                 - Addio, cara Ines! Non avere paura, non sarà niente. (Lo conducono via).

Ines                               - Aiuto! Aiuto! (Sviene).

Mendo                          - (entra, con la spada alla mano) Che cos'è? Che succede?

Il Cancelliere                 - Un uomo ha ucciso un altro, ed io l'ho fatto prendere.

Mendo                          - Figlia mia!

Il Cancelliere                 - La signorina era sulle ginocchia di quel signore quando sono entrato. E? ben naturale che...

Mendo                          - (minacciandolo) Brigante!

Il Cancelliere                 - Se mi colpirete, vi denuncerò all'alcalde. A proposito, Mendo, voi ci avete nascosto che...

Mendo                          - Fuori di qui!

Il Cancelliere                 - Avrete presto da lavorare, Juan Men­do. Affilate i vostri coltellacci, e fate in modo da non sbagliare: si tratta di un gentiluomo. (Esce ridendo).

Mendo                          - Ehi, Maria! (Entra una donna e l'aiuta a portar via Ines. Escono).

QUADRO QUARTO

Interno della prigione di Mondar.

Don Esteban                 - (solo. E' seduto dinanzi a un tavolo, e legge con aria pensosa la sua condanna a morte) Ed ecco finito! (Getta il foglio sul tavolo) In fondo, è meglio che non abbia più rivisto Ines. Le sue lagrime avrebbero scosso il mio coraggio, ed oggi ne ho davvero bisogno. Spesso ho sentito i proiettili nemici fischiarmi alle orec­chie, e son rimasto calmo; ma il ceppo e la scure sono qualcosa di più spaventoso. Vorrei ben trovare in questo momento la fermezza di quel soldato che ho visto andare al patibolo fischiando. (Fischia) Ma no, niente fanfaro­nate; e poi, per il buon nome, sarebbe spiacevole fischia­re una nota falsa in un simile momento. Mio Dio! Accor­datemi di morire da gentiluomo, e da soldato! Ah! Chi entra ora? (Entrano un notaio e due testimoni).

Il Notaio                       - Signor barone, io sono il notaio che avete chiesto, con i due testimoni.

Don Esteban                 - Benissimo, grazie. Nessuna notizia di mio padre?

Il Notaio                       - No, monsignore. Pure, io spero che potrà raggiungere il Re in tempo. Sua Maestà non dovrebbe essere lontana da Mondar.

Don Esteban                 - Avvenga ciò che può! Preparatevi, si­gnore, a scrivere il mio testamento. Non sarà lungo.

Il Notaio                       - (scrivendo) Spero che sarà una precau­zione inutile. Il vostro nome?

Don Esteban                 - Esteban Sandoval, barone di Mendoza, capitano delle guardie.

Il Notaio                       - ...delle guardie, dono ed affido la mia anima a Dio.

Don Esteban                 - E’ la formula?

Il Notaio                       - Sì, è il protocollo voluto dalla legge.

Don Esteban                 - Osservate la forma il più esattamente possibile; non vorrei che un giorno questo testamento potesse essere annullato.

Il Notaio                       - Oh, per questo non avete da temere, da un uomo pratico come me.

Don Esteban                 - Benissimo, proseguiamo. Io lascio tutti i miei beni...

Il Notaio                       - Mobili e immobili?

Don Esteban                 - Sì... a Ines Mendoza...

Il Notaio                       - (scrivendo) Non tanto in fretta, lasciatemi dettagliare un poco quale sorta di beni.

Don Esteban                 - Avete finito?

Il Notaio                       - Un po' di pazienza. Non dimentichiamo nulla. A chi lasciate i vostri beni?

Don Esteban                 - A Ines Mendoza, finora Ines Mendo.

Il Notaio                       - Ditemi le sue qualità.

Don Esteban                 - Mia moglie, figlia di Jnan Mendo, car­nefice di Mondar.

Il Notaio                       - Vivaddio! Debbo scrivere questo?

Don Esteban                 - Lo esigo.

Il Notaio                       - Legittima sposa?

Don Esteban                 - Sì, benché il nostro matrimonio sia stato segreto. (A parte) Non andrò all'inferno per mia simile bugia.

Il Notaio                       - Se, come dite, questo matrimonio è stato segreto, al vostro posto, per evitare ogni conseguenza, ne farei un alto di riconoscimento.

Don Esteban                 - Fate come credete.

Il Notaio                       - Lo inserisco nel testamento.

Don Esteban                 - Avete fatto? Io voglio, anche, che sia fatto scrivere sulla mia tomba, che sorgerà nel cimitero di questo villaggio, che un Mendoza, sfidando ogni pre­giudizio, ha sposato la figlia di un carnefice.

Il Notaio                       - Diavolo! Al vostro posto, non mi preoc­cuperei di accentuare troppo questa cosa.

Don Esteban                 - Io lo voglio.

Il Notaio                       - E va bene. E' un legato che i Romani chiamavano «Poenae nomine legatum»...

Don Esteban                 - Nomino mio padre mio esecutore te­stamentario.

Il Notaio                       -  Il suo nome?

Don Esteban                 - Don Luis, conte di Mendoza.

Il Notaio                       - Niente di più naturale. Se è tutto quello che avevate da dettarmi, ascoltate e firmate. (Legge) «Io sottoscritto, don Esteban Sandoval, barone di Mendoza, nella previsione della mia morte, volendo fare testa­mento, ho chiamato il sottoscritto, Melchiorre de la Ronda, notaio reale a 'Mondar, e i sottoscritti, Jaime Ximenes e Gii Boiajal, tutti e due abitanti della detta Mondar, i quali si sono condotti alla prigione del detto luogo, allo scopo di udire e di attestare le mie ultime volontà. In presenza dei quali ho dichiarato e dichiaro che dono ed affido la mia anima a Dio. In quanto ai miei beni, mobili e immobili, crediti, titoli, fitti, rendite, diritti d'usufrutto, servitù e altri che io possa avere, li dono e lego a Ines Mendoza, prima d'ora Ines Mendo, mia legittima sposa, figlia di Juan Mendo, carnefice della detta Mondar, chericonosco con questo stesso atto mia sposa legittima, volendo che a mezzo di esso siano an­nullate tutte le pretese dirette a negare che sia stato cele­brato il matrimonio tra me sottoscritto e la detta Ines Mendo; ed io la nomino mia erede universale, con le competenze e i gravami d'uso e singolarmente quello di fare iscrivere sulla mia tomba: che un Mendoza, sfidando ogni pregiudizio, ha sposato la figlia di un carnefice. Voglio ugualmente che mio padre, don Luis, conte di Mendoza, sia il mio esecutore testamentario e vegli alla fedele esecuzione delle mie ultime volontà. Amen. Fatto a Mondar, il 25 Maggio 1640. In fede di che ab­biamo firmato ». (Don Esteban firma, insieme al notaio e ai testimoni).

Don Esteban                 - Signore, vi ringrazio. Mio padre vi pagherà i vostri onorari; ma vogliate intanto prendere questa borsa, che distribuirete ai poveri perché mi rac­comandino a Dio nelle loro preghiere, e questo anello, che vi prego di accettare come un ricordo dello sven­turato don Esteban.

Il Notaio                       - Ah, monsignore! Come vorrei. (Entrano il cancelliere e delle guardie).

Il Cancelliere                 - Monsignore... Mi spiace

Don Esteban                 - Capisco. Addio, signori, mi raccomando alle vostre preghiere.

Il Notaio                       - Piano, signor cancelliere. E' contrario a tutte le usanze far procedere all'esecuzione così presto dopo la resa della sentenza. Non c'è affatto urgenza, e il padre di questo gentiluomo si è recato a chiedere la grazia a Sua Maestà. Il Re sarà qui fra qualche ora, at­tendete la sua decisione.

Il Cancelliere                 - L'alcalde ha ordinato che l'esecuzione Abbia luogo immediatamente.

Don Esteban                 - (sorridendo) Sembra che non sia attac­cato alle forme come voi, signor Melchiorre.

Il Notaio                       - Questo è illegale. Io protesto.

Il Cancelliere                 - Monsignore? (Escono tutti).

QUADRO QUINTO

La piazza del mercato a Mondar. Un patibolo è drizzato nel mezzo. (Entrano don Esteban, le guardie, Mendo, un servo con la scure, il curato, il cancelliere, abitanti di Mondar).

Il Curato                       - (a don Esteban) Addio, figlio mio. (Dio avrà pietà di voi. Tra poco vi sottrarrete alle pene di questo mondo. (L'abbraccia).

li Cancelliere                 - Signore, permettete che vi bendi gli cechi.

Don Esteban                 - Saprò vedere giungere la morte. E tu, Mendo... fa il tuo mestiere... bene, se puoi. (Si inginoc­chia) Va bene così?

Il Servo                         - Sì, monsignore. Dio vi abbia misericordia!

Tutti                              - (eccetto Mendo) Amen.

Don Esteban                 - (al curato) Addio, padre!

Il Servo                         - (a Mendo) Prendete l'accetta con la sinistra?

Mendo                          - Io non sono più il boia (Si taglia la mano destra. Grande tumulto).

Ines                               - (entrando) Fermate! (Sale sul patibolo) Noi moriremo insieme! Ucciderai tua Biglia con lui!

Mendo                          - (mostrandole il braccio mutilato) Posso fare ancora del male?

Ines                               - Babbo! Esteban!

Il Cancelliere                 - Che vuol dire questo?

Il Curato                       - Che aspetteremo il Re.

I Contadini                   - Mendo, sei un brav'uomo, ed anche questo signore. Non abbiate paura, impediremo che l'al­calde vi faccia morire. (Salgono sul patibolo, alcuni scacciano le guardie, altri attorniano Mendo).

Don Luis                       - (entrando a cavallo) Grazia, grazia! Fer­mate! Dio sia lodato! Ancora in tempo! (Discende da cavallo e abbraccia suo figlio).

Don Esteban                 - Abbraccia il mio salvatore. S'è ta­gliato la mano piuttosto che colpirmi.

Don Luis                       - (abbraccia Mendo) Ah, Mendo, che cosa sono i miei titoli di nobiltà, dinanzi ad un'azione come la vostra? Siete un Romano, degno di Seneca. (Rullio di tamburi. Il Re entra con le sue guardie)

Tutti                              - Viva il Re!

Il Re                              - Perché questo tumulto? Dov'è l'alcalde? Don Luis, spiegatemi. Non posso capire nulla in questa con­fusione di voci. (Don Luis gli parla a bassa voce, men­tre la folla grida).

Tutti                              - Grazia! Grazia!

Il Re                              - E' impossibile non ammirare tanta genero­sità. Juan Mendo, mettetevi in ginocchio. Alzatevi, don Juan Mendo. Voi siete gentiluomo.

Mendo                          - Sire, vi bacio i piedi... ma...

Il Re                              - Don Esteban, vi perdono, ma a condizione che sposiate la figlia di Mendo.

Don Esteban                 - E' il mio più caro desiderio!

Ines                               - (a Esteban) Infine posso amarti!

Il Re                              - Voglio firmare io l'atto nuziale. Si chiami un chirurgo. Voglia il cielo che i pregiudizi siano scon­fitti in tutta la Spagna!

Ines                               - Così finisce la commedia di Ines Mondo. Scu­sate le manchevolezze dell'autore. Se questa prima parte vi è piaciuta, l'autore spera che accoglierete con bene­volenza la seconda, dal titolo II trionfo del pregiudizio.

FINE

Il brusco intervento del Re, che conclude la commedia, non è affatto raro negli antichi drammi spagnoli (vedi L'alcalde di Zatamea e cento altri). (W. d. A.).

NOTA                           - Seguita da II trionfo del pregiudizio, in cui la differenza di classe crea dei contrasti e delle opposizioni tali tra Ines e don Esteban, che determinano una catastro­fe amale, la lavoro appartiene al Teatro di Clara Gazul, che Mérimée attribuisce, per autenticare il suo romantico eso­tismo, a una famosa attrice -spagnola, e che apparve nel 1825. Nella breve premessa, l'autore avverte che » questa commedia strana fu composta da Clara Gazul a richiesta di una dama, sua. amica, appassionata per i romanzi la­crimosi ed improbabili. L'autore, che si è studiato di imi­tare gli antichi comici spagnoli, non ha cercato affatto di evitare i loro stetti ordinari, quali l'eccessiva rapidità di azione, la mancanza di sviluppi, ecc. Bisogna essergli grati di non aver copiato inoltre lo stile « culto », cosi faticoso per i lettori dì questo secolo ».