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Titolo: Ione

Titolo: Ione

Autore: Euripide

Lingua originaria: Greco

Traduttore: Ettore Romagnoli

Casa Editrice: Nicola Zanichelli Editore - Bologna

Luogo di pubblicazione: Bologna

Data di pubblicazione: 1930

Codice ISBN: Non esistente

Collana: I POETI GRECI TRADOTTI DA ETTORE ROMAGNOLI

VERSIONE ELETTRONICA - PER I NON VEDENTI - CURATA DA AMEDEO MARCHINI

Ione

di Euripide

traduzione di Ettore Romagnoli

PERSONAGGI:

Ermete

Ione

CORO di Ancelle di Cre£sa

Cre£sa

XUTO

Un VECCHIO Pedagogo

La PROFETESSA PIZIA

Atena

La scena in Delfi. In fondo il tempio di Apollo, davanti

al tempio un altare e varie stele. Il frontone del tempio Š

ornato di bassorilievi. Da un lato un boschetto di lauri.

(Entra ErmŠte e si rivolge agli spettatori)

ErmŠte:

   Atlante, quei che su le bronzee spalle

   sostiene il ciel, dei Numi antichi albergo,

   da una Dea gener• Maia, che a Giove

   me procre•, ministro ai Numi, ErmŠte.

   E a Delfi or giungo, dove l'umbilico

   de la terra fiss• Febo, e ai mortali

   pel presente e il futuro ausp¡ci canta.

   Ch‚ fra gli Elleni sorge una citt…

   non ignobile, ed ha nome da P…llade

   dall'asta d'oro, dove Febo a nozze

   forz• Cre£sa, figlia d'ErettŠo,

   dove sorgon le rupi a Borea volte,

   cui de l'Ôllade i prenci eccelse chiamano;

   e ignoto al padre, ch‚ lo volle il Nume,

   port• nel grembo il peso; e, giunto il giorno,

   nella sua casa a luce un figlio diede

   Cre£sa, e lo port• nell'antro stesso

   dove giacque col Nume; e lo depose,

   sacro alla morte, d'incavata cesta

   nel tondo giro, degli antichi padri

   ossequ‹osa al rito, e d'Eritt•nio

   nato dal suol. Ch‚ Pallade a costui

   due serpi accompagn•, che custodissero

   il corpicciuolo, e alle vergini figlie

   d'Agl…uro l'affid•: quindi il costume

   che gli Erett¡di i pargoletti crescono

   fra serpi d'oro a sbalzo. E quanti aveva

   la fanciulla gioielli, accanto al bimbo

   che a morte sacro ella credeva, pose.

   Ma Febo mio germano mi preg•:

   ®Muovi, fratello, al popolo aborigeno

   della celebre Atene, la citt…,

   che ben conosci, della Diva, il pargolo

   prendi, or mo' nato, dalla cava rupe,

   col cestello e le fasce ond'Š ravvolto,

   e all'oracolo mio portalo, a Delfo,

   del tempio mio sopra la soglia ponilo.

   Al resto io penser•: per• che il pargolo,

   sappilo, Š mio¯. Non rifiutai tal grazia

   al Nume ambiguo, al fratel mio. Raccolsi

   l'intrecciato cestello, e lo portai,

   e il fanciullo posai sopra i gradini

   di questo tempio, del canestro aprendo

   il curvo grembo, ch‚ visibil fosse

   il pargoletto. Or, giunse, insieme al disco

   del galoppante sol, la profetessa,

   per entrare nel tempio, e gitt• gli occhi

   sopra il pargolo infante, e sbigott¡

   che ardito avesse il suo furtivo parto

   recar del Dio nella dimora qualche

   giovinetta di Delfo; ed a gittarlo

   fuor del sacrario s'apprestava, quando

   piet… rattenne la crudezza; e il Dio

   anche oper•, perch‚ non fosse il pargolo

   fuor del tempio gittato. Or lo raccolse

   e lo nutr¡; n‚ seppe mai che Febo

   generato l'avea, n‚ da che madre;

   n‚ conosce il fanciullo i genitori.

   Or giovinetto egli scherzava, in giro

   all'ara ed all'offerte; e poi che pubere

   fu divenuto, del tesoro i Delfi

   lo elessero custode, e fedelissimo

   tesor‹ere: e qui, nei penetrali

   del Dio, santa una vita ognor trascorre.

   Cre£sa poi, che die' la vita al giovine,

   a Xuto sposa and•, per tali eventi.

   Fra quei d'Atene, e quelli che discendono

   da Calcod¢nte, ed abitan l'EubŠa,

   di guerra un flutto surto era. Il travaglio

   Xuto affront•, lo dissip• con l'armi;

   e in premio ebbe le nozze di Cre£sa,

   egli che non d'Atene era, ma d'Ôolo

   figlio, di Giove nato, AchŠo. Ma dopo

   lunga seminagI•ne, il letto sterile

   a lui rimase, ed a Cre£sa. Ed ora,

   per ci•, per brama di figliuoli, vengono

   d'Apollo al tempio; e il Nume obliquo, a ci•

   spinse gli eventi, e non Š, sembra, immemore;

   poi che a Xuto, che giunge a quest'oracolo,

   il proprio figlio esso dar…, dicendolo

   nato da lui: sicch‚, quando alla reggia

   giunto egli sia, Cre£sa lo conosca,

   e le nozze del Dio restino occulte,

   e ci• che deve abbia il fanciullo. E I•ne

   far… ch'ei sia chiamato in tutta l'Ellade,

   e delle genti d'Asia capostipite.

   In questi anfratti ora entrer•, di lauri

   velati, per saper quale il destino

   del fanciullo sar…: che dell'Ambiguo

   giungere il figlio vedo qui, che gli aditi

   del tempio render… netti, con rami

   d'ulivo. Io primo fra i Celesti, il nome

   gli dar• ch'egli deve avere: I¢ne.

(Entra nel boschetto di lauri)

(Entra I•ne seguito da alcuni ministri del tempio. Indossa belle

vesti, porta su la spalla un arco, e stringe una frasca d'alloro

ornata di bende, che gli serve a spazzare l'adito sacro del tempio)

I•ne:

   La quadriga sua fulgida il sole

   lampeggiare fa gi… su la terra.

   Fuggon gli astri dinanzi al suo vampo,

   dall'Štere, verso

   la notte divina.

   Del Parnaso le vette inaccesse

   riscintillano, e il disco del giorno

   rifrangono agli uomini;

   e d'arida mirra vapore

   si leva ai fastigi di Febo.

   Sul santissimo tripode, siede

   la donna di Delfo,

   e canta agli EllŠni i responsi

   che Febo le grida.

   (Ai ministri)

   Via, Delfi, ministri d'Apollo,

   agli argent‰i gorghi castalŒ

   movete, di caste rugiade

   spruzzatevi, e al tempio tornate.

   E la bocca ad augurŒ di bene

   custodite, e scoprite, a chi vuole

   consultarli, i felici responsi

   dalle labbra di Giove. Io, frattanto,

   all'opera intento

   a cui sin da pargolo intesi,

   sacre bende e rametti d'alloro

   adopero, a fare che puro

   sia l'atrio del tempio di Febo,

   e molle per umidi spruzzi

   la soglia; e le schiere d'aligeri

   che recano danno alle statue

   votive, fuggiasche disperdo

   con queste mie frecce:

   ch'io, privo di padre e di madre,

   il tempio di Febo

   custodisco che m'ha nutricato.

   (D… di mano alla frasca d'alloro)

                                       Strofe

   Su via, del bellissimo lauro

   or ora fiorito rampollo,

   che il suolo purifichi

   vicino all'altare d'Apollo,

   cresciuto nei sacri giardini

   dove fonti prorompono roride

   perenni, ed umŠttano

   del mirto i santissimi crini,

   io con te vo' spazzando ogni giorno

   del Nume il vestibolo

   con cura perenne,

   appena scintillano

   del sole le rapide penne!

   O Pe…n, o Pe…n,

   che da Latona sei nato,

   beato sii, beato.

                                       Antistrofe

   O Febo, m'Š caro, se famulo

   sono io del tuo tempio, se onoro

   la sede fatidica:

   mi par glor‹oso lavoro,

   se debbo servire Celesti

   signori, e non uomini effimeri;

   n‚ stanco a s¡ nobile

   fatica sar… ch'io mai resti.

   Fu Febo mio padre: chi me

   nutriva, io magnifico:

   chi a me porse aiuto

   nel tempio d'Apolline,

   col nome di padre io saluto.

   O Pe…n, o Pe…n,

   che da Latona sei nato,

   beato sii, beato.

   (Depone la frasca d'alloro, prende un'anfora d'oro,

   e versa acqua sul pavimento)

   Or tregua abbia questo lavoro,

   pi£ solchi non tracci l'alloro.

   Adesso, le polle terr¡gene

   dall'anfora d'oro

   io gitto, che il gorgo

   castal‹o versa,

   ne spargo la rorida

   rugiada, io che sorgo

   dal talamo puro.

   Deh, ch'io mai non cessi

   dal culto di Febo; e, se pure

   desister dovessi,

   m'arridano fauste venture.

   (Come colpito da un rumore improvviso,

   alza gli occhi verso il cielo)

   Ahi, ahi!

   Gi… vengon gli aligeri,

   del Parnaso i giacigli abbandonano.

   Volate lontano, io ve l'ordino,

   dai recinti e dall'auree case.

   (D… di mano all'arco e alle frecce)

   Io te colpir• con le frecce,

   araldo di Giove, che vinci

   col rostro la forza

   di tutti gli alati.

   Un altro, a quest'ara, ecco, remiga:

   un cigno. Non volgi

   altrove il purpureo pie'?

   Neppure la cetra sonora,

   compagna di Febo,

   potrebbe sottrarti dall'arco.

   Le penne distogli,

   va' sopra lo stagno di Delo.

   Di sangue, se tu non m'ascolti,

   saranno gli armonici

   tuoi canti bagnati.

   Ehi, eh!

   Che uccello Š mai questo che approssima?

   Vuoi forse sottessi i fastigi

   dei muri, adunar pel tuo nido

   festuche? La corda sonora

   dell'arco t'allontaner….

   Vuoi dunque obbedire? Ritr…ggiti,

   d'AlfŠo presso i gorghi nidifica,

   tra i boschi e le valli dell'Istmo,

   ch‚ i templi di Febo e le statue

   non soffrano danno.

   Ritegno ho d'uccidervi,

   ch‚ voi le parole dei Numi

   annunciate ai mortali; ma quello

   che compiere io debbo,

   compir•: son di Febo ministro,

   n‚ mai cesser• dal servire

   chi me sostent•.

(Entra il Coro, formato di ancelle di Cre£sa)

CORO:                                  Strofe prima

PRIMO SEMICORO:

   Non soltanto in Atene sacra

   son templi di belle colonne

   sacri ai Numi nei riti febŠi.

   Anche qui, dove il Nume ambiguo,

   di Latona figliuolo, ha sede,

   fulgore di pura pupilla

   dalla duplice fronte scintilla.

SECONDO SEMICORO:

   Vedi, l'Idra di Lerna,

   con un falcetto d'oro,

   di Giove uccide il figlio,

   osserva, cara, osserva.

                                       Antistrofe prima

PRIMO SEMICORO:

   Vedo; e un altro vicino a lui,

   che leva una fiaccola ardente.

   Non Š forse Iol…o, la cui storia

   Š tessuta sui nostri pepli,

   il dor¡foro prode? Vedi,

   col figlio d Giove sostiene

   le fatiche affrontare e le pene.

SECONDO SEMICORO:

   Sopra un alato mira

   corsier colui che stermina

   la Chimera trigŠmina,

   mostro che fuoco spira.

                                       Strofe seconda

PRIMO SEMICORO:

   Da per tutto giro lo sguardo.

   Sopra i muri, vedi il tumulto

   dei Giganti nel marmo sculto?

SECONDO SEMICORO:

   Dove dici lo sguardo volgo.

PRIMO SEMICORO:

   Adesso quella guarda

   che preme sopra EncŠlado

   la gorg•n‹a targa.

SECONDO SEMICORO:

   Vedo P…llade mia Signora.

PRIMO SEMICORO:

   E pi£ l…, vedi il folgore

   orrido scintillante,

   di Giove nella mano,

   che saetta lontano.

SECONDO SEMICORO:

   Vedo: l'infesto Mimante

   con la saetta incenera.

PRIMO SEMICORO:

   E un altro dei Terr¡geni,

   con l'imbelle fŠrula d'ellera,

   Bacco Bromio lo stermina.

                                            Antistrofe seconda

CORO (A I•ne):

   Dico a te, che stai presso il tempio:

   oltre la soglia si concede

   ch'io sospinga il mio bianco piede?

I•ne:

   No, stran‹ere, Š proibito.

CORO:

   N‚ sapere potrei...

I•ne:

   Che vuoi sapere? Dimmelo.

CORO:

   Se nei templi febŠi

   Š l'umbilico della terra.

I•ne:

   Certo, di bende cinto,

   e intorno son le G•rgoni.

CORO:

   Ci• narra anche la fama.

I•ne:

   Se l'offerta dinanzi al sacrario

   faceste, chi brama

   d'Apollo i responsi, s'appressi

   all'are; ma schivi, se vittima

   non cadde, del tempio i recessi.

CORO:

   Ho inteso, e la legge

   non vo' trasgredire del Dio;

   ma gi… ci• che fuori

   si vede, allieterebbe l'occhio mio.

I•ne:

   Ci• ch'Š lecito, tutto osservatelo.

CORO:

   Concessero i Signori

   nostri, che questo tempio contemplassimo.

I•ne:

   E di qual casa dette siete ancelle?

CORO:

   Sorgono nella terra sacra a P…llade

   le case dei miei re.

   Ma quella onde tu chiedi, Š innanzi a te.

(Entra Cre£sa riccamente vestita, e si appressa lentamente al

tempio. Il suo aspetto Š triste. I•ne la guarda con interesse,

e le rivolge la parola)

I•ne:

   Ô, la tua, generosa indole; Š prova

   dei tuoi costumi il tuo contegno, o donna,

   quale tu sia: la nobilt… d'un uomo

   gi… dall'aspetto per lo pi£ si giudica.

   (Cre£sa fissa I•ne, si nasconde il viso e piange)

   AhimŠ!

   Tu mi colpisci di stupore, quando

   il tuo viso hai celato, e la tua nobile

   gota di pianto hai resa molle, come

   le sacre sedi dell'Ambiguo hai viste.

   Perch‚ piombare in tanta ambascia, o donna?

   Dove s'allegran gli altri, appena vedono

   del Nume il santuario, ivi tu lagrimi?

Cre£sa:

   Del mio pianto stupire, ospite, segno

   di stoltezza non Š. Questo vedendo

   tempio d'Apollo, ad un ricordo antico

   io corsi: pure essendo qui, la mente

   restava in patria. AhimŠ, donne infelici!

   O soprusi dei Numi! E che? Giustizia

   dove trovare pi£, quando ci strugge

   l'iniquit… di quelli che comandano?

I•ne:

   Perch‚ disperi, e parli oscuri detti?

Cre£sa:

   Nulla! Il dardo ho lanciato. Il resto ascondere

   vo' nel silenzio; e tu cura non dartene.

I•ne:

   Chi sei tu? Donde giungi? E da qual padre

   sei nata? E quale il nome onde io t'appelli?

Cre£sa:

   Cre£sa Š il nome mio: d'ErettŠo nacqui;

   mia terra patria Š la citt… d'AtŠne.

I•ne:

   Celebre la citt…, nobili sono

   i padri tuoi: come t'ammiro, o donna!

Cre£sa:

   Di tanto, e non di pi£, sono felice.

I•ne:

   Pei Numi, Š vero, come narran gli uomini...

Cre£sa:

   Che vuoi saper? Fa' ch'io chiaro lo intenda.

I•ne:

   Che dal suol nacque di tuo padre il padre?

Cre£sa:

   Certo, Eritt•nio: e poco io n'ebbi d'utile.

I•ne:

   E da le zolle lo raccolse AtŠna?

Cre£sa:

   Che sua madre non fu, con man virginea.

I•ne:

   E lo die', come sogliono dipingere...

Cre£sa:

   Senza mostrarlo, alle figlie di CŠcrope.

I•ne:

   So che il cestello le fanciulle aprirono.

Cre£sa:

   Perci•, spente, le rocce insanguinarono.

I•ne:

   E dimmi ancora:

   Š vera forse quella voce, Š falsa...

Cre£sa:

   Qual voce? Chiedi, tempo ho da risponderti.

I•ne:

   Che le figlie ErettŠo sacrific•?

Cre£sa:

   Per la sua patria, cuore ebbe d'ucciderle.

I•ne:

   E come tu salvata unica fosti?

Cre£sa:

   Or ora nata, in braccio ero a mia madre.

I•ne:

   Vero Š che il padre tuo nasconde un baratro?

Cre£sa:

   Il tridente marin l'apriva, a struggerlo.

I•ne:

   Ô Rupilunghe di quel luogo il nome?

Cre£sa:

   Che chiedi? Oh quale in me ricordo susciti!

I•ne:

   Febo e i suoi vampi onorano quel luogo...

Cre£sa:

   d'onore indegno. Oh mai l'avessi visto!

I•ne:

   Che? Quanto al Nume Š pi£ diletto aborri?

Cre£sa:

   No; ma quell'antro sa meco un obbrobrio.

I•ne:

   Qual degli Aten‹esi a te fu sposo?

Cre£sa:

   Non fu d'AtŠne: d'altra terra fu.

I•ne:

   E chi? Certo di stirpe ei nacque nobile.

Cre£sa:

   Xuto, d'Šolo figlio, Šolo di Giove.

I•ne:

   Come te cittadina ebbe, egli estraneo?

Cre£sa:

   Presso ad AtŠne Š la citt… d'EubŠa.

I•ne:

   Che di mare ha confini, a ci• che dicono.

Cre£sa:

   Questa distrusse, a fianco dei Cecr•pidi.

I•ne:

   Giunto alleato? E quindi ebbe il tuo talamo?

Cre£sa:

   Dote di guerra, e premio al suo valore.

I•ne:

   E con lui giungi, o sola, a quest'oracolo?

Cre£sa:

   Con lui: nell'antro di Trof•nio or trovasi.

I•ne:

   Sol per vedere? O a consultar gli oracoli?

Cre£sa:

   Anche il responso di Trof•nio vuole.

I•ne:

   Forse intorno ai ricolti? O intorno ai pargoli?

Cre£sa:

   Siamo sposi da tanto, e senza figli.

I•ne:

   N‚ partoristi mai? Sei senza prole?

Cre£sa:

   Bene Febo lo sa, se non ho figli.

I•ne:

   O te felice in tutto, e in questo misera!

Cre£sa:

   E tu chi sei? Beata la tua madre!

I•ne:

   Servo del Dio son detto, e tale io sono.

Cre£sa:

   Dono dei cittadini? Oppur venduto?

I•ne:

   Appartengo ad Apollo: altro non so.

Cre£sa:

   Ospite, allora anch'io compiango te.

I•ne:

   Giusto Š: ch‚ il padre mio, la madre ignoro.

Cre£sa:

   Abiti in questo tempio, oppure in casa?

I•ne:

   Mia casa Š il tempio, i sonni miei l¡ dormo.

Cre£sa:

   Pargolo qui venisti, o giovinetto?

I•ne:

   Pargolo, dice chi saper lo pu•.

Cre£sa:

   Quale donna di Delfo t'allatt•?

I•ne:

   Mammella io non conobbi: mi nutr¡...

Cre£sa:

   Chi? Dogliosa qui giungo, e doglie trovo.

I•ne:

   La ministra del Dio: madre io la chiamo.

Cre£sa:

   Da chi sinor sostentamento avesti?

I•ne:

   Mi nutrŒr l'are, e quanti ospiti giunsero.

Cre£sa:

   Misera, quale ella pur sia, tua madre!

I•ne:

   Certo dal fallo d'una donna io nacqui.

Cre£sa:

   Belle son le tue vesti: hai di che vivere?

I•ne:

   Per il Nume che servo io mi fo bello.

Cre£sa:

   La tua stirpe a cercar mai non pensasti?

I•ne:

   Indizio non possiedo alcuno, o donna.

Cre£sa:

   AhimŠ! Pat¡

   ci• che pat¡ tua madre, un'altra donna.

I•ne:

   Quale? M'allegro, se il mio duol partecipa.

Cre£sa:

   Per essa qui, pria del mio sposo io venni.

I•ne:

   A quale scopo? Aiuto io ti dar•.

Cre£sa:

   Per chiarire di Febo un motto oscuro.

I•ne:

   Parla: ch‚ in tutto io vo' servigio renderti.

Cre£sa:

   Odimi, dunque... Ah, mi trattien vergogna!

I•ne:

   Ô inetta Diva: a nulla approderai.

Cre£sa:

   Stretta un'amica mia d'amor con Febo...

I•ne:

   Con Febo una mortale? Oh, pi£ non dire!

Cre£sa:

   N'ebbe un pargolo; e suo padre nol seppe.

I•ne:

   Ma no, l'ebbe da un uomo; e n'ha vergogna.

Cre£sa:

   Essa lo nega. E un tristo atto compie'.

I•ne:

   E come mai, se a un Nume ella soggiacque?

Cre£sa:

   Port• fuori di casa, espose il pargolo.

I•ne:

   E quel pargolo, ov'Š? Vede la luce?

Cre£sa:

   Niuno lo sa: perci• venni all'oracolo.

I•ne:

   Se pi£ non vive, in che modo scomparve?

Cre£sa:

   Pensa che fiere ucciso abbiano il misero.

I•ne:

   Ed a qual prova s'affid• per crederlo?

Cre£sa:

   Torn• dove l'espose; e pi£ non c'era.

I•ne:

   E c'era su la via stilla di sangue?

Cre£sa:

   Dice di no, per quanto il suol cercasse.

I•ne:

   E quanto tempo corse, dalla perdita?

Cre£sa:

   Gli anni tuoi, se vivesse, appunto avrebbe.

I•ne:

   Empio quel Nume, e quella madre misera!

Cre£sa:

   N‚ pi£, dopo quel punto, ebbe altro figlio.

I•ne:

   Che rapito e nutrito il Nume l'abbia?

Cre£sa:

   Chi gode solo un ben comune, Š ingiusto.

I•ne:

   Ahi, questa sorte al mio dolore Š c•nsona.

Cre£sa:

   Anche te bramer… tua madre misera.

I•ne:

   Non ricordarmi un duol posto in oblio.

Cre£sa:

   Taccio. L'ufficio compi onde io t'interrogo.

I•ne:

   Sai qual Š dei tuoi detti il punto debole?

Cre£sa:

   E che, tapina, Š in lei, che non sia debole?

I•ne:

   Svelar pu• il Nume ci• che vuol nascondere?

Cre£sa:

   Sul tripode non sta per tutta l'Šllade?

I•ne:

   Onta di ci• che fece egli ha. Non chiedere.

Cre£sa:

   E doglie ha quella che pat¡ tal sorte.

I•ne:

   Niun v'ha che possa a te dar quest'oracolo.

   Se di tristizia nel suo tempio stesso

   fosse Febo convinto, a chi ti desse

   tale responso, un danno infliggerebbe.

   Allont…nati, o donna: ai Numi chiedere

   ci• che ad essi fa scorno, non Š lecito.

   Della stoltezza attingeremmo il vertice,

   se lor malgrado i Numi costringessimo,

   le vittime sgozzando, o degli aligeri

   spiando il volo, a dir ci• che non vogliono.

   I beni a forza conquistati, o donna,

   contro il voler dei Numi, util non recano.

   Giova ci• sol che di buon grado accordano.

CORO:

   Molti gli uomini son, molti gli eventi,

   di varia forma; e avventurato in tutta

   la vita, a stento trovi alcun degli uomini.

Cre£sa:

   N‚ l¡ giusto, n‚ qui, Febo, tu sei

   verso l'assente, ond'io la causa pŠroro.

   Non salvasti tuo figlio, e lo dovevi,

   n‚ rispondi alla madre, e sei profeta,

   che dimande ti volge, affin che un tumulo

   se non vive, gl'innalzi, e se ancor vive,

   di sua madre al cospetto infine giunga.

   Quando impedisce il Dio che quello io sappia

   che bramo, Š vano che ci siano oracoli.

   Ma veggo, ospite, il mio sposo bennato,

   Xuto: lasciato di Trof•nio ha l'antro,

   e viene qui. Di ci• ch'io dissi, nulla

   ridire a lui, ch‚ scorno a me non rechi

   di segreti impacciarmi, e i detti miei

   altri da come io svolti li ho, non corrano.

   La femminil condiz‹one, facile

   non Š, di fronte agli uomini: le buone,

   se pratican le tristi, in odio vengono

   anch'esse; tanta Š la miseria nostra.

(Entra Xuto)

XUTO:

   Dei miei saluti le primizie accolga

   primo, e s'allieti il Nume; indi tu, sposa.

   Forse a temer t'indusse il mio ritorno?

Cre£sa:

   No: pure ero in pensiero. E adesso, dimmi,

   quale responso da Trof•nio rechi?

   Come daranno figli i nostri amplessi?

XUTO:

   Non volle anticipar d'Apollo i detti:

   sol disse ci•: che senza figli riedere

   n‚ io n‚ tu dovremmo dall'oracolo.

Cre£sa:

   Madre di Febo veneranda, fausta

   sia la nostra venuta, e in bene torni

   l'amist… ch'ebbi con tuo figlio un giorno.

XUTO:

   Cos¡ sia. Ma di Febo ov'Š l'interprete?

I•ne:

   Io degli esterni: dei responsi interni

   altri, che pi£ siedono presso al tripode,

   fra i Delfi eletti, e l'indic• la sorte.

XUTO:

   Bene. Quanto chiedevo or tutto so.

   Entriamo dentro: poich‚ gi… la vittima

   offerta dai foresti, innanzi al tempio,

   dicono, cadde: e in questo d¡, ch'Š fausto,

   del Nume consultar voglio i responsi.

   E tu, del mirto i ramicelli, o sposa,

   prendi, agli altari dei Celesti apprŠssati,

   e implora ch'io propizi rechi, dalla

   casa d'Apollo, ai pargoli gli oracoli.

(Entra nel tempio)

Cre£sa:

   Lo far•, lo far•. Se vuole almeno

   l'Ambiguo riscattar le colpe antiche,

   in tutto caro esser non pu•; ma come

   brama, l'accoglier•: ch'egli Š pur Nume.

(Si allontana)

I•ne:

   Con quali detti oscuri al Nume allude

   la stran‹era, e sempre lo vitupera!

   Per amor di colei, forse, per cui

   l'oracolo consulta? O tace cose

   che conviene tacer? Ma della figlia

   d'ErettŠo che m'importa? Ha con me forse

   rapporto alcuno? Adesso vado, e verso

   negli aspersorŒ, con le coppe d'oro,

   rorida linfa. Ma convien ch'io biasimi

   quello che Febo fa. S'unisce a forza

   con le fanciulle, e le tradisce, e i figli

   furtivamente procreati, lascia,

   senza pensiero darsene, che muoiano.

   Non imitarlo tu! Ma, fatto grande,

   pratica la virt£. Vedete! Quando

   tristo Š un mortale, i Numi lo puniscono.

   Bella giustizia! Voi, Numi, sancite

   le leggi pei mortali, e siete i primi

   a v‹olarle? Se doveste un giorno

   (non sar… mai, ma pure supponiamolo)

   tu, Pos¡done, e tu, Giove, che reggi

   il firmamento, rendere giustizia

   dei soprusi d'amore a tutti gli uomini,

   i vostri templi vuoti rimarrebbero

   in poco d'ora. Ingiusti siete, quando

   pi£ del vostro piacer che della cura

   dovuta a noi, pensier vi date. Giusto

   non sar…, no, chiamare tristi gli uomini

   che quanto ai Numi sembra bello imitano,

   bens¡ quelli che a noi sono maestri.

(Si allontana)

CORO:                                  Strofe

   Te che non mai d'Ilizia

   hai sofferti gli spasimi,

   invoco, AtŠna mia,

   te che il Titan PromŠteo

   di Giove raccogliea dal sommo cŠrebro,

   vittor‹osa Iddia.

   Vieni, dagli aurei talami

   d'Olimpo, scendi a questa casa Pizia

   sopra terrestre via,

   ove, nel centro della terra, al tripode

   presso, e alle sue carole,

   l'ara FebŠa partecipa

   fatidiche parole.

   Anche tu vieni, o figlia

   di Lato: entrambe indomite,

   suore entrambe d'Apollo.

   E supplicate, o Vergini,

   che l'antica progenie

   d'ErettŠo, con espliciti

   responsi, anche tardivo, abbia un rampollo.

                                       Antistrofe

   Ch‚ pei mortali, origine

   Š questa sicurissima

   d'alta felicit…,

   quando brilla nei talami

   paterni, e frutti d… nuovi, di floridi

   figli la pubert…,

   che dai padri ricevano,

   e ad altri figli possano trasmettere

   l'avita eredit….

   Sostegno Š questo negli eventi infausti,

   Š gaudio nei felici,

   Š, con l'armi, alla patria

   schermo contro i nemici.

   Per me, di figli un'ottima

   stirpe, pi£ che dovizia

   bramo, e che stanza regia;

   ed aborrisco vita senza pargoli,

   e chi l'approva biasimo.

   Io, con sostanza modica,

   vorrei la sorte aver di prole egregia.

                                       Epodo

   O voi, di Pane sedi,

   e tu, presso alle cupe

MacrŠe caverne, rupe,

dove, a intrecciar carole

   battono i piedi

   le tre figliuole

   d'Agl…uro, su le piane

   floride, innanzi al tempio

   di Palla, al suon dell'arte

   cui la zampogna

   intona varie,

   quando tu, Pane,

   zufoli nel tuo speco i carmi agresti,

   dove ad Apollo una fanciulla misera

   diede un rampollo, e lo gitt•, vergogna

   di talami funesti,

   agli aligeri preda, ed alle fiere

   sanguinoso banchetto.

   Mai nelle storie udii, mai ne' conf…buli

   presso ai nostri telai

   che chi nacque da un Nume e da un efimero

   fortuna avesse mai.

(Torna I•ne)

I•ne:

   O ministre, che di questo sacro tempio al limitare

   state vigili, in attesa del signor vostro, gi… l'are

   ed il tripode ha lasciati Xuto, o ancora se ne sta

   dentro il tempio, e chiede oracoli su la sua sterilit…?

CORIFEA:

   Ancor dentro Š, stran‹ero, non usc¡ da quella soglia.

   Ora s¡, la porta sento scricchiolar, come uscir voglia:

   anzi, vedi il mio signore ch'esce gi…, verso noi viene.

XUTO (Esce dal tempio e di rivolge a I•ne):

   Figlio, a te salute: questo dirti prima a me conviene.

I•ne:

   La salute io l'ho: fa' senno tu, ch‚ allor l'avremo in due.

XUTO:

   D'abbracciarti a me consenti, di baciar le mani tue.

I•ne:

   Sei tu sano? O Nume avverso ti sconvolse l'intelletto?

XUTO:

   Pazzo io son, se abbracciar voglio chi pi£ al mondo Š a me diletto?

I•ne:

   Smetti! Strappi, se mi tocchi, con la man, del Dio le bende.

XUTO:

   Vo' toccarti: il mio ben trovo: la mia mano non ti offende.

I•ne:

   Smetti, prima che una freccia nel polmone io non ti scocchi.

XUTO:

   Fuggi, or ch'…i ci• che pi£ caro devi avere, innanzi agli occhi?

I•ne:

   Io non amo ospiti ch'…nno perso il senno, che son pazzi.

XUTO:

   Morte dammi, ardimi: il padre tuo distruggi, se m'ammazzi.

I•ne:

   Tu mio padre? E come? E debbo darti retta? Ô buffo il caso!

XUTO:

   Punto: il resto del discorso potr… farti persuaso.

I•ne:

   Che potrai dirmi?

XUTO:

   Ch'io sono padre tuo, tu figlio mio.

I•ne:

   Chi lo dice?

XUTO:

   Chi ti crebbe, tolto a me: l'ambiguo Iddio.

I•ne:

   Tu te stesso garantisci.

XUTO:

   No, l'oracolo ricordo.

I•ne:

   Il responso ambiguo udendo, t'ingannasti.

XUTO:

   E che son sordo?

I•ne:

   E qual Š di Febo il detto?

XUTO:

   Che colui che sui miei passi...

I•ne:

   Sui tuoi passi cosa?

XUTO:

   Uscendo dall'oracolo, incontrassi...

I•ne:

   Qual sarebbe la sua sorte?

XUTO:

   Che di quello il padre io sono.

I•ne:

   Da te nato, o dono d'altri?

XUTO:

   Da me nato, eppure dono.

I•ne:

   E ti sei prima imbattuto proprio in me?

XUTO:

   Proprio in te, figlio.

I•ne:

   Strana Š assai, tale vicenda!

XUTO:

   Io con te ne maraviglio.

I•ne:

   Da qual madre sarei nato?

XUTO:

   Questo dir non te lo so.

I•ne:

   N‚ lo disse il Dio?

XUTO:

   Pel gaudio mi scordai di chieder ci•.

I•ne:

   Dunque, madre ebbi la terra?

XUTO:

   Non d…n pargoli le zolle.

I•ne:

   Come dunque io son tuo figlio?

XUTO:

   Il Dio sa ci• che dir volle.

I•ne:

   Or veniamo a un altro punto.

XUTO:

   Lo gradisco anch'io di pi£.

I•ne:

   Non avesti alcuna tresca?

XUTO:

   S¡: follie di giovent£.

I•ne:

   D'ErettŠo pria che la figlia sposa avessi?

XUTO:

   Prima, prima.

I•ne:

   Ed allor mi generasti?

XUTO:

   Certo, il tempo ci collima.

I•ne:

   Per•, come io son qui giunto?

XUTO:

   Questo poi non lo capisco.

I•ne:

   Un viaggio cos¡ lungo!

XUTO:

   Certo anch'io ne sbalordisco.

I•ne:

   Dimmi un po': sei mai venuto, prima d'ora, al giogo Pizio?

XUTO:

   Pei notturni baccanali, s¡, ci venni.

I•ne:

   E avesti ospizio

   presso alcuno dei prossŠni?

XUTO:

   S¡, che a delfiche donzelle...

I•ne:

   Ti congiunse nel medesimo t¡aso?

XUTO:

   E MŠnadi eran quelle.

I•ne:

   Eri in senno, oppur briaco?

XUTO:

   Vinto al gaudio ero del vino.

I•ne:

   Giusto allor fui generato.

XUTO:

   Fu volere del destino.

I•ne:

   Come al tempio giunsi?

XUTO:

   Quivi la fanciulla t'avr… messo.

I•ne:

   E cos¡ rimasi libero.

XUTO:

   Figlio, il padre accogli adesso.

I•ne:

   Negar fede al Dio non posso.

XUTO:

   Ora s¡, che pensi bene.

I•ne:

   Bramar posso altro che figlio...

XUTO:

   Pensi come si conviene.

I•ne:

   del figliuolo esser di Giove?

XUTO:

   Tale sei precisamente.

I•ne:

   Tocco dunque il genitore?

XUTO:

   Se l'oracolo non mente.

I•ne:

   Salve, padre.

XUTO:

   O grato augurio!

I•ne:

   Questo d¡...

XUTO:

   Mi fa beato.

I•ne:

   Cara madre, e te vedere quando mai mi sar… dato?

   Pi£ di prima assai desidero or vederti, qual tu sei;

   ma tu sei di certo spenta, vuoti andranno i voti miei.

CORIFEA:

   La gioia della reggia anch'io partecipo;

   ma la regina, e d'ErettŠo la casa

   sorte di figli anche vorrei che avessero.

XUTO:

   Il tuo ritrovamento, o figlio, bene

   dispose un Nume, e te congiunse a me.

   Ci• che tu avevi di pi£ caro, senza

   saperlo, hai ritrovato. Or, ci• che brami,

   a buon diritto, anch'io lo bramo: il modo

   che tu la madre tua, figlio, ritrovi,

   ed io la donna che ti diede a me.

   Ma troveremo, dando tempo al tempo,

   anche la madre. Il sacro suol del Nume

   e la vita raminga ora abbandona,

   seconda il padre tuo, vieni ad Atene,

   dove lo scettro di tuo padre, o te

   fortunato, t'aspetta, e assai ricchezza.

   Di due modi malato ora non pi£

   sarai, non detto pi£ povero e ignobile,

   anzi bennato e assai provvisto d'agi.

   Taci? A terra perch‚ figgi lo sguardo,

   e stai cogitabondo, e dalla gioia

   ricacci ancora il padre tuo nel dubbio?

I•ne:

   Non han le cose l'apparenza stessa,

   quando son lungi, e viste da vicino.

   Io la ventura di buon grado accolgo

   che te, padre, trovai; ma quello ascolta

   che mi risulta. Dalla terra nacque

   la progenie d'Atene, a ci• che dicono,

   non gi… d'altronde. Io ci capiterei

   con due malanni addosso: uno, che mio

   padre Š foresto; e due che son bastardo.

   Simile tara avendo, se vivr•

   oscuramente, sar• men che nulla.

   Se poi della citt… sui primi banchi

   balzar cercassi, ed essere qualcuno,

   od‹ato sar• da quanti privi

   son del potere: ch‚ fastidio genera

   la preminenza. E i saggi, che potrebbero

   essere utili e tacciono, e le cariche

   non ambiscono, oggetto a lor sar•

   di riso, taccia avr• di folle, quando,

   in simile citt…, tutta trambusto

   non sto tranquillo. E se potessi ascendere

   a dignit…, fra gli uomini autorevoli

   ch'…nno il potere, tanto pi£ la mira

   dell'invidie sar•: che cos¡, padre,

   suole avvenire: quelli che governano

   sono agli emuli loro inimicissimi.

   Poi, se mai giungo intruso in casa altrui,

   a una donna di figli orba, che teco

   delle venture tue prische partecipe,

   vedendosene scissa or, di mal animo

   sopporter… la nuova sorte, come

   aborrito da quella, a buon diritto,

   stando sempre al tuo fianco, io non sar•?

   E allor dovrai tradirmi, e accondiscendere

   alla tua sposa, o favorirmi, e tutta

   veder sossopra la tua casa? E quali

   stragi ed effetti di letali farmachi

   contro i nemici non trovan le femmine?

   E poi, la sposa tua, padre, compiango,

   che senza figli invecchia, e di tal morbo

   degna non Š: ch‚ i padri suoi f–r nobili.

   Della sovranit…, che a torto esaltano,

   l'aspetto Š bello; e trista Š invece, se

   tu guardi a fondo. Essere pu• beato,

   avventurato, chi campar la vita

   deve temendo sempre, e sempre vigile?

   Viver come privato eleggerei

   con la fortuna, pi£ ch'esser sovrano,

   che deve amici avere i tristi, e i buoni,

   per timor della morte, avere in odio.

   L'oro tu mi dirai, che vale pi£

   di tutto questo. E s¡, ricchezza Š dolce;

   ma, se in pugno l'ho stretta, udire i biasimi

   non mi riesce grato, e aver fastidŒ.

   E i beni che qui godo, ascolta, o padre.

   Il tempo, intanto, il primo ben degli uomini:

   la poca ressa, poi, n‚ per via m'urta

   alcun briccone: e cosa intollerabile

   Š per la via cedere il passo ai tristi.

   E fra preghiere ai Numi e bei propositi

   son vissuto finora: a gente allegra,

   non mai piangente fui ministro: ed ospiti

   questi licenz‹avo, e quei giungevano:

   io nuovo ad essi, ed essi a me, gradito

   ero a lor sempre. E, ci• che devon gli uomini

   pregiare, anche se avvien senza lor merito,

   l'indole e il mio dover fanno ch'io, servo

   d'Apollo, un giusto sia. Badando a ci•,

   meglio qui star, che l¡, padre mio, reputo.

   Lascia ch'io viva qui. Ci bea del pari

   goder grandezze, e pago esser del poco.

XUTO:

   Bene tu parli; e avventurati anch'essi

   saran pei detti tuoi quelli che ami.

   Lascia questi discorsi, e impara ad essere

   felice. Io voglio, incominciando, o figlio,

   da dove io ti trovai, sedendo all'epula

   d'un comune banchetto, i sacrifici

   per la nascita tua, non celebrati

   pria, celebrare: a casa, poi, come ospite,

   a lieta mensa verrai meco; e come

   spettatore ad Atene io t'addurr•,

   non come figlio mio: ch‚ la mia sposa

   priva di figli addolorar non voglio,

   io, ch'or n'ho la ventura. E poi, col tempo,

   l'occas‹one sp‹er• d'indurla

   che mi conceda a te lasciar lo scettro

   della mia terra. E a te di I•ne il nome

   dar•, che bene alla ventura addicesi,

   perch‚ sui passi miei, quando io dagli aditi

   del tempio uscivo, tu primo accorresti.

   Ora, i giovenchi immola, e a mensa invita

   gli amici tuoi, salutali, ch‚ Delfi

   omai tu lasci. E voi tacete, ancelle,

   tutto che udiste: ch‚ se nulla mai

   direte alla mia sposa, a morte andrete.

I•ne:

   Andr•. Ma un punto alla fortuna mia

   manca: se quella che mi gener•

   non trovo o padre, la mia vita, vita

   non Š. Se poi debbo augurarmi, oh possa

   esser d'Atene la mia madre, ond'io

   libert… di parola abbia dal lato

   materno almen: ch‚ quando in una schietta

   cittadinanza c…pita un estraneo,

   pur se diritti ha cittadini, serva

   Š la sua bocca, e tutto dir non pu•.

(Escono)

CORO:                                  Strofe

   Il lutto io vedo gi…, vedo le lagrime,

   gli ululi ascolto, il rompere dei gemiti,

   quando sapr… che un figlio

   trov• lo sposo, la signora mia,

   ed essa invece orba Š di prole e sterile.

   O di Latona figlio, or che significa

   questa tua profezia?

   Donde provenne, da qual donna, il pargolo

   che fu cresciuto nel tuo santuario?

   Non m'allieta l'oracolo,

   e l'inganno pavento,

   se considero l'esito

   che aver pu• tale evento.

   Ô strano il signor mio, strano Š che m'ordini

   ch'io rimanga in silenzio.

   Tutto Š frode, fallacia

   tutto, in questo fanciul che germin•

   da un altro sangue. E chi negarlo pu•?

                                       Antistrofe

   Tutto dobbiamo alla regina esplicito

   narrar, che ogni suo ben poneva, o misera,

   nello sposo, e partecipe

   era della speranza dei suoi letti?

   Egli Š felice adesso, ella si logora

   nel duol: ch‚ piomber… nella vecchiaia

   senza figli diletti.

   O sciagurato! A questa casa estraneo

   giunto, non seppe alla sua sorte, prospera

   troppo, innalzare l'animo.

   Deh, mora colui, mora,

   che con la sua versuzie

   vinse la mia signora!

   Deh, mai libami che con pure avvampino

   fiamme non arda ai Superi!

   E bene apprender l'anima

   mia dovr…. Ma s'appressano al banchetto

   il nuovo padre e il figlio giovinetto.

                                       Epodo

   O gioghi che lo scoglio della Parnasia roccia

   reggete eccelso, e la celeste sede

   dove Bacco che leva le scintillanti fiaccole

   lancia con le nott¡vaghe Baccanti a danza il piede,

   mai non giunga il fanciullo alla nostra citt…,

   e pria soccomba nel fior dell'et….

   Bene Atene dovria, che ancora lagrima,

   tener da s‚ lontano

   il nuovo intruso: assai fu che un estrano

   v'introdusse ErettŠo nostro sovrano.

(Entra in scena Cre£sa, sorreggendo il vecchio pedagogo,

tardo e quasi cieco)

Cre£sa:

   Il passo affretta, o precettore antico

   di mio padre ErettŠo, mentre era vivo,

   verso il tempio del Dio, s¡ che tu possa

   meco allegrarti, se l'obliquo Iddio

   responso die' sopra il desio di pargoli.

   Partecipare la fortuna Š dolce

   coi proprŒ amici; e se, deh, non avvenga,

   c…piti un male, dolce Š pur nel viso

   d'un uom che ci ama volgere lo sguardo.

   Ed io te, come tu mio padre un tempo,

   sebben regina, come un padre venero.

Pedag•go:

   Degni dei degni avoli tuoi, regina,

   serbi i costumi; ed agli antichi tuoi

   progenitori, che dal suolo nacquero,

   tu non fai torto. Affretta il passo, affretta,

   al santuario, e guida me: ch‚ ripido

   quivi Š l'accesso; il piede mio reggendo,

   della vecchiaia mia tu trova il farmaco.

Cre£sa:

   Seguimi; e l'orma bada ove tu stampi.

Pedag•go:

   Ecco:

   il piede Š tardo, ma la mente Š rapida.

Cre£sa:

   Col bordon, tutto intorno il suolo tenta.

Pedag•go:

   Se poco io vedo, anche il bordone Š cieco.

Cre£sa:

   S¡; ma pur se sei stanco, non t'abbattere.

Pedag•go:

   Nol vorrei; ma non ho ci• che mi manca.

Cre£sa:

   Donne, dei miei telai, delle mie spole

   ministre fide, quale intorno ai figli

   responso ebbe lo sposo, e si part¡?

   A ci• venimmo: a me significatelo;

   e non avrai, qualora siano fauste,

   gioia recata a una signora ingrata.

CORIFEA:

   Oh DŠmone!

Cre£sa:

   Lieto non Š dei tuoi detti il preludio.

CORIFEA:

   Oh misera!

Cre£sa:

   Forse i responsi ch'ebbe il re, mi nuocciono?

CORIFEA:

   Ahi, che far•? Su me la morte incombe.

Cre£sa:

   Che canzone Š mai questa? E di che temi?

CORIFEA:

   Favelliamo? Tacciamo? O che facciamo?

Cre£sa:

   Parla: annunziarmi una sventura devi.

CORIFEA:

   Faveller•, dovessi anche due volte

   morir. Dato non t'Š, regina, in braccio

   prendere, al seno avvicinare un pargolo.

Cre£sa:

   Deh, potessi morire!

Pedag•go:

   Figlia!

Cre£sa:

   Me misera, quale disgrazia!

   Amiche, un tale cruccio mi strazia,

   che intollerabile mi fa la vita.

Pedag•go:

   Per noi, figlia, Š finita!

Cre£sa:

   AhimŠ, ahimŠ!

Questo cordoglio

   da parte a parte pŠnetra il seno.

Pedag•go:

   Ai gemiti pon freno!

Cre£sa:

   Mi sfuggon gli ululi!

Pedag•go:

   Pria che si apprenda...

Cre£sa:

   Quale messaggio?

Pedag•go:

   Se della stessa tua sorte partecipe

   teco Š il Sire infelice, o sei tu sola.

CORIFEA:

   Un figlio, o vecchio, a lui diede l'Ambiguo:

   senza costei, felice egli Š per s‚.

Cre£sa:

   Un male, un male detto hai supremo,

   che all'altro aggiungesi! Io gemo io gemo!

Pedag•go:

   Da qualche donna profet• che il pargolo

   nascer dovrebbe? O nato egli Š di gi…?

CORIFEA:

   Nato di gi…, compiuto giovinetto:

   al mio cospetto, a lui lo die' l'Ambiguo.

Cre£sa:

   Che dici? Crederti non so, non Š

   possibil quello che narri a me!

Pedag•go:

   Sembra anche a me; ma del responso l'esito

   e il fanciullo chi sia pi£ chiaro esponi.

CORIFEA:

   Il primo che trov•, dal tempio uscendo,

   lo sposo tuo, gli die' per figlio il Nume.

Cre£sa:

   AhimŠ, ahimŠ!

Di figli priva, di figli priva

   sar… ch'io viva!

   Nella magI•ne deserta, i giorni

   in solitudine trascorrer•.

Pedag•go:

   Or, chi disse il responso? E verso chi

   le vestigia del pie' volse lo sposo

   di questa sventurata? Ove lo vide?

CORIFEA:

   Padrona cara, non ricordi il giovine

   che spazzava il recinto? Ô quello il figlio.

Cre£sa:

   Deh, lungi lungi dal suol de l'Ellade,

   per l'aere trepido spiccarmi a volo

   potessi, verso gli astri del vespero:

   s¡ acerbo, amiche dolci, Š il mio duolo.

Pedag•go:

   Conosci il nome onde l'appella il padre?

   O tacque, e tu non puoi darne novella?

CORIFEA:

   I•ne: ch‚ primo egli iva al padre incontro.

   La madre quale sia, dir non ti posso.

   Ed il suo sposo and• - per dirti, o vecchio,

   tutto quello ch'io so - segretamente,

   lungi, alle tende sacre; ed offre qui

   sacrifizi ospitali e genetl¡aci,

   e col figlio novello a mensa siede.

Pedag•go:

   Siamo traditi: dico siam: ch‚ il tuo

   danno, o regina, Š danno mio: d'intrigo

   siamo offesi, e d'ingiuria, e d'ErettŠo

   siam dalle case discacciati. Io parlo

   non per odio al signor tuo, ma perch‚

   amo te pi£ che lui: ch'egli, foresto

   venne alla tua citt…, t'ebbe consorte,

   ebbe la casa tua, l'eredit…

   tua tutta quanta, e adesso Š manifesto

   che di nascosto figli procre•

   da un'altra donna. E che fu di nascosto

   te lo dimostrer•. Com'ei ti seppe

   sterile, a te non volle essere simile,

   partecipar la tua iattura; e, scelto

   un talamo servile, e celebratevi

   nozze furtive, un figlio gener•,

   dalla patria portar lungi lo fece,

   e l'affid•, ch‚ lo nutrisse, a qualche

   cittadino di Delfi. E il pargoletto,

   perch‚ celato rimanesse, libero

   nella casa del Dio cresciuto fu.

   E quando poi lo seppe adolescente,

   a venir qui t'indusse, per la vostra

   sterilit…. N‚ fece inganno il Nume:

   inganno, ei fece, che di furto il pargolo

   a lungo crebbe, e questo laccio tese.

   Se scoperto, imputato il Nume avrebbe;

   e, restando nascosto, e a suo vantaggio

   traendo il tempo, a lui trasmessa avrebbe

   la tua sovranit…. Di I•ne il nome

   come l'evento volle, indi foggi•,

   perch‚ mentre iva in lui s'era imbattuto.

CORO:

   Quanto aborrisco i tristi che commettono

   il male, e con inganni indi l'adornano!

   Vo' per amico un probo, e sia pur semplice,

   meglio che un tristo, e sia d'acuto ingegno.

Pedag•go:

   E il male patirai fra tutti estremo,

   che in casa tua come padrone accogliere

   un uom dovrai di nessun conto, il figlio

   d'una schiava, un bastardo: assai men grave

   sarebbe il mal, se il tuo sposo, adducendo

   la tua sterilit…, col tuo consenso,

   d'una libera il figlio avesse eletto,

   e se questo gradito a te non fosse,

   tornar doveva alla magI•ne d'Eolo.

   Quindi conviene che qualche atto degno

   d'una donna tu compia: o il ferro impugna,

   o con inganno o con veleno uccidi

   il tuo consorte e il suo figliuolo, prima

   ch'essi uccidano te. Ch‚, se trascuri

   di farlo, al fine la tua vita Š giunta:

   quando un sol tetto due nemici alberga,

   la mala sorte o l'uno o l'altro aspetta.

   Ed io con te vo' sobbarcarmi all'opera,

   e nella casa entrato ove il tuo sposo

   ammannisce il convito, insiem con te

   uccidere il fanciullo, e ai miei signori

   conquistati i trofei, morire, oppure

   vivere, e luce ancor veder. Ch‚ ai servi

   solo una cosa fa vergogna: il nome;

   ma in tutto il resto, infer‹ore ai liberi

   uno schiavo non Š, quando sia probo.

CORO:

   Anch'io, regina, vo', la tua ventura

   partecipando, o morte, o degna vita.

Cre£sa:

   O anima, come tacere?

   Or come svelar le segrete

   mie nozze, e il pudore obliare?

   Quale ostacolo pi£ mi rattiene?

   Gareggiar d'onest…, con chi debbo?

   Il mio sposo non Š traditore?

   Sono priva di casa, di figli,

   Š lontana la speme, che addurre

   a bell'esito invano sperai,

   tacendo le nozze,

   tacendo il mio flebile parto.

   Ma no, per la sede

   di Giove cosparsa di stelle,

   per la Dea che dimora sovresse

   le mie rupi, pei lidi beati

   dell'umido stagno Trit•nide,

   pi£ nasconder non vo' quel mio talamo;

   e, sgombro che n'abbia il mio cuore,

   vivr• pi£ leggŠra.

   I miei cigli di lagrime stillano,

   tutta Š l'anima un cruccio, ch‚ insidie

   mi tesero gli uomini, mi tesero i S£peri;

   e questi io denuncio

   traditori del talamo e ingrati.

   O tu, che sovressa la cetera

   settemplice intoni la voce,

   che l'eco nel corneo silvestre

   esanime guscio

   ridesti degl'inni canori

   delle Muse, a te biasimo infliggo,

   in questo raggiare

   del giorno, o figliuol di Latona.

                                       Strofe

   Tu giungesti, dai crini tuoi d'oro

   scintillando, mentre io nel mio peplo

   falciavo, a fiorirne il mio seno,

   i petali d'oro e di croco.

   Il fior dalle mani mie candide

   ghermisti, e dell'antro nel talamo

   mentre io ®Madre mia!¯

   gridavo, tu Dio,

   bandito il pudor, mi rapisti,

   compiacendo alle brame di Cipride.

                                       Antistrofe

   E un figlio mi nacque, o me misera,

   che io, per timor di mia madre,

   deposi in quell'antro medesimo

   dove in talami tristi me triste

   possedesti, o sciagura di me!

   Me misera! Ed ecco, perduto,

   rapito fu a volo,

   fu pasto d'aligeri

   mio figlio; e tu, intanto, fai gemere

   la tua c‚tera, e intoni i peani.

                                       Epodo

   Ehi l…, di Latona figliuolo,

   dico a te che i responsi partisci

   sopra i seggi dorati, e le sedi

   della terra centrali: alle orecchie

   la mia voce far• che ti suoni.

   Ehi l…, seduttore malvagio,

   che sino alla casa

   del mio sposo, che grazia veruna

   non ha presso te,

   conduci un figliuolo.

   E il mio figlio, il tuo figlio Š perduto,

   degli alati fu preda, e le fasce

   che la madre gli cinse, perde'.

   Te Delo aborrisce, te i rami

   del lauro, vicino alla palma

   dalla morbida chioma, ove Lato

   die' a luce la sacra sua prole

   concetta da Giove.

CORO:

   AhimŠ, di mali qual profluvio s'apre,

   per cui tutti versar dovranno lagrime!

Pedag•go:

   Figlia, mirando il viso tuo, di pianto

   saz‹ar non mi posso, e fuor di me

   sono. Allorch‚ di mali una sentina

   nel seno accolta avevo gi…, da poppa

   m'investe un altro cavallone, udendo

   le tue parole, onde tu ti distogli

   dal mal presente, verso vie novelle

   di cordogli. Che dici? E quale mai

   Š quest'accusa che all'Ambiguo volgi?

   Qual figlio, dici, hai partorito? Ov'ebbe

   tomba alle fiere grata? A me ripetilo.

Cre£sa:

   Onta n'ho, padre; eppure parler•.

Pedag•go:

   So cogli amici onestamente piangere.

Cre£sa:

   E dimmi allor: sai le Cecr•pie rupi?

Pedag•go:

   S¡, presso all'antro ed all'altar di Pane.

Cre£sa:

   Quivi affrontai terribile un cimento.

Pedag•go:

   Quale? T'ascolto, e il pianto al ciglio irrompe.

Cre£sa:

   Fui sposa a Febo, a mal mio grado, o misera!

Pedag•go:

   O figlia! Ô quello ond'ebbi pur sospetto...

Cre£sa:

   Non so, parlami chiaro, ed io rispondo.

Pedag•go:

   Quando gemevi, ascosa, arcano morbo.

Cre£sa:

   Fu allor: chiaro quel morbo ora ti dico.

Pedag•go:

   Quelle nozze celar come potesti?

Cre£sa:

   Partorii... paz‹ente, o padre, ascoltami.

Pedag•go:

   Dove? Chi t'assiste'? Sola soffristi?

Cre£sa:

   Sola, nell'antro appunto ove fui sposa.

Pedag•go:

   Hai dunque un figlio, orba non sei? Dov'Š?

Cre£sa:

   Padre, alle fiere esposto fu: non vive.

Pedag•go:

   Ô morto? E Apollo nulla fece? O tristo!

Cre£sa:

   Nulla: allevato nell'Averno fu.

Pedag•go:

   E chi l'espose mai? Tu no, di certo!

Cre£sa:

   Io s¡: col peplo l'infasciai, nel buio.

Pedag•go:

   E nell'esporlo, niuno fu tuo complice?

Cre£sa:

   Del segreto la brama, e la sventura.

Pedag•go:

   Lasciar nell'antro il bimbo avesti cuore?

Cre£sa:

   In quanti non proruppi acerbi lai!

Pedag•go:

   AhimŠ!

Spietata fosti, e il Nume pi£ di te.

Cre£sa:

   L'avessi visto! Mi tendea le mani...

Pedag•go:

   Cercava il seno? o per venirti in braccio?

Cre£sa:

   Appunto, e non lo accolsi, io, lo respinsi.

Pedag•go:

   E qual pensiero t'indusse ad esporlo?

Cre£sa:

   Che la sua prole il Dio salvato avrebbe.

Pedag•go:

   Come il ben di tre case abbatte un turbine!

Cre£sa:

   Perch‚ nascondi il capo e versi lagrime?

Pedag•go:

   Perch‚ tuo padre e te vedo s¡ miseri.

Cre£sa:

   Ô la sorte mortal: tutto tramuta.

Pedag•go:

   Ma non s'indugi pi£, figlia, nei gemiti.

Cre£sa:

   Che devo far? Che mezzi ha la sventura?

Pedag•go:

   Punisci il Nume che primo t'offese.

Cre£sa:

   Potr•, mortale, vincere i pi£ forti?

Pedag•go:

   Brucia d'Apollo il venerando oracolo.

Cre£sa:

   Temo. Su me gi… troppi mali pesano.

Pedag•go:

   Osa allor ci• che puoi: lo sposo uccidi.

Cre£sa:

   Un tempo egli m'am•: quindi mi pŠrito.

Pedag•go:

   Il figlio uccidi almeno or ora apparso.

Cre£sa:

   Come? Ben lo vorrei. Fosse possibile!

Pedag•go:

   Arma di spada ai tuoi ministri il pugno.

Cre£sa:

   Vado. Ma dove s'ha da compier l'opera?

Pedag•go:

   Entro le sacre tende, ove banchettano.

Cre£sa:

   Troppo aperto lo scempio, e i servi imbelli.

Pedag•go:

   Ahi, ti scoraggi! Un mezzo allor tu cerca.

Cre£sa:

   Posseggo un mezzo, di frode e di forza.

Pedag•go:

   In questa e in quella io son pronto a servirti.

Cre£sa:

   Odi. Sai tu la pugna dei Giganti?

Pedag•go:

   S¡ che in Flegra i Giganti agli Dei mossero.

Cre£sa:

   Qui Gea partor¡ G•rgo, orrido mostro.

Pedag•go:

   Alleato ai tuoi figli, ai Numi cruccio.

Cre£sa:

   Appunto. E poi l'uccise la Dea P…llade.

Pedag•go:

   Istoria Š questa che da tempo io so.

Cre£sa:

   La sua pelle sul seno AtŠna reca.

Pedag•go:

   Ch'Šgida ha nome, ed Š veste di P…llade?

Cre£sa:

   Quando pugn• pei Numi ebbe tal nome.

Pedag•go:

   Qual selvaggia figura avea d'insegna?

Cre£sa:

   Irto uno scudo di spire di serpe.

Pedag•go:

   E qual pu• recar danno ai tuoi nemici?

Cre£sa:

   Sai d'Eritt•nio - e come non sapresti...

Pedag•go:

   Che dal suol nacque, primo avolo vostro?

Cre£sa:

   Diede a costui, com'egli nacque, P…llade...

Pedag•go:

   Che cosa? Troppo il tuo discorso indugia.

Cre£sa:

   Due gocciole del sangue della G•rgone.

Pedag•go:

   E qual potere sopra l'uomo aveano?

Cre£sa:

   L'una mortale, e l'altra salutifero.

Pedag•go:

   Come le appese al corpo del fanciullo?

Cre£sa:

   Con lacci aurei: le diede esso a mio padre.

Pedag•go:

   E tu, quand'ei mor¡, l'ereditasti?

Cre£sa:

   Giusto. E le porto strette al polso, qui.

Pedag•go:

   Qual tempra hanno le due stille divine?

Cre£sa:

   Quella sprizzata dalla vena cava...

Pedag•go:

   Qual Š la sua virt£? Per che s'adopera?

Cre£sa:

   I morbi fuga, e la vita corrobora.

Pedag•go:

   E che potere ha la seconda stilla?

Cre£sa:

   Uccide: Š tosco dei serpi di G•rgone.

Pedag•go:

   E congiunte le rechi, oppur divise?

Cre£sa:

   Divise: al mal non va commisto il bene.

Pedag•go:

   Quanto occorre tutto hai, figlia carissima!

Cre£sa:

   Ne morr… I•ne; e tu l'ucciderai.

Pedag•go:

   Tu parla, a me l'osar. Che far•? Dove?

Cre£sa:

   Quand'egli in casa mia giunga ad Atene.

Pedag•go:

   Come non m'approvasti, or non t'approvo.

Cre£sa:

   Come? In te nacque il mio stesso sospetto?

Pedag•go:

   Tu la rea sembreresti, anche non fossi.

Cre£sa:

   Gi…: la matrigna odia i figliastri, dicono.

Pedag•go:

   Qui, dove puoi negar la strage, uccidilo.

Cre£sa:

   Gi… di questo piacere io l'ora anticipo.

Pedag•go:

   E a Xuto celerai ci• ch'ei ti cela.

Cre£sa:

   Sai tu che devi far? Dalla mia mano

   questo gioiello d'oro, opera antica

   d'AtŠna prendi, e va dove lo sposo

   celebra sacrifici, e a me si cela;

   e quando poi, giunta la cena al termine,

   libag‹oni ai Numi a offrir s'apprestino,

   dal peplo, ove l'avrai nascosto, prendilo,

   e nel bicchiere al giovinetto versalo -

   non a tutti, a lui sol, sappi distinguere -

   ch'esser padrone in casa mia dovrebbe:

   ch‚ mai, se pur gli scender… nell'ugola,

   verr… in Atene, e qui rester… morto.

Pedag•go:

   Nella casa ospitale or tu ritorna,

   ed io quanto ordinasti compier•.

   (Cre£sa si allontana)

   Vecchio mio piede, all'opra or torna giovine,

   anche se gli anni pi£ non tel consentono.

   Con la signora sul nemico piomba,

   uccidilo con lei, di casa scaccialo.

   Coltivar p‹et…, bene Š, se ridono

   prosperi eventi; ma convien, se nuocere

   devi al nemico, frangere ogni legge.

(Si allontana)

CORO:                                  Strofe prima

   Enod¡a, che nascesti da DŠmetra,

   che ai notturni viaggi ognor vigile

   e ai d‹urni presiedi, sul tramite

   spingi, dove lo spinse la nobile

   mia signora, il mortifero calice

   ove il sangue ella infuse, di G•rgone

   dalle fauci stillato, a sterminio

   di colui che s'intruse d'ErŠtteo

   nelle case. Oh, niun, sia che mai guidi

   questa nostra citt…, s'egli estraneo,

   se non Š dei beati Erett¡di.

                                       Antistrofe prima

   Se la mŠta e i disegni falliscono

   della nostra Signora, ed all'impeto

   manchi l'ora opportuna, quando ¡rrita

   sia la speme, un pugnale, o alle fauci

   stretto un laccio, troncando lo spasimo

   con lo spasimo, a foggia dissimile

   la vedremo di vita discendere.

   Ma patir, sin che vive, le fulgide

   sue pupille non posson che genti

   stran‹ere i suoi tetti governino:

   ch'essa nacque da illustri parenti.

                                       Strofe seconda

   Pudor mi vince del Nume celebre

   negl'inni, ov'egli presso alle fonti stia di Call¡coro,

   nella vigesima sacra, le fulgide

   faci mirando, passando vigile

   tutta la notte, quando anche l'Štere

   di Giove danza, fitto di sideri,

   danza SelŠne, danzan le vergini

   figlie di NŠreo,

   che sopra il pelago, che sopra i vortici

   dei fiumi sempre correnti danzano

   per la fanciulla cinta dall'aureo

   serto, e la madre sua venerabile.

   Di questa terra spera il dominio,

   spera nei beni degli altri irrompere

   questo ramingo servo d'Ap•lline.

                                       Antistrofe seconda

   Vedete, quanti, con le P‹Šridi

   accompagnandovi, cantar solete versi d'obbrobrio

   contro gli amori nostri, e la C¡pride

   degli empŒ talami nostri illegittimi,

   quanto la nostra progenie supera

   per piet… l'empia gen¡a degli uomini.

   Un canto adesso suoni contrario,

   che i loro talami

   biasimi. Quanto d'ingratitudine

   pecc• dei figli di Giove il figlio!

   Poi che Fortuna nella sua reggia

   a lui comuni neg• di pargoli

   con la sua sposa piantar propaggini,

   a un'altra C¡pride prest• l'omaggio,

   e d'un bastardo n'ebbe la grazia.

(Entra, correndo esterrefatto, un servo di Cre£sa)

SERVO:

   Dove trovar potr•, donne, la celebre

   d'ErettŠo figlia, la Signora? Io tutta

   la citt… corsi, e pi£ non la rinvenni.

CORO:

   Compagno mio, che c'Š? Quale ti spinge

   zelo di piedi, e che novelle rechi?

SERVO:

   Ci d…n la caccia! Della terra i principi,

   perch‚ di pietre spenta sia, la cercano.

CORO:

   Ah, che vuoi dir? L'occulta insidia nostra

   contro il fanciullo fu dunque scoperta?

SERVO:

   Giusto. E a soffrirne tu non sarai l'ultima.

CORO:

   Come scoperta fu l'ascosa trama?

SERVO:

   Macchia il Nume non volle; e trov• modo

   che pi£ d'iniquit… valesse il giusto.

CORO:

   Come? Parla, ti prego! Allor ch'io sappia,

   men grave mi parr…, se pur morire

   debbo, la morte, e pi£ cara la luce.

SERVO:

   Poi che lo sposo di Cre£sa, il tempio

   abbandon• del Nume, e col novello

   suo figlio mosse ai sacrifici offerti

   ai Celesti e al convito, ei stesso and•

   dove danza del Nume il fuoco bacchico,

   perch‚ bagnasse il sangue delle vittime,

   mercŠ del figlio ritrovato, il duplice

   sasso di Bacco. - ®E tu, figlio, rimani

   - disse - e la tenda d'ogni parte chiusa

   fa' che sorga, per opra degli artefici.

   E se troppo io, sacrificando ai Numi

   genetliaci indugio, a banchettare

   comincino gli amici¯. Ed i vitelli

   prese, e part¡. Solennemente il giovine

   eresse, senza adoperar mattone,

   del padiglI•ne le pareti, sopra

   pali diritti, calcolando il campo

   del sole a punto, che, n‚ verso i raggi

   di mezzogiorno fosse esposto, n‚

   a quelli di ponente: e la misura

   prese d'un plettro, a forma di rettangolo,

   cos¡ che l'area, per usare il termine

   degli architetti, era di cento piedi;

   ch‚ tutto a mensa ei convitar voleva

   il popolo di Delfo. E poscia, tratti

   dall'arche i sacri paramenti, oggetto

   di meraviglia a tutti, ombr• la tenda.

   Sul tetto pria l'ala di pepli stese,

   doni votivi del figliuol di Giove,

   spoglie ch'Ercole offr¡, tolte alle Amazzoni,

   al Nume Febo. Ed intessute v'erano

   queste figure. Un ciel che nella spŠra

   dell'Štra tutti radunava gli astri.

   Elio volgeva alla postrema fiamma

   i suoi cavalli, e si traeva dietro

   la bianca luce d'Espero. La notte

   dal negro peplo il suo carro spingeva,

   senza redini al giogo; eran compagni

   gli Astri alla Dea. Correvano le PlŠiadi

   a mezzo l'Štra, ed Or‹on, che il ferro

   stringeva; e sopra, all'aureo polo intorno,

   l'Orsa volgea la coda; e dardeggiava

   dall'alto il disco della calma Luna

   che i mesi parte, e, segno securissimo

   ai nocchieri, le Öadi, e la foriera

   di luce Aurora, che discaccia gli astri.

   Sulle pareti altri distese poi

   barbari drappi: le veloci v'erano

   navi nemiche degli EllŠni, e miste

   forme umane ed equine, e di cavalli

   cacce, e catture di lion' selvaggi

   e di rapidi cervi, e su le soglie

   del tempio, innanzi alle sue figlie, CŠcrope

   che si snodava nelle anguinee spire,

   voto di qualche Aten‹ese. E in mezzo

   del convivio pos• gli aur‰i vasi.

   Sovra il sommo dei pie' l'araldo allora

   surse, e fe' bando che al convito acceda

   chi vuol dei cittadini. E come fu

   piena la tenda, cinti al crine i serti,

   le brame saz‹ƒr di lauto cibo.

   E smesso che il piacer n'ebbero, un vecchio

   si fece in mezzo, e coi suoi buoni uffici

   provoc• grande ilarit…: ch‚ l'acqua

   attingea dalle brocche, e la porgeva

   pei lavamani, e della mirra il succo

   bruciava, e presiedea, ch'ei s‚ medesimo

   a tale ufficio elesse, agli aurei calici.

   E quando l'ora fu della comune

   libag‹one, e dei concenti, il vecchio

   disse: ®Conviene rimandar le piccole

   coppe, e recar le grandi; e pi£ sollecita

   cos¡ la gioia inonder… gli spiriti¯.

   Tutto un affaccendarsi allor fu visto,

   tazze a recar d'argento e d'oro. E quegli,

   una eletta ne prese, e quasi al nuovo

   principe onore far volesse, piena

   a lui la porse; ma nel vino il farmaco

   gittato avea mortifero, che, dicono,

   la signora gli avea dato, perch‚

   morir dovesse il giovinetto. E tutti

   n'erano ignari. Or, quando gi… libava

   insiem con gli altri, il figlio or or trovato,

   uno dei servi un detto proffer¡

   di malo augurio. E quei, ch'entro in un tempio,

   fra sacerdoti esperti era cresciuto,

   ne trasse auspicio, ed ordin• ch'empiessero

   un altro vaso; e rovesci• la prima

   libag‹one a terra, e a tutti impose

   di rovesciar la propria. E fu silenzio.

   I sacri vasi empiemmo allor col rorido

   vino di Biblo; e in questa, ecco, uno stormo

   di colombe piomb• sovra la casa:

   ch'esse nel tempio dell'Ambiguo, vivono

   senza timore; e, del liquore cupide,

   nel vin versato a terra i becchi immersero,

   lo delibƒr nelle pennute fauci.

   E fu per l'altre la bevanda innocua

   del Dio; ma quella che posata s'era

   dove libato aveva I•ne, come

   il licore gust•, s£bito scosse,

   fur‹osa agit• le penne belle,

   ed una voce emise incomprensibile,

   con alto lagno: e sbigott¡ la turba

   tutta dei convitati, a quello spasimo.

   Dando guizzi mor¡, le venner meno

   i purpurei piedi. E allora, il figlio

   designato da Febo, ambe le braccia

   dal peplo ignude stese su la tavola,

   e diede un grido: ®E qual dunque degli uomini

   uccidere mi volle? O vecchio, dillo,

   ch‚ l'insidia tua fu, ch‚ dalle mani

   tue ricevei la coppa¯. E per il vecchio

   braccio l'afferra s£bito, e lo fruga,

   se pu• sul fatto coglierlo, che indosso

   rechi il veleno. E fu scoperto. E a stento,

   costretto a forza, rivel• l'ardire

   di Cre£sa e la trama. Ed il fanciullo

   designato da Febo, i convitati

   tutti raccolse, e corse fuori, e, giunto

   di Delfo innanzi agli ottimati, disse:

   ®O veneranda terra, a me la figlia

   d'ErettŠo, stran‹era, con un t•ssico

   tram• la morte¯. E i principi di Delfo,

   non gi… con un sol voto, stabilirono

   che la Signora mia morir dovesse

   sotto le pietre, perch‚ volle uccidere

   un ministro del Dio, tese l'insidia

   nel tempio stesso. E tutta la citt…

   lei va cercando, che con passo infausto

   infausta via batte'. Ch'ella da Febo

   venne per ottener pargoli; e priva

   rest• dei figli e della propria vita.

(Parte)

CORO:

   Non Š possibile, non Š possibile

   allontanare la morte, o misera;

   quando gi… chiara, chiara Š l'insidia

   della bevanda mista dei grappoli

   di Bacco, e delle stille del rapido

   serpe, ad ufficio di morte. Vittime

   apparecchiate gi… vedo agl'Inferi.

   O della vita mia sorte misera

   della Signora morte lap¡dea!

   Oh quali tramiti di fuga aligera

   potr• tentare, quali nei b…ratri

   bui della terra, per fuggir l'orrida

   lap¡dea morte, su quale ascendere

   potr• sveltissimo di cocchio zoccolo,

   di nave poppa? Non Š possibile

   ch'io sfugga, quando non vuol benevolo

   l'Iddio rispondermi.

   Quale altra, o misera Signora, ambascia

   resta al tuo spirito? Perch‚ far male

   volemmo agli altri, patire doglie

   noi pur dovremmo, com'Š giustizia?

(Giunge in corsa affannosa Cre£sa)

Cre£sa:

   Inseguita, o mie ministre, sono all'ultimo supplizio:

   fui tradita; e a morte m'ha condannato il voto pizio.

CORO:

   Ben sappiamo in che sciagure ti ritrovi, in che cimento.

Cre£sa:

   Dove fuggo? Ho districato dalle reti il piede a stento,

   dalla morte son fuggita di nascosto; e giungo qua.

CORO:

   Dove mai, se non sull'ara?

Cre£sa:

   A che mai mi giover…?

CORO:

   Non si pu• dar morte a un supplice!

Cre£sa:

   Se lo vuol la legge stessa!

CORO:

   Ti dovranno innanzi prendere.

Cre£sa:

   E uno stuol, vedi, s'appressa

   di ministri armati e fieri.

CORO:

   Dunque siedi sull'altare:

   il tuo sangue, s'ivi sopra t'uccidessero, esp‹are

   poi dovr… chi ti die' morte. Tu rass‚gnati alla Sorte.

(Cre£sa si rifugia presso l'altare. Poco dopo giunge furibondo I•ne,

la spada in puguo, seguito da uno stuolo d'armati. Da principio

parla senza aver vista Cre£sa)

I•ne:

   Padre Cef¡so, tauriforme Nume,

   quale vipera mai, qual dragonessa

   Š questa figlia tua, fiamme sprizzante

   dalle pupille di sanguigno foco?

   Ogni audacia Š la sua, meno terribile

   essa non Š delle Gorgonie stille

   onde la morte m'apprest•. Ma fausto

   un DŠmone trovai, prima di giungere

   ad Atene, a morir sotto le mani

   della matrigna: oh, qui, fra genti pronte

   al mio soccorso, misurar potei

   l'animo tuo, quale sciagura infesta

   tu sei per me: ch‚ nelle reti stretto,

   all'Ade tu gi… mi spedivi.

   (Vede Cre£sa)

   Ah trista!

   Vedete, inganno sopra inganno trama.

   All'altare del Dio s'Š stretta, e il fio

   pagar non vuol dei suoi misfatti; ma

   non ti potr… l'ara salvare, n‚

   di Febo il tempio. La piet… che invochi

   per te, meglio a me spetta, alla mia madre:

   ch‚, se lontano Š il corpo suo, nel cuore

   impresso ho sempre il nome suo. Prendetela,

   sicch‚ strappare dalla intatta chioma

   possano i ricci le Parnasie rocce

   quando gi£ da una rupe ella precipiti.

Cre£sa:

   D'uccidermi io ti vieto, e per me stessa,

   e pel Nume di cui stiamo sull'ara.

I•ne:

   Tra Febo e te, che mai c'Š di comune?

Cre£sa:

   La mia sacra custodia al Nume affido.

I•ne:

   E il suo fanciullo attossicar volevi?

Cre£sa:

   Non dell'Ambiguo pi£: di tuo padre eri.

I•ne:

   Sono del Dio, se padre Š chi protegge.

Cre£sa:

   Ti proteggeva: ora protegge me.

I•ne:

   No, che pia tu non sei, quale io fui sempre.

Cre£sa:

   Volli un nemico del mio sangue uccidere.

I•ne:

   Non venni armato alla tua terra, no.

Cre£sa:

   Certo! E bruciasti d'ErettŠo la casa.

I•ne:

   Con che vampe di fuoco? Con che fiaccole?

Cre£sa:

   La mia casa occupata a forza avresti.

I•ne:

   Pel timor del futuro ardivi uccidermi?

Cre£sa:

   Per non morir, se tu giungevi all'esito.

I•ne:

   Figli non hai: perci• m'invidŒ al padre.

Cre£sa:

   Delle sterili spose i beni agogni?

I•ne:

   Terre mi die', ch'ei conquist•, mio padre.

Cre£sa:

   Qual su AtŠne diritto hanno gli E•lidi?

I•ne:

   Con l'armi, e non a ciance ei la fe' libera.

Cre£sa:

   Non pu• posseder terre, un mercenario.

I•ne:

   Mia dei beni paterni era una parte.

Cre£sa:

   S¡, la lancia e lo scudo; e nulla pi£.

I•ne:

   L'ara abbandona, e le divine sedi.

Cre£sa:

   La tua madre consiglia, ov'ella trovisi.

I•ne:

   Morte vuoi darmi, e non avrai castigo?

Cre£sa:

   S¡, se m'uccidi in questo luogo sacro.

I•ne:

   Nel recinto del Dio morir t'Š gaudio?

Cre£sa:

   Dar• cordoglio a chi mi d… cordoglio.

I•ne:

   AhimŠ!

   Strano Š per• quanto son poco giuste

   le leggi che un Iddio pose ai mortali,

   poco assennate: tollerare i tristi

   non dovrebber gli altari, anzi scacciarli.

   Giusto non Š che s'avvicini ai Numi

   un'empia mano. I giusti, allor che soffrono

   qualche sopruso, seder vi dovrebbero,

   non gi…, godendo uguale privilegio,

   i buoni e quei che i Numi abbandonarono.

(Dal tempio esce la sacerdotessa Pizia, recando un cestello

avvolto in bende di lana)

PIZIA:

   O figlio, sta: del tuo padre fatidico

   io, di Febo ministra, a queste soglie

   venni: ch‚ i riti dell'antico tripode

   le Delfe donne a custodir m'elessero.

I•ne:

   Salve a te, madre che non m'hai concetto.

PIZIA:

   Pure, cos¡ mi chiami; e a me non duole.

I•ne:

   Sai che costei la morte a me tram•?

PIZIA:

   Lo so; ma troppo tu sei crudo, e sbagli.

I•ne:

   Chi morto mi volea non debbo uccidere?

PIZIA:

   Son le spose ai figliastri ognor nemiche.

I•ne:

   Ed io, se il mal mi fanno, alle matrigne.

PIZIA:

   Basta. E, lasciato per AtŠne il tempio...

I•ne:

   Che cosa debbo far? Che mi consigli?

PIZIA:

   Puro, con fausti ausp¡ci in patria torna.

I•ne:

   Puro Š ciascun che i suoi nemici uccide.

PIZIA:

   Non per• tu. Ci• che ti dico ascolta.

I•ne:

   Parla. Amicizia ogni tuo detto ispira.

PIZIA:

   Questo panier fra le mie braccia vedi?

I•ne:

   Veggo, in bende ravvolto, un vecchio cofano.

PIZIA:

   Qui, nato appena, io ti raccolsi un giorno.

I•ne:

   Che dici? Nuovo Š ci• che tu mi narri.

PIZIA:

   Perch‚ finor lo tacqui; ora lo svelo.

I•ne:

   E per s¡ lungo tempo a che nasconderlo?

PIZIA:

   Ministro al tempio ti voleva il Nume.

I•ne:

   Or non mi vuole pi£? Come saperlo?

PIZIA:

   Per congedarti, il padre ei ti svel•.

I•ne:

   Perch‚ mai lo serbasti? Avesti un ordine...

PIZIA:

   Il Nume ambiguo m'ispir• l'idea.

I•ne:

   Di far che cosa? Parla dunque, affr‚ttati!

PIZIA:

   Di serbare il cestello insino ad oggi.

I•ne:

   Ed io, vantaggio oppur danno ne avr•?

PIZIA:

   Vi son le fasce ascose in cui t'avvolsero.

I•ne:

   Della madre a me dunque indizi rechi.

PIZIA:

   Or che lo volle il Dio: prima non volle.

I•ne:

   Beato d¡, che tanto io veder posso!

PIZIA:

   Prendilo: e a ricercar tua madre ing‚gnati.

I•ne:

   Asia tutta cercando, Europa tutta...

PIZIA:

   Questo da te giudicherai. Nutrito

   io t'ho fanciullo, per voler del Nume,

   e il cestello ti d•, ch'io di buon grado,

   com'egli impose, presi, e lo serbai:

   perch‚ volle, non so. Ma niun sapeva

   ch'io lo serbassi, e dove ascoso fosse.

   Addio! Come una madre io ti saluto.

   E comincia a cercar donde conviene

   la madre tua: prima, se fu di Delfo,

   qualche fanciulla che ti gener•,

   e poi t'espose in questo tempio: quindi

   se fu d'Ellade. Ed ora, tutto avesti

   da me, da Febo, ai casi tuoi partecipe.

(Consegna il cestello a I•ne)

I•ne:

   Ahi ahi, dagli occhi quante umide lagrime

   verso, quando il pensier volgo a quel punto

   in cui la madre mia, sposa di furto,

   m'abbandon• nascostamente, e il seno

   non m'offerse. E del Dio nel santuario,

   privo di nome, al par di schiavo io crebbi,

   ch‚ amico il Dio mi fu, nemico il DŠmone.

   Perch‚, quando io fra le materne braccia

   goder dovevo, e vivere felice,

   privato fui del latte della madre

   mia prediletta; e, sciagurata anch'essa

   che mi die' vita, il dolor mio medesimo

   pat¡, che priva del diletto fu

   del suo bambino. Ed ora, questo cofano

   prendo, e lo reco quale offerta al Nume,

   ch'io non vi trovi ci• che non desidero.

   Ch‚ se la madre mia si trova ad essere

   qualche fantesca, ritrovar la madre

   Š peggio che lasciar tutto in silenzio.

   (Si avvia per entrare nel tempio; ma quasi

   s£bito si arresta)

   Ma no, che faccio? Al buon voler del Nume

   cos¡ contrasto, che serbar mi volle

   i contrassegni della madre? Io debbo

   farmi cuore, ed aprirli: e gi…, non posso

   sfuggire al fato. O sacre bende, o lacci

   ch'ogni mio ben custodivate, a che

   vi celarono a me? L'arte vedete

   del rotondo cestello, e come illeso

   fu da vecchiezza, per voler divino,

   n‚ sugl'intrecci vedi muffa. E tempo

   che il mio tesoro custodisce Š molto.

(Apre il cestello, e comincia a trarne il contenuto)

Cre£sa:

   Oh, qual vista inattesa a me si scopre!

I•ne:

   Taci: di troppo anche gi… pria mi fosti.

Cre£sa:

   Non consente il tacer ci• che m'avviene!

   Non consigliarmi: ch‚ il cestello io scorgo,

   dove io te, figlio mio, deposi, pargolo

   senza parola, ne le Rupi lunghe

   e nell'antro di Pane. E questo altare,

   anche morir dovessi, or lascer•.

(Abbandona l'ara, e si precipita verso I•ne,

per esaminare il cestello)

I•ne:

   Afferrate costei: balz•, dal Nume

   resa delira, dall'altar, l'effigie

   sacre lasci•. Le braccia sue legate.

Cre£sa:

   Tener non mi potrete, anche uccidendomi,

   che a questo cesto io non m'afferri, e a quello

   che c'Š dentro nascosto, e, figlio, a te.

(Si afferra al figlio, e lo tiene stretto: sicch‚

le guardie non possono afferrarla n‚ colpirla)

I•ne:

   Ora io debbo suo schermo essere: Š strano.

Cre£sa:

   No, ch‚ diletto ai tuoi diletti appari.

I•ne:

   Ti son diletto? E mi volevi uccidere?

Cre£sa:

   Se pur diletto ai genitori Š un figlio!

I•ne:

   Lascia le trame: io ben sapr• scoprirti.

Cre£sa:

   Deh, fosse! Ô questo ci• ch'io bramo, o figlio!

I•ne:

   Vuoto Š il cestello, o qualche cosa v'Š?

Cre£sa:

   Le tue vesti ci sono, in cui t'esposi.

I•ne:

   Puoi dire quali, pria che tu le vegga?

Cre£sa:

   E se dir non lo so, voglio la morte.

I•ne:

   Parla: ch‚ strano Š questo ardire tuo.

Cre£sa:

   Vedi un ricamo ch'io fanciulla feci.

I•ne:

   Com'Š? Ricami assai fanno le vergini.

Cre£sa:

   Non perfetto: qual pu• chi all'arte Š novo.

I•ne:

   Quale figura c'Š? Qui non m'inganni.

Cre£sa:

   Proprio in mezzo all'ordito c'Š la G•rgone.

I•ne:

   O Giove! Qual destino ora m'incalza?

Cre£sa:

   Orlato Š di serpenti, a guisa d'Šgida.

I•ne:

   Ecco il peplo ch'io trovo, ecco le fasce.

Cre£sa:

   Dei miei telari o antica opra virginea!

I•ne:

   C'Š altro? Oppure questo sol sai dirmi?

Cre£sa:

   Due draghi: e tutte d'or brillan le fauci.

I•ne:

   Dono d'AtŠna, da fregiarne i pargoli?

Cre£sa:

   Certo, ad esempio d'Eritt•nio antico.

I•ne:

   E l'aureo fregio, a che, dimmi, a quale uso?

Cre£sa:

   Per portarlo, o mio figlio, al collo il pargolo.

I•ne:

   Ecco i dragoni. Un terzo segno or dimmi.

Cre£sa:

   Ti cinsi attorno un serto dell'ulivo

   che dalla rupe germogli• d'AtŠne:

   se ancora c'Š, non ha perduto il verde,

   ch‚ divina Š la pianta ond'esso crebbe.

I•ne:

   Madre sopra ogni cosa a me diletta,

   t'ho pur veduta! E lieto sono adesso,

   e tu lieta! Alle tue guance mi stringo.

Cre£sa:

   O figlio, o luce per tua madre fulgida

   pi£ del Sole - perdono il Dio m'accordi -

   fra le braccia ti stringo, allor che pi£

   non speravo trovarti, e con PersŠfone

   gi… ti credevo, fra la morta gente.

I•ne:

   Fra le tue braccia, o madre a me diletta,

   ecco, gi… morto, e non pi£ morto appaio.

Cre£sa:

   O gioia! O lucidi grembi dell'Štere,

   qual voce emettere

   dovr•, qual grido? Donde inatteso

   ci giunse il bene?

   Questa allegrezza, donde proviene?

I•ne:

   Tutto in mente potea, madre, venirmi,

   e non gi… questo, che tuo figlio io fossi.

Cre£sa:

   Tremo ancor di spavento.

I•ne:

   Forse di non avermi, or che tu m'hai?

Cre£sa:

   Gi… da gran tempo ne avea la speme

   deposta. Il pargolo

   fra le tue braccia

   onde, onde avesti, donna? Qual uomo

   l'addusse al tempio del Dio lontano?

I•ne:

   Opra divina fu! Deh, quanto miseri

   prima, tanto or felici esser potessimo!

Cre£sa:

   T'ho dato a luce non senza lagrime:

   dalle materne braccia, fra gli ululi

   fosti diviso:

   ora, godendo, con soavissimo

   tripudio, spiro presso il tuo viso.

I•ne:

   Di te parlando, anche di me favelli.

Cre£sa:

   Priva di figli priva di pargoli

   io pi£ non sono: la casa ha gli ospiti,

   la terra i pr¡ncipi;

   d'ErettŠo giovine

   torna la casa, del suolo prole:

   verso le tŠnebre

   non Š pi£ volta, ma verso il sole.

I•ne:

   Madre, anche il padre qui venga, e partecipi

   questi piacer che ho procurato a voi.

Cre£sa:

   Che dici? Oh, qual per me rampogna, o quale!

I•ne:

   Che dici?

Cre£sa:

   D'altri tu sei figlio, d'altri!

I•ne:

   AhimŠ! Fanciulla me bastardo avesti?

Cre£sa:

   Non tra le danze non tra le fiaccole

   furono, o figlio

   gl'imenŠi, donde schiudesti il ciglio.

I•ne:

   O madre, ahimŠ! Da chi nacqui illegittimo?

Cre£sa:

   Lo sa la Diva che uccise G•rgone.

I•ne:

   Che cosa hai detto?

Cre£sa:

   Che nelle patrie mie rupi, il clivo

   occupa dove crebbe l'ulivo.

I•ne:

   Non chiaro: oscuro Š ci• che dici, oscuro.

Cre£sa:

   A Febo, presso la rupe armonica

   di rosignoli...

I•ne:

   Febo a che nomini?

Cre£sa:

   A Febo un vincolo m'un¡ furtivo.

I•ne:

   Parla: un onore tu m'annunci, un giubilo.

Cre£sa:

   Ed all'Ambiguo ne diedi, al mese

   decimo il frutto, ma non palese.

I•ne:

   Dolcissime parole, ove sian vere!

Cre£sa:

   Con queste bende ch'io sopra i pettini

   tessei virginei, t'avvolsi, o figlio.

   Ma non io ti lavai, non t'ebbi meco

   n‚ mai suggesti il mio latte materno.

   Ma degli aligeri nel vuoto speco

   t'offersi ai rostri, vittima ed epula

   da me gittato fosti all'Averno.

I•ne:

   Fu, madre, ardir crudele!

Cre£sa:

   Nello spavento, figlio, irretita,

   io feci getto della tua vita.

   Contro mia voglia ti diedi a morte.

I•ne:

   E or or da me pativi un'empia sorte.

Cre£sa:

   AhimŠ, terribili f–r quegli eventi,

   questi terribili! Siamo dall'una

   parte travolti nella disgrazia,

   poscia dall'altra nella fortuna.

   Mutano i venti,

   ma calmi or posano: gi… lunga pezza

   durƒr gli affanni:

   prospera, o figlio, soffia or la brezza.

CORO:

   Dopo quanto segu¡, nessuno reputi

   che per gli uomini sian cose impossibili.

I•ne:

   Fortuna, o tu che mille e mille agli uomini

   e di bene e di mal vicende alterni,

   di quale scempio fui su l'orlo, uccidere

   mia madre, e, senza colpa, il fio patirne!

   AhimŠ!

   Tanto del Sol sotto i lucenti giri

   in un sol giorno apprendere si pu•?

   O madre, io te scoprii, dolce scoperta,

   n‚ la mia stirpe Š tal ch'io mai la biasimi. -

   Ma dire il resto a te, da solo a solo

   desidero: vien qui: voglio parlarti

   all'orecchio, e nasconder nelle tŠnebre

   questa faccenda. Vedi un po', se, madre

   mia, non fossi incappata nella solita

   colpa delle ragazze, che si sposano

   di sotterfugio, e non avessi poi

   data la colpa al Nume, per nascondere

   la mia vergogna, e detto ch'io di Febo

   son figlio, e partorito a lui non m'hai.

Cre£sa:

   No, per la Dea che sopra il carro armata

   presso a Giove pugn• contro i Giganti,

   per Nice AtŠna, padre alcun degli uomini

   non t'Š, ma Febo che ti crebbe, o figlio.

I•ne:

   E come mai suo figlio a un altro padre

   diede, e dice ch'io son figlio di Xuto?

Cre£sa:

   Figlio non gi…; ma il proprio figlio a Xuto

   diede: all'amico pu• ben dar l'amico,

   ch‚ in casa poi signor gli cresca, il figlio.

I•ne:

   Fu veritiero il Nume, oppure il falso

   vaticin•? Mi turba il dubbio, o madre.

Cre£sa:

   Odi l'idea che m'Š venuta, o figlio.

   Per il tuo bene t'introdusse Apollo

   in una nobil casa. Ove tu invece

   figlio del Nume fossi detto, erede

   esser potuto non avresti, senza

   nome di padre. E come, ov'io le nozze

   tenni nascoste, anzi cercai d'ucciderti?

   A un altro padre pel tuo ben ti diede.

I•ne:

   Non prender• la cosa alla leggera;

   ma nel tempio entrer•, consulter•

   Febo, se figlio son suo, se d'un uomo.

   (Sul fastigio del tempio appare AtŠna)

   Oh! Qual dei Numi all'odoroso tempio

   il suo volto di sole in vetta mostra?

   Fuggiamo, o madre mia, ch‚ non dovessimo

   veder dei Numi i proibiti arcani.

AtŠna:

   Non fuggite: ch‚ a voi non son nemica,

   ma vostra amica; ed in Atene, e qui

   quella io sono onde nome ha la tua terra:

   P…llade AtŠna. E qui son corsa in fretta,

   per mandato d'Apollo: esso in persona

   non cred‚ bene giungere al cospetto

   vostro, ch‚ in ballo non tornasse il biasimo

   di ci• ch'Š stato; ed invia me, ch'esponga

   ci• che vuol dire: che costei concetto

   t'ebbe da Febo; e che t'ha dato il Nume

   a chi t'ha dato, e che non Š tuo padre,

   per introdurti in una casa nobile;

   e poi che tutto si scopr¡, temendo

   che per l'insidie della madre tua

   morir dovessi, e per le tue la madre,

   con un astuzia ti salv•: disposto

   invece avea di tacer tutto il Nume,

   ed in Atene di far s¡ che fosse

   per madre tua costei riconosciuta,

   tu per suo figlio, per tuo padre Apollo.

   Ma per compire l'incombenza ond'io

   strinsi al cocchio i cavalli, a voi gli oracoli

   svelo del Nume. Uditemi. Cre£sa,

   questo fanciullo tu prendi, e di CŠcrope

   muovi alla terra, e sopra il trono insedialo:

   ch‚ ben degno Š costui, nato dal sangue

   d'ErettŠo, di regnar su la mia terra.

   E in Šllade sar… celebre; e i figli

   nati da lui, da solo un ceppo quattro,

   nome alla terra e alle trib£ daranno,

   fra cui diviso Š il suolo mio rupestre.

   Geleone sar… primo; secondo

   (Nel testo Š una lacuna cos¡ colmata)

   Oplete, poi Arg…deo ed Egic•reo,

   e i popoli da loro avranno nome: Geleonti,

   e gli OplŠti, e gli Arg…di, e la trib£

   che dall'Šgida mia deriva il nome,

   degli Egic•ri. E di costoro i figli,

   popoleranno le citt…, nell'ora

   che il Destino segnata ha, delle C¡cladi,

   e le spiagge marine, onde il mio suolo

   gran forza avr…: d'entrambi i continenti

   abiteranno le pianure opposte,

   dell'Europa e dell'Asia; e il nome avranno

   dal nome di costui, I•ne, a gran gloria.

   E comune tu e Xuto avrete prole:

   Doro, per cui detta sar… negl'inni

   D•ride, la citt…: secondo AchŠo

   signor sar… della Pelopia terra

   prossima al mare, al Rio d'accanto; e achŠo

   sar…, dal nome suo, chiamato il popolo.

   E in tutto Apollo bene adoper•:

   ch‚ senza male in pria sgravar ti fece,

   s¡ che agli amici ti celassi; e quando

   poi partoristi ed esponesti il pargolo

   entro le fasce, in braccio egli lo tolse,

   a ErmŠte impose di recarlo qui,

   n‚ lasci• che spirasse, e lo nutr¡.

   E taci adesso tu ch'esso Š tuo figlio:

   serbi Xuto la sua dolce credenza,

   e tu serba il tuo bene, o donna, e godine.

   Salute a voi: che d'ora in poi sollievo

   vi pred¡co dei mali, e sorte prospera.

I•ne:

   O tu, Palla, che nascesti dal pi£ grande fra gli Dei,

   ci• che dici, ascolto e credo: che d'Apollo e di costei

   figlio son, credo; n‚ prima pensai ch'esser non potesse.

Cre£sa:

   Odi or me: d• lode a Febo, che il figliuol che pria neglesse

   ora m'ha restituito: nol potei prima lodare.

   Or del Nume questi oracoli, queste soglie or mi son care,

   che gi… pria m'erano infeste: di buon grado ora al picchiotto

   io m'appendo, ed alla porta di saluto volgo un motto.

AtŠna:

   Io ti lodo, ch'…i mutato, che il Dio lodi: anche tardiva

   alla fin la man dei Numi mai di forza non Š priva.

Cre£sa:

   Figlio, entriam nel tempio.

AtŠna:

   Entrate, ed io seguo l'orma vostra.

I•ne:

   Questa Š assai nobile scorta.

Cre£sa:

   Che ama AtŠna essa ben mostra.

AtŠna:

   Sull'antico trono or siedi.

I•ne:

   Prez‹oso Š un tale acquisto.

   (AtŠna sparisce)

   O di Giove e di Latona figlio, salve! E chi dai mali

   vide oppressa la sua vita, non disperi, e agl'Immortali

   presti onore: ch‚ alla fine pur trionfa il buono: e il tristo

   per virt£ di sua natura, trionfar mai non fu visto.

(I•ne e Cre£sa entrano nel tempio. Il Coro abbandona l'orchestra)