JIM GRAZIANO MAGLIA
JIM GRAZIANO MAGLIA
MONOLOGO DRAMMATURGICO
(per corale od organo a canne oppure basi musicali)
DAL LIBRO
LE CONFESSIONI DI S. AGOSTINO
ed Opere Varie
Consulente scientifico: P. GIANCARLO CERIOTTI ,Vicario Generale O.S.A
Roma
Interpretazione , progetto/regia : JIM GRAZIANO MAGLIA
Autorizzazione e collaborazione : Comunità Agostiniana S.Pietro in Ciel
D’Oro,Pavia
Ultima versione aggiornata giugno 2008
©JIM GRAZIANO MAGLIA
©1994/1995/1996/1997/1998/2008
Ogni riproduzione, traduzione e/o adattamento è proibita e altresì dicasi per letture pubbliche e/o simili
ELEMENTI SCENOGRAFICI (preferibilmente)
1 pedana lunghezza 8/10 m – larghezza 1,30 m – altezza 0,40 m
ceri
candele
leggii
libri
drappi
riflettori
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PERSONAGGI PARTECIPAZIONE ARTISTICA
S. Agostino Una Corale (secondo la versione scenica)
S.Monica, la madre Un M.° Organista (secondo la versione scenica)
Corpo di Gesù Cristo
4 frati
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INIZIO MONOLOGO Note registiche
(con Corale, figuranti oppure
solo Organo o basi musicali)
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Entrata coro dall'ingresso principale - esecuzione -leitmotiv (Motivo originale composto da Mario Tononi - Direttore Coro "Ars Nova" , Carpenedolo –BS-)
Entrata S. Agostino
O Padre, io sono in ricerca.
Non pretendo di fare affermazioni,
Ma tu, mio Dio, veglia sui miei passi e guidami. (1)
Tu ci chiami a comprendere il Verbo, Dio presso te Dio, Parola detta dall'eternità e con la quale sono dette per l'eternità tutte le cose. Con essa non si dice prima una cosa e poi l'altra, e così via finché alla fine sian dette tutte, ma tutte si dicono insieme dall'eternità. Se non fosse così si avrebbe il tempo e la mutazione e non una vera eternità, e neppure vera immortalità. Questo lo capisco, Dio mio, e te ne ringrazio. Lo capisco e te lo dichiaro, Signore; chiunque è grato alla verità certa, lo capisce con me e ti ringrazia.
Verso di te sono rivolto,
ti chiedo di darmi i mezzi per tendere verso di te.
Se tu ci abbandoni,
è la morte!
Ma tu non ci abbandonerai,
perché sei la bontà somma
che non si lascia cercare con cuore sincero
senza lasciarsi trovare.
Rettamente ti cerca
colui che tu hai reso capace di cercarti in tal modo.
Insegnami, o padre, a cercarti.
Liberami dall'errore,
perché in questa ricerca
io non incontri altri che te.
Se io non desidero nient'altro che te,
possa trovarti o padre mio.
Ma se c'è in me qualche desiderio di altre cose, purificami tu stesso,
e mettimi in grado di vederti...
Anche questo mio corpo affido a te,
a te padre sapientissimo e buono.
Ti domanderò per lui
ciò che tu stesso mi avrai suggerito,
al momento opportuno.
Voglio soltanto invocare il tuo amore potente
perché io possa volgere interamente verso di te
e nulla mi costi di quanto a te mi conduce...
Fa' che io viva la temperanza,
il coraggio, la giustizia, la prudenza,
che ami e comprenda pienamente
la tua sapienza,
e mi renda degno della tua casa,
e divenga abitante del tuo regno
colmo di felicità. (3)
Come devo cercarti, Signore?
Quando cerco te, o mio Dio, io cerco la felicità della vita.
Ti cercherò perché viva l'anima mia, e l'anima vive in te. (4)
t Canto coro :
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Come il cervo anela alle sorgenti delle acque,
così l'anima mia sospira te, o Dio.
Ha sete l'anima mia del Dio vivo.
Quando verrò e mi presenterò al volto del mio Dio?
O fonte di vita, vena dell'acqua viva,
quando verrò dalla terra deserta,
senza strade e senz'acque,
alle acque della tua dolcezza,
per vedere la tua potenza e la tua gloria
e saziare con le acque della tua misericordia
la mia sete?
Ho sete,
Signore sorgente di vita;
dissetami.
Ho sete del Dio vivo.
Quando verrò e starò, Signore,
davanti al tuo volto?
Vedrò mai quel giorno di felicità e di gioia,
quel giorno fatto dal Signore,
perché esultiamo e ci rallegriamo in esso?
O giorno chiaro, che non conosci sera,
giorno che non ha tramonto,
nel quale udrò la voce di lode,
la voce di esultanza e di magnificenza:
Entra nella gioia del tuo Signore,
entra nella gioia eterna,
nella casa del Signore tuo Dio
entra nella gioia senza tristezza,
contiene l'eterna letizia,
dove sarà ogni bene e nessun male,
dove sarà tutto ciò che vuoi
e nulla di ciò che non vuoi
dove sarà vita piena, dolce, amabile,
sempre memorabile,
dove non sarà nessun nemico
che ti faccia del male
né alcuna lusinga,
ma somma e certa sicurezza,
e sicura tranquillità e tranquilla serenità,
e gioconda felicità e felice eternità
ed eterna beatitudine,
e beata Trinità e unità della Trinità,
e divinità dell'unità e della deità beata visione,
visione che è il gaudio del mio Signore.
O gioia somma
gioia che supera ogni gioia,
quando entrerò in te per vedere il mio Signore che in te abita?...
Aspettiamo il Salvatore,
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il quale trasformerà il corpo della nostra umiltà
e lo configurerà al corpo del suo splendore.
Aspettiamo il Signore quando tornerà dalle nozze
perché ci introduca in pace alle sue nozze.
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Risata del coro
(dopo aver dato le spalle a Gesù Cristo)
Vieni, Signore Gesù, non tardare.
Vieni, Signore Gesù, a visitarci in pace,
vieni, Salvatore nostro,
vieni, desiderato da tutte le genti.
Mostraci la tua faccia e saremo salvi (5)
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O Dio di virtù, fa che ci volgiamo a te, mostraci il tuo volto e saremo salvi. Dovunque si rivolga fuori di te, l'animo umano è inchiodato al dolore, anche se si attacca a quanto di bello ci può essere fuori di te e di sé. Eppure le cose belle non esisterebbero se non provenissero da te. Nascono e muoiono.
Davanti a quelle cose la mia anima deve tesser le tue lodi, o Dio creatore di tutto, non già attaccarvisi con affetto sensibile. Esse infatti vanno là dove erano dirette, cioè verso il nulla, e lacerano l'anima con passioni malsane, perché l'anima desidera l'esistenza e vuol trovare sollievo nelle cose che ama.
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Non essere vuota, o anima mia; non assordare l'orecchio del cuore con il tumultuare delle tue vanità. Ascolta anche tu: la Parola stessa ti grida di ritornare. C'è quiete imperturbabile là dove l'amore non è abbandonato, a meno che non abbandoni egli stesso. Qui invece ogni cosa svanisce, altre ne succedono e così via si forma l'universo delle realtà inferiori.
Ma il verbo di Dio dice: "Forse che anch'io svanisco?" Poni dunque la tua abitazione in lui, anima mia, a lui affida tutto ciò che da lui ricevi, stanca come sei, ormai, di essere ingannata! Affida alla Verità tutto ciò che ti vene da lei, e non perderai nulla; rifiorirà quanto in te c'è di marcio, guarirà ogni tua malattia e ogni debolezza ti verrà sostenuta, riparata, rinnovata, né più tardi sarai trascinata in basso, ma resterai sempre in piedi presso Dio onnipresente e stabile.
Perché ti lasci pervertire e segui la tua carne ? Sia lei, piuttosto, a convertirsi e a seguire te!
Ma se i sensi della tua carne fossero idonei a comprendere in tutto e non avessero subìto in ciò una giusta limitazione come tuo castigo, tu vorresti che ogni realtà ora esistente ti parlasse davanti per poterne cogliere meglio. ogni piacere. Anche ciò che diciamo tu lo cogli attraverso i Sensi, e non vuoi certo che le sillabe si fermino, ma vuoi che scorrano perché passino tutte e tu possa in tal modo sentire l'intero discorso.
Tuttavia molto migliore di ogni cosa e colui che ogni cosa ha creato, il nostro Dio, il quale non passa e da nulla può essere sostituito. (9)
t Agostino si sposta lentamente in diversi punti scenici
Se ti piacciono i corpi, ringrazia Dio per essi e volgi il tuo amore a chi li ha creati, perché non ti succeda di dispiacere a lui nel gustare quelli. Se ti piacciono le anime, amale in Dio, poiché anch'esse sono mutevoli, ed è solo in lui che diventano stabili; altrimenti passano e periscono. Dunque amale in lui, e trascinane con te a lui quante puoi, dicendo loro: "Amiamolo, amiamolo!"
Dov’é e dove si gusta la verità? E' nell'intimo del nostro cuore; è il nostro cuore che si è allontanato da lui.
t I componenti del coro si scambiano delle candele accese mentre si dirigono lentamente verso l'altare maggiore passando dalla navata centrale (all'arrivo davanti alla salma del Cristo le candele vengono spente e riposte ai suoi piedi)
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Rientrate dunque, nei vostri cuori, o traviati, e aderite a lui che vi ha creato. Rimanete stabilmente con lui, e sarete saldi, riposate in lui e avrete pace. Dove volete andare, in cerca di sofferenze? Dove volete andare? Il bene che desiderate viene da lui, ma è bene e dolcezza solo in quanto è ordinato a lui;
Perché continuare a vagare per strade difficili e faticose? La pace non è dove la cercate voi! Cercatela, poiché la volete, ma essa non è lì dove la cercate. Voi cercate una vita felice in luoghi di morte: non ci può essere! Come potrebbe esserci una vita felice dove non c'è neppure vita?
É scesa quaggiù la vita nostra, la vera vita; si è caricata della nostra morte per ucciderla con la sovrabbondanza della sua vita, e ha fatto risuonare con forza il suo richiamo perché noi risalissimo da quaggiù a lui, in quel luogo inaccessibile da dove egli venne a noi, entrando prima nell'utero di una vergine per Gesù Cristo.
Se n'è andato, infatti, eppure è qui. Non volle stare troppo tempo con noi, eppure non ci ha lasciati.
É partito per quel luogo da dove non era mai venuto via, perché per mezzo suo fu fatto il mondo, ed era in questo mondo; è venuto per salvare i peccatori. La mia anima si confessa a lui, ed è lui che la guarisce perché contro di lui essa ha peccato.
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Di' loro queste cose, anima mia, affinché piangano nella valle dei pianto, e così trascinale via con te verso Dio: dirai queste cose ripiena dello Spirito di Dio; se le dirai infiammata dal fuoco della carità. (10)
t Il coro, nel frattempo, si ricompone per il canto del brano
Io allora non capivo queste cose o amavo le cose belle di quaggiù e camminavo così verso l'abisso, dicendo ai miei amici: "Amiamo forse altro che il bello? E che cos'è il bello, che cos'è la bellezza? Che cos'è che ci attrae e ci concilia con le cose che amiamo? Se non ci fosse in esse armonia e bellezza, non ne saremmo attratti”. Notavo, dunque, e vedevo che in un corpo una cosa è il suo insieme che è la bellezza, e un'altra cosa è la sua consonanza con altri corpi che è l'armonia; tale è la parte nei riguardi del tutto, la calzatura nei riguardi dei piede, eccetera.
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t Il coro è nella posizione del canto eseguito poc'anzi. Agostino riflette e cammina lungo la Chiesa.
Ci fu poi in seguito Simpliciano che parlandomi delle vicende su Vittorino fece crescere in me un ardente desiderio di imitare; del resto egli me le aveva proprio raccontate a questo scopo.
Aggiunse poi un'altra c'osa, che cioè al tempo dell'imperatore Giuliano una legge proibiva ai cristiani di insegnare letteratura ed eloquenza. Vittorino accettò l'imposizione e preferì rinunciare a una scuola fatta di chiacchiere che non alla tua Parola, la quale rende eloquenti anche le lingue degli infanti. In questo tuttavia mi sembrò più fortunato che virtuoso, perché ebbe così modo di dedicare il suo tempo a te.
Anch'io avrei desiderato far questo; ma ero trattenuto non da catene di ferro, bensì dai ferrei vincoli della mia stessa volontà: essa era in potere dell'anniversario che se ne serviva come una catena con cui stringermi. Dalla volontà pervertita nasce infatti la passione; assecondando la passione, si acquista l'abitudine e, non resistendo all'abitudine, si crea la necessità. Con questa specie di anelli saldati insieme (per questo ho parlato di catena), mi teneva ben legato una pesante schiavitù; la volontà nuova che era appena sorta in me, tesa a renderti culto gratuitamente, o Dio, e a godere di te che sei la sola gioia sicura.
Così avevo due volontà, una vecchia, l'altra nuova; una carnale, l'altra spirituale, che si combattevano fra loro e combattendosi laceravano il mio spirito. Comprendevo, dunque, per diretta esperienza ciò che avevo letto: che la carne ha desideri contrari allo spirito e lo spirito ha desideri contrari alla carne. Sentivo certamente tutt'e due questi desideri, però mi riconoscevo di più in quelle cose che interiormente approvavo che non in quelle che disapprovavo, perché in quest'ultime ormai non ero più io: le subivo per forza, più che compierle volontariamente, anche se per colpa mia l'abitudine era divenuta più forte contro di me, perché volontariamente ero arrivato dove non avrei voluto. E chi potrebbe pensare di aver qualcosa da dire contro la giusta punizione di un peccatore la scusa che di solito adducevo per non disprezzare ancora il mondo e non decidermi a servirti era che la verità mi appariva ancora poco chiara. Ma adesso quella scusa non reggeva più: la verità, infatti, mi era ormai ben nota.
Così il peso delle realtà del mondo mi schiacciava piacevolmente, come suole accadere in sogno i pensieri e le riflessioni su di te erano simili agli sforzi di coloro che vorrebbero svegliarsi, ma sono vinti da profondo sonno e vi si reimmergono. Nessuno vuol dormire sempre, e chiunque ragioni ritiene più importante stare svegli: eppure per lo più, quando le membra sono pesanti di sonno, si rimanda lo sforzo di svegliarsi e, pur dispiaciuti, essendo ora di alzarsi, si gusta più volentieri il sonno
Non sapevo cosa risponderti quando mi dicevi: "Alzati, tu che dormi, e risorgi da morte: Cristo ti illuminerà", mi mostravi chiaramente di dire la verità e io, convinto di ciò, non sapevo proprio che cosa replicare, se non parole pigre e sonnolente: "Ora", "fra poco", "aspetta un poco". Ma quei "poco" non erano in realtà poco; quegli "aspetta un poco" in realtà andavano per le lunghe
nel mio intimo.
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Povero me, chi poteva liberarmi da questo corpo di morte, se non la tua grazia mediante il Signore nostro Gesù Cristo? (14)
t Agostino come sopra
Racconterò come tu m'abbia liberato dalla schiavitù dei desideri carnali che mi soggiogavano, nonché da quella degli affari di questo mondo, e celebrerò il tuo nome, Signore, mio aiuto e mio redentore. Svolgevo le attività di sempre, però con ansietà crescente, e ogni giorno di più ti desideravo; quando ero libero da quegli affari il cui peso mi soffocava, frequentavo la tua chiesa. Con me c'era Alipio, che, terminato il suo terzo assessorato, non esercitava più la professione di giurisperito.
C'era anche Nebridio che aveva ceduto alle nostre amichevoli insistenze e così ora aiutava nell'insegnamento Verecondo; questi era un maestro milanese molto amico di tutti noi, che aveva desiderato ardentemente di ottenere quell'aiuto sicuro e che perciò lo aveva chiesto, forte dell'amicizia.
Nebridio, esperto in lettere adempiva a quell'ufficio evitando con molta saggezza di mettersi in vista davanti ai grandi di questo mondo: non rischiava così di perdere la sua pace interiore, come suole accadere in questi casi, e si manteneva intimamente libero per avere il maggior tempo possibile da dedicare a ricerche, letture e all'ascolto di conversazioni sulla sapienza.
Un giorno -Nebridio non c'era, non ricordo perché- un certo Ponticiano, africano e quindi nostro compatriota, che era un personaggio importante a palazzo, venne a casa nostra, da me e Alipio: non so cosa volesse. Ci sedemmo insieme per parlare. Per caso egli vide su di un tavolo da gioco che c’era davanti a noi un libro: lo prese, lo aprì e trovò con sorpresa che si trattava degli scritti dell'apostolo Paolo:
Avendogli detto che mi interessavo moltissimo a quegli scritti, ebbe inizio tutto un discorso sull'argomento, ed egli prese a raccontare di Antonio, monaco egiziano famoso fra i tuoi servi
e si dilungò a parlarne per farci conoscere un simile uomo. Noi eravamo ammirati nel sentire le tue meraviglie validamente testimoniate da fatti tanto recenti, quasi dei nostri giorni, e verificatesi nell'ambito della vera fede della Chiesa cattolica.
Poi nel suo discorso passò ai monaci, al loro modo di vita così gradito al tuo cospetto e alla feconda solitudine dell'eterno, di cui noi non sapevamo nulla. C'era anche a Milano un monastero pieno di buoni fratelli; era fuori delle mura della città sotto l'assistenza di Ambrogio, e noi non lo sapevamo.
Ci raccontò che, non so quando, ma comunque presso Treviri, nelle ore che l'imperatore passa agli spettacoli pomeridiani del circo, egli e tre suoi amici uscirono a passeggiare nei giardini contigui alle mura; camminando a coppie, due da una parte e due dall'altra, si separarono.
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Preso da un'erompente carità soprannaturale e da un sano senso di colpa, in collera con se stesso, fissò negli occhi l'amico e gli disse: "Dimmi, dove presumiamo di arrivare con tutte queste nostre fatiche? Che cosa andiamo cercando? Quale causa serviamo? Potremmo a corte nutrire speranze maggiori di quella di essere amici dell'imperatore? E tuttavia, anche in questa condizione, c'è qualcosa che non sia precario e pieno di pericoli? Bisogna passare attraverso tanti pericoli per arrivare poi ad un pericolo maggiore! E quando mai vi arriveremo?
t Il coro intona mestamente il ritornello del canto precedente e Agostino cammina intorno al corpo di Cristo mentre prosegue la lettura. A1 termine del canto il coro si sposta verso l'ingresso della chiesa lentamente.
“Amico di Dio, invece, lo si diventa subito, basta che lo si voglia".
Disse…
…mentre leggeva e nel suo cuore c'era come una tempesta, a un certo punto ebbe un fremito: aveva scoperto il meglio e si decise per esso. Divenuto ormai tuo, oh mio Dio, disse al suo amico: "Io ho rotto con tutti quei nostri sogni e ho deciso di servire Dio fin da questo momento.
Comincio qui dove mi trovo; se non hai voglia di imitarmi, almeno non mi ostacolare.
Intanto Ponticiano e l'altro che passeggiava con lui nel giardino li stavano cercando. Giunti sul posto e trovatili, li esortarono a tornare a casa perché ormai si faceva sera. Quelli, però, manifestarono la loro decisione, spiegando come vi erano giunti e come non intendevano più rinunciarvi; li ammonirono a non ostacolarli se non si fossero sentiti di unirsi a loro.
Ponticiano a l'amico, pur non mutando la propria vita, piansero su se stessi…
e col cuore attaccato alla terra,
t I1 coro, in fondo alla chiesa, intona il leitmotif.
È per questo che anch’io ho deciso di seguirti, perché la tua misericordia è superiore a ogni vita, e la mia vita è tutta dispersione: per questo tu mi hai raccolto con la tua destra nel mio Signore, figlio dell'uomo, mediatore fra te, unico, e noi, molti, che ci disperdiamo in mezzo alle cose
Così, dimenticando il passato, non distratto dal futuro che è destinato a passare, ma proteso in avanti non nella dispersione, ma nella concentrazione posso camminare verso la gioia della tua casa là dove udrò il canto di lode e contemplerò le tue delizie che non passano. Ora, i miei anni sono nel pianto e tu, Signore, Padre mio eterno, sei il mio conforto. Sono disperso nei vari tempi, ...
finché non mi getterò in te, purificato dalla fiamma del tuo amore.
Oh, Signore… io sono tuo servo tuo servo e figlio di una tua serva.
Hai spezzato le mie catene;
ti offrirò un sacrificio di lode.
Ti lodino il mio cuore e la mia lingua,
e dicano tutte le mie ossa:
Chi mai è simile a te, Signore?
Chi sono mai io?
Che razza d'uomo?
Quanto male ho fatto!
E quando non fu con le azioni,
fu con le parole,
e quando neanche con le parole
con la sola volontà
Ma tu, Signore,
sei buono e misericordioso:
con la tua mano
frughi nelle mie viscere di morte
e purifichi l'abisso di corruzione
che è nel mio animo
nel momento in cui non volli più
ciò che prima volevo
e volli invece ciò che volevi tu,
tu mi purificasti…
Dov’era stata per tanto tempo la mia libertà?...
E… come improvvisamente mi fu dolce
il perdere le false dolcezze di prima!
Quelle che avevo tanto temuto di perdere,
ora era una gioia buttarle.
Tu infatti le allontanavi da me,
vera e suprema dolcezza;
le allontanavi
e subentravi al loro posto tu,
più dolce... di ogni piacere,
più luminoso di ogni luce.
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Il mio animo era ormai libero...
mi intrattenevo ormai con te,
mia grandezza,
mia ricchezza e mia salvezza,
Signore, mio Dio:
Signore, mio Dio,
ascolta la mia preghiera,
la tua misericordia esaudisca il mio desiderio,
perché esso non arde solo per me,
ma vuol essere utile ai fratelli
nell'amore.
Bisognoso e povero io sono,
tu invece
sei ricco per tutti coloro che ti invocano;
tu che,
libero da preoccupazioni,
ti preoccupi di noi.
Libera da ogni incertezza
e da ogni menzogna
la mia bocca e il mio cuore (18)
t Agostino è inginocchiato vicino al corpo di Cristo e prega.
FINE PRIMA PARTE
SECONDA PARTE
Voce registrata: recitaz.‘Padre Nostro’ (in te-
desco secondo scelta regista)
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Perché un po' stai in piedi e un po' non ci stai? Gettati in lui, non avere paura! Non si tirerà da parte così da farti cadere! Gettati senza preoccupazioni: egli ti accoglierà e ti guarirà. Io mi vergognavo moltissimo perché stavo ancora ad ascoltare i sussurri di quelle altre cose così sciocche, ed esitavo; e la continenza sembrava riprendere a dire:
"Fatti sordo a quelle tue impure membra terrene e mortificale; ti offrono piaceri che non sono secondo la legge del Signore Dio tuo.”
Questo contrasto avveniva entro il mio animo; si trattava di me soltanto contro me stesso. Alipio, immobile al mio fianco, attendeva silenzioso la conclusione di quel mio così insolito turbamento.
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E tu Signore, fino a quando? Sarai in collera, Signore, fino alla fine? Non ti ricordare delle nostre passate cattiverie!. Mi sentivo infatti ancora trattenuto dal mio passato, e perciò gridavo disperatamente: 'Per quanto tempo, per quanto tempo dirò ancora: domani, domani? Perché non ora? Perché non porre fine subito alla mia indegnità?'. Dicevo queste cose e piangevo nel più amaro sconforto dell'anima, quand'ecco sento una voce arrivarmi dalla casa vicina: sembrava quella di un fanciullo o di una fanciulla che ripetesse continuamente una canzoncina: “Prendi e leggi, prendi e leggi”.
Cambiai sembiante e mi misi attento ad ascoltare per capire se si trattasse di una qualche cantilena che i fanciulli amano ripetere giocando; non ricordavo però di averla mai udita.
Allora ricacciai il pianto in gola e mi alzai, non potendo pensare ad altro che ad un comando divino che mi dicesse di aprire il libro e di leggere le prime parole che avessi incontrato.
Chiusi il libro e, postovi un dito o non so che altro segno, col volto ora sereno, raccontai la cosa ad Alipio. Egli, a sua volta, mi manifestò ciò che accadeva in lui e che io non sapevo. Mi chiese di vedere che cosa avevo letto: glielo mostrai, ed egli lesse anche più avanti, dove io non sapevo che cosa fosse scritto. E il seguito era: Accogliete chi è debole nella fede.
Andiamo subito da mia madre e le riveliamo la cosa: è tutta contenta. Le narriamo come erano andati i fatti, ed ella esultante, benedice te che sei capace di fare ben più di quanto non ti chiediamo o non comprendiamo di dover fare.
Tu infatti mi convertisti a te con tale forza che non cercavo neanche più moglie o altra speranza terrena.
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Tardi ti ho amato,
Bellezza tanto antica e tanto nuova;
tardi ti ho amato!
Tu eri dentro di me,
e io stavo fuori,
ti cercavo qui,
gettandomi deforme,
sulle belle forme delle tue creature.
Tu eri con me,
ma io non ero con te.
Mi tenevano lontano da te le creature
che, se non esistessero in te,
non esisterebbero per niente.
Tu mi hai chiamato,
il tuo grido ha vinto la mia sordità;
hai brillato,
e la tua luce ha vinto la mia cecità;
hai diffuso il tuo profumo,
e io l'ho respirato,
e ora anelo a te;
ti ho gustato,
e ora ho fame e sete di te;
mi hai toccato,
e ora ardo del desiderio delle tua pace. (21)
t Da questo punto in avanti il segno "[]" simboleggia il punto di assemblaggio/fusione delle pagine in questione (a cura di Jim Graziano Maglia Regista e interprete del monologo)
-Agostino riprende la conversazione/lettura camminando di qua e di là dalla pedana all'ingresso e viceversa con grande trasporto
Mia Madre era la serva di tutti i tuoi servi. Ma non parlerò di qualità ma di doni che tu facesti a lei; perché non s'era fatta da sé né da sé si era educata: fosti tu a crearla, né il padre né la madre potevano prevedere la personalità di colei che sarebbe uscita da loro.
Uno di questi doni fu quello dal guarirla dal piacere del vino che era diventato vino.
Il vizio del bere. Me lo raccontò lei stessa a me, suo figlio. Successe quando era un’esuberante giovane donna, quando serviva una casa cristiana, dove c’erano anche due figlie e altre domestiche.
Ogni giorno e a poco a poco aggiungeva sempre più vino, proprio lei che era molto rispettata dai padroni e che alle stesse figlie, seppur prese da una sete ardente, ella non permetteva di bere neanche un po’ d’acqua.
Piano piano mia madre si trovò schiava di un’abitudine così da sorbirsi ormai avidamente bicchieri quasi pieni.
Ebbene, che cosa facesti, Tu, oh mio Dio, per salvarla, come la curasti e la guaristi?
Ispirato ad un’altra persona, alla domestica di quella casa che le aveva rinfacciato di essere un’ubriacona, ispirasti dicevo a questa una tale espressione ingiuriosa, dura e pungente (secondo proprio i tuoi misteriosi disegni…) da diventare un’affilata lama che eliminò in mia madre quella cancrena. Ecco, tu o Signore guaristi mia madre Monica mediante l’insensatezza di un’altra…
tIl coro intona il leit motiv e si dirige verso l’altare maggiore.
Quando poi più tardi con pudore e sobrietà e sottoposta più da te ai suoi genitori che non dai genitori a te, mia madre, quando fu in età da nozze, fu consegnata al marito, ella lo servì come un padrone; si dette da fare per guadagnarlo a te parlandogli mediante i costumi di vita ai quali tu l'avevi educata e per i quali il marito stesso la rispettava, l'amava e l'ammirava. Sopportò le offese alla fedeltà coniugale senza mai litigare per questo con lui. []
Dopo che si era calmato, ella coglieva il momento opportuno per fargli notare come se si fosse adirato senza troppo riflettere.
Perché mia madre era la serva di tutti i tuoi servi. Chiunque veniva a conoscerla, aveva da ringraziare, onorare e amare profondamente te, perché sentiva in lei la tua presenza, testimoniata dai frutti di una vita santa.
Infine, o Signore, (é tuo dono se il tuo servo può parlare) prima di addormentarsi per sempre, quando già vivevamo in comunità dopo aver ricevuta la grazia del tuo battesimo, si curò di noi come se ci avesse partoriti tutti e ci servì come se fosse stata partorita lei da tutti noi.
…Successe che…
pochi giorni prima della sua morte (noi ancora non lo sapevamo, tu solo conoscevi quel giorno) avvenne, certo per tua volontà e in quel modo misterioso con il quale tu sei solito agire, che io e lei ci trovassimo affacciati a una finestra dalla quale si dava sul giardino interno della casa che ci ospitava, là, presso Ostia Tiberina. Lontani dalla gente, cercavamo di rinfrancarci dopo la fatica di un lungo viaggio e in vista della traversata marina. Parlavamo tra noi molto dolcemente e, dimentichi del passato, tutti protesi verso le verità che ci attendevano, cercavamo di immaginare alla tua presenza (tu sei la verità) quale sarà la vita eterna dei santi, quella che né occhio mai vide, né orecchio intese né mai si realizzò in un cuore d'uomo.[]
Il colloquio giunse a concludere che qualsiasi godimento carnale, pur proiettato nella migliore luce, non regge il confronto davanti allo sfolgorante gaudio di quella vita, anzi non è neppure degno di menzione; allora, elevandoci ancor oltre……
E commentavamo: se tace il tumulto della carne e svaniscono i fantasmi della terra, dell'acqua e dell'aria; se ammutoliscono i cieli e l'anima stessa si avvolge nel silenzio e si supera non pensando più a se stessa; se tace tutto, i sogni, le immaginazioni le lingue, i segni e ogni cosa caduca il cui unico discorso ad ascoltarlo è questo: Non ci siamo fatti da noi, ma ci ha fatti colui che dura in eterno.[]
Dicevamo queste cose, anche se forse non proprio in questo modo e con queste parole. Comunque tu lo sai, Signore, fu quello il giorno in cui, durante questo colloquio, il mondo con tutti i suoi piaceri perse per noi ogni valore, e mia madre mi disse:
-Una corista legge la battuta seguente impersonando la madre di Agostino, S. Monica (prima della lettura il coro si è aperto al centro e il frate/attore ha posto sulle spalle della corista un mantello per simboleggiare "l'entrata" nel personaggio - alla fine della lettura il mantello viene tolto e il coro si richiude)
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Dio me lo ha concesso abbondantemente, perché ti vedo divenuto suo servo che addirittura disprezza la felicità terrena. Che cosa dunque faccio ancora qui?>>
t Agostino che s'era ritirato in parte, per ascoltare la madre riprende il monologo camminando in maniera sempre più sofferta.
Non so che cosa le risposi, comunque, dopo forse cinque giorni o pochi di più, ella si mise a letto malata con la febbre.
Un giorno, riprendendosi, dopo aver perso i sensi, mentre tutti noi tacevamo e cercavamo di trattenere le lacrime, ci disse nel vederci dolorosamente stupiti…
“Deponete pure questo mio corpo ovunque: non datevi alcuna pena per questo. Vi prego solo di una cosa: ricordatevi di me all'altare del Signore ovunque vi troverete” []
Io pensavo, o Dio invisibile, ai doni di cui arricchisci i cuori dei tuoi fedeli e dai quali fai derivare frutti meravigliosi. Gioivo e ti ringraziavo ricordando quanto ella si fosse preoccupata di preparare la propria sepoltura accanto al marito: []
Il nono giorno di malattia, a cinquantasei anni d'età - quando io ne avevo trentatré - quell'anima colma di fede e di pietà religiosa fu liberata dal corpo.
Le chiudevo gli occhi e una sconfinata tristezza invadeva il mio animo: stavo per piangere, ma con un forte atto di volontà rigettavo indietro le lacrime fino ad essiccarne la fonte. Nel fare quello sforzo stavo molto male. Quando ella esalò l'ultimo respiro, il giovane Adeodato proruppe in pianto, ma poi, trattenuto da noi tutti, si calmò.[]
Non ci sembrava infatti giusto celebrare quel funerale con lamenti e pianti, perché così si suole celebrare la morte come disgrazia o come annullamento totale, mentre la morte di lei non era una disgrazia né era per sempre.[]
Cos'era, allora, che mi faceva tanto soffrire interiormente, se non la ferita infertami dall'improvvisa rottura della dolcissima e amatissima consuetudine di vita insieme? []
Ma si poteva forse paragonare, o Dio nostro creatore, il rispetto che le avevo portato io ai servizi prestati a me da lei? Privata del suo grande conforto, la mia anima era sanguinante e la mia vita, ormai tutt'una con la sua, era come lacerata. []
Quando il suo corpo fu portato via, andammo alla sepoltura e ne ritornammo senza piangere.
Solo nel mio letto, seppur ricordando quanto fossero veri i versi del tuo Ambrogio, dove Tu o nostro Signore Dio Creatore sollevi gli animi stanchi e li liberi dai dolori e dalle ansie, non raffrenai più le lacrime, che fluirono quanto vollero; ne feci come un giaciglio per il mio animo che vi trovò quiete: c'eri tu a prestarvi ascolto, non un altro qualsiasi, magari pronto a giudicare severamente quel mio pianto.
O Signore, ti confesso queste cose. Le legga chi vuole e le giudichi come vuole; se troverà che ho peccato per aver pianto mia madre in quei pochi minuti, mia madre morta sotto il mio sguardo, colei che per tanti anni aveva pianto me affinché vivessi alla tua presenza, non mi derida, ma piuttosto, se ha carità bastante, ti preghi piangendo del tuo Cristo.
E ora dunque, o mio vanto e mia vita, Dio del mio cuore, lasciando da parte per un momento le opere buone di mia madre, per le quali sono felice di ringraziarti, ora ti prego per i suoi peccati: []
Perdona, Signore, perdona, ti prego, e non entrare in giudizio contro di lei. Trionfi la misericordia sulla giustizia: []
Oh Dio, tu mi conosci ed io conoscerò te come tu conosci me…
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Ma che cosa c'entro io con gli uomini, che essi debbano ascoltare le mie confessioni come se fossero loro i medici delle mie malattie? La gente è curiosa di conoscere la vita degli altri, indolente nel correggere la propria. E perché dovrebbero cercare di sapere da me chi sono io, quando non s'interessano di sentire da te chi sono loro? E come potrebbero essere certi che dico la verità nel parlare di me stesso, quando nessun uomo sa che cosa avviene nell'uomo se non lo spirito dell'uomo che è in lui stesso? Se sentono parlare di loro stessi, non potranno dire: <<II Signore è falso>>; che cos'è, infatti, sentirti parlare di sé se non conoscere se stessi? []
Tu medico della mia vita interiore, mostrami quali frutti possono derivare da questo mio lavoro. La confessione delle mie colpe passate, che tu hai già perdonato e coperto trasformando la mia anima mediante la fede e il sacramento e tosi facendomi felice in te, spinge chi legge e ascolta a non abbandonarsi alla disperazione e a non dire: io non posso; risveglia in lui l'amore per la tua misericordia e per la tua grazia la quale è la forza di tutti i deboli, in quanto li rende consapevoli della propria debolezza. La confessione, inoltre, procura ai buoni il piacere di sentire le colpe passate di chi ormai ne è libero: il piacere non è per le colpe in se stesse, ma perché c'erano e non ci sono più. []
Che frutto possa avere la confessione del passato l'ho capito e l'ho già ricordato; ma molti, che mi conoscano oppure no, desidererebbero sapere che cosa io sia ora, nel momento in cui scrivo le mie confessioni.[]
Desidererebbero, dunque, sentirmi confessare quello che sono nel mio intimo, dove non possono arrivare né con lo sguardo né con l'orecchio né con l'intuizione; sono pronti a credermi, ma come potranno essere certi di conoscermi davvero? L'amore che li rende buoni dirà loro che non mento nel parlare di me: sarà il loro amore a credere in me.
Ma a quale scopo essi desiderano questo? Se è per ringraziarti con me perché tu mi avvicini a te con il tuo dono, e se è per pregare per me dopo aver sentito quanto sono ancora trattenuto dal mio peso, allora mi svelerò ad essi. []
Ad essi mi svelerò; traggano un respiro di sollievo per il bene che ho fatto, sospirino invece sulle mie colpe. Il bene è opera tua e dono tuo, le colpe sono mie e sono sotto il tuo giudizio. Respirino di sollievo per il bene, sospirino sul il male, e canto e lacrime salgano insieme a te da cuori fraterni che sono come tuoi turiboli. []
Abbi pietà di me secondo la tua grande misericordia, e tu che non lasci mai incomplete le cose che inizi, completa quelle che ho lasciato io imperfette. []
Mi confesserò dunque non solo davanti a te con gioia segreta mista a timore, con segrete lacrime miste a speranza, ma mi farò ascoltare anche dagli uomini di fede che si associano alla mia gioia e sono partecipi della mia condizione mortale, miei concittadini e pellegrini con me: alcuni di loro mi precedono, altri mi seguono, altri vanno col mio passo. Questi sono tuoi servi e miei fratelli che tu hai voluto tuoi figli e miei signori. []
lo sono come un bimbo, ma il mio Padre è sempre vivo ed è il tutore più adatto per me: egli mi è infatti insieme padre e tutore. []
Dunque, rivelerò, a questi che tu mi comandi di servire, non chi ero ma chi sono diventato e sono tuttora. Io non giudico però me stesso: così mi stiano a sentire.
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Dunque, confesserò quello che so di me; confesserò anche ciò che di me non so, poiché quello che so lo conosco grazie alla tua luce e quello che non so lo ignorerò fino a che le mie tenebre non si trasformeranno come luce meridiana dinnanzi al tuo volto.(23)
t Il coro lentamente guadagna l’uscita. Si sente una musica struggente. Il coro esce completamente dalla chiesa. Il corteo con Cristo pure. Agostino segue a breve distanza e per ultimo chiude dietro a sé la porta/portone dell'ingresso della chiesa.
FINE MONOLOGO
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RIFERIMENTI E NOTE BIBLIOGRAFICHE
I testi del monologo sono stati tratti dai seguenti tre testi riportati di seguito (per la reperibilità sotto ogni titolo è riportata una lista dei riferimenti numerici di ciascun brano).
N.B. Lo schema del riferimento bibliografico è il seguente:
-Titolo, autore, casa editrice e anno di edizione del testo utilizzato e autoriz-zato.
-Riferimenti numerici richiamati nel copione che fanno riferimento al brano scelto ed alle pagine del testo in questione.
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Testo: "SIGNORE DIO DI VERITA', Preghiere di S. Agostino”
a cura di Valeria Boldini, Ed. Paoline, Milano, 1984.
note:
(1) pag. 21 Libro XI,17
(3),(4),(5) pagg. 22-25, dai Soliloqui 1,6
(16)"Tu sei il mio conforto", da Le Confessioni pag.44 XI,29
(17),(18) ibid. dalla pag. 45 alla pag. 47
(21) "Tardi ti ho amato", da Le Confessioni, X,27
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Testo: "LE CONFESSIONI",
Introduzione, traduzione e note a cura di Aldo Landi.
Ed. Paoline, Milano, 1987, 4° edizione.
note:
(2) Libro X, 7-8 pp.341-342.
(8) IV, 10 pp.115-116.
(9) IV, 11 pp.116-117.
(10) IV, 12 pp.117-119.
(11) Ibid. pag. 119.
(13) VII, 18 pag. 206
(14) VIII, 5 pp.224-226.
(15) VIII, 6 pp.226-229.
(20) VIII, 11 pp.238-241.
(22) IX, 8-13 pp.259-271.
(23) X, 1-3-4-5 pp.277-282.
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Testo: "S. AGOSTINO. L'UOMO, IL PASTORE, IL MISTICO",
Agostino Trapé,
Ed. Esperienze, Fossano (CN), 5° Edizione, gennaio 1987.
(6) da "De Utilitate", 8,20 pag.113.
(7) da "Le Confessioni", 6,5,7 pag.114
(12) da "Le Confessioni", 6,5,8, pag.116
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Nota (19)
Testo tedesco: Padre nostro
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Si ringraziano i seguenti collaboratori alla stesura-impaginazione testo-copione:
-Luigi Andrea Pinelli (1^ stes.-impag.,1994)
-Corrado Pedrazzi ( 2^ stes.-impag.,2008)
INDICE
ELEMENTI SCENOGRAFICI3
PERSONAGGI3
INIZIO MONOLOGO 4
SECONDA PARTE 97
RIFERIMENTI E NOTE BIBLIOGRAFICHE 169
INDICE 171