‘Int’’e guaje pe’ scagno

Stampa questo copione

ATTO PRIMO

‘Int’’e guaje pe’ scagno!

di Vincenzo Rosario PERRELLA ESPOSITO

(detto Ezio)

05/02/2005

Personaggi:   11

Renato Chiazza                        

Gianna Recchia                    

Liliana Cheschifo                      

Michele Di Granchio                

Alice Salata                             

Ivano Letto                                

Leandro Tammazzo                 

Imma Magnà                            

l’Avvocato Mario Marettiello 

Raffaela Svergognata              

Marco Imbecille      

Napoli, Mergellina. Residenza dell’investigatore privato Renato Chiazza col suo cameriere imbranato Marco. Per una serie di combinazioni, in casa si viene a trovare un personaggio misterioso che ha rubato dei codici segreti da una banca del valore di svariati milioni di euro. Nasconde il DVD che contiene tali codici in casa di Renato, fingendosi ispettore che verifica se i condomini sono tenuti a norma di legge dai rispettivi amministratori di condominio. Renato, neanche a farlo apposta, è amministratore di condominio pro tempore, cosa che svolge in maniera dissennata. Naturalmente dove ci sono soldi in palio, ci sono tanti che se ne vogliono approvvigionare. E’ il caso di Leandro ed Imma, coniugi che cercano anche loro di trovare il DVD e di appropriarsene. Tale DVD finisce nelle mani di Marco che però non sa di cosa si tratti.

Tale storia cammina parallela al fatto che l’avvocato Mario Marettiello, conoscente di Renato, ha una figlia segreta. Ne scoprirà l’esistenza per puro caso.

Numero posizione SIAE 233047

Per contatti Ezio Perrella 3485514070 ezioperrella@libero.it

                  

            Napoli, Mergellina. Siamo nel salone di casa dell’investigatore privato Renato Mazza. Alla sala s’accede da un ingresso centrale. Ai due lati della stanza ci sono due porte che danno: a destra in cucina e a sinistra in bagno e in altre stanze. In mezzo c’è un tavolo con quattro sedie. A sinistra c’è un divanetto, un mobile e un appendiabiti.

ATTO PRIMO

1. [Renato Mazza e l’avvocato Mario Marettiello. Poi Michele Di Granchio]

               Seduti al tavolo: Renato e l’avvocato Mario Marettiello (con valigetta sul tavolo).

Renato: (Parla al telefonino) Pronto, qui è l’investigatore privato Renato Mazza, il più

               ricercato sulla piazza! Dite, signora. Come? Vostro marito vi tradisce con un altro

               uomo? E vuje tradìtele cu’ ‘n’ata femmena! Arrivederci. (Spegne e posa in tasca il

               telefonino) Allora, scusatemi, avvocato Marettiello. Che stavamo dicendo?

Mario:   Dicevamo che voi volete divorziare da vostra moglie. Non è così?

Renato: No, avvocà, nun ate capito proprio niente. Io già sono divorziato da mia moglie.

Mario:   Embé, e allora che vvulìte cchiù?

Renato: Avvocà, le solite leggi italiane. La mia ex moglie ha detto che, in base a una legge,

               oltre al divorzio, vuole i soldi da me per mantenere a lei, la mamma e i nostri figli.

Mario:   Ah, sì? E quanti figli avete?

Renato: Manch’uno!

Mario:   Embé, e allora di quali figli parlate?

Renato: E che ne saccio, io? Questo me lo dovete dire voi.

Mario:   Io? E che saccio ‘e fatte vuoste?

Renato: Scusate, ma allora che vi ho chiamato a fare?

Mario:   Per darvi una soluzione. Ma prima voglio capire una cosa: come mai avete

               divorziato? Qual è stata la “conditio sin e qua non”?

Renato: (Capisce male) No, nun c’è stato nisciunu tizio cu’ ‘a nonna!

Mario:   Ma che state dicenno? Quella è una frase latina. Voglio capire qual è stata la

               condizione senza la quale non avreste mai divorziato. Avite capito mò?

Renato: Avvocà, ma vuje ve mettìte a parlà latino? Ma che ve penzate ca io so’ poliziotto?

Mario:   Scusate, ma pecché, sulo ‘a polizia sape parlà ‘o latino?

Renato: No, ma io dicévo poliziotto, cioè uno che sape parlà ‘nu sacco ‘e lengue!

Mario:   Allora volete dire “poliglotta”!

Renato: Uh, scusate, mi sono sbagliato.

Mario:   E non fa niente. “Errare humano est”!

Renato: (Capisce un’altra cosa) Aggia ì a est? E ch’aggia ì a ffa’ a est?!

Mario:   Ma nun ata ì a nisciuna parte. Quella è sempre una frase latina. Ma inzomma, se

               po’ ssapé pecché ate divorziato cu’ ‘a mugliera vosta?

Renato: Perché litigavamo sempre. Avvocà, i nostri litigi erano lunghissimi. Eterni!

Mario:  Capisco. Beh, fatevi coraggio. La vita è degli audaci. “Audax fortuna juvant”!

Renato: (Non ha capito) E chi è? Io nun ‘a saccio.

Mario:  Ma chi?

Renato: ‘Sta “Fortuna Juvant”!

Mario:  Ma è sempre latino. (Si alza in piedi)

Renato: (Si alza in piedi) Inzomma vuje affòrza me vulìte parlà in latino! E vabbuò,

               comunque, avvocà, voi mi assicurate che io non devo pagare niente a mia moglie?

Mario:   Se vostra moglie vuole dei soldi per lei e sua madre, si trova un bel lavoro. Voi

               non dovete dare soldi a nessuno. Avete capito? A nessuno.

Renato: A nisciuno? Allora nun v’aggia pavà manco a vuje? Grazie, avvocà, site ‘n’amico!

Mario:   No, ma veramente...

Renato: No, non parlate. Io non ho parole! Arrivederci, arrivederci.

Mario:   Ma io...

Renato: No, jatevenne, o si no me facìte commuovere!

               Gli stringe la mano e Mario prende la sua ventiquattrore e se ne va interdetto.

               Anche questa è fatta! Cara Gianna, tu me vulìve fa’ fesso! E invece t’aggio fatto io

               fessa a te! Chi sa ca nun riesco a me fa’ pavà io coccosa ‘a essa!

               Ed esce a destra (in cucina).

2. [Gianna Recchia e Marco Imbecille. Poi Renato, Liliana Cheschifo e Ivano Letto]

               Dalla comune entra Gianna, l’ex moglie di Renato. Ha un buquet di fiori.  

Gianna: Secondo me, Renato nun ce sta. Sarà impegnato in uno dei suoi casi irrsolvibili! E

               io gli faccio trovare i fiori con la dedica sul tavolo. (Posa il tutto sul tavolo) Se me

               lo tengo buono, si convincerà a darmi i soldi del nostro divorzio. Già, ma addò sta?

               Da sinistra entra il maggiordomo Marco Imbecille, vestito malissimo: è dubbioso.

Marco:  Ma ‘o signor Renato m’ha chiammato? (Nota Gianna) Uhé, cara signora Gianna.

Gianna: Oh, caro Marco, come va? (E gli si avvicina)

Marco:  Benissimo! Mi trovo in questa bella casa a Mergellina, al servizio del signor

               Renato che è una brava persona, e nun faccio niente d’’a matina ‘a sera!

Gianna: E ringrazia a Dio. Se fosse per me, io ti avrei già licenziato. Ma Renato tene ‘o

               core tanto ‘ruosso! (Mima con le mani)

Marco:  Tene ‘o core ‘ruosso? Mò aggio capito pecché ‘e ccammìse le vanne strette!

Gianna: Siente, ma mò isso nun ce sta?

Marco:  Non lo so, quello tiene sempre da fare. Volete che vado ad annunciarvi?

Gianna: No, non voglio farmi vedere ancora da lui. Ha da vedé primma ‘e ciure. Tu vedi

               che faccia fa e vienimelo a dire. E dopo ti regalo i soliti 100 Euro!

Marco:  E io, pe’ cient’Euro, ve dico pure chello che ffa quanno sta ‘ncoppa ‘o gabinetto!

Gianna: Bravo! Ah, a proposito: fallo mangiare, se no si sciupa. Hai capito?

Marco:  Nun ve prioccupate, ‘o dongo a mangià io!  

Gianna: Bravo! Ah, a proposito: la notte fallo dormire, se no diventa nervoso.

Marco:  Nun ve prioccupate, ce canto ‘a ninna nanna!

Gianna: Bravo! Ah, a proposito...

Marco:  (Spazientito) Signò, si se fa sotto, ce cagno ‘o pannulino; si se mette a chiagnere,

               ce metto ‘o biberon ‘nmocca e si fa ‘nu starnuto, le scioscio ‘o naso! Vabbuò?! E

               mò facitemménne ì.

               Esce via a destra.

Gianna: Ma com’è zotico, questo! Non mi piace proprio come maggiordomo! E intanto,

               può tornarmi utile per quello che serve a me. Cara Gianna, non fallirai.

               Ed esce di casa, fregandosi le mani. Da destra torna Renato, assai seccato.

Renato: E torniamo al lavoro. (Nota i fiori sul tavolo) E che sso’ ‘sti ciure? Chi l’ha

               purtate? (Si avvicina) Ce sta pure ‘nu biglietto. (Lo legge) “Un gesto per farmi

               perdonare perieri. Da una persona che ti sta molto, ma molto vicino”! Uh, aggio

               capito: è chella d’’o piano ‘e sotto, Raffaela Svergognata! E sì, chella stammatina

               m’ha girato ‘a faccia e mò s’ha vuluta fa’ perdunà! Marò, comme me piace, chella!

               E allora, accòmme ‘a veco, l’aggia da’ ‘nu vaso! E ppo’ l’aggia abbraccià!

               Si abbraccia da solo e bacia nel vuoto. Entra Liliana Cheschifo. Gli va vicino. 

               (Lui continua) Sì, accussì! Vàseme, vàseme! Facciamo l’amore!

               Si volta, la nota e poi la guarda per qualche secondo imbarazzato.

Liliana: Salve, signor Renato. Qualche problema?

Renato: No, no… me sto’ vasànno io sulo! Quanto mi voglio bene!    

Liliana: Mah! Signor Renato, a proposito, avete bisogno di un’aiutante per il vostro lavoro?

Renato: Cara Liliana, non mi serve. Io, le mie cose, me le sbrigo da solo.

Liliana: Ah, sì? E allora mi inginocchio qua davanti a voi. (Si inginocchia davanti a lui)

Renato: No, ma che staje facenno? (Cerca di farla desistere)

              Da destra ecco Marco.

Marco: Signor Renato, volete pasta e piselli? (Nota i due e si copre gli occhi con le mani)

              No, non li volete!

              E se ne ritorna a destra.

Renato: Mannaggia ‘a te! Uhé, aìzete mommò. He’ visto? E’ trasuto ‘o maggiordomo mio.

              Chillo chi sa mò che s’ha penzato! Si ce ‘o ddice alla mia ex mugliera, è finita!

Liliana: No, non mi alzo fino a che non mi dite di sì. Anzi, adesso vi bacio pure i piedi!

Renato: (Subito si convince) No, no... E va bene, sì, mi serve un’aiutante.

Liliana: (Si alza felice) E vai! Finalmente farò l’investigatrice insieme a voi!  

Renato: Liliana, ascoltami bene. Un buon investigatore privato deve avere tre doti: astuzia,

              destrezza e fortuna. Da oggi sei in prova e vediamo cosa sai fare.

Liliana: Benissimo! E quanto mi date, quanto mi date?

Renato: Ti dò 200 Euro… all’anno!

Liliana: (Delusa) Accussì poco? (Poi felice) Ma sì! Che me ne ‘mporta? Sono troppo felice.

               Liliana, dalla felicità, abbraccia Renato. Ma da destra entra di nuovo Marco.

Marco:  Signor Renato, volete pasta e fagioli? (Nota i due e si copre di nuovo gli occhi con

               le mani) No, non vi piacciono!

               E esce di nuovo. Liliana lascia Renato che si arrabbia.

Renato: Lilià, ma inzomma te vuo’ calmà ‘nu poco?

Liliana: Scusate, scusate, scusate, scusate...

Renato: E che d’è, mò? S’è ‘ncagliato ‘o disco?

Liliana: Signor Renato, voi mi state regalando un sogno. Io sono una povera trovatella.

Renato: Sì, sì, vabbuò, mò tengo che ffa’! Trova un caso da risolvere e portamelo a vedere.

Liliana: D’accordo. Venite qua, signor Renato, fatevi dare un bacio sulla guancia.

               Lei gli da un bacio sulla guancia, proprio mentre entra Marco.

Marco:  Signor Renato, allora volete pasta e zucca? (Nota i due e si copre di nuovo gli

               occhi) Vabbuò, aggio capito: oggie nun tenìte famme!

               E torna via a destra.

Renato: He’ visto, Lilià? Pe’ mezza toja, oggie me stongo dijuno!

Liliana: E nun magnate, accussì state cchiù liggiero! Arrivederci, signor Renato, a più tardi.

              Esce via di casa di corsa.

Renato: E mò famme parlà cu’ ‘stu deficiente ‘e maggiordomo. (Lo chiama) Marco, aiésce

               mommò ‘a parte ‘e ccà, primma ca te chiammo cu’ ‘o cugnomme tuojo: Imbecille!

               Da destra torna Marco con degli occhiali da sole.

Marco:  Dite, dite.

Renato: Hai visto quello che hai visto poco fa? Non era niente vero. E’ stato un miraggio!

Marco:  Ma pecché, ch’è succieso? Coccosa?

Renato: No, niente. Quella ragazza è la mia nuova aiutante. Picciò, si vide a Gianna, nun ce

               ‘o ddicere, o si no chella me ‘nguaja! E’ chiaro? E mò va’ ‘int’’a cucina e cucina!

Marco:  E’ logico. Che se fa’ ‘int’’a cucina? Se cucina! O si no nun se chiammasse cucina!

Renato: Ma mò t’’o dongo ‘nu paccarone!  

               Marco scappa a destra rincorso da Renato. Dalla comune entra di corsa un figuro

               vestito di nero, con occhiali da sole e una busta per lettere gialla in mano.

Ivano:   Non c’è nessuno. Allora posso telefonare. (Prende il telefonino) Pronto, sono io.

              Come, io chi? Sono Ivano. Ma come Ivano chi? Ma te staje rimbambenno? Sono

              Ivano Letto. Ho rubato il DVD con la mappa dov’è nascosto il malloppo: un

              milione di Euro! Sono i soldi della Banca d’Italia. Però sono inseguito da un uomo

              e una donna che vogliono rubarmelo. Ora cerco di nasconderlo. A dopo. (Posa il

              telefonino) E dove lo metto, ‘sto DVD? (Cerca intorno) Ecco, nel portaombrelli.

              Così fa. Da destra, però, torna Renato.

Renato: Nun l’aggio pututo da’ ‘nu pacchero, pecché ha fatto ‘nu zumpo, s’è arrampicato

              ‘ncoppa ‘o lampiero! Ua’, ma che d’è, ‘na scigna? (Nota Ivano) E chi è chisto?

              Gli va vicino dietro mentre Ivano posa la busta gialla sul fondo del portaombrelli.

Ivano:   Questo portaombrelli è proprio un bel posto. (Dopodiché) Ecco, ho finito.

              Si pulisce le mani e nota Renato che lo guarda. Poi fa finta di niente.

              Caro signore, non si fa così. C’è troppa polvere in questo portaombrelli! Non ci

              siamo! Proprio non ci siamo!

Renato: Scusate, per curiosità: ma vuje chi site?

Ivano:   Permettete? Ivano Letto. Sono un ispettore e controllo la pulizia nei condomini.  

Renato: (Si preoccupa un po’) Ehm... veramente? Io mi chiamo Renato Mazza. Faccio

               l’investigatore privato, però sono il nuovo amministratore del palazzo.

Ivano:   Allora cominciate molto male. Voi dovete tenere pulito tutto il palazzo da cima a

              fondo. E invece guardate quelle sedie, il tavolo e la credenza. Vi sembrano puliti?

Renato: Scusate, ma vuje nun ate ditto ch’aggia tené pulito ‘o palazzo?

Ivano:   Sì, e allora? 

Renato: E chesta è ‘a casa mia!

Ivano:   E pecché, ‘a casa vosta nun sta ‘int’’o palazzo?

Renato: Avete ragione. Ma io tengo un grande problema. Sapete qual è? Imbecille!

Ivano:   Uhé, e come vi permettete? Ma io vi faccio arrestare.

Renato: No, ma io non ce l’avevo con voi. Io parlavo del mio maggiordomo.

Ivano:   E sono affari vostri. Sentite, guardate come ve lo dico: io torno un’altra volta. Se 

              non trovo le cose a posto, vi faccio un verbale di sei pagine. Sono stato chiaro?

Renato: (Costernato) Sissignore.

Ivano:   Amministratore avvisato, mezzo salvato! Vi saluto.

              Si avvia alla comune tenendolo d’occhio. Poi sparisce via di corsa.

Renato: Mannaggia a chillu Marco Imbecille. Mò m’ha da fa’ acchiappà pure cocche

               multa! Ma si ‘o ‘cchiappo, ‘o faccio pulezzà tutto ‘o palazzo cu’ ‘a lengua!

              Va via a destra molto deciso.

3. [Leandro Tammazzo e Imma Magnà. Poi Marco. Infine Gianna]

              Entrano due strani tipi: Leandro e Imma (vestiti in nero e con occhiali da sole).

Leandro: Quel tizio col DVD è entrato qua dentro. Non c’è dubbio.

Imma:     Maledizione! Lo avrà nascosto da qualche parte.

Leandro: E allora non perdiamo tempo. Cerchiamolo, altrimenti il capo si arrabbia e ci

                 manda a tutti e due nel Congo Belga a lavorare nelle miniere!

Imma:     No, per carità! Avanti, cerchiamolo.

                 I due rovistano dappertutto. Da destra entra e si ferma Marco. Ha uno straccio.

Marco:    (E’ dolorante al sedere) Ah, ‘o signor Renato m’ha dato ‘nu cavicio. Ha ditto

                 ch’aggia pulezzà ccà ddinto. E vabbuò. (Si volta e nota i due) Uhé, a tutt’e dduje!

                 I due subito si fermano e si mettono sull’attenti.

                 E chi site vuje? Tu, uomo, rispondi per primo!

Leandro: Io sono Leandro Tammazzo.

Marco:    E adesso rispondi tu, donna: chi sei e che state facendo?

Imma:     Imma Magnà!

Marco:    ‘Ita magnà? E vulìte magnà proprio ccà ddinto? Jate a magnà ‘o ristorante!

Imma:     No, io sono Imma Magnà. Noi facevamo... sì... noi facevamo... dillo tu, Leandro.

Leandro: Ehm... facevamo dei controlli. Noi siamo ispettori che controllano i condomini.

Marco:    (Preoccupato) Oddio! Veramente? Il mio padrone è un amministratore.

Leandro: Ehm… appunto! Noi controlliamo soprattutto gli amministratori di condominio.

Marco:    (Disperato) Oh, no! Io sono un maggiordomo. E fra poco il mio datore di lavoro

                 mi uccide perché non ho ancora pulito.

Imma:     Ah, sì? E’ un po’ violento questo tizio?

Marco:    Sì. Se io non pulisco, quello mi succhia il sangue.

Leandro: E chi si’, ‘o maggiordomo ‘e Dracula?!

Imma:     Leandro, fai il serio. Senti, come si chiama il tuo datore di lavoro?

Marco:    Renato Mazza.

Leandro: E tu, invece?

Marco:    Io sono Marco Imbecille.

Leandro: No, no, non ti offendere così. Non ti preoccupare, per questa volta chiudiamo un

                 occhio, così non ti facciamo pigliare la cazziata da questo tizio. Intesi?

Marco:    Intesi, intesi!

Imma:     E non dire niente al signor Renato. Hai capito? Tu non ci hai visti.

Marco:    No, ma chi ve sape?

Leandro: E allora andiamo via, Imma.

                 I due escono via circospetti. Marco si da una calmata.

Marco:    Marò, me steva venénno ‘n’infarto! Famme assettà ‘ncoppa ‘o divanetto.

                 Si siede e si rilassa. Dalla comune entra Gianna.

Gianna:   Chi sa se Renato ha visto i fiori? E soprattutto, chi sa se ha letto il biglietto? E

                 poi, chi sa se... (Nota Marco) Faccio meglio se domando direttamente a Marco.

                 Gli si avvicina da dietro e gli mette una mano sulla spalla.

                 Ehi, Marco...

Marco:    (Si spaventa e salta in piedi) Marò! (E comincia a pulire dappertutto) Sto’

                 pulezzànno, sto’ pulezzànno!

Gianna:   Ma che staje facenno? Io nun t’aggio maje visto ‘e faticà.

Marco:    Ah, siete voi, signora Gianna? Scusatemi, devo pulire e devo buttare via tutta la

                 Mazzatura che sta fuori al balcone. Pensate, sono tre mesi che non la buttiamo!

Gianna:   Niente di meno?

Marco:    Me pare ‘a discarica comunale, lloco ffora! Aiére, fora ‘o barcone, ce steva ‘nu  

               suricio: steva aspettanno ca ittavo ‘a busta ‘e munnezza! E comm’era chiatto!

Gianna: Vabbé, lasciamo stare queste schifezze. Senti un po’, ma Renato ha visto i fiori?

Marco:  (Ah, e mò comme ce ‘o ddico che chillo s’è ‘nnammurato d’’a nuova aiutante

               soja?). (Imbarazzato) Ehm... che domanda avete fatto?

Gianna: Ho chiesto se Renato ha visto i fiori.

Marco:  Ehm... sì, e come... li ha visti.

Gianna: Sì? E dimmi, dimmi, dimmi... lo ha letto il bigliettino?

Marco:  Ehm... sì, lo ha letto.

Gianna: E che cosa ha detto? Che cosa ha detto?

Marco:  Ha detto: “Ah, sì, ecco, bene...”! E basta!

Gianna: E che vvo’ dicere?

Marco:  Ehm... forse vuol dire che dovete aspettare un po’ di tempo per perdonarvi.

Gianna: Ah, sì? E secondo te quanto tempo devo aspettare?

Marco:  Beh, io penso: tre... quattro... cinque... forse sei...

Gianna: Giorni o mesi?

Marco:  Anni!

Gianna: Niente di meno? E va bene. Allora sai che si fa? Gli porto una pianta. E così voglio

               vedere che reazione ha. Tu spialo sempre e fammi sapere che cosa fa. Ciao.

               Ed esce via delusa. Marco sembra non saper più cosa fare.

Marco:  Chesta è ‘a vota bona ch’’o signor Renato me spara! Aspetta, ha detto che devo

               pulire benissimo il portaombrelli. E allora io ce ‘o faccio truvà pulito e prufumato!

               Lo prende e se lo porta via a sinistra.

4. [Liliana. Poi Ivano. Infine Renato]

               Dalla comune entra Liliana con aria circospetta.

Liliana: Bene, il signor Renato non c’è. Sono riuscita a farmi assumere come sua aiutante.

               La verità è che io sto seguendo un tizio che ha rubato un DVD. Qua si tratta di

               tanti soldi. Però vorrei capire una cosa: quel tizio dove avrà nascosto il DVD?

               Va alla sinistra del divanetto, si abbassa e vi guarda sotto. Entra proprio Ivano.

Ivano:   Maledizione! Non posso ancora riprendermi il DVD. Qua fuori si aggirano quei

              due tizi che vogliono rubarmelo. Ora cerco un’idea per aggirarli.

              Va al divanetto e si siede. Da dietro si sente parlare. Lui sente la voce.

Liliana: Ma dove si sarà cacciato? Secondo me qua sotto non c’è. 

               Ivano si alza e va a controllare. Lei se ne accorge e si alza in piedi.

Ivano:   Prego?

Liliana: Ehm... avete visto il mio gatto Saracino? 

Ivano:   No, mi dispiace. Cercalo da qualche altra parte. Guarda quanti posti ci stanno qua

              dentr... (Guarda dov’era il portaombrelli e si preoccupa) Il portaombrelli!

Liliana: Che fa il portaombrelli?

Ivano:   (Si avvicina) Addò sta?

Liliana: (Si avvicina anche lei) E che ve ne importa a voi?

Ivano:   Ma come? In una casa che si rispetti, ci deve sempre stare un portaombrelli!

Liliana: E allora, quando vedo il signor Renato, glielo dico io.

              Da destra entra proprio Renato.

Renato: Famme vedé si chillo sta pulezzann... (Nota i due) E vuje che state facenno ccà?

Liliana: Ehm... signor Renato, stavo indagando sulla scomparsa del mio gatto Saracino.

Renato: E voi, invece?

Ivano:   Sto controllando che tutto sia in ordine. Avete fatto quello che vi ho detto io?

Renato: E ‘nu mumento, chianu chiano. Ce sta penzanno ‘o maggiordomo mio. Chillo ha

              accumminciato a lavà ‘o portaombrelli che steva lloco!

Ivano:   (Spaventato, grida) No!

Liliana: (Spaventato) Ch’è stato?

Renato: (Spaventato) Puzzate ittà ‘o sango! M’’ite fatto fa’ ‘e vierme! Ma ch’ate passato?

Ivano:   Il portaombrelli no!

Renato: E pecché, scusate?

Ivano:   Ehm... secondo le normative CEE, quando si cominciano a fare le pulizie in casa,

              non si comincia mai da oggetti come portaombrelli, tostapane e friggitrici!

Renato: E da che cosa si comincia?

Ivano:   Dai vetri, dagli scaffali, dal pavimento, dai mobili... e dalle persone!

Renato: Che? Scusate, ma allora m’aggia lavà pur’io?

Ivano:   Sì, e pure il vostro maggiordomo. Se no vi faccio rapporto! Avete capito?

Renato: E vabbuò, nun alluccate. Vorrà dire che prima mi faccio io la doccia, e poi lui.

Ivano:   No, ve la dovete fare tutti e due insieme!

Renato: (Sorpreso) Comme? E pecché?

Ivano:   E mi capisco io. Voi dovete soltanto eseguire.

Renato: E vabbuò. Vedìte che s’ha da fa’ pe’ campà. (Chiama) Marco, viene ccà. Ce amma

              fa’ ‘a doccia ‘nzieme! O si no chisto nun me fa sta’ qujeto! Marco!

              Esce via a sinistra.

Ivano:   E tu, invece? Che stai ancora a fare qua? Fatti pure tu la doccia con quei due!

Liliana: A chi? Caso mai, si proprio me l’aggia fa’, saglio ‘o piano ‘e coppa, addò stongo ‘e

              casa io, e m’’a faccio! Vabbuò? Ma vedìte ‘nu poco a chisto!

              Ed esce via di casa innervosita. Lui controlla che Liliana sia andata via.

Ivano:   Bene, ora devo cercare il portaombrelli. Speriamo che non l’abbiano ancora lavato!  

              Esce via a destra.

5. [Gianna e L’avvocato Mario Marettiello. Poi Ivano. Infine Marco e Renato]

               Dalla comune entra Gianna con una pianta in mano.

Gianna: E che me sta custanno, ‘sta pazziella! Diece euro ‘e ciure e vint’euro ‘a pianta,

               stamme già a trent’euro! (Posa la pianta sul tavolo) Ma ‘na vota nun érene

               l’uòmmene che purtàvene ‘e regale ‘e ffemmene?! Comm’è cagnata ‘a vita!

               Si siede sul divanetto e rifiata. Dalla comune entra Mario. Ha la ventiquattore.

Mario:   Signor Renato?

Gianna: Chi è?

Mario:   Ah, ma guarda un po’ chi c’è. (Avvicinandosi) Molto bene.

Gianna: Avvocato Mario Marettiello, come mai da queste parti?

Mario:   Niente, cercavo il signor Renato per parlare di voi, ed invece ho incontrato  

               direttamente la vostra persona: “lupus in fabula”!

Gianna: (Non capisce) Come avete detto?

Mario:   Ho detto “lupus in fabula”.

Gianna: Ma io non mi chiamo “Lupus in fabula”. Io mi chiamo Gianna Recchia.

Mario:   Signora Gianna, “lupus in fabula” è una frase in latino. Non fate la gnorri!

Gianna: (Si alza) Sentite, io non so che cosa vi ha detto mio marito... anzi, il mio ex. Però

               io non gli ho chiesto dei soldi. Gli ho chiesto solo del denaro!

Mario:   E pecché, nun è ‘a stessa cosa?

Gianna: Sì? E vabbé, e pure se fosse? Voi come riuscireste a vivere senza soldi?

Mario:   E allora trovatevi un lavoro, così mantenete pure vostra madre. E anche quei figli

               che non esistono, che secondo me sono le solite scarpe o il vestito nuovo. E’ così?

Gianna: Avvocà, la legge è legge. E la legge dice che quando due coniugati si dividono, è

               sempre il marito che deve pagare la moglie.

Mario:   Certo, ma per il sostentamento della medesima e dei figli che il giudice le ha

               assegnato. Ma nel vostro caso, ‘e figli addò stanne?

Gianna: Già, i figli. Io e lui non li abbiamo mai voluti. Secondo voi abbiamo sbagliato?

Mario:   Sentite, ‘sti ccose ve l’ata chiagnere vuje e isso. Io ho avuto solo la procura da

               parte di lui per citarvi in giudizio. E dunque ci vedremo in tribunale. Buonasera.

Gianna: No, aspettate, facìteme dicere primma ‘na cosa: guardate ‘ncoppa ‘o tavule. ‘E

               vvedìte ‘e ciure e ‘a pianta? L’aggio purtate io pe’ Renato.

Mario:   Signò, nun me facìte perdere tiempo!

Gianna: Aspettate, e facìteme fernì ‘e parlà...

               I due escono (lui non vuol sentire ragioni). Da destra torna Ivano. E’ stanco.

Ivano:    Ma addò sta ‘stu portaombrelli? ‘E chi schifo ‘e nascondiglio aggio scigliuto!

               Si avvia a sinistra e si ritrova Renato e Marco che parlano.

Renato: Marco, stamme a sentì duje minute... (Nota Ivano) Vuje state ancora ccà?

Ivano:   (Fa finta di niente) Ehm… sì, perché io debbo vigilare.

Marco:  Ah, ma lui è un vigile? E addò ‘o tene, ‘o fischietto?

Renato: Stattu zitto, idiota! Sentite, signor... signor...

Ivano:   Ivano Letto.

Renato: Divano Letto.

Ivano:   No, senza la “D”.

Renato: Senza la “D”. Io volevo chiedervi questo: ma vuje state controllanno sulo a me?

Ivano:   Per adesso sì. Voi siete l’amministratore più indisciplinato che conosco.

Marco:  Non è vero. L’amministratore del palazzo a fianco è peggio di lui! Tene tanta ‘e

              chella pôvere sotto ‘e tappete, che si ‘e scutuliate, apparate ‘o deserto d’’o Sahara!

Renato: Silenzio, tu! Chi t’ha ditto ‘e parlà?

Marco:  Signor Renato, ma io stevo danno sulo ‘na spiegazione a ‘stu ‘nzallanuto!

Ivano:   Chi è ‘nzallanuto?

Renato: No, pe’ carità, nisciuno! Marco, sei un disgraziato! Ma come ti permetti?

Marco:  E me l’avete detto voi: “E’ venuto ‘nu ‘nzallanuto ‘e ispettore...”!

Renato: Io nun aggio ditto ‘nzallanuto! Aggio ditto deficiente!

Ivano:   (Ironico) Ah, e grazie tante! Chillo, deficiente, è cchiù poco ‘e ‘nzallanuto!  

              Comunque, io voglio sapere una cosa: che fine ha fatto il portaombrelli?

Marco:  Niente, l’ho svuotato e l’ho lavato.

Ivano:   (Spaventato) Che cosa? E quello che stava dentro dove l’hai messo?

Marco:  L’ho buttato!

Ivano:   (Si arrabbia) Ma si’ scemo?

Renato: Ma comme, Marco, vaje a gghittà ‘e ‘mbrielle mie?

Ivano:   Ma che me ne ‘mporta d’’e ‘mbrielle? A me me serveva sulo ‘a munnezza che

              steva ‘a sotto a tutto!

Marco:  E che ce n’amma fa’? Quella, la spazzatura, si chiama così perché si butta via!

Ivano:   No, non è esatto. Voi la dovevate consegnare a me. E adesso dove sta?

Marco:    Sta nella busta della spazzatura.

Ivano:     E dove sta la busta della spazzatura?

Marco:    L’ho buttata da sopra al balcone nel bidone dei rifiuti!

Ivano:     E dove sta il bidone dei rifiuti?

Marco:    Sta sul marciapiede davanti al salumiere!

Ivano:     E dove sta il salumiere?

Renato:   Néh, ma che state facénno, tutt’e dduje?

Ivano:     Sentite, io devo scendere subito quaggiù a controllare nel bidone. E a voi, signor

                Renato, che cosa vi avevo chiesto prima? Dovevate farvi la doccia. E subito!

                E fugge via a gambe levate. 

Renato:   Siente, Marco, io e te ce amma fa’ ‘a doccia.

Marco:    Ah, sì? E vabbuò, avviate a v’’a fa’ vuje. Io m’’a faccio aroppo.

Renato:   No, nun he’ capito: io e te ce l’amma fa’ tutt’e dduje ‘nzieme!

Marco:    (Sorpreso e inorridito) Che? No, ma nun sia maje!

Renato:   Disgraziatone! Si nun ce ‘a facìmme, ‘stu tizio, Ivano Letto, me mette ‘a multa!

Marco:    Ma a me me facìte schifo!

Renato:   E pure tu a me! Però l’amma fa’ e basta! Jamme, viene! (Gli prende un orecchio)

Marco:    Piano piano!

                Così i due escono a sinistra.

6. [Leandro e Imma. Poi Gianna e Michele. Poi Renato e Marco. Infine Ivano]

                 Dalla comune entrano Leandro e Imma quatti quatti.

Leandro: Hai visto, Imma? Ivano è uscito da qua dentro di corsa. A questo punto è chiaro

                 che il signor Renato o il suo maggiordomo hanno trovato il DVD.

Imma:     E per forza. Questo Renato Mazza è un investigatore privato. Presto, mettiamo

                 delle ricetrasmittenti in casa, così sentiamo quel che dicono.

Leandro: Mettiamone quattro in questa stanza. (Le estrae dalla tasca) Due io e due tu.

Imma:     (Le prende) Va bene. Così saranno loro stessi a dirci dove si trova il DVD.

                 I due piazzano le ricetrasmittenti. Poi si avvicinano l’uno all’altro al centro.

Leandro: Ecco fatto. Io ne ho messa una sotto una sedia e l’altra nella credenza. E tu?

Imma:     Una sotto il divanetto e una nella pianta che sta sul tavolo.

Leandro: Molto bene. Adesso mi metto l’auricolare. (Così fa) Prova... prova...!

Imma:     Dici qualcosa di più convincente.

Leandro: “La vispa Teresa avea tra l’erbetta al vol sorpresa gentil farfalletta...”! Va bene  

                 così. Ora andiamo in cucina e piazziamo due ricetrasmittenti pure lì. Presto, su.

                 Escono via a destra. Dalla comune entra Gianna. Pare abbastanza delusa.

Gianna:   Mannaggia, l’avvocato Marettiello nun ha vuluto sentere raggione. Ha ditto che

                 me porta in tribunale. E se capisce, chillo vene pavato. (Si siede sul divanetto) ‘E

                 che guajo! E mò comme faccio cu’ Renato? Io gli ho portato i fiori e lapianta, ma

                 nun è servuto a niente. Embé, mò ce porto ‘n’albero! Vedìmme ch’effetto fa!

                 E riflette. Entra Michele con una ventiquattrore.

Michele:  Eccomi qua.

Gianna:   Oh, buonasera, signor Michele. (Si alza in piedi) Come state?

Michele:  (Si avvicina a lei) La signora Gianna?! (La osserva) Ma… come siete cambiata!

Gianna:   Veramente? Sono cambiata? E come vi sembro?

Michele:  Un’altra persona. Ma come ha fatto il signor Renato a divorziare da voi?

                  E comincia a baciarle una mano. Dalla comune entra la signora Alice Salata.

Alice:        Signor Renato! (Nota il tutto e fa finta di niente, imbarazzata) Ah, ehm... salve!

                  Michele subito smette di baciarle la mano. I due fanno finta di nulla.        

Gianna:    Ehm… signor Michele, conoscete la signora Alice Salata?

Michele:   Ma certo, lo avete dimenticato? Io sono stato amministratore di questo palazzo.

Alice:        Signora Gianna, signor Michele. (Va da loro) Scusate se vi ho interrotto!

Gianna:    No, ma voi non avete interrotto niente.

Alice:        E vabbuò, nun ve mettìte scuorno. Mò aggio capito pecché...

Gianna:    Ch’avìte capito, scusate?

Michele:   Appunto. Vedìte ca ve state sbaglianno.

Alice:        Sì, accussì se dice! Ma a me m’’o pputìte dicere! Io sono una tonna di mondo.

Michele:   Una tonna? Una donna! Sentite, signò, ma vuje ‘o tenìte ‘o marito e ‘efigli?

Alice:        ‘O marito sì, ‘e figli no.

Michele:   E allora, invece ‘e sta’ ccà, turnate ‘a casa vosta e jate a ffa’ ‘nu paro figli!  

Alice:        (Si arrabbia) Néh, signor Miché! Ma vuje me stìsseve caccianno? Io so’ venuta

                  ccà sulo pe’ cercà ‘na cosa ‘o signor Renato. Me serve ‘nu poco ‘e candeggina!

Gianna:    E ‘int’a ‘stu mumento nun ‘o ssaccio si ce sta, Renato.   

Michele:   Vabbuò, cchiù tarde v’’a porta ‘o signor Renato, ‘a candeggina. E mò jatevenne.

Alice:        Ma che maniere! E allora io me ne vaco. A proposito, signò, v’arraccummànno,

                  nun ve facìte scuprì d’’o signor Renato! O si no ate fernuto ‘e fa’! Bonasera!

                  Ed esce via.

Gianna:    Ate visto, signor Miché? Chella chi sa mò che se penza?!

Michele:   Già, ‘a signora Alice: ‘a femmena cchiù capera d’Italia! Ma noi ignoriamola.

Gianna:    No, no, non ignoriamola. E adesso scusatemi, ma io devo cercare Renato.

Michele:   E venite con me. Vi accompagno io in cucina. Andiamo.

                  Le prende la mano e gliela bacia. Così facendo, escono a destra. Da sinistra

                  ecco Marco e Renato in accappatoio, con calzini e scarpe.

Renato:    Allora si’ pronto?

Marco:     Purtroppo sì!

Renato:    No, “purtroppo sì” l’aggia dicere io!

Marco:     A proposito, ma si nuje ce amma fa’ ‘a doccia, pecché simme asciùte accà ffora?

Renato:    Devo cercare Ivano Letto: ha da vedé che nuje ce stamme pe’ ffa’ ‘a doccia!

Marco:     Facìteme capì: ma chisto ce ha da spià a nuje amménte ce facìmme ‘a doccia?

Renato:    No, deficiente, ce’ ‘o vvoglio sulamente dicere. Aspettàmme che torna.

                 Dalla comune entra proprio Ivano. E’ preoccupato.

Ivano:      Nun ce sta ‘o DVD! E mò comme se fa?

Renato:    Ah, site turnato?

Ivano:      (Si ricompone) Ehm… sì, però purtroppo non ho trovato una cosa: un DVD.

Renato:    ‘Nu DDT?

Ivano:      Ma che “DDT”? Si dice DVD. E doveva stare nella vostra spazzatura.

Renato:   Ho capito. Embé, e mò che succede?

Ivano:      Una catastrofe! Io sono pure inseguito da due persone a causa di quel DVD.

                 E da destra entrano Leandro e Imma di corsa.

Leandro: Mannaggia la miseria! Non ce la faccio più.

                 I cinque si notano. Così Leandro, Imma e Ivano fanno finta di niente.

Imma:     Ah, ehm... collega Leandro, abbiamo controllato tutto?

Leandro: No, ma non fa niente, torniamo un altro giorno.

Marco:    Uh, signor Renato, mò mi dimenticavo: questi due signori vi stanno cercando.

Leandro: Ah, dunque siete voi il signor Renato Mazza?

Renato:   Per servirvi. E voi chi siete?

Leandro: Siamo ispettori. Siamo qui per controllare ricevute condominiali ed altre cose.

Renato:   Pure voi ispettori? E pure il signor Ivano Letto è un ispettore. 

Imma:     E tu fusse ispettore?

Ivano:     Ma pecché, vuje fùsseve cchiù ispettore ‘e me?      

Renato:   Ah, ma allora vi conoscete?

I tre:        Uff!

Renato:   Inzomma, ccà me vulìte controllà tutte quante a me! Mò vaco a chiammà all’ex

                 amministratore e subito me spiccio! Chillo è impiegato ‘ncoppa ‘o comune! 

Ivano:      (Si preoccupa) Per carità! (Poi si calma) No, cioè, va bene, io torno domani.

Leandro: (Preoccupato) E sì, anche noi.

Imma:     (Preoccupato) Togliamo il disturbo.

Ivano:      A proposito, signor Renato e Marco, vi raccomando la doccia!

                 E i tre scappano via di casa. 

Renato:   Ma che d’è, se n’hanne fujute? Vabbuò, ja’, Marco, jàmmece a ffa’ ‘sta doccia.

Marco:    E vabbé. (Nota la pianta sul tavolo) Signor Renato, guardate ‘ncoppa ‘o tavule:

                 ce sta ‘na pianta. E ce stanne pure ‘e ciure. (E vi si avvicina)

Renato:   (Si avvicina anche lui, soddisfatto) Lo so io chi mi ha mandato tutto questo.

Marco:    Ah, sì? Lo sapete? Meno male, sono contento per voi e per la signora Gianna.

Renato:   (Sorpreso) Gianna? E che ce zzecca Gianna?

                 Da destra entrano Michele Gianna (lui le tiene ancora la mano e gliela bacia).

Gianna:   Signor Michele, Renato non ci sta.

Renato:   (Li nota e resta sorpreso) E tu che ce faje ccà, cu’ ‘o signor Michele?

Michele:  Ehm... niente! (Bacia la mano a Gianna) Eravamo venuti a cercarvi.

Gianna:   E smettetela di baciarmi la mano. (La tira via) Renà, ma tu che ce faje accussì

                 cumbinato, cu’ st’accappatoio ‘ncuollo?

Renato:   Niente, m’aggia fa’ ‘a doccia cu’ Marco!

Gianna:   (Stupita) Che? Ma allora... Renato è addiventato… gay! (Sconvolta) Oddio mio!

Michele:  No, aspettate!

                 Fugge via di casa con Michele che le tiene la mano, baciandogliela.

Renato:   (Stupito) Ma che cacchio ha capito, chella? Mah! Marco, va’ a priparà ‘a doccia.

Marco:    Subito!

                 Marco esce a sinistra, mentre Renato prende un corless ed una cartellina.

7. [Renato ed Alice]

                Seduto al divanetto c’è Renato col telefono cordless e una cartellina davanti.

Renato:  Ma che me ne ‘mporta d’’o matrimonio, ‘o divorzio e tutto ‘o riesto? Io preferisco

                il mio lavoro. E allora vediamo i casi di oggi. (Apre la cartellina e legge) Ecco la

                lista: corna, corna, corna, corna. Ma che d’è? Sulo corne, oggie? Meno male che

                ho già risolto alcuni casi. Ora chiamo i clienti. Dunque… (Compone il numero,

                poi...) Pronto, casa Abbifede? Sono l’investigatore privato Renato Mazza. Signò,

                ve lo confermo: tenìte ‘e ccorne! Non ci credete? Signora Abbifede, abbiate fede!

               (Riaggancia) Basta, ora vado nel mio studio e prendo la cartellina con “Tutti i casi

                generici”. (Si alza in piedi) M’aggio sfastriato ‘e sentì ‘e parlà ‘e corne!

              Lascia il cordless sul tavolo e esce via a sinistra con la cartellina. Entra Alice: è

              in pantofole ed ha una piccola zuppiera nella quale sta montando la panna. 

Alice:    Marò, comme me sfastidio ‘e muntà ‘a panna! Ma mio marito Ugo ‘a va’ truvanno

              sempe. E intanto mò aggia parlà cu’ ‘o signor Renato. Chillo ha da spià ‘o cane          

              mio, Ugo: l’aggio chiammato comm’a mio marito, pecché è tale e quale a isso!

              Chillu cane fesso s’è mmiso a ffa’ ammore cu’ ‘na cagna scema. E si chella esce

              ‘ncinta, m’aggia tené pure a essa ‘a casa mia? E pure ‘e “ccriature” soje? A chi?

              Si siede al divanetto e continua a montare la panna. Da sinistra torna Renato.

Renato: Ecco la mia cartellina preferita. Adesso devo... (Nota Alice e si incuriosisce) E che

               sta facenno, chesta? (Le si avvicina da dietro) Signora Alice.

Alice:    (Si spaventa, si alza di scatto e monta più velocemente la panna) Marò!

Renato: Scusate, vi ho spaventato?

Alice:    E pe’ forza! Anze, guardate ccà! (Mostra la panna) Niente di meno s’è spaventata

              pure ‘a panna, e s’è muntata cchiù ambresso!

Renato: State facenno ‘a panna? Scusate, ma è per questo che siete venuta?

Alice:    No. Io sono venuta in qualità di cliente vostra.

Renato: Ah, sì? E brava. E allora sediamoci sul divanetto e parliamo.

Alice:    Grazie.  

              Alice posa la panna sul tavolo. I due si accomodano sul divanetto.

Renato: Allora, come sta vostro marito?

Alice:    Purtroppo bene! Ma adesso parliamo di una cosa più importante: chillu deficiente!

Renato: (Starrà parlanno d’’o marito!). Scusate, ma voi state parlando proprio di lui, lui?

Alice:    Sì, sto’ parlanno ‘e Ugo.

Renato: Ecco, appunto!

Alice:    Vedete, io mi pensavo che quello era un bravo animale. E invece è solo una bestia!

Renato: Vabbé, ma non esageriamo, adesso.

Alice:    No, no, esageriamo. L’altro giorno stavamo per strada. A un certo punto ci siamo

              avvicinati alla ruota di una macchina, e lui ci ha fatto la pipì sopra!

Renato: (Sorpreso) Ha fatto ‘o pipì ‘ncoppa ‘a rota ‘e ‘na machina? E vuje ch’ate fatto?

Alice:    Io gli ho detto: “Ugo, non si fa qua la pipì. Valla a fare vicino a quell’albero”!

Renato: Uh, Giesù!

Alice:    E mentre cammenàveme, isso ha visto a ‘na cusarella corta e brutta. Se chiamma

              Dora. Chella se steva magnanno cierti ssasicce che ce ha regalato ‘o macellaro!

Renato: ‘Nmiezo ‘a via?

Alice:    Sì. E appena Ugo l’ha vista, s’è avvicinato... e si è messo a odorarla tutta quanta!

Renato: Pazzesco!  

Alice:    Comunque, io sono gelosa, ma non tengo nulla in contrario che loro due si vedono.

              Basta che lui non mi porta i figli che avrà con lei in casa mia. E’ chiaro?!

Renato: (Perplesso) E vabbé, contenta voi! Scusate, ma in tutto questo, io che dovrei fare?

Alice:    Niente, lo dovete pettinare!

Renato: L’aggia pettinà?! E che faccio ‘o parrucchiere?

Alice:    No, nel senso che l’avìta ì areto.

Renato: Ah, lo devo pedinare! E va bene. (Perplesso) Ora mi segno tutto. (Dalla cartellina

              prende un foglio) Allora, ditemi i vostri dati. Io scrivo. Dite, dite. (E scrive)

Alice:    Dunque: io mi chiamo Alice Salata... in Olio!

Renato: E se capisce! Addò ‘e vvulìte mettere ll’alice?

Alice:    Ma che facìte, ‘o spiritoso?!

Renato: No, vulévo dicere che vuje e ‘o marito vuosto, ate fatto ‘nu bellu abbinamento!

Alice:    Lassate sta’! E scrivete: io tengo 45 anni, nata a Napoli, residente a Mergellina.  

Renato: E il pedinato come si chiama? Ah, già, Ugo. Facciamo così: scrivo solo il suo

              nome. Il cognome lo evitiamo per motivi di privacy!  

Alice:    (Sorpresa) (‘O cugnomme? Ma pecché, ‘e cane ténene pure ‘e cugnomme?!).

Renato: Va bene, allora state tranquilla. Tornatevene a casa e non pensate più a niente.

Alice:    Signor Renato, quanto vi devo? V’arraccummànno, facìteme sparagnà!

Renato: Vabbuò, po’ parlamme d’’o prezzo. Per ora risolviamo prima il caso. Va bene?

              I due si alzano piedi.

Alice:    Grazie. A proposito, un giorno vi racconterò pure una cosa sulla vostra ex moglie.

Renato: No, pe’ piacere, nun ‘a voglio sapé. Ve ringrazio ‘o stesso!

Alice:    E vabbé. Allora ve prumetto ‘na cosa: si chillu disgraziato ‘e Ugo mette incinta a

              chella Dora, ‘o primmo piccerillo che nasce, v’’o dongo a vuje! Stateve buono!

              Prende la zuppiera con la panna dal tavolo e esce via. Renato resta interdetto.

Renato: Vo’ regalà ‘nu criaturo a me? P’ammore ‘e Dio!

               E esce via a sinistra.

8. [Marco e Raffaela Svergognata. Poi Liliana. Poi l’Avv. Mario. Infine Fabio e Imma]

                 Da destra entra Marco con un ombrello in mano.

Marco:    Primma, quanno aggio lavato ‘o portaombrelli, m’aggio scurdato ‘stu ‘mbrello

                 ‘int’’a doccia. Chi sa si funziona? (Lo apre e dal suo interno casca la busta col

                 DVD. La raccoglie, sorpreso. Apre la busta) E che d’è ‘stu coso? Chisto ha da

                 essere ‘o DVDche steva cercanno chillu tale, Ivano Letto. Sono troppo curioso.

                 (Posa l’ombrello) Lo voglio vedere subito. 

                 Si avvia a sinistra, ma dalla comune entra Raffaela Svergognata (ragazza sexy).

Raffaela: Si può?

Marco:    (Si ferma) Ma chi è, mò? (Si volta e la nota) Ah, sei tu, Raffaela? Vieni, entra.

Raffaela: (Entra e va da lui) Ciao, Marco. Senti, e non c’è il signor Renato?

Marco:    Ce sta, però tene che ffa’. ‘O vuo’ aspettà?

Raffaela: Sì, perché il mio problema è troppo impegnativo. Solo lui lo può risolvere.

Marco:    Sì, però fa’ ambresso! Io e isso ce amma fa’ ‘a doccia ‘nzieme!

Raffaela: (Sorridente) Tu scherzi sempre! E che cos’è quel DVD che tieni in mano? 

Marco:    Ah, ehm… il concerto di Nino D’Angelo. Io m’’o vaco a vedé. Cià, cià.

                 Ed esce a sinistra, di corsa. Raffaela va a sedersi sul divanetto. E’ dubbiosa.

Raffaela: Mah! Però io aggia ‘ncuntrà ‘o signor Renato. Me voglio fa’ assumere comme

                 aiutante. E già, ho deciso!

                 Dalla comune entra Liliana frettolosamente.              

Liliana:   Il mio primo giorno di lavoro e già sono in ritardo. (Nota Raffaela pensierosa) E

                 chi è chella? Se è una cliente del signor Renato, quasi quasi gliela rubo! Me la

                 pappo io! (Le si avvicina) Ehm... chiedo scusa. (Si siede accanto a lei,

                 sfacciatamente) Permetti? Io sono Liliana Cheschifo. E tu?

Raffaela: (Un po’ perplessa) Raffaela Svergognata.

Liliana:    Lo sai? Io ho capito tutto: tu stai cercando il signor Renato. Non è così?

Raffaela: Brava, hai indovinato. E vediamo pure se indovini perché voglio parlare con lui.

Liliana:    Tu sei una sua cliente: ‘o ‘nnammurato tuojo se n’è fujuto e tu vuo’ sapé pecché!

Raffaela: No, veramente, il signor Renato mi deve assumere come sua aiutante privilegiata.

Liliana:   (Contrariata) Che? E brava, è venuta fresca fresca! Siente, nenné, ccà ce stongo

                 primm’io! E se lo vuoi sapere, questo è il mio primo giorno di lavoro. E il signor

                 Renato mi porta nel palmo della sua mano! T’aggia dicere niente cchiù?!

Raffaela: Senti, io conosco il signor Renato da molti anni. Mi fa una corte spietata. Mi sa

                 che quando mi vedrà e saprà quello che voglio fare... a te te caccia a cavice!

Liliana:    Siente, guagliò, chella è ‘a porta! E allora vatténne.

Raffaela: Embé, e tu fusse ‘n’ivestigatrice privata? Cu’ chella faccia?

Liliana:    E vabbuò, allora aggio capito. Ti propongo una sfida: io sto cercando mio padre

                 da quando ero piccolissima. Va’, truovammìllo, si si’ capace.

Raffaela: Strano, anch’io mi trovo nella stessa situazione. Che sai tu di tuo padre?

Liliana:    Niente. E tu?

Raffaela: So solo che è un avvocato. Lui e mia madre mi abbandonarono. Quello si era da

                 poco laureato. E così, non potendo mantenermi, non vollero tenermi con loro.

Liliana:    Caspita, che brutta storia. E poi che cos’altro sai più?

Raffaela: So che tiene una cicatrice sul polso della mano destra. Si procurò una ferita

                 quando mi abbandonò e gli rimase il segno. Lo fece apposta per il rimorso.

Liliana:    Io invece non so quasi nulla di mio padre. I miei zii che mi tengono con loro non

                 me ne parlano mai, perché dicono che lo odiano. Ma io invece no.

Raffaela: E che cos’altro sai di lui?

Liliana:    So che porta un tatuaggio con le mie iniziali, L.C., sul polso sinistro.  

Raffaela: Senti, io direi di fare così: tu cerchi mio padre ed io cerco il tuo.

Liliana:    Benissimo! Chi vince, resta col signor Renato. Ci stai?

Raffaela: Ci sto! Dammi la mano.

                  Le due si stringono la mano. Poi si alzano in piedi.

                  Da ora comincia la nostra scommessa.

Liliana:    Bene. (Le dà un biglietto da visita) Questo è il mio numero di telefonino.  

Raffaela: (Fa lo stesso) E questo è il mio. E ti raccomando: si pierde, nun chiagnere! Ciao.

                  Ed esce via fiera di sé. Liliana appare molto sicura.

Liliana:    E invece ti frego io: vado a scavare nello schedario del signor Renato, così parto

                  avvantaggiata. Alla grande!

                  Dalla comune entra l’avvocato Mario con la sua ventiquattrore in mano.

Mario:      E’ permesso?

Liliana:    Ehm... sì?

Mario:      Sono l’avvocato Mario Marettiello. Non c’è il signor Renato?

Liliana:    Credo di no. Volete dire a me? Io sono la sua collaboratrice. Mi chiamo Liliana.

Mario:      (Avvicinandosi) Che schifo.

Liliana:    Bravo. Io mi chiamo proprio Liliana Cheschifo.

Mario:      No, io dico: che schifo, pecché nun ‘o riesco maje a truvà, ‘o signor Renato!  

Liliana:    Vabbé, non perdiamo tempo. Ditemi il vostro caso. Di che si tratta?

Mario:      Beh… veramente… c’è una cosa che non ho mai detto a nessuno. Ti interessa?

Liliana:    (Interessata) Sì, sì, sì, vi ascolto. Dite pure.   

Mario:      Vedi… anni fa ho combinato un pasticcio con una donna che non amavo.

Liliana:    Quale pasticcio? (Ci pensa) Ah, ho capito. Prego, continuate.

Mario:      Da quel pasticcio, nacque una figlia. I miei genitori, sdegnati, mi cacciarono di

                  casa. Io mi ero appena laureato, ma non esercitavo ancora. Non potendo offrire

                  una vita dignitosa a mia figlia, io e sua madre l’abbiamo lasciata sotto casa di  

                  mio cognato e siamo fuggiti via. Pensa, non le abbiamo dato nemmeno un nome.

Liliana:    (Interessata) Veramente? Scusate un secondo! (Gli guarda il polso della mano

                  destra e resta sbalordita) Oh, Madonna mia!

Mario:      (Tira via il polso) Néh, ma ch’è stato?

Liliana:    Avvocato, avete una cicatrice!  

Mario:      Embé? Vinticinche anne fa m’aggio tagliato cu’ ‘o tagliacarte mio! Pecché?

Liliana:    Ma è bellissimo tutto ciò!

Mario:      E’ bellissimo ‘o fatto che m’aggio tagliato?!  

Liliana:    No, è bellissimo il fatto che voi avete ritrovato vostra figlia.

Mario:      ‘O vero? (Cerca di abbracciarla) E allora, figlia mia, viene ccà!

Liliana:    (Lo scansa) Aspettate, ma ch’ate capito? Non sono io vostra figlia. E’ un’altra!

Mario:      E allora non la voglio vedere. Non mi sento ancora pronto ad incontrarla.  

Liliana:    No, ma non vi preoccupate, quella vi perdona... o si no l’aràpo ‘a capa!

Mario:      Ma io non so neppure com’è fatta e come si chiama.

Liliana:    Si chiama Raffaela Svergognata.

Mario:     ‘O vi’? He’ visto? E’ pure svergognata.

Liliana :   E che è colpa sua? Si vede che l’ha adottata qualcuno che si chiama così.

Mario:     Siente, io nun saccio niente e nun voglio sapé niente. He’ capì? Quanno vene ‘o

                 signor Renato, dicce ca io torno cchiù tarde.

Liliana:    No, voi non ve ne potete andare.

Mario:     Eh, m’ha dichiarato in arresto! Nenné, io tengo che ffa’. Cià, stamme buono!

Liliana:    No, aspettate.

                 E va via con Liliana che cerca inutilmente di fermarlo. Poi lei desiste.

                 Oh, no, e come faccio? Devo chiamare sul telefonino a Raffaela. La chiamo col

                 mio cellulare? No, e che so’ fessa? La chiamo cordless del signor Renato.

                 Esce a destra. Entrano Leandro (che ascolta l’auricolare) e Imma, dalla comune.

Leandro: Imma, dall’auricolare ho sentito il cameriere del signor Renato. Ha trovato un

                 DVD in un ombrello. Chissà se si tratta di quello che stiamo cercando noi?

Imma:     (Commossa) Non lo so. Io ho sentito la storia commovente di quel signore! Spero

                 che riesce a ritrovare la figlia.

Leandro: Ma che l’he’ pigliato, pe’ ‘nu rumanzo?!

Imma:     (Commossa) No, ‘stu fatto è meglio ‘e ‘nu rumanzo, pecché è tutto cose ‘o vero!

Leandro: Imma, ma inzomma, ‘o vulìmme truvà chillu DVD, sì o no?

Imma:     (Ancora commossa) Sì, Leandro.

Leandro: E allora jamme a piazzà cocche microspia dint’’a stanza ‘e lietto. E jamme a ce

                 mòvere, che me stongo avvianno a sfastrià!

Imma:     (Sempre commossa) E gghiamme.

                 I due escono a sinistra.

3. [Gianna e Michele. Poi Leandro e Imma. Poi Raffaela e Ivano]

                 Dalla comune entrano Gianna e Michele.

Gianna:   Signor Michele, dovete assolutamente spiegarvi con Renato.  

Michele:  Aspettate, ma che ll’aggia spiegà?

Gianna:   Che io e voi non stavamo facendo niente di male, e che siete stato voi a baciarmi

                 la mano, e non il contrario.

Michele:  E io m’avéssa mettere a ffa’ tutto ‘stu raggiunamento? Signò, ma pe’ cortesia!

Gianna:   Niente storie. Pe’ colpa vosta, rischio ‘e m’appiccecà definitivamente cu’ Renato.

Michele:  Capirai! Vuje nun ate jute maje d’accordo cu’ isso! Ate pure divorziato!

Gianna:   Embé, se non fate quello che vi ho chiesto, vado da vostra moglie e le dico tutto.

Michele:  (Con atteggiamento di sfida) E fatemi sentire, che le raccontate?

Gianna:   Le racconto... le racconto... che voi avete una figlia segreta con me. Ecco!

Michele:  Signò, ma nun me facìte rirere!

Gianna:   Ah, sì? Vulìte rirere? E allora mò vaco addù essa. (Chiama) Signora Lucia!

Michele:  No, no, ‘nu mumento, addò vulìte ì?

Gianna:   Lassàteme sta’. Signora Lucia!

Michele:  No, aspettate, ragioniamo...

                 Escono via. Da sinistra tornano Leandro e Imma (ancora commossa).

Leandro: Imma, smettila di piangere, una buona volta. Ricordati che noi agenti della CIA

                 italiana non possiamo piangere, non possiamo ridere e non possiamo dormire.

Imma:     E nel nostro caso, da molto tempo, non facciamo più nemmeno quella cosa che

                 sai tu! Eppure noi siamo sposati da tanti anni. E te pare bello ‘stu fatto?

Leandro: E che t’aggia dicere? Sei tu che hai scelto di farci lavorare per la CIA.

Imma       Sì, però, Leandro, a me chillu signore che parlava d’’a figlia soja m’ha fatto venì

                 ‘o genio ‘e fa’ ‘nu figlio pure a me. Nun è che...?!

Leandro: Siente, mettìmme a posto primma ‘sta faccenda d’’o DVD, e ppo’ ne parlamme.

Imma:     (Sospirando) E va bene. E allora adesso che si fa?

Leandro: Niente, amma piazzà ancora cocche microfono ‘int’’o bagno e amme fernuto.

Imma:     (Stufa) Agli ordini, agli ordini!

                 E escono via a sinistra. Dalla comune entra Raffaela con delle foto in mano.

Raffaela: Ho scattato fotografie in strada con la mia macchina digitale e le ho già stampate.

                 Ma qua mi pare che nessuno assomiglia a quella Liliana. Fammi vedere di nuovo.  

                 Si siede al tavolo e guarda le foto. Dalla comune entra Ivano molto arrabbiato.

Ivano:      Chilli duje me vonno fa’ fesso a me! Ma hanno trovato pane per i loro denti! (Poi

                 nota Raffaela e le si avvicina) Ehi, scusa.

Raffaela: (Lo nota) Aspetta un secondo, fatti vedere bene! (Si alza, lo guarda e confronta il

                  suo viso con le sue foto) Dunque… No, non ci sei!  

Ivano:      Eh?

Raffaela: Allora mi devi dare un po’ del tuo sangue. Così lo porto dall’analista per far

                 analizzare il tuo DNA, e dopo lo confronto con quello di una ragazza!

Ivano:      Guagliò, ma tu te siente bona?

Raffaela: Sì, sto benissimo. E adesso fammi vedere il polso della tua mano sinistra. (Glielo

                 prende) Metti qua!

Ivano:      (Lui si oppone) E stattu qujeta!

Raffaela: Ma io devo vederlo. (Riesce a vedere il polso della mano sinistra e resta

                 sconvolta) Non può essere. Il tatuaggio con le iniziali L.C. Ma allora sei tu.

Ivano:      Io chi?

Raffaela: Tu hai una figlia. Sei suo padre.

Ivano:      Ma che staje dicénno?

Raffaela: Sì. Lei si chiama Liliana. Senti, per caso tu, di cognome, ti chiami Cheschifo?

Ivano:      No, veramente io mi chiamo Ivano di nome e Letto di cognome.

Raffaela: E forse Cheschifo è il cognome della famiglia che l’ha adottata. Per cui, auguri!

Ivano:      Ma qua’ auguri? Quala figlia? Io nun saccio niente.

Raffaela: No, non mentire. Grazie a te, io ho vinto la scommessa. Adesso glielo vado a

               dire: “Cara Liliana, ho ritorvato tuo padre”! (Si avvia ad uscire fuori casa)

Ivano:    (Si spaventa) No, ma addò vuò ì? Io nun tengo a nisciuna figlia! Viene ccà!

               Raffaela esce di casa e lui la insegue per fermarla dal suo intento.

5. [Marco e Renato. Poi Michele e Gianna]

                Da sinistra entra Marco. E’ meravigliato e dolorante al sedere.

Marco:   Aggio visto ‘o DVD: comm’è bello! Ci stava una mappa di un posto dove sono

                nascosti 1.000.000 di Euro. Solo che esultando, sono andato a finire sulla pianta di

                cactus del signor Renato. (Si tocca il sedere, dolorante) Uh, che dulore!

                Da sinistra torna Renato richiamato dalle lamentele di Marco.

Renato:  Che sta succedenno ccà ddinto? (Lo nota) Marco? Uhé, he’ priparato ‘a doccia?

Marco:   Ehm... sì,è pronta.

Renato:  (Lo nota dolorante) Ma che è, perché ti stai toccando il sedere?

Marco:   Perché sono andato a finire su una pianta di cactus e mi sono punto.  

Renato:  Cactus? Mica sei entrato nel mio studio? Sai benissimo che non voglio.

Marco:   Ehm… sì.

Renato:  Disgraziato! E pecché?

Marco:   Ora vi racconto. Sulo che nun me pozzo assettà, pecché me fa male ‘o popò.

Renato:  Senti, fammi vedere. Appoggiati un poco sul bordo del divanetto.

Marco:   (Va al divanetto, si piega sulle ginocchia e si alza la camicia) Va bene così?

Renato:  Sì. Nun te mòvere.

                Intanto, dalla comune tornano Gianna e Michele. I quattro non si notano.

Gianna:  Allora avete capito?

Michele: Perfettamente: devo dire al signor Renato che voi lo volete ancora.

Gianna:  Bravissimo. E mò jàmmele a cercà ‘int’’o studio suojo!

                Si voltano a sinistra e si bloccano perché vedono i due, che però non li notano.

Marco:   Signor Renato, v’arraccummànno, chianu chiano.

Renato:  Nun te prioccupà, io so’ delicato.

Marco:   Ma me state facénno male!

Renato:   T’aggio ditto nun te prioccupà. Forza, jamme dinto. Viene.

                I due escono a sinistra. Gianna e Michele li osservano. E da dentro si sente:

Marco:   Ah, e v’aggio ditto: facìte cchiù chiano!

Renato:  Aspié, vaco ‘nu mumento ‘int’’a cucina e torno subito. Prendo dei guanti.

                Renato torna nel salone, osservando Marco nella stanza a sinistra:

                Marchetié, mò che torno, te faccio vedé che servizio, te faccio!

                Si volta e nota i due che lo guardano sorpresi. Non sa cosa dire.

                Ah, ehm... no, niente! (Confuso) Di là ci sta Marco. Sta sulle spine! Cioè, ci è

                andato sopra! Allora, quando è venuto, mi ha detto: “Volete vedere”? E io ho

                toccato, però lui si faceva male, e così io...!

Gianna:  (Sconvolta) Marò, Renato è overamente gay! 

                E così la donna sviene tra le braccia di Michele. Renato osserva senza parlare.

FINE ATTO PRIMO

Salone di casa Leandro: cinque mesi dopo.  

ATTO SECONDO

1. [Marco e Renato. Poi Imma e Leandro. Poi Gianna]

               Dalla comune entra Marco (ha un cappotto nero) con due buste in mano, deluso.

Marco:  Mannaggia ‘a miseria! Pe’ gghi’ a ffa’ ‘a spesa, me so’ fermato cu’ ‘a machina in

               sosta vietata e aggio acchiappato ‘a multa: 110 Euro! Menu male ch’’a machina è

               d’’o signor Renato, accussì, ‘a multa, ‘a pava isso!

               Posa le buste sul tavolo e si siede. Da sinistra torna Renato.

Renato: Chi sa si Imbecille è gghiuto a ffa’ ‘a spesa?! (Lo nota) Ah, è turnato! Stevo

               penzanno justo a te. E allora, che he’ accattato ‘e buono?

Marco:  Tutte le cose che mi avete chiesto. Tranne una.

Renato: Vabbuò, mica se tratta d’’a muzzarella?! Tu ‘o ssaje, io ne vaco pazzo!

Marco:  E invece se tratta proprio d’’a muzzarella!

Renato: (Seccato) E te pareva! Embé, e pecché nun l’he’ pigliata?

Marco:  Pecché ‘ncoppa ‘o piezzo ‘e carta aggio scritto “mozzarella” cu’ una “z”!

Renato: E allora?

Marco:  ‘O salumiere ha ditto che nun ‘a tene ‘a muzzarella cu’ ‘na “zeta” sola!

Renato: E chillo è cchiù scemo ‘e te! Mò scinne ‘n’ata vota e valla a accattà ‘o caseificio

               accà de reto. Muòvete.

Marco:  (Si alza) Ehm... ma ci devo andare a piedi?

Renato: Qua’ a piedi? Io t’aggio dato ‘a machina mia.

Marco:  Sì, però ci sta un piccolo problema: ho avuto la multa.

Renato: E pecché?

Marco:  Sosta vietata. Totale: 110 Euro.

Renato: Cretino, deficiente, scemo... anze, Imbecille, comm’’o cugnomme tuojo! Mò saje

               che faccio: ‘a pavo io, però cu’ ‘e sorde tuoje! Te li scalo dallo stipendio.

Marco:  Pure?!

Renato: Sì. E mò ce vaje a pede ‘o caseificio. Anze, piglie ‘o pulmànn!

Marco:  Pe’ carità! Stammatìna, pe’ piglià ‘o pulmànn, aggio pigliato ‘n’ata multa.

Renato: E pecché?

Marco:  Pecché nun aggio obbligato ‘o biglietto!

Renato: Nun he’ obbligato ‘o biglietto? Ma pecché, cummànna isso? Quello è un pezzo di

               carta. Tu sei un essere umano, e dunque ‘a cummànne tu!

Marco:  No, ma io voglio dicere che nun aggio obbligato ‘o biglietto, cioè nun l’aggio miso

              ‘int’a machinetta che sta ‘ncoppa ‘o pulmànn! 

Renato: Ah, ma allora vuo’ dicere che nun he’ obliterato ‘o biglietto. Ma ch’imbecille che

               ssi’! Va’, scinne, piglie ‘o pullmànn. E speràmme che ‘stu pullmànn te votta sotto!

Marco:  E vabbé. Con permesso.

               Esce via lasciando le buste sul tavolo.

Renato: Ma guardate a chisto! Ha lassato pure ‘e bbuste ‘ncoppa ‘o tavule! Ma chi m’’a dà

               tanta pacienza?! A me m’hanna chiammà San Renato Mazza!

               Prende le due buste e le porta in cucina a destra. Da dentro lo si sente blaterare.

               Io lo dico sempre: chi fa da sé, fa per trentatre!

                 Renato torna col cordless, va a sedersi sul divanetto e chiama qualcuno.

Renato:   Pronto, casa Dolcetto? Ah, siete voi? Signor Dolcetto, il vostro caso è risolto.

                 Non vi preoccupate, vostra moglie non vi tradisce. Vi ha fatto solo uno

                 scherzetto. Siccome vi chiamate Dolcetto… ha fatto “dolcetto scherzetto”! (Se la

                 ride. Poi diventa serio) Signor Dolcetto! Ha attaccato. Forse nun l’è piaciuta ‘a

                 battuta! Ua’, e comm’è permaloso, chisto! Subito s’’a piglia!

                 Da destra entra Gianna: ha il pancione, essendo incinta al quinto mese.

Gianna:   Renà. (Va verso di lui)

Renato:   (Preoccupato) Uhé, Gianna, e come, tu cammini senza di me? Tu sei incinta.

Gianna:   (Gli siede accanto sul divanetto) Renà, ma io stongo sulo ‘o quinto mese ‘e

                 gravidanza. Mica sto’ parturenno mò?

Renato:   Hai ragione. Però che bello. Tra quattro mesi nascerà mio figlio: Sherlock!

Gianna:   A proposito, Renà, ma proprio Sherlock l’amma chiammà? Nun ‘o putésseme

                 chiammà ‘nu nomme cchiù classico? Che saccio: Carlo, Arturo, Vincenzo...!

Renato:   No, e che nomme so’ chiste? Noi lo chiameremo come il più grande investigatore

                 della storia! Se fosse esistito veramente, io avrei voluto assomigliare a lui!

Gianna:   E vabbuò, cuntento tu! Comunque, devi sapere che per fare un figlio, ci vogliono

                 i giusti ingredienti. E poi bisogna tenerlo al caldo, plasmarlo, lavorarlo...!

Renato:   Néh, ma ch’amma fa’ ‘nu figlio o ‘nu casatiello?!

Gianna:   Vabbé, quello era per dire. E pensare che cinque mesi fa ci eravamo lasciati. Ma

                 poi, io ti ho visto insieme al tuo maggiordono… in situazioni equivoche!

Renato:   Gianna, ma secondo te io ero equivoco?!

Gianna:   E tutto può essere nella vita. A proposito, Renà, ho voglia di mozzarella.

Renato:   Proprio ‘a muzzarella? Chill’imbecille ‘e Marco nun è capace ‘e l’accattà.

Gianna:   Uh, e mò comme se fa?

Renato:   E non lo so. Adesso vatti a mettere un poco sul letto, mentre io vado in bagno.

                 La aiuta ad alzarsi. Renato intanto interroga Gianna.

                 Ma dico, deve essere per forza mozzarella? E se fosse provola?

Gianna:   No, mozzarella e basta!

Renato:   E vabbuò. Vediamo.

                 E vanno a sinistra. In casa entrano Leandro e Imma sottobraccio. Lei è incinta.

Leandro: Imma, viene, trase. Assiéttete ‘ncoppa ‘a seggia.

Imma:     (Si siede al tavolo) Mamma mia, Leandro, sto’ cammenanno ‘a stammatina. E

                 ppo’ so’ cinche mise che stamme cercanno ‘stu DVD. Secondo te esiste ancora?

Leandro: Sì. Aggio scuperto ch’’o DVD ‘o tene ‘o maggiordomo d’’o signor Renato. Noi

                 ce lo prendiamo e ce ne andiamo. Così ci dedicheremo alla nascita della nostra

                 piccola: Agatha. La voglio chiamare così inonore di Agatha Christie!

Imma:     Bravo. Chiammàmmele comme vuo’ tu. Ma mò addò starrà ‘stu maggiordomo?

Leandro: Te lo dico subito. (Tira fuori una radio) La vedi questa? Adesso sentiamo tutti i  

                 microfoni da noi piazzati cinque mesi fa in questa casa. Quala stanza vuo’ sentì?

Imma:     Voglio sentire la stanza da letto.

Leandro: (Regola la radio) Ecco qua.

Imma:     (Non si sente nulla) Ma io nun sento niente.

Leandro: E se vede ca nun ce sta nisciuno, ‘int’’a stanza ‘e lietto. E ora che vuoi sentire?

Imma:     Voglio sentì ‘o bagno.

Leandro: Il bagno?(Regola la radio) Ecco, ora sentiremo qualcosa di molto interessante.

                 Si sente un rumore di sciacquone. Leandro allora intuisce qualcosa.

                 Eccolo! Chisto ha da essere ‘o signor Renato!

Imma:     ‘O vero? E tu comm’’o ssaje?

Leandro: Dopo cinque mesi che lo stiamo spiando, ho imparato come tira lo sciacquone!

Imma:     E allora jamme addù isso, minacciàmmele e facìmmece da’ ‘o DVD.

Leandro: Perfetto. Vieni, ti aiuto ad alzarti. (Così fa) Jamme bello, avanzàmme ‘o passo!

                 I due si avviano pian piano a destra. Ma da sinistra torna Renato.

Renato:   Ecco qua, ho accompagnato a Giann... (Li nota, gli va vicino e grida) Uhé!

                 I due si bloccano.

                 Voi due, voltatevi.

                 I due si voltano pian piano verso Renato.

                 Ancora vuje? So’ cinche mise che me state controllanno comme faccio

                 l’amministratore. Ma ch’ata controllà cchiù? Io v’aggio fatto vedé tutto cose.

Leandro: E va bene, adesso basta. Ora io e mia moglie ci togliamo le maschere.

Renato:   ‘O vero? V’ata levà ‘e mmaschere? E facìte buono, chelle so’ accussì brutte!

Leandro: No, nel senso che vi sveliamo la nostra vera identità: io sono Leandro Tammazzo.

Renato:   E lei, invece?

Imma:     Imma Magnà.

Renato:   E proprio mò ata magnà? (Nota il pancione) Ah, già, vuje tenìte ‘a panza!

Leandro: Sentite, signor Renato, adesso vi diciamo la verità: noi due stiamo cercando un 

                 DVD rubato alcuni mesi fa da un certo Ivano Letto. Va bene?

Renato:   (Sorpreso) No! Overamente? E chi ‘o tene ‘stu coso che dicìte vuje?

Leandro: Il vostro maggiordomo.

Renato:   Chill’inbecille nun m’ha ditto niente! E che ce sta ‘int’a ‘stu DDT?

Leandro: DVD! Mi dispiace, non posso rivelarvi nulla sul suo contenuto. Sono segreti che

                 appartengono a noi della CIA italiana. 

Renato:   (Ironico) ‘O vero? E vuje fùsseve d’’a CIA italiana? E allora io songo ‘e l’FBI!

Leandro: Nun facìte ‘o spiritoso, una cosa! E lasciateci parlare col maggiordomo vostro.

Renato:   Ma vuje che vvulìte ‘a me? Io devo cercare la mozzarella per mia moglie.

Imma:     (Sofferente) Uh, Marò, Leandro, m’è venuta voglia ‘e me magnà ‘o prusutto!

Leandro: E justo mò t’ha da venì ‘sta voglia? Signor Renato, pe’ caso tenìsseve ciente

                 gramme ‘e prusutto?!

Renato:   E che faccio, ‘o salumiere, io?

Leandro: Ma mia moglie è incinta.

Renato:   E pure mia moglie è incinta. E’ al quinto mese.

Imma:     Uh, come me. (Sofferente) Mamma mia, nun ce ‘a faccio cchiù.

Leandro: Vabbuò, va’. Signor Renato, nuje scennìmme a accattà ‘o prusutto. Si vedìte ‘o

                 maggiordomo vuosto, dicìtece ca nun se move ‘a ccà. Ate capito ‘a ‘mmasciata?

Renato:   Sì, state tranquillo. Andate, fate pure il vostro comodo e poi tornate.

Leandro: E allora jamme, Imma. Muvìmmece. Con permesso, signor Renato.

                 I due escono via sottobraccio.

Renato:   Ma tu he’ capito? Chill’imbecille ‘e Marco Imbecille trova ‘nu DVD e nun me

                 dice niente. Ave raggione che mò aggia penzà a Gianna . Ma mò che torna…

                 Dalla comune entra Marco a mani vuote.

Marco:    Signor Renato, niente mozzarella. (Toglie ilcappotto e lui ha il pancione)

Renato:   Marco! Ma mò si’ incinta pure tu ‘e cinche mise?! Ma che d’è, ‘n’epidemia?

Marco:    Ma qua’ incinta? Io tengo ‘a panza pecché m’aggio fatto chiatto!

Renato:   A proposito: disgraziato, ma che he’ cumbinato? Che d’è ‘stu fatto d’’o DVD? ‘O

                 stanne cercanno duje signure d’’a CIA, e pure chillu Ivano Letto!

Marco:    Quei due della CIA? Li ho visti qua fuori, però m’aggio nascosto e loro nun

                 m’hanne visto!

Renato:   Caccia mommò ‘o DVD, o si no passàmme ‘e guaje nuoste. Questi ci uccidono.

Marco:    (Spaventato) Mamma bella. E vabbuò, signor Renato, mò ve dico tutto cose: io

                 ho trovato quel DVD che dite voi. Onestamente? L’ho aperto.

Renato:   Cu’ ‘o curtiello?

Marco:    No, cu’ ‘o computer! Dentro ci sta una mappa. Si tratta di 1.000.000 di Euro che

                 stanno nascosti da qualche parte.

Renato:   Uh, Marò! Imbecille, jamme a vedé ‘ncoppa ‘o computer mio. Disgraziatone!

                Lo volta, gli da un calcio nel sedere e vanno via a sinistra.

2. [L’avvocato Mario Marettiello e Michele. Poi Liliana e Raffaela]

                Dalla comune entrano Mario e Michele.

Mario:    (Entra dicendo una frase latina) “Gatta frettolosibus fecit gattini querces”!

Michele: E che significa?

Mario:    Significa che non dovete avrere fretta. Prima o poi vostra moglie vi perdonerà.

Michele: No, avvocà, so’ cinche mise che mia moglie me schifa proprio!  

Mario:    E come mai tutto ciò?

Michele: Pe’ colpa d’’a signora Gianna: chella jette a dicere vicino a Lucia ca io tengo ‘na

                figlia segreta e che ll’aggio fatta cu’ essa.

Mario:    Veramente?

Michele: Ma che veramente? Questo fu un ricatto che mi fece la signora Gianna per farmi

                parlare col signor Renato. Ma quest’ultimo ci vide conversare intimamente.

Mario:    Veramente?

Michele: Ma che veramente? Noi stavamo solo parlando. Però il signor Renato pensava  

                che la signora Gianna si stava buttando con me.

Mario:    Veramente?

Michele: Ma che veramente? Avvocà, ma vuje cierti vvote me parite proprio ‘nu

                battilocchio! Si tratta sempre dell’equivoco. Avete capito adesso?

Mario:    Ho capito.

Michele: E intanto, io ho mantenuto la promessa, parlando col signor Renato, tanto più che

                ha risposato la signora Gianna. Lei invece non ha fatto lo stesso con mia moglie.

                Sono cinque mesi che la sto pregando. Ma niente.

Mario:    E va bene. Scusate, ma in tutto questo, io che c’entro?

Michele: Parlatele voi, convincetela, e se serve, trascinatela per i capelli da mia moglie.

Mario:    Eh, addirittura! Caso mai le spiego la “quaestio” e le consiglio la “solutio”!

Michele: Avvocà, pe’ piacere, a me già m’abbàllene ‘e ccerevelle. Lasciate stare il latino!

Mario:    Va bene, lascio stare. Allora andiamo dalla signora Gianna.

Michele: No, andateci solo voi. Io devo parlare col signor Renato, perché lui è stato fatto

                amministratore cinque mesi fa, però nun ha capito ancora niente!

Mario:    Effettivamente, come amministratore, è un po’ scarsino! E voi che dovete fare?

Michele: Ce aggia spiegà comme se fa l’amministratore.

Mario:    Ok, allora le nostre strade si dividono qua. Io vado in cucina.

Michele: E io vado nello studio del signor Renato. Ci vediamo dopo, avvocato.

               Mario va a destra e Michele a sinistra. Dalla comune ecco Liliana e Raffaela.

Raffaela: Allora hai capito tutto, Liliana? Il cerchio si stringe. Ormai ne sono sicura: tuo                

                 padre è l’avvocato Mario Marettiello. Sei contenta?

Liliana:   Beh, se fosse così, non sarebbe male. Senti, ma come l’hai capito?

Raffaela: Gli ho visto un tatuaggio sul polso sinistro: c’era scritto proprio L.C.

Liliana:   Aspetta un secondo, però i conti non mi tornano.

Raffaela: Perché?

Liliana:   Perché io gli ho visto il polso destro: teneva una cicatrice come mi avevi detto tu.

Raffaela: Veramente?

Liliana:   Sì. Anzi, io ti ho trovato addirittura un secondo padre: si chiama Ivano Letto e fa

                 l’agente segreto. Teneva pure lui una bella cicatrice sul polso della mano destra.

Raffaela: Ah, quell’Ivano Letto? E no, a questo punto ti dico la verità: secondo me lui è il

                 tuo vero padre. E sì, quello tiene pure lui un tatuaggio con la scritta L.C.!

Liliana:   (Confusa) Ah, sì? E allora che vulìsse dicere, ca io tengo duje pate?

Raffaela: (Confusa) No, aspié, chesto vo’ dicere ca io tengo duje pate e tu manco uno!

Liliana:   E allora vuol dire che io ho trovato i due padri tuoi e così ho vinto la scommessa!

Raffaela: Ma neanche per sogno! La scommessa l’ho vinta io!

Liliana:   Ma no, nun fa’ ‘a spiritosa. ‘A scummessa l’aggio vincita io e basta!

Raffaela: No, tu nun fa’ ‘a spiritosa. La nuova collaboratrice del signor Renato, sono io!

Liliana:   Ah, sì? E allora io me metto a rirere! (E ride)

Raffaela: No, mò me metto a rirere io! (E ride)

Liliana:   (Smette di ridere) Vabbuò, Raffaé. Aggio capito tutto cose. Mò andiamo nel

                 ripostiglio del signor Renato e ti faccio vedere il vecchio schedario. Ho tutte le

                 prove che ho ragione io. Accussì te staje zitta e te ne vaje!

Raffaela: Va bene, voglio proprio vedere. Vuo’ fa’ ‘na figura ‘e niente? E falla!

Liliana:   Ah, sì? E viene cu’ me.

                Vanno via a sinistra in modo deciso.

3. [Gianna e l’avvocato Mario. Poi Michele e Renato. Infine Marco e Ivano]

                 Da destra entrano Mario e Gianna.

Mario:     Avete capito, signora Gianna? “Ipse dixit”! 

Gianna:   E chi è mò chisto?

Mario:     Nisciuno! In latino serve per dire “è stato detto”!

Gianna:   Ho capito. E che dovrei fare io? Andare dalla signora Lucia a dirle la verità?

Mario:     E certo, voi l’avete promesso al signor Michele.

Gianna:   Ma che me ne ‘mporta? Io sono incinta e non riesco a trovare la mozzarella!

Mario:     Cosa c’entra la mozzarella?

Gianna:   Ne ho voglia.

Mario:     Signora cara, vuje ate miso ‘int’’e pasticcie a chillu puveriello! E lui invece vi ha

                 favorita col marito vostro. In qualche modo lo dovete contraccambiare.

Gianna:   Sì, è come dite voi. Ma ‘a verità sapite qual è? Io me metto ‘nu poco appaura.

Mario:     Appaura ‘e che?

Gianna:   D’’a signora Lucia. Chella è ‘nu poco “zantraglia”!

Mario:     Ma non era amica intima vostra?

Gianna:   Sì, ma sempe zantraglia è! E’ ll’unica amica zantraglia che tengo!

Mario:     E allora? Cosa vi può fare? Voi avete il pancione! E poi vi accompagno io.

Gianna:   Sicuro?

Mario:    Ma certo, signora. Andiamo, togliamo le castagne dal fuoco!

Gianna:  (Si arrabbia) Avvocà, v’aggio ditto che l’ata fernì ‘e parlà latino! Ate capito?

Mario:    Ma, perché, “le castagne dal fuoco” è latino?

Gianna:  Silenzio! E mò jamme, accumpagnàteme!

                Lo prende sottobraccio e i due escono. Da sinistra Renato tira a sé Michele.

Renato:  Signor Michele, per cortesia, venite ccà ffora. Non possiamo stare davanti al mio

                computer, pecché... pecché... pecché no. E’ meglio che ce stamme ccà.

Michele: Ma che me ne ‘mporta d’’o computer vuosto? Insomma, avete capito che cosa è

                successo?

Renato:  Più o meno. Facìteme capì buono.

Michele: Per colpa della signora Gianna, m’aggio appiccecato cu’ mugliérema. Quella mò

                si crede veramente che io ho fatto una figlia segreta con vostra moglie.

Renato:  Ma allora è ‘o vero o nun è ‘o vero che Gianna ha fatto ‘na figlia cu’ vuje?

Michele: ‘N’ata vota? Vi ho ditto di no. Solo che mia moglie non mi crede. Ed ha ragione.

                A voi posso dirlo, perché siete un amico: io, la figlia segreta, ce l’ho veramente.  

Renato:  (Puntualizza) Però nun l’avìte fatta cu’ mia moglie!

Michele: No, l’ho fatta con un’altra donna.

Renato:  Ah, vabbé, e questo è l’importante!

Michele: Sì, ma non è tutto: io tengo una seconda figlia segreta.

Renato:  (Preoccupato) Uh, Giesù! E allora chesta l’avìte fatta cu’ mia moglie?

Michele: Ma no. Vostra moglie non c’entra assolutamente niente. Però c’entrate voi.

Renato:  Io? E mica l’avìte fatta cu’ me?

Michele: No, voi dovete venire a parlare con mia moglie.

Renato:  Ma si io nun saccio niente. Io mò ‘o stongo senténno, ‘stu fatto!

Michele: Sì, però voi siete un investigatore privato. E così potete dire a mia moglie che

                avete fatto indagini sul mio conto e su quello della signora Gianna, dalle quali è

                emerso che io e vostra moglie non abbiamo nessuna figlia segreta. Mi capite?

Renato:  Ma che state dicénno? Vuje tenìte doje figlie segrete!

Michele: (Si arrabbia) Sì, ma nun l’aggio fatto cu’ ‘a mugliera vosta!

Renato:  Eh, e calmàteve. Adesso scendo giù da voi e parlo con vostra moglie. Solo, però,

               ditemi una cosa: devo mettermi un giubbotto antiproiettili o basta un’armatura?

Michele: Per parlare con mia moglie? Venite così come state. Ci sono io che vi difendo.

Renato:  Allora aspettate un attimo. (Si fa il Segno della Croce) L’eterno riposo dona a me

                Signore, risplenda a me la luce perpetua, riposo in pace Amen! Possiamo andare.

                Escono via. Da sinistra torna Marco.

Marco:   Ma addò è gghiuto ‘o signor Renato? M’ha lassato a me sulo annanzo ‘o

                computer. Forse sta ‘int’’a cucina. (Lo chiama) Signor Renato!

                Esce via a destra. Entra Ivano quatto quatto.

Ivano:     OK, campo libero! Ora vado nello studio del signor Renato e mi prendo il DVD.

                Corre a sinistra, non si accorge del divanetto, lo urta col ginocchio e si fa male.

                (Grida) Aaah, puozze passa ‘nu guajo! Ma chi l’ha miso ‘stu coso ccà!

                Si siede sul divanetto. Da destra torna Marco che ha sentito gridare.

Marco:   Ch’è succieso, chi ha alluccato?

                I due si notano e Ivano si alza in piedi.

Ivano:     Ah, si’ tu? Justo a te stevo cercanno!

Marco:   (Preoccupato) Ehm... io devo andare a cucinare! Con permesso!

                Cammina verso destra e viene inseguito da Ivano (zoppicante) che lo ferma.

Ivano:      Viene ccà. Voglio sapere dove sta il DVD.

Marco:    Quale?

Ivano:      Quello che ho rubato io. Ti ricordi? L’ho nascosto nel portaombrelli. Così tu l’hai

                 trovato e te lo sei preso. So’ cinche mise ch’’o sto’ cercanno. E me so’ sfastriato!

Marco:    Ah, ma tu stai dicendo quello che ho buttato nella spazzatura?

Ivano:      No, nun è ‘o vero, tu nun he’ ittato niente ‘int’’a munnezza. Ormai ti ho scoperto.

Marco:    Ehm... ma adesso l’ho buttato veramente.

Ivano:      Ah, sì? E allora mò jamme a scavà ‘nu poco ‘int’’o bidone d’’a munnezza!

Marco:    E se io non ci voglio venire?

Ivano:      Guarda che io sono armato.

Marco:    (Lo sfida) E caccie ‘a pistola!

Ivano:      E io, si caccio ‘a pistola, po’ te sparo! (Lo sfida) E che ffaje mò? 

Marco:    E nun puo’ sparà, pecché ‘a pistola fa troppo rummore e te séntene tutte quante!

Ivano:      Già, è vero. E allora tengo un pugnale lungo venti centimetri. E che ffaje mò?

Marco:    E neanche il pugnale puoi usare, perché fa troppo rumore.

Ivano:      Ma comme, ‘o pugnale fa rummore?

Marco:    No, però si m’’o daje ‘int’’a panza, io allucco!  

Ivano:      Ah, sì? E allora nella mia tasca ho un acido velenosissimo. Se te lo faccio

                 odorare, muori all’istante. Ja’, che ffaje mò?

Marco:    (Rassegnato) Jamme a scavà ‘int’’a munnezza!

Ivano:      Ecco, bravo! Dai, fammi strada.

                 I due escono via di casa (Ivano è ancora zoppicante).

4. [Raffaela e Liliana. Poi Gianna e l’avvocato Mario Marettiello]

                  Da sinistra tornano Raffaela e Liliana. Quest’ultima ha due fogli in mano.

Liliana:    Cara mia, non puoi competere con me! Appripàrete a chiagnere.

Raffaela: Siente, stattu zitta e famme vedé che he’ truvato.

Liliana:    Ma certo. Lo vedi questo? E’ l’esame del DNA del signor Mario. E quest’altro è

                 quello del signor Michele. Tu che gruppo sanguigno hai?

Raffaela: Rh+.                                                                          (si legge: Erre-acca-positivo)

Liliana:   (Delusa) E chiste so’ tutt’e dduje Rh-!                     (si legge: Erre-acca-negativo)

Raffaela: (Si diverte) Ah, he’ visto? ‘E che figura ‘e niente! Quei due sono Rh-, e secondo 

                 me pure tu sei Rh-. Quindi uno dei due è tuo padre. Ho vinto la scommessa!

Liliana:    Aspié, càlmete ‘nu poco. Pur’io sò Rh+ comm’a te. 

Raffaela: (Sorpresa) Che? Pure tu? Ma... ma... e allora?

Liliana:    Amme perzo sulo tiempo inutilmente!

Raffaela: Oh, no. Cinque mesi buttati così.

Liliana:    E allora questo vuol dire che la collaboratrice del signor Renato resto ancora io.

Raffaela: Sì, per adesso. Ma io non mi arrendo. Scaverò, andrò fino in fondo, troverò tuo

                 padre, anche se lo dovessi andare a cercarlo sulla luna. Statte bona, Lilià!

                 Esce via innervosita. Liliana pare dubbiosa.

Liliana:    Ma comme po’ essere? Allora aggio sbagliato tutto cose? A questo punto, serve  

                  il computer del signor Renato. A proposito, poco fa, andando nel ripostiglio, ho

                  visto lui e Marco che stavano mettendo un DVD nel computer. Chissà cosa

                  conteneva? A un certo punto, quando è apparsa la schermata sul computer,

                  hanno fatto una faccia…! Pareva che avessero visto la Madonna di Pompei!

                  Vediamo di che si tratta.

                Va a sinistra. Dalla comune entrano Gianna e Mario... incerottati.

Gianna:  Avete visto, avvocato? Era meglio che non ci andavamo da quella!

Mario:    Scuate, ma io ve l’ho detto pure: mostratele il pancione e lei si placa!

Gianna:  E gliel’ho mostrato. Ma vuje ate ‘ntiso comme ha ditto? “’O criaturo nun ‘o

                faccio niente, ma a te t’aggia abbuffà ‘e mazzate”! E m’ha ciaccata sana sana!

Mario:    E intanto, mentre abbuscavate… ve site magnata tutta ‘a muzzarella d’’a signora!

Gianna:  E che volete? Io ne tenevo voglia. Mi dispiace solo che abbiamo peggiorato la

                situazione del signor Michele. Secondo me, nun ce po’ turnà maje cchiù ‘a casa!

Mario:    (Felice) E allora forse aggio truvato a ‘nu cliente nuovo! A proposito, ditemi una

                cosa: ma come vi è venuto di dire che il signor Michele tiene una figlia segreta?

Gianna:  Ma che ne saccio? M’è asciuto accussì. Pecché?

Mario:    No, perché... vedete... io dovrei dirvi una cosa.

Gianna:  E dite. Però scusatemi, io mi siedo. (Si siede al tavolo) Di che cosa si tratta?

Mario:    Beh… vedete… insomma… io... No, non ho il coraggio. Anzi, sì!... Anzi, no!

Gianna:  Avvocà, e dite. Mica tenete una figlia segreta che avete abbandonato 25 anni fa?!

Mario:    Ecco, brava, è questo.

Gianna:  (Stupita) Cosa? Aggio ‘ncarrato?

Mario:    Esattamente. E sapeste quanto vorrei che qualcuno mi aiutasse a trovarla.

Gianna:  Embé, e c’è qualcuno meglio di mio marito? Quello è un investigatore privato.

Mario:    Ma io mi vergogno un po’ di dirglielo.

Gianna:  Ma quello è il suo lavoro. E poi voi siete suo amico. Se volete, posso dirglielo io.

Mario:    (Contento) Veramente? Oh, grazie, signora. Posso baciarvi la mano?

Gianna:  No, no, p’ammore ‘e Dio! Pe’ mezzo ‘e ‘nu baciamano, è succiesa tutta chella

                muina cu’ mio marito! Ditemi solo grazie!

Mario:    E io ve lo dico dieci, cento, mille, diecimila, centomila, un milione di volte!

Gianna:  Ma prego. E adesso vorrei un parere da voi: oggi è il compleanno di mio marito.

                Lui, al solito, se n’è dimenticato, ma io no. Secondo voi, cosa potrei regalargli?

Mario:    Un profumo è troppo banale. E un portafogli è squallido. Io direi, qualcosa per il

                suo ufficio. Ecco, regalategli qualcosa per la sua scrivania: un soprammobile!

Gianna:  E già. Avete ragione. Sentite, e dove si compra?

Mario:    Quaggiù al palazzo c’è un negozio di oggettistica. Vende delle cose stupende.

Gianna:  Uh, e allora posso chiedervi un favore? Mi accompagnate?

Mario:    Ma non c’è proprio problema.

                I due si alzano in piedi.

Gianna:  Grazie, avvocato, siete una persona squisitissima.

Mario:    E beh, del resto, “una mano lava l’altra”!

Gianna:  E allora jammece a llavà ‘sti mmane!

                I due escono via.

5. [Liliana. Poi Renato e Michele. Leandro e Imma. Poi Gianna]

                 Da sinistra torna Liliana col DVD in mano. Pare sconvolta.

Liliana:   Mamma mia, altro che schedario segreto. Questa è roba che scotta: 1.000.000 di

                 Euro. Finalmente l’ho trovato! Allora vado giù a casa mia a doppiarmi questo

                 DVD, poi devo cercare subito quei soldi. Così sparisco per sempre! Grande!

                 Si avvia ad uscire e si ritorva Leandro di faccia. Così i due tornano al centro.

Leandro: Uh, scusa. Ti stavo urtando.

Liliana:   (Nasconde dietro il DVD) Ehm... no, non c’è problema.

Leandro: E tu chi sei?

Liliana:   Io sono Liliana Cheschifo, la collaboratrice dell’investigatore Renato Mazza.

Leandro: Senti, sei da sola?

Liliana:   Sì, purtroppo non sono né sposata, né fidanzata!

Leandro: No, ma che hé capito? Io volevo sapere se c’è pure il signor Renato.

Liliana:   Penso di no. A quest’ora starà sbrigando uno dei suoi soliti casi impossibili.

Leandro: Ah, sì? E non ci sta nemmeno quel suo maggiordomo imbecille?

Liliana:   No, mi pare che l’ho visto di uscire.

Leandro: Perfetto! Aspetta un secondo. (Chiama verso la comune) Imma! Staje venenno?

                 Dalla comune entra Imma camminando piano piano per via del suo pancione.

Imma:     (Affaticata) Sì, Leandro, sto’ venénno! (E gli si avvicina)

Leandro: E gghiamme bello, jamme.

Imma:     E aspié. Tu staje frisco e tuosto pecché staje liggiero liggiero! Ma io no!

Liliana:   Ehm... scusate, mi potete perdonare? Io avrei un impegno importante.

Leandro: No, non potete andarvene. (Poi sottovoce a Imma) (Imma, chesta tene ‘o DVD!).  

Imma:     (L’aggio capito!).

Liliana:   Scusate, e perché non posso andarmene?

Leandro: Perché tu sei la collaboratrice del signor Renato e noi siamo due clienti.

Imma:     E se non ci servi subito, lo diciamo al tuo titolare.

Liliana:   Prego, accomodatevi nello studio del signor Renato, di là. (Indica a sinistra)  

Leandro: Però vieni presto, perché mia moglie non può aspettare. Come vedi, è incinta.

Liliana:   Uh, che bello. Siete contento di diventare papà?

Leandro: Ma che domande sceme fa chesta! Jamme, Imma.  

                 I due vanno piano piano, sottobraccio, a sinistra. Liliana è preoccupata.

Liliana:   E mò che faccio? Addò ‘o nasconno, ‘stu DVD? Vabbé, adesso lo lascio sotto al

                 divanetto. Me lo riprendo dopo. (S’inginocchia a terra e nasconde il floppy)     

                 Dalla comune entra Gianna. E’ soddisfatta.

Gianna:   Che suddisfazione, me so’ vendicata cu’ ‘a signora Lucia: l’aggio vista p’’e scale

                 che se steva appiccecànno cu’ Renato. Accussì l’aggio scassato ‘o soprammobile

                 ch’’eva accattato pe’ Renato ‘ncapa a essa! E poi... (Nota in ginocchio Liliana) E

                 che sta facénno, chesta? (Le si avvicina da dietro) Ehm... chieso scusa...!

Liliana:   (Si volta ma rimane sulle ginocchia) Chi è?

Gianna:   Ah, ma tu sei Liliana?

Liliana:   Ah, ciao, Gianna.

Gianna:   Senti, ma che stai facendo?

Liliana:   (Imbarazzata) Ehm... tu vuoi sapere cosa sto facendo? Ma vuoi saperlo per forza?

Gianna:   Sì.

Liliana:   Ehm... io sto... io sto pulendo sotto al divanetto!

Gianna:   Ah, brava, ma allora sei una ragazza servizievole!

Liliana:   (Si alza in piedi) Sì, sì, ma certo! A proposito a che punto sta il bambino?

Gianna:   Chi? Sherlock? Nasce tra quattro mesi. E tu, invece? Ti sei fidanzata?

Liliana:   No.

Gianna:   E allora ti faccio conoscere un uomo intelligente, simpatico, perbene e ingamba. 

Liliana:   (Interessata) Ah, sì? E chi è?

Gianna:   E’ il maggiordomo di Renato: Marco Imbecille.

Liliana:   (Delusa) Pe’ carità! T’’o può tené! Siente, Gianna, io vaco ‘int’’o studio ‘e tuo

               marito. Ho due clienti che mi stanno aspettando. Cià, statte bona!

               E se ne va, scuotendo il capo, a sinistra. Gianna pare contrariata.

Gianna: Niente. A chill’imbecille ‘e Imbecille nun ‘o vò nisciuno. Non riesco a liberarmi

               di lui. E vabbuò, và, famm’ì a magnà. Tengo ‘na voglia ‘e muzzarella mai vista!

               Ed esce a destra.

6. [Alice. Poi Renato. Infine Marco e Ivano]

              Dalla comune entra Alice. Scioglie qualcosa con un cucchiaio in un pentolino.

Alice:    Menu male, aggio quase fernuto ‘e ammiscà ‘sta vernice rossa. Aggia vernicià ‘e

              scarpe ‘e mio marito Ugo! E comme fete ‘sta rrobba! A proposito, aggia salutà ‘a

              signora Gianna. Chella starrà ‘int’’a cucina. (Lascia il pentolino sul tavolo) Di là!  

              E va a destra. Dalla comune entra Renato. (Si tocca un occhio dolorante)

Renato: Marò, che dulore! Io me stevo appiccecànno cu’ ‘a signora Lucia, quanno bell’e

              buono se so’ truvate a passà l’avvocato Marettiello e Gianna. Accussì chest’ultima                

              ha pigliato ‘a rincorza cu’ ‘nu soprammobile che teneva ‘nmana e ce ‘o vuleva da’

              ‘ncapa ‘a signora Lucia! Chest’ultima, a sua volta, vuléva da’ ‘na capata ‘nfaccia a

              Gianna. Morale della favola: hanne cugliuto tutt’e ddoje a me! Sto’ tutto struppiato.

              (Guarda sul tavolo) Una pentolina? Forse Gianna e l’ha lassata ccà! Chi sa che ce

              sta ccà ddinto? (Dà un’occhiata)‘Sta rrobba è rossa. Allora è rraù! E io lo assaggio!

              E così fa. Ma da destra torna Alice che nota Renato mangiare (la vernice)!

Alice:    (Grida) Signor Renato, ma che state facénno?

Renato: Signò, ma ch’alluccate a ffa’? Me stongo magnanno ‘nu poco ‘e raù?

Alice:    Ma qua’ raù? Chella ‘e vernice!

Renato: (Sputa tutto nella pentolina) Chi schifo! (Posa la pentolina) Ma chi è ‘sta cretina

              che ha lassato ‘a pentola cu’ ‘a vernice ‘a dinto? E si coccheduno, l’assaggiava?

Alice:    L’aggio lassata io!

Renato: Ah, vabbé. Io dievo: “Chi è ‘sta cretina?”, a parte vuje!

Alice:    Signor Renato, stasera venite a cenà addù me? Ce l’ho detto pure a vostra moglie.

Renato: Sicuramente. (Prende un fazzoletto e si pulisce la lingua)  

Alice:    A proposito, comme va ‘o fatto ‘e Ugo? Comme so’ gghiute a ffernì l’indaggine?

Renato: Signora Alice, dopo cinque mesi di indagini, foto scattate di nascosto, pedinamenti

              e appostamenti, posso dirvi con soddisfazione... che vuje ‘e ccorne nun ‘e ttenìte!

Alice:    (Sorpresa) ‘E ccorne? Quali ccorne?

Renato: Il vostro Ugo non si vede con nessuna Dora.

Alice:    Ah, no? E siete sicuro di questo?

Renato: Sicurissimo.

              Alice si alza adirata, toglie una scarpa e minaccia Renato che la osserva timoroso.

Alice:    E allora nun site buono! Chillu disgraziato addò sta mò, aiére s’è appresentato cu’

              chella torza e cu’ cinche criaturielle appriesso! Ate capito?

Renato: (Casca dalle nuvole) ‘O vero?

Alice:    Sì, è ‘o vero! Embé, ma io ‘o castro. Ate capito? ‘O castro!

Renato: Sì, vabbé, signora, ma adesso calmatevi e rimettetevi la scarpa!

Alice:    No, ‘o voglio castrà, accussì chella Dora ave ‘a brutta surpresa!

Renato: E sì, accussì nun rimane cchiù niente manco pe’ vuje!

Alice:    Pe’ me? E che me n’aggia fa’? Io ‘o castro e basta! Giustizia sia fatta!

              Prende la pentolina ed esce via di casa. Renato commenta.

Renato:   Poveru marito suojo! Chesta nun sta bona cu’ ‘a capa! E vabbuò, mò famme

                 penzà a chillu benedetto DVD. Mannaggia a Marco che nun me dice maje  

                 niente! Vedìmme ‘e nun passà ‘n’atu guajo a gghiuorno a gghiuorno!

                 E torna via a sinistra. Dalla comune entrano Marco e Ivano.

Ivano:     He’ visto che nun aggio truvato ‘o DVD, ‘int’’a munnezza?

Marco:    E già. Però ‘a munnezza ce steva!

Ivano:     (Minaccioso) Siente, deficiente, io caccio ‘a pistola e subito me spiccio!

Marco:    E no, nun puo’.             

Ivano:     Ah, no? E pecché?

Marco:    E t’he’ scurdato? Fa troppo rummore!

Ivano:     Ah, già! E allora caccio ‘nu pugnale luongo vinte centimmetre! 

Marco:    E no, manco ‘o pugnale va buono: fa troppo rummore!

Ivano:     Ah, già: si t’’o dongo ‘int’’a panza, tu allucche e faje troppo casino!

Marco:    He’ visto?

Ivano:     E allora te metto doje mane ‘ncanna! Voglio vedé si faccio rummore!

Marco:    Ehm... ma non si potrebbe scendere a patti?

Ivano:     A patti? In che senso?

Marco:    Se io ti dò il DVD, tu mi dai il 10% del milione di Euro. Ci stai?

Ivano:     E va bene, hai vinto tu. Basta che m’’o daje, pecché me ne vogl’ì!

Marco:    E nun te prioccupà, viene cu’ me. Damme ‘a mana, socio!

                 I due si stringono la mano.

Ivano:     Senti un po’, ma quando avrai i centomila Euro, cosa farai?

Marco:    Io me licenzio proprio! ‘A faccia d’’o signor Renato! Viene cu’ me!

                E vanno a sinistra.

Scena Ultima. [Michele, l’avv. Mario, Raffaela e poi tutti gli altri, tranneAlice]

                Dalla comune entra Michele con una borsa del ghiaccio in testa. E’ felice.

Michele: Ce l’ho fatta: ho cacciato a mia moglie di casa! Sulo che chella disgraziata m’ha

                menato ‘nu zuoccolo ‘ncapa. L’hanna accidere! (Si siede sul divanetto)

                Dalla comune entra l’avvocato Mario (senza ventiquattrore). Gli fa male il naso.

Mario:    Ah, mamma bella, chella signora Lucia che cacchio ce tene! (Nota Michele) Ah,

                ccà ce sta ‘o marito. (Avvicinandosi) Signor Michele, come vi sentite?

Michele: Avvocà, e comme m’aggia sentì? Dolorante ma soddisfatto!

Mario:    Sentite, volete che vi preparo le carte per il divorzio?

Michele: No, lassate sta’. Aroppo chella vo’ essere pavata. E vuje comme ve sentite?

Mario:    ‘Na schifezza. Pe’ poco nun m’ha rutto ‘o naso!

Michele: Vi fa male?

Mario:    Sì, ma nun è tanto ‘o naso che me fa male. Io purtroppo nascondo un segreto che

                non posso più tenere dentro. E questo segreto mi fa morire.

Michele: E che sarrà maje? Mica tenite ‘na figlia segreta ch’ate abbandunato appena nata?

Mario:    E certamente!

Michele: Il fatto è che pure io sono stato accusato di questo. Ma io non ho abbandonato

                una sola figlia. Ne ho abbandonate due. E questo è il mio più grande rimorso.

Mario:    E allora state peggio ‘e me. E vabbuò, io allora vaco add’’o signor Renato. Me

                voglio fa’ cunziglià ‘a isso. Voi che dite?

Michele: E che v’aggia dicere? Jate addù isso e addimannatancéllo.

Mario:     E sì, faccio accussì. E ppò, aroppo ch’aggio truvato a mia figlia, voglio sta’ pe’

                 sempe cu’ essa. Voi che dite?

Michele:  E che v’aggia dicere? Truvate a ‘sta figlia d’’a vosta e state pe’ sempe cu’ essa.

Mario:     Grazie, signor Michele. Ate avuto doje idee magnifiche! Io vado. Con permesso.

Michele:  Prego, prego. 

                 Mario scappa via a sinistra.

                 He’ visto? Pure isso tene ‘na figlia segreta. Chi sa chi è?

                 E si massaggia la testa col ghiaccio, dolorante. Dalla comune entra Raffaela.

Raffaela: Sì, questa volta ne sono sicura. Ho trovato il padre di Liliana: è… (Nota Michele)

                 Signor Michele. (E gli si avvicina)

Michele:  Ah, uhé, si’ tu, Raffaela.

Raffaela: Ma che vi è successo?

Michele:  Uno zoccolo in fronte! No… cioè… ho urtato contro un mobile in casa mia!

Raffaela: E nun site muorto?

Michele:  Addirittura? Mi sono solo un poco ciaccato!

Raffaela: Sentite, avete visto una ragazza?

Michele:  Eh, però m’avìssa dicere pure ‘o nomme ‘e ‘sta ragazza!

Raffaela: Si chiama Liliana Cheschifo.

Michele:  No, nun l’aggio vista.

Raffaela: E allora, secondo me, sta nello studio del signor Renato. Scusate. Con permesso.

Michele:  Prego.

                 E va pure lei a sinistra.

                 Uh, e comme me fa male ‘a capa. (Si stende sullo schienale e casca la borsa col

                 ghiaccio all’indietro) Ma che d’è, sto’ proprio durmenno. (Si alza, va dietro al

                 divanetto, si inginocchia e vi nota il DVD sotto) E che ce sta ccà ssotto?

                 Da destra torna Gianna.

Gianna:   Ecco qua! Ho ordinato per telefono un chilo di mozzarella! Mò stongo a posto.

                 E… (Nota Michele a terra) Eh? (Gli si avvicina e lo chiama) Signor Michele!

Michele:  (Si mette sulle ginocchia) Chi è? Ah, siete voi, signora Gianna?                

Gianna:   Sì, sono io. Scusate, ma che state facendo?

Michele:  Ehm... niente, sto pulendo sotto al divanetto!

Gianna:   Ma che ce sta sotto a ‘stu divanetto? ‘A fognaura?

Michele:  (Si alza in piedi. Ha il DVD in mano) Fatto!

Gianna:   E che d’è ‘stu coso che tenìte ‘nmana?

Michele:  E’ un DVD. Ma non è mio.

Gianna:   E allora ha da essere ‘e mio marito. Si m’’o date, io ce ‘o porto ‘nu mumento.

Michele:  E vabbuò, purtatancillo. (Glielo consegna) Io intanto me ne torno ‘a casa mia.

                 Ormai, casa mia, l’ho esorcizzata da mia moglie! Evviva la libertà!

Gianna:   Bravo, come sono contenta per voi! Adesso scusatemi. Con permesso.

                 Esce via a sinistra. Michele gioisce

Michele:  E allora da adesso comincia la mia vita nuova.

                 Va verso la comune e si ferma, richiamato all’attenzione da alcune grida da 

                 sinistra, da cui esce Renato col DVD, inseguito da Marco e Ivano.   

Renato:   (Entrando) Uhé, jatevenne, a tutt’e dduje!

                 I due lo fermano al centro (Michele li guarda sorpreso). Renato protesta.

                 E lassàteme sta’. Ate capito?

Ivano:      No, perché questo DVD è mio. Lo sto cercando da cinque mesi.

Renato:    Non è vero. E’ finito in casa mia, e allora adesso è diventato mio.

Marco:     Uhé, signor Renato, dovete dare subito questo DVD a Ivano. Avete capito?

Renato:    Néh, ma tu staje cu’ me o contro ‘e me?

Marco:     Sentite, che ci sta nel dischetto?

Renato:    ‘Nu milione ‘e Euro.

Marco:     E allora sto contro di voi!

Renato:    Traditore. In tutti questi anni, nel mio seno, ho covato una seppia velenosa!

Ivano:       Si dice serpe!

Renato:    Fatte ‘e fatte tuoje, a te!

                 Gli da un calcio e scappa via a destra.

Ivano:      (Dolorante) Presto, Marco, prendiamolo.

                 E corrono via a destra. Da sinistra escono Leandro, Mario, Raffaela e Liliana.

Leandro: Avvocà, pe’ caso ate visto a che parte hanne jute?

Mario:     Me pare che sò gghiute ‘int’’a cucina!|

Raffaela: E allora io me vaco a piglià chillu DVD!

Liliana:    No, ce vaco io!

                 E corrono a destra. Da sinistra entrano Imma e Gianna (lente e appesantite)

Gianna:   Uhé, signò, turnatavénne ‘a casa vosta. Ate capito?

Imma:     Ma nemmanco pe’ suonno!

                 E “corrono” via a destra! Michele, che osserva il tutto, non ci capisce niente.

Michele:  Néh, ma che cacchio sta succedenno ccà ddinto?

                 Da destra esce Renato rincorso da Mario e Leandro. I due lo prendono.

Renato:   Uhé, levàteme ‘e mmane ‘a cuollo!

Leandro: No, non posso.

Mario:     E neanch’io.

Renato:    Avvocà, ma comme, mò ve mettìte pure vuje contro a me?

Mario:     E che so’ fesso? Signor Renato, ve l’ho detto “sic et sempliciter”!

Renato:    E chi è ‘stu sicco cu’ ‘stu sempliciter?

Mario:     Ma niscicuno! L’ho detto in latino.

Leandro: No, avvocà, facìteve capì in italiano!

Mario:     E non posso, io sono un uomo di legge.

Renato:    Visto, signor Leandro? Chisto è ommo ‘e legge, detto in latino: è “legge homo”!

                 E corre a sinistra inseguito dai due. Da destra ecco Raffaela, Ivano.

Ivano:      Raffaé, ma ddò so’ gghiute?

Raffaela: Secondo me sò asciute fora d’’a casa. Va’, va’!

Ivano:      No, vacce sulo tu, accussì me lasse a me sulo!

                 Ivano corre a destra inseguito da Raffaela che protesta. Da destra ecco Liliana.

Liliana:   (Non ne può più) Mamma bella, nun ce ‘a faccio cchiù!

Michele:  Néh, siente ‘na cosa: ma che sta succedenno ccà ddinto?

Liliana:   No, niente, è un segreto: il signor Renato tiene un DVD con 1.000.000 di Euro!

Michele:  Ah, sì? E’ un segreto? E nun te prioccupà, io nun ce ‘o ddico a nisciuno!

                 E corre via a sinistra pure lui interessato al floppy disk.

Liliana:   Addò jate? Ma guardate che disonesto! Ccà nun se po’ parlà cchiù cu’ nisciuno! 

                 Va a sinistra. Da destra entrano i tre col pancione: Gianna, Imma... e Marco!

Gianna:   Mamma mia, nun ce ‘a faccio cchiù!

Imma:     A chi ‘o ddicite!

Marco:    E se capisce: vuje tenìte chella panza, tutt’e ddoje!

Le due:    Siente chi parle!

                 E vanno tutti e tre a sinistra. All’improvviso tornano tutti. Escono gridando.

Leandro: Uhé, chisto è ‘o mio!

Ivano:      No, è ‘o mio...!

Liliana:   No, ‘o mio...!

                 Se lo contendono, cosicché il DVD cade in terra. Ivano lo raccoglie.

Ivano:      Nooooo, s’è scippato tutto ‘o DVD. Mò nun se legge cchiù.

Renato:   E vabbuò, ma pecché ‘a facìte accussì pesante? Quanta sorde ce stanne llà ddinto?

Ivano:      1.000.000 di Euro.

Renato:   (Sconvolto) ‘A faccia d’’o baccalà cu’ ‘o rraù! E allora amma cercà d’’o ‘ccuncià,

                 chillu DVD.

Gli altri:  (Sono tutti d’accordo e gridano il loro assenso) Sììì!

Ivano:      Speriamo che si legga.

Renato:   E adesso lo andiamo a vedere sul mio computer. Siete contenti?

Gli altri:  (Gridano di nuovo per manifestare il loro assenso) Sììì!

Renato:    Però, primma, facìteme fa’ ‘o mestiere mio: qua dentro ci sta un uomo che ha

                 abbandonato una figlia quando è nata e lei lo sta cercando.

Michele:  L’avvocato?

Mario:     Ehm... no, a me nun me guardate proprio. (Poi ammette) E vabbuò, sì, è ‘o vero.

Renato:    Sì, ma non ho finito: qua dentro ci sono pure due ragazze che stanno cercando il

                 loro padre. Sono state abbandonate molti anni fa.

Raffaela: E già. Sono io.

Liliana:    E pure io.

Mario:     Che cosa? Ma io aggio abbandunato sulo a ‘na figlia.

Renato:    Avvocà, voi non siete il padre di nessuna di queste due ragazze. Il loro padre,

                 volete sapere chi è? E’ il signor Michele. Ragazze, guardategli i polsi.

                 Le due eseguono interdette. Gli altri restano senza parole.

Liliana:    E’ vero: ci sono sia il tatuaggio che la cicatrice.

Raffaela: Aspettate, ma pure il signor Ivano ce l’ha. E pure l’avvocato.

Renato:    E invece no. Avvocà, che cos’è quella ferita che c’avete sul polso?

Mario:     Mi sono tagliato col mio tagliacarte anni fa.

Renato:    E a voi, Ivano, che cosa sono quele iniziali L.C. del vostro tatuaggio?

Ivano:      Significano “Love C.I.A.”, alla quale appartenevo io prima di essere cacciato.

Renato:    E dunque, di conseguenza, il signor Michele è il padre di Liliana e Raffaela.

Raffaela: Che cosa? Ma io so che mio padre era un avvocato.

Michele:  E io lo sono, solo che non ho mai esercitato. Poi vostra madre se n’è andata ed io

                 ho sposato Lucia, la quale mi ha costretto a tatuarmi le sue iniziali L.C.: Lucia  

                 Capozzi! Chella passaguaje! Non sa che voi siete mie figlie. E nun l’ha da sapé!

Liliana:   Ma allora io e Raffaela… siamo sorelle?

Michele:  Se volete...! Solo che io vi ho avuto con due madri differenti.

Raffaela: Ma allora io sono figlia di secondo letto?

Renato:    No, di seconda macchina, visto che tuo padre ha fatto tutto cose ‘int’a ‘na Ford!

Imma:      Scusate, ma vuje comm’’e ssapìte tutte ‘sti ccose?

Leandro: E quello è un investigatore privato.  

Michele:  E vabbuò, allora vulìmme ì a festeggià? Jàmme a ffa’ ‘sta cena!

Ivano:      ‘Nu mumento, ma chi offre?

Mario:      Signor Michele, ata offrì vuje. Voi avete ritrovato le vostre figlie.

Michele:   A chi? Ha da offrì ‘o signor Renato. Chillo ha truvato ‘o DVD!

Renato:    A chi? Ha da offrì ‘o maggiordomo mio! ‘O DVD l’ha truvato isso!

Marco:     A chi? Ha da offrì ‘o signor Leandro! Fra quatte mise ‘a mugliera ha da parturì!

Leandro:  A chi? Hanna offrì ‘e ffemmene! Ma pecché amma offrì sempe nuje uòmmene?!

Le donne: A chi?

                  Cominciano a discutere fra di loro. Escono così tutti di casa, discutendo.

FINE DELLA COMMEDIA