IO NON SONO IO
Un atto con la coda
di TODDI
PERSONAGGI
MARIETTA, figlia dell’oste
L’USCIERE
BUGARINI, impiegato
RAMPACCI, impiegato
PAOLO MARCUCCI, impiegato
L’AMICO
IL CAPOSEZIONE
Commedia formattata da
Uno degli uffici al Ministero delle Finanze.
Stanzone scialbo e sporchiccio.
Due finestre sul fondo. Due porte laterali.
Tre tavoli: uno tra le due finestre, due ai fianchi, in vicinanza delle porte di cui quella di sinistra è mascherata da un paravento.
Su ogni tavolo una lampada elettrica da ufficio.
Il muro, in prossimità dei due tavoli laterali, è decorato con cartoline illustrate e illustrazioni di giornali; sulla parete di fondo è solamente il calendario e l'elenco dei mobili dell'ufficio.
Tre impiegati sono seduti ai tre tavoli: Rampacci a quello di destra, Bugarini a quello di sinistra, volti Verso il centro della camera; Al tavolo fra le finestre, con la faccia rivolta verso il muro, è Marcucci.
SCENA PRIMA
Marcucci, Bugarini, Rampacci
Bugarini - (prendendo una nuova « pratica ») «Oggetto: Conservazione del Catasto». E che ci entriamo noi con il Catasto? (a Rampacci) Di', Rampacci, il Catasto è Divisione terza?
Rampacci - Divisione terza!
Bugarini - (scrive, in lapis, sulla « pratica ») Di-vi-sio-ne ter-za! (La mette da parte e passa alla « pratica » seguente) Desenzano è in provincia di Verona o di Brescia? (Poiché nessuno risponde, più forte) Desenzano è in provincia di Verona o di Brescia?
Rampacci - E che ne so io?... È sul lago di Garda...
Bugarini - Eh sì! La mandiamo al Prefetto del... lago di Garda!... Verona o Brescia?...
Rampacci - (indicando Marcucci) Lui lo deve sapere. Lago di Garda!... Presso il Vittoriale!... (ride).
Bugarini - (a Marcucci) Ehi, Vate! Tu che... abiti da quelle parti... in che provincia sta Desenzano?
Marcucci - (senza volgersi) Non lo so!
Bugarini - Tu non sai mai niente!
Marcucci - Non so mai niente!
SCENA SECONDA Detti e Caposezione
Caposezione - (entra da destra; a Rampacci e Bugarini, che si sono alzati) Prego, comodi. (/ due rimangono in piedi; Marcucci sembra di non essersi accorto del sopravvenuto).
Caposezione - (ha accento spiccatamente settentrionale) C'è l'Intendenza di Milasso che fa ancora opposizione, e il capodivisione vuole...
Rampacci - (indicando Marcucci) - La « pratica » ce l'ha lui.
Caposezione - (a Marcucci) Ah, l'ha Lei la «pratica», signor Marcucci?
Marcucci - (è costretto ad alzarsi e volgersi: si toglie la papalina) Buon giorno, signor Commendatore, (con un fascicolo, con la mano o chinando il capo, cerca di non mostrare il suo volto) Abbiamo risposto ieri sera, ma tardi. Andrà oggi alla firma.
Caposezione - Bene, bene. Mi raccomando. Milasso non è un'Intendenssa: è una gabia di passi... e di piantagrane... Mi raccomando che la cosa fili... (sorridendo argutamente) ...come un verso ben fatto.
Rampacci e Bugarini - (ridono).
Marcucci - (come ingoiando qualcosa di amaro, cui però è abituato) Sì, signor Commendatore.
Caposezione - (a tutti) - ...e Desenzano anche... (esce, con un gesto di saluto).
SCENA TERZA
Rampacci, Bugarini, Marcucci poi impiegati, un impiegato ed amico
Marcucci - (ha ripreso la sua posizione).
(Suonano, all'orologio del Ministero, Le dodici. Tra i tocchi, il cannone di mezzogiorno). Rampacci e Bugarini guardano i loro orologi).
Bugarini - (mostrando il suo) Preciso! Spacca il cannone!
Rampacci - (regolando il suo) Il mio avanza di tre minuti: ma il mio stomaco avanza di un'ora. Oggi, giovedì, gnocchi.
(Entrambi chiudono i calamai, si tolgono le mezze-maniche. Passano da sinistra a destra alcuni impiegati. Uno si Volge senza arrestarsi e canta sul motivo della «mensa dei sottufficiali »: « Cure, cure, che la supa l'è cotta, Chi arriva tardi la mangia pi nen!»).
Un Impiegato - (entrando da sinistra con un suo amico, gli indica Marcucci) Poiché sei venuto a trovarmi, devi vederla, la nostra rarità! Vedrai. Identico; preciso. Lui, proprio lui! Spiccicato! (Presenta) Rampacci. Bugarini. Il mio amico cav. Tocci. (Accenna ai due che egli vuol mostrare Marcucci all'amico, come una rarità di ufficio).
Bugarini - (a Rampacci) Chiamalo tu, che hai più faccia tosta.
Rampacci - Ehi, Marcucci! senti! C'è qui un nostro amico che...
Bugarini - (ammiccando ai tre altri, forte) Già, lui può darle spiegazioni... Impiegato - (all'amico fa un gesto che significa: « Aspetta, vedrai! »).
Marcucci - (si rassegna, si alza ed avvicina, tenendo però sempre un fascicolo che mascheri il Volto). Impiegato - (presentando) Il collega Marcucci; il cav. Tocci.
Rampacci - (a Marcucci) Ah! L'avevi tu la « pratica » di Benevento (gli toglie bruscamente il fascicolo, scoprendogli il volto; Marcucci somiglia perfettamente a Gabriele D'Annunzio).
Cav. Tocci - Straordinario!
Marcucci - (dà uno sguardo accorato ai colleghi, e ritorna in silenzio al suo posto).
Impiegato - (all'amico) Hai visto?
Cav. Tocci - Straordinario davvero! Gabriele D'Annunzio, impiegato al Ministero delle Finanze. Ma andiamo, che è tardi per me e per Loro (tutti si avviano per uscire).
Bugarini - (a Marcucci che non risponde) Salve, poeta!
Cav. Tocci - (a Marcucci, sorridendo) Felicissimo! (escono).
SCENA QUARTA
Marcucci solo, poi Usciere
Marcucci - (guarda, volgendosi appena, che tutti siano usciti; indi si Volge completamente. Amaramente) «Salve, poeta! ». Questa è nuova, originale: e spiritosa! E quell'altro! «Felicissimo! ». Spiritoso anche lui. Certo, «felicissimo » di aver conosciuto... di averlo conosciuto. « Felicissimo » (come salutando a sua volta, con rabbia impotente) Felicissimo anch'io... E come potrei non esser felice?... sempre più felice!
Usciere - (entra e rovescia in uno dei tre cestini la carta degli altri due) E Lei, signor Marcucci, nun va via ; rimane qui, seconno er solito.
Marcucci - Già... Il solito... Come vuoi che sia altrimenti? Il so-li-to. Anche io sono il solito. Non è vero? (a sé stesso, indicando coloro che sono usciti) «Felicissimo »... ed io me ne rimango qui... con la mia felicità... (all'usciere) Tu, tu sei felice!...
Usciere - Io?... Io so’ usciere.
Marcucci - Ecco: tu sei usciere. Quelli sono impiegati. Quell'altro è cavaliere. E io, io chi sono?...
Usciere - Come, chi è?...
Marcucci - Sì, sì... Chi sono io?... Secondo te io chi sono? Come mi chiamo?
Usciere - Lei, ma e nun ce lo sa?
Marcucci - « Nun ce lo sa? » Eh, altro che, lo so, purtroppo. Lo so... (fa qualche passo agitato) ...Lo so... e forse non lo so neanche io... chi sono... Come mi chiamo? Dimmelo.!
Usciere - Ma...
Marcucci - Dimmelo, dimmelo, come mi chiamo io.
Usciere - (dopo breve esitazione) Signor Paolo Marcucci...
Marcucci - Ci hai pensato bene prima di dirlo! Eh! Paolo Marcucci. Ne sei proprio sicuro?... Ma se pare buffo anche a te che io abbia questo nome: che io possa permettermi il lusso di avere anche un nome mio... Ma di là, quando ti chiedono di me, come mi chiamano e, certo, come mi chiami anche tu?...
Usciere - Ma che annate a penzà'!...
Marcucci - Strano, eh! Che « vado a penzare »? Eh!... Ma dillo pure, dillo: Gabriele D'Annunzio!... Dillo che anche tu mi chiami così, quando chiedono di me, come loro: Gabriele D'Annunzio, il Poeta, il Vate... il Comandante... Dimmi un po': anche il Capodivisione mi chiama così?... Il Ministro no, perché non mi conosce ancora. Ma un giorno condurranno qui anche lui, perché veda... come quell'altro che è venuto adesso... perché Sua Eccellenza si compiaccia di sapere che, tra i suoi impiegati, c'è anche Gabriele D Annunzio ; e allora lo scriveranno anche sul Bollettino del Ministero. Che ci sta a fare, lì, il mio nome? Chi sono io? A che serve il mio nome? Se io non sono io, io non sono Paolo Marcucci... Io sono lui: anzi neppure lui: io sono un Gabriele D'Annunzio che non è Gabriele D'Annunzio e che non è neppure Paolo Marcucci. Chi sono io, dunque?
Usciere - Eh! quarchiduno averete da esse!
Marcucci - Eh già. Qualcuno devo essere. Dovrei essere. Ma io non sono neppure qualcuno. Io sono un ritratto, che cammina, che tanta gente lo guarda. Sono un vivente ritratto gratuito del più celebre poeta contemporaneo... Ritratto gratuito... Questo è il più tragico, il più terribile... Ritratto gratuito. Capisci! Non costo niente: neanche i quattro soldi di ingresso in un baraccone da fiera. Mi si vede gratis. La gente che mi circonda e che io odio ha gratis la visione viva, reale del Poeta... Hai veduto quello?
Usciere - Chi quello?
Marcucci - Quello che è uscito adesso: l'invitato. L hanno invitato qui come si invita a cinematografo... al teatro dei burattini... «Vieni, vieni: vedrai: identico, spiccicato! ». E non si paga niente. Gratis; tutto gratis. Avanti, signori, favoriscano; il più grande fenomeno vivente, il sosia...
Usciere - ,..er sosia?
Marcucci - Sì: il sosia. Tu non lo sai che è il sosia. Il sosia è una parola che hanno fabbricato apposta per me. È qualche cosa che pare un uomo, ma che non è un uomo: è un ritratto con due zampe. Tu sei un uomo, un usciere: quelli sono uomini, sono impiegati: io sono un sosia. Uno che non è lui; e che non è neanche un altro... è un sosia. Io sono la faccia di un altro. Sai, come quelle maschere di gesso che si fanno ai morti e poi si attaccano al muro. Questa, invece, me l'hanno attaccata a me. È la maschera di un vivo, perché... perché il morto sono io... e cammino, e mi muovo soltanto per portarla in giro, a farla vedere... Io sono tutto quello che ti pare, tranne che io... Sono una goccia d'acqua...,
Usciere - (ridendo) 'Na goccia d'acqua?
Marcucci - Una goccia d'acqua? Sai le due gocce d'acqua che sono uguali? (Contraffacendo gli ammiratori) « Proprio, preciso, come due gocce d'acqua! ». Ecco: io sono 1 altra goccia d'acqua. Lui è un uomo, mentre io sono una goccia d'acqua. Perché non è mica lui che somiglia a me. No!! ! Sono io che somiglio a lui. Nessuno penserebbe mai di andare a dire a Gabriele D'Annunzio: «Ma sa che Lei somiglia perfettamente a Paolo Marcucci! »... Paolo Marcucci? E chi è Paolo Marcucci? Esiste Paolo Marcucci?... Se pure qualcuno gli parlasse di me, gli direbbe: « Ma sa che a Roma, al Ministero delle Finanze, c'è uno che Le somiglia come due gocce d'acqua?»... «Uno» - uno... che non ha nome, non è persona. È un sosia. È una oleografia che campa, una cartolina illustrata che cammina. Le altre stanno in vetrina: e a me... mi hanno lasciati» in libertà. Son più divertente così... Ma che gli ho fatto, io?...
Usciere - E lui, a voi, che v'ha fatto?
Marcucci - Che mi ha fatto? Che mi ha fatto? Mi ha spezzato la vita e con quale diritto? Ci somigliamo: siamo identici. Iddio si è distratto e, con la stessa forma, ha fabbricato due uomini invece di uno solo. Se questa è una disgrazia, sarebbe stato giusto che fosse una disgrazia per tutti due. Io somiglio a lui: e lui somiglia a me. E questo avrebbe dovuto darci gli stessi diritti e gli stessi doveri... Doveri!... Io il mio dovere l'ho fatto! Sono mai andato da lui a dirgli: « Bada che tu mi somigli ; sei il mio sosia »? Mi sono mai sognato di diventare celebre? Perché se io fossi diventato celebre, un gran poeta, come ha fatto lui, conosciuto da per tutto, con ritratto su tutti i giornali e la cartolina illustrata in vetrina da tutti i tabaccai, io sarei stato io e lui al posto mio: il sosia di Paolo Marcucci. Ho fatto niente di tutto questo, io? E lui, allora, perché non si è accontentato di essere come me, un uomo qualunque? un tramviere, un pizzicagnolo - avrebbe guadagnato più denaro - oppure un impiegato, un ricevitore del Lotto: la vita francescana l'avrebbe fatta lo stesso, con lo stipendio che il Governo ci dà. Magari qui, in questo stesso ufficio. Ecco: lui là e io qua. Ma uguali. Saremmo stati una curiosità lo stesso: ma in due. E io sarei rimasto io, e lui, lui. La gente sarebbe venuta a vederci, a vederci: due impiegati che ci si somigliano. Tutti gli impiegati, dopo un certo tempo, si somigliano; e noi ci saremmo somigliati come due gocce d'acqua, ma due gocce d'acqua...
Usciere - Ci avete la fissazione, co' le gocce d'acqua. E lassate perde'!
Marcucci - « Lassate perde' ». Tu puoi dirlo. Ma che cosa lascio perdere? Io non cerco nulla, io non voglio nulla. Non vorrei che nessuno s'incaricasse di me: che male ho fatto? che delitto ho commesso?... E son peggio di un delinquente, di un ladro che ha 'rubato qualcosa che deve nascondere... Come se glie l’avessi rubata io questa faccia che porto!... E me la porto appresso come una refurtiva... I ladri, vedi, hanno almeno un complice, un ricettatore: e dopo che hanno rubato corrono a nasconderlo da lui, ciò che hanno preso, e se ne vanno in giro sollevati del loro peso. Io invece me la devo portare appresso: anche se mi arrestano... me la lasciano. Come una gobba, peggio di una gobba...
Usciere - ...la gobba porta fortuna.
Marcucci - E questa mia disgrazia è peggiore; e non porta fortuna a nessuno. Il gobbo lo compatiscono. Mentre a me no, non mi compatiscono, non mi invidiano: mi guardano. Ma non guardano me. Io chi sono? che conto? II gobbo è gobbo: ma è lui. Se io fossi gobbo mi direbbero: « Paolo Marcucci gobbo »... Gobbo, storpio, cieco... Oppure ciechi tutti gli altri... Vorrei vivere in un mondo di ciechi!
Usciere - ...'na cosa allegra!
Marcucci - Non allegra, ma migliore di questa. Io odio gli occhi della gente, perché con quelli mi fa male, con quelli mi ha ucciso... senza farmi morire... Io sono un pupazzo - un pupazzo ben fatto, che gli somiglia - e che cammina, in mezzo a tanti occhi che lo guardano. E nient 'altro... (Pausa) ...L'altra sera, vedi, a casa mia - solo come un cane, peggio di un cane, perché a un cane si tira una sassata, ma poi lo si lascia in pace - 1 altra sera ero sul balconcino a guardarmene il cielo, le stelle. Mi pareva di trovare un pò di pace. Sì! A un certo momento anche le stelle si sono messe a guardarmi in un modo curioso - (un po' maniaco) e ridevano e parevano che dicessero: «O che vuoi fare il poeta anche tu, come lui? ». Anche le stelle, come gli uomini, come tutti!... Tu lo vedi: la mattina io arrivo qui mezz'ora prima degli altri, perché nessuno mi veda passare...
Usciere - Allora... si tutti l'impiegati somijassero a Grabbiele D'Annunzio, annerebbe bene per Guvemo!,..
Marcucci - Non c'è pericolo. Non ci sono che io, io solo, che vengo prima: e me ne sto lì, con la faccia al muro, come un ragazzo a scuola: al cantuccio! In ogni classe c'è sempre un povero disgraziato che non fa mai niente di male, ma che sta sempre al cantuccio, con la faccia al muro. Così io, qui... e nella vita... E mi accontento di non uscire neppure, a mezzogiorno, restarmene qui e mangiare quelle quattro porcherie avvelenate che mi portano dall'osteria, piuttosto che uscire» girare... dare spettacolo... Almeno, qui, sono io che mangio. Se andassi fuori sarei... Gabriele D'Annunzio che mangia all'osteria...
L’ Usciere - Lui, invece, chi sa si che magnerà!...
Marcucci - Lui... lui mangia in pace, almeno. E io non gli vado a mettere il boccone di traverso!... Qui, la sera, quando esco - l’ultimo, per le scale già a lumi spenti - me ne corro a piedi per! i vicoletti - perché in tram ; c'è troppa gente e nelle strade grandi troppa luce - a cercare una osteria dove non c'è nessuno, o qualche operaio che non conosce neanche Gabriele D'Annunzio. Ma già, adesso anche gli operai conoscono lui; s'è voluto mettere in politica per questo, perché lo conoscessero tutti; per fare dispetto a me!... Perché è andato a Fiume?... Per la gloria. E la gloria sua è la disgrazia mia! Lui è andato a Fiume, da trionfatore; e io, invece, dovrei gettarmici, a fiume, con una pietra al collo, per non venire a galla. Se no mi ritirerebbero su, da morto, e lì, sul Lungotevere, sai quanta gente a vedere... Gabriele D Annunzio che si è affogato!
Usciere - Ah! 'n bello spettacolo!
Marcucci - Sì: uno spettacolo! Come sempre; uno spettacolo. E mi pare già di leggere i giornali: il pezzo di cronaca, col titolo bello grosso: «Si uccide, perché somiglia a Gabriele D'Annunzio ». Il nome suo metterebbero, non il mio, nel titolo. Che importa che mi sia ammazzato io. Io non sono io!... Forse anche qualche autore, di questi autori che vogliono fare effetto, ci farebbe una tragedia... una tragedia divertente... una commedia per Petrolini... interessante non per me, non perché ci sono io, ma perché è in scena quell'altro!... Se m'ammazzassi... tu non credi che, all'altro mondo...? Sta pure sicuro. Come qui. Mi accoglierebbero con tutti gli onori. Pensa un po'! Al Paradiso o all'Inferno che io andassi...
Usciere - Chi s'ammazza va all'Inferno, dicheno.
Marcucci - No, per me bisognerebbe fare una eccezione: t'assicuro che la merito... senza merito mio proprio... ma perché il Purgatorio l'ho già fatto qui... Ma anche il 'Paradiso sarebbe un Inferno, come questo... Te lo immagini il mio arrivo all'altro mondo? Tutte quelle anime di beati: « Oh! corri! vieni a vedere, chi arriva! »... «Oh! San Pietro, chi è quello? è lui? »... «No, è uno che gli somiglia tal e quale! » (accennando che parlano a lui) « Ma venga qua ma si faccia vedere! Ma sa che è spiccicato, identico! ». Gli angeli cesserebbero di suonare per vedermi... oppure farebbero l'accompagnamento... allo spettacolo... Serata d'onore!... E intanto, qui, i giornali pubblicherebbero il ritratto del morto: ma non il ritratto mio, che da venti anni non me ne sono fatti più... E perché dovrei farmene? Spesa inutile: si vendono dappertutto... (Pausa) ...Vedi, con quest'occhio malato io ci sono nato: lui, lui non l’aveva un occhio rovinato; e almeno c’era questa differenza... Quest'occhio guasto, almeno, era mio... Ma un bel giorno lui si mise a fare l'aviatore, lui... e in quel volo che...
Usciere - 'Mbè, mo' lassamelo vola... È tardi e vado a magna' 'n boccone. Bon appetito,, sòr...
Marcucci - ...sòr Gabriele, vero?
Usciere - (esce).
SCENA QUINTA
Marcucci solo - indi Marietta
Marcucci - (passeggia agitato: si avvicina alla finestra, scorge qualcuno nella via e questa vista sembra fugare i suoi pensieri. Si toglie la papalina, le mezze-maniche; sospinge la scrivania un po' lontano dal muro, ponendo la sedia dall'altra parte, rivolta cioè verso il centro della stanza. Si siede e attende, con Volto sorridente e un po' sentimentale).
Marietta - (da fuori) È permesso?
Marcucci - Avanti!
Marietta - (entra da destra: porta in mano il pranzo, in piatti sovrapposti avvolti nella salvietta, e nell'altra una bottiglia di vino e un bicchiere) Bongiorno, signor Marcucci(depone il tutto sul tavolo di destra).
Marcucci - (si alza, passando dinanzi al suo tavolo e vi si appoggia, tendendo quindi le-braccia verso la fanciulla).
Marietta - (sì volge, lo guarda e abbassa gli occhi, vergognosa; lo guarda di nuovo, sorride e sì lancia tra le sue braccia).
Marcucci - (baciandola) Cara Mariettuccia mia.
Marietta - (sembra pentirsi e vuol divincolarsi).
Marcucci - No, resta così. E che male c'è? Non mi vuoi bene? Non ti voglio bene? Hai paura?...
Marietta - Paura? No.
Marcucci - Io te ne voglio tanto, di bene, sai. Non so se ieri sera l'hai capito. Io non so dirtelo, perché, vedi, anche ieri sera io stesso non credevo di volertene tanto, ma quando ci siamo baciati, quando per la prima volta, per quella strada fuori porta mi hai baciato anche tu, ho capito...
Marietta - Che avete capito?...
Marcucci - Ho capito che a quésto mondo ci può essere un po' di bene e un po' di felicità anche per me. È una cosa brutta, sai, nella vita, essere solo, non avere nessuno...
Marietta - Certo che è brutto. Ma adesso bisogna che scappi via. Mamma se dev'esse accorta... de quarche cosa...
Marcucci - ...Se n'è accorta? E come? Le hanno fatto la spia?...
Marietta - (accenna che sì).
Marcucci - Sì?!- E chi?
Marietta - (sorridendo vergognosa) Je l'ho detto io. (allo stupore di Marcucci) Ma state tranquillo; je l'ho detto... perché ho capito che a lei nun je dispiace... Sa che sete un galantomo, ci avete una posizione... E poi sete 'na perzona seria: casa e ufficio. Nha visto quanno che venite a magna, all'osteria, giù da noi. Sempre pe' conto vostro e nun date retta a gnisuno. E questa è 'na bona garanzia, dice mamma.
Marcucci - Cara! Le parlerò io, alla mamma; e anche al babbo...
Marietta - A papà no.
Marcucci - No?! Anche al babbo!...
Marietta - ...A papà è mejo che je parla mamma... J'ha già parlato, cusì, 'n generale. E anche lui...
Marcucci - Lui...?
Marietta - Pure lui dice che sete un galantomo, un partito da tenesse in consideraz-zione...
Marcucci - E tu, tu che dici?
Marietta - Io?... E nun ve l'ho detto ier a sera?
Marcucci - Detto proprio... no: ma l'ho capito da quel bacio. Non sono mai stato tanto felice... Nell'oscurità tutti i lumicini dei Castelli Romani parevano accesi per noi, e i campanelli dei carretti a vino, su la strada, che suonassero a festa per noi...
Marietta - Ma io de la passeggiata nun ho detto gnente. Arioordàtevene. So' stata 'nsino alle nove e mezza a casa de Nunziata, poi avemo aspettato er tramme è sempre 'na scusa bona quella der tramme - e Nunziata m ha accompagnata sino ar portone de casa. Si ve domanna, -nun svagate...
Marcucci - E quando, quando andrai nuovamente... da Nunziata?
Marietta - (Dopo un po' di ritegno) Domenica doppo pranzo... a le tre, tre e mezza...
Marcucci - (turbato) Domenica... non potrò prima delle sei, verso sera... E poi di sera è più bello, soli soli, senza tanta gente...
Marietta - (ridendo) Sete misantropo?
Marcucci - Misantropo... no. Ma che me ne deve importare del mondo, degli altri, quando ho te, Manetta mia. Quando saremo sposati, non voglio vedere nessuno, nella nostra casetta... Noi soli...
Marietta - Oh nun me terete mica carcerata! A me me piace de sortì, quarche vorta.
Marcucci - Sì sì. Ti porterò al cinematografo...
Marietta - Solo ar cinematografo?... Quarche domenica, ar Pincio, ar Corso, tutti scicche, a braccetto. Fasse vede da le cunoscenze, pijasse l'na bella granita ar caffè, una per uno...
Marcucci - Al caffè no. C'è troppa gente...
Marietta - Ho capito: sete geloso; un ge-losone, caro sòr Marcucci.
Marcucci - Ecco, sì. Geloso... E non dovrebbe farti dispiacere. Ma perché mi dai del voi? e mi chiami « sòr Marcucci »? È buffo. Siamo quasi fidanzati, oramai: dammi del tu e chiamami Paolo, come io ti chiamo Marietta...
Marietta - Me mette soggezzione, sapete...
Marcucci - Ma che « sapete »! « Sai »!
Marietta - (dopo breve esitazione) Mbè, sai. Tanto se volemo bene. Però te lo vojo di': è 'n capriccio che me fa piacere: quanno saremo proprio insieme, nella casetta nostra...
Marcucci - (felice) ...Sì, nella casetta nostra...
Marietta - ...noi soli soli: min te chiamerò Paolo. Ma sai come?
Marcucci - (sempre sorridendo) E come, come mi chiamerai?... Paoluccio?... Paoletto?.,.. Padellino?... Lellino?... Lelluzzo?...
Marietta - (risponde ogni volta di no con la testa) E un crapiccetto: te chiamerò... te chiamerò... Aspetta: te lo dico in d'un orecchio...
Marcucci - (sorridendo, avvicina l'orecchio a lei che, sempre vezzosa, gli dice qualcosa che le fa assumere un'espressione tragica).
Marietta - (distaccandosi e sempre ridendo) Sì, « Gabriele »! Gabriele! Perché forse nun te ne sarai accorto... ma tu somiji spiccicato a Gabriele D'Annunzio!
Marcucci - (come se avesse avuto una mazzata sul capo; si appoggia al tavolo per non cadere).
Marietta - Che de? Ve sentite male? Te senti male?...
Marcucci - No: non mi sento male. Cioè... io mi sento male, ma... quell'altro sta bene!... Allora... allora... anche il bacio di ieri sera... l'hai dato... a lui...
Marietta - Ma che dite?
Marcucci - Niente dico, niente. Dico quello che è... Anzi ti ringrazio... di avermelo detto oggi... prima di sposare... Dirmelo dopo... eh, certo... sarebbe stato peggio... Perché tu, tu non avresti sposato me. Tu avresti sposato lui...
Marietta - (non capisce) Ma che v'ho detto?
Marcucci - Niente mi hai detto. Mi hai detto anche tu quello che dicono tutti... Anche tu... Ma gli altri non volevo sposarli... Agli altri non volevo bene... M'ero illuso di poter avere un po' di bene, un po' di felicità anch’io... Ieri sera... in quella strada fuori porta... quel bacio... Ah! e che era per me, quel bacio?... Era per lui;... io cero... come testimonio: io tenevo il lume, mentre tu... tu baciavi lui... E poco fa, qui, io ho aperto le braccia,, ti ho stretta, ti ho baciata: e invece ti prendevo e ti consegnavo a quell'altro... Ma sì, chiamami Gabriele, Gabriele... Grazie d'avermelo detto!... Se no, ti sposavo... La nostra casetta... la nostra camera... e tu saresti stata nelle braccia di quell'altro... (fuori di sé, fa per serrarla alla gola) Ma no. E che colpa ne hai, tu?... (ridendo) Due gocce d’acqua... E se anche ti ammazzo, è finita forse per me? No. Cambierei vestito, cambierei casa e... cambierei pubblico. Sarebbe un pubblico di uomini con l'abito di colore a righe: ma io sarei quello che sono: con 1 abito da galeotto anch'io; ma chi mi chiamerebbe col numero?... Ognuno dei miei compagni di galera avrebbe la gioia di essere un numero: colui che ha ucciso per brutale malvagità, colui che ha stuprato, il parricida ha diritto a un numero, ma un suo numero: ma io continuerei, come qui, come sempre, ad essere chiamato con nome di quell'altro, a essere il suo sosia, più curioso ancora, più buffo... Vattene! (siabbatte su la sedia).
Marietta - Io nun ce capisco gnente. Nun favve male... Essi borio; magna n boccone., 'n goccetto...
Marcucci - (insorgendo) No! No! Porta via tutto! Vattene! Porta via! L'hai forse portato per me, quel pranzo? L'hai portato a lui! E tutti i giorni, sempre (ridendo ironico) io ho mangiato il pranzo di Gabriele D'Annunzio!... Ma l'ho pagato io, con il denaro che guadagno io: il Governo paga me... il Governo non mi conosce di faccia... (si riabbandona su la sedia).
Marietta - Ma fateme armeno er piacere...
Marcucci - Che piacere? Non te l'ho fatto, Un critico autorevole fra il pubblico il piacere? Ti ho fatto risparmiare mezzaSì, sì! lira: tieni (le dà i soldi) mezza lira: dal tabaccaio: una cartolina col ritratto di lui, di colui che hai baciato. Mettilo a capo al letto!.... E adesso vattene.
Marietta - (accenna a dir qualcosa: prende l'involto, la bottiglia. Esce).
SCENA SESTA
Marcucci, solo
Marcucci - (Rimane accasciato; poi, piano piano, si alza) Cretino io, ad illudermi! Come se questa potesse cambiarsi. (Fa il gesto come per strapparsi una maschera: ride tragicamente. Cerca intorno, con lo sguardo smarrito. L'occhio si fissa sul tavolo di Rampacci. Ricorda qualcosa che gli fa balenare in mente un'idea. Corre al tavolo, tenta di aprire il cassetto: è chiuso. Con un tagliacarte lo forza; apre; estrae un oggetto che nasconde sotto la giacca. Maniacamente corre al suo posto, toglie la sedia, spinge il tavolo contro il muro, pone a posto la sedia. Dice, come a un condannato:) Marcucci Faccia al muro! (Si siede, si appoggia sul tavolo: un colpo di rivoltella: si abbatte con la testa sul tavolo).
(Pausa)
SCENA SETTIMA
Marcucci, poi Rampacci e Bugarini
(La porta di destra si apre: passano gli impiegati della scena terza. Attraversano la stanza, senza fare attenzione a Marcucci, escono da sinistra).
Bugarini - (entrando depone il cappello e si avvia al suo tavolo: volto a Marcucci) Ciao D’Annunzio, dormi?
Rampacci - (che è entrato subito dopo Bugarini, togliendosi il cappello e appendendolo all’attaccapanni) Silenzio! Non turbare i sogni del Poeta. Riposa sugli allori. (Entrambi ridono e si preparano al lavoro, mentre cala la tela)
FINE(provvisoria)
Amministratore - Vedo che una parte del rispettabile pubblico non ama la tragica fine di quel povero disgraziato di Paolo Marcucci.
Voci del pubblico - Si, no, si, no, no, no…..
Amministratore - E’ ammirevole il gusto artistico di coloro i quali han compreso quale profondo senso di umanità pervada la tragedia.
Un critico autorevole fra il pubblico - Si, si.
Altre voci - No, no, no.
Amministratore - Ma noi non vogliamo contrariare il sentimento estetico e filantropico di coloro i quali voglion salvare Paolo Marcucci e ai quali quel morticino in scena dà fastidio. Riprendiamo dunque lo spettacolo alla sesta e penultima scena.
(Si fa da parte e a un suo cenno si riapre il sipario).
SCENA SESTA
Marcucci, solo
Marcucci - (ripete la scena sino al momento in cui ha preso l’oggetto dal cassetto di Rampacci. Si punta la rivoltella alla tempia).
SCENA SETTIMA
Marcucci e Usciere
Usciere - (vedendo il tragico gesto, accorre e gli strappa la rivoltella) Ma che volete fa'? Ve sete 'mpazzito?
Marcucci - No, morire, finirla... Nessuno piangerà, non ho nessuno al mondo….
Usciere - Peggio! Cusì gnisuno se pijerà la penzione che ve spetta. Ma lassate annà. Tutti 'sti guai perché arisomijate a Grabbiele D Annunzio? Embè, mettéteve l'occhiali tonni come Aròllede Lòidde e fateve cresce la barba come Camillo Benso conte di 'Cavour.
Marcucci - (abbracciandolo).
Cala la tela
Coloro che applaudivano fischiano e coloro che fischiavano applaudono.
FINE