Intrichi d’amore

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Intrichi d'Amore

Intrichi d'Amore

di Torquato Tasso

PERSONAGGI

CORNELIA

, moglie d'Alberto, creduta moglie d'Alessandro

CAMILLO

, che sarà Persio, figlio di Cornelia e di Alberto

MAGAGNA

, servo di Cornelia

FRANCESCHETTO

, figlio piccolo di Alessandro e di Cornelia

GIALAISE

, Napolitano

FLAVIO

, sotto nome di Cosmo, servo finto del Napolitano, e figlio di Messer Manilio e innamorato di Lavinia

LAVINIA

, figliastra di Messer Alberto e figlia di Leonora

PASQUINA

, sua serva

ALBERTO

, che sarà Muzio, marito di Cornelia e creduto marito di Leonora

MANILIO

, vecchio padre di Flavio

FLAMINIO

, innamorato di Ersilia, che si trova poi suo fratello

BIANCHETTA

, ruffiana

ERSILIA

, figliastra di Alessandro e di Cornelia, innamorata di Camillo

ALESSANDRO

, marito di Leonora, creduto marito di Cornelia

LEANDRO

, suo creato accorto

LEONORA

, che sarà Brianda moglie di Alessandro, creduta moglie di Alberto

Atto I

Scena 1

LEANDRO

Oh che dolore, oh che pietà che m'han dato e danno tuttavia queste povere donne, le quali, intesa la repentina morte del Signor Alessandro da me, oltre l'aversi vestite tutte di negro e annegrito ancora con i panni le mura della casa, han prima con basse e poi con alte voci così dirottamente pianto, che sarebbe ben di pietra chi non piangesse, come ho pianto anch'io, con tutto che sappia questa morte non esser vera, ma supposita, e finta da esso Alessandro per alcuni suoi capricci. Io son stato l'imbasciatore di sì trista novella: se ben l'imbasciatore non deve portar pena, non però mi pare che alcuni mi mirano con occhi storti, e alcuni mostrano di non poter comportare che io dimori più in quella casa. Onde son risoluto di uscir fuori, così per tema di qualche disordine, come per trovare il detto Signor Alessandro mio padrone, e persuaderli che lasci questi vestiti d'astrologo con li quali intende chiarirsi se Cornelia e Camillo sono fedeli: poi che cognosco in una affetto smisurato di moglie, e nell'altro sincerità grande di servo.

CORNELIA

O marito!

ERSILIA

O padre!

CAMILLO

O padron mio!

LEANDRO

Ma senti che pur piangono.

LAVINIA

Olà, quel giovane!

LEANDRO

Chi mi chiama?

LAVINIA

Che gridi e che pianti son quelli che si fanno in casa della Signora Cornelia?

FLAMINIO

Ditemi, di grazia, perchè si piange in casa del Signor Alessandro?

PASQUINA

Olà, ferma, che la padrona desidera sapere che romore è in casa della nostra vicina.

LEANDRO

Che cosa è questa? Come posso in un tratto rispondere a tanti, e a tempo? Ho da far altro, nè so quel che cercate; se volete, lo potrete saper da esse, chè io vado per li fatti miei e non curo saper gli altrui.

PASQUINA

Oh, come è fantastico! Andrò a dire alla padrona che ho veduto un uomo a guisa di lampo, che parve e disparve in un tratto.

FLAMINIO

Mi piace che l'uno e l'altro si è partito, dandomi loco di vedere e contemplar colei per cui nascondo me stesso a me stesso.

LAVINIA

Ma ecco Cosmo, il moro di colui che è veramente più che barbaro, crudele.

FLAMINIO

Ma ecco che in sua presenzia perdo quelle parole che in assenzia dico mille volte l'ora.

LAVINIA

Cosmo, che fai qui? Che cerchi? E dove è il tuo e mio Signore?

FLAMINIO

Cerco chi trovo e non trovo chi mi cerca, perchè, conforme a quel che voglio, sotto altre forme cerco chi trovo sempre contraria al mio volere. Ma tu che sei qui ora, perchè di novo cerchi quel che non volesti mai; nè mai, cercando altrove, trovasti meglio, ch'al tuo voler corrispondesse?

LAVINIA

Tu non rispondi a proposito, se pur non vorrai dire che fanno molto a proposito mio le tue prime parole, perchè cerco colui che trovo sempre contrario al voler mio: e se ben lo cerco di novo, non è come tu t'imagini, che non lo volesse mai, sapendo che non desidero altro che l'amato, ma non amante tuo padrone... Che segni sono quelli che fai col capo e con le mani?

FLAMINIO

Ahimè!

LAVINIA

Tu sospiri, e perchè? Ti dispiace forse che 'l crudele mi è crudele? Leva su gli occhi, parla! Tu non mi rispondi? E hai ragione, non meritando risposta l'ingratitudine del Signor Giovan Luigi.

FLAMINIO

Ahi, sorte crudele!

LAVINIA

Sorte veramente crudele, poichè mi sforza ad amare un uomo assai più crudo di cocodrillo, che uccide e piange, ma egli uccide e ride.

FLAMINIO

Ahi, Flavio.

LAVINIA

E a Flavio, che m'ha amata tanto, vuol che io riversi questo rio costume, che uccidendo quel misero mi rido del suo morire. Tu parli, piangi e ti parti? Non ti partire, aspetta, fermati un altro poco. Si è pur partito, mosso a pietà del mio tormento. Ahi! che dissi ben io che l'amato mio bene è più che barbaro crudele, poichè un barbaro, com'è Cosmo, si move a pietà di me, ed egli più crudo che mai s'incrudelisce sempre; onde io, pietosa di me stessa, vengo meno per pietà.

Scena 2

CORNELIA

Dunque Alessandro è morto? Dunque Alessandro non vive? Come non muori, Cornelia, se non vive più colui ch'era la vita tua? Ohimè, che io scoppio di doglia: non mi trattenete, di grazia, che io voglio uscir fuora scorrendo per tutto, acciò le strade sappiano ancora che io sono la misera, che io sono ll'infelice.

CAMILLO

Infelice è veramente colui che non può soffrire le sue infelicitadi, poichè le disgrazie non uccidono gli uomini, ma il non aver pazienzia in quelle. Datevi dunque pace, fermatevi pure: dove volete andare?

CORNELIA

Dove mi mena il duolo, a piangere e sospirar sempre, perchè le disgrazie che toccano il cuore malamente si ponno soffrire. Ahimè, ahimè!

CAMILLO

Se le lagrime, Signora mia, fossero potenti a risorger morti, non farei altro che piangere, per ritornar in vita colui da chi confesso questa vita e quanto tengo; ma se nulla rilevano, non piangete, di grazia. Consolatevi ormai.

CORNELIA

Come posso consolarmi, se io sconsolata e vedova sono tre volte, e sconsolata e vedova? E in questa terza mi si conviene quel verso: «Tre volte cadde, ed alla terza giace». Poi che oggi giacciono a terra tutte le mie speranze, tutte le mie consolazioni. O marito caro, o vedova infelice! Dolente ancora che non vi viddi morto, Alessandro mio dolcissimo.

CAMILLO

Anzi, essendo più acerbo il vedere che l'udire le cose che ci apportano noia, è stato manco il male a non vederlo morto, perchè il dolore più intensamente vi avrebbe trafitto l'animo con pericolo della vita.

CORNELIA

Morte non fu giamai così beata, come sarebbe stata la mia se io fossi morta appresso colui senza del quale morrò mille volte il giorno.

CAMILLO

Poi che le mie persuasioni non danno rimedio al male che è veramente commune fra di noi, vogliate, come donna prudente e savia, rimettere il tutto in man di Dio, il quale sa meglio compartire le sue grazie che noi altri non sappiamo eleggere; contentatevi della volontà sua, e credete che quanto fa è tutto per nostro meglio.

CORNELIA

È vero; ma chi è di carne non può far che non senta il dolore della carne propria. Dico propria, perchè il marito e la moglie sono doi in una carne.

CAMILLO

Sta bene, ma consolatevi, poi che vi ha lasciato figliuoli che rappresentano il padre; vi ha lasciato robba, con che possiate soccorrere alle vostre necessità. Sete voi tale che con la prudenzia vostra tutte le cose passaranno bene; e ultimamente avete me, che se bene vi son figliastro, vi ho riputata, come riputarò sempre, da propria madre. E volendo accettarmi, mi vi offero ancora per amorevole e affezionatissimo servitore.

CORNELIA

Vi ringrazio di questo, figlio mio: che figlio chiamar vi posso, per l'amor grande che io vi porto e che voi mi portate. Ma circa l'altre cose che avete detto, a comparazion del marito, son tutte nulle. Ahi, che questa è perdita pur grande!

CAMILLO

È grande veramente. Ma se altro non si può, bisogna aver pazienzia e veder di rimediare in qualche modo a cotesta gran perdita che dite.

CORNELIA

Il rimedio sarà che io muora, che morte sola darà rimedio a tanti affanni. Levatevi di qua, lasciatemi pur gire.

CAMILLO

È possibile, Signora, che in tutte le vostre azioni vi sete dimostrata prudente e in questo caso (perdonatemi se vel dico) fate cosa da pazza? Si perdono pure al mondo i padri, le madri e i fratelli, e non se ne fa tanto strepito quanto ne fate voi.

CORNELIA

Tutte coteste perdite son nulle: perchè se la donna perde il padre, la madre e i fratelli, è una perdita sola; perdendo il marito, s'accoppiano tutte le perdite insieme. Perchè quando il marito è buono, come era Alessandro mio, ti fa l'offizio di padre, madre e fratelli; anzi più di quel che potriano fare il padre, la madre e i fratelli.

CAMILLO

Questo lo so molto bene; e però, Signora mia, per rimediare a tanta perdita io direi (con licenza vostra) che vi casaste di novo; perchè avendo la facultà grande e i figli piccoli, sarà bene la casa non vadi a ruina.

CORNELIA

Ahimè! che dite? E dove trovarò mai un altro Alessandro? E se pur lo trovasse non vorrei far torto a quella benedetta anima, nè dar materia alle genti di mormorare così presto contra di me.

CAMILLO

E che importa? Quell'anima vi scusarà, chè voi lo fate per necessità e non per volontà. Alle genti diremo alla spagnuola: vaya calientes, y royase la gente; che in lingua nostra vuole inferire: venga la cosa buona e rida ogni persona.

CORNELIA

Dite il vero. Ma perchè nei matrimonii non si trovano così facilmente i partiti che siano a gusto nostro, bisogna maturamente considerare, con occhio aperto vedere, intender molto bene, e poi concludere; perchè sono cose che si fanno una volta sola, e dopo fatte non giova il pentire.

CAMILLO

Nol nego. Nientedimeno, dandosi tempo al tempo, passarà il tempo.

CORNELIA

Quando per sorte mi venisse alle mani un uomo di quell'essere e di quelle rare qualità che sete voi, non vi metterei troppo tempo in mezzo.

CAMILLO

Gentilissima Signora mia, sono pur rari i favori che Vostra Signoria mi fa! Se in me è nulla di buono, nasce dalla bontà dell'animo suo.

CORNELIA

Non entriamo in queste retoriche, Camillo. Basta che io vi amo più che da figlio, e vi amarò sempre, particolarmente perchè al spesso mi solete consolare, come al presente mi avete consolata; che tirandomi da parola in parola, sarete causa di farmi prendere qualche risoluzione.

CAMILLO

Risolvetevi, Signora, che io già mi risolvo trovarvi un partito tale che sia di commune sodisfazione. Ma perchè bisogna Magagna, degnisi Vostra Signoria di farsi sopra, ordinando che venghi, perchè quando si ha tempo non si deve aspettar tempo.

CORNELIA

Io vado; e ricordatevi che io mi ricordarò di far sempre quanto voi volete.

Scena 3

CAMILLO

Non è dubio nessuno che rado si recupera l'occasione che si lascia perdere. Io vedo chiaramente che la Signora Cornel ia ha chiuso nel suo petto l'istesso fuoco che io tengo serrato nel mio; ma le nostre fiamme non possono esalar fuori, perchè ella teme che non li sia da vero figliastro, e così combatte con l'impossibile di potermi avere per marito. E dall'altro canto, conoscendo l'indegnità mia, non oso di scoprirmeli, poichè se ben mi dovesse giovare di scoprirmi non esser figlio del Signor Alessandro buona memoria, nondimeno mi nuocerà, publicando che io fui schiavo già ricattato dal fratello molti anni sono e da lui per sua gentilezza chiamato figlio proprio. Ma sciocco che io sono a lasciarmi uscir di mano così buona fortuna! E non considero che quell'amore il quale ha accecato la Signora Cornelia in amarmi a tempo che si credeva essergli figliastro, quell'istesso farà che alla cieca ella consenta al suo privato appetito, senza mirare alla mia bassa condizione. E forse sono questi li primi colpi fatti da te, o Amore?... Ma disleale e ingrato Camillo, che fai? Che pensi? Non ti ricordi delli benefizii riceùti? Non ti vergogni a mancar di fede a chi con tanta fede volse eleggerti per suo figlio? Violar il suo letto! Prender per moglie la moglie! Questo è il premio che rendi? Questa è la riverenza che porti a chi ti giovò, a chi ti fu padre? Ritorna, ritorna a te, scaccia questo rio pensiero dall'animo tuo, muori più presto che far cosa così indegna di te... Ma che colpa è la mia, se Amor mi sforza, mi spinge e mi sprona? Poichè amo e sono amato: mentre amo e son amato da Cornelia, non mi è lecito; sono amato da Ersilia sua figliastra, e io non l'amo; amo Lavinia, figlia di Messer Alberto, ed ella non mi ama. Che strani lacci, che armi inusitate son queste, con le quali mi hai ferito e preso? Ecco Magagna: non posso più dire, mi fermo.

Scena 4

MAGAGNA

Ohimè! Uhimè! Ahimè!

CAMILLO

Tu pur piangi, Magagna! E non consideri che col tuo pianto accresci il pianto della Signora Cornelia? Parmi che quanto più ti è detto, tanto manco intendi

MAGAGNA

Io non piango altrimenti: ma questo è un certo rimedio da far passar il pianto.

CAMILLO

E come?

MAGAGNA

Pigliate le prime tre lettere delli tre sospiri che ho fatto, come dire l'o da l'ohimè, l'u da l'uhimè e l'a da l'ahimè, e congiungetele insieme, che dicono OVA. Datemi una frittata, e se io piango più, ditemi un tristo. Dovete pur pensare che da questa mattina all'alba, che si seppe la nova della morte del padrone, non ho magnato; come volete dunque che vi intenda? Non sapete quel proverbio: che il vacuo ventre volentieri le parole non intende?

CAMILLO

Hai ragione: ma non sai tu quell'altro: che è misero chi spetta aiuto dal misero? Io non posso aiutarti, perchè son più che misero.

MAGAGNA

Tal misero foss'io, che da misero diventerei messere; poi che per la morte di tuo padre sarai dominus dominantium. Misero son io, che da quando mia madre mi sfoderò, sempre feci i latini per i passivi, e mai per i superlativi.

CAMILLO

Ahi, che altro tarlo mi rode, altro mal mi penetra, altro coltello mi passa il cuore!

MAGAGNA

Diavol, fallo tu che se morisse quest'altro! Eccoti Magagna, Magnus Carlus. Ma ditemi, padrone mio, che cosa avete? Perchè mutate di colore? Voi non parlate: olà, che dite? Dove pensate?

CAMILLO

Penso; ma voltiam di qua.

MAGAGNA

Di grazia.

CAMILLO

. Dove siamo?

MAGAGNA

Quest'è un altro intoppo. La cosa non è lesta, voi smaniate.

CAMILLO

Ma che ti pare? Farem niente?

MAGAGNA

Niente.

CAMILLO

Pensi tu che mi voglia bene?

MAGAGNA

Bene.

CAMILLO

Che si dirà?

MAGAGNA

Niente.

CAMILLO

Se io mi scopro, sarà bene?

MAGAGNA

Bene.

CAMILLO

E se non mi scopro, che sarà?

MAGAGNA

Niente.

CAMILLO

Ma che mi potran fare?

MAGAGNA

Niente.

CAMILLO

Che si dice?

MAGAGNA

Niente.

CAMILLO

Voltiam di qua.

MAGAGNA

Ohimè, questo pover uomo non ha luogo permanente, e io con tante volte mi muoro della fame; e così egli non fa niente, e io non farò bene, perchè di niente si fa niente, e non fa bene chi non mangia bene; se posso scappar niente, a lasciarlo sarà bene, che per me non voglio niente, se io non trovarò bene.

Scena 5

FRANCESCHETTO

Signora sì, stattene sicura che m'avertirò d'ogni cosa. In buona fè, che se la Signora madre mi darà sempre questi mostaccioli, io li farò servizii de l'altro mondo. Mi ha detto che io debbia spiar secretamente quel che tratta il Signor Camillo con Magagna, per riferirlo poi a lei. Mi disse che erano nella strada, e non vi sono. Ma eccoli pure: mi starò qui dietro.

CAMILLO

Sappi, Magagna, che non è uomo, in questo mondo, tanto savio, nè tanto fedele, che non si ritiri al suo commodo ogni volta che se gli attraversa qualche proprio interesse.

MAGAGNA

E chi no 'l sa? Perchè tutti naturalmente desideriamo che più presto n'avanzi la robba, che ne manchi.

CAMILLO

Sappi ancora, che colui si deve chiamare amico, che confida liberamente all'amico le cose che portano pericolo di levarli la vita.

FRANCESCHETTO

O Dio, non posso sentir molto bene. Magagna parla di robba, e Camillo di levarli la vita: qualche tradimento faranno alla Signora. Passarò pian piano innanzi per sentir meglio.

MAGAGNA

Eh, quietatevi! Perchè non dite?

CAMILLO

È perchè mi si appresenta occasione di accommodarmi per sempre: non avendo altri a chi possa confidare un secreto di tanta importanza, eccetto te, per l'animo che ho aùto sempre di farti piacere (di modo che non da servo, ma da vero amico t'ho riputato), vengo a conferir teco l'intrinseco del cuor mio.

MAGAGNA

Troncate le cerimonie, Signor Camillo, che con li servidori fideli come son io basta dir “fa”, che subito è fatto.

CAMILLO

Or intendi. Io, riputato da tutti figlio del Signor Alessandro, non sono nè fui già mai suo figlio, ma servo, e per dir meglio, schiavo, ricattato dal Signor Stefano suo fratello: il come, il quando, il dove, il donde, e chi son io, nol so. Ma so che si ritrova scritto in un foglio di carta che egli diede serrato al Signor Alessandro a tempo che moriva, con ordine che non s'aprisse se non passava il decimo anno della sua morte: che già quest'anno era l'ultimo, se morte con la morte del Signor Alessandro non faceva mia ultima rovina, perchè se io sapesse chi sono, forse non mi sarebbe difficile il tentare quel che tento adesso.

FRANCESCHETTO

Oh, oh, oh, Camillo è schiavo! Tu non mi batterai più, poichè non mi sei fratello.

MAGAGNA

Schiavo? Ah, ah, Camillo è schiavo! Adesso è il tempo della sorte mia.

CAMILLO

Talchè, come fortuna e amor vuole ritrovandomi...

MAGAGNA

Come a dire innamorato.

CAMILLO

Così non fosse!

MAGAGNA

E io similmente mi trovo innamorato.

CAMILLO

Di chi?

MAGAGNA

E voi di chi?

CAMILLO

Di una che mi tiene il cuore.

MAGAGNA

E io di una che li tengo il cuore.

CAMILLO

Beato te, poichè tenendo il suo cuore, tieni quanto desideri.

MAGAGNA

Anzi, beato voi che tenete il vostro cuore dentro il suo, e non io che non posso tenere il cuore mio dentro al suo.

CAMILLO

Tu burli, ma io voglio dire...

MAGAGNA

Taci, aspetta, ferma, non passar innanzi! Già che Camillo e io siamo tutt'uno, procuriamo entrambo farci bene. A me parrebbe bene che non vi discopriste esser schiavo, ma starvi sotto la medesima credenza di esser figlio del Signor Alessandro, perchè così facilmente vi potrete pigliar Ersilia sua figliastra per moglie, e io copularmi con la padrona.

FRANCESCHETTO

Ersilia moglie di Camillo? Oh, buono! Ma quel copularmi io non l'intendo.

CAMILLO

E questo è quel che più mi tormenta: perchè se io non mi scopro, non posso ottenere quanto desidero; se io mi scopro, passarò un mare di pericoli, uno con Lavinia, e l'altro in casa. Oh, sorte crudele! Aver, amando, due ferite in un medesmo tempo, e il rimedio che giova all'una, noce all'altra. Lavinia mi rifiutarà tanto più sapendo l'indegnità mia, la qual s'io nascondo non potrò ottener Cornelia, cuore del mio cuore. Che debbo fare? Che debbo dire? Che mi consigli, Amore? Se io ho Cornelia e non Lavinia, morrò per Lavinia: se ho Lavinia e non Cornelia, morrò per Cornelia.

MAGAGNA

Che Cornelia? Che Cornelia? Che parli di Cornelia? Non mi levar, di grazia, Cornelia, che ha più di tre anni benedetti che mi cosse il cuore, di sorte che son diventato fornace ardentissima, che non faccio altro che cocere carboni, cenere e facelle.

FRANCESCHETTO

Oh, che bell'intrigo d'Amore: di Lavinia, di Cornelia e d'Ersilia! Io non l'intendo.

CAMILLO

Tu burli, Magagna.

MAGAGNA

Io non burlo, per l'anima della prima figlia di mia suocera; e non accade di trattarne, perchè il pare contra il pare non ha imperio.

CAMILLO

E questo di più! O misero Camillo, che cosa hai fatto! Non ti venne a memoria che l'uomo non si deve fidar di villani?

MAGAGNA

E ti dico un'altra cosa: che Cornelia mi tocca per ragione de iuris congruo.

CAMILLO

Se valesse questa ragione, toccarebbe a me, che son stato più congruo di nessuno.

MAGAGNA

E io vi dico di no; perchè quando il Signor Alessandro viveva, se era in casa, io le ero più di nessuno vicino: vicino a spogliarlo, vicino a vestirlo, vicino a darli da mangiare. Se usciva fuora, Magagna appresso; se faceva questione, Magagna intorno; e in tutte le azioni sue io li ero vicino: ergo Magagna Protomiseus.

CAMILLO

Bisogna al mio dispetto darli buone parole. Basta, Magagna mio, che con la continua pratica con li studenti sapete i termini di leggi.

MAGAGNA

E quanti asini più di me si son fatti dottori!

CAMILLO

Ma ecco il Napolitano. Voltiamo di qua, acciò secretamente possiamo trattare le nostre cose.

MAGAGNA

Sì, voltate e rivoltate quanto volete, che indurato è il cuore di Faraone.

FRANCESCHETTO

Andate pure, che io vi lascio. Vi ho intesi, sì. Vogliono uccider la Signora; Magagna pigliarà per moglie Ersilia, e Lavinia Camillo. Non mi gabbate, a fè!

Scena 6

GIALAISE

La importanzia sta, Cosemo, ca li primi moti non songo in potestà nostra, nè l'ommo tene li compassi, quanno ha da dicere con arcuno, ca non eccede li tiermini. Tu bolivi che io avessi sciaccato a chillo; e non consideravi che se io avisse ac<c>omenzato a dareli, che l'averia sc<h>iattato con li sogozzoni? Ed eccome poi di zeppo e di peso là 'ncoppa a Torre di Nona. Dico 'ncoppa, pecchè 'ncoppa stanno li Cavalieri di Sieggio, come songo io.

FLAMINIO

Padron mio caro, al duello non si va con tante considerazioni, e mentre l'uomo è provocato si può liberamente risentire senza timore della corte. Se io fosse stato in voi non averei comportato per la vita che colui mi chiamasse animale, come chiamò Vostra Signoria, ma subito gli rispondeva con una mentita tosta, e averei anco messo mano alla spada.

GIALAISE

Sì 'gnorante, e perzò dici accosì. Nui autri Napolitani, ca sapemo le regole delli duelli, non potemo, se bè bolessemo, errare. Hai da sapere che la mentita bisogna ch'aggia fondamiento.

FLAMINIO

Oh bella! Per digerir che?

GIALAISE

Con tutto ca non sai, hai parlato metaforicamente, co chella parola "digerire": pecchè come lo manciare si digerisce di là, così la 'ngiuria si digerisce dalla mentita. Ma io co fundamiento no' 'ntenno chella cosa, ma se bene l'appuccio o pedamento, come la bolimo chiamare.

FLAMINIO

Io non vi intendo.

GIALAISE

Ora ca saccio ca non me 'ntienni, te diraggio. Ecco mo: tu me dirrai na cosa, chilla cosa non è vera, la mentita vale; ma dicennome che è vero, la mentita no' serve.

FLAMINIO

Dunque è vero che voi sete un animale?

GIALAISE

Songo troppo, ma loicamente però. Pecchè ognuno di nui è animale razionale: quanno m'avesse ditto animale irrazionale, alora l'averia mentito, e rutto li dienti de chiù.

FLAMINIO

Ma non vi avendo messo nè razionale, nè irrazionale, eccetto che in còlera vi disse animale; pigliandosi poi le parole secondo la volontà del proferente, e non dell'intelligente, sèguita di ragione che voi sete un animale irrazionale.

GIALAISE

È possibile ca quanto chiù stai co mico, tanto manco sai? poichè non t'avertiste de chillo arteficio usato pe me, ca pe sapere in che manera isso l'avea ditto, io lo provocai, dicendoli mulo cornuto.

FLAMINIO

Sì, ma non fu a tempo; che lui s'era partito, di modo che non l'intese.

GIALAISE

Mettimmo accussì, proprio come tu dici. Mo io te convenco co chella stessa autorità ch'hai ditta poco 'nante, zoè ca la parola se 'ntenne secondo la voluntà del proferente, e non dell'intelligente; dico allo proposito che la voluntate mia fu di dìrencelo; che non m'aggia 'ntiso isso, peio pe isso.

FLAMINIO

Mi piace che vi fate scorgere ancora in questo, come in tutte le altre cose.

GIALAISE

Nui lassamo andare un poco li duelli, e parlamo no poco di amore. Ma scopettami prima la cauzetta: ccà, ccà, vicino allo tallone.

FLAMINIO

Non vi sta pur un pelo, che volete scopettare?

GIALAISE

Scopetta puro, ca una delle cose principali ped accat<t>arese amore è la policia.

FLAMINIO

E a che serve la pelliccia? A scaldarvi le reni forse?

GIALAISE

Oh, come se' aseno! Policia non significa pelliccia, ma l'andare polito, netto, candido. E perciò disse lo Petrarca: «In campo verde un candido armellino».

FLAMINIO

È molto stirato cotesto verso, e parmi che non faccia a proposito nostro.

GIALAISE

Anzi fa a propositissimo. Pecchè lo candido armellino denota l'innamorato netto e polito, lo verde significa speranza, ergo l'innamorato polito posa sopra la speranza d'amore, senza la quale policia è rotta tua speranza. Como isso puro secotò chillo autro vierso: «Rott'è l'alta colonna e 'l verde lauro»: verde, zoè speranza d'amore. Ca te pare?

FLAMINIO

Solenne, orrendo, tremendo, stupendo.

GIALAISE

Massime chilli poi ca se la fanno co perzone magnate e d'importanzia, come fazzo io, ca me sdegno a fare l'amore se non fosse quarche prencepessa, duchessa, marchesa, o ch'avesse almanco titolo di contessa.

FLAMINIO

E che vuol dire che vi vedo pur smaniare per amor di Pasquina, fantesca di Messer Alberto?

GIALAISE

Io pretenno chella no' ped autro, ca pe variar pasto, e ped averene allo quatierno mio, ch'a perzona parzionarella ci scrisse l'autro iorno.

FLAMINIO

Lo credo, perchè queste son le sue cose ordinarie.

GIALAISE

Ch'hai detto mo?

FLAMINIO

Dico che mi fate veder cose straordinarie.

GIALAISE

E beder te ne faraggio perzì. Tu bide mo ca la Segnora Lavinia, la patrona de chilla cornutiella, se martoria pe me, e io chiù non la pozzo patire.

FLAMINIO

Ahimè!

GIALAISE

Ca cosa hai?

FLAMINIO

Mi dolgo, patrone, del torto che fate a quella povera Signora, che essendo così bella, virtuosa e ricca, non ve ne dovereste sdegnare a prenderla per moglie.

GIALAISE

Ca dici? Ca dici? Lo Segnor Gialaise Formicone, ca sta d'ora a ora pe farese spedire la causa soia d'entrare en Sieggio, se bole pigliare la figlia de no lettore de Studio? Sfratta da ccà! Se no' me fosse d'affronto di affrontarete 'n presenzia mia, te daria na mazziata bona, azzò no' te scappassero chiù simile parole dalla vocca.

FLAMINIO

Io volevo dire che è peccato a non amarla, amandovi ella con tutto amore e affezione.

GIALAISE

Bè, de chell'autra manera buoi dicere tu. A chesso te rispondo che essendo amore no desiderio di conseguire na cosa amata, io non la desiderando, issa non me pò conseguire.

FLAMINIO

Mi pare che la conseguenza sia contra di voi; perchè essendo amore un desiderio di conseguir la cosa amata, secondo dite, ella avendo questo desiderio, deve donque conseguir la cosa amata, che sete voi.

GIALAISE

Hai rascione, a fè: aggio equivocato. Io bolevo dicere ca essendo amore una conformità di voluntade, io non volendola, issa non me pò avere.

FLAMINIO

E questo pur v'è contro, a rispetto di Pasquina; che essendo amore una conformità di volere, ella non vi volendo, voi non la potrete avere contra il voler di lei.

GIALAISE

Sì, ma non sai chill'autra regola, ca ubi maior minor cessat. Essendo l'ommo maggior della femmena, besogna ca la femmena cessi, e si sottometta all'ommo, e non volendo l'ommo, non pote la femmena sforzarlo. Donque essendo io ommo, e volendo Pasquina, bisogna ca issa se sottometta a me; e pe lo contrario poi, essendo Lavinia femmena, e io non la bolendo, non me pò sforzare. Haila 'ntesa mo la conclusione? Che le femmene a dispietto loro bisogna ca stiano sotto a nui.

FLAMINIO

Oh, che sensi diabolici!

GIALAISE

Tropoloici, buoi dicere tu, e no' diabolici. 'Mpara, 'mpara. Ma ecco Lavinia co chella cornutiella de Pasquina. Retiramoci ccà e spiamo ca cosa dicano.

Scena 7

LAVINIA

La mia trista fortuna, che da' prim'anni mi privò del padre, quell'istessa mi fa oggi il peggio che può farmi, avendomi impresso nel petto l'amore di colui che ha il cuore non sol di pietra, ma di durissimo smalto; e per saper se quell'aspido si risolve ad udir le mie parole dispregiate sempre da lui, desidero che vadi a ritrovar Bianchetta, pregandola che non manchi di venire a darmene certa risoluzione.

GIALAISE

Chessa parla de me cierto; e se bene n'aggio pietade, no' pozzo sopplire a tante, pe vita mia.

FLAMINIO

O sciocche donne! o donne ingrate! o crudelissime donne!

PASQUINA

E perchè non fate, padrona mia, come vi disse Bianchetta l'altro giorno? Ama chi t'ama, e chi non t'ama lascia. Che ne volete fare di questo Gialaise, poi che non vi ama?

GIALAISE

E lo Segnore dove l'hai lassato, male criata?

PASQUINA

Amate il Signor Camillo, che vi ama tanto di cuore che, alla fede mia, ne ho compassione ogni volta che mi dice: “Pasquina mia, prega per me, raccomandami alla Signora. Io muoro per lei, ed ella non si cura di me; che certo mi fa venir voglia di piangere”.

GIALAISE

In quanti modi me preiudica, chessa latrina!

FLAMINIO

Che dite di latrina? Parlate onesto.

GIALAISE

Non è chilla ca tu pensi. Dico latrina, zoè latra piccirilla. Ma sentimmo, sentimmo.

LAVINIA

Ahimè! non posso amar altri: essendo amor per destino, e non per elezione. Mi destinò la sorte ad amar costui, e non posso, nè voglio elegger altri.

PASQUINA

Non potete, perchè non volete. Forse che Gialaise è più bello del Signor Camillo? Val più la grazia, l'essere, anzi una parola sola di Camillo, che cento Gialaise. Che Gialaise! Solamente il nome lazzaro che tiene!

FLAMINIO

Qui caderebbe al proposito la mentita.

GIALAISE

Eh no, pecchè all'assente e morto non si fa ingiuria.

FLAMINIO

E voi ci sete presente. Come dite di no?

GIALAISE

Ci sono, e non ci boglio essere. Che 'mporta chesto?

LAVINIA

Pasquina, non è bello quel che è bello, ma quel che diletta e piace. Agli occhi miei piace e diletta tanto, quel traditore, che fuor di lui ogni bello mi par brutto.

PASQUINA

Un'altra cosa, che l'altro giorno mi disse il suo creato: mira chi ama la tua padrona! una bestia, un ignorantone, che pate di milza e ha l'asma.

GIALAISE

Chi diavolo nce l'ha ditto? Tu si stato?

FLAMINIO

Io! non per certo. Ah, padrone, io tal cosa? Dio me ne guardi.

GIALAISE

La borria accidere, chesta fauzaria.

LAVINIA

Non è vero, ma lo dicono artificiosamente per levarmelo dall'animo; e fanno peggio, perchè quanto più si batte il sigillo, tanto più s'imprime. Credete forse che io sia così sciocca che non mi avverti d'ogni cosa? Io so che più volte avemo ragionato insieme, e mai il Signor Gialaise s'è dimostrato tale.

PASQUINA

E se Amore vi ha fatto stravedere?

GIALAISE

La mala pasqua che ti venga, Pasquina!

PASQUINA

Mi disse ancora che ha aùto il mal francese, e che non è più uomo.

GIALAISE

Circa lo mal francese, è lo vero. Ma 'n quanto all'esser ommo, songo chiù ommo ora che mai.

LAVINIA

Dimmi, chi è questo creato che te l'ha detto?

PASQUINA

Il moro che si dimanda Cosmo.

GIALAISE

Ah! traditore.

FLAMINIO

Non certissimo.

LAVINIA

Oh! oh! questo Cosmo è sospetto, perchè altre volte mi ha riferite mille bugie; anzi dubito che egli sia ruffiano di Camillo.

GIALAISE

Ah! vegliacco infame.

FLAMINIO

Muora disperato se è tal cosa.

GIALAISE

Ma chi nce l'ha ditto?

FLAMINIO

Nol so.

GIALAISE

Come lo sa?

FLAMINIO

Nol so.

GIALAISE

Conósciame a me?

FLAMINIO

Conosco.

GIALAISE

Te boglio spanzare.

FLAMINIO

Spansame.

GIALAISE

Non te boglio spanzare mo, ma me ne boglio 'nformare meglio.

FLAMINIO

Informase Vostra Signoria, che mi trovarà innocentissimo.

PASQUINA

Non può stare che Cosmo m'abbia detto la bugia, perchè mi vuol bene, mi ama, mi pizzica, mi gratta la mano, mi dà mille cosette; e io voglio ancor bene a lui, sa?

GIALAISE

E chisso da chiù? Confessati, e zitto.

FLAMINIO

O Dio, che possono fare li testimonii falsi!

LAVINIA

Ancora non arrivi a dodeci anni, e così figliuola ti sei messa nel ballo d'Amore?

PASQUINA

Sì, perchè voi cantate più volte quel sonetto: «S'amor non fosse, il mondo non saria - E gli uomini sarian com'animali...». Non voglio esser animale io, padrona mia.

LAVINIA

Ma aspetta. Come sai che Cosmo ti vuol bene?

PASQUINA

Lo so perchè me l'ha detto lui, e per questo io fo quanto egli mi commanda.

LAVINIA

Che cosa ti commanda?

PASQUINA

Mi ha commandato che quando io veggio Gialaise, lo fugga, lo scacci e l'odii come la morte.

GIALAISE

Ca dici mo, vegliacchissimo Cosemo?

FLAMINIO

Costoro mi han veduto del certo, e ne vogliono far corrivi.

GIALAISE

Appila, zitto! Sentimmo, sentimmo, sentimmo, ca poi...

LAVINIA

Donque lo Signor Gialaise fa l'amore con te?

PASQUINA

E chi non lo sa? Oh! oh! non te l'ho detto ancora? Egli spasma e muore per me.

LAVINIA

Sì, ah? e per ciò ne dicevi male, per levarmelo dal cuore! Tu sei da tanto? Tu ardisci opponerti all'amor mio? Tu sei causa del mio travaglio? Per te non mi ama colui, per te m'odia? Non so chi mi tiene che non ti cavi gli occhi. To', to', ribaldella; to', to', traditora.

PASQUINA

Ohimè! che colpa è la mia? Basta, che io non li voglio bene.

GIALAISE

Ah! Cane mastino, tradetore Cuosemo! Tu m'hai sprofonnato, tu m'hai acciso! Pe te me scaccia Pasquina, pe te mi fugge ogn'ora.

FLAMINIO

Ecco come si pate a torto.

LAVINIA

Ah! ingrato e veramente sciocco Gialaise! Ingrato, che paghi d'ingratitudine a chi ti serve, a chi t'adora. Sciocco, che disamando me, che son pure della qualità tua, ami una vil feminella!

GIALAISE

Ah! pazza Pasquina, ca lasci la rosa e pigli la spina: lasci me ca te boglio, ca te pozzo fare patrona, e pigli chillo ca non ti buole e non ti puole far autro ca fantesca!

LAVINIA

Sciocche noi, ch'avemo fiducia in serve che sempre incostanti, sempre infideli sono! Ma perchè io non mi vendico con le proprie mani? Ladra, traditora a questo modo! Ah! ti tirarò questi capelli, mi ti mangiarò il cuore!

PASQUINA

Ohimè, Dio! Ohimè, Dio! Voglio dire ogni cosa al padrone, e anche al padre di Flavio, che voi foste causa della sua disperazione.

LAVINIA

Al padrone, ah? E questo di più! Lèvamiti dinanzi solo perchè m'hai nominato Flavio, il cui nome abborrisco come si abborrisce la febre. Anzi, vien qua, che dentro la camera terrena me ne saziarò a posta mia.

PASQUINA

Che siano maledetti quanti Gialaisi si trovano!

GIALAISE

Ecco oscurato lo mio sole, perza è la luce: e tutto per causa tua, ruffiano di Camillo, traditore de' padroni tuoi. Spogliati ccà mo, spogliati chessi vestiti; dammi ccà chessa spata! Priesto, non tricare chiù!

FLAMINIO

Non vi accostate, di grazia, che questa spada bisognarà pigliarla per la punta: e forse che la giusta cagione che ho di lamentarmi si sfogarà sopra di voi; e se pur ne volete, mettete mano.

GIALAISE

No' <n>ce saria l'onore mio a mettereme co no vaiassone, e massime co no desperato como sì tu. Averemo tiempo. Su, lasciami annare dallo Governatore, ca a forza o bona voglia bisognarà ca restituischi la robba allo padrone.

Scena 8

FLAMINIO

In fine è vero quel proverbio, che un uomo riservato è di valor dotato, e un uomo mal soffrente non può esser valente. Ecco già l'esperienzia delle belle riuscite di questo mio padrone posticcio, ritratto vero della sciocchezza e vanità del mondo. Ma sciocco son io, che vado calculando li fatti altrui e non so reanumerare i miei; anzi, quanto più penso dedurre travaglio dalla somma di miei travagli, tanto più il numero si fa infinito. Io son Flavio e non Cosmo: quel Flavio abborrito dalla crudel Lavinia come si abborrisce la febre. Io son colui che avendola amata per molto tempo, in ricompenza dell'amor mio non ho ricevuto altro che ripulse, dispregi e un continuo no. In tanto che dandomi in preda alla disperazione son fugito di casa, lasciando il mio padre vecchio; e non tenendo altro figlio che me, vive discontentissimo. Diedi nova che ero andato alla guerra di Fiandra; ed è un mese che vado vestito da servo, tinto da moro per non esser conosciuto, ponendomi a' serviggi del Napolitano con proposito che, Lavinia amando quest'uomo così fieramente, potesse come a suo servo aver comodità di parlargli, e vedere se ella sentiva dolore della mia disperata partita; e se pure la sorte mi avesse conceduto di commoverla ad aver qualche pietà di me. Ma ora veggio apertamente che mi odia più che mai, e ama un suggetto così indegno di sè come è il Napolitano. E quel che è peggio, vi s'aggiunge un altro concorrente, come è Camillo, per cui procura Pasquina: ed io, misero, non ho nessuno che procuri per me, anzi tutti me sono contrarii. O sorte crudele! O stelle inimiche! O cieli, perchè non mi cadete sopra? O terra, perchè non m'inghiotti? O acqua, perchè non m'affoghi? Fuoco, perchè non m'ardi? Aere, perchè non m'ammorbi? Chè chi ha per contrarii la sorte, le stelle, i cieli, il fuoco, l'aria, l'acqua e la terra non merita di viver più. Ma perchè mi mantenete in vita? Per farmi sentir maggior pena che di morte? Io mi tolgo le vesti, getto la spada; anzi, questa prendo per passarmi il petto. Ohimè! Ecco mio padre. Ripiglio le vesti e fuggo di qua.

Scena 9

ALBERTO

Quae de novo emergunt, novo indigent auxilio. Lasciate dunque, Messer Manilio mio, il tanto condolervi della fuga, o vogliamo dire della perdita, di vostro figliuolo, e a questo nuovo accidente porgete nuovo rimedio; come saria in disporre altrimente della vita e della robba vostra. Perchè il figliuolo che è vizioso e disobidiente al padre deve esser privato dell'eredità: autore Eschino Prelio in certa orazione a Rodio; anco tutte le leggi ne parlano diffusamente.

MANILIO

Il mio giustissimo dolore mi ha di sorte penetrato il petto, che non posso far altro che dolermi continuamente, considerando che non avevo al mondo <alcuno> eccetto quest'unico figliuolo, cresciuto con tante delizie, con tanti commodi, sotto speranza che egli doveva essere il bastone della mia vecchiezza; e ora me lo vedo tolto, non so da chi, non so come; e non so dove sia capitato.

ALBERTO

Felix quem faciunt aliena pericula cautum: casus dementis correctio fit sapientis. Di modo che io mi risolvo, e così si devono risolvere tutti i padri di famiglia, a farsi cauti con l'essempio vostro, cioè di non allevare i figliuoli con tanti commodi e permetter loro tutto quello che dimandano; poichè deteriores omnes licentia sumus; e così queste delizie, queste licenzie sono le spinte che traboccano li figliuoli, e sono le cause potissime che danno poto amaro alli poveri padri.

MANILIO

Perchè di me stesso? Debbo dolermi della madre, la quale da principio non mi ha lasciato riparare al danno che io prevedeva doverne succedere. Io pur li dicevo: vedi, moglie mia, che Flavio è troppo licenzioso, mira che è discorretto; non ti opponere quando io lo castigo, lascia fare a me; sappi che il mal suo si converte in natura; considera che quando vorremo, non potremo ritrarlo. Sì, a punto nulla fa, anzi in collera mi replicava dicendo: non avemo altro che questo figliuolo, e tu pensi farlo morire sotto le stirature; lasciamolo fare, perchè quando l'arbore è buono, è meglio il frutto. A chi potrà rassomigliarsi, se non al padre? E con simili girandole a poco a poco, crescendo di male in peggio, m'ha indotto a questo pessimo termine.

ALBERTO

Agentes et consentientes pari poena puniuntur. Voi avete consentito al cavezzo di vostro figliuolo, meritate l'istessa pena che merita la madre: e certo quella che diede Solone ad un padre ch'aveva eseredato il figliuolo, secondo mi ricordo aver letto nella general istoria di Sabellico: e fu che il figlio incolpando il padre che egli era stato causa della sua vita licenziosa, perchè non osava castigarlo a tempo che era figliuolo; il padre replicando che se bene voleva castigarlo, egli non l'obediva; Solone sentenziò che il padre, perchè non l'aveva castigato, non fosse degno di sepoltura dopo sua morte; e il figlio, perchè non l'aveva obedito, fosse privato delli beni paterni: ma che il figliuolo di esso giovene succedesse poi all'eredità, perchè delictum patris filio nocere non debet.

MANILIO

E providde circa le robbe, in poter di chi dovevano restare tra quel mezzo che il vecchio fosse venuto a morte?

ALBERTO

Signor sì, che providde; e fu che le robbe fossero depositate in mano d'un terzo degno di fede, che desse da magnare al padre sin che viveva, e facesse una sepoltura al figliuolo dopo che morisse. Che ti pare di questa sentenza? Volesse Iddio che così si osservasse oggi, perchè tanti padri castigando i figliuoli non sarebbono infelici, e tanti figliuoli obedendo a i padri riuscirebbono perfetti.

MANILIO

Ohimè! che queste maledette donne sono state e sono causa della nostra rovina, opponendosi sempre a quel che noi procuriamo alla salute de' figliuoli, mirando solo al presente e non al futuro, senza discrezione.

ALBERTO

La donna non ha nessuna discrezione. Ma noi dall'altro canto dovemo ov<v>iare a questa, contradicendoli espressamente: che se ben la moglie è compagna nostra, non di meno non è nostra superiore.

MANILIO

È vero. Ma poi subito ti fanno il muso torto, ti voltan la schena e mai ti danno pace; e l'uomo stracco da gli altri pensieri, come non trova la moglie allegra in casa, vive in continuo inferno.

ALBERTO

Accade questo perchè omne nimium convertitur in vitium, e però si deve molto bene avertire dal principio a non assuefar le moglie in farle troppo carezze e concedere a loro quanto dimandano. Perchè mulier est mala herba, mala herba cito crescit. Devono dunque stare accorti i mariti in tener le moglie raffrenate di sorte che per troppa briglia non iscavezzino, nè per troppo sproni sbalzino.

MANILIO

Che strada dunque si ha da tenere?

ALBERTO

La strada di mezzo, perchè mediam viam tenuere beati: voglio dire che alcuna volta si devono ammonire, e alcuna volta conceder loro quanto ti par convenevole.

MANILIO

Ma a che giova trattar questo al presente, se il fatto è fatto, e io non mi posso in conto alcuno consolare? Figlio mio, dove sei? Figlio, come hai lasciato discontento il tuo vecchio padre? Figlio, che non ti vedo più! Coltello che m'hai passato il cuore! Ferita che non sanarà mai! Ohimè! ohimè!

ALBERTO

Ecco il frutto che si ha da i figliuoli. Quanto sono ignoranti molti uomini, che con le continue orazioni pregano Iddio che dia loro i figliuoli, et nesciunt quid petunt. Dall'altro canto, Messer Manilio mio, raffrenate le lacrime e non mostrate al mondo che sete altro che quel che gli altri vi reputano: sete prudente, e li prudenti non si han da dare così in preda alla disperazione.

MANILIO

Come non voglio disperarmi, considerando che dovendo morire, il sudor della mia vita sarà perduto?

ALBERTO

Anzi è guadagnato, perchè la robba lasciata ad un tristo erede è persa; poichè non ha tanto pensiero il padre in acquistar la robba, quanto ha fretta il figliuolo in consumarla.

MANILIO

Non posso far che non mi strazii, che non mi consumi.

ALBERTO

Eh! non fate, di grazia... che vi rileva questo? Voi ne morrete di doglia; e se vostro figliuolo è vivo, se ne rallegrarà, poi che al figliuolo par mill'anni che il padre chiuda gli occhi, per ereditar la robba; e se egli è morto, mors omnia solvit. Talchè, come dissi al principio, disponete di voi e della robba vostra in altro modo, con farvi alcun bene per l'anima; che tanto ne ha il padre quanto ne fa in vita, che dopo morte il figliuolo non si ricorda più del fatto tuo.

MANILIO

Ognun di noi quando sta bene sa dar buon consiglio all'infermo. Se voi foste in mio luogo, diresti altrimente.

ALBERTO

Dirrei il medesmo, certo.

MANILIO

Nol voglio credere. Io voglio morir così disconsolato. Io non voglio più vivere; voglio disperarme affatto. Ahimè! figliuol mio... Lasciatemi andar, di grazia.

ALBERTO

Povero vecchio, mi fa pietà. Io voglio pur seguirlo, acciò non si disperi in tutto; che veramente il cuore addolorato più si consola con le parole d'un amico, che con tutti gli altri rimedii del mondo. E poi per la salute dell'anima sua, inspiciendum est quod evenire potest. Instit. De rerum divi. par. Illud quaesitum.

Scena 10

FLAMINIO

Bianchetta mia, per buono e sano che sia un giudizio, ha sempre di bisogno di ricordi; e perciò non vi maravigliate se in questo vostro giudizio, qual reputo buono, io vi ricordo spesso che stiate avertita dal canto vostro; che dal canto mio, vi assicuro che avete un discepolo molt'a proposito.

BIANCHETTA

Non dubitate punto, Signor Flaminio, che chi è vecchia all'arte non si può ingannare. Dall'altro canto, mentre vi miro mi provocate al riso, così rassomigliate in tutto e per tutto al Capitan Lopes; tanto più che con quella barba posticcia rassomigliate egli stesso. E certo è stato buona ventura che vi abbia prestato li vestiti liberamente, con spada e cappa.

FLAMINIO

Un che è nato nobile, è forza che sia cortese e gentile. Il Signor Capitan Lopes è gentiluomo, e non può degenerare dalla natura de' buoni gentiluomini.

BIANCHETTA

Ogni cosa va bene; e io credo certamente che la Signora crederà che siate il Capitan Lopes suo innamorato, per cui ella si muore. Ma dubito che non vi conosca al parlare; però provate un poco come riuscite alla lingua spagnola.

FLAMINIO

Lasciate il pensiero a me, che avendo praticato di continuo con Spagnoli, ne parlo eccellentemente <la lingua>. Pensate forse che bisognando non sapesse far una bravata alla spagnola?

BIANCHETTA

Mi piace. Orsù, Signor mio, fatevi qui dietro, che io vo' chiamarla, e con bel modo vi farò comparire: che forse oggi ottenirete il desiderio vostro.

FLAMINIO

Deh, Bianchetta, in voi sta la salute e la vita mia, e del resto <mi> vi farò conoscere persona gratissima.

BIANCHETTA

Non vorrei faceste come suol fare la maggior parte di voi altri giovani, che sete larghi di parole fin che avete l'intento, e poi dite: a Lucca mi ti parse di vedere.

FLAMINIO

Sapete già che non son di quelli, perch'altre volte l'avete tocco con mano.

BIANCHETTA

È vero che io mi laudo di voi; ma nol dico già per disegno di pagamento. Dio nol voglia, che in questo modo sarei ruffiana! Dicolo sì bene, acciò sappiate che così si costuma oggi, e che meco non giovano quest'offerte.

FLAMINIO

Tanto è, quanto voi dite; e io vi ringrazio sommamente. Alla giornata vedrete che io corrispondo a questa vostra amorevolezza.

BIANCHETTA

Non voglio niente, guarda! che se bene averei bisogno d'una gonnella di sotto, non me ne curo, non pretendo nulla da voi.

FLAMINIO

Oh! che solenne mariola! Riposatevi sopra di me, Bianchetta mia. Orsù, mi son messo in questo cantone. Chiamatela pure.

Scena 11

BIANCHETTA

Toccarò la porta. Tic, toc. Ohimè! non sente nessuno.

FLAMINIO

Toccate più forte.

BIANCHETTA

Vorrei parlaste spagnolo, per assuefarvi.

FLAMINIO

Deagamos ahoras las burlas. Battide mas fuerte.

BIANCHETTA

Oh! così vi voglio. Tic, toc, toc. Io batto al vento... Ma eccola.

FLAMINIO

Ecco pur quel splendore che alluma le tenebre, rischiara gli abissi e abbella il tutto.

ERSILIA

Chi è quel che così forte batte? Oh, gli è Madonna Bianchetta. Che cosa cercate?

BIANCHETTA

Cerco di farvi sempre servizio, e procuro cosa che risulti in beneficio e satisfazion vostra. Ma prima ch'io parli d'altro, ditemi, che lutto è quello che tenete sopra?

ERSILIA

È morto il Signor Alessandro, mio padregno, in Genova, dove s'era conferito per ricuperare alcune ereditadi, e ieri a punto s'ebbero lettere per corriere, che è passato all'altra vita.

BIANCHETTA

Iddio li dia santa requie, e a noi commoda sanità, vita lunga e denari da spendere. E perchè, Signora Ersilia mia, se ben considero, che adesso non sarebbe tempo di dirvi quanto ho procurato in servizio vostro; non però l'occasione di questa morte m'invita maggiormente a dirvelo, che il tempo è già opportuno di accettar il partito, ritrovandosi la casa vostra senza il suo capo.

ERSILIA

Dite pure, e sia subito, perchè mi vergogno a stare in finestra, con tutto che sia luogo rimoto e non vi passino genti.

BIANCHETTA

Voi sapete, Signora mia, quante volte con le braccia aperte e con le lagrime a gli occhi mi avete pregata che io disponessi il Capitan Lopes ad amarvi, e che in ogni modo l'introducessi un giorno con disegno di sposarvi insieme; e perchè sempre l'ho trovato duro, oggi per buona sorte mia l'ho mollificato di sorte che verrà a trovarvi, con ferma deliberazione di far quanto voi volete. E già che quest'altra occasione vi dà il luogo e la buona fortuna, io direi che non la lasciaste passare.

ERSILIA

Vi ringrazio, Bianchetta mia, della buona vostra volontà; ma perchè la durezza del Capitan Lopes mi ha di sorte indurato il cuore che già mai si faria molle, ho mutato quel pensiero, impiegandolo tutto ad un altro soggetto degno di esser amato. Eh, così va il mondo! Adesso che egli vuole, io non voglio, e vada l'un per l'altro.

FLAMINIO

Ohimè! che sento? È possibile che in ogni abito, in ogni occasione questa crudele mi sia crudele?

BIANCHETTA

Dunque per un minimo sdegno volete lasciare un amore così grande?

ERSILIA

Chi nol sa? Non avete inteso che lo sdegno è soggetto potentissimo a cacciar via l'amore?

BIANCHETTA

Non ho inteso questo; ma sì bene che lo sdegno dell'amante è una reintegrazione d'amore; e così succederà in voi, che questo vostro sdegnetto doppiarà quel vivo e sincero amore che gli avevate portato sempre.

ERSILIA

L'acque delle mie lagrime, causate dall'empietà sua, hanno estinto il fuoco dell'affezion mia.

BIANCHETTA

Quando l'amore è vero, come è il vostro, e vi corre alle volte qualche sdegno, quel sdegno è proprio come la cenere: la qual coprendo il fuoco, par che non ci sia fuoco; ma discoprendosi, si ritrova sotto il fuoco. Così succederà in voi, figlia mia, che lo sdegno che avete conservarà e non consumarà il fuoco dell'amor vostro: e già che l'abbiamo sotto, discopriamolo.

ERSILIA

Di grazia, non me ne ragionate più. Io me ne vado: se volete niente, son vostra.

BIANCHETTA

Aspetta un poco, per farmi favore. Venite, Signor Lopes. Eccolo qua, Signora: ascoltatelo, solamente una parola.

FLAMINIO

Baso las manos di Vuestra Merced per mil vezes. Sientiendo, Sennora mia, la<s> iustissimas causas che tiene de non amarme, però creami per cierto che me affido de voluntade de corrispondere al eccessivos amores que Vuestra Merced me ha querido sempre: me affido so la dimostración per ver come persestia en la firmiezza de miis amores; y ya que...

ERSILIA

Y ya que? Non bisogna passar più innanzi, che fin oggi è stato a voi, adesso starà a me. Andate per li fatti vostri.

FLAMINIO

Escùchame, Sennora mia: dos otras palabras. Vuestra Merced non sarà llamada di todos la crudel Ersilia, que arde y quema los ombres affecionados?

ERSILIA

Quel che si diceva di voi mentre mi foste crudele, quell'istesso mi contento si dica di me oggi.

BIANCHETTA

Eh, Signora Ersilia, lasciate questa ostinazione, non perdete la sorte che vi viene in casa.

ERSILIA

Se io non considerasse che ho bisogno di voi, per persuadere colui a chi novamente ho dato il mio cuore, vi darei una buona risposta.

BIANCHETTA

Dite quel che volete, vi dirò sempre ch'avete il torto.

ERSILIA

Il torto è stato pur suo, che non doveva dispregiare chi con pura fede lo serviva e onorava.

FLAMINIO

Es berdad, entramas de mi corazon, mas ahora, come a culpado y fallido, de rodilas supplico a Vuestra Merced que me l'haya a perdonar, y recebir a quien pentido de sus defaltes li promette una perpetua y firma serbitud.

ERSILIA

Giongesti tardi. Andate in buon ora, lasciatemi stare.

FLAMINIO

Espetta ono poquitto, per vida soya. De manera che Vuestra Merced quiere che yo muera?

ERSILIA

Muori.

FLAMINIO

Y los dir da veros?

ERSILIA

Da vero.

FLAMINIO

Y perquè?

ERSILIA

Perchè non posso più amarvi.

FLAMINIO

Y perquè non mi puode amar mas?

ERSILIA

Non posso, perchè l'amore che vi portavo allora l'ho collocato in altri.

FLAMINIO

Y quièn es esto ben aventurado?

ERSILIA

Oh, come sete importuni voi altri Spagnoli!

FLAMINIO

Mi pena, que es infinita, los causa.

BIANCHETTA

Aspettate, Signor Flaminio: chi sa, forse la ruota della fortuna sarà rivolta in favor vostro, e sarete forse voi.

FLAMINIO

Placesse a Dios! Digame, Sennora mia, qui es esto affecionado di Vuestra Merced? qui sa se fosse Flaminio?

ERSILIA

Che Flaminio, che Flaminio! La fiamma di colui, se bene è cocente, non basterà mai a scaldarmi, non che a cuocermi.

FLAMINIO

Ah, ingrata, disleale, crudele, disamorevole Ersilia! Ecco che io non sono il Capitan Lopes, ma l'infelice Flaminio che vive fra cocentissime fiamme. Che t'ho fatto io che m'odii tanto? Qual segno d'amore e di viva affezione non t'ho io mostrato sempre? Perchè godi delle mie fiamme? Perchè fuggi chi t'ama? Perchè dispregi chi t'adora? Ahimè! che non posso più dire, vinto dal profondo dolore.

ERSILIA

Dunque non sete il Signor Lopes? Dunque sete Flaminio? Ahimè! che io fingeva di non volerli bene per confirmarlo tanto più nell'amor mio! Ma già che sono ingannata da voi, mi doglio che non sete il mio bene, e voi doppiamente odio e dispregio. Andate in malora, ch'io serro.

FLAMINIO

Che dici, Bianchetta?

BIANCHETTA

Che posso dire, se non che ragionevolmente vi possete dolere? Povero giovane! Il giusto sdegno gli ha occupato di sorte l'animo, che senza poter parlar più si è partito alla disperata. Vo' girli dietro. O donne ingrate! che la colpa è la vostra, per non amar chi v'ama.

Atto II

Scena 1

ALESSANDRO

È vero, Leandro, che la vita inquieta non è altro che una continua morte; nondimeno, considerando che la sospizione non si toglie se non con l'esperienza di vedere il contro di quel che l'uomo sospetta, godo della mia inquietudine e delli travagli infiniti che ho patito e pato, a star tanti mesi fuori di casa, e a ritrovarmi oggi travestito e sotto abito d' astrologo, mentre considero dovermi quietar la mente dal sospetto che ho tenuto e tengo di Cornelia mia moglie e di Camillo mio servitore. Che se sarà così come congetturo dalli segni passati, farò che da lei prendino essempio tutte le moglie <ad esser> caste, e da lui tutti li servitori ad esser fedeli. Ella conoscerà che il marito che ha sale in zucca sa cuocere li capricci della moglie, ed egli quanto può lo sdegno d'un padrone che è stato cortese verso un servitore che se gli rende ingrato. Ma quando sarà il contrario, come par che tu mi vadi ragionando, ella averà da me la corrispondenza da perfetto marito, ed egli di padre, non che di padrone amorevole. Però dimmi un poco più per minuto che motivi fece Cornelia quando intese la nuova della mia morte; e che disse Camillo?

LEANDRO

Se è vero, padrone, che nel volto si legge l'animo, vi certifico che nel volto della Signora Cornelia uscì un dolore tanto eccessivo, che credo gli abbia di modo trafitto l'animo che viverà sempre sconsolata fin che non si discopra il vero. Nè più nè meno lessi nel volto di Camillo. Poichè a pena intesa da me la nuova della vostra morte che ella cominciò a gridar fortemente: o Alessandro mio!, o Alessandro mio!, si squarciò le vesti, e squarciò anco le lettere consolatorie che io li portavo da Genova; anzi come a forsennata sbatteva il capo or qua, or là; e Camillo dirottamente piangendo accusava la sua mala fortuna che già l'aveva finito di rovinare. Si vestirno subito di lutto, tutta la casa si messe in mestizia, e tutti mi han dato segni evidenti di profondissimo cordoglio.

ALESSANDRO

Ogni estremo è vizioso e nessun violento è durabile. Sappi, Leandro, che con questi loro estremi e violenti sospiri tanto più mi son messo in sospetto: perchè quando si piange di cuore, non si piange di fuore, dice quel proverbio. Se Cornelia e Camillo avessero intensamente sentito questa nuova, oppressi da repentino cordoglio, non averebbono così presto potuto mandar fuori lamenti; e quella estrinseca violenza mi dimostra che all'intrinseco ha sradicato tutto il dolore: a punto come la febre effimera che di fuori venendo violenta, scaccia il fuoco cattivo di dentro e non dura troppo.

LEANDRO

Padron mio, l'imaginazione vi raffigura tutte queste cose; poichè non mi posso imaginare che chi sente affanno di dentro debbia rider di fuori, e per il contrario debbia pianger di fuori chi sente gioia di dentro.

ALESSANDRO

Sì, ma non t'avedi tu che io parlo de gli animi iniqui, falsi e perversi. Sovvienmi a questo proposito un essempio romano: che Fulvia, moglie di Marco Marcello, dimostrò tanto dolore della morte del marito, che dui senatori non la potevano ritenere; e un di loro disse: «Lasciate le mani, perchè Fulvia vuol dimostrare in un dì tutto il dolore della sua vedovanza, per non averlo a dimostrare per più tempo». E l'accertò da vero: poi che da quell'istesso tempo che s'ardevano l'ossa del marito, si accasò con un altro. A rispetto poi di Camillo, basti l'essempio di Cesare che, vedendo la testa di Pompeo, pianse per allegrezza.

LEANDRO

Adesso conosco chiaramente che la gelosia non è altro che una rabbia causata da falso sospetto e da timor vano e da stravagante frenesia. Perdonatemi se vel dico, padrone, che da sospetto in timore, da timore in frenesia, da frenesia in gelosia, e da gelosia sete venuto in una rabbia tale che non mi parete Alessandro, ma una vipera tutta piena di veneno. Ritorniamo a casa, lasciamo queste vesti, e credete che vostra moglie è prudente, onorata e bella.

ALESSANDRO

Ahimè, che prudenzia, onestà e bellezza di rado si congiungono insieme: poichè la bellezza di una donna non è mai sicura, e quel che da molti è desiderato vanamente si guarda. Risolvasi ognuno, che chi ha donna bella per moglie ha da combatter co la pazzia, perchè bellezza e pazzia sono due fide compagne che non si lasciano mai, mediante la qual pazzia consuma la vita e la facultà del marito. Perchè ogni donna bella vorrebbe esser sola che commandasse in casa; vuol vivere delicatamente, vuol passare il tempo in piacere e in delizie, pretende esser preferita a tutte, ogni giorno nove fogge di vestiti, costringe il marito a tenerlo sotto; e in somma chi si marita con donne belle s'apparecchi sopportar la mala ventura.

LEANDRO

Come sarebbe a dir le corna.

ALESSANDRO

E peggio ancora: poichè il povero marito pensandosi riposare e star quieto, gl'innamorati vanno a torno la casa, occhiando le finestre, scalando le mura, sonando citere, vegghiando alla porta, concertando con ruffiani, discoprendo il tetto, e ultimamente gli levano la vita o fanno che per doglia si muora; e così resta povero, infamato e morto.

LEANDRO

Donque non si deve lamentare un certo amico mio che ha moglie brutta, poi che potrà vivere senza timore e sospetto alcuno.

ALESSANDRO

E chi nol sa? Colui che ha la moglie brutta tiene sicura la fama, è servito da prencipe, è amato cordialmente, vive quieto, ha carezze dell'altro mondo, augmenta in facultà: e in somma quella bruttezza è la pece negra che lavora l'argento e la scorza aspra che conserva l'albero tenero.

LEANDRO

Signor mio, io non posso disputar con esso voi, perchè sete savio, e io sono ignorante; ma poi che, perdonatemi, si suol dire che all'uomo savio manca il consiglio, vi ricordo che non vi lasciate vincere dalla passione di questa maledetta gelosia, ma vincendo voi stesso, consigliate voi stesso.

ALESSANDRO

Se ben non son savio come ti credi, dirò pur come disse quell'uomo da bene, che molte volte errano i savii non perchè voglino errare, ma perchè li negozii sono di tal qualità che la lor sapienzia non basta a poterlo indovinare. Concludo a proposito che io non pretendo indovinare e l'intrinseco dell'animo di Cornelia, e di Camillo. Non mi curo di errare per viver cauto. Ma ecco Franceschetto mio figliuolo; intendemo quel che dice.

Scena 2

FRANCESCHETTO

O schiavo traditore! Vatti fida poi di schiavi, va! Se fosse vivo il Signor padre non faresti così. Non ti curare, ah! ah!

ALESSANDRO

Parla di schiavo, nomina me, piange e minaccia: che domine sarà? Costui certo parla di Camillo.

LEANDRO

Ogn'ombra vi par Camillo, così forte l'imaginativa vi tiene astratto dall'esser vostro.

ALESSANDRO

Ascolt<i>amolo un poco, che da' figliuoli e da' matti si discoprono i fatti, dice quel proverbio. E poi Franceschetto, sapendo quanto può saper figliuolo, tengo che si sarà avertito di qualche cosa.

FRANCESCHETTO

Bella, per Dio! Camillo pensa maritarsi con la Signora madre e far del padrone in casa. Ma io, ma io... lascia far a me.

ALESSANDRO

Che dici, Leandro? Parti che io mi sia ingannato? Accostiamoci, che con bel modo scopriremo il tutto. A Dio, quel figliuolo.

FRANCESCHETTO

Ohimè! chi sei tu? Io m'appauro, mi segno la croce: tu sarai forse il padre delle streghe di Benevento?

LEANDRO

Non aver timore, Franceschetto, perchè costui non è quel che tu pensi, ma un certo gentiluomo del mio paese, il quale era amico del Signor Alessandro, e desidera intendere se per servigio vostro e della casa vale a qualcosa.

FRANCESCHETTO

Oh, oh, tu sei Leandro, ch'hai portata la nova del Signor padre. Ohimè! Signor padre, se fuste vivo! Se sapeste che tratta Camillo, che pensa la Signora madre!

ALESSANDRO

Mi provoca al pianto. Vien qua, figliuol mio, perchè piangi? Che cosa t'occorre? Che tratta Camillo? Che fa la Signora madre? Che se tu vuoi, ne scriverò al Signor zio in Genova, e si daranno i debiti rimedii.

FRANCESCHETTO

Come non voglio piangere, che così piccolino ho perso il padre? E chi mi vuol far bene mo? Quella poltrona di mia madre, che pensa rimaritarsi con un schiavo?

ALESSANDRO

È vero, figlio mio, che come si perde il padre, si perde ogni bene. Ma chi è cotesto schiavo?

FRANCESCHETTO

Un vigliacco, chi vuol essere? Ma in questa notte pian piano gli piantarò un coltello nella panza.

LEANDRO

Aspettate. Sarà forse Magagna?

FRANCESCHETTO

Che Magagna! Magagna è servidore, e non schiavo; ma è Camillo, sì, sì, ed è Magagna ancora.

ALESSANDRO

Dunque Camillo è schiavo? Come lo sapete voi? Chi ve l'ha detto? In che modo tratta maritarsi con la Signora? E che pretende Magagna?

FRANCESCHETTO

Ho spiato quando Camillo ha detto che è schiavo e innamorato della Signora, ed essa innamorata di lui; e che gli è parso mill'anni che il Signor padre morisse per accoppiarsi insieme. Magagna dice pur egli che è innamorato della Signora, fanno questione insieme, e Magagna pretende non so che copulare. Io non l'intendo. È tardo già; vo' prima gire in piazza a comprar delle noce e poi tornare in casa. Nol dite a nessuno, sa?

ALESSANDRO

Haila intesa, Leandro? Il fatto è fatto e la cosa è chiara: non bisognano più testimonii, non giovano altre prove. Deh, Cornelia, questo è l'amore, questa è la fede che si deve portare ad un amorevole e fedel marito come son stato io? Così presto ti son uscite di mente le promesse e li giuramenti che non avevi altro bene che me? E che se mai io morivo prima, ti saresti sepolta viva? Mentitrice, disleale! Ben me ne sono accorto: con ragione ho sospettato. Disse il vero che il violente tuo dolore doveva durar poco. O più incostante di Fulvia romana! O finta, traditrice, disonesta! O Camillo ingrato, così si pagano i benefizii riceùti? Tu sai che di schiavo ti feci libero, di estraneo ti elessi per figlio, di servo ti feci patrone: e ora mi sei infidele, mi sei traditore? Maledetto l'uomo che confida nelli figli d'altri, crescendoli in casa per suoi proprii, non pensando che questi intessono molti inganni, e come a quelli che <non> sono del tuo sangue, ti cercano di bevere il sangue, la vita e l'onore. E che più? Se oggi non si ha bene da i figli proprii, come io ne dovevo sperare da i figli d'altri? Non posso aver pazienzia; voglio entrare in casa, e uccider l'uno e l'altro.

LEANDRO

Fermatevi, padrone, che le cose mal fatte, dopo commesse, più presto si possono riprendere che emendare. Come volete correre così in furia, e commetter un eccesso di tanta importanza, senza aver altra informazione? Se per sorte non fosse così, in che modo potrete emendare questo delitto? Han tanta forza le passioni in noi, ch'al spesso ci fan parere una cosa per un'altra; e perciò bisogna prima intendere, vedere, toccare con mani, e dopo essequire. Fermatevi, di grazia, e non credete così facilmente a, figliuoli, che quando non sanno esprimere bene li fatti, ti mettono in nova confusione. Che certezza potete avere del detto di Franceschetto? Si confonde Magagna con Camillo, Camillo con la Signora e la Signora con Magagna. Saria meglio a essequire l'artificio dell'astrologo, come avete detto prima; perchè discorrendo, intendendo, parlando, ne verrà forse alle mani quel che andate cercando.

ALESSANDRO

Orsù, voglio vincer l'ira, poichè essa, essaltando l'intelletto nostro, ci sforza la ragione; ma mi servirò del tempo e dell'opportunità: che, come disse quel valent'uomo, il conoscer del tempo e il servirsi dell'opportunità fa gli uomini prosperi.

LEANDRO

Ora sì che l'intendete. Andiamo di qua, che pensando meglio, in ogni modo pigliaranno qualche buona risoluzione; perchè le cose che si pensano maturamente partoriscono divinissimi effetti.

Scena 3

ALBERTO

Homini hominem insidiari nefas est, come inter nos cognationem quandam natura constituit, che vuol dire in effetto: è cosa brutta che l'uomo inganni l'altr'uomo, essendo che la natura costituì in noi una certa parentela. E per ciò son sicuro, Magagna mio, che Messer Manilio non sarà punto defraudato da voi, circa il trattare il matrimonio suo con la Signora Cornelia: già che Alessandro è morto, e tanto più che dovendone risultare in benefizio vostro, di sorte tale che vi comprarete il modo di esser padrone della casa e dell'onor suo.

MANILIO

Se bene questo mio pensiero è novo, lo desidero estremamente, Magagna, per le ragioni che ti ho detto. Attendi dunque a concluder quanto prima, che del resto ti sarà avantaggiata la promessa di Messer Alberto. Prendi per ora questi tre scudi, e se non bastano questi, prendine tre altri, e se ne vuoi più, dimanda pure.

MAGAGNA

Benchè, Messer Manilio, li denari abbino gran forza a far ottenere all'uomo quanto desidera; e come dice quell'altro proverbio, che nulla cosa dà maggior forza alla fatica quanto il vedersi il premio avanti gli occhi, non però con me servono questi conti. Pigliateli, di grazia, e non me li fate toccare, che in toccarli sento una voce dalle calcagna che vien congiungendo le lettere R, U, F, ruf; F, I, fi; ruffi; A sola: ruffia; N, O, no: RUFFIANO.

MANILIO

Fate errore a dir così, che io non vi reputo, nè sarete da altri riputato per tale: poichè ve li do in ricompensa del benefizio che mi fate.

MAGAGNA

Di maniera che li posso pigliare senza pregiudicio dell'onor mio? Avertite, non mi fate far errore, che questa è la prima volta che io mi metto all'arte. Che dite, Messer Dottore? Comporta la legge che si possa fare?

ALBERTO

Omnis creatura movetur ad benefaciendum ei, qui sibi benefacit.

MAGAGNA

Dichiaratelo prima, che vuol dire, che io non pretendo esser ruffiano senza ragion veduta.

ALBERTO

Vuol dire che ogn'uomo si move a far bene a colui che gli fa benefizio. Sentendosi Messer Manilio beneficato da voi, perchè trattarete il suo negozio, potete liberamente pigliar da lui quello che in ricompensa del vostro travaglio vi offerisce.

MAGAGNA

Avertite: anima vostra, manica vostra.

MANILIO

E vi prometto di più: che concludendosi, restarete a tutta voglia sodisfatto.

MAGAGNA

Questo veramente è un tesoro; e ora conosco che sì come la calamita tira a sè il ferro, così la pecunia tira la volontà nostra a condescendere alla volontà di chi sborsa. Non è maraviglia se la donna casca volontieri al suon delle patacche: poi che ha potuto tanto in me, che scordandomi dell'amor di quella, che mi divora, con la pecunia in mano son di me stesso ruffiano.

MANILIO

Che dici? Che pensi? Che fai tra te stesso?

MAGAGNA

Mi risolvo che non sono ruffiano, e perciò voglio far quanto voi volete. Ma avertite, Messer Alberto, che bisogna attendermi la promessa che sarà di dare a Camillo Lavinia vostra figliuola; che, come vi ho detto, non mi confido d'altra maniera di far condescendere la Signora Cornelia a questo matrimonio. Perchè Cornelia, amando Camillo, suo figliastro, come figlio proprio, e sapendo che arde e abbrugia per Lavinia, vorrà prima il contento di Camillo e poi i suoi.

ALBERTO

Io non posso, nè voglio venir meno della mia parola: prima, perchè accomodo l'amico; appresso, chè il partito di Camillo è molto onorato; e ultimamente, perchè ve l'ho promesso, e omne promissum iure debitum est.

MAGAGNA

Orsù, la cosa va bene. Lasciatemi prima negoziare; e voi di qua a un pezzo lasciatevi ritrovare in questo medesimo luogo, perchè in ogni modo vi farò parlare con la Signora. Ma avertite, Messer Alberto, che al primo ingresso avete a dire che avendo visto l'amor grande che porta Camillo a Lavinia, per la quale abbrugia, spasima e muore, avete concluso di dargliela per moglie; e poi con destrezza fate cader l'acqua al vostro molino.

ALBERTO

Il tutto si farà diligentemente. Andate, perchè letta la lezione dell'ordinario al Studio, ritornaremo quanto prima.

MAGAGNA

Poche parole e buone. Andate con Dio, e zitto.

MANILIO

Andiam di qua, Messer Alberto, che più vicino.

ALBERTO

Andiam presto, perchè nemo debet esse negligens in suo officio. ff. de excusatione, l. Divus Marcus, in fi. par. de offic. praesidis.

Scena 4

MAGAGNA

O Magagna, in che mare magno ti sei ingolfato! Come ne potrai uscire, se hai per contrarii nove principalissimi nimici: Amore, Bellezza, Nobiltà, Gioventù, Ricchezza, Povertà, Bruttezza, Viltà e Patacche? Amore mi ha pertugiato di sorte il cuore che pare un crivello di semola. La Bellezza e Gioventù di Camillo mi levaranno la preda. La Nobiltà e Ricchezza di Manilio mi daranno la cassia. La Povertà, Bruttezza e Viltà mia mi faranno fare indietro; e queste Patacche di Manilio m'impediscono di maniera ch'io non mi so risolvere. Mirate Amore in che amaro umore mi ha posto, in farmi innamorare d'una cosa contra natura! Perchè se naturalmente ogni simile appetisce il suo simile, come a dire il gallo la gallina, il paparo la papara, il corvo la cornacchia, il tauro la vacca, il cavallo la giumenta, l'asino l'asina; e voi sete informati che li signori amano le signore, li mezzani le mezzane, li poveri le povere, li servidori le fantesche; io mo che son servidore e amo la padrona, non è cosa contra natura? E il peggio è che se lo sa la corte, voglio esser abbrugiato senza proposito. Deh, Magagna, can mastino! Magagna senza giudizio, pìgliate questo pugno, che lo meriti, e poi quest'altro, e quest'altro ancora. Non ti vergogni a pretender tanto? Tu, tu sei tale? Ora piglia quest'altro. Dall'altra parte risponde Magagna e dice: non dar, di grazia, che chi procura inalzarsi non fa male. È questa forse la prima padrona che s'è attaccata con li servidori? Allego solitus et consuetus. Dunque fatevi indietro, pugni. Ah! traditor Magagna, farai tu come fanno gli altri servidori infami? Pregiudicarai tu all'onore del tuo padrone che ti è stato tanto cortese? Per il pensiero solamente meriti un altro pugno, e poi un altro. Replica Magagna, et dicit: che colpa è la mia se Amore è cieco e non mi fa vedere? Dunque se non <son> io, ma Amore, indietro, pugni. Ah, vigliacco, con Amor ti scusi? Deh! che è quella maledetta frenesia, e non amore. Dunque se sei tu, pigliati questo pugno, e poi quest'altro. Ferma, dice Magagna, che essendo per via di matrimonio, cessa ogni difetto; e se ben io non sono della qualità sua, nondimeno il colmo dell'amore che io li porto coprirà l'indegnità mia. Dunque indietro, pugni, e seguitiamo l'amorosa impresa. Ma come faccio con Camillo? Mi risolvo a non dire alla Signora che è schiavo, acciò, sapendo che non gli è figliastro, non se lo pigliasse da vero per marito, e io restasse con li denti secchi. Meglio sarà che io anticipi; che anticipando si risolverà a concluder meco non potendo con il figliastro, tanto più <che>, come essa intenda l'amor di Camillo e di Lavinia, si sdegnarà con Camillo, e Magagna entrarà per lo terzo, Rodomonte. A rispetto poi di Messer Manilio, vederò di cavar denari quanto posso; e all'ultimo mi scusarò quanto posso, dicendo che la prima carità comincia da se stesso, o ogn'uomo ne vuol più per lui che per altri. Lasciami entrare, che Amore mi darà la voce e le parole.

Scena 5

LEONORA

Che cosa potrà voler la Signora Quintilia, che così in fretta mi manda a chiamare? Vattene sopra, Lavinia, e fa come io ti dico: che la donna non è per altro trista, se non che gli avanza libertà e li manca la vergogna. Voglio dire a proposito che non mi piace molto la libertà che da te stessa hai presa da pochi giorni in qua, stando quasi di continuo su le finestre, praticando per basso e lasciando l'essercizio della casa. Non hai più volte inteso dire da mio marito e tuo patregno che Lucrezia romana fu riputata savia e casta, principalmente perchè si essercitava e faceva sempre essercitare le donne sue al servizio della casa? Essendo cosa manifesta che quella donna la quale attende alli solazzi e piaceri del mondo facilmente cade e perde l'onor suo.

LAVINIA

Madre mia carissima, quando la donna ha sano il cervello, non si lascia movere per niuna occasione del mondo.

LEONORA

È vero; ma l'assuefarsi al male è male. Sai pure che a poco a poco giongendosi legne al fuoco, diviene così ardente che non solo abbrugia le legne verdi, ma consuma anco le pietre vive. Così accade alle donne che si pigliano oggi un piacere e domani l'altro, salendo di male in peggio; cadeno, dopo, tanto volentieri che infamano non solo elle istesse, ma ancora tutto il parentado.

LAVINIA

Il piacere che mi ho preso è stato perchè voi mi diceste: figlia mia, non ti affaticar tanto, datti alcuna volta qualche sorte di spasso, non andar così sconcia, conservati questi capelli, lavati il volto, va polita, che altrimenti ogni uno ti dirà che sei una sciocca, una sparmia-fatica.

LEONORA

Sì, ma io dandoti il dito, tu t'hai preso tutta la mano. Averti, figlia mia, che il solazzo che io ti dissi non s'intende lo star di continuo su le finestre, ma il ricrearsi per casa; l'andar acconcia non voglio che sia il perder tempo tutto il giorno a sbellettarsi e a farsi la bionda. A che servono tanti ricci e tanti lisci? Basta a lavarti con l'acqua pura, come facevo io al mio tempo; poi che voi altre giovane sete a guisa di vetro, che tentato si rompe, e ogni poco l'ammacchia: talchè bisogna stia chiuso, che non sia tocco, e lavarlo semplicemente, che stia netto, e non ammacchiarlo con tante lorde cose che vi mettete sul volto. Haime intesa?

LAVINIA

Vi ho intesa. Ma...

LEONORA

Che vuol dir quel ma?

LAVINIA

Ma voi altre donne (perdonatemi se vel dico) come giongete al secco, o dite: al mio tempo non fu così, al mio tempo feci, al mio tempo dissi; non avertendo che il mondo è stato sempre come oggi, e se a voi pare altrimenti è perchè, essendo vecchia, vi è mancato il potere, e non il volere.

LEONORA

A me questo? Così si tratta la madre? Questa è la riverenza che mi porti? Questi sono li consigli che ti ho dati? Io son vecchia? Camina via, non mi star più dinanzi!

LAVINIA

Sapete come è, Signora madre? La vedova che si accasa di novo mette tutto l'amor suo al novello marito e disama li proprii figli. Io m'aviddi che da che vi casaste m'avete trattata male.

LEONORA

Io mi casai per benefizio tuo, sciaguratella che sei. Da che tempo in qua sei divenuta così sfacciata, prosontuosa, ignorante? Va via, non mi star più innanzi, che io mi risolvo a differire l'andata dalla Signora Quintilia infino a notte, per venir a darti il castigo che meriti, se non farai quanto ti dirò. Vien qua, Pasquina: va alla Signora Quintilia e dilli che, se non è cosa che molto importi, andarò da lei questa sera.

PASQUINA

Quanto commanda Vostra Signoria. Ma sappiate, Signora, che Lavinia è una trista figliuola, fa certe cose che non mi piacciono; e io volendola avisare, mi ha dato delle busse che ancora mi fa piangere.

LEONORA

E che cosa fa? Dimmelo, Pasquina mia: che oltre ti vendicarò delle busse, ti prometto ancora un beveraggio d'importanza.

PASQUINA

Perdonatemi, Signora, che non lo posso dire; perchè mi ha minacciato dicendo: se tu dici che io faccio l'amore con il Napolitano, t'ucciderò tutta tutta.

LEONORA

Dunque con il Napolitano fa l'amore? Bella elezion per certo! Vien qua, dimmi: il Napolitano è innamorato di lei, o ella di lui?

PASQUINA

Io non dico questo, siatemi testimonio; ma lo dite voi. Io so che ella si muore per quel balordo, ed egli non la può sentir nominare.

LEONORA

Sì, ah! Va via tu, e lascia far a me.

PASQUINA

E un'altra cosa di più; che essa è stata causa della disperazione di quel povero Flavio, il quale l'amava più che se stesso; ed essa, lasciando il meglio, s'è attaccata al peggio.

LEONORA

Tutte queste cose vi sono? Non ti curar, fraschetta.

PASQUINA

Oh, oh, mi ricordo un'altra cosa. Non sapete Camillo, quel giovane bello che passa spesso di qua?

LEONORA

Sì che lo so.

PASQUINA

Questo Camillo la desiderava e la desidera per moglie, ed ella lo discaccia e segue quel goffo del Napolitano.

LEONORA

Ohimè! la pratica è gita troppo innanzi, e io me ne sono aveduta nell'ultimo. Ben è vero che le genti di casa sono l'ultime a sapere il disonore della casa. Or va, e torna subito.

PASQUINA

Sì, ma non dite poi che sono stata io che ve l'ho detto, perchè passarei pericolo della vita.

LEONORA

Va pure, e non aver timore.

PASQUINA

Alla fè, alla fè che impararà di batter le serve senza proposito.

Scena 6

LEONORA

Misera Leonora, a che strano passo ti vedi! Pensavi pur d'avere una figliuola che doveva esser la quiete della mente tua, e ora la vedi correre in fretta a ruvinarti del tutto. Se la mia trista fortuna mi ha tocco sin adesso nella robba, nelli mariti e nella persona propria, al presente per colmare il sacco tenta di toccarmi anco nell'onore; cosa di tanto pregiudizio maggiormente a noi altre donne, perchè la donna, perdendo l'onore, non è più donna. Ma chi son costoro che vengono verso di me?

ALESSANDRO

Sono così incostanti li beni di questo mondo, che a pena gustati ci disparono davanti. Leandro, quella donna ci mira fissamente; che vorrà da noi? E io quanto più miro, tanto più mi pare che sia Brianda mia. Ed è pur essa! Accostiamoci pure.

LEANDRO

Il male non viene solo, dice quel proverbio. Chi sarà questa Brianda? Dubito di alcun altro male.

ALESSANDRO

E sarà peggior del primo, se sarà come par che mi vada mostrando l'apparenza.

LEONORA

Che borbottate fra voi stessi? Che volete da me? Che pretendete? Che cercate?

ALESSANDRO

Borbottiamo di saper il vero, volemo farvi servizio, pretendemo manifestar la virtù nostra e cerchiamo il benefizio del prossimo: poi che, come dice quel savio, l'uomo non è nato per sè solo, ma per giovare a gli altri ancora.

LEANDRO

Averà altri pensieri Leonora che intender queste vostre filastroccole.

ALESSANDRO

Non son filastroccole, ma la verità istessa. Sappiate, Signora, che io sono astrologo: e per quanto ho potuto comprendere dalla vostra fisonomia, so molto bene chi voi sete e donde venite; so anco li travagli e pericoli vostri; e per cominciar da qui, voi primieramente non vi chiamate Leonora, ma Brianda.

LEONORA

Io stupisco. E Brianda di chi?

ALESSANDRO

Brianda di Carvascial; e sete spagnola, d'una città chiamata Zamora.

LEONORA

Ohimè! che sento? E come lo sapete voi?

ALESSANDRO

Virtute astrologiae: e il primo vostro marito si chiamò Alessandro, genovese; e perchè voi sapete il tradimento usato in persona di esso Alessandro, non mi estendo più oltre.

LEONORA

Dite pure, che seguendo come avete incominciato, dirò che sete indovino.

ALESSANDRO

Intendete. Prima che Alessandro vi prendesse per moglie, il Capitan Valasches era innamorato di voi, e vedendosi escluso da' parenti tramò di uccidere Alessandro; e così in processo di tempo venne di notte con altri armati in casa vostra, e ferendo a morte il povero Alessandro lo ridussero in una camera terrena, dove li presentorno il capo tronco di voi, Brianda, dicendo: «Godi pure, godi, Alessandro! Valasches è già contento, poi che in un medemo colpo si è vendicato di lei che lo rifiutò e di te che osasti di preferirti a lui. Muori, muori disperato, che tu fosti causa della sua e tua morte»; e dandoli altre ferite, lo chiusero per morto dentro un sacco, con ordine che lo gettassero in un pozzo, come fu gettato, fuori della città

LEONORA

Tutto questo è vero. Ohimè! che in sentirlo mi si rinovellano le piaghe antiche. Ohimè! Alessandro mio, quanto mi fosti caro, quanto mi fosti buon marito, che per me gustasti l'amaro della morte ne gli anni più verdi, sotto i quali speravo di vivere felice per alcun tempo!

ALESSANDRO

Se piangete che Alessandro sia morto, v'ingannate.

LEONORA

E come?

ALESSANDRO

Vi dirò. Alessandro fu gittato nel pozzo, giudicandolo ognuno per morto. Ma venendo il giorno, passorno certi viandanti genovesi da quel luogo e sentirno la voce d'un che si lamentava e chiedeva aita: da i quali fu cavato fuora, e medicandolo per strada lo ridussero ultimamente in Genova, dove guarì del tutto, e al presente è vivo.

LEONORA

È vivo? E... è vivo Alessandro? E dove si trova?

ALESSANDRO

È vivo, ma non so dove si trovi, se voi non mi dite prima come sete viva, se altri vi vidde col capo tronco. Che quantunche io lo so, nondimeno bisogna saperlo da voi, per far la figura legitima, conforme alle nostre regole d'astrologia.

LEONORA

Io son viva perchè il Capitan Valasches non mi uccise altrimenti, se bene portò con esso lui una testa fatta di sorte che al naturale rassomigliava alla mia, e questo per far morire Alessandro più discontento: perchè sapendo che il povero marito mi amava più che se stesso, finse d'avermi tronco il capo, acciò la morte li fosse più acerba, vedendo morta ancor me. E così mi trasportò da Spagna in Roma, e lasciando di lui una figliuola chiamata Lavinia, si morì, e oggi mi trovo rimaritata con un lettor di Studio, chiamato Messer Alberto.

ALESSANDRO

Oh! caso veramente inusitato e nuovo. Riposatevi, Signora, e lasciate fare a me, che io farò la debita figura e ritornarò a dirvi dove dimori Alessandro.

LEONORA

Vorrei che portaste anco il modo che si ha da tenere, ritrovandomi già accasata con un altro marito.

ALESSANDRO

A questo ancora si provederà, che per quanto le stelle mi promettono trovo che Alessandro similmente è accasato, persuadendosi che voi foste morta.

LEANDRO

Oh, che intrigo inestrigabile sarà questo!

LEONORA

Andate pure, che io vi aspetto con desiderio, e della fatica vostra ne sarete molto ben remunerato.

ALESSANDRO

Non voglio nessuna rimunerazione, perchè l'arte mi fu insegnata che io servisse senza premio.

LEONORA

Orsù, a rivederci: e tornando in casa potrete venire sotto colore che avete a parlare al lettore di Studio; e se per sorte egli vi si trovasse, fingete di desiderare da lui la resoluzione d'alcun dubio.

ALESSANDRO

Di grazia, che ti par, Leandro? Non son io il bersaglio della mala ventura? Quest'altra disgrazia mancava alle mie tante disgrazie! Ecco Brianda, mia prima moglie. Ecco Brianda viva. E io, mal per me, son vivo, ed ella si trova accasata, e io mi trovo accasato. Come si farà? Che rimedio vi sarà? Se io non mi scopro, vivo in peccato. Se io mi scopro, ecco un disturbo grande. O misero e infelice Alessandro! Che farò? Che dirò? Aiutami, Dio mio, che senza te non si trova sano consiglio. Andiam di qua.

LEANDRO

Andiam, padrone, e non vi sgomentate per questo; che 'l cuor valoroso, come è il vostro, nel maggior pericolo piglia maggior forza.

Scena 7

GIALAISE

Oh, me buoi muorto, Pasquina, se non fai che fuìreme? Anzi, quanto chiù me fùji, chiù ti viengo appriesso. No' sai como dice chella canzone: «Quanto chiù mal mi vuoi, tanto chiù bene te boglio»?

PASQUINA

E io canto al riverso: quanto più ben mi vuoi, tanto più mal ti voglio! Lasciami star dunque: che vuoi da me? Non ti voglio, no, no, no!

GIALAISE

E io ti boglio, e io ti boglio, sì, sì, sì! Traetorella ca squarti cori, sparti pietti, apri vene e bevi sangue delle perzone. No' fuire, per l'àrema delli muorti tuoi. Bide ca faremo ridere Roma, oie, ca se tu curri da ccà, e io viengo da ccà.

PASQUINA

Oh, Dio, come sei fastidioso! Non t'accostar, vedi, che ti darò un pantofolo sul mostaccio.

GIALAISE

Accideme, ca non me curo de morire pe chesse mano bellissime, ianchissime e nudissime, chiù belle, chiù ianche e chiù nude della bella ianca e nuda mano ca disse lo Petrarca.

PASQUINA

E pur lì, e pur mi vien dietro! Vatti con Dio, lasciami andar presto a casa.

GIALAISE

Fermati no autro pocorillo, ferma, non ti straccare a correre. Aggi allo manco pietade de chissi delecatissimi piedi; non fare como fece Dafne e chilla ca se chiamava Siringa, ca, secondo dice lo Metamorfosio, la prima pe fuire Apollo diventò lauro, e l'autra pe fuire lo dio Pane si converse in canna.

PASQUINA

A che servono queste favole? Io non t'intendo, nè ti voglio intendere. Va via, va, va.

GIALAISE

No' sai che li essempii movono chiù ca no' movono le parole? Ti metto chisso essempio 'nante azzò sani, aiuti e soccor<r>i <u>no ca è feruto, muorto, arzo ped amore tuo.

PASQUINA

Vorrei che da vero fosti ferito, morto e arso per non sentirti più. Vedi, se non mi lasci, gridarò forte.

GIALAISE

E io strillarò chiù forte, pe farete perzì castigare dalla Iustizia, se mo me vuoi accidere; pecchè chi può sanare chillo ch'ha male, e no' lo sana, l'accide.

PASQUINA

Non ti vergogni, sei gentiluomo e ami una servitrice?

GIALAISE

Lo faccio pe sementare la nobeltate meia: pecchè l'ommo incorporandose co la donna la fa deventare nobele, essendo la femmena materia ca concepe e non dà. Tale ca tu conceperai la nobeltade ca ti daraggio io, e sarai chiamata la Signora Pasquina, e non Pasquina.

PASQUINA

T'aggiri se pensi ingannarmi sotto queste false promesse: che così dite voi altri uomini, in sin che avete l'intento vostro; ma poi ne piantate nel bel mezzo.

GIALAISE

No' me fare iurare, Pasquina, ca io dico lo vero, e la ragione è chesta: io songo nobele e ricco; no' me manca autro, pe stare contiento, eccetto d'avere no viso d'angelillo como chisso tuo, che Angelina ti doveresti chiamare, e no' Pasquina.

PASQUINA

S'è così, perchè non prendi la Signora Lavinia, che è bella, ricca e nobile, e poi t'ama tanto che è peccato a non amarla?

GIALAISE

Amore no' è autro ca compiacimento: a me non compiace Lavinia, e perzò non la pozzo amare.

PASQUINA

E tu non compiaci a me, e perciò non posso amarti.

GIALAISE

Beata a te se me ami, Pasquina; ca oltre l'essere di Sieggio e ricco, songo nondemeno valoroso co l'arme 'mmano, ch'a no bisuogno vaglio pe quatto, e pe sei 'ncora. Dimandane la chiazza dell'Ormo a Napole, quanno me furono sopra na centinara di Spagnuoli, ca feci no fiumale di sangue.

PASQUINA

Per staccarmi da costui vuo' servirmi d'un bell'inganno che mi è sovenuto or ora.

GIALAISE

Ca mormori tra te stessa, Pasquina mia?

PASQUINA

Dico che vorrei veder la prova or ora: e fate conto che ti fosse un inimico davanti, l'altro di dietro, l'altro dal lato sinistro e l'altro dal destro, come faresti a guardarti da tutti?

GIALAISE

Chisso è facelissimo. Ecco ccà. Io metto mano contra de chisso ca me vene denante, e po' salto di quarto contra de chisso ca vene de sinistro; sbando da schiena contra de chisso autro ca vene da destro, e po' co na bella girata corro contra de chillo ca vene dereto, gridanno: ah, mulo cornuto! a trademento, ah? con inganni, ah?

PASQUINA

Or resta tu ingannato, che ti lascio ed entro in casa.

GIALAISE

Ah, cornutiella, fuìste, neh? No' te curare, ca se no autro iuorno m'incappi alle mano, no' me scapperai chiù. Ma bestiale ca songo io, d'annare accosì reserbato co le donne, le quale no' sanno resistere alli fatti, se bene resisteno alle parole. Doveva benire subbeto alli fatti e lasciare lo circueto di tante parole. Ma che pozzo fare se Amore m'have levato lo 'ntellietto, la memoria e la voluntade, de manera ca non songo chiù lo Signor Gialaise? Io conosco apertamente ca chesta non è pare mia, no' è tanto bella como l'ommo si pensa. Vedo che m'odia como la quartana; e no' pozzo fare ca no' li boglia bene; anzi, quanto chiù mi strazia, tanto chiù me sforza ad amarla. Ora provo ca no' <n>ce puo', mettere nè freno, nè legge a gli amanti. Ho perzo Cuosemo, ca m'era tanto fedele servidore; essa mi burla, io mi consumo, lasso l'essercizio della cavalleria, non penso ad autro, no' mancio, no' bevo, ed eccoti no iuorno na nuova, ca lo Signor Gialaise è muorto. E diceranno chilli Cavallieri: guai e mala Pasqua li vienga, po' ca volette amare Pasquina. Ma chi esce de là? No' vorria ca me trovasse co la spada sfoderata. Boglio ritirareme ped infoderarla, poi che pe la còlera no' mi è concesso di poterla 'nfoderare ccà così priesto.

Scena 8

MAGAGNA

Quanto è detto, è detto. Non accade a dirvi quel sfortunato che v'ama senza speranza di potere arrivare al desiderio suo: basta a sapere che Camillo è un tristo figliuolo, amando Lavinia contra la volontà vostra, e dandovi buone parole si consuma di robba e di vita a spendere e spandere a ruffiani e messaggeri. Di più ha ridotto Messer Alberto, padrigno della giovane, a contentarsi di dargliela per moglie, come intenderete da lui, perchè ha da venire con Messer Manilio, secondo vi ho detto. Importa mo che voi stiate salda, perchè come essi vengono io mi metterò dietro la gelosia, fingendo la voce vostra, e voi di dentro sentirete li tradimenti che vi fa Camillo.

CORNELIA

Ah, Camillo disleale, Camillo disamorevole, Camillo che t'ho riputato da figlio, che t'ho amato più che me stessa! E ora a mal grado mio, senza parlarmi niente, prendi per moglie Lavinia, non ti curando di me? Ed è vero, Magagna? Ed è vero che Camillo ama Lavinia? Ed è vero che Lavinia sarà moglie di Camillo?

MAGAGNA

Tre palmi più della verità! Ed ècci un'altra cosa che non si vergogna a dire: faccio più stima delle scarpe di Lavinia che di cento Cornelie. Che Cornelia? Adesso che è morto mio padre, terrò Cornelia sotto questi piedi.

CORNELIA

Ahimè! come sempre restiamo ingannate noi altre povere donne. Chi averebbe mai pensato che sotto le dolci parole di Camillo si nascondesse il veleno? Ah, ingrato! Ah, traditore, falso, perverso, iniquo!

MAGAGNA

Mi dispiace, padrona mia, di cotesta còlera che vi pigliate. Lasciamo andar Camillo, e fate come vi ho detto: accasatevi con Messer Manilio, o con quell'altro che arde e avampa per amor vostro; e quest'altro saria meglio e più al proposito mio.

CORNELIA

Chi è costui? dimmelo, acciò mi possa risolvere; dimmi dunque, chi è cotesto giovane?

MAGAGNA

Oh, potta del mondo! attac<c>ossi al giovane. Padrona mia, costui che io dico non è giovane nè vecchio, ma fate conto che sia dell'età mia.

CORNELIA

Come si dimanda?

MAGAGNA

Si confronta col nome mio.

CORNELIA

Dove abita?

MAGAGNA

Vicino a voi.

CORNELIA

È gentiluomo?

MAGAGNA

Signora, no.

CORNELIA

È ricco?

MAGAGNA

Non è tal cosa.

CORNELIA

È bello?

MAGAGNA

Questo non ha.

CORNELIA

È dotto?

MAGAGNA

Mica.

CORNELIA

È valoroso?

MAGAGNA

Questo li manca.

CORNELIA

Che può dunque avere di buono, se gli mancano tutte queste cose buone?

MAGAGNA

È valoroso al letto, dotto alla boccolica, bello magnatore, ricco di vane speranze, e gentiluomo che non sa fatigare. Ma poi che voi sete nobile, ricca, dotta, bella e valorosa, che ne volete fare di valoroso, dotto, bello, ricco e nobile, se non di uno che vi serva di dentro, come di fuora la trabacca?

CORNELIA

Parlate da par vostro. Ma è possibile che io non possa sapere chi è costui?

MAGAGNA

Mi vergogno a dirvelo. È uno che vi ha servito molt'anni, e voi meglio lo potresti rimunerare che accomodarlo di questa sorte.

CORNELIA

Tu sei pertinace; dimmi chi è.

MAGAGNA

Ego.

CORNELIA

Tu sei?

MAGAGNA

Signora no, io non sono, Signora mia. Ma quando fosse io, che faresti?

CORNELIA

Che farei? Dillo tu, che so che dirai che mi conver<r>ebbe fargli tagliare la faccia, la lingua e le braccia per essempio di tutti li sciagurati.

MAGAGNA

Signora no, non son io.

CORNELIA

Voglio in ogni modo saperlo. Chi è? Chi è?

MAGAGNA

Ohimè! Io...

CORNELIA

Tu sei?

MAGAGNA

Signora no, non son io. È un altro.

CORNELIA

Chi è quell'altro?

MAGAGNA

Io...

CORNELIA

Oh, vigliacco, infame, ti cavarò gli occhi! Tu hai tanto ardire? Ti pelarò la barba!

MAGAGNA

Signora no, non son io.

CORNELIA

Or prendi, in malora, questo pugno.

MAGAGNA

Non te lo dissi io che disegno di pover uomo non riesce? Non fate, di grazia, fermatevi, che non son io: ma quando dissi io, volevo dire: io non sto commodo adesso di dirvelo. Ma... oh, oh, ecco li vecchi. Andate sopra, che li dirò che voi sete pronta a dargli audienzia, e subito mi trovarò dietro la gelosia, come vi ho detto.

Scena 9

ALBERTO

Portatur leviter quod portat quisque libenter: dunque potete ancor voi, Messer Manilio, sopportare questo peso delle seconde nozze, se vediamo che così liberamente <lo> sopportano gli altri. Non mutate, di grazia, proposito, che se bene sapientis est mutare propositum, nondimeno s'intende sempre in melius. E perchè sarà meglio per voi di accettare questo partito della vedova, accettatelo liberamente, che oltre ne succederà la quiete dell'animo vostro, forse n'averete un figliuolo che allevandolo d'altro modo di quel che avete fatto di Flavio, sarà il contento e la consolazion vostra.

MANILIO

Eh, Messer Alberto mio, molte cose si fanno in un momento e in un impeto, le quali han bisogno di lungo tempo a considerarle. Il correr così in fretta a questo negozio non troppo mi piace.

ALBERTO

Non dite così, ma pensate che il cuor generoso ad ogni impresa s'avventura, quando si trova astretto dalla necessità: e le cose che per necessità promettiamo si devono essequire e mandare in effetto con la sola volontà.

MANILIO

Orsù, farò quanto voi volete. Ecco Magagna, accostiamoci.

MAGAGNA

A tempo sete giunti, già venivo a chiamarvi: ho parlato alla Signora, e si risolve di far questo matrimonio, ma vuol prima star sicura che voi, Messer Alberto, diate Lavinia a Camillo. Sete savio, non bisogna dirvi altro. Io vado di sopra, e farò che vi risponda da dentro la gelosia, la quale come sentirete toccare, subito potrete introdurre il ragionamento.

ALBERTO

Voi sete un uomo di molta importanzia: andate pure, e lasciate fare a noi. Per certo, Messer Manilio, questo è un buon principio, e io vi pronostico un fine felicissimo.

MANILIO

Faccia Iddio. Ma io sento la gelosia. Dite pur voi.

ALBERTO

Noi giunti insieme baciamo le mani di Vostra Signoria.

MAGAGNA

L'uno e l'altro sia il ben venuto.

ALBERTO

La virtù vostra, e la fama di voi, che risona per tutto, mi hanno spinto <a> desiderarvi ogni bene e a procurarvi nuovi servitori, poi che alla persona virtuosa e da bene è poco guiderdone esser Signora di tutto il mondo, sì come al vizioso sia poco castigo di torgli la vita.

MAGAGNA

Vi ringrazio, Signor mio.

MANILIO

(Questa voce mi par troppo rauca, Messer Alberto mio).

ALBERTO

(Sarà causata dal piangere e sospirare la morte del marito). E perchè il Signor Camillo, vostro figliastro, è stato e oggi più che mai sta intensamente innamorato di Lavinia, mia figliastra, di modo tale che arde e abbrugia per amor suo...

MAGAGNA

Senti, senti, padrona, senti, senti, padrona.

MANILIO

Che voce è quella?

MAGAGNA

Son Magagna che parlo mo. Sequitate, Signori.

ALBERTO

Io per smorzar la fiamma del suo fuoco, e perchè so farne servizio a Vostra Signoria, ho concluso già che egli sia marito di Lavinia...

MAGAGNA

Senti, senti.

ALBERTO

...certificandovi, Signora, che mi sono contentato di questo per aver occasione di proponervi, come già vi propongo, un partito molto al proposito per Vostra Signoria, che sarà un gentiluomo, amico mio di molti anni, persona virtuosa, ricca e nobile.

MAGAGNA

Chi è cotesto gentiluomo? Desidero saperlo, e vederlo ancora.

ALBERTO

Io l'ho menato meco, acciò il negozio non vada in lungo sotto il maneggio di mezzani, e acciò dalla presenzia sua possa Vostra Signoria discernere il vero. Ecco qua: Messer Manilio è quel gentiluomo che io dico. Costui sarà il vostro marito, costui sarà il vostro ristoro.

MAGAGNA

Mi piace certo, e vi ringrazio del pensiero particulare che Vostra Signoria ha tenuto di me.

ALBERTO

Non accade ringraziamento, che, come a suocero del vostro Camillo, sono obligato principalmente a farlo.

MAGAGNA

Sarà bene che passi alcun altro giorno: per la morte del Signor Alessandro, per onorare quella benedetta anima.

MANILIO

Per darvi segno certo che io penderò sempre dalla vostra volontà, mi contento d'ogni vostro commodo: e se mai la sorte mi concederà che ritrovi Flavio, mio unico figlio, farò che sia marito della Signora Ersilia, vostra figliuola, acciò possiamo vivere in una pace tranquilla, in una quiete perpetua.

MAGAGNA

Farò quanto Vostra Signoria commanda.

MANILIO

Dall'altra parte, in ricompensa della mia viva affezione, vi chiedo per grazia che alziate la gelosia, acciò vi veda un poco.

MAGAGNA

Non posso, perchè sto in lutto. Perdonatemi, domani potrebbe essere.

MANILIO

E fatelo adesso, per quanto amore portate al vostro futuro sposo! Oh, che siate la ben venuta! Già che mi avete fatto grazia in aprir la gelosia, fatemi ancor l'altra in levarvi cotesto lutto della testa, e discopritevi il volto. Voi crollate il capo? Pensate forse alla morte del Signor Alessandro? Voi dite di sì, e perchè? Contentatevi della volontà di Dio. Voi pur crollate il capo. Che cosa avete? Perchè restringete le spalle? Scopritevi, di grazia, e dite il bisogno vostro, avendo già chi può consolarvi. Perchè dite di no? Non mi fate questo torto, lasciatevi vedere. Perchè sospirate e vi scostate, per amor mio? Perchè non parlate?

MAGAGNA

È levata corte, non si può dar più audienzia.

MANILIO

Bella cosa, per Dio! Dunque sei tu, Magagna.

MAGAGNA

Son io troppo, perchè la padrona mi disse: “cuopri la gelosia, e di' a quei signori che mi abbino per iscusata, non convenendo così presto parlare dalla finestra”; ma dimani darà la risoluzione di quanto si ha da fare. Andate con Dio, e lasciate il pensiero a me. Vi bacio le mani, e aspettatemi a piazza Savella.

MANILIO

Che vi par, Messer Alberto?

ALBERTO

E che mi pare? Parti che queste cose si faccino a un tratto? Vi bisogna pur tempo, ben che il tempo insino a domani è breve, e saremo risoluti del tutto.

MANILIO

Per dirla, Messer Alberto, non vorrei comprar il gatto nel sacco; voglio prima vederla, e rivederla.

ALBERTO

State sopra di me, che io ho inteso sempre dire la moglie di questo Alessandro esser bellissima e ricca. Ma però la vedremo e rivedremo prima che si concluda niente. Andiam di qua ad aspettar Magagna dove egli disse, chè dulcior est fructus post multa pericula ductus. Notat glosa in l. «non moriturus», de contrahendis et committendis stipulationibus.

Scena 10

CAMILLO

La vera amicizia è quella dove li corpi sono diversi e la volontà non è più d'una. E poi che noi tirati dalla nostra mala sorte, confidandoci insieme, siamo uniti talmente che di tre persone si è fatta una sola volontà, quello che ho chiamato insin adesso trista fortuna, spero chiamarla buona per l'avenire.

FLAMINIO

Non è dubio, Signor Camillo, che l'amicizia consiste nell'equalità degli animi: e già che noi egualmente ci siamo confermati, dovemo preporre quest'amicizia nostra a tutte l'altre cose. Sì come in effetto si deve fare, e noi abbiamo già fatto: poi che io liberamente concorro a dar Lavinia, mia sorella, a Flavio; e voi concorrete al pari a darmi la Signora Ersilia; e uniti poi spenderemo la vita, non che l'artificio di parole, per farvi ottenere la Signora Cornelia, già che non è vostra matrigna.

FLAMINIO

Veramente l'amico è un nome desiderabile, un rifugio d'infelice, un ricevitore di segreti, una quiete indeficiente, una felicità perpetua. Anzi il sole, l'acqua e il fuoco non è più utile a gli uomini, quanto è utile il vero amico. L'esperienzia si vede oggi in persona mia, che senza darvi cosa alcuna mi avete offerto tutto quel bene che potesse aver mai in questo mondo.

CAMILLO

E in questo si conosce il vero amico, quando senza disegno giova all'amico suo; perchè incostante e perfido è colui che affetta l'amicizia solamente per suo commodo. Orsù, attendiamo alla nostra impresa. Già che siamo vestiti da schiavi, con queste barbe posticce, non per altro eccetto che da noi stessi, con bell'artificio facciamo prova di persuadere a queste Signore donne che ci siano amorevoli, stante che esse solo s'oppongono al voler nostro. Accostiamoci, che se io non erro mi par veder la Signora Lavinia in finestra. Ed è pur essa: state saldo, Signor Flavio.

FLAMINIO

In vederla mi trema il cuore, suda il volto e aggiaccia il sangue. Non mi fido di parlare; parlate voi, Signor Camillo.

LAVINIA

Mi risolvo in ogni modo di obedire la Signora madre. Ma che vogliono questi schiavi che vengono verso di me? Che volete? Chi sete voi?

CAMILLO

Siamo tre poveri gioveni lungo tempo schiavi di Turchi e di corto liberati. Siamo venuti da Vostra Signoria per dirle due parole: s'ella si degnarà d'ascoltarle, noi faremo l'opra di carità chiestaci da un altro povero schiavo, ed ella si liberarà dal peccato, nel quale se persisterà la vedremo or ora trabboccare nell'inferno.

LAVINIA

Questo è un gran pr<o>emio! Dite pure.

CAMILLO

Un gentiluomo di questa città, ritrovandosi schiavo con noi, ne raccontò un giorno che avendo lungo tempo amato la grazia e bellezza vostra con quel vivo e sincero amore che si possa amar già mai, sperando di ricever guiderdone della sua lunga servitù, fu da voi discacciato; in tanto che dandosi in preda alla disperazione si partì, lasciando il padre vecchio e solo, e fu per disgrazia preso da' Turchi. Noi fummo dopoi liberati ed egli restò; ma dandoci li segni e contrasegni, trovammo che voi sete quella per cui egli pate la catena e li ceppi; pregandoci che vi dovessimo pregare, come già tutti tre con le braccia aperte e con le ginocchia in terra vi preghiamo, che abbiate compassione di quel misero e infelice, e non comportate che, amandovi, si muora in tante pene. Perchè se gli promettete la grazia vostra, faremo che il padre lo ricatti, e quando non lo facciate di ciò degno, si contenta più tosto morire sotto quelle catene. Pietà!

FLAMINIO

Pietà, pietà!

FLAMINIO

Compassione, pietà!

LAVINIA

Levatevi su e ditemi chi è cotesto giovane.

CAMILLO

Il misero e infelice Flavio, che...

LAVINIA

Non passate più innanzi, non accade a dir altro.

CAMILLO

E perchè?

LAVINIA

Perchè giungesti tardi, avendo rivolto l'animo mio in amar un gentiluomo chiamato Camillo, meritando così la viva affezione che egli mi ha portato e porta, e anco perchè così vuole la Signora madre, la quale è risoluta maritarmi a lui.

FLAMINIO

Camillo? Ah, Camillo!

FLAMINIO

Camillo? Ah, Camillo!

CAMILLO

Camillo non l'ama, statene sicuri.

LAVINIA

Camillo mi ama, e io l'amo: non accade darne conto a voi! Andate via, e scrivete a Flavio che se vuol morire, muora.

FLAMINIO

Ah, Camillo! Questo tradimento, Camillo? Ah! Lavinia, sei tanto crudele che vuoi che io muora, e serri la finestra per non sentirmi nominare? Oh! dolente Flavio, tradito dall'amico e disprezzato da chi ami!

CAMILLO

Non vi cada questo nell'animo: confidate in me e credetemi, che io non l'amo più, nè voglio amarla, nè so nulla di quanto ha detto. Non vedete che è sua imaginazione? Non vedete che sono parole dettate dall'odio grande che vi porta, avendo conchiuso che se Flavio vuol morire, muora? Nè vi disperate per questo: trattaremo di nuovo, e ci vogliamo al fine discoprire che siamo noi, che vedendoci e sentendoci mutarà senz'altro il pensiero.

FLAMINIO

Dice bene il Signor Camillo. Al primo colpo non cade l'arbore. Ma fermat<ev>i... Oh, buona sorte! Vedo uscir Cornelia fuor di casa. Accostiamoci.

CAMILLO

Amore fa l'istesso effetto in me che ha fatto nel Signor Flavio. Parlate voi, Signor Flaminio.

Scena 11

CORNELIA

Io lo starò qui fuori aspettando: non voglio che nè anco salisca in casa, voglio discacciarlo, me ne voglio mangiare il cuore. Infame, che mai fosti figlio di Alessandro! traditore, che meriti ogni castigo!

ERSILIA

Eh! Signora madre, non correte in furia, raffrenate la collera: chi sa se sarà vero, ved<r>emo d'informarci meglio. Salite ad alto, non conviene a star su la porta. Ma chi sono quelli?

FLAMINIO

O gionta felice! Vi sta ancora la Signora Ersilia. Ohimè, ch'io tremo e sudo. Flavio, parlate per me, dopo che io averò parlato per Camillo.

CORNELIA

Che cercate, gentiluomini?

FLAMINIO

Cerchiamo Camillo.

CORNELIA

Chi Camillo?

FLAMINIO

Camillo nostro fratello.

CORNELIA

E dove sta?

FLAMINIO

Sta in cotesta casa

CORNELIA

Che cosa avete a far con lui?

FLAMINIO

Vi diremo. Noi siamo Ragus<e>i ed eravamo quattro fratelli, Camillo e noi. Accad<d>e che fummo tutti presi da' Turchi, e Camillo per buona sorte fu ricattato dal Signor Alessandro vostro marito, il quale lo chiamò e reputò per figlio suo proprio. Ha voluto anco la buona sorte che noi ancora siamo stati liberati, e venuti in Genova trovammo il Signor Alessandro morto; e ci fu riferito che Camillo si trovava qui in Roma, dove gionti ne siamo incontrati con lui; e dopo li cari abbracciamenti ne mostrò la casa, commettendoci che dovessimo venire a trovarlo.

CORNELIA

Che favola è questa?

FLAMINIO

È il vero certissimo. Anzi, Camillo ci ha confidato un secreto, che quando fossimo sicuri di non offender l'orecchie vostre ci risolverìamo a dirlo.

CORNELIA

Io vo' pure sentire il fine di questa comedia! Dite liberamente.

FLAMINIO

Egli si ritrova così invaghito della bellezza vostra, che se ben prima e poi la morte del Signor Alessandro, e al presente ancora, il petto suo ha arso e arde qual fornace ardentissima, nondimeno non ha aùto animo di scoprirsi per la riverenza che portava e per l'obligo grande che aveva ad Alessandro. Ma vedendo al fine che voi avete animo di casarvi, temendo pur di scoprirsi, manda per mezzo nostro a farvelo intendere, se vi degnarete accettarlo per marito, anzi per servitore, anzi per schiavo. Che dite, Signora? Fatelo, fatelo! tanto più che Camillo è ben nato ed è giovane di grandissima aspettazione.

CORNELIA

L'ingratitudine delli benefizii riceùti rende inabile l'uomo ingrato a riceverne degli altri. Io amava Camillo al paro della mia vita; ma poichè si è mostrato fraudolente e ingrato, l'odio a morte, e mi è caro sapere al presente che non è figlio di Alessandro, per aver tanto più occasione di scacciarlo di casa, come merita. Diteli che pigli altra strada, e farà meglio venirsene con esso voi nella patria vostra.

CAMILLO

Ohimè? Che ha fatto Camillo? Camillo fu sempre grato, fu sempre fedele.

CORNELIA

Non dite il vero, che fu ed è un traditore: fu perchè, fingendo con me dell'amorevole, ha amato Lavinia; e perchè a mal grado mio ha preso per moglie Lavinia, non vergognandosi di dire: Che Cornelia? Che Cornelia? Stimo più la scarpa di Lavinia che cento Cornelie.

FLAMINIO

Ohimè!

FLAMINIO

Ohimè!

CAMILLO

Ohimè! Che doppia disgrazia è questa di Camillo, discacciato a torto e chiamato falsamente traditore!

CORNELIA

Sia come si voglia, io delibero maritarmi con Messer Manilio; il quale, ritrovandosi Flavio suo figliuolo, come si spera, lo darà ad Ersilia mia; e come il padregno di Lavinia sa che Camillo non è mio figliastro, guastarà il matrimonio, e così Camillo potrà tornare alla catena come merita.

CAMILLO

Ohimè! Che son ferito con l'arme mie stesse.

FLAMINIO

Aiuto, Flavio, soccorri, che io non posso più resistere.

FLAMINIO

E che posso fare, se sono aggiacciato? Ma non per questo voglio mancare al debito mio. Sappi, Signora, che questo Flavio è morto in Genova e noi portiamo la nova al padre. Cessando dunque il disegno fatto per voi di darlo a vostra figlia, vi vogliam dire un'altra cosa.

CORNELIA

Dite quel che volete, pur che non mi ragionate più di Camillo.

FLAMINIO

Non ragionaremo più di Camillo, ma di un altro povero giovane che con Camillo abbiamo ritrovato, il quale si domanda Flaminio, che amando con tutto il cuore la Signora Ersilia vostra figlia, è stato da lei trattato male. Laonde come disperato era risoluto di uccidersi, se noi non l'avessimo impedito. Preghiamo dunque Vostra Signoria, e in virtù di amore scongiuriamo la Signora Ersilia, che vi muova a pietà il caso del vostro fidelissimo Flaminio: ve ne supplichiamo con le lagrime su gli occhi, sanate un che si muore, soccorrete un che si strugge, accettate un per marito che vi sarà servo e schiavo in perpetuo.

ERSILIA

Dite a Flaminio che s'uccida a sua posta, che poco o nulla mi si dà della sua morte. Ma dall'altra parte, Signora madre, poi che avete preso marito, poichè Flavio è morto, poichè Camillo è l'anima mia, l'amore e la vita mia, perdonateli di grazia e comportate che sia mio marito: che se bene sin ora ho celato l'amor grande che li porto, voglio adesso estinguere il mio fuoco e ricompensare l'amore che similmente Camillo mi ha mostrato sempre. Fatelo, cara madre, fatelo, madre mia carissima.

CORNELIA

Queste erano le lagrime? Questa era la compassione che avevi di Camillo? Per questo mi persuadevi? Per questo mi trattenevi? Tira via, fraschetta, lèvamiti dinanzi, non mi ragionar più di quel traditore. E voi, perchè v'odio come fratelli di Camillo, andate a mal viaggio, e dite a Camillo che a questa casa non osi accostarsici più.

FLAMINIO

Ah Camillo, Camillo! Così si fa, Camillo? Dunque Ersilia è pur tua? Dunque Ersilia per te non m'ama?

FLAMINIO

Per te Lavinia mi fugge, per te Lavinia m'odia? Parla, traditore, disturbator di nostra pace, parla! che dici?

CAMILLO

E che volete che io dica? Non vedete che tutte le stelle mi son congiurate contra? Uccidetemi, fatemi uscir una volta per sempre da tante pene, da tanti tormenti. Io disamato da chi m'amava, e per maggior pena amato da chi non voglio amare, e per maggior tormento riputato traditore da quelli che desidero servire, pensando di farmi bene ho fatto la mia rovina manifesta: e così mi trovo povero, discacciato, senza Cornelia, senza Ersilia, senza Lavinia e senza amici. O Fortuna, Fortuna, contra di te grido, contra di te inaspro. Saziati pure, saziati! Ohimè, ohimè ch'io moro!

FLAMINIO

Cade morto? Ohimè! che faremo? A lasciarlo non conviene, e fermandosi la corte ci potrebbe cogliere così travestiti col morto appresso, non senza pericolo di nostra vita. Sento gente per strada, fuggiamo.

FLAMINIO

Via, fuggiamo.

Scena 12

BIANCHETTA

Il vento non è così veloce come fu veloce Flaminio, che in un baleno disparve, e ben che ho cerco e ricerco per tutto, non si ritrova, nè trovo persona che l'abbia veduto. Ma ecco <un> corpo disteso in terra. Chi sarà costui? È schiavo. Morto non è, perchè non vi è sangue, nè ferita. Mi par che respiri. Oh, quel giovane! Si sarà imbriacato per certo. Ehlà! ehlà! Vuo' tirarli la barba, acciò si risenta più volontieri. Ohimè, la barba mi è venuta alle mani; ma vedo che è posticcia. Costui è Camillo! Egli è certissimo. Oh, Camillo, che strano accidente è questo?

CAMILLO

Ed è pur vero? Ecco, apriche piagge, me ne pento se io t'uccido, sì. Non correre, olà. L'erbe fioriscono su l'onde, e tirando il carro solare non giunge la nave a tempo. Oh, quante stelle per le campagne! Soldati, non son io, no. Vien meco, tu che fuggi, passa, torna, tira, che io non ti lascio.

BIANCHETTA

Ohimè, che fai? Dove mi meni? Non mi stracciare, lasciami, lasciami!

CAMILLO

Io vi sono, perchè saltando adesso i monti... Mirate la nave che bolle, e la luna s'uccide, il fonte il beve intorno intorno, e le lumache corrono. Che strani paesi! Ah, cruda, ah, cruda!

BIANCHETTA

Questo povero giovane smania, nè io so donde proceda. Non senti? Che hai, Camillo?

CAMILLO

Sì, sì, ne andremo insieme, e gli uomini e le donne e le donne e gli uomini ridono tutti. Ah, ah, ah! Esso voleva menarmi e io gionsi all'inferno. Non sete all'ordine ancora? L'altro corse e io le diedi un schiaffo.

BIANCHETTA

Ohimè, non mi dare. Mal per me ci venni qui oggi. Lasciami, di grazia.

CAMILLO

Il padre pianse, si fabricò il palazzo, la tempesta fu breve e io non doveva farla, era bene a pregare il tempo. Ohimè! Dove ne vai? Io ti darò un calzo.

BIANCHETTA

Oh, sventurata Bianchetta, che cosa è questa? Io son morta, dove mi tiri? Scappai pure! Santo Egidio, aiutami!

CAMILLO

Corri, corri, arriva, arriva, ti seguo, sì. Ehilà, che volete da me? Io mi vi rendo, posate l'arme. Ma dove sei, Camillo? Chi t'ha condotto qui? Dove sono gli amici? Ognun ti lascia. Che posso fare, abbandonato e solo?

Atto III

Scena 1

LEONORA

Mentre l'animo sta in duolo, or qua or là si rivolge e non sa dove appigliarsi, quando la ragion lo tira e all'una e all'altra parte, sì come oggi io provo. Misera Leonora! Infelice Brianda! Che vivendo Alessandro, secondo mi certifica l'astrologo, e sapendosi il luogo dove egli sta, la ragion vuole che io segua il primo e lasci l'ultimo, e di Leonora diventi Brianda. Ma come farò con Alberto, se sotto la mia fede si legò nella mia fede? Non è giusto che egli resti ingannato. L'amor del primo fu grande, che per me cadde a morte; l'amor dell'ultimo è pur grande, che non da moglie, ma da sua padrona mi tratta. A doi non si può servire: e servendosi all'uno, si manca all'altro. Che debbo, che posso, che mi convien di fare? Mancar a tutti non debbo; servir a tutti non posso; ingannar tutti non mi conviene. Se io repiglio Alessandro, come restarà Alberto? Se io resto con Alberto, che farà Alessandro? E se non faccio nè l'uno nè l'altro, come farò io? Deh! Che intrigo grande è questo! Soccorrimi, aiutami, Dio, che sperando in te, verrà da te l'aiuto e il soccorso mio. Adesso che ho tempo vuo' gir dalla Signora Quintilia e ritornar subito, acciò l'astrologo mi trovi in casa. Ma Pasquina non esce ancora. Io l'ho destata già, che dormiva qui a basso, e non viene. Pasquina?

PASQUINA

Signora.

LEONORA

Che fai? Perchè tardi tanto?

PASQUINA

Adesso, adesso, che mettevo l'aco al buco del filo.

LEONORA

Imbriaca che sei. Dall'altra parte quando considero come questo astrologo possa sapere le cose così per minuto, mi vien sospetto che costui non sia un di quei assassini che uccisero il sfortunato Alessandro. Alla fè, come egli torna starò ben all'erta, sì. Ancora dormi, Pasquina?

PASQUINA

Non dormo, ma tenevo serrati gli occhi, che viddi...

LEONORA

Che cosa vedesti?

PASQUINA

Viddi un animaletto piccinino piccinino, e così piccinino entrò...

LEONORA

E dove entrò? Tu non rispondi? Pasquina?

PASQUINA

Signora.

LEONORA

Dubito che costei ancora sarà sul letto. Pasquina?

PASQUINA

Signora.

LEONORA

Vien fuora, dico, non ti vergogni a farmi star tanto in strada?

PASQUINA

O Dio, quel animaletto era un pulce che entrò dentro lo, lo...

LEONORA

Lo malanno che Dio ti dia: se io mi faccio dentro, ti batterò le pulci da senno. Pasquina?

PASQUINA

Signora.

LEONORA

E pur Signora! Che fai? Perchè non esci?

PASQUINA

Dentro lo... dove s'appiccano li pendenti.

LEONORA

Che sì che ti romperò la testa, sonnacchiosa che sei, spìcciati, presto.

PASQUINA

Eccomi: che commandate?

LEONORA

Alla fè, che ti farò esser più solecita da qui innanzi. Averti bene che voglio che senti e salti, quando ti chiamo per mio servigio.

PASQUINA

Così appunto, Signora, sì.

LEONORA

Tu par che dormi ancora: risvegliati, risvegliati, fraschetta.

PASQUINA

Questo sonno è più fastidioso delle mosche, che quanto più lo scaccio, più ritorna.

LEONORA

O<r>sù, fatti in qua, sostiemmi la mano: da quell'altro lato, sempliciotta. Non t'ho detto io mille volte che la serva deve andar a man sinistra alla padrona?

PASQUINA

E che importa, più a questa banda che a quell'altra? In ogni modo si conosce nel resto, che voi sete la padrona e io la serva.

LEONORA

Importa, che alla creanza della serva si conosce quella della padrona. Andiamo, che al ritorno poi ti dirò per minuto che la serva deve esser anco discreta per strada, solecita in casa, obediente, che parli poco e opri assai; e sopra tutto che sia secreta, e non riporti quel che vede e quel che sente.

PASQUINA

Oh, oh, perchè vi piacque che vi riportasse i secreti di Lavinia? Mi avedo che voi altre Signore sete come i pignattai, che mettete il manico dove voi volete.

LEONORA

Io non parlo, figlia, delle cose che importano all'onore: perchè in questo caso la serva è obligata a riferire quanto vede e quanto sente; ma parlo dell'altre cose che non toccano il vivo.

PASQUINA

Aspetta. Quando io vi dissi che Margarita faceva l'amore con il padrone, e il padrone con lei, vi piacque pur di saperlo, e non importava all'onor vostro.

LEONORA

Importava all'anima, che importava più, per il peccato dell'adulterio che commetteva l'uno e l'altro.

PASQUINA

Per la gelosia, devi dire, ed era meglio.

LEONORA

Per la gelosia, su! Parti che convenga che una serva facci l'amore con il padrone? Non vi è peggio morbo in una casa di quello, e tutte le donne devono provedere, come io providdi, a smorbar queste pesti, cacciandole via; perchè a poco a poco li mariti, allettati da loro, fanno star mal contente le povere mogli, e di serve divengono padrone, che non li puoi commandare; e mettono tante scisme e tanti disturbi tra mariti e mogli, che sono causa d'una vita inquietissima; e io ne so parecchie e parecchie donne che vivono mal contente per questo.

PASQUINA

Al manco voi tenete ragione, che sete bella. Ma chi tien la moglie brutta par che sia scusato, quando si provede.

LEONORA

Se la moglie è brutta, è sempre più bella della puttana; poi che la bellezza consiste nell'animo e non nel corpo, figlia mia. Entriamo in casa della Signora Quintilia, già che parlando parlando vi siamo gionte. Batti l'uscio.

PASQUINA

L'uscio è aperto: entriamo.

Scena 2

LAVINIA

Vanne pur, madre crudelissima, che così chiamar ti voglio, poi che godi delle mie pene, e opponendoti al giusto mio desiderio procuri la morte dell'unica tua figlia. Oh, tre e quattro volte misera che io sono! Amo, amar voglio, e amando desidero l'amor di colui che non si degna, ma si sdegna d'amarmi. Vendetta certo di Flavio, che amandomi con puro affetto, ho dispreggiato l'amor suo, e fui causa della disperazione e della morte, forse, di quel giovane infelice. Ma infelice son io più d'ogni altra, perchè, volendo, non posso morire, e morendo nelle speranze, vivo nelli tormenti: seguo chi mi fugge, e fuggo chi mi segue; vedo il meglio, m'appiglio al peggio, posso salire, e procuro il mio precipizio. Ahi dura legge di amore, contrarii effetti di sdegno, diversità d'odio e novi modi di gelosia! Questi, questi sono quelli che mi combattono insieme: Amore, Sdegno, Odio e Gelosia! Amor eccita il fuoco e s'allontana, Sdegno assale e fugge, Odio offende chi non deve, e Gelosia punge dove non duole. Non duole a Pasquina che il crudelaccio si sia ingelosito di lei! L'Odio non deve offender me, che l'amo. Sdegno, se ben permette che lo sdegni, fugge in un tratto e io ritorno ad amarlo. E in fine Amor, rappresentandomi l'oggetto così caro a gli occhi miei, allontanandosi da lui fa che l'ingrato m'odia. Dolente me! Che posso, che debbo fare, sola, senza anima, senza aiuto, senza consiglio, contro questi inimici contra di me potenti e contra gli altri deboli? M'indebolisce il dolore, non posso più dire.

Scena 3

GIALAISE

Io saccio moto bene, Signor astrologo mio, ca Amore pretende de vendecarese contra de me pecchè mi chiamo Gialaise, avenno in odio chella consonanza ise, pe respietto d'Anchise, ca fece la scarsiel<l>a alla matre, e pe chisso se portò male co Cefise, Narcise, Parise, Silladise, Ciparise, Malagise, Marfise. Ma co lo Signore Gialaise no' farà nente, ca io te lo boglio scuzzoniare di buona manera, alla fè.

ALESSANDRO

Se ben comprendo alla vostra fisonomia che avete un cuor di leone, e sete per riuscire d'ogni impresa, per difficile che fosse; nondimeno, considerando la potenza d'Amore, vi pronostico che fra pochi giorni vi sottometterete al suo imperio, come fece Cesare, Scipione e Pompeo e gli altri che furno pur nostri Romani.

GIALAISE

Ma io no' songo delli Romani, ma se bene delli Napoletani, Cavalieri diverzi assai da chilli Cavalieri antichi, ca annavano alla buona, e perzò disse l'Ariosto: «Oh gran bontà de' cavalieri antichi!». Ma noi autri ca sapimo e vedimo co l'essere, co la forza e co lo 'ngegno, no' la cedemmo ad Apollo, Marte, nè allo altitonante Iove.

ALESSANDRO

L'importanza sta che Amore non combatte col sapere, potere e vedere, ma adopra arme contrarie a queste, come sono pazzia, odio e vanità; che non essendo egli altro che furore nelli petti nostri, inimico delle fatiche, amico delle cose vane, con le quali arme incende le vene, occupa le viscere e consuma il cuore.

GIALAISE

È troppo lo vero, per l'àrema delli muorti miei; e tu sì no bravo ommo, avennome 'nnovinato quanto tiengo allo stomaco, ca ped amore di Pasquina si sface dintro la zulfatara di Puzzuolo.

ALESSANDRO

E quel che è peggio, ti fa amar chi t'odia, e odiar chi t'ama.

GIALAISE

Dà ccà la mano, ca te boglio essere scavottolo 'ncatenatissimo, poi che me tocchi l'osso pic<c>irillo, e me dai allo vivo. Ha da sapere Vostra Signoria ca io amo Pasquina, e issa m'odia; e fuggo poi Lavinia sua padrona, ca m'ama sprofondatamente.

ALESSANDRO

Voi dite Lavinia, figlia di Leonora, che abita in questa casa?

GIALAISE

A punto. Como diavolo sai chesso?

ALESSANDRO

Professionis gratia. E ti dirò un'altra cosa, che questa Lavinia è amata da altri, ed ella li odia a morte.

GIALAISE

Chesso è lo vero, ca secondo aggio 'nteso poco 'nante da issa proprio, nella strata, e aveva 'nteso chiù prima da Cuosemo, servitore meo, no cierto Flavio figlio di Manilio l'amava quanto se poteva amare, e issa non volendolo amare, se pose in desperazione e se n'andò alla guerra. Appriesso dopo l'ama no cierto Camillo, e issa pe lo contrario no' l'ama. Ben che mo 'ntienno ca singa tornato Flavio, e hanno fatto na cierta 'mbroglia, e Camillo e Flaminio.

LEANDRO

Sentite, padrone! Ecco che Camillo ama altra donna che Cornelia: a poco a poco si dichiararà il vero.

ALESSANDRO

Sì, ma tu non intendi quella cosa d'imbroglia: lascia far a me, che ne cavarò il costrutto.

GIALAISE

De ca cosa ragionate insieme secretamente? Lo boglio intennere, alla fè.

ALESSANDRO

Io parlo, che voi dite Camillo figlio di Alessandro genovese, il quale già è morto.

GIALAISE

Fusse muorto diece anni a reto! Ca sìngano mardetti quanti genovesi si trovano!

ALESSANDRO

E perchè tanto male? Che cosa vi ha fatto?

GIALAISE

Se isso no' veniva ccà, Camillo no' <n>ce saria benuto, e Pasquina non terria la parte sua, ca pe consequenzia me dà sospietto ca se amano 'nsieme, e io piglio palic<c>hi.

ALESSANDRO

Di sorte che il padre ha da portar l'iniquità del figlio? Ah! non è giusto, Signor Giovan Luigi.

GIALAISE

Ora lassamo no poco stare chissi cunti, ca io no' ped autro songo benuto a trovarete, avenno 'ntiso la fama tua, eccietto pe sapere ca fine averà l'amore mio co Pasquina, e sa ti fidi di faremela disonestare.

ALESSANDRO

Adoprarò tutta l'arte, metterò ogni cura che restiate sodisfatto; ma vorrei prima intendere l'imbroglia che dite aver machinata Flavio, Camillo e Flaminio.

GIALAISE

Se voi sapite on<n>e ncosa, como no' sapite chess'autra ancora?

ALESSANDRO

Io so che Camillo è innamorato di Cornelia.

GIALAISE

È lo vero, pe vita mia. Aspetta, aspetta, ca mo me n'allecordo.

LEANDRO

Or sentiamo, che altro intoppo sarà questo.

GIALAISE

Stannome a sguazzare co na Signora romana delle principalissime, spiai ca 'n cierte case rotte, <l>loco vicino, si travestivano da schiavi Camillo, Flavio e Flaminio. Camillo diceva ca essenno muorto Alessandro, quale veramente no' l'era padre, se boliva sfocare la fantasia co Cornelia, Flaminio co n'autra giovane, ch'have lo nome 'n lilia.

ALESSANDRO

Ersilia volete dir voi.

GIALAISE

Sì, sì, Ersilia. Ora mirate ca fa la virtute a<s>sapere on<n>e ncosa! E Flavio co Lavinia. Chesso è chillo ca intesi. Lo muodo non me curai d'intennerlo; pecchè 'n chello medesimo 'stante venne la detta Signora, e bracciannome dereto, e scoppannome docemente 'ncoppa lo lietto, le feci compotare Luna quater latuit.

ALESSANDRO

Ahimè, ahimè!

LEANDRO

Che fate, padrone? Venite in qua, di grazia, respirate. Che cosa avete? Dissimulate, non vi scoprite; volete credere alla dapocagine di costui, che secondo voi l'imboccate le parole così aggiunge e rigiunge a suo modo?

ALESSANDRO

Servo traditore, moglie infidele... Lasciatemi!

LEANDRO

Eh! Fermate, di grazia, dove volete andare? Che fede si può prestare alle parole di costui? Che se Camillo e Cornelia s'amassero, come voi presupponete, stando essi insieme, non averebbero bisogno di travestirsi, nè d'artificio, nè d'imbroglia, come dice questo vantatore.

ALESSANDRO

Ohimè, Leandro, che io me lo vedo come in un specchio.

GIALAISE

Ca dite di specchio? Lo boglio 'ntennere, alla fè.

ALESSANDRO

Diciamo che dentro un specchio vi faremo venire la vostra Pasquina più bella che mai.

GIALAISE

Aspetta, aspetta. Ecco ccà lo spiecchio, ca l'aggio intro la saccoc<c>ia: no' te tricare chiù, pe vita toia, fammela benire chella cornutiella; e poi se hai bisuogno di quarche favore a Napole, appriesso chilli reggienti, presidienti, e lo Vicerè, lascia far a me, ca te siervo alla coscia.

Scena 4

PASQUINA

Bisogna aver cento braccia, dugento mani e quattro cento piedi per servir la padrona. Mi manda a vedere se venisse in casa lo strofilo o il strongolo, non me ricordo bene. Ma ohimè, ecco Gialaise! Vuo' passar pian piano per dietro le spal<l>e, e fermarmi in quel cantone sin che lui si parte.

GIALAISE

Signor astrologo, io te bedo moto cogitabondo: ca dici? No' darai chesso gusto a chi prova di continuo l'amoroso disgusto?

LEANDRO

Averti, padrone, che quella figliuola che è passata di là credo certo sia Pasquina: dissimula, fingi, e vedi di dar la pastura a questo bufalo vestito di seta.

ALESSANDRO

Lasciane a me il pensiero. Or tien così lo specchio, Signor Giovan Luigi, e mira bene chi è colei che sta dentro.

GIALAISE

Oh, meracolo grandissimo! oh, vertute terribile! Chesta è Pasquina: è puro issa, Pasquina! oh, Pasquina! No' bole dicere autro, eccietto ca me passi ccà na spina. Abbracciami, baciami, vita mia, baciami, baciami.

ALESSANDRO

State saldo, Signor Giovan Luigi, guardatevi di voltarvi indietro, perchè si disfarebbe l'incanto e Pasquina ci disparrebbe per sempre.

GIALAISE

Sì, se io fosse pacchiano come fu Orfeo, ca pe voltarese indietro perdè la sua Eurìdice, o Euridìce: non m'allecordo mo sa bole essere breve o longa; ma starò contemplando sempre chesso spiecchio, dove s'inserra quanta bellezza ha sotto e sopra l'uno e l'autro cuorno del Tauro, e la fanciulla di Titone.

LEANDRO

Oh, che solenne bestione!

GIALAISE

Chesto è n'autro diavolo. Pasquina ride, e pare che se burle de me.

ALESSANDRO

Bonum signum: è segno di mitigazione, è segno di pace.

GIALAISE

O gioia mia bella, famme no segno di pace, e no' di guerra. Io me t'arrenno, me te do pe vinto, accostate, parlame, basciami, balsamo aromatizante. Ora chessa sì che è bella! Me fa le fiche: a che proposito?

ALESSANDRO

Dinota che appresso le frondi ti darà li frutti, preziosissimi.

GIALAISE

S'abassa mo, e piglia na preta da terra.

ALESSANDRO

Significa volersi inchinare alle tue voglie, e romper la durezza del suo cuore.

GIALAISE

Alza pe dareme, e poi se retira.

ALESSANDRO

Dimostra esserti stata crudele, e ora pentita si ritira.

GIALAISE

Adesso torna a ridere, e pare ca co le cinabrissime labra me dica: bestia, bestia.

ALESSANDRO

Eh, non Signore, se ben dice: ben mio, sta, ben mio, sta.

GIALAISE

Oh, bene mio, sto! E se tu me prometti de stare, io staraggio tanto quanto piace a chessa faccia d'imperatrice. Oh, Pasquina, passi la quintidà, nardo spicato.

LEANDRO

O modello di tutte le sciocchezze e vanità del mondo!

GIALAISE

Aspetta no poco: sbatte mo lo pugno sopra la chianta della mano, e par che dica: schiatta, schiatta!

ALESSANDRO

Pesta li duri e crudelissimi suoi pensieri per farli molli e pietosi.

GIALAISE

«Pietà, Signora mia, pietà, Signora, - Dell'arma ca pe te s'affligge e accora»: e di' ca lo Petrarca faccia li vierzi accusì pronti come li faccio io.

LEANDRO

E di' che si trovi un altro sciocco come sei tu.

GIALAISE

Adesso auza la gamba per dareme na ponta piede.

ALESSANDRO

Denota che la bellezza sua sarà sollevata, accostandosi a voi.

GIALAISE

Chesso ce lo prometto cierto, che la faraggio allo manco nobile de cinco quarte. O Pasquina, passi a lo quinto napoletano Sieggio!

LEANDRO

Oh, che passato possi essere per le picche!

GIALAISE

Mira che atto è chillo; se congiunge le mani alla banda destra, e inchinando la testa alla sinistra pare ca se maravigli de me.

ALESSANDRO

Dice che tosto vi giungerete insieme, e si maraviglia come Amore dolcemente l'aprirà il lato manco per voi.

GIALAISE

Così proprio fece allo Petrarca: «Amor con la man destra il lato manco - M'aperse». O vita mia bellina, zuccarina, dolcina, mellina, mannina, Pasquina!

LEANDRO

O guffone, bestione, cicalone, asinone, ignorantone!

GIALAISE

Ora chisso sì, ca è segno de crudele; m'ha dato no punio alle spalle, e sbattennose le mani vicino all'orecchie se n'è sfrattata vassa vassa dentro la casa, lassannome scuro chiù ca la pece negra.

LEANDRO

Bellissima proprietà, del certo.

ALESSANDRO

Ferma, Signor Giovan Luigi! Oh, che mirabil segreto: col dar del pugno ti risveglia; con le mani all'orecchie e coll'intrare in casa t'avisa che bisogna trasformarsi in quell'animale che ha l'orecchie così lunghe, e le sbatte in quel modo caminando così basso.

GIALAISE

Ca, ca...? Trasformarse in un asino?!

ALESSANDRO

Di questa sorte sei per entrare: altramente non vi sarà garbo, perchè essendo serva, non averà altra commodità di questa.

GIALAISE

Dunca, dunca, dunca...! No' me lo fare dicere, pe vita tua, ca 'n pensarevi solamente mi schiatta sso pormone. Dunca lo Signor Gialaise in un a...?

ALESSANDRO

In un asino, Signor sì: lo voglio finir io, poichè voi lo lasciaste. Forse sete più di Giove, che non si sdegnò trasformarsi in tauro e in cigno per conseguir Europa e Leda?

GIALAISE

Ora mo sì, ca m'affoca lo cauzone. Vì ca nc'è differenzia, da chesso a chello, quanto dallo cielo alla terra.

ALESSANDRO

E che differenzia vi è? Non sono tutti animali?

GIALAISE

Songo animali troppo, ma songo animali chiù onesti ca non è l'aseno. No' borria ca se sapesse tale cosa a Napole pe la vita de tutti li muerti miei!

ALESSANDRO

Mi fate ridere contra mia voglia, vedendo che incautamente preiudicate alla bontà de quel venerando. Volete veder se l'asino è buono? Che quando si vuol descrivere la bontà di un uomo, si dice: è tanto buono, che è un asino.

GIALAISE

Hai troppo rascione, alla fè!

ALESSANDRO

Dall'altra banda io non voglio che attualmente vi trasformate in quell'animale. Ma fare una forma simile a lui, dentro la quale anderete voi, e intrando in casa di Pasquina senza sospetto delle genti, l'aprirete; restando voi l'istesso che sete al presente, goderete facilmente la vostra desiderata.

GIALAISE

Aspetta, aspetta, ca mo m'allecordo qualmente Re Mida pure si trasforemò in n'aseno: de modo e de manera ca se l'ha fatto chello ca fu Re, lo puozzo fare ancora io, ca songo Cavaliero privato; tanto chiù di chessa sorte ca m'avite ditto voi, Signor astrolego mio. Ora suso, alle mani: facite la forma, ca mi trasformo.

ALESSANDRO

Di grazia al tocco delle 24 ore verrete a trovarmi nel palazzo dove io sto, che trovarete ogni cosa in ordine.

GIALAISE

E io in chesso miezzo boglio ire a studiare Apuleio nell'Asino aureo, pe pigliare li giesti e lo muodo di como m'aggio a governare, ca persì a esser asino nce buole capitania.

LEANDRO

Non molta con voi, perchè vi sete naturalmente.

GIALAISE

Vaso la mano di Vostra Signoria, Signor astrologo mio: a rivederci, scavottolo vostro.

ALESSANDRO

A Dio, Signor Giovan Luigi.

LEANDRO

Va pur con la malora, pallon di vento che sei.

Scena 5

ALESSANDRO

Chi vidde mai, Leandro, un uomo così sciocco come costui? Crederà anco che è calda la neve e freddo il fuoco!

LEANDRO

Crederà in fine quanto voi volete; e io non mi maraviglio che questo sciocco si lascia cadere nelle reti, ma stupisco d'alcuni che fanno il quantunque, quali pur traboccano in simili girandole, e non si avertono che questi astrologi dall'altrui informazioni e da una certa osservanza di parole e di gesti nostri ci danno ad intendere con indovinare le cose, della maniera che avete fatto voi con il Napolitano, e non che sia così in effetto. Poichè intesi dire da mio padre, che era della professione: dove Dio pon la mano, ogni pensiero è vano.

ALESSANDRO

È vero circa le cose future, delle quali non è verità determinata, poi che le stelle inclinano, e non necessitano le cose di sopra; ma circa le cose passate, sappi che è propria virtù, e la scienzia è vera. Dall'altra parte, che ne vogliam far noi di queste cose, essendo altro l'intento nostro principale? Attendiamo dunque al fatto proprio, che è stolto colui che vede i fatti d'altrui, e si scorda de' suoi.

LEANDRO

Sì, ma come faremo se il Napolitano ritorna a far istanza per la bestiale trasformazione?

ALESSANDRO

Non mancheranno occasioni per distorlo da questo proposito. Vedi, che io sento tentar l'uscio di casa. Averti di seguire quanto abbiamo determinato insieme, perchè bisogna che io vadi a ritrovar il Napolitano; essendomi messo in un soggetto maggior del primo, ed è mestiero che io me ne risolvi. Fa come ti dico; e ritorna nel palazzo solito, che t'aspetto con desiderio.

LEANDRO

Aspettate, padrone, che io ho pensato meglio. Poi che sete certo che Brianda è vostra prima moglie, a che proposito servono tante esperienzie in persona di Cornelia? Procurate di riaver la prima, e vada Cornelia in buon ora. Overo facciasi il cambio: voi potrete ripigliar Brianda, e il marito di lei Cornelia.

ALESSANDRO

L'ingiuria di Cornelia e di Camillo è grandissima, fatta a tempo che non correvano queste cose, ma a tempo che io gli era marito, e perciò bisogna che io me ne vendichi. E se ben di ragione Brianda ritornerà ad esser mia moglie, non però disconverrebbe ad un mio pari che ingannasse Alberto, al quale, dovendosi restituire la più onesta donna di questo seculo, non saria giusto che io le dessi in cambio una <in> sospizion dell'onor suo. Dalla mia esperienzia ne risulterà una di due: o Cornelia sarà onesta, o no. Se sarà onesta, potrò liberamente trattar questo cambio; e se non sarà onesta, smorbarò almanco questa peste dal mondo, e senza infettarne quel gentiluomo, goderò la mia desiderata Brianda. Sì che sii essecutore, e non consigliero di quanto ho fermamente deliberato.

Scena 6

LEANDRO

È pur vero che gli uomini troppo savii cadono al spesso in gravi pericoli, come si vede l'esperienza in persona dell'accorto e savio mio padrone, caduto già nel profondo abisso della gelosia, in cui tanto più si precipita, quanto più tenta ritrarsene. Ed è vero ancora che questo male ti rode di sorte l'animo, che non vi resta altro, eccetto che un secco pensiero di pensar sempre novi pensieri, vane chimere e false imaginazioni. Mancava adesso il sospetto del Napolitano per far volare tanto più il cervello del padrone! Io pur cerco come creato amorevole e fedele di ritrarneli quanto posso, ma indarno m'affatico. Bisognarà che corra questa borasca, in sin che il vento della verità rassereni il cielo e acquieti il mare di tanti travagli. O mondo veramente mondo d'ogni bene! che è pur bene in te, ma non lo dai come a cosa propria, ma lo depositi per qualche giorno, togliendolo poi quando l'uomo pensa di vivere più sicuro. In te non si trova stabilità, nè fermezza alcuna: che a pena posto l'uomo in possesso d'una cosa, ce la togli subito; non così tosto ci fai gustare il dolce, che diffondi l'amaro. Al mezzo del piacere ci sturbi. Non finisce il riso, che interponi il pianto. Non passa giorno senza molestarci, e in fine ti giuochi di noi alla palla, che sbalzandoci più in alto, più ci abbassi. Misero è dunque colui che pone speranza in te, come è veramente misero e infelice il padrone, che sperando esser in grembo delle grazie, si ritrova oggi il più discontento del mondo. Mi ha commesso che io debbia persuadere alla moglie che essendo venuto un astrologo d'importanza in questa città, lo faccia venire in casa per pronosticare e vedere come passaranno le cose sue; e con questa occasione spera egli di scoprir paese e certificarsi del tutto. Dio voglia che sortischi in bene, perchè il fondamento che si fa sopra un mobile, convien che rovini. Vo' argir dall'altra porta, già che da questa veggo uscir Magagna, acciò non essendo veduto da gli altri, possa commodamente parlarli.

Scena 7

MAGAGNA

Talchè...

ERSILIA

Talchè con ragion mi doglio e posso dolere, che io sono la più scontenta tra le scontente giovani del mondo. Ahimè!

MAGAGNA

Questo pianto è proprio come il fumo dell'arrosto, che non ti giova a niente, perchè ti bisogna venire al monasterio, al tuo marcio dispetto. Camina dunque, e lascia tanti “talchè”, se non vuoi che ti calchi con un calcacoppolo la coppola.

ERSILIA

Eh, Magagna, il dolor non è perchè io vadi al monastero, ma perchè mi manda in quest'ora così sola, senza compagnia di donne. Poteva pur tardar insino a domani.

MAGAGNA

Signora no, perchè dice quel proverbio: il mal che tarda piglia vizio. Avertendosi la Signora che voi bestialmente sete innamorata di Camillo, farà bene a farvi passar di questa vita presente.

ERSILIA

Come di questa vita presente? Dunque mi farà morire?

MAGAGNA

Oh, potta, che m'era scappata!

ERSILIA

Ritorniamo a casa; che se sarà così, mi contentarò volentieri, pur che mi conceda che avanti la mia morte possa vedere o parlare al mio dolcissimo Camillo, il quale dà lume a quest'occhi e dà spirito a queste labbra.

MAGAGNA

Tu ti pensi con le tue parole inzuccherate farmi tornare indietro, ma t'inganni, a fè. Camina pure, perchè la vita presente non s'intende di farti morire, ma di passarti di questa vita presente, cattiva e trista, che menavi, a vita onesta e santa, come sarà al monastero.

ERSILIA

Eh, Magagna, non si cangia pensiero per cangiar loco. Quanto più m'allontano dal raggio del mio sole, tanto più crescerà in me il desiderio di scaldarmi al suo caldo. Io amo Camillo con zelo di matrimonio, e questo zelo è pur onesto e santo. Ma che cosa fai?

MAGAGNA

Mi accommodo questo pugnale, dubitando di qualche repentino assalto, perchè a colui che accompagna femine bisogna andar vigilante.

ERSILIA

Sì che, essendo questo mio zelo così onesto... Ma che motivi son cotesti?

MAGAGNA

Mi metto in guardia, e provo come ho da investire e offender colui che per sorte ne volesse assaltare.

ERSILIA

E perciò sarà bene a ritornar a casa, che l'andar a quest'ora per queste strade sospette mi fa temere d'alcuno inconveniente.

MAGAGNA

Tu zappi nell'acqua, se pensi di ritornar indietro. Camina, e zitta.

ERSILIA

Fammi questo piacere.

MAGAGNA

Non posso.

ERSILIA

Beato te!

MAGAGNA

Non voglio.

ERSILIA

Per grazia.

MAGAGNA

Non mi piace.

ERSILIA

Per amore.

MAGAGNA

Camina.

ERSILIA

Per pietà, almeno.

MAGAGNA

Mica.

ERSILIA

Oh, come sei crudele!

MAGAGNA

Crudelissimo.

ERSILIA

Che ferro ti cadde dalle mani? Dove mi meni?

MAGAGNA

Orsù, già che siamo al loco determinato, in questa parte rimota dove non saremo visti dalle genti, acconciati, Ersilia, e pazienzia.

ERSILIA

Che pretendi di fare?

MAGAGNA

Di rompere...

ERSILIA

Che?

MAGAGNA

... il stame...

ERSILIA

Che stame?

MAGAGNA

... vitale...

ERSILIA

Che vitale? Che vuoi?

MAGAGNA

Voglio...

ERSILIA

Che cosa?

MAGAGNA

... pertuggiare...

ERSILIA

Che?

MAGAGNA

... il... Donne!

ERSILIA

Che donne?

MAGAGNA

Vuoi la palla mo? Acconciati, e zitta!

ERSILIA

Se pensi offendermi l'onor mio, morrò più presto.

MAGAGNA

Non voglio cotesto.

ERSILIA

Ma che vuoi?

MAGAGNA

Entrare...

ERSILIA

Dove?

MAGAGNA

Al cuore!

ERSILIA

Di chi?

MAGAGNA

Sei stata mai uccisa, tu?

ERSILIA

Io no.

MAGAGNA

Hai parlato con nessun altro, che fosse stato ucciso?

ERSILIA

Nè anco: perchè?

MAGAGNA

Acciò ti fossi informata della strada per la quale si camina alla morte.

ERSILIA

Ahimè! Mi avedo che mi vuoi far morire.

MAGAGNA

Penso di sì.

ERSILIA

E perchè, Magagna mio? E perchè tanta crudeltà?

MAGAGNA

Non ti bisogna più “mio” nè “crudeltà”; raccommandati l'alma, e finimola.

ERSILIA

Io morire? Io morire per le mani tue, Magagna, e perchè? Che t'ho fatto io? Qual cagion ti move? Qual ragion hai?

MAGAGNA

Risolviti presto; e dimmi come vuoi che ti uccida: sotto, da mezzo, o di sopra?

ERSILIA

Se non burli, Magagna, come è tuo costume, dimmi il vero; che cosa ti spinge a volermi uccidere? Io so che non ti offesi mai, anzi ti ho giovato sempre. Da te come da te, non hai cagione di farlo. La Signora, se bene è matrigna, e non madre, non sarà. Camillo mio nè anco.

MAGAGNA

A che fine lo vuoi sapere, se a te non serve più di sapere le cose di questo mondo, avendo da passare all'altro? Acconciati, su, cala la testa, e a perdonare.

ERSILIA

Deh! ferma, di grazia, fermati, per cortesia, Magagna!

MAGAGNA

Son sordo.

ERSILIA

Una parola.

MAGAGNA

Non sento.

ERSILIA

Sei turco? Sei barbaro?

MAGAGNA

Turco e barbaro! Levati, che ti do.

ERSILIA

Eh! per vita tua, te ne prego, te ne supplico: ascolta una parola.

MAGAGNA

Or di' presto, che non vorrei che col tardare si raffreddasse il caldo del mio furore.

ERSILIA

Dimmi, di grazia: chi t'ha ordinato che mi uccidi?

MAGAGNA

Pur siamo al medesimo. Or leva, e non più parola.

ERSILIA

È stata la Signora, Magagna?

MAGAGNA

Non so.

ERSILIA

È stato Camillo mio, che sdegnato forse dell'indebite ingiurie dateli per Cornelia, e d'averlo scacciato di casa, cominciarà a vendicarsi contra di me?

MAGAGNA

Non so.

ERSILIA

Se sarà così, morrò contentissima, morendo in sodisfazion di colui, che per satisfarlo mi sarebbe poco pigliar mille morti per amor suo.

MAGAGNA

Vuoi altro che questo? Acconciati, e spedimola.

ERSILIA

Fammi un'altra grazia, Magagna mio: legami le mani e li piedi a questa colonna mezza rovinata, e ritorna a chiamar Camillo; acciò lo possa pregare che mi uccida di sua propria mano, per morir contentissima, o almeno che io veda quegli occhi suavi prima ch'io muoia.

MAGAGNA

Quietati, che non è Camillo che ti fa morire; ma per dirla in breve, la Signora Cornelia è causa che, amando più che la vita sua Camillo, ella disegnava pigliarselo per marito, e tu avendoli guastato il giuoco per le mani, ti darà scacco matto di pedina.

ERSILIA

E io morrò per questo? Ah, Cornelia, Cornelia, che non da matrigna, ma da propria madre t'ho servita e onorata sempre, s'era tale il tuo disegno, me lo dovevi dire: che tu contenta e io contentissima restava in un tratto, bastandomi solo il mio Camillo nell'istessa casa, dove se non come marito, l'averei almeno come Signore servito. Ahi, che è vero, che nessuna matrigna fu buona!

MAGAGNA

Orsù, non più parole. Fermati, che io alzo.

ERSILIA

Aspetta un poco, per pietà, insin che dichi due altre parole.

MAGAGNA

Ma siano brevi, e presto, che io in tanto passeggio.

ERSILIA

In che orrendo spettacolo ti vedi, Ersilia infelicissima! Oh, cara mia madre, s'ora mi vedessi! E o Alonso, mio carissimo padre, dove sei? Che ricasandoti con Cornelia, morendo poi mi lasciasti piccola, raccommandata tanto a questa crudel Medea! Vedi, vedi che ora mi fa condurre al macello, e in man di chi? in man d'un vilissimo servo! Deh, spietata mia sorte, poi che volesti che io morisse di mala morte, dovevi far almeno che io morisse o per man del mio Camillo, o d'altri della qualità mia. Giorno infelice, che io nacqui! Perchè non mi affogai nella culla, poi che per amor io moro? Nè perchè mora mi doglio, ma perchè ferendosi questo petto s'offenderà la bell'imagine del mio bellissimo Camillo, che vivamente vi sta impressa. Perdonami, Camillo, se per me pati questa offesa, e ti prego a ricordarti che quanto maggiormente si puote amar, t'ho amato io.

MAGAGNA

Troppo sei lunga, non accade più aspettare. Io mi risolvo in ogni modo di darti.

ERSILIA

Deh, Magagna, che crudeltà è questa? Che ti ho fatto io? Ricordati pure che tu eri servo di mia madre, pensa all'affezion grande che ti portava mio padre, considera che tu m'hai cresciuta sopra coteste braccia: e ora sarai omicidiale quasi di te stesso, quasi del tuo sangue?

MAGAGNA

È troppo il vero, ahimè!

ERSILIA

Non sai che sempre t'ho sovenuto? Non ti ricordi che ti ho difensato? Chi riparava a' tuoi danni, se non io? La borsa non ti fu sempre aperta? Che m'hai cerco, che non ti ho dato? Insino alle camicie ti ho conce di mia mano.

MAGAGNA

È troppo il vero. Uh, uh, uh!

ERSILIA

Io ti facevo magnar per tempo, ti serbavo anco le reliquie della tavola, ti ho riputato da fratello, ti ho amato da sorella: e ora tu che dovevi essere il riparo della mia vita, il difensore della mia persona, hai animo di uccidere me, povera innocente, infelice pupilla? Ahimè! come non piangi per compassione?

MAGAGNA

Non pianger più, che mi tiri l'anima dall'antiporta del cuore! Io me ne pento. Ecco qua il pugnale, uccidimi tu, perchè il torto è mio, la ragione è tua; overo mettiamo mano al rimedio per salvar l'uno e l'altro.

ERSILIA

Il rimedio è facile. Lasciami andare, ch'io ti prometto partirmi di qua, con proposito di non ritornarvi mai più.

MAGAGNA

Aspetta, pensa, e poi fa, dice il proverbio. Come faremo, che io mi trovo promesso alla Signora di portarli la vostra testa con li vestiti insanguinati? E se io non esequisco a punto quanto mi ha detto, oltre il pericolo d'esser cacciato, perdo l'occasione di copularmi con essa. Perchè, per dirla, s'era appuntato fra di noi che uccisa Ersilia, io, arso per amarla, entravo al suo arsenale, cioè che me la pigliavo per mogliera.

ERSILIA

Or lascia fare a me. Non conosci tu quel sarto che pratica di continuo in casa, ed era tanto amico della buona memoria di mio padre?

MAGAGNA

Conosco.

ERSILIA

Costui tiene un figliuolo che scolpe al naturale. Andremo a casa sua, e con bell'arte faremo accommodare una testa che rassomigli naturalmente alla mia, con la quale e con le mie vesti insanguinate mostrarai alla Signora di avermi uccisa; che li bastarà solamente di veder quella testa, e poi la nasconderai dove ti piacerà. E io dall'altro canto mi vestirò da uomo tingendomi il volto e le mani da moro per non esser conosciuta. E così tu averai l'intento tuo, e io ancora il mio; perchè sotto quell'abito finto cercarò di servire e di seguire dovunque andrà il mio dolcissimo Camillo.

MAGAGNA

Buona, buona! Mi piace, a fè. Il negozio è riuscibile. Andiamo in casa del sarto; e acciò non siamo conosciuti per strada, alzati la veste, levati questo manto, mettiti la berretta e la cappa mia; che io, mettendomi il tuo manto, parrò vedova sconsolata in veste negra, e voi Marfisa in abito succinto.

Scena 8

LEANDRO

In questo principio mi riesce il pensiero di Alessandro, che avendo io con bel modo persuaso la Signora Cornelia d'introdurli in casa l'astrologo, se n'è contentata di sorte che li par mill'anni di vederlo, e perciò mi manda all'infretta a chiamarlo. Ma che? Considero poi che molte imprese si perdono per negligenza, e molte per troppo diligenzia. Dicolo a fine che la gran diligenzia del mio padrone, spronata dall'acuto sprone della gelosia, gli farà perder l'onore, e forse la vita di più. Egli doveva starsi, e lasciar star questi capricci, da' quali non ne potrà evenir altro che danno, altro che vergogna. Perchè molte volte la donna si mette in via di far male con la guida de' nostri vani sospetti e dalla poca fede che mostriamo d'averle. Quanto a me, ho fatto l'offizio che dovevo fare, e per mia difesa bastarà di dir quel proverbio: attacca l'asino dove vuol il padrone. Dall'altra parte considero che Cornelia non è così sciocca nè così imprudente che alla voce non debba conoscere il marito: e perciò, s'alcuna cosa corresse tra essa e Camillo, non abbia da dissimulare e mostrar tutto il contrario, per farsi conoscer tale quale io la reputo. Ma dubito di no, perchè Alessandro dice di volersi mettere in bocca non so che palle piccole, per farsi balbuziente, e così fingerà la voce e la favella. Dubito anco che Cornelia da vero non sia innamorata di Camillo, poichè l'ho conosciuto a certi segni esteriori: che nominandolo divien pallida e sospira profondamente, pensando d'averlo discacciato; e quel che importa, tenta che ritorni in casa. Io preveggo una gran rovina, e vorrei star lontano, ma non posso, perchè bisogna servire a chi sono obligato. Pur nondimeno, gli avenimenti delle cose sono varii, e non si può far pieno giudizio. Chi sa che sarà? Voglio andare in ogni modo a condurlo, che, come si dice, le cose importanti l'aiuta Dio con li Santi.

Scena 9

CAMILLO

Non posso comprendere, Bianchetta, a che fine hai voluto che io mi rivestisse da Camillo e lasciassi quei panni da sc<h>iavo, quali veramente mi si convenivano, poichè dalle fasce mi furon dati in sorte. Io godevo della mia risoluzione fatta già di partirmi da Roma, vestito con quell'abito molto conveniente alle mie pene, che per tant'anni m'han combattuto sempre, e tu m'hai tratto da quel pensiero senza dirmi la causa. Perchè?

FLAMINIO

Nè anco io posso imaginarmi, Bianchetta, a che fine hai voluto che, spogliandomi da schiavo, mi rivestisse da Cosmo e ritornasse a servire il Napolitano, interrompendo il pensiero fatto per me di cercare luochi solitarii ed ermi, per non veder più, nè sentir la crudeltà che mi usa la crudelissima Lavinia.

BIANCHETTA

Signor Camillo e Signor Flavio, sete giovani, e la gioventù non ha freno, ma vi lascia correre disordinatamente. Attaccatevi sempre a' consigli de' vecchi, se volete star bene. Queste che voi chiamate disgrazie, a rispetto dell'altre ch'abbiam patito noi povere vecchie, sono a punto come il piscio del gatto a una gran pioggia; e noi che patite l'abbiamo, avemo anco il rimedio: che sapete pur quel proverbio: vanne al patito, e non al medico. State dunque di buon animo, e lasciate fare a me, che alla fine la pratica vince. Io vorrei che qui fosse il Signor Flaminio, che sentisse anch'egli il mio disegno; ma si partì senza farmi motto.

CAMILLO

Il Signor Flaminio, rivestito che s'ebbe secondo l'ordine vostro, vidde passar per strada non so che amico suo, e gli andò appresso, lasciandone detto che l'aspettassimo in questa strada. Ma poichè egli tarda, potrete incominciar pian piano a discoprire il disegno vostro.

BIANCHETTA

Primieramente voi m'assicurate che Flaminio si contenta che io negozii a mio modo con Lavinia sua sorella?

CAMILLO

Sicuramente; perchè oltre che ci siamo di novo confederati insieme, e stretta in una indissolubile amicizia, lo desiderava anch'egli, per esser il Signor Flavio della sua qualità, e che la ricerca poi per moglie; avenga che Lavinia non gli sia sorella, ma figlia alla sua madrigna.

BIANCHETTA

Sia lodato Iddio! Mi piace certo, perchè se ben io faccio questa professione, non vorrei esser passata per ruffiana, a tempo che le parti non fossero d'accordo.

FLAMINIO

Saviamente, a fè! Or dite.

BIANCHETTA

Non bisogna di dire, ma di fare. Rimettetevi qui dietro, che io vo' prima tentar Lavinia e vedere, che quando le mie persuasioni non bastaranno, la farò cadere con la sua lotta, e allora conoscerai, Signor Flavio, che è stato necessario vestirti da Cosmo. Appresso andarò da Cornelia, e conoscerai, Signor Camillo, che quanto ho fatto non è senza grandissimo misterio. Ma però desidero una cosa da voi.

CAMILLO

Comandate.

FLAMINIO

Disponete.

BIANCHETTA

Per mia rimunerazione, cedetemi quanto cavarò di sotto a Cornelia.

CAMILLO

Di grazia.

FLAMINIO

Come voi volete.

BIANCHETTA

A rispetto poi di Flaminio, non vi correrà troppo manifattura, perchè, aggiustati i pesi tra voi e Cornelia, possiate dopo disporre Ersilia a condiscendere all'onesto suo desiderio.

CAMILLO

Si farà senz'altro.

FLAMINIO

Dite benissimo.

BIANCHETTA

Orsù, fermatevi, che io vado: e secondo il bisogno così vi accomandarete alle parole mie; e tenete per fermo che Bianchetta imbiancherà oggi con effetto il tinto de' vostri cuori.

CAMILLO

Così speriamo.

FLAMINIO

Così confidiamo.

Scena 10

BIANCHETTA

Io batterò l'uscio. E voi all'erta, perchè avemo una bella commodità per l'assenzia della madre, che l'ho vista già in casa della Signora Quintilia. Tic, toc, tic, toc.

LAVINIA

Chi è? Chi batte?

BIANCHETTA

Son io, figlia mia senza peccato. Venite a basso, che vi ho da dir cose di grandissima importanza.

LAVINIA

Aspettate pur, Bianchetta mia, che adesso vengo.

BIANCHETTA

Quando le cose hanno buon principio, sta fatta la metà. Che dite, Signor Flavio?

FLAMINIO

Ahimè!

BIANCHETTA

Voi sospirate?

FLAMINIO

Sospiro, perchè natura, facendola così bella, non la doveva far sì crudele.

BIANCHETTA

Riposatevi, che col tempo e con la paglia si maturano le nespole. Ma olà, cheti, che già viene.

LAVINIA

Che cercate, Bianchetta? Dite, di grazia, brevemente quanto avete da dire, perchè sto sola in casa, e non vorrei che la Signora madre mi cogliesse sola in porta.

BIANCHETTA

Sarò breve; e così breve faccia Iddio la vostra ostinazione, e lunghi gli anni a voi e a chi v'ama con perfetto amore.

LAVINIA

Se non m'avete a ragionar d'altro che d'amore, fate fine, e ritornate quando volete a casa vostra.

BIANCHETTA

E perchè? Sete voi di stucco? Voi sete pur di carne e d'ossa, così ben composta e formata dalla natura che a viva forza bisogna ch'ivi s'annidi Amor con arco e strali.

LAVINIA

L'amor mio è la risoluzion fatta di viver casta e vergine.

FLAMINIO

Ecco nova invenzione di farmi affatto disperare.

CAMILLO

Fermatevi, che Bianchetta saldarà ogni cosa.

BIANCHETTA

Buona e perfetta risoluzion per certo; e non men di questa è l'altra, che io vi propongo, qual è il matrimonio.

LAVINIA

Io già ho eletta la prima, e non mi curo dell'altra.

BIANCHETTA

La prima fu di maritarvi, e perciò amasti Camillo, e perciò Flavio amava voi.

LAVINIA

Camillo non fu giamai amato da me; nè l'amo, nè l'amarò. Di Flavio non accade parlarmi, perchè merita di stare perpetuamente in galera, dove si trova al presente.

CAMILLO

Ecco, Flavio, la mia innocenzia.

FLAMINIO

Ecco, Camillo, la mia morte.

CAMILLO

Soffrite, e sperate.

FLAMINIO

Una speranza mi resta, di non sperar più salute.

BIANCHETTA

Se pensate ingannarmi, così vecchia come io sono, v'ingannate di lungo, Signora Lavinia mia. Io so molto bene quel che dianzi dicesti a quelli tre poveri schiavi, che eri maritata con Camillo, amato tanto da voi, desiderato anco dalla Signora madre.

LAVINIA

È vero che io dissi così, per levarmi dinanzi quei fastidiosi e importuni, e acciò lo scrivessero a Flavio, per farlo tanto più crepare di doglia, e principalmente per contentar mia madre. Ma la verità non fu così, nè tale è la volontà mia, avendo nell'animo altro che Camillo.

CAMILLO

Ti ringrazio, tempo, che col tuo spazio discopri la verità.

FLAMINIO

Ti disgrazio, tempo, che mai desti tempo a questa crudele di temperare la durezza sua.

BIANCHETTA

Io non intendo ragionarti di Camillo, perchè per non sapersi chi è, donde viene, possiamo di lui far passaggio. Ma che dite di Flavio, giovane, bello, ricco e unico al padre? Che t'ha fatto quell'infelice, che lo strazii in tanti modi, che tenti di farlo morire?

LAVINIA

Se io pensava che tu m'avessi a ragionar di Flavio, non vi calavo a basso per tutto l'oro del mondo; e se non vuoi altro, a Dio.

FLAMINIO

Ahimè!

BIANCHETTA

Ferma, scioccarella che sei, e pensa bene che questi capelli d'oro, queste ciglia d'ebano, queste guance di rose, queste labbia di coralli, questi denti di perle, questo collo di neve, questo petto di latte, diver<r>anno col tempo bianchi, bige, pallide, livide, nere, affumate e oscure. Anch'io, come sei tu, son stata bella; anch'io, come fai tu, feci la ritrosa, la rigida, la crudele; ma nell'ultimo fui vinta dall'umiltà grande, dal soffrir lungo e dal patir molto del mio gentilissimo amante: e avertita del mio errore, biastemai il tempo perso e la mia sorte, che non mi diede persona che m'avisasse di queste cose. Sì che prendi l'aviso, già che l'hai, e muta, muta pensiero, scioccarella che sei.

CAMILLO

Oh, come dice bene!

FLAMINIO

Ma predica al deserto.

CAMILLO

Soffri, e odi.

LAVINIA

Dimmi un poco, Bianchetta, non ti son pur divenuti i capei bianchi, bige le ciglia, pallide le guance, livido il labro, neri i denti, affumato il collo e scurato il petto? Che m'importa dunque d'esser crudele o pietosa, se sarà tanto così come così?

CAMILLO

Questo è un bel passo da sciogliere.

FLAMINIO

Se ben lo scioglie, non farà niente.

BIANCHETTA

Importa, figlia mia, che non ti rendi ingrata alla natura, che ti creò bella, dotata di tante grazie, di questi tuoi doni, per esser pietosa e non crudele. Che s'altramente fosse, t'averebbe dato coda come a serpe, unghie come a grifone, veleno come a basilisco, piedi come a cavallo, bocca come a leone e denti come a cignale. Talchè dispensa meglio questi doni di natura, e muta, muta pensiero, semplicetta che sei.

LAVINIA

E non son ben dispensati, stando così senza maritarmi?

BIANCHETTA

Sariano ben dispensati, figlia mia, quando da principio ti fossi eletta questa strada, andando in monastero senza dar occasione d'ingannar le genti. Ma poichè sei rimasta nel seculo, è forza che ti mariti, e goderai il dolce nome di madre, il gusto soave de' figliuoli e il perpetuo contento del marito.

LAVINIA

Quando ciò fosse, mi risolverei d'amar altro che Flavio.

FLAMINIO

Intendi?

CAMILLO

Taci.

BIANCHETTA

Che t'ha fatto quell'infelice? Forse non è bello come sei tu? Forse non è nobile come sei tu? E forse non t'ama più di nessun altro? Quanti guai ha patito, quante miserie ha scorse, e pate e scorre oggidì per amor tuo! Rompi, rompi la pietra di questo cuore, crudeletta che sei.

LAVINIA

Orsù, Bianchetta mia, vinta dalle tue ragioni, mi risolvo...

BIANCHETTA

Di', figlia mia, di'.

LAVINIA

Ad amare...

FLAMINIO

O Dio!

CAMILLO

Aspetta.

LAVINIA

...con tutto il cuore...

FLAMINIO

Oh, se foss'io!

CAMILLO

Ferma.

LAVINIA

...colui il quale...

FLAMINIO

Ohimè!

BIANCHETTA

Perchè non seguitate? Avete pur detto che volete amare...

LAVINIA

Sì.

FLAMINIO

Ma non Flavio.

CAMILLO

Eh, senti.

BIANCHETTA

Sete mutata di colore. Che cosa avete?

LAVINIA

Ahimè!

BIANCHETTA

Voi dite che volete amare con tutto il cuore...?

LAVINIA

Sì.

BIANCHETTA

Colui il quale...?

LAVINIA

Sì.

BIANCHETTA

E questo qua... è Flavio?

LAVINIA

No.

FLAMINIO

Non tel diss'io?

CAMILLO

Oh, crudeltà!

BIANCHETTA

Ma chi è? Ditelo liberamente, che io vi prometto d'interporre l'aiuto e consiglio mio per farvi servigio. Dite dunque, chi è?

LAVINIA

L'istesso...

CAMILLO

Senti.

FLAMINIO

Ma non io.

CAMILLO

Eh, sì.

FLAMINIO

Vedrai.

BIANCHETTA

L'istesso ch'io t'ho detto, cioè Flavio.

LAVINIA

No.

FLAMINIO

Fu vero?

CAMILLO

Oh, gran pietà!

BIANCHETTA

Ma chi?

LAVINIA

L'istesso che ho amato e amarò sempre, come voi sapete. Dico il mio Giovan Lui...

FLAMINIO

Ah, non potè finir gi, per la dolcezza che sente! Oh, cruda più che la tigre!

BIANCHETTA

Dunque volete cangiar questo per quello? Val più un pelo di Flavio che cento Giovan Luigi!

LAVINIA

Amor me l'impresse nell'animo, che nè lima d'altrui persuasioni, nè scarpello di maladicenza me lo scancellaranno mai dal cuore.

BIANCHETTA

Orsù, poi che così vi piace, a me anco piace: state allegra, che vi servirò di modo tale che questa sera averete in casa il vostro Giovan Luigi.

LAVINIA

Volesse Dio!

BIANCHETTA

Così sarà, e intenderete. Io so che egli non v'ama.

LAVINIA

È vero, il crudelaccio

FLAMINIO

E voi la crudelissima.

BIANCHETTA

E so, di più, che egli ama Pasquina.

LAVINIA

È vero.

BIANCHETTA

(Oh, che bel colpo da mastro, che farò!) Aprite ben l'orecchie. Io tengo strettissima amicizia con Cosmo, servitore del Napolitano. Non lo conoscete voi?

LAVINIA

Conosco.

BIANCHETTA

Oh, se costui per buona sorte mi capitasse ora avanti, saria molto al proposito.

CAMILLO

Va innanzi, Flavio.

FLAMINIO

Già mi mettevo in via.

BIANCHETTA

Ma eccolo: oh, che buona fortuna!

FLAMINIO

Tutt'oggi vado attorno, e nol posso trovare. In fine, quando si vuol un uomo, non si trova, e quando non si vuole non te lo puoi levar dinanzi. Vedrò se fosse colà.

BIANCHETTA

Cosmo, oh, Cosmo.

(Qui Pasquina viene in finestra, vede, e tace)

.

FLAMINIO

Chi mi chiama? Oh, sei tu, Bianchetta? Vi è la Signora Lavinia ancora? Bascio le mani di Vostra Signoria.

LAVINIA

Ben venga il mio Cosmo.

FLAMINIO

Mio? È troppo grazia, questa, che s'io fosse vostro non andarei così come vado.

LAVINIA

Dico mio, che tu sarai il mio medico, se tu vorrai.

FLAMINIO

Così fosse servizio a Vostra Signoria di accettarmi, come io servirei volentieri per medico.

BIANCHETTA

Or lasciamo questo, e intendi bene quel che si desidera da te. Tu sai già che il tuo padrone ama scioccamente Pasquina, e disama questo ritratto della bellezza del mondo, che l'ama con tanto amore.

FLAMINIO

(Così nol sapesse!) Or dite.

BIANCHETTA

Per condurlo qui in casa della Signora Lavinia, tu fingendo gli dirai che Pasquina è inchinata già alle sue voglie, e desidera che se ne venghi in forma di molinaro col sacco in spalla, come se venisse a pigliare il grano; e intrato, si rimetta dentro la prima camera terrena, dove trovarà nascosta Pasquina.

FLAMINIO

Ben: che faremo per questo?

BIANCHETTA

Faremo così, che in luogo di Pasquina si riponerà nascosta lì dentro la Signora Lavinia; dove standosi al buio, credendosi il Napolitano far con Pasquina, farà con Lavinia. Intendi?

FLAMINIO

Intendo; perchè no? Anzi vi prometto servire adesso adesso.

BIANCHETTA

E sarai rimunerato di così buono offizio.

FLAMINIO

Questo offizio veramente non è mio; ma sarò ruffiano a me stesso, per servire alla Signora Lavinia.

LAVINIA

Ti ringrazio infinitamente: e se mai il Signor Giovan Luigi sarà mio marito, col quale zelo io lo desidero in casa, ti farò conoscere con effetto che sarai tu il padrone di quanto tengo.

FLAMINIO

E perciò io mi conduco a servirla, che se fosse in altro modo, non mi ci cogliereste.

BIANCHETTA

Orsù, le cose sono in rassetto, vattene sopra, Signora Lavinia, e mettetevi all'ordine, che fra poch'ore sarete sodisfatta.

LAVINIA

Mi raccomando, e in man vostra ripongo l'onore e la vita mia.

BIANCHETTA

Riposatevi, che sarete servita. Orsù che fai, che pensi, Flavio? La conclusione è fatta per gli ignoranti. Non intendi mo l'artifizio mio? Concludi, corri, va, mettiti l'ale, e trova un abito di molinaro, col sacco e barba posticcia, ed entra in luogo del Napolitano in quella camera, dove poi non si trovarà Giovan Luigi con Pasquina, nè Lavinia con Giovan Luigi, ma una coppia di voi felici amanti.

FLAMINIO

Sarei veramente felice quando entrassi come Flavio, e non come Giovan Luigi.

BIANCHETTA

Pazzo che sei! Sai tu come diceva la buona memoria di mia madre? Come la donna dolcemente prova, lascia la strada vecchia per la nova. Intendetemi ancor voi, Signor Camillo.

CAMILLO

Io vi intendo, vi ammiro, e stupisco del vostro mirabil artificio.

FLAMINIO

Orsù, io vado, e permetta il Cielo, Signor Camillo, ch'abbiamo insieme felicissimo successo.

CAMILLO

Andate in buon ora, e speriamo amando. Ma che fia di noi, Bianchetta mia?

BIANCHETTA

Molto più che bene. Andiam di qua, che sento aprir la porta di Cornelia con molta furia; non vorrei che fossemo veduti insieme. Voltiam di là, e ritorniamo di nascosto.

Scena 11

CORNELIA

Incauta e misera che io sono! Che faccio? Chi mi trasporta? A che fine son qui? Dove ne vado? Che penso? Che parlo? Non ho luogo, nè pensiero, nè parlar fermo: ogni luogo mi attrista, ogni pensiero m'annoia, ogni parlar m'affligge, s'io non veggio, s'io non penso, s'io non parlo di Camillo mio. Vorrei ire dove egli sta, pensar col suo pensiero, e parlar con esso lui, ma non posso, infelice me, che io stessa fui ministra del mio danno. Non lo doveva scacciare, non pensarli male, non parlarli sdegnosa. Sciocca Cornelia! Che volevi più? Lo spazio di tanti mesi che secretamente l'avevi amato s'era rinchiuso in un punto solo, che dicendo di sì a quei schiavi suoi fratelli, Camillo era pur tuo. È vero che ti giovava la morte di Alessandro, per aver più sicuro il giuoco; ma nol potevi esequire, dubitando che Camillo non ti fusse veramente figliastro. Ma poi che, insensata, fusti certa che non ti era niente, che egli ti amava, ti voleva, ti adorava, perchè l'odiasti, perchè lo lasciasti? Deh, misera! Ecco da un inconveniente seguir l'altro. Puote tanto in te lo sdegno, tanto la gelosia, che esponesti a morte Ersilia, quella povera figliuola, che al presente sarà stata uccisa: cose indegne non solo di te, ma di tutte le donne indegne. Nondimeno, che posso fare se Amore mi predomina, mi consiglia, mi scompiglia? Venga pur l'astrologo a sicurarmi che Camillo fia qui, che mi ama, che ritorni a casa, e muora Ersilia, muora il mondo, e muora io, che morrei felice, morendo in grazia di colui che ne gli occhi soli ha tutte le grazie sparse.

Scena 12

BIANCHETTA

Eccola a punto che sta sola in porta, come noi vogliamo: fermati, che io vado.

CAMILLO

Così farò: e voglia il Cielo che riesca il disegno nostro. Ma ricordatevi di non publicare che io sia innamorato di lei, nè ella di me, poi che il negozio passa ancora secreto.

BIANCHETTA

Volete imparare alla gallina di ruspar, voi? Cheto, e senti. Oh, che pietà! Oh, che fallo ha commesso, morir senza causa? Povero giovane! Cornelia dolente, che farai, sentendo la sua morte?

CORNELIA

Ohimè! Bianchetta parla di morte, morir senza causa, e parla di giovane. Costei sarà del certo Ersilia. Misera me, siamo scoperti.

BIANCHETTA

Mi scoppia il cuore pensando con qual pietà, con qual umiltà chiedeva aita e cercava soccorso. Deh! se in me fusse la forza come è l'animo, l'arei tratto da quel pericolo.

CORNELIA

Vorrei fuggire, ma non so dove.

BIANCHETTA

Deh, Signora Cornelia, sete qui? A tempo vi trovo, ma trovar non vi vorrei, dovendovi dir cose di tanto dispiacere. Giovane infelice!

CORNELIA

Bianchetta, tu piangi? Che cosa ti è successo? Parla, raffrena le lagrime.

BIANCHETTA

La giusta occasione che mi invita a piangere mi fa ingorgiar le parole, che non possono uscir dalle fauci. In che parte, ahimè, in che parte di Tartaria, ahimè!? Piangi ancor meco, misera Cornelia.

CORNELIA

Tu vuoi ch'io pianga senza saper la causa del pianto?

BIANCHETTA

Non lo sai, no? Lo sai molto bene, ma fingi di non saperlo: era pur del sangue del tuo marito, e ti voleva tanto bene che non dovevi comportar la sua morte.

CORNELIA

Che dici, Bianchetta?

BIANCHETTA

Dico che per un minimo sdegno non si doveva mandar a morire: dovevi aspettare, che il tempo avrebbe accommodato ogni cosa.

CORNELIA

Ohimè! Sallo altro che tu, Bianchetta mia?

BIANCHETTA

E chi altri volete che lo sappia? L'infelice non conosceva altri che me, a me si raccommandò con gli occhi pregni di lagrime, e diceva sospirando: “Aiutami, Cornelia, Cornelia mia, aiutami”.

CORNELIA

Se mi ami, Bianchetta mia, come credo, taci e tieni secreto, e prendi da me quel che vuoi, che quanto è fatto è ben fatto.

CAMILLO

Ben fatto dice, ohimè! Costei mostra saper la morte mia, e ne gioisce.

BIANCHETTA

Ben fatto, ah? E che crudeltà è questa? È ben fatto a far morire...

CORNELIA

Morire.

BIANCHETTA

...un innocente?

CORNELIA

Nocente.

BIANCHETTA

Come nocente! In che t'ha nociuto? Non t'ha sempre onorata? Non ti ha sempre amata?

CORNELIA

Amata!

BIANCHETTA

Dunque, perchè nocente?

CORNELIA

Perchè amava chi non doveva amare.

CAMILLO

O Dio! Che sento? Costei averà dato ordine di farmi uccidere, e si pensa sia esequito l'effetto. Così sarà. Parla di me certissimo, poi che dice: amava chi non doveva amare, cioè Lavinia.

BIANCHETTA

Io non vi intendo, Signora Cornelia. Ditemi, non doveva amar voi?

CORNELIA

Sì.

BIANCHETTA

Dunque ha fatto bene.

CORNELIA

No.

BIANCHETTA

Come no?

CORNELIA

Non accade dir altro. Basta che s'ha meritato la morte.

BIANCHETTA

Deh, Cornelia, non siate così crudele, lasciate la còlera, aiutate, soccorrete, che avete tempo di poter aiutare e soccorrere.

CORNELIA

Come tempo? Dunque non è seguito l'effetto? Dunque ancor vive?

CAMILLO

Non tel dissi, che era io?

BIANCHETTA

Vive, si raccommanda a voi, con animo di vivervi sempre soggetto.

CORNELIA

Deh, Magagna! Magagna!

CAMILLO

Intendo già. Magagna era il traditore.

CORNELIA

Dovevi esequir l'ordine mio, e non lasciarti pigliar a parole.

CAMILLO

La cosa è chiara.

BIANCHETTA

Signora Cornelia, di chi parlate voi?

CORNELIA

E tu di chi parli?

BIANCHETTA

Io parlo di quel povero carcerato.

CORNELIA

Che? Magagna è carcerato? Ed Ersilia dove sta?

BIANCHETTA

Che Ersilia? Che Magagna? Che dite di Ersilia e di Magagna? Io dico di quell'infelice Camillo vicino a morte, se voi nol soccorrete ad un tratto.

CORNELIA

Ohimè! Camillo? E dove sta Camillo mio?

CAMILLO

Quel “mio” importa; o Amore, aiutami!

BIANCHETTA

Nel carcere, condannato a morte.

CORNELIA

A morte, ohimè! E perchè?

BIANCHETTA

Perchè il povero giovane, avendo inteso da non so che schiavi che Vostra Signoria l'aveva discacciato di casa, si mise in tanta disperazione, che scorrendo la città capitò in un luogo dove in quel punto era stato ammazzato un uomo; e sopravenendo la corte, e non trovando altro che lui, lo prese e menò in prigione. Egli, perchè stava nel caldo della sua disperazione, confessò averlo ucciso per assassino, e così è stato condannato alle forche. Al presente avertito dell'errore, e principalmente che il morire è una mala cosa, si duole, si macera e si consuma che morrà senza colpa e senza aiuto di nessuno. Io passando di là lo viddi, ed egli mi si buttò al collo con le braccia del cuore, non potendo con le mani, legate a torto da quei lacci; mi pregò strettamente che vi pregasse che l'aiutaste, poi che potete aiutarlo.

CORNELIA

Deh, Camillo, Camillo, meritaresti la forca da senno, per la tua ingratitudine, per la tua infideltà. Non però, vinta dall'amor grande che io ti porto, voglio in ogni modo aiutarti. Ma che rimedio vi sarà, Bianchetta mia?

BIANCHETTA

Il rimedio sarà quella cosa per cui s'impastano tutte le cose.

CORNELIA

Che? Non v'intendo.

BIANCHETTA

La pecunia.

CORNELIA

Bastano cento scudi?

BIANCHETTA

Credo di sì.

CORNELIA

E se non bastano, non mi curo di buttar via la robba, e appresso la vita. Dilli che stia di buon animo, che appresso mandarò il mio procuratore per aiutarlo con li denari e con la ragione che tiene, perchè non deve morire non avendo colpa.

CAMILLO

Io mi ravivo tutto. Oh, come falliscono al spesso li giudizii nostri!

BIANCHETTA

Signora mia, il pericolo sta nella tardanza, e perciò state contenta di dare a me il recapito, perchè dove comparisce il Marchese di Santa Croce, non servono li procuratori.

CORNELIA

Dite bene. Aspettate, che vado a pigliar i denari.

BIANCHETTA

Ecco due tordi ad un laccio. Che dite, Camillo? Non son io valorosa più dell'Amazone? Averemo denari freschi, speranze calde, e buona volontà.

CAMILLO

Voi meritate un colosso a perpetua memoria d'un'opra così rilevata. Ma che faremo appresso?

BIANCHETTA

Fermati, metti l'ale, e poi vola, e vola pian piano, che chi camina pian piano tu sai che fa buon passo. Ma, olà, rimettetevi nel pagliarotto, che già torremo i tordi, per noi fatti tornesi.

CORNELIA

Prendi, Bianchetta; torna presto, soccorri quel misero, che scampando uno, scamparai due vite, sostenute già da un palo, e dilli che io per troppo am... am... Ahimè!

BIANCHETTA

Ahimè, tramortì, cadde! Che farò? Cornelia! Cornelia!

CAMILLO

Tristo me! Vita mia, cuor mio, Cornelia cortesissima, che col pensiero di salvarmi, ne morrai tu degna di viver sempre. Lascia i rispetti, dispetti e sospetti, che vengo, alma beata e hella, per seguirti ovunque ne andrai. Deh, sorte inimica, per brevi punti amica, torna, ti prego, a pacificarti meco con uccidermi tosto, acciò morendo insieme possa dir con ragione: «Dolce mi fu mentre la vidi in terra, - or che fia dunque a rivederla in cielo?»

CORNELIA

Camillo!

CAMILLO

Cornelia!

CORNELIA

Camillo mio, sei qui?

CAMILLO

Cornelia mia, sei viva?

CORNELIA

Viva, per viver sempre a te, che sei la vita mia. E tu, come sei vivo, s'io t'avevo già per morto?

CAMILLO

Non potrò mai morire, mentre sarai tu viva, perchè sempre m'avivi col tuo vivace affetto.

CORNELIA

Entra, che poi diremo tutte le cose a pieno.

BIANCHETTA

Ite a goder, amanti, che io stipo i contanti.

Atto IV

Scena 1

LAVINIA

Prima che io vadi nella camera terrena, dove starò aspettando il sole di questi occhi miei, son risoluta di venire in porta per vedere se mia madre o altri sopravenisse; ma poichè nessuno vedo, vado più sicura nel campo dove Amor dolcemente mi mena. Ma ahimè! Chi mi assale e pretende? Chi mi lega e ritiene? Che gelo è questo che mi va per l'ossa? E chi mi vieta che non vadi? Mi avedo, misera, che Amor e Onor contendono insieme. Amor consente, Onor dissente; Amor invia, Onor disvia; Amor accende, Onor aggiaccia; Amor permette, Onor vieta, che io non vadi. Ahi! che tra 'l sì e 'l no, tra male e bene, tra fuoco e giaccio, e tra senso e ragione, finalmente mi trovo. So che se dal fuggir Giovan Luigi che mi fugge, e non lasciar Flavio che mi segue, è male l'amor di quello, sta bene l'amor di questo. Il fuoco dell'uno non arde, il giaccio dell'altro riscalda. Il senso mi distoglie, e la ragion mi raffrena. Non so che mi fare. Aiutami, Cielo, che in te sperando spero, e se ben vado, farai che resti salvo l'onor mio, e che io rispondi all'amor di colui che di ragione deve esser amato.

Scena 2

FLAMINIO

Ecco pur, cieco e semplice Flavio, che inavedutamente corri alla tua morte, a guisa di cieca e sempliciotta farfalla, che vaga del lume, suol volar su gli occhi altrui, che fastidito nell'ultimo da gli importuni assalti, l'uccide. Così tu, misero, per godere il lume del tuo vivo sole non t'avedi che Lavinia fastidita al fine della tua importunità, e maggiormente da quest'abito che porti a dosso, ti cacciarà via; e tu vinto dal profondo dolore ne morrai del certo; e del certo ne morrò. Infelice me, non tanto per causa del mio danno, quanto per il dispiacere che si prenderà la mia crudelissima nemica! Ma poi che Amor mi ha posto come segno a strale, è forza che io mi espona a quest'altro pericolo; che se bene l'uomo misero non crede a gran speranza, dopo la notte ne viene il giorno, appresso il torbido il sereno: e in fine, che non può far un cuor continuo amando? Entrarò pure.

Scena 3

FRANCESCHETTO

Così si fanno le belle burle! Camillo si credeva d'aver colto il pero, ma io glie l'ho tratto dalle mani. Come lo viddi entrare in camera con la Signora madre, pensai subito alle triste miserie, che se ben son figliuolo, nacqui con li denti in bocca, e m'avverto d'ogni cosa. Càncaro, che dolci bascini si davano l'un l'altro! E allora pian piano volevano serrar l'uscio, ma mi misi a piangere e gridar forte, in tanto che la Signora uscì fuora, per saper la causa del mio pianto. Ma io tutto malizioso piangendo, fuggendo, ed ella appresso, mi ridussi sotto la cantina, dove presto presto gettai un sasso nella cisterna, e poi subito con un salto passai da quell'altra porta, lasciando mia madre gridando: “figlio mio, che sei caduto nel pozzo!” E facendomi sopra di novo, serrai destro destro la camera dove stava Camillo disteso sul letto: io lo serrai con questa chiave che porto meco. Adesso che il merlo è in gabbia, non potrà entrare in selva, e mi risolvo di riferir il tutto a quell'uomo che trovai con Leandro, perchè mi parlò un'altra volta in piazza, promettendomi un cappello con le piume e mill'altre cose, pur che io le dicessi quanto si fa in casa. Alla fè, ora che sta sotto le reti li voglio schiacciare il capo, e io averò il cappello con le piume bianche, e mia madre possa perder l'anche.

Scena 4

PASQUINA

Oh che bel colpo! In un taglio troncarò doi rami, la superbia di Lavinia e l'importunità di Giovan Luigi. Quella impararà non batter più le serve, e questo di non travagliar le donne da bene. Così pate chi prosume troppo, così merita chi disturba i fatti altrui. La vecchia traditora ha ordito la bella tela, ma io gli ho rotto il subbio nelle mani, di modo che non lo potrà più avolgere. Intesi già tutto il concerto allora, quando mi trovai a tempo in la finestra: che ora ho messo il cardine su la porta della camera, dove prima era entrata Lavinia in loco mio e dove appresso è entrato il gentil molinaro, di modo che non potranno uscir fuora mentre che io vado a chiamar la madre, il padregno e il fratello, per far castigar l'uno e l'altro. Dice ben quel proverbio di messer Alberto: chi noce altrui, paga con il tempo i falli sui. Vado di qua, che la strada è più corta.

Scena 5

FLAMINIO

Tu sai, Magagna, che da corsaro a corsaro non si perde altro che li barili; e per ciò t'inganni se pensi passarla con le burle, a non farmi vedere quel che porti sotto. Anzi, quanto più ricusi, tanto più mi inciti a saperlo. Risolviti dunque, e lasciami vedere, poi che l'animo mi predice non so che.

MAGAGNA

Non è niente, non importa niente a Vostra Signoria. Per l'anima di Marella mia figlia, son certe cose, come a dire certe coselle di femine; e sapete che le femine voglion le cose coperte, servendosi di quel proverbio: a latte coperto non vi cadeno mosche.

FLAMINIO

Parole! Son risoluto già, non ti credo. Leva via quella cappa. Che hai? Che porti sotto?

MAGAGNA

Aspetta, Signor Flaminio. Vedi, che non s'assaltano così gli uomini da bene in strada; vedi, che in Roma si fa la giustizia. Vedi, che te ne potrai pentire. Vedi tu, vedi che io... Vedi, che io mi farò sentire. Vedi, che tu hai che perdere, che se ben io son povero e tu sei ricco, la giustizia val per tutti.

FLAMINIO

Vedi che io ti romparò la testa, se mi replichi, forfantone che sei! Levati di là, passa di qua! Scopri, lascia che io veda.

MAGAGNA

L'uomo incappa sempre dove non vuole. Orsù, facciamo conto che l'avessi veduta. Che ti gioverà a veder li fatti d'altri? Lasciami andar, di grazia, che sarà meglio per te.

FLAMINIO

In somma, è perduta la cortesia che s'usa con villani. Vederò da me stesso che fardello hai sotto. Queste son vesti di lutto, e mi paiono quelle della Signora Ersilia. Come stanno così bagnate? Ohimè! Le mani me si tingono di sangue: che sangue è questo?

MAGAGNA

Signor, è sangue... è sangue, Signore. E così, per buona sorte è sangue.

FLAMINIO

Io so molto bene che è sangue. Ma di chi? E donde è causato?

MAGAGNA

È causato, verbi gratia, io... tu... perchè... avendo... il quale... Ahimè! non so che dire.

FLAMINIO

Tu non mi darai più la burla, scuopri via, scuopri via! Tu tremi? Che bacile è questo? Ohimè! tristo me! sconsolato me! Che veggio? Questo è il capo di Ersilia mia! Ed è pur esso, meschino me! Che cosa è questa? Chi mi t'ha tolto? Chi t'ha separato da quel bellissimo corpo, anima mia? Ersilia mia cara! Magagna traditore, che tradimento è questo? Chi l'ha uccisa?

MAGAGNA

Quello che è spirto, e sparte, e sponta, e sprezza, e spezza.

FLAMINIO

Deh, vita mia! Tu viva e crudele causavi la mia dolce morte, adesso morta e dispettosa cagioni l'amara vita mia; allora desiderando di vivere e sperando che col tempo si riscaldasse il tuo giaccio, ma ora che fredda ti tocco, vorrei morire e non posso. Anima bella, so che sei in parte dove discopri il vero: tu già discopri che mi fosti spietata, che io soffriva amando, e che pietà e non vendetta cerco. Chi dunque si vendica di te, s'io ero l'offeso, e ti pregai sempre la vita? Chi mi t'ha morta, o vita mia? Come vive chi è stato causa della tua morte? E tu, boia infame, perchè l'uccidesti? Dimmi, e dammi conto del perduto mio bene.

MAGAGNA

Parla onesto, Signor Flaminio, che io non sono nè boia, nè infame, ma gentiluomo come tutti gli altri gentiluomini, se bene mi vedi così misero per mia volontà: e s'altri pretendono di esser nobili di quarti, io son nobile di tùmolo, che importa più. E senti la ragione.

FLAMINIO

Non mi curo di sentirla. Ma dimmi l'origine, l'autore, l'esecutore d'un fatto così empio, così scelerato,

MAGAGNA

L'origine della casa mia, qual è Stoppiello, principiò in Magagna Stoppiello seniore. Da Magagna nascè Muccio, e si fece un quarto. Da Muccio venne Stuccio, e furon tre Stoppielli. Stuccio generò Succimuccio, ed eccoti un mezzetto. A Succimuccio successe Miccio, e sono cinque Stoppielli. Miccio sfoderò Sticcio, ed ecco tre quarti. Da Sticcio uscì Cacamiccio, e avemo sette Stop<p>ielli. Cacamiccio cacò me, ed eccoti un tùmolo. Ora vedi mo se allo Regno di Napoli ci è una casa così principale come è la mia.

FLAMINIO

Sia come si voglia! Io pretendo solamente sapere chi è stato il crudele che uccise Ersilia.

MAGAGNA

Anzi il Petrarca ne fa menzione di questa casata, quando disse: «Giunto Alessandro alla famosa tomba...»: tomba, cioè tùmolo.

FLAMINIO

Or poichè non mi vuoi dire il vero, e te ne stai burlando a tempo che il caso è lagrimevole, e il luogo così publico nol ricercano, intendo partirmi e portar meco questa reliquia, acciò possa farti castigare dalla giustizia: che se ben io avevo determinato vendicarmi con questa spada, non però pretendo saper primieramente li complici e fautori.

MAGAGNA

Ah, ah, ah, ah!

FLAMINIO

Tu te ne ridi? E perchè?

MAGAGNA

Come non vuoi che io rida, se io ti vedo far proprio come fa il cocodrillo?

FLAMINIO

Io non t'intendo.

MAGAGNA

Il cocodrillo dopo aver ammazzato l'uomo, se lo mette a piangere.

FLAMINIO

Lo so, ma nè anco t'intendo.

MAGAGNA

Ah, ah, ah! Ora mi è sovenuto un garbuglio grande per ricuperar la testa, e per levarmi dinanzi Camillo.

FLAMINIO

Con chi parli? Perchè ridi? Che dicesti di Camillo?

MAGAGNA

Camillo e tu sarete molto ben castigati: e a questo fine io portavo copertamente le vesti e il capo d'Ersilia al Governatore, per farvi castigare e punire come omicidiarii delle povere femine, che prima le uccidete, e poi le state a piangere.

FLAMINIO

Che sento? Che dici? Camillo dunque l'ha uccisa?

MAGAGNA

Camillo e tu, uomini da bene che sete! Bell'onore vi avete acquistato in uccidere questa povera figliuola, che era un pane di zuccaro, una semplice colomba, e una donna senza fele.

FLAMINIO

Di me, non dici il vero. Dubito d'alcun inganno di quel traditore e fraudolente di Camillo. Dimmi, di grazia, tutto il successo per minuto.

MAGAGNA

Vedendosi Camillo discacciato dalla Signora per conto d'Ersilia, e tu sdegnato che non t'amava, sete venuti insieme questa mattina travestiti in casa e, crudelmente troncandoli prima il capo, l'avete poi percossa con più ferite. Ahimè! Che in pensarci mi si schianta il cuore.

FLAMINIO

Eri tu allora in casa?

MAGAGNA

Era, troppo: ma che potevo fare, io solo, servitore e vecchio, contra di doi padroni e giovani? Tanto più che la Signora Cornelia dormiva.

FLAMINIO

E conosceste me chiaramente?

MAGAGNA

Quanto a te non troppo bene, per rispetto del pappafico che avevi in faccia. Ma Camillo, stando scoperto, lo conobbi chiaramente.

FLAMINIO

Dunque dici affermativamente che son stato io?

MAGAGNA

Perchè Camillo diceva: «dàlli, dàlli, Flaminio, beviamoci il sangue di questa crudele». Ed ella sfortunata non potè dir altro, eccetto: «e tu ancora, Flaminio? Ah! Flaminio, e tu ancora?», quasi volesse dire: che t'ho fatto io? Perchè m'uccidi, Flaminio?

FLAMINIO

Oh, gran tradimento! oh, traditor crudele! oh, fatto degno di mille vendette! Innocente fanciulla! Io vendicarò la tua morte sopra dell'empio omicida e del compagno ancora, qual credo sia stato Flavio, poi che insieme si partirno, non curandosi di me. Io crepo di rabbia. Non posso contenermi. Vo' partir di qua. Ecco, Magagna, il capo. Vattene a casa. Conservalo in mio nome, che senza cercar giustizia saranno molto ben puniti, quei traditori infami.

MAGAGNA

Perdonami, Signor mio. Confesso aver errato, perchè in nominarmi Flavio mi son ricordato di quel vigliacco di Camillo che diceva: «dàlli, dàlli, Flavio», e non «Flaminio»; la somiglianza delli nomi me t'ha fatto incolpare a torto. Orsù, conoscendo che farai subito l'effetto contra quei forfanti, mi risolvo andar in casa, e communicando il tutto con la Signora, son certo che li piacerà la determinazione di Vostra Signoria. Mi raccommando, con avertirli che quel che si ha da fare si faccia presto.

FLAMINIO

Vanne pure, che io vagando con l'intelletto non posso aver luogo stabile.

MAGAGNA

Buona è venuta, a fè! Chi scampa un'ora, cent'anni vive. Io ne ho scampato una, e farò campare poco l'altro. Intrarò da questa porta, già che da quella strada veggo venir non so chi.

Scena 6

CAMILLO

Poichè Cornelia è perfida e crudele, dirò che ognuno è perfido e crudele. Io credevo fermamente che l'amor suo fusse vero e che avesse di me pietà: ma fu finto l'amore, fu cruda quella pietà. Ella m'introdusse bellamente in camera; ma uscendone poi, mi serrò dentro, con animo senza dubio di farmi uccidere, come ha fatto della povera Ersilia. Ma Dio, che spesso gl'innocenti aiuta, mi misse in cuore che io calasse dalla finestra, la quale se ben è alta, mi son pur salvato illeso. Onde ella, ritornando con gli assassini, restarà col suo inganno ingannata. Ma chi è quel giovinetto moro, che timido e sospeso se ne vien di là?

ERSILIA

Le pene mi son care e li martirii mi son dolci per te, caro e dolce mio bene. Ma... eccolo, sbigottito e pauroso! Ohimè! tremo e temo. M'accostarò pure, già che tutte le nubi non possono coprire il sole delle sue bellezze, e fingerò con bel modo andar dalla lunga. In fine Roma è bella, Roma è buona, ma per me non suona. A Dio, quel Cavaliero.

CAMILLO

A Dio, quel giovinetto.

ERSILIA

Godo almeno d'un saluto furtivo.

CAMILLO

Che cerchi? Che pretendi? Perchè ti volgi in là?

ERSILIA

Cerco mia ventura, pretendo mercede, e mi volgo, conoscendomi indegno della presenza vostra.

CAMILLO

Queste parole non son mica da schiavo. Sei nato in Roma?

ERSILIA

In Roma.

CAMILLO

Sei schiavo, o libero?

ERSILIA

Libero per nascimento, ma schiavo per volontà.

CAMILLO

E di chi?

ERSILIA

D'un Cavalier come voi, a chi ho servito e servo con tutto il cuore; e l'ingrato mi nega la mercede del servito.

CAMILLO

Son veramente parti indegne di Cavaliero, e in Roma non si usa questa tirannide.

ERSILIA

E per ciò son disgraziato, che fuor d'ogni costume a me si ristringe quel che a gli altri è largo.

CAMILLO

Ahimè!

ERSILIA

Che cosa avete, Signore?

CAMILLO

Vorrei esser servo come sei tu, e non servo come son io.

ERSILIA

Al contrario; e io vorrei esser come voi, e non servo come son io.

CAMILLO

Basta, non accade trattar teco queste parole. Va con Dio, figlio mio, va.

ERSILIA

E dove volete che io vada, avendo ritrovato quel che andavo cercando? L'aria di Vostra Signoria mi piace tanto che, volendo, vi vorrei servire, sperando d'esser sodisfatto per l'avenire, se non ho potuto per il passato.

CAMILLO

Vanne pure, che io ho altri pensieri nel capo.

ERSILIA

E io son qui per levarvi ogni pensiero, sicuro che conoscendo il mio servizio, ne restarete contento per sempre. Ma dove andate?

CAMILLO

Dove mi piace. Che ne vuoi saper tu?

ERSILIA

Vuo' saperlo, perchè vi sarò sempre appresso come servo, che volontariamente mi vi dono.

CAMILLO

Ti ringrazio di questa buona volontà. Procacciati d'altro padrone, che io non ho bisogno di servo. E pur mi sei dietro. Vattene, dico.

ERSILIA

Non posso.

CAMILLO

Oh, questa sarà bella! Che vuoi?

ERSILIA

Servirvi.

CAMILLO

A me non serve il tuo servire.

ERSILIA

E a me giova che io vi servi.

CAMILLO

Se tu non mi lasci, mi farai uscir del manico.

ERSILIA

Fate come volete.

CAMILLO

Tira via, fraschetta, non mi rompere il capo. E pur mi segui? Or prendi questo calcio. Vattene in malora.

ERSILIA

E questo ancora sopporto pazientemente; e a guisa di fedel cagna, che pur battuta ritorna al suo padrone, così ritorno a voi.

CAMILLO

L'amorevolezza di costui mi sforza ad ascoltarlo, con tutto che mi trovo travagliato di mente. Dimmi, giovane, chi è quel tuo padrone?

ERSILIA

Non sta molto lontan di qua.

CAMILLO

Dunque abita in questa strada?

ERSILIA

Qui dimora.

CAMILLO

Come si domanda?

ERSILIA

Camillo.

CAMILLO

Camillo di chi?

ERSILIA

Camillo della mia morte.

CAMILLO

Mira che strano cognome.

ERSILIA

Più strani sono li fatti.

CAMILLO

Per che causa non pretende pagarti?

ERSILIA

Per mia disgrazia, e per sua crudeltà.

CAMILLO

Tiene il torto per certo.

ERSILIA

Il medemo torto tenete voi, che volendovi servire, non accettate la mia servitù.

CAMILLO

Siamo in casi differenti. Ma dimmi, donde nasce questa sùbita affezione che mi porti?

ERSILIA

Non è sùbita, nè anco nasce al presente: poi che affrontandosi il mio sangue col vostro, è segno che la natura me lo diede dalle fasce, e d'allora coverta, comincia adesso a scoprirsi.

CAMILLO

Oh, tu mi ragioni per filosofia! Hai studiato, quel giovane?

ERSILIA

Ho studiato, e studio, ad amare e servire, e ancora non trovo chi mi corrisponda. L'essempio si vede in voi, che mi vi sono offerto per servire, e mi rifiutate.

CAMILLO

Ahi! che passò il tempo che io dominava. Mi trovo adesso in così misero stato, che lo cambiarei volontieri col più vile e abietto del mondo.

ERSILIA

E perchè?

CAMILLO

Perchè ho perduto ogni mio bene.

ERSILIA

O Dio! chi sa se intendesse di me? Aiutami, sorte!

CAMILLO

Tu parli fra te stesso? Che dici di sorte?

ERSILIA

Mi doglio che non m'aiuta la sorte.

CAMILLO

E a me peggio.

ERSILIA

Signor mio, quantunche mi vedete giovane, nondimeno essendo stato in corte di chi del mio danno è signore, so molti rimedii e ho pratica di molte cose, che, volendo conferir meco i vostri segreti, credo che vi potrò giovare.

CAMILLO

Il mio male è senza rimedio.

ERSILIA

Ad ogni male è rimedio, dopo la morte.

CAMILLO

Ahimè, morte crudele!

ERSILIA

Dunque morte v'ha tolto il vostro bene? E non è perduto, come dicevate dianzi?

CAMILLO

Peggio che morte.

ERSILIA

Che più peggio! Sarà forse morte violenta, o di laccio, o di ferro, o d'altro?

CAMILLO

Ahimè! che tu m'uccidi a ricordarmi l'iniquo tradimento.

ERSILIA

Deh, se fosse io la tradita!

CAMILLO

O Ersilia, causa d'ogni mio tormento, d'ogni mio danno!

ERSILIA

O Dio, che sento? Dunque questa Ersilia è morta?

CAMILLO

Morta.

ERSILIA

Era forse la vostra innamorata?

CAMILLO

Innamorata.

ERSILIA

La sua morte vi duole?

CAMILLO

Duole.

ERSILIA

E vorresti che fusse viva?

CAMILLO

Viva.

ERSILIA

Dunque voi amavate lei?

CAMILLO

No.

ERSILIA

Perchè dunque vi duole? Perchè la vorresti viva?

CAMILLO

Per vederla in maggior tormento che di morte.

ERSILIA

Ahimè!

CAMILLO

Perchè ti duoli, e taci, moro?

ERSILIA

Taccio, che moro sono, perchè non mi è lecito passar più innanzi.

CAMILLO

Perchè?

ERSILIA

Per la riverenza che vi porto, che io vi vorrei chiamare il crudelaccio, poichè desiderate peggio che morte ad una che vi amava.

CAMILLO

Ti darò poi la risposta. Vedo venir di là il Signor Flaminio, furioso e molto turbato. Averà inteso forse la morte d'Ersilia. Sentiamo che dice.

Scena 7

FLAMINIO

Qui sei, traditore? Così si stima la giustizia? Così s'uccidono gl'innocenti? Così si trattano gli amici? Così si teme Iddio? Indegno di viver più! Metti mano per quella spada, che io ti farò conoscere che con ogni ragione prendo vendetta di quell'anima, che tra le beate è bella.

CAMILLO

Che alterazioni, che motivi son cotesti? Io metto mano per difendermi, e non per offender voi, Signor Flaminio. E ditemi, che strano accidente vi move a romper le leggi dell'amicizia, a voler uccider colui che metteria mille vite per voi?

FLAMINIO

Ah, falso, perverso, iniquo, traditore! Due volte mi hai tradito, e in quest'ultima, avendomi tolto il mio bene e la vita mia, è forza che io ti tolga la vita per toglier dal mondo un orrendo mostro come tu sei: e per ciò non ti accade a tardar più. Alle mani, alli colpi, alla vendetta!

ERSILIA

Così si tratta il mio padrone? Levati di là, che se egli attende solamente a ripararsi, io mi adoprarò a levarti da questo mondo.

FLAMINIO

E ancora a te farò conoscere che vaglio per l'uno e per l'altro: non stimo soverchiaria, mentre difendo il giusto. E mi rallegro che in un tratto mi vendicarò di tutti due, presago che tu sarai il compagno di questo misfatto.

CAMILLO

Posate, di grazia, l'arme, Signor Flaminio, e dite la causa del vostro orgoglio: perchè, intese le mie giustificazioni, mi contento di lasciar in man vostra l'esecuzione di farmi vivere o morire.

ERSILIA

Morire? Che dite? Morrò io più presto mille volte, che comportar che vi si tocchi un pelo.

FLAMINIO

Eh, Camillo! Camillo! non mi voler offender più con voler saper quel che molto ben sai. Che ti fece mai Ersilia, che l'hai fatta crudelmente morire?

CAMILLO

È vero che io ne fui causa, ma...

ERSILIA

Che ma? Non è stato egli, ma io son la causa della sua morte, e per ciò uccidete me, e non lui.

FLAMINIO

Ucciderò l'uno e l'altro! Levati di là: menate pur le mani.

ERSILIA

Se volete tener del giusto, liberate questo innocente e sfogate l'ira sopra di me, che vi rappresento il petto prontamente. Eccolo, passatelo con questa spada. Uccidetemi, e lasciate vivo Camillo.

CAMILLO

Fermatevi, Signor Flaminio; costui lo dice per l'affezion grande che porta a me. Io sono veramente il colpato, e non esso. Io merito morire, e non lui. Uccidetemi.

ERSILIA

Sarebbe fuor di ragione a lasciar punito il bene e impunito il male. Io son causa di questo male: io merito la pena.

CAMILLO

Nol credete, Signor Flaminio: egli è così innocente, come io sono nocente. Togliete a me la vita, e lasciate andar lui.

FLAMINIO

Oh, che intrico è questo! Chi di voi m'ha offeso?

ERSILIA

Io.

CAMILLO

Io.

ERSILIA

Eh, no.

FLAMINIO

Chi di voi ha ucciso Ersilia?

ERSILIA

Io.

CAMILLO

Io.

ERSILIA

Non è così.

CAMILLO

Non è vero.

FLAMINIO

Chi merita di morire?

ERSILIA

Io.

CAMILLO

Io.

ERSILIA

Deh! nol dire.

CAMILLO

Deh! nol fare.

FLAMINIO

State pur larghi, non vorrei che mi vincesti di mano. Dunque ucciderò l'uno e l'altro.

ERSILIA

Me solo.

CAMILLO

Me solo.

FLAMINIO

Aspettate un poco: chi di voi, travestito, con un altro compagno, è andato in casa di Cornelia e ha ucciso Ersilia?

ERSILIA

Non io.

CAMILLO

Nè io.

FLAMINIO

Chi di voi ha tronco il capo?

ERSILIA

Nessuno.

CAMILLO

Nessuno.

FLAMINIO

Ah, traditore! Come dianzi dicesti di sì?

CAMILLO

Signor Flaminio, io vi ho detto, e vi ridico, che io sono stato causa della morte di Ersilia, e il fatto passa così: che amandomi la giovane ferventemente, e avendone gelosia la Signora Cornelia, ha commesso a Magagna che l'uccida; però s'ella è morta, nè io nè costui siamo consapevoli.

FLAMINIO

Ohimè, che sento!

ERSILIA

Oh, oh! fermate, che in nominarmi Magagna, Cornelia ed Ersilia, mi è sovenuto come questa mattina, standomi in certe case rimote, intesi una voce che si lamentava, dicendo: «Deh, Magagna, che t'ho fatto io? perchè mi vuoi uccidere?» Ed egli replicava: «Pazienzia, Ersilia, così vuol Cornelia». Io mi messi alla spia, e viddi che la povera giovane seppe tanto fare e tanto dire, che ridusse Magagna a girsene seco in casa di non so chi scultore, per farsi scolpire la testa d'Ersilia al naturale, con la quale, e con le vesti insanguinate, averebbe fatto credere a Cornelia l'omicidio.

CAMILLO

Certo così sarà.

FLAMINIO

Così mi par verisimile. E quella testa che io viddi, sarà contrafatta?

ERSILIA

Credetemi, che io ne parlo come di cosa propria.

FLAMINIO

Dimmi, che si risolse poi di fare Ersilia?

ERSILIA

Si risolse a vestirsi da uomo, come al presente vado io, e cercar altrove sua ventura.

FLAMINIO

Dunque Ersilia è viva?

ERSILIA

È viva come son io.

FLAMINIO

E dove al presente si trova?

ERSILIA

Al presente si trova in questa città, perchè deliberò volersi partir domani.

FLAMINIO

Non è tempo di perder tempo. Vuo' partirmi.

ERSILIA

E dove volete andare?

FLAMINIO

A trovarla, se ben fosse nell'inferno.

ERSILIA

E che importa a voi di trovarla? Parmi che importi al Signor Camillo, poi che era la sua innamorata.

CAMILLO

E che importa a me? Se non fusse per conto del Signor Flaminio, vorria che Ersilia fusse arsa e abbrugiata mille volte, poi ch'ella è causa del mio danno.

ERSILIA

Ahimè!

CAMILLO

Che cosa hai?

ERSILIA

Un dolor colico che spesso mi tormenta. Ahimè, misero!

CAMILLO

Hai bisogno di qualche aiuto, moretto mio?

ERSILIA

O Dio!

CAMILLO

Ti passò forse?

ERSILIA

Mi passò per quel mio stringere che ho fatto sopra la pancia.

FLAMINIO

Orsù, mi parto con ferma deliberazione di soprasedere, fin che m'informi della verità, secondo la quale potrò determinare o di seguir l'effetto contro di voi, o di cercarvi perdono del fallo.

ERSILIA

Si trovarà come io ho detto; non bisogna dubitar punto.

CAMILLO

Io m'imagino che quell'infame di Magagna averà macchinato questo tradimento contra di me, e per ciò vi prego, Signor Flaminio, a dirmi, se m'è lecito saperlo, s'egli è stato il traditore.

FLAMINIO

Poi che il moretto m'assicura del negozio, argomento esser falso quanto m'ha detto Magagna, e vi prometto dirvi appresso il particulare. Perdonatemi, non posso star più con voi, che dove sta Ersilia, ivi sta il mio cuore, e senza lei vivo senza la vita.

CAMILLO

Ecco, Signor Flaminio, che non si deve credere a referendarii, nè moversi l'amico così leggermente contra l'amico, se prima non s'informa minutamente del fatto.

FLAMINIO

Ogni cosa saldarà il tempo. Ma per adesso vorrei saper dove si trova colei, per cui amando moro.

CAMILLO

Andiamo, che vi darò il modo di trovarla, e vi sarò sempre appresso, offerendomi patir sempre disagio infin che si trovi colei che nominar non posso per l'odio grande che li porto.

ERSILIA

Ahimè! che io moro.

CAMILLO

Che ti è successo?

ERSILIA

Un'altra volta quel male.

CAMILLO

Non dubitar: datti buon animo.

ERSILIA

Voi solo mi potete dar l'anima.

CAMILLO

Che dici?

ERSILIA

Dico che non sono senz'animo, ma come un corpo senz'anima.

FLAMINIO

Orsù, non più. Andiamo.

CAMILLO

Andiamo per quest'altra strada. E tu, moretto, vatti con Dio. A rivederci, e dove ti posso far piacere, commandami.

ERSILIA

Io vi commando, se commandar vel posso, che mi lasciate venir appresso di voi, restando servito che io vi servi.

CAMILLO

Eh no, figlio mio, a un altro tempo, a un altro tempo, poi.

ERSILIA

Deh, cieli, che sorte crudele è la mia! Che non mi giova amar perfettamente, servir spontaneamente, patir pazientemente. Uh, uh, uh!

CAMILLO

Non pianger, moretto mio; fermati in questo luoco, overo aspettami in Banchi, che spedito il negozio del Signor Flaminio verrò a trovarti subito.

ERSILIA

Farrò quanto voi volete. Ma che farai qui, misera Ersilia, come nave senza nocchiero, agnella senza pastore, inferma senza medico? E poi che ti trovi in mezzo all'onde agitata, tra' boschi smarrita, con la febre sola, non lasciar il nocchiero, il pastore, il medico, acciò non t'affoghi, non ti perdi, non ti muori. Andrò dove egli andrà, che spero di pigliar porto, mettermi in via, e trovar medicina al mio male, continuandoli appresso i miei sospiri.

Scena 8

ALBERTO

Chi tarda ad attendere mostra di voler negare e pentirsi della promessa. Ma, ohimè! parmi sentir romore in casa della Signora Cornelia; e se io non erro, la voce è di Magagna. Esce piangendo, ed ella appresso col bastone in mano. Che novità son queste? Ritiriamoci e sentiamo un poco.

MAGAGNA

Ohimè, Signora padrona mia, che male ho fatto io? In che t'ho offeso? Se così vecchio come sono, mi batti e mi cacci di casa a tempo che sono vero esecutore dell'ordine tuo...

CORNELIA

Infame, omicida, traditore, così si tingono le mani nel sangue de' nobili? Così si uccidono le povere figliuole? Ti farò castigare, ti farò mettere un capestro al collo.

MAGAGNA

Questo è un altro diavolo! E che colpa è la mia, se voi medema me l'avete commandato? Non importa, che se la giustizia vuole, toccarà prima a voi, ad esser impiccata, e dopo a me! E io non me ne curo, pur che siamo impiccati insieme, giustamente, per vedere se potessimo fare un figlio in aria, poi che non l'avemo potuto fare in terra.

CORNELIA

Io te l'ho commandato? Si vederà appresso! Dunque perchè il padrone si trova in còlera, e commanda una cosa ingiusta e fatto scelerato, il servitore l'ha da essequire? Signor no! Dovevi considerare che io per còlera lo diceva, e non che fosse stata così la volontà mia.

MAGAGNA

Di maniera che se io non l'uccideva, averia fatto meglio?

CORNELIA

Meglio!

MANILIO

Questi parlano di uccidere: che domine sarà? Che dite, Messer Alberto? Voi sete cambiato in vista; par che volete parlare, e non potete. Che vi è successo?

ALBERTO

Oh, che intrico! oh, che disturbo! Sappi che questa è Cornelia, mia prima moglie. Io la riconosco molto bene. Misero me! Nè mi posso imaginare in che modo sia viva, s'io l'ebbi già per morta.

MANILIO

Ohimè! che dite?

ALBERTO

Tant'è: osserviamola prima, e poi vi dirò.

CORNELIA

Perchè taci, Magagna? Perchè non parli più? Perchè non segui quel che volevi dire?

MAGAGNA

Dico: se per sorte Ersilia fusse viva, che meritarei?

CORNELIA

Meritaresti che io ti facessi ritornare in casa.

MAGAGNA

E niente più?

CORNELIA

E che più?

MAGAGNA

Quell'altra cosa.

CORNELIA

Che cosa?

MAGAGNA

La promessa.

CORNELIA

Che promessa?

MAGAGNA

Di fare...

CORNELIA

Che?

MAGAGNA

...il vis et volo.

CORNELIA

Non t'intendo.

MAGAGNA

Il matrimonio...

CORNELIA

Che matrimonio?

MAGAGNA

Tra te e me.

CORNELIA

Tra te e me? Oh, vigliacco, poltrone, forfante!

MAGAGNA

Non tel diss'io che il povero va sempre per terra? Orsù, ti voglio dir la verità. Sappiate, Signora Cornelia, che quella non è la testa di Ersilia, ma una testa contrafatta al naturale, per farvi credere che l'aveva uccisa: non però, essa è viva, come tutti li viventi.

CORNELIA

E dove sta?

MAGAGNA

Si è vestita da uomo e va cercando il suo Camillo.

CORNELIA

Sì, ah? E per questo Camillo è fuggito dalla mia camera, per andare a trovar quella sciaguratella! Questo è concerto fatto da voi. Così m'hai tradita, Magagna? Deh! traditore, assassino, adesso più che mai ti vuo' dar, ladro, furbo! A me questo tradimento, ah!

MAGAGNA

Ora questa sì che è bella! Se Ersilia è viva, è male; se è morta, è peggio. Che domine pretendete da me? Che cercate? Non volete che Ersilia sia viva?

CORNELIA

Adesso vorrei che fosse morta.

MAGAGNA

Di questa maniera bisognarà tenere affittata la natura, che a modo vostro facesse e disfacesse le persone.

CORNELIA

Non più parole. T'ho inteso già: provederò io di sorte che tutti tre restiate castigati. Sfratta via, levati di qua, non ti accostar più in questa casa.

MAGAGNA

Al manco, Signora mia, datemi quei tre carlini che mi dovete dare.

CORNELIA

Ti darò tre legni per la forca, che t'appicchi. Tira via, forfantone.

MAGAGNA

O Magagna, mercante fallito, che hai perso le ragioni tue, come le femine. Lasciami andare, che essendo la donna mutabil di natura, spero trovar pietà, non che perdono.

Scena 9

CORNELIA

Che dici? che tratti? che pensi più, Cornelia? Amor ti lusinga, gelosia ti consuma e il senso t'inganna. Che partito sarà il tuo, se la terra, se il cielo, se gli uomini ti sono contrarii? Ma che vogliono costoro?

ALBERTO

Vien meco, Messer Manilio, che io vuo' chiarirmi del tutto. Bascio le mani di Vostra Signoria, Signora Cornelia: son certo che ella non mi conoscerà.

CORNELIA

Non io. Chi sete voi?

ALBERTO

La longhezza del tempo, questa barba che allora non avevo e la mutazion dell'abito vi han chiuso gli occhi della conscienza. Sappiate che io mi chiamo Alberto, e fui molto amico di Muzio, vostro primo marito.

CORNELIA

Questo è proprio un ricordar li morti a tavola! Che n'importa ragionar de' morti? Stiansi i morti con li morti, e i vivi con li vivi.

ALBERTO

Ma se per sorte Muzio fusse vivo?

CORNELIA

Se fusse vivo, averebbe pazienzia con farsi il fatto suo. Che ci arei da far io con Muzio, se venisse di novo al mondo?

ALBERTO

Io, come amico suo cordialissimo, rappresento l'istessa persona di Muzio, e mi lamento in suo nome di voi; e dico che l'amore e la fede e l'affezion grande che vi portava Muzio non meritano queste risposte, questi dispregi. Deh, Cornelia, Cornelia, ricordati quanti sospiri, quanti lamenti, quanti pericoli patì e passò il povero amante prima che ti avesse; e dopo aùta, con che sviscerato amore t'amava. Deh, perchè ti sono uscite di mente? Deh, perchè per altri hai cambiato il primo amore? Ritorna, ritorna a te, Cornelia, e pensa che il tuo Muzio è vivo, e ritornarà così presto da te, come son io adesso qui.

CORNELIA

Tengo per fermo che tu sii qualche spirito maligno in forma d'uomo, poi che sai le cose passate e falsamente mi vuoi indurre a credere le presenti fondate sopra l'impos<s>ibile. Andate in buon ora, che io ho da far altro che trattenermi con voi.

MANILIO

Io stupisco, io traseculo, io son fuori di me. Dunque voi Muzio, e non Alberto sete? Dunque Cornelia è vostra moglie? Come dunque vi casaste con Leonora? Che errore, che peccato, che fatto indegno di voi è questo? Voi non mi rispondete? Ritiriamoci qui dietro, ditemi tutto il successo.

Scena 10

ALBERTO

Nel sanguinoso e miserabil caso di Famagosta, vedendo io menar prigione questa Cornelia, mia moglie, e Persio, mio figliuolo, disperato d'ogni salute mi precipitai dentro la calca de gl'inimici, e combattendo n'uccisi molti. In fine fui ferito, e caddi per morto in presenza dell'istessa Cornelia, la quale mi riputò già morto del tutto. Ella fu menata in una galera; e io, credendo che il campo vittorioso fusse partito, mi levai pian piano, quando da certi Turchi fui preso e portato mezzo morto in un'altra galera. La vanguardia dove era Cornelia si partì prima, e passando in alto mare, fu assalita da repentina tempesta, e venne nuova che s'era già sommersa. Io per l'ultimo, schiavo e mal contento della sua morte e di quella di Persio mio figlio, piccolo di cinque anni, fui di là a sei mesi liberato dalle galere di Malta; e venendo in Roma, credendo certo che Cornelia fusse morta, mi ricasai con Leonora, chiamandomi Alberto per non sentir più quel disgraziato nome di Muzio. Ella averà fatto il medemo, credendo che io fusse morto, e si è ricasata di nuovo con Alessandro, e adesso procura l'altro. Or vedete che grande intrico è questo. Che cosa si farà? Come farò?

MANILIO

Io non so che dirvi, nè che farvi. Dispiacemi che anch'io ho perduto la mia commodità, perchè, capperi!, Cornelia era bella. Ma ecco di là l'altra moglie insieme con Pasquina. Vengono molto in fretta, e turbate; alcun altro intrico ci sarà.

LEONORA

Vedi, Pasquina, che tu non t'inganni come suoli al spesso. Dimmelo chiaro: hailo tu veduto con gli occhi proprii?

PASQUINA

Con gli occhi proprii.

LEONORA

Entrar nella camera?

PASQUINA

Nella camera.

LEONORA

E Lavinia entrò prima di lui?

PASQUINA

Prima di lui.

LEONORA

E gli hai serrati di fuora?

PASQUINA

Di fuora.

LEONORA

Oh! traditori disonorati! Parmi mill'anni che io mi sfoghi sopra di voi.

ALBERTO

Moglie mia carissima, donde venite? Dove andate? Perchè sete in còlera? Che cosa ci è?

LEONORA

A tempo vi trovo, marito mio caro. Andiamo, andiamo in casa; e pregovi, Messer Manilio, che ancor voi vi degnate di venire, per aiutarci in un bisogno molto importante, dove vi va l'onore e la riputazione di casa mia.

ALBERTO

Che altro disturbo sarà questo? Entrate pur, Messer Manilio.

MANILIO

Intriamo. In fine è vero che le disgrazie non vengono mai sole.

Scena 11

ALESSANDRO

E io ti dico, Leandro, che l'onore s'ha da preporre a tutte le cose; e di due mali, si deve eleggere il manco. Saria manco male a tormi la vergogna con la morte di Cornelia e di Camillo, che restar favola delle genti: che restando così ne potrebbe nascere uno delli doi disordini, che io mi disperasse affatto con pericolo dell'anima, che importa più, o che ogni giorno uccidessi tutti quelli che mi volessero notare di questa infamia.

LEANDRO

Dal presente al futuro è una gran differenza, padron mio. S'al presente che sete in còlera dite così, non so poi se quel che potrebbe nascere averia l'effetto suo; che molte cose diciamo a sangue caldo, che raffreddato poi non si mandano in esecuzione. Talchè, evitando questo presente eccesso che vi preparate di fare, evitarete anco il secondo, con più onor vostro, con quiete della mente e con salute dell'anima.

ALESSANDRO

Il sangue non raffredda mai a chi fa stima dell'onor suo, ma sempre bolle, sempre freme insieme, se non si risolve in vendetta del riceùto oltraggio.

LEANDRO

Nelle cose che sono secrete, io non so questo onore di che colore si sia; se però da noi stessi non vi mettiamo sopra il tinto, come fanno alcuni, che si ponno celar le corna in seno, se le mettono in fronte. Ditemi: chi sa, o chi saprà, o chi si potrà imaginare mai questo fallo di Cornelia e Camillo, se da noi stessi non lo publichiamo? Stiamoci dunque a piacere, e dissimulando il negozio barattarete Cornelia con Brianda, e lasciamo stare tanti omicidii.

ALESSANDRO

Il secreto che passa per bocca d'uno non è più secreto. Franceschetto lo sa, lo sai tu; e quando tu e Franceschetto nol sapeste, lo so io, la mia conscienzia, che vale per mille testimonii. Lascia fare a me. Adesso che il traditore è serrato in camera, secondo mi ha riferito Franceschetto, il colore sarà di sorte che il rosso del sangue coprirà il verde della loro lasciva speranza.

LEANDRO

Nell'ultimo, Signor Alessandro, so che mi farete buona quella regola che non si punisce l'affetto se non segue l'effetto. Ha permesso Iddio che Camillo sia stato chiuso in camera prima che venisse all'effetto, dunque non si deve punire l'affetto.

ALESSANDRO

T'inganni: perchè ne gli eccessi gravi ed enormi si considera principalmente la mala volontà e il proposito cattivo col quale si va a delinquere; e se ben non segue l'effetto, bàstavi che solo con la sola in camera, accarezzandosi lascivamente insieme, son venuti a i baci. Ma ecco che Cornelia viene in porta; fermianci qui, mentre m'accommodo le palle in bocca, acciò balbutiendo non mi conosca alla favella.

Scena 12

CORNELIA

Mi è morto il marito; l'ombra dell'altro m'affligge; mi pregiudica la figliastra; Camillo m'inganna; mi tradisce il servo; il messo mi sospende; l'astrologo non viene. Che debbo dunque sperare, se dubbiose, sospese, vane, estinte, incerte e morte sono tutte le mie speranze? Debbo sperar forse alla dubbiosa speranza che mi resta di questo astrologo? Ahi, che t'inganni, Cornelia: non sai tu che tutti li pronostichi non sempre riescono? E non riuscendo Camillo qual ti promettesti, tu ne rimaneresti infamata appresso l'astrologo e appresso il mondo. Non sia mai che mi publichi per tale, che io mi scuopra innamorata di Camillo, se prima non faccio mille esperienzie di lui. Ma ecco Leandro; credo che l'altro sarà l'astrologo. Oh, Amore, conducemi al porto, dopo tante tempeste!

LEANDRO

Ecco qui, Signora Cornelia, l'astrologo che io vi ho proposto. Confidate liberamente alla virtù sua, che come prudente e saggio darà efficace rimedio alle vostre disaventure.

CORNELIA

L'effigie veramente è veneranda; spero che gli effetti saranno corrispondenti.

ALESSANDRO

Quella che è mastra di tutte le cose, l'esperienza dico, vi farà certa la speranza ch'avete in me.

CORNELIA

Ohimè, questo balbutire mi dà sospetto, già che si dice: guardati da' segnati.

ALESSANDRO

Non accade a sospettar di nulla, nè a parlar fra di voi stessa, che io già comprendo il tutto.

CORNELIA

Voi mi mirate così fissamente nel volto. Che cosa disegnate?

ALESSANDRO

Disegno segni mirabili nella vostra effigie; e perchè sono cose di molta importanza, ritiratevi in quel cantone, Leandro, acciò senza sospetto ella mi possa manifestare il vero.

LEANDRO

Di grazia.

ALESSANDRO

Se a voi piacesse, Signora, che noi andassimo sopra, io andarei volentieri, per poter più diffusamente ragionare.

CORNELIA

Non importa: cominciate a dir qualcosa qui, che essendo il luogo rimoto, non sarà disdicevole.

ALESSANDRO

Voi, primieramente, sete innamorata; e questo amor vostro cominciò molti mesi avanti che morisse vostro marito. Non è vero?

LEANDRO

Dio voglia che non cada al primo assalto.

CORNELIA

Mentre visse l'infelice consorte, non amavo altri che lui, e al presente non mi è rimasto altro amore che de' proprii figli.

LEANDRO

Oh, che saggia risposta!

ALESSANDRO

Del figliastro, dovevate dir voi, e non del figlio: e mentre lui fu riputato per tale, voi non osaste di scoprire il fuoco; ma poi che fusti certa che egli non vi era figliastro, usciron fuora le fiamme, tal che voi ed egli, che era nell'istessa fornace, n'avampaste a tutto potere. Non è così?

LEANDRO

Ohimè!

CORNELIA

Io non so che dite.

LEANDRO

Oh, buona!

ALESSANDRO

Se per onestà non volete confessare il vero, vi laudo. Basta che il vero è quello che io dico; e vi dirò anco una profonda particularità, che la morte di vostro marito vi piacque grandemente, per aver la commodità di sodisfarvi insieme. Che dite?

LEANDRO

Tienti, Cornelia.

CORNELIA

Dico che v'insognate.

LEANDRO

Buona!

ALESSANDRO

Io non m'insogno, ma segno la verità: anzi vi chiarirò di più, che sete venuti all'atto prossimo col baciarvi insieme mo poco avanti. Potrete negar questa?

LEANDRO

Salda.

CORNELIA

Io stupisco.

LEANDRO

Ohimè!

CORNELIA

Ditemi: chi è costui che v'imaginate?

ALESSANDRO

Il nome in particolare non possiamo saper noi; ma solo al presente si ritrova serrato dentro la camera vostra.

CORNELIA

Chi?

ALESSANDRO

Costui che io dico, che arde, come ardete voi, d'un istesso amore.

CORNELIA

Andate, andate in buon ora; e cercate ingannar altri, che Cornelia non si lasciarà ingannar da voi.

ALESSANDRO

Io non inganno nessuno, e voi non sete ingannata da me; ma per farvi conoscere che io dico il vero, andiamo di sopra, che trovaremo il drudo serrato in capitolo.

CORNELIA

E se non vi sarà?

ALESSANDRO

Se non vi sarà, dirò che la virtù mia è falsa. Ma se vi sarà?

CORNELIA

Se vi sarà, dirò che io stessa sono una rea femina. Ma che altro volete patir voi, se non vi sarà?

ALESSANDRO

Se non vi sarà, datemi delle bastonate. Ma che altro volete patir voi, se vi sarà?

CORNELIA

E se vi sarà, uccidetemi!

ALESSANDRO

Alla prova, e vederemo se ci sarà; se non vi sarà sarete vincitrice.

CORNELIA

Andiamo di sopra.

LEANDRO

Io tengo per fermo che Cornelia sarà vincitrice e Alessandro confuso, perchè troppo alla sicura l'ha introdotto in casa. Or ecco come i giudizii umani sono al spesso fallaci! Alessandro giudicava la moglie disonesta, e la sua imaginativa aveva talmente chiuso il fatto, che ancor io stavo nel medemo fallo; e ora si trova tutto il contrario. Imparate, voi altri mariti sospett<os>i e gelosi, imparate a fuggir questa maledetta gelosia, e lasciate le mogli in libertà loro. Non siate causa di procurare a voi stessi il danno, perchè molte volte s'inaspra la donna con le vostre stirature; e credetemi, che quando la donna vuole, vi farà le fusa torte, se bene aveste gli occhi d'Argo, l'astuzia d'Ulisse, e la sapienza di Salomone. Ma sciocco che son io! Che faccio qui? Sarà bene a salir sopra, per riparare e soccorrere a qualche inconveniente che potesse succedere; che stando all'assedio Amore e Gelosia, facilmente potrebbono mandare questa casa a sangue e a fuoco. E io ch'ho incominciato a difender l'impresa, debbo di ragion seguirla; perchè si dice: non chi incomincia, ma chi persevera.

Scena 13

GIALAISE

Per 'stinto naturale noi autri Cavalieri napoletani solimo sempre favorire chilli ca se danno alla devozione nostra, come fazzo io allo presente, ca sendose sottopuosto lo Segnore Camillo alla nostra protezione, è necessario ca lo favorisca 'ntorno allo suo negozio: quale è ca io, travestito, come già vao, e co chesta barba posticcia, parlando alla spagnola fazzo spantare Magagna, pe sapere da isso 'n ca luoco si truova na cierta Ersilia, ca m'have ditto esser vestuta da ommo. Ecco quanto iova la resoluzione fatta pe noi autri Segnori de Napole, ca quasi tutti professamo de parlare alla spagnola, e facimo moto bene: prima pe mostrare a Sua Maestà l'affezione granne ca portamo alla nazione pe respetto suo; e appriesso, poi, ca pe quante lingue ha l'ommo, pe tant'ommeni vale. Ma chi è chisto paggetto che bene da ccà? Sa bolisse stare co mico, forìa moto allo proposito. Mutaraggio lingua, pe no 'me fare conoscere. Olà! pazze, vien acá! Per vida vuostra que os quiero desir dos palabras.

FRANCESCHETTO

Ohimè! costui è spagnolo. Dubito che non mi levi il cappello con le piume, perchè in Roma si dice: provacciare alla spagnola; e domandando io che cosa è provacciare, mi fu fatto segno col dito grosso in questo modo. Alla fè, che non me lo farai. Io me lo terrò ben stretto in mano, sì.

GIALAISE

Mucchio me guelgo que soyz tan bien creado, pues que en verme luego os haverìas chitado el sombrero. Desideme, quien soys vos? Muchio me quelgo.

FRANCESCHETTO

Adesso non ho mostaccioli, poi che quelli che mi diede la Signora madre me gli ho magnati tutti tutti.

GIALAISE

Ah! ah! non digo yo mostachiolos, hizo mio, mas quien soys vos, y si quer<è>is estar co migo por pazze.

FRANCESCHETTO

Sia pazzo chi vuole, io non sono pazzo; e se non volete altro, a Dio.

GIALAISE

Especta un poquito e escùcchame.

FRANCESCHETTO

Non mi toccate il cappello, e fate quel che volete voi. Lasciate: dite pure senza mani.

GIALAISE

Vos soys un señor rico y galano mozo.

FRANCESCHETTO

A voi siano mozze le mani, e non a me! Fatevi là, non mi toccate le guance. Non vedete che io son maschio?

GIALAISE

Estamo serio, por dios! Male haze gustar este pazze. Ven acá: come es vuestro nombre?

FRANCESCHETTO

Ombra sete voi, e l'ultime lettere del mio nominativo di più.

GIALAISE

Yo non intiendo que cossa desìs, en la<s> postre ras litras del vuestro nominativo.

FRANCESCHETTO

Aspetta. Io declinarò, e voi prendendo l'ultime lettere, congiungetele insieme.

GIALAISE

Me contento. Diga.

FRANCESCHETTO

Nominativo: haec musa.

GIALAISE

A.

FRANCESCHETTO

Genitivo: huius familias.

GIALAISE

S.

FRANCESCHETTO

Dativo: huic patri.

GIALAISE

I.

FRANCESCHETTO

Accusativo: hunc Absalon.

GIALAISE

N.

FRANCESCHETTO

Vocativo: o cornu.

GIALAISE

U.

FRANCESCHETTO

Ablativo: ab hac Atropos.

GIALAISE

S.

FRANCESCHETTO

Or congiungete.

GIALAISE

Asinus.

FRANCESCHETTO

L'istesso sete voi in forma probante. Restate qui, Messer l'Asinus, che io voglio entrare in casa.

GIALAISE

Vatte con Dio, va, ca fatta me l'hai! Mira ca diavolo è sortuto lo munno, ca li pizzirilli perzì se burlano delli grandi! Ma, ohimè, che rumore è in casa della Segnora Lavinia? Me boglio arretirare ccà, pe sentire qualche cosa.

Scena 14

ALBERTO

Traditore infame, a questo modo si tratta? Ah! così si fa in casa de gli uomini onorati? Te ne farò pentire di sorte che, restando de gli altri essempio, biastemerai il giorno che venisti al mondo. Strasciniamolo qui fuora, Messer Manilio, così come sta, dentro nel sacco: acciò, passando la corte, lo porti di peso in prigione.

MANILIO

Ogni peggio se le conviene a questo ladro; che l'ho grandemente contr'a' Napolitani, che essi furno causa che Flavio mio se ne fuggisse. Non posso saziarmi di darli con li piedi e con il bastone. Ah! forfante, forfante, piglia questa, e poi quest'altra.

FLAMINIO

Ohimè! non più, abbiate compassione.

LEONORA

Compassione, dice il ribaldo! Dateli, uccidetelo senza pietà: mariolo napoletano.

GIALAISE

Tu ne menti pe cierto, con tutto che la mentita è secreta, poi che per la soverchiaria no' lo pozzo dicere in publico. Ma che diavolo napoletano serà chisso? Me boglio accostare chiano chiano e fingere lo spagnolo. Baso las manos de Vuesas Mestedes. Sennores gentiles hombres, que grittos, que rumores, que cosas son estas? Io quiero entendere el todo, porque soy el Capitan de la guardia, i provedere de manera che la yustizia tienga el suo lugar.

ALBERTO

Oh, Signor Capitano, a tempo sete giunto. Entrando in casa ho ritrovato un ladro, che allora m'involava certe robbe, rimettendole dentro un sacco: lo giunsi a tempo con questo gentiluomo amico mio, e a suo mal grado l'abbiamo serrato nell'istesso sacco, per farlo castigare alla giustizia.

MANILIO

Giusto giudizio di Dio, che il debito delitto sarà punito con l'istesso mezzo che il delinquente si preparava pregiudicare a gli onori altrui.

LEONORA

Signor Capitano, opratevi, di grazia, che sia rigorosamente castigato questo traditore, che si persuadeva Roma esser Baccano.

GIALAISE

Non tenga miedo, Sennora mia, y non dudar, Sennores gentiles hombres, que sarà castigado muy rigorosamente. Però dìgame, Vuestra Merced, quièn es este ladrón?

ALBERTO

Un certo Napolitano, ed è l'istesso che dissimulava il Cavalier, vestito tutto di seta e d'oro, che poi travestito da molinaro è intrato in casa a farmi questo tradimento.

GIALAISE

Y como se gl<i>ama?

ALBERTO

Si chiama Gialaise.

GIALAISE

De quièn<e>s?

ALBERTO

Gialaise Formicone, cred'io.

GIALAISE

Come deavolo va chessa cosa? Io songo ccà, e credo puro ca songo io, e no' autro: come dunque io medesimo pozzo essere dintro lo sacco e essere ccà 'n persona propria? Avìssime fatta qualche burla l'astrologo, a fareme andare senza licenzia mia 'n forma de molenaro? Io spanto, io stupisco, io traseculo!

MANILIO

Noi credemo, Signor Capitano, che mentre Vostra Signoria si è appartato da noi si spanta e maraviglia come il Napolitano, che stava con tanta riputazione, abbia fatto questo disonore a se medesimo e alla patria sua.

GIALAISE

Azì es por cierto. Pero dezìme dove... Che de veros este ombre que está en el saco es Juan Luis Formigone?

MANILIO

Egli stesso. Or sentite il suono, che io toccarò il tamburo. Ah! vigliacco infame, or prendi questo calcio.

FLAMINIO

Eh, Dio! Non avereste pietà d'un povero giovane, che per amore si è trasformato in questa sorte?

GIALAISE

Ped amore è trasformato? Dunque songo io, che ped amore di Pasquina dovea venire trasformato in aseno; ma po, considero ca io songo ccà, co le medesme mano e co l'istessi piedi e co lo medesmo cuorpo. No' però lo nominativo de chillo figliolo mi fa sospettare ca no' sia ccà l'aseno, e là dintro lo sacco Gialaise. Dispiacemi ca lasciai lo spiecchio all'autre cauze, pecchè boria vedere se songo io. Ma me ne boglio 'nformare. Si esperan, Sennores, este qui está serrato en el sacco, es propriamente Iuvan Luis, o otro in suo lugar?

ALBERTO

Io dico che egli è, e non altri; e quello che tiene di novo è l'abito da molinaro solamente. Portisi dunque in prigione questo mariolo napolitano.

GIALAISE

Ora me boglio scoprire. No' me preiudicate, di grazia, e no' dicite accossì, ca li veri Napolitani no' songo marioli, ma buoi autri forastieri, che nce benite ad abitare. Motta dello munno, ecco ca mi levo la varva! Ecco ca io songo lo Signor Gialaise, e no' chillo ca sta intro lo sacco! Ca mo vao accosì... vao pecchè me piace, pe compiacire a na Signora ca bole ca io 'n chest'abeto trasa 'n casa sua.

ALBERTO

Perdona<te>ci, Signor Giovan Luigi: la còlera, il giusto sdegno e il creder che eravate lì dentro mi han fatto trasportare, che altramente non si sarebbe detto.

MANILIO

Quel che si dice mentre l'uomo sta in còlera si può sodisfare con la sodisfazione che v'ha dato Messer Alberto, e che vi do anch'io, Signor Giovan Luigi, cioè che non si sarebbe detto se non fusse stato quella credenza.

GIALAISE

Ve la perdono pe chesta vota, ma no' te nce adonare chiù pe grazia.

LEONORA

Ohimè, che miracoli son questi d'oggi! Orsù, vedasi chi è colui che sta dentro il sacco.

MANILIO

Aspetta<te>, che io da me stesso lo voglio sciogliere.

FLAMINIO

Ah, padre! Ah, Signor padre!

MANILIO

Ahimè, figlio! ohimè, figlio! Oh, Flavio, oh, Flavio mio, oh, Flavio mio caro! Alberto, Leonora, Capitan Giovan Luigi, o mondo, o tutti, aiutatemi! Ecco qui Flavio, ecco il mio desiderato figliuolo. Ohimè, che per l'oltraggio che t'ho fatto, e per l'allegrezza che io ti trovo, figliuol mio, stillo da gli occhi fonti di lagrime. Levati su, vita e anima di questo mio debil corpo: che senza te ero per venir presto manco, per te viverò lungo tempo. O Flavio mio, chi mi tien ch'io non ti baci, che non t'abbracci, che non ti stringa caramente, consolazione del tuo vecchio padre? Eh! dimmi come sei qui, e come ti trovo in questo abito.

FLAMINIO

Impetratemi prima perdono da Messer Alberto e dalla Signora Leonora, che io vi dirò succintamente tutto il fatto.

ALBERTO

Dite pure, che secondo vi sarà l'onor nostro, così faremo deliberazione di esseguire quanto si ha da fare.

GIALAISE

Chisto me pare Cuosemo alla voce, se bene no' tiene la varva dello colore de prima.

FLAMINIO

Io sono, e intenderete il tutto. Amando io la Signora Lavinia con zelo di sposarla, fui sempre da lei rifiutato; e sapendo che ella amava Giovan Luigi qui presente, mi posi a servirlo tinto da moro, sotto nome di Cosmo, per aver commodità di parlare almeno alla mia crudelissima nemica. Di più, amando Giovan Luigi Pasquina, mi oprai di sorte che feci credere a Lavinia di volerli introdurre il Napolitano, sotto scusa che in abito di molinaro averebbe trovato la sua Pasquina dentro quella camera terrena: dove standomi con la Signora Lavinia, fui soprapreso da voi al buio: pensandovi che io fosse il Napolitano, mi riponesti nel sacco. Ecco dunque, Signor Alberto e Signora Leonora, il mio gran fallo, se fallo chiamar si può un amor vero e vivo che ho portato e porto alla vostra figliuola, con fermo proposito, e prima e poi, e al presente ancora, di pigliarla per moglie. Perdonatemi dunque s'amore, se bellezza, se casto desiderio mi arse, mi strinse e mi condusse in questo luogo; e se pur degno sono di giusto castigo, sfogate sopra di me l'ira e l'orgoglio vostro, lasciando intanto Lavinia mia, così come insin adesso l'ho serbata intatta ad altri che ne fosse di me più degno. O degno, o casto, o vivo, o vero amore!

(Qui si sente l'orologgio)

.

GIALAISE

Me raccommando, Signori. No' sentite l'aruluoggio? Chesta è a punto l'ora ca m'aspetta chella Signora ca v'aggio detto. A rivederci.

MANILIO

Andate con Dio.

GIALAISE

Alla fede, ch'aggio fatto bene a fuire li scànnoli! Avenno Cuosemo, lo quale allo presente è Flavio, publecato l'amore mio co Pasquina, no' boria che me 'nforassero lo ioppone d'autro che de pambace. Lassame stipare la varva, e boglio ire da ccà, sa potesse trovare Magagna per servire l'amico.

LEONORA

Per che causa non si parla più? Perchè tutti siamo fatti attoniti e muti? Seguitate pure, marito mio caro, quel che incominciaste a dire.

ALBERTO

Che posso dire, se il mare dell'amor di Flavio ricerca altro legno per navigarlo? Entriamo tutti in casa, dove da quell'altra banda rimandaremo per li vestiti proprii di Flavio, acciò spogliato di questi miseri panni possa mostrar di fuora la felicità dell'interna virtù sua, degna non solo dell'amor di Lavinia, ma di quante degnissime donne si trovano.

LEONORA

Entriamo, che io vorrò quel che vorrete voi.

MANILIO

Entriamo, e datemi spazio di potervi ringraziare.

FLAMINIO

Entriamo. E voi, fedeli amanti, sperate amando.

Atto V

Scena 1

GIALAISE

Que se toma el vellacco!

FLAMINIO

Che si pigli il traditore!

GIALAISE

Alcánsalo que se fuie.

FLAMINIO

Non scapparà, certissimo.

GIALAISE

Allerta Vuestra Merced d'acullá, que yo estarè por acá.

FLAMINIO

O in questa parte o in quella ha da venire.

GIALAISE

Atento, que va a voi.

FLAMINIO

A voi, che si volge a voi.

GIALAISE

Ah! puerco, sùsizo, vien, ombres dellos montes.

MAGAGNA

Oh! per l'amor di Dio, Italiani, aiutatemi, che li Spagnoli m'uccidono.

FLAMINIO

Non passar più innanzi, se non vuoi che con questa spada ti passi il petto.

MAGAGNA

Italia mia!

FLAMINIO

Il pregare è indarno.

MAGAGNA

Spagna, Madama Spagna, Signor soldato, illustre Spagnolo, illustrissimo Signor mio, eccellentissimo padrone, Altezza della Serenissima Maestà vostra, Imperador del mondo!

GIALAISE

Non más palabras, calla ladrón! Non passe más adelante, Sen<n>or: quiere que le saque del cuerpo <el> corazzón?

MAGAGNA

Nè sacco, nè puorco, nè capezzone ho pigliato io: non son tale, non son ladro, per l'alma de gli anticipati miei. Ahimè! che la paura non me t'ha fatto conoscere, Signor Flaminio; e perchè tu ancora?

FLAMINIO

Domandane te stesso, fraudolente che sei. Fermati, non ti movere, che t'uccido.

GIALAISE

Estaos quedo, se non quieris que te matte.

MAGAGNA

Non son matto, Signor mio. Oh! povero Magagna, posto tra due punte di spada. Non spingete, non intrate. Di grazia, ditemi prima la causa che vi stringe, vi spinge, che vi muove a farmi morire.

GIALAISE

Por que quien matta deve de ser mattado. Non sabèys que qui amasa es anpicado?

MAGAGNA

Vuole che picchia. E dove, Signor Flaminio, voglio picchiare?

FLAMINIO

Rispondi là, non t'accostare a me, forfante.

MAGAGNA

Se pur ho da morire, vorrei che fosse all'italiana, e non alla spagnola, perchè l'asprezza delle parole os e as mi passa l'ossa prima che arrivi al colpo.

GIALAISE

Ven acá, vellacco, e yncaos luego de rodillas <en> el suello.

MAGAGNA

Non so de' licci, nè tengo artigli, nè suolo, per l'alma mia.

GIALAISE

Yncaos luego in tierra!

MAGAGNA

La mia terra è Triggiano, al commando di Vostra Signoria.

GIALAISE

Parèzzeme que os burláis de me. Vos non mi conosèis aùn: yo soy el terrible de los terribles, que tiengo los cabellos de Medusa, la fruente de Hettore, las narises de Argante, el rostro d'Aquile, l'abla d'Ulisse, los dientes de Cadmo, las espaldas de Hèrcoles, el petzio de Sansón, los brazos de Poliphemo, y las manos de lo<s> Gigantes que subieron en el cielo. Tiengo el corazón de Roldán, el cuerpo de Rodomonte, las piernas de Reinaldos y los piezz de Gradasso. Io non cedo en el valor a Marte, en el próze<r> a Plutón y en el vizio a Bellona. Ago temblar la tierra en ablando, e spavento el ynfierno en grittando, y vuelvo los cielos en obrando. Y vos, que soys un vellacco, no querèis dezir la berdad?

MAGAGNA

Ohimè! sapesse almanco, Signor Flaminio mio fortissimo, che cosa pretende da me.

GIALAISE

Quiero sabir en donde se alla la muger.

MAGAGNA

Aglio non ho, bugerico non so.

GIALAISE

Vien atrás de me, atrás, digo!

MAGAGNA

M'arrasso, m'arrasso, Signore.

GIALAISE

Atrás, digo!

MAGAGNA

M'arrasso; che volete più, Signor mio potentissimo?

GIALAISE

Acerca di me, acerca di me.

MAGAGNA

Non cerco a te, non cerco a te.

GIALAISE

Iuro a los cielos que se mi lievo vollo bolar tan alto en el cielo, que troncando la sfera del fuego, y cayendo pues en tierra, te alla ya requemado y echo cenisa, vellacco de los vellaccones.

MAGAGNA

Di grazia, lasciatemi andare in casa a rimover la robba, che gl'interiori mi hanno rifuso alle brache.

GIALAISE

Atrás, digo, atrás.

FLAMINIO

Valli appresso, non l'intendi?

MAGAGNA

Dunque atrás vuol dire appresso? Ahimè! che io m'appresso al trapasso della morte.

GIALAISE

Desisme en donde se alla agora la muger.

MAGAGNA

Dianora mia mogliera ha più di sette anni che è morta.

GIALAISE

Digo aquella que mattastes dissimulatamente.

MAGAGNA

Mazzi di semolata e di menta non si trovano in queste bande.

GIALAISE

Empeces que te borlas: desisme como quieres que te haga morir.

MAGAGNA

Come mi vuoi far morire?

GIALAISE

Sì.

MAGAGNA

D'una morte che la vedesse e non la sentisse.

GIALAISE

De que manera?

MAGAGNA

Datemi una coltellata dui palmi sopra la testa, e così vederò e non sentirò la morte.

GIALAISE

Estaos incato de rodillas, y dexandos las burlas desidme la verdad: en qual parte se alla Ersilia?

MAGAGNA

Nescio... Ma ecco gente di là. Oh, Signor mio, aiutami

GIALAISE

Levantaos y no desìs nada; y no dir, por vida vuestra.

MAGAGNA

Io dirò ogni cosa, non accade a pregarmi. Ah! così si tratta? Ah! così si assassina un pover uomo <in> mezzo la strada publica? Lo farò sentire, se sarà possibile, sino a Sua Santità.

FLAMINIO

Infame traditore, adesso stai bravando, e non ti avedi che colui è il Signor Camillo col moro, e vengono pur contro di te. Statti, non ti partire, tu hai da far conto con l'oste ancora.

Scena 2

CAMILLO

Coteste vostre lagrime sono tanti chiodi che mi trafiggono l'anima, considerando che piangete per pietà di colei a chi desidero ogni peggio; tal che se mi volete bene, come dimostrate, dite come dico io: scoppia, muora e incenerisca Ersilia.

ERSILIA

Io lo direi, quando non procurasse che un animo così bello come è il vostro non fosse macchiato di una macchia così brutta come è la crudeltà; e quando il giusto non permettesse che io debbia difensare come cosa propria una causa così giusta com'è quella della povera Ersilia.

CAMILLO

Io saprei molto bene riversare coteste ragioni: ma non voglio, nè posso, tale è l'odio che io li porto.

ERSILIA

Ohimè, ohimè!

CAMILLO

Che cosa?

ERSILIA

Vedo gente da quella parte con le spade nude. Fermatevi... ma sono i nostri amici!

FLAMINIO

A tempo sete giunto, Signor Camillo; ecco qua l'assassino di Magagna. Mettete pur mano, a tal che ognuno di noi col suo colpo si vendichi di lui, quando per sorte non vorrà dir la verità.

CAMILLO

Con li pari di costui si ha da giuocare di bastone e non di spada. Benchè confido al valor del Signor Capitano, che con la parola sola se lo inghiottirà.

MAGAGNA

Ahimè! speravo aiuto e mi è sopravenuto affanno; e così dalla padella son cascato nella bragia.

GIALAISE

Azì es per cierto. Agora agora con un soplo sarite desezio como la nieve en el sol: ladrón, ladrón, vellacco, vellacco, confessa la berdad y dezime en donde se alla Ersilia.

MAGAGNA

Ah, ah, ah!

GIALAISE

Tu te rìes?

MAGAGNA

Come non volete che io rida, se avete primiera e non tirate?

GIALAISE

Que trampas son estes que dize?

MAGAGNA

Non son trampe altramente, ma è così con effetto. Ditemi un poco, per far primiera non bisogna che siano quattro carte diverse?

GIALAISE

Azì es.

MAGAGNA

Or voi non sete quattro, di nazioni diverse: spagnola, barbara, italiana e commune?

GIALAISE

Yo non intiendo.

CAMILLO

Nè meno io.

FLAMINIO

Nè meno io. Dichiarati presto, bestia.

MAGAGNA

Mi dichiaro. L'invittissimo Capitano è spagnolo, e significa spade. Il moro, barbaro, ed è bastone. Il Signor Flaminio, romano, e in Roma battendosi moneta, sarà denaro. E il Signor Camillo, non sapendo la patria sua, è commune, e sarà coppe.

FLAMINIO

Che freddure son coteste? Risolviti a dir la verità, se non <vuoi> che t'uccido.

GIALAISE

Mattade este vellacco.

CAMILLO

Uccidasi senza remissione.

MAGAGNA

Tre contro uno? E che male ho fatto io? Aspettate quanto penso poco poco.

ERSILIA

Ohimè! Magagna or ora mi scuopre: ma avendo io adesso la commodità, vuo' partirmi pian piano, levandomi il tinto del volto; procurare una barba posticcia, e sotto altro abito di non farmi conoscere.

FLAMINIO

Non hai ancor pensato? Di', di', dove sta Ersilia?

MAGAGNA

Lasciatemi finir, di grazia, e poi fate di me quel che volete voi. Io diceva che il Spagnolo è spade, Flaminio denaro e Camillo coppe. Per far la primiera che cosa ci manca?

FLAMINIO

Bastone.

MAGAGNA

Il moro è bastone: ecco primiera, tiratela e tenetela.

FLAMINIO

E dove sta il moro?

CAMILLO

Si è già partito.

MAGAGNA

Or pigliate un bastone e datevi l'un l'altro, sciocchi e insensati che sete. È possibile che niuno di voi intenda l'artifizio mio, che mentre dicevo: avete primiera e non tirate, volevo intendere: avete Ersilia, che va sotto abito di moro per servire all'inconosciuta l'amante suo crudele, e non la pigliate?

GIALAISE

Y es verdad?

FLAMINIO

È vero?

CAMILLO

Ed è vero?

MAGAGNA

Verissimamente; e voi, a battaglia stesa contra di me, avete fatto a punto come fece Sacripante con Rinaldo, che mentre essi combattevano, Angelica se ne fuggì. Correte dunque, arrivate, cercate, procurate che la trovarete.

CAMILLO

Ahimè! che io, sciocco veramente più d'ogn'altro, ho conosciuto manifesti segni che ella di se stessa mi dava. Dissemi che il padrone era Camillo, ma lo coprì col cognome “della mia morte”, che l'affezion sua non era nuova, e la vestì con la conformità del sangue. Mi difensò con la spada, con la lingua, con l'ingegno; si dolse di me sotto scusa di dolor colico. Ha detto, ha fatto in somma cose stupende. O Amore, tu puoi quanto sai, che li timidi gli assicuri e li semplici fai savii! e o donna più valorosa che tutti gli uomini del mondo!

FLAMINIO

Già che siamo certi del fatto, non perdiamo più tempo. Andate voi, Signor Camillo, di qua; il Signor Giovan Luigi di là, e io da quest'altra parte, che in ogni modo l'incontraremo: con deliberazione che chi prima la trova, la conduchi in casa del Signor Giovan Luigi.

GIALAISE

Mi contento.

CAMILLO

Così si faccia.

GIALAISE

Iammo puro, ca ne boglio la parte mia fino a no fenocchio. E ora ca non besogna contrafare chiù lo spagnuolo, me levo la barba, a tar che le femmene se ne innamorino chiù facilmente de chissa faccia temperata di muschio dintro ad un barattolo di speciale falluto.

Scena 3

MAGAGNA

Eccomi solo, fuori di pericolo: ma chi averebbe mai pensato che quel diavolo non fosse spagnolo? In buona fè, che se io sapeva che era il Napoletano, essi non sapevano da me il giuoco della primiera. Fu tanta la paura, che poco mancò che non mandassi lo spirto per le parti sotterranee. Ma che ti giova, povero Magagna, d'esser scampato da questo pericolo, se ti trovi ingolfato nell'altro? Se io vado in casa di Cornelia, mi caccia. Se io non vi vado, amor da una banda e la fame dall'altra mi rodono le budella e l'ossa. Non però mi voglio accostare alla casa, confidando in quella sentenzia che fortuna aiuta gli audaci. Ohimè! che faccia di negromante è quella che esce dalla porta? L'altro è Leandro che li va appresso. Mi rimetterò in questo cantone per sentir qualche cosa.

Scena 4

ALESSANDRO

Non mi sono ancora totalmente risoluto, che se ben non abbiamo trovato Camillo in camera, può stare che destramente si sia nascosto in altro luogo. E se ben Franceschetto ha variato, tengo per fermo che sia proceduto per timor della madre che gli era presente. In somma, Leandro, vorrei segni più chiari per dischiarare l'offuscato intelletto mio, perchè le donne son donne, e sanno e ponno fingere una cosa per un'altra.

LEANDRO

Ormai, padrone, non mi è rimasto concetto nè parola di potervi dissuadere e levar questa frenesia di capo. Io vi dico risolutamente che Cornelia è casta più che mai, che Camillo è fedele, e che Franceschetto è stordito. Potta di me! volete più presto credere ad una falsa imaginazione, ad un semplice figliuolo, che a quel che avete veduto con gli occhi proprii e tocco con le proprie mani? Andiamo dunque a rivestirci, e ritorniamo a casa.

ALESSANDRO

Aspettate: vuo' prima vedere questo foglio che trovai sopra il mio scrittorio; che, se non erro, parmi la scritta che mi lasciò il Signor Stefano, con condizione che non s'aprisse se non dopo li dieci anni di sua morte. Ed è pur essa. Qui dice: «In anno 1576»; adesso siamo del<l>'86, è già finito il decennio, e per ciò la voglio e posso aprire, con leggerla tutta dal principio al fine.

MAGAGNA

Ho sentito parlare di Camillo, di Cornelia, di stordito: dubito che questo sia l'astrologo che aspettava la Signora; ma mi maraviglio come non fa menzione di Magagna, che pure per amore venne in furore e matto.

CORNELIA

Vengo in finestra, perchè sento parlar nella strada: ed è pur Leandro con quel scempio dell'astrologo; sta leggendo non so che scrittura. Legga pure, faccia segni e caratteri a suo modo, che tutte sono vanità. Non di meno saper tanti particolari tra me e Camillo mi fa stare alquanto sospesa.

CAMILLO

Ma perchè vado mirando le piaghe altrui, e non mi miro le mie? Vada Ersilia dove li piace, che io vedrò d'accostarmi a i raggi del mio vivo sole. Eccolo in finestra. Vedo là retirato Magagna, e colà Leandro. Chi è quell'altro in abito lungo? Che novità sono queste? Starò rimesso qui dentro per vederne la riuscita.

LEANDRO

Padrone mio, per buona pezza sete diventato stupido. Vi fate segni? Che cosa è cotesta?

ALESSANDRO

Camillo è Persio!

CORNELIA

Camillo... Ahimè! Persio era mio figlio.

CAMILLO

Che ha da far Camillo con Persio?

MAGAGNA

Camillo è perso? Buono, affè!

LEANDRO

Io non v'intendo, padrone; che dite?

ALESSANDRO

Cornelia non più amante!...

CORNELIA

Non più amata, dovevi dire.

CAMILLO

Non più amante di Camillo, è vero.

MAGAGNA

Non più amante del perso, ergo di Magagna.

LEANDRO

Parlatemi più chiaro.

ALESSANDRO

Figlio e madre.

CORNELIA

Nè l'uno, nè l'altro.

CAMILLO

So che dice.

MAGAGNA

Figlio e madre non stavano bene; ma Magagna maxime.

ALESSANDRO

Muzio è morto.

CORNELIA

Mio marito, è vero.

CAMILLO

Erra in nome, io sono il morto.

MAGAGNA

Me ne contento.

LEANDRO

Fatevi intender, di grazia.

ALESSANDRO

Fuora Camillo...

CORNELIA

Ahimè! Non voglio.

CAMILLO

Così non fosse fuora.

MAGAGNA

Mi piace.

LEANDRO

Volgetevi in me, che cosa dite?

ALESSANDRO

...e venga Persio.

CORNELIA

Volesse Iddio.

CAMILLO

Costui sarà il diavolo.

MAGAGNA

Domine, non.

ALESSANDRO

Fuora, dico, il nome di Camillo, e venga chiamato Persio, figlio di Cornelia e Muzio.

CORNELIA

Ahimè! Che sento?

CAMILLO

Ahimè! Che dice?

MAGAGNA

Ahimè! Che parla?

LEANDRO

Che intrico è questo? Districatelo ad un tratto, ditemi il tutto.

ALESSANDRO

Mi tolgo la barba, mi scuopro Alessandro, fuora d'ogni sospetto: Cornelia gli è madre, Persio gli è figlio.

CORNELIA

Che fantasma è quello che io veggo? Costui si trasforma in Alessandro, e vuol che i morti siano vivi, e non balbutisce più. Oh, che magico stupendo!

CAMILLO

Ed è pur Alessandro. Ohimè, come è vivo? Io son fuor di me.

MAGAGNA

Questo è un altro diavolo!

LEANDRO

Voi mi fate stupire e morire di voglia, per non volermi dire apertamente il fatto.

ALESSANDRO

Cornelia già non è mia moglie. Brianda è veramente: costei sarà la mia, colei sarà col figlio.

CORNELIA

Nomina la prima moglie, che similmente è morta; parla pur di figlio, e che io non li sia moglie. Che cose contrarie son queste?

CAMILLO

Io non posso far altro che stupire.

ALESSANDRO

Camillo amarà Cornelia, ed ella Camillo, d'uno amor giusto e vero... Ma, ecco Magagna.

MAGAGNA

Ohimè! questo è lo spirto d'Alessandro che se ne viene verso di me, per saper l'amor mio, di Camillo e di Cornelia. Spirto, io ti commando per arte e per parte,che t'allarghi di qua, perchè io ti dirò il vero: sappi che Camillo e io siamo concorsi ad amar Cornelia.

ALESSANDRO

Intendi, Leandro; vedi se io m'ingannavo. Ecco che nell'ultimo la verità da se stessa si discuopre.

LEANDRO

Quando io credevo che fossimo fuora d'intrico, tanto più c'intrighiamo: causa ne sete voi, che parlate per enigma, e volete credere ad un balordo, che per timore del spirito dirà mille vanità.

ALESSANDRO

Segui pur, segui, Magagna.

MAGAGNA

Ahimè! Non t'accostare, spirito. San Cipriano, prega per me. Io a pena ne ho a<ù>to parole e sguardi.

ALESSANDRO

Ma chi gli ha aùti? Dimmi il vero.

MAGAGNA

Essa, la cornutella, era dedicata in tutto e per tutto a Camillo. Largo, di grazia, se non volete che rimetta a basso il magnare di tre giorni.

ALESSANDRO

Han forse conseguito insieme il desiderio loro?

MAGAGNA

Stavano già per far la copula, ma non l'hanno fatta, a fè!

LEANDRO

Orsù, che ne volete più?

ALESSANDRO

Io notavo l'animo: ma poi che questa scrittura mi toglie questo sospetto, andiamo in casa.

MAGAGNA

Ora mi accerto che costui è da vero il padrone, poi che se ne va verso la casa: chi ha temperato stempere, che il forno è caduto. Ma lasciami accostare pian piano. O padrone mio morto, già fatto vivo, perdonatemi, che la paura mi ha fatto sparlare. Io mi dimento, io mi pento.

ALESSANDRO

Vien meco, Leandro. Andiamo, che mi par mill'anni di consolar Cornelia.

CORNELIA

Vengono da me: mi farò fuora per uscirli incontra.

Scena 5

CAMILLO

Voglio in ogni modo accostarmi, per chiarirmi meglio. O da me sempre amato, o da me sempre riverito padre e padron mio, mi rallegro in vedervi vivo più che non mi dolsi in giudicarvi morto. Ma come vivete, se Leandro disse che èrate morto? Che abito è cotesto?

ALESSANDRO

In quest'abito si è raffinata la fede tua, Persio mio, e non più Camillo, a guisa dell'oro che si raffina nel fuoco. Entriamo, che sentirai cose stupende.

CAMILLO

Io in parte ho inteso, ma confusamente, il tenore della scritta che lasciò il Signor Stefano buona memoria, la qual, secondo io intesi, vuol che sia Persio figlio di Cornelia, e che mio padre sia Muzio.

ALESSANDRO

Così sta. Ma ecco Cornelia.

CORNELIA

O cara pupilla de gli occhi miei, o marito mio dolcissimo, giudicato morto per mia continua morte, ma ora vivo per mia perpetua vita! Chi mi ti tolse? Chi mi ti dà? Chi mi addolorò? Chi mi consola? Sei tu che mi consoli, Alessandro mio? Io ti conosco ad un tratto che nè abito nè altro mi ti può nascondere, tralucendo come il sol nel vetro il lume dell'amor nostro. Ho inteso dalla finestra non so che cosa di Persio mio figlio. Raccontami il tutto, e allegrami doppiamente.

ALESSANDRO

Dirò la somma qui fuora, che dentro poi diremo diffusamente il tutto. Ecco: Camillo, ora Persio vostro figlio, che nel sacco di Famagosta <fu> menato con voi prigione, fu venduto poi così piccolo a mio fratello, il quale avendo aùta piena informazione di voi e di Muzio vostro marito, già ucciso nella battaglia, e di tutto il successo, lo scrisse in questo foglio, piacendoli che si chiamasse Camillo a memoria d'un suo proprio figliuolo; e lasciò che s'aprisse nel decimo anno della sua morte, con ordine che io lo debbia trattare da figlio, e che succeda a tutte le facultadi. E perchè dopo, senza sapere che fuste quella, vi presi per moglie, e l'amor naturale all'inconosciuta oprava tra di voi e Camillo, che vi amavate scambievolmente; io, sospettando della fede dell'uno e dell'altro, diedi nome esser morto, e in quest'abito ho fatto esperienza che ambidoi sete fedeli e casti.

CORNELIA

Deh, che io diceva che l'amor che io portavo a Camillo era troppo grande! O Camillo, ora Persio mio, figlio caro! che per accertarmene meglio vedrò se sotto l'orecchia sinistra ha un neo. Eccolo pure! O figlio mio, o figlio caro! Io ti bacio, figlio, e non amante.

CAMILLO

O vive fiamme d'amore, come sotto le ceneri abbrugiavate intensamente! O madre, amata sotto coverta d'amante! Il tuo figlio t'ama e t'abbraccia, non da amante, ma da madre sua amatissima.

MAGAGNA

Saria giusto che io baciasse ancora, pro rata temporis, mentre son stato amante come esso.

CORNELIA

Fuora le vesti negre, fuora il lutto, facciam festa, giubiliamo, poi che il marito e il figlio ho ritrovato ad un tratto.

ALESSANDRO

Il figlio avete ritrovato, ma dubito che perderete il marito; poichè è viva Brianda, mia prima moglie, quale è Leonora, moglie di Messer Alberto, mastro de' Studii.

CORNELIA

Ohimè! che dite? E io dubito che Alberto non sia Muzio, mio primo marito, poi che poco innanzi è venuto egli stesso a darmene aviso; e io era in còlera, e perchè esso portava altr'abito, e la barba, che prima non avea, non vi posi mente e non lo conobbi. Ma sarà egli del certo. Intriamo dentro, che se sarà così, voi da un lato e io dall'altro restaremo contenti.

ALESSANDRO

Intriamo, che Iddio che sa l'intrinseco de' nostri cuori metterà ordine a tanti disordini.

CAMILLO

Entriamo, Signori, che lasciati questi panni di lutto e rivestito de gli altri andrò da quell'altra porta a ritrovar l'infelice Ersilia, acciò non corra pericolo dell'onore, e acciò se li dia il debito guiderdone dell'amor suo verso di me; e anco per informarmi se Alberto sarà Muzio, mio padre.

CORNELIA

Dite bene, figlio mio dolcissimo. Entrate.

MAGAGNA

Questa è la volta ch'io mi faccio dottore in tutto e per tutto, se mi succederà padrone Messer Alberto, mastro de' Studii. Ma tra tanto io voglio entrare, perchè stando tutta la casa in allegrezza, Magagna magnarà quanta magnativa li verrà magnanimamente innanzi.

Scena 6

BIANCHETTA

Il desiderio de' denari tanto più cresce, quanto più ne hai, dice quel proverbio. Subito che io me incorbonai li cento scudi, mi venne una brama di ammassarne de gli altri, che ne vorrei tanti che non mi bastaria il Coliseo tutto pieno. Ho speranza che Camillo mi sarà anch'egli cortese, e che Flavio, ottenendo l'intento da molinaro, mi darà la farina da poterne fare pane; e perciò son venuta fuori per saper la riuscita dell'uno e dell'altro, e per procacciarmi alcun altro di quelli che fanno cantar gli orbi. Ma, ohimè! ecco Messer Alberto che esce di casa, e con lui viene Messer Manilio. O Dio, siamo scoverti! Vuo' starmi qui dietro per sentir qualcosa.

ALBERTO

Bene merentibus praemia tribui oportet, e per questo non accaderà ringraziarmi, Messer Manilio mio, poi che alla virtù e meriti di Flavio vostro figliuolo è stato poco premio l'averli dato Lavinia per moglie, e concorrendoci di più l'affezion grande e la stretta amicizia che è stata sempre fra di noi.

MANILIO

Sono infinite le grazie e favori che mi avete fatti, e per ciò non mi sazio mai di ringraziarvene. Ma per non parere che io voglio sodisfare con le parole solamente, mi riserbo corrispondere con li fatti ancora e con gli effetti, pregandovi che me ne diate spesso occasione, acciò vi possa mostrar la prontezza dell'animo mio.

BIANCHETTA

Io stupisco di così buona e repentina nuova.

ALBERTO

Basta: quanto si è detto, è detto. E procuriamo in ogni modo di ritrovar l'astrologo che ci ha detto Leonora, adesso Brianda, per sapere se veramente è vivo Alessandro suo primo marito, che secondo ella mi va contrasegnando dubito che non sia Alessandro, marito già di Cornelia; che se così fosse, sarebbe una bella congettura.

MANILIO

Per certo io mi son stupito: mentre voi con bell'arte notificando a Leandro la ritrovata di Cornelia vostra moglie, ella soggiunse che l'astrologo l'aveva scoperta Brianda e non Leonora, e dettoli che Alessandro suo primo marito è vivo. Veramente se fosse così sarebbe, come avete detto, una bella congettura, poi che si farebbe un onesto cambio tra di voi, che ciascheduno si pigliaria la prima moglie.

BIANCHETTA

Che altre nove care, che altre rare cose son queste!

ALBERTO

Certifichiamoci prima della persona e della vita di Alessandro, che appresso poi si darà rimedio tale che risulti in onore e benefizio di tutti. Ohimè! che fra questo dolce s'interpone l'amaro di Persio mio figlio, il quale credo sarà morto, perchè se fosse vivo sarebbe con Cornelia <sua> madre.

MANILIO

Non dubitate, Messer Alberto, che sì come le disgrazie, così anco le grazie vengono sempre attaccate insieme; e chi sa se Camillo, riputato figlio d'Alessandro, fosse Persio vostro figlio, e si avesse cambiato quel nome della maniera che facesti voi.

ALBERTO

L'aver inteso che Camillo sia figliastro di Cornelia non mi ha fatto persistere nell'opinione, che ho aùta sempre, che costui non fosse mio figlio; e così mi dava un'aria di lui, così il sangue amorosamente mi bolliva nelle vene.

MANILIO

Poi che mi dite questo, state di buon animo, che qualche cosa sarà. Può stare che Alessandro abbia riscattato vostro figliuolo e dato nome d'esser suo figlio proprio, e che Cornelia per la longhezza del tempo non l'abbia riconosciuto.

ALBERTO

Può stare, e dite bene, per la longhezza del tempo, poi che sono da doi anni in circa che Camillo è venuto da Genova per studiar in Roma; di sorte che Cornelia l'ha veduto a tempo che era già fatto uomo. E può stare ancora che Alessandro abbia fatto di lui come feci io di Flaminio, che essendo egli figlio d'un certo Hermando spagnolo, me lo pigliai per figlio proprio, e da Consalvo lo chiamai Flaminio, acciò non fosse riconosciuto.

BIANCHETTA

Or senti quest'altro!

MANILIO

Di maniera che Flaminio non è vostro figliuolo?...

ALBERTO

Signor no; che come vi ho detto fu figlio d'un Hermando Contiero, il quale abitando in Malta con la moglie, che si chiamava... oh Dio, non mi soviene!

BIANCHETTA

Erminia.

ALBERTO

Sì, sì. Ma che voce è quella che a punto mi ha detto il nome? Sete voi, Bianchetta? Come lo sapete? Che fate qui?

BIANCHETTA

Son io. Mi son fermata a sentirvi, e temo che questo Flaminio non sia fratello d'Ersilia.

ALBERTO

Di chi Ersilia?

BIANCHETTA

Seguite l'istoria, che poi vi dirò.

ALBERTO

Io dicevo che Hermando Contiero, abitando in Malta <con> Erminia sua moglie, ordiva non so che tradimento alla religione, laonde il Gran Mastro procurò d'averlo nelle mani; ma egli avertito di ciò se ne fuggì con tutta la casa, dismenticandosi per disgrazia di quel figliuolo, che s'allattava in casa della nutrice: quale per timor che come figlio di rubello non avesse portato la pena del padre, consultandosi meco, che ero allora in Malta, lo chiamammo Flaminio, sotto colore che era mio figlio. La nutrice poi fra pochi mesi si morì, e il figliuolo restò in mio potere. De lì a certi anni me ne venni in Roma, e non seppi mai nova di questo Hermando, nè della moglie.

BIANCHETTA

Non più, non più, la cosa è certa. Hermando per non farsi conoscere si mutò nome, chiamandosi Alonso, e chiamò la moglie Isabella, la qual partorita Ersilia si morì. Ed egli ricasandosi con Cornelia, si morì similmente.

ALBERTO

Che dite, Bianchetta? Dunque Cornelia prima di Alessandro ebbe Hermando, o vogliam dire Alonso, per marito? Càpperi, e son dui dopo me!

BIANCHETTA

Sì. Oh, che caso stupendo! E Flaminio, che nulla sa di questo, è innamorato della propria sorella.

ALBERTO

E come sapete voi tanti particolari?

BIANCHETTA

Lo so perchè allora io praticavo in casa d'Alonso, il quale nell'estremo di sua vita mi publicò tutto il successo; e Cornelia me l'ha confermato poi con Ersilia, a fine che io procurasse di saper nova di Consalvo. Or va indovina che era Flaminio!

ALBERTO

Ditemi il vero, Bianchetta: che si dice di questa Cornelia, e come è vissuta casta?

BIANCHETTA

Castissima! Un essempio, un ritratto vero di castità e di prudenzia. Non tocchiamo questo, di grazia.

ALBERTO

Mi piace. E quel Camillo, che viene ad essere a Cornelia?

BIANCHETTA

Figliastro, credo io.

ALBERTO

Credi tu: dunque non è così? O Dio, se si ritrovasse suo figlio, e fosse Persio!

MANILIO

Interrogatela pure.

BIANCHETTA

Questi si pensano scalzarmi per saper l'amor di Cornelia con Camillo. Ma io son vecchia, e femina di più.

ALBERTO

Dunque Camillo non sarà certo figliastro di Cornelia, poi che dici che tel credi.

BIANCHETTA

Io non so tante cose; ma so che Camillo è figlio di Alessandro.

ALBERTO

Orsù, va bene; e sapete se Alessandro è vivo?

BIANCHETTA

Intendo che sia morto; ma un certo astrologo pretende sia vivo.

ALBERTO

E dove sta quest'astrologo?

BIANCHETTA

Parmi che stia in Banchi.

ALBERTO

Or basta. Resta con Dio, Bianchetta; e noi, Messer Manilio, andiamo a ritrovar questo astrologo, che chi vuol vadi, e chi non vuol mandi.

Scena 7

BIANCHETTA

Io non intesi mai il più bell'intrico di questo. Messer Alberto si ha lasciato dire che egli è marito di Cornelia, e che Leonora è Brianda moglie di Alessandro, e che Alessandro è vivo; Flaminio è Consalvo fratello d'Ersilia; Camillo non è figlio di Alessandro, ma si dubita che non sia di Cornelia. Amor lusinga l'uno e l'altro. Flavio da molinaro si è fatto marito di Lavivinia sua. Che mutazion di tempo, che volger di ruota è questa, o Fortuna? E acciò che non succeda alcun disonore, andrò a ritrovar Flaminio, volsi dir Consalvo, per dirli ogni cosa, che averò tempo poi di provedere intorno al mio particolare, perchè si dice che chi ben semina, meglio ricoglie.

Scena 8

FLAMINIO

Sì come l'aurora, squarciando i veli della notte oscura, apporta seco il lucido giorno, e il sole rompendo i duri giacci fa che corrino acque limpide e chiare, così voi, anima dell'anima mia, con l'aurora della grazia vostra spezzando le notti delle mie disgrazie, m'avete apportato un giorno felicissimo, e col sole delle bellezze vostre rompendo la dura crudeltà, fate correre un mare di gioie e di consolazioni, dove io godendo voi, che sete vaga più che l'aurora e bella più del sole, mi reputo il più felice e il più contento del mondo.

LAVINIA

E io, Flavio mio dolcissimo, combattuta da un falso pensiero, che l'amor vostro non fusse stato finto, con disegno d'ingannarmi, già che mi conosceva indegna di voi, mostrai d'odiarvi a morte, e amavo altri della mia qualità. Ma poi che ho conosciuto chiaramente che m'amate con puro e sincero amore, vi certifico che quell'odio era apparenza, e che oggi v'amo e amarò sempre più che me stessa: essendovi degnato d'accettarmi per moglie non per mia bellezza, come dite, ma per vostra bontà e cortesia.

FLAMINIO

Per le bellezze esteriori, e maggiormente per quella dell'animo io vi amo e onoro; come così farò sempre, non solo da marito, ma da servo obendientissimo.

LAVINIA

Sarò io obedientissima serva di voi, mio marito e mio signore. Ma ditemi, perchè vi volete partire? Dove andate? Non mi lasciate, di grazia.

FLAMINIO

Il partire m'è pena, come il stare con voi mi è sommo contento. Ma considerando che se ben parto con la persona, resta con voi la miglior parte di me, delibero partirmi per sapere che cosa ha fatto Camillo, che essendo egli stato mezzo di così felice successo, è forza che io l'aiuti con tutto il mio potere.

LAVINIA

Sarebbe meglio mandarci altri, e voi restiate meco, perchè senza di voi sto senz'anima.

FLAMINIO

Ritornarò quanto prima, che se io potessi confidare in altri il segreto, lasciarei d'andarvi per non lasciar voi, che sete la vita mia.

LAVINIA

Vedo venir gente di là. Fermatevi, non andate via, acciò non vi succeda qualche disgrazia; vediam prima chi sono.

FLAMINIO

Colui mi par Camillo. Egli è certo, e non porta più i vestiti di lutto, dal che argomento buonissime nuove; ma sospetto, poi che lo vedo turbato in volto, insieme con quell'altro giovane che similmente vien turbato. Ritiriamoci qui dentro, osservando quel che dicono.

Scena 9

CAMILLO

È possibile che quel moro sia partito da Roma? Deh, ditemi il vero, giovinetto mio caro, quando fu? In che modo? Come lo sapete voi? Dove lo conosce<s>te? Che vi disse? Dove andò? E in che luogo lo potrei trovare?

ERSILIA

Si è partito mo poco innanzi alla disperata; lo so, che èramo un'anima e doi corpi insieme. Lo conosco da tre giorni in qua: mi disse che era donna e non uomo, si chiamava Ersilia, andò non so dove: e credo che non lo trovarete senza di me.

CAMILLO

Senza di voi! Dunque sapete voi dove ella sta? Andianci, di grazia.

ERSILIA

A che fine?

CAMILLO

Già che sapete il principio, vi dirò anco il fine. Ersilia amava me, e io non amavo lei, perchè amavo Cornelia, come ella amava me. Costei per causa d'Ersilia converse l'amor suo in odio, il qual odio ritorcendo io contra Ersilia, l'odiava più che la morte. Cornelia adesso si ritrova mia madre; e io per corrisponder all'amor grande d'Ersilia, che per me si è messa in tanti pericoli, ho rivolto quell'odio in amor tanto estremo, che spasimo e moro per la mia dolcissima Ersilia.

ERSILIA

Ritrovarete effetti contrarii: che quell'amor grande che allora vi portava Ersilia si è rivolto in un odio così estremo, che ella vi vorrebbe da senno veder spasimare e morire. Deh! ingrataccio che sei stato a disprezzar l'amor di donna giovane e bella per un'altra di tempo e di mediocre bellezza. Incauto che sei! E chi non sa che adesso per rifiuto di Cornelia t'adduci ad amar Ersilia? Va pur, che essendo io un'istessa persona con quella povera giovane, ti desidero ogni peggio.

CAMILLO

O Dio! che dolci pensieri mi manda adesso Amore! Fermati, quel giovane, e forse direi meglio fermati, Ersilia: già non m'inganno come prima, che Amor mi svela gli occhi. Deh, che penso? Deh, che miro più? Riconosco ben io la barba è posticcia, ne la toglio, e togliendola veggo... Ahimè! che veggo? Veggo che voi sete, sete voi, Ersilia! Vi veggo, anima mia, occhi un tempo discari; volto che m'intorbidavi, adesso m'assereni; bocca che amara m'apparve, e adesso miele distilla. Parlami, bocca; girati, volto; miratemi, occhi cari. Volto sereno, bocca suave, ecco il vostro amato Camillo che v'ama, vi contempla, v'ammira!

FLAMINIO

Oh, potenzia grande d'amore! Io stupisco, Lavinia mia.

LAVINIA

E io ancora; ma quel che importa, vedete che contemplando fissamente Camillo più col pensiero che con gli occhi, non s'avede che Ersilia si parte pian piano, e ora rimarrà egli solo.

CAMILLO

Io conosco il mio fallo; vi chieggio perdono, conservatrice delle mie speranze. Rispondimi pure. Ma chi mi tien che non t'abbracci? Ohimè! che il vento abbraccio. Dove sei? Chi mi ti tolse, Ersilia mia? Sei forsi l'ombra sua? E se pur sei l'ombra, ritorna a consolarmi; e se pur sei Ersilia, come ti parti senza esser vista? Fu l'acuto mio pensiero che, stando fisso in te, mi coperse la vista. Deh! crudeli amanti, imparate da me misero: non dispregiate più chi v'ama; ecco la mia pena, merito assai peggio... Ma perchè indarno mi crucio? Già ritorna di nuovo: tu non mi scapperai!

FLAMINIO

Nè a me più scapperà!

GIALAISE

Tenetela stretta, chessa mariolella, ca pare sia chella ca se trasformava 'n tante forme, allo tiempo antico delli Romani.

ERSILIA

Deh, lasciatemi, di grazia, andare. Che volete da me? Chi sete voi?

CAMILLO

Sono il vostro Camillo.

ERSILIA

Allora mio, e non adesso.

FLAMINIO

E io il vostro non mai Flaminio.

ERSILIA

Adesso mio, e non allora.

GIALAISE

E io lo Signore Gialaise.

ERSILIA

Non vi conosco, gentiluomo.

GIALAISE

E io te boria conoscere.

CAMILLO

Dunque non mi ami?

ERSILIA

No.

FLAMINIO

E me ami?

ERSILIA

Sì.

FLAMINIO

Deh! se è vero che con il tinto di fuora ti hai levato anco il crudo di dentro, dammene segni più certi: sana e salva un che si muore.

FLAMINIO

Oh, che cose stupende io sento! Oh, che cose nuove io vedo!

LAVINIA

Degne veramente d'esser intese e viste.

FLAMINIO

Deh, perchè tardi a rispondermi? Rispondimi, vita mia: non sarai tu la vita mia?

ERSILIA

Sì.

CAMILLO

E del tuo Camillo?

ERSILIA

No.

CAMILLO

Instabil tempo, voglie mutabili, donne perverse, Amor crudele, infelice Camillo!

FLAMINIO

Io non posso più dire, impedito dalla gioia immensa che sento in udir che io son vostro.

CAMILLO

Ahimè!

FLAMINIO

Che cosa è questa, Signor Camillo? Vi dispiace forse che io riceva il premio delle lunghe fatiche? Sin qui mi ho persuaso che le vostre dimande erano per scolparvi, chè Ersilia non vi amava: ma ora mi date quel sospetto che sempre ho aùto di voi.

CAMILLO

Ecco pur, Signor Flaminio, un manifesto segno della mia viva fede e dell'affezion grande che io vi porto. Ersilia fu sempre odiata da me, e ora, non so come, Amore me l'ha di sorte scolpita nell'animo che io son tutto suo: adesso che ella non è più mia! Ma essendo tutta vostra, goderò che vi godiate insieme felicemente; e preponendo la mia amicizia al mio privato interesse, mi partirò di Roma, e sbandito e misero cercarò come posso finir meglio il resto della vita mia.

FLAMINIO

Non piaccia a Dio, Camillo, che io mi renda ingrato e che defraudi la fede e affezion vostra verso di me. Ecco che vi rinonzio il tesoro tanto da me desiderato; e sentendomi pago da quei “sì” datimi da Ersilia, viverò contento che viviate insieme contentissimi.

GIALAISE

L'importanza mo sta sa si contenta issa: pecchè la renunza fatta pe Vostra Signoria no' vale senza lo consenso suo: e io lo saccio moto bene pe la longa pratica delli tribunali de Napole. Orsù, chi bolete, Signora Ersilia?... Sta zitta: no' bolesse nè l'uno nè l'autro, e s'attaccasse co me?

FLAMINIO

Non sete contenta, Signora mia, di ripigliarvi il vostro Camillo?

ERSILIA

No.

CAMILLO

Ma volete il vostro Flaminio?

ERSILIA

Sì.

GIALAISE

E tre vote sì: concludemolo, e spedimola.

Scena 10

BIANCHETTA

Dove sarà costui? Ma eccolo pure, e vi sta Camillo, e vi è ancora Ersilia vestita da uomo. Che novità son queste?

CAMILLO

E io non voglio, Signor Flaminio, nè ancora rendermi ingrato all'effetto grande dell'amor vostro; mi quieto; vi dono la Signora Ersilia, dono veramente prezioso e caro, degno di voi, caro e prezioso tempio di rara e perfetta amicizia.

FLAMINIO

Oh, troppo caro, oh, troppo eccelso dono! che se bene io me ne conobbi sempre indegno, me ne farà degno la grazia della Signora Ersilia, a chi dono questa fede non solo di marito, ma di servitore e schiavo.

BIANCHETTA

Che servitore? che marito? che schiavo? Fermatevi, non date la mano, Ersilia! Statti, Flaminio, che non più Flaminio <sei> ma Consalvo figlio di Alonso, che era Hermando padre di voi: e voi sete fratello e sorella!

GIALAISE

Chesso è n'autro cunto dell'uorco.

ERSILIA

Che dite, Bianchetta? Dunque Flaminio è Consalvo mio fratello? Consalvo che restò in mano della nutrice in Malta, secondo più volte mi disse mio padre? Come lo sapete voi? Deh, ditemi il vero.

BIANCHETTA

Lo so da Messer Alberto, che mi ha dati i segni e contrasegni; ma perchè l'istoria sarebbe lunga, e non converia dirla qui fuora, stando Ersilia vestita da uomo, andiamo in casa della Signora Cornelia.

FLAMINIO

Che baie son queste? Se io son figlio di Messer Alberto, come posso esser fratello di Ersilia? Andate, vecchia, e non ci sturbate, di grazia.

BIANCHETTA

Che volete fare? Deh, non fate, fermatevi, che è certo come dico io!

FLAMINIO

Fatevi sopra, Signora Lavinia che è forza che io vada per risolvere il tutto.

LAVINIA

Io starò alla gelosia, e voi tornate presto.

FLAMINIO

Signori, io vi bascio primieramente le mani.

CAMILLO

Siate il benvenuto, Flavio mio.

FLAMINIO

E poi vi prego ch'ascoltiate. Io da parte ho inteso quel che è passato fra di voi: e mi resta di dire che con l'artificio di Bianchetta e con il mezzo vostro, Signor Camillo, introdotto in casa di Messer Alberto (il quale sopravenendo con mio padre, ho fatto in maniera che Lavinia sia mia moglie); e conferendomi Messer Alberto in segreto che voi, Signor Flaminio, non gli sete figlio, ma vi prese in Malta di mano d'una nutrice, e che eravate figlio di questo Hermando; quel che ha detto la vecchia dico esser vero, e perciò voi sete veramente fratello e sorella.

GIALAISE

Saldo, ca essa a poco a poco ritornarà la mia pecchè l'uno l'ha renunziata, e l'autro l'è fratello; donca azzic<c>araggio io.

ERSILIA

Ahimè! che più volte ho detto fra me stessa che gli occhi e il volto di voi, Signor Flaminio, si rassomigliavano alla mia madre. O Consalvo e non Flaminio, o fratello e non marito!

FLAMINIO

O sorella, e non moglie, così t'abbraccio e ti bacio; e quell'amore intenso che era di moglie, resta amore sviscerato di sorella. E a voi, Signor Camillo, ridóno l'istesso tesoro tanto caro di sorella, quanto caro era di moglie; e voi, amatissima sorella, riamate il vostro Camillo, che egli amandovi fortemente sarà vostro marito.

CAMILLO

O castissimo fuoco, che abbrugiando i vani pensieri ha suscitato un casto, un conforme, un perfetto volere. Eccomi, Ersilia mia, così tutto tuo come prima desiderasti, e come credo che al presente desideri, tal fede me ne fa il sviscerato amore che ti porto.

ERSILIA

O santo Amore, come conduci a porto felice chi t'adopra santamente! Fu di marito il mio pensiero, e per marito t'accetto, Camillo mio dolcissimo.

CAMILLO

E io con il dolce bascio ti confermo mia moglie, e questo anello leghi perpetuamente i nostri cuori. O giorno per me troppo felice, avendo madre e moglie ritrovato. Deh! se Alberto fosse mio padre, come già me ne ha dato segno la Signora madre, io che adesso sono Persio e non Camillo mi chiamarei felicissimo.

BIANCHETTA

Tu sei Persio? Dunque sei figlio d'Alberto.

FLAMINIO

Voi siete Persio? Oh, che buona fortuna! E sete figlio di Cornelia.

CAMILLO

Di Cornelia.

FLAMINIO

Dunque Muzio, insin adesso Alberto, è vostro padre? Rallegratevi, cieli, di tanti felicissimi successi, se pur non verranno interrotti dalla morte d'Alessandro.

CAMILLO

Alessandro è vivo, e adesso è in casa, che l'astrologo ha scoperto Leonora esser Brianda sua moglie; talchè, se Alberto è Muzio mio padre, le cose averanno felicissimo fine.

FLAMINIO

Così è certissimo; e per ciò sarà bene, Signor Persio, che entriate tutti in casa, a fine che, ritrovando Muzio, si possa rallegrare con il figlio e la Signora Ersilia nora.

CAMILLO

Mi pare più espediente che entriamo in casa della Signora madre, che conferendo il negozio con lei e con Alessandro, si pigliarà oportuna risoluzione. Io vi ringrazio del buono offizio, e spero or ora di venirvi a trovare in casa per riverire e abbracciare il mio desiderato padre.

FLAMINIO

A Dio, e vi aspetto con desiderio per unire insieme tante insperate allegrezze.

CAMILLO

A Dio, Signor cognato e fratello; e noi, Signor Gialaise, entramo in casa, e venite pur con noi, Bianchetta mia: che sì come sete stata partecipe delli travagli, così anco sarà bene a partecipare delle consolazioni.

GIALAISE

Entra prima Vostra Signoria.

CAMILLO

Eh, Vostra Signoria entri.

GIALAISE

No, a fè, a Vostra Signoria tocca.

CAMILLO

Fatemi questa grazia.

GIALAISE

Procedemo alla spagnola, ca all'entrare entra prima lo padrone, e all'uscire esce prima il forastiero.

CAMILLO

Vostra Signoria è padrone di me e della mia casa. Non però voglio obedire.

Scena 11

ALBERTO

In qualche parte sarà quest'astrologo! Se ben Roma è grande, non avemo lasciato loco di cercare e ricercare. S'egli non si ritrova, e se pure Alessandro non viene, io <non> mi saprò risolvere di lasciar Brianda come abandonata e sola.

MANILIO

Usiamo tutte le diligenzie possibili; che quando s'averà la certezza della morte di Alessandro, ad ogni cosa vi è rimedio: che, ripigliando voi Cornelia, io mi accommodarò con Brianda.

ALBERTO

Matrimonio mediante, s'intende, Messer Manilio. Esprimasi meglio quel verbo, accommodare, perchè è una certa parola pregnante.

MANILIO

Ah, ah, ah! Mi fate rider da senno. Posso io pretender altro che matrimonio per la qualità e per l'età mia, e per rispetto vostro e di Lavinia mia nora, che come sapete è figlia di Brianda?

ALBERTO

Cautelam cautelae addere cautius est. Ma senti: che suono di tamburello è quello che si sente dentro la casa di Cornelia? Esce un figliuolo sonando, e quel pezzo d'uomo che è Magagna vien saltando: retiriamoci qui dietro, e sentiamo un poco che cosa voglion dire.

Scena 12

FRANCESCHETTO

Balla forte, balla, balla, balla forte, il mio Magagna! Se non balla, a fè, non magna! A fè, non magna, se non balla!

MAGAGNA

Dammi tu delle fescelle, ch'io son stracco di ballare! Vuoimi dare, vuoimi dare, vuoimi dar delle fes... fes... fescelle?

FRANCESCHETTO

Oh, oh! vuol dir frittelle all'usanza di Puglia, e dice fescelle. Tu stai fresco, poi che cominci a perder l'r.

MAGAGNA

Dammene un altro po... po... poco.

FRANCESCHETTO

Sì, sì, dillo più chiaro, che l'altro non s'è inteso.

MAGAGNA

Ca... ca... ca...

FRANCESCHETTO

Fermati, non scappar, Baiardo.

MAGAGNA

Fa... fa... fa...

FRANCESCHETTO

Fa su il càncaro che ti magni.

MAGAGNA

Ca... ca... fan... fan... Franceschetto, Franceschetto.

FRANCESCHETTO

Caro Franceschetto, vuol dire; col saltare si è commosso tanto più il vino. Alla fè, che tu stai concio per le feste.

MAGAGNA

Sì, sì, sì! Fes... fes... fes...

FRANCESCHETTO

E pur là!

MAGAGNA

Fes... fes... fesce.... fescelle voglio, e ca... ca...

FRANCESCHETTO

Piano, che te le darò tutte, acciò non scappi in qualche disordine. Eccone una; apri la bocca e prendila. Non è buona?

MAGAGNA

Bonissima, ma pochissima. Mena, mena un altro po... poco.

FRANCESCHETTO

Poichè tu sei goloso, te ne darò assai assai, pur che salti a passar questa bacchetta, come fa il nostro cagnolino in casa: non te ne contenti?

MAGAGNA

Sì, sì, pur che l'abbia tu... tu... tutte.

FRANCESCHETTO

Tutte. Or salta. Tu non ci vedi, pover uomo; da questa parte. Dove vai? Ecco qua la bacchetta, salta! So che l'hai preso, il granchio. Non ci vedi mica: salta da valent'uomo. Oh, bella! Cascò con la sua lotta.

MAGAGNA

Or sta così mo tu: peggio per te, che io son alto quanto sei tu pa... pa... pa...

FRANCESCHETTO

Pane vuole adesso, e non più fescelle.

MAGAGNA

Par... par... pari in buona fè: dormiamo tutti insieme, che io mi stendo e colco.

MANILIO

Io smascello dalle risa.

ALBERTO

Puossi sentir più bella comedia di questa?

FRANCESCHETTO

Oh, come stai bello adesso! Ma vedi, che cominciò subito a gorgogliare; è segno che il pignatto è pieno e il fuoco del vino bolle. Io vorrei vendicarmi di costui, che mi suole al spesso battere... Prendo la cintola per legarli le mani e i piedi.

ALBERTO

Lasciamolo star così, quel figliuolo, che ogni poco che si riposa non gli darà tanto fastidio il vino. E tra questo mentre dimmi, per vita tua, che allegrezze son queste che si fanno in casa, poi che venendo voi fuora, andate sonando e ballando?

FRANCESCHETTO

Allegrezze d'importanzia. Chi era morto è vivo; chi era perso, si trova; chi voleva esser moglie, è madre; chi marito, è figlio; chi era amante, è fratello; chi era intricato, si strica. Oh, che intrico, oh, che districo!

ALBERTO

Chi era morto, è vivo! Sarà forse costui Alessandro? E... sarà Alessandro, e dove sta?

FRANCESCHETTO

È vivo, sta in casa, e già Magagna veniva a chiamar non so chi Muzio, che era prima un altro e oggi è marito di mia madre.

ALBERTO

Muzio, che era prima un altro e oggi è marito di tua madre? Dunque son io! Ecco, Magagna lo sa. Non è tempo questo da perdere, vuo' chiamarlo: Magagna, levati, non dormir più, e dimmi: è vivo Alessandro?

MAGAGNA

Oh, oh! chi mi rompe il sogno? Ma io come son qui? Tu sei M... Mu... Mu... Muto: mi levo e vi dico, a fè, che io mi ricordo che io sto, sto...

ALBERTO

Stai allegro, e con questa allegrezza voglio saper da te se Alessandro è vivo.

MAGAGNA

È vivo, e io vivendo con lui ho beùto mo, e beverò anco appresso, perchè Alessandro è vivo, e quanto più si beve, tanto più si vive: e perciò vengo a dirvi che per beveraggio mi date a bere, se volete che io viva vostro servitore.

ALBERTO

O Magagna, re de gli uomini! farò che non solo bevi, ma che magni ancora per molti giorni a tua posta.

MANILIO

Ma ecco che vien fuora Brianda, e con lei Pasquina, e vi è pur Flavio mio figlio. Andiamoli incontra per saper dove vanno.

Scena 13

ALBERTO

Oh, che influenzie d'allegrezze son queste d'oggi, poi che veggo ancor voi, Signora mia, tutta allegra e gioconda in volto? Ditemi, che cosa ci è di nuovo, e dove andate?

LEONORA

A tempo vi trovo, Messer Muzio, e non Alberto; e il trovarvi a tempo giunse consolazioni alle mie consolazioni, già che gionti possiamo andare in casa della Signora Cornelia, voi per ritrovar la prima vostra moglie, e anco Camillo, che è Persio vostro figliuolo; e io per ritrovar Alessandro, mio primo marito, già che è vivo e sta nell'istessa casa, secondo mi ha detto il Signor Flavio aver saputo per cosa certa: e così uniti insieme rifermaremo il negozio, di sorte che ciascuno rimarrà sodisfatto.

FLAMINIO

Già che le cose con l'aiuto di Dio vanno per buon camino, giungeremo senza dubio al luogo desiderato. Andiamo dunque, Signor Muzio, andiamo, Signor padre: ambi padri e miei Signori, così come la Signora Brianda e Cornelia saranno ambe madri e Signore.

MANILIO

Mi piace questo pensiero. Andiamo tutti.

ALBERTO

Andiamo, e rendo grazie infinite al Signore di tante segnalate grazie.

MAGAGNA

Sona, Franceschetto.

FRANCESCHETTO

Io sono, e tu balla, balla.

FLAMINIO

Che cosa? Sete matti?

MAGAGNA

Poi che stiamo tutti allegri, sarà bene andar cantando, perchè be... be... c... c... a fè, a fè...

PASQUINA

Eh! Ferma, semplicione che sei.

MAGAGNA

Chi è quella che mi batte e parla all'usanza di Puglia? Eh là, oh là, chi sei tu? Io miro... e pur mirando trovo che tu sei Gentilesca! Ti conosco, sì, figlia mia, tu sei la Gentilesca.

PASQUINA

Che Gentilesca! Io mi chiamo Pasquina, e non Gentilesca.

MAGAGNA

Ti è stato cambiato il nome, ma tu sei essa certissimo, figlia mia, che t'ho cercato tanto tempo, che a questo fine son venuto in Roma, dove intesi che eri capitata, e mai ne ho potuto aver nova. Io ti abbraccio, io ti piglio in braccio, figlia mia gentile, oh, la bella Gentilesca!

PASQUINA

Lasciami stare, che ti darò un pugno in questo viso di ladro.

LEONORA

Ferma, quell'uomo da bene, e taci tu, Pasquina, perchè costui dice il vero, che tu ti chiami Gentilesca. Ma dimmi, dove conosc<est>i tu costei?

MAGAGNA

Che cosa è conoscere, se è uscita dalle mie viscere? Che incorporandomi con mia moglie, che fu di casa Lesca, e io essendo di casa Gentile, <da Gentile> e da Lesca ne nacque Gentilesca.

LEONORA

Non basta, che molte volte succede che uno s'assomigli all'altro. Voglio sapere ancora il tempo: dimmi, quanti anni sono che non l'hai vista?

MAGAGNA

Sette anni sarà il primo di Carnevale; e la figliuola allora aveva da sei anni in circa.

LEONORA

È vero. Di che nazione sei tu? E in particolare di che terra?

MAGAGNA

Io son pugliese, e la mia terra è Triggiano; e stando la povera figliuola in la città di Matrone in casa di certi miei parenti, a tempo che io andavo fuggendo per debiti, passaro di là certi diavoli spagnoli, e il Capitan Fiasco l'arrobò e la menò seco.

LEONORA

Il Capitan Valasches, volete dir voi. La cosa si va dichiarando a poco a poco; ditemi, che segni tiene sopra la figliuola?

MAGAGNA

Nella camera del piede sinistro tiene certi segni neri, che rilevano un M, e un F, che vuol dire Magagnifico.

LEONORA

È vero, è più che vero: costei è vostra figlia, perchè il Capitan Valasches, poco prima che morisse, la menò seco da quelle parti di Puglia.

FLAMINIO

Oh, che complimenti d'allegrezze son questi! In ricompensa del buon animo che mi ha sempre mostro Pasquina, adesso Gentilesca, supplico, Signor padre, che se gli debbiano dar 50 scudi per la sua dote.

MANILIO

Mi contento, figlio mio.

ALBERTO

E io, per li servizii fattimi, li dono altri 50 scudi.

LEONORA

E io delli miei altri 50.

FLAMINIO

Che sono 150, dote competente per il Signor Giovan Luigi Napolitano, il quale stando intensamente innamorato di lei, so certo che se ne contentarà, non mirando alla sua bassa condizione. Andiamo dunque, che stando egli in casa del Signor Alessandro, saldaremo ogni cosa con bel modo.

FRANCESCHETTO

Aspettate, Signori. Magagna per l'allegrezza si è dimenticato. Dissero quei Signori che dicesse a voi, Signor Flavio, che non vi foste partito di casa, che loro sarebbono venuti a trovarvi con la Signora madre, con Ersilia, e con tutti... Ma eccoli che vengono fuori.

Scena 14

ALESSANDRO

Il punto sta se senza nota d'infamia ciascuno si può ripigliare legitimamente la sua prima moglie. Ma eccoli, che anch'essi sono in via. Vi baciamo le mani, Signori, rallegrandoci che ci avete prevenuto ad uscir prima di noi, per l'occasione d'esservi avicinati alla mia casa, dove mi sarà cosa grata ricevere così onorata e nobil compagnia.

ALBERTO

Signor Alessandro, già che tutti sappiamo quel che passa, per non replicare il medesimo resta solo di risolvere il punto che Vostra Signoria poco avanti diceva: cioè se senza nota d'infamia ciascuno si può legitimamente ripigliare la sua prima moglie. Onde io, come dottore consumato nelli studii delli sacri canoni, dico che dove non è peccato, non è infamia: e perchè voi e io giudicammo le mogli morte, legitimamente ne ricasammo. Così Brianda e Cornelia riputando noi, loro mariti, similmente morti, legitimamente si ricasorno. In tanto che, non vi essendo peccato, non vi resta infamia, anzi siamo tutti degni di lode: quia sicut hae mulieres, quae ad suos viros reverti nolunt, impiae sunt habendae; ita illae, quae in affectum ex Deo initum, redeunt, merito sunt laudandae. Ita iudico, ut in Titulo 34. cap. 1. quaest. 2. Ripiglisi dunque ognuno la sua moglie, che tutti onorati e senza colpa restaremo.

ALESSANDRO

Ringraziato Iddio, che ci ha concesso che voi foste dottore per risolvere in un tratto il dubio che mi perturbava la mente. Or che, Brianda mia, li cieli permettono, dopo tanti infortunii e pericoli di morte, io vi vegga viva e salva, ritorno a voi, desiato mio porto, come nave combattuta da varie tempeste, per riposarci insieme felicemente; e però vi abbraccio e vi stringo, e così stretta e abbracciata a pena credo che abbracciata e stretta vi tenghi, anima mia, che vi credevo in Cielo tanto lontano da noi.

LEONORA

O Alessandro mio caro, o marito mio carissimo! Il coltello che mi trafisse l'alma, mentre morto vi giudicai, troncando al presente i travagli passati, m'imprime nel petto la bella vostra imagine, e raviva quell'amor casto e vero che scambievolmente fu e sarà sempre tra di noi.

ALESSANDRO

E voi, Signora Cornelia, poi che il giusto richiede che ritorniate al primo vostro marito, godetevi insieme, tenendo per fermo che in ogni occasione averete me più che pronto, come fratello amorevole e come servitore affezionatissimo.

ALBERTO

E da mia parte, e da parte di lei, vi ringrazio infinitamente, Signor Alessandro. Ma perchè dentro a più bell'agio potremo consolarci, entriamo, Signori, in casa mia: e abbracciata voi, Cornelia, per quella amata consorte che mi foste prima, prego i cieli che ci concedano ogni compita felicità.

CORNELIA

E io, Signor Muzio mio, non potendo dir altro per l'immensa allegrezza che sento, son quell'istessa Cornelia, che con il cuore e con l'animo vi amo e amarò sempre.

ALBERTO

E abbraccio ancor voi, caro e da me bramato figlio, Persio mio dolce, consolazion grande di me tuo padre.

CAMILLO

O padre amatissimo, non posso capir tante allegrezze.

FLAMINIO

Entriamo dentro, Signori, che volendo qui fuori riferir tutte l'allegrezze delle quali ciascun di noi è pieno, vi correria lungo tempo; e oltre che si starebbe a disaggio, non converria a dimorar tanto in strada.

GIALAISE

Dice bene lo Signore Flavio. Entrate, Signori, e dintro 'ncora potremo risolvere lo negozio di Pasquina con me, Signor Giovan Luigi.

MANILIO

È risoluto già, che Pasquina, qual veramente si dimanda Gentilesca, è pugliese, e abbiamo ritrovato suo padre e con lui concluso che sia vostra moglie, con 150 scudi di dote in contanti; e se ben non è nobile, basta che è figlia di buon padre e buona madre.

GIALAISE

Vengano tornisi in contanti, ca de lo riesto poco mi curo, avendo tanta nobeltade ca la pozzo dare a cambio e a scambio; e poi in ogni modo faraggio como fanno chis<s>'autri Cavalieri, ca s'abbassano pe accommodarse. Anzi serà grandezza la mia, a 'nalzare una donna da me tanto amata; e le cose ca se fanno pe amore sono escusabili. Or dimmi mo, Pasquina, al presente Gentilesca, non vi contentate d'incorporarve co la mia nobeletade?

PASQUINA

Io farò quel che farà il mio Messer padre.

GIALAISE

E chi è vostro padre?

MAGAGNA

Ego, io.

GIALAISE

Tu, eh? Come diavolo va ssa cosa? chi mi darà la moneta?

MANILIO

Ve la darò io, e Messer Alberto. Contentatevi, Signor Giovan Luigi, di quel che abbiamo fatto noi.

GIALAISE

Di grazia, dà ccà la mano, Signora Gentilesca, ca in toccarti solamente sei fatta illustrissima.

PASQUINA

Ma voglio le maniglie d'oro, io.

GIALAISE

Autro che maniglie d'oro avarai! Spantarà Roma de chelle cose ca ti faraggio benire da Napole.

PASQUINA

La collana e i pendenti, la cuffia similmente d'oro, e la gonnella di scarlatto rosso.

GIALAISE

Quietati, ca na Principessa no' avarà tanto quanto avarai tu. E fa' cunto che 'n una bilanza mettendoti tu, e lo dono mio nell'autra, pesarà chiù l'oro, che non pesarai tu.

PASQUINA

E voglio ancora un'altra cosa.

GIALAISE

Che cosa?

PASQUINA

Che non vadi più alle puttane.

GIALAISE

Ce pensarimo a chesso.

PASQUINA

Se tu ci vuoi pensare, ci voglio pensare anch'io.

GIALAISE

Orsù, te lo prometto, pur ca chesse femmene mi promettano a non dareme fastidio con tante suppliche ca mi mandano onne iuorno.

PASQUINA

Entra dentro, che giustaremo i pesi e le misure.

BIANCHETTA

E che faremo noi, Magagna, così soli soletti e senza compagnia?

MAGAGNA

Che cosa vorresti che facessimo?

BIANCHETTA

Quel che han fatto gli altri.

MAGAGNA

E che han fatto gli altri?

BIANCHETTA

Sono entrati.

MAGAGNA

E noi entriamo.

BIANCHETTA

Sì, ma entriamo sposi come essi; e vorrei che voi prima entraste in me, come entra l'ape nella pecchia, lasciandovi il me... mele.

MAGAGNA

Il me... mele? Mirate che sapor di bocca, e che menar di coda, e che sorte d'inchini te fa la pecchia vecchia!

BIANCHETTA

Vecchia son io? me vedi vecchia nella scorza, ma nel medollo son giovane più d'ogn'altra. Ma ritiriamoci insieme, che io ho ducento scudi in contanti, e mill'altre coselle da viver sempre bene, senza invidiar altri.

MAGAGNA

Ducento scudi in contanti e altre cose? Orsù, che io farò come fanno gli altri Cavalieri, che si bassano ed acconciano. Entra dentro, che con la pecunia numerata si farà tra di noi la copulata.

Licenzia che fa Leandro.

LEANDRO

Signori e Signore, ecco l'intrichi districati nel fine. S'intricò Cornelia nell'amor di Camillo, e Camillo nell'amor di lei; ma resistendo prudentemente all'amorose passioni, districati da quelle godeno insieme l'amor di madre e figlio: essempio, a noi altri che dovemo resistere alle tentazioni, che dal Cielo ne piovono sempre grazie. S'intricò Alessandro nel frenetico della gelosia, con pericolo d'onore e della vita; ma ricercando l'aiuto di sopra, lo districò felicemente, con il ritrovo della sua prima moglie: essempio pur a noi che non dovemo usar questi termini con le mogli; ma quando occorre ricorriamo al Signore, che può e sa provedere a ogni cosa. S'intricò Lavinia nel vano amore di Giovan Luigi; ma rivolta al Cielo, se gli offerse occasione d'aver il suo Flavio in forma di molinaro, il quale intricato onestamente nell'amore di lei, si districa nell'ultimo, e ottiene l'onesto suo desiderio: essempio pur a noi che, lasciando le cose vane, otterremo sempre l'oneste. S'intricò Ersilia nell'amor di Camillo; ma coprendolo accortamente ha discoperto in quello l'amor fraterno di Flaminio; e districata da lui, ottiene l'amato suo Camillo: essempio pur a noi che dovemo celare i privati appetiti, per non dar scandalo al popolo, perchè da così buon principio ne risulta sempre ottimo fine. S'intricò Giovan Luigi nelle superbe pretendenze di personaggi grandi; ma districato da quelli si abbassa con Pasquina fantescuola, la quale abbassandosi viene essaltata nel fine: essempio pur a noi che li superbi vengono abbassati e gli umili essaltati.

Ma dove io vado, Signori? Io ero qui per districarvi col fine della commedia, e pur intrigo di nuovo col ri<e>pilogo de gli stessi intrichi e districhi. Orsù, questi Signori Comici si sono dalla promessa districati, e vi rendono infinite grazie che vi sete degnati di aspettare il fine de gli Amorosi Intrichi; notificandovi col maggior affetto che si può che gl'intricati sempre sono al servizio vostro. E per conoscer se vi è piacciuto l'Intrico d'Amore, datene segno con allegro segno di voci, e suon di mani con esse.

FINE