Irma la dolce

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Commedia in due tempi di Alexandre Breffort

Musiche di MARGUERITE MONNOT

Traduzione e adattamento

di VITTORIO GASSMAN e LUCIANO LUCIGNANI

Titolo originale « IRMA LA DOUCE »

PERSONAGGI:

IRMA LA DOLCE - NESTORE LO SGUALCITO - BOB LA FECCIA –

DUDU' LA SINTASSI - POLYTE IL MOLLO - JOJO LA CONGIUNTIVITE -

ROBERTO LO SCHIFO - BEBÉ LE MACRO - MAURICE LA VOCE -

FIDAGUIDA - NARICE - CRAPA DI FERRO - TENEREZZA - OMO -

L'avvocato - Il Presidente del Tribunale - Il commissario –

L'impresario delle Pompe Funebri - Il Pubblico Ministero - Il sorvegliante - L'esattore - Il medico - Un flic - Il signor Bougne - L'annunciatore –

Donne - Avventori - Guardie - Guardiani - Indiani - Popolo.

Scena: Multipla, in trasparente.

PRIMO   TEMPO

La scena consta di quattro elementi, in trasparente, che sono: 1) A sinistra, il Bar-dei-Duri; 2) Oltre, verso destra l'Hôtel-della-Fretta (la camera dell'Hôtel si ve­de sul bar, in sezione); 3) La soffitta di Nestore-lo-Sgualcito (con una piccola finestra infiorata, di na­sturzi nello stile dei disegni di Peynet); 4) Il ponte Caulaincourt,  con  un  lampione.

All'inizio Bob-la-Feccia, il « Narratore », è a sini­stra, davanti alla ribalta. Secondo lo svolgimento del racconto, determinati punti delta Scena saranno ra­pidamente illuminati, mentre il resto rimarrà nel buio.

Quando si alza il sipario Bob-la-Feccia, «Narrato­re » e padrone del bar, sta asciugando un bicchiere, dopo averlo osservato controluce e averci sputato coscienziosamente dentro.

L'abbigliamento di Bob-la-Feccia, come quello degli altri personaggi, sarà stilizzato: feltro grigio, giac­chetta o maglione, calzoni a staffa. Irma-la-Dolce è in gonna corta e tacchi alti.

Bob-la-Feccia — Una storia straordinaria. Sangue, voluttà e morte: tutto, praticamente. Quella che sta­te per ascoltare è la storia d'un « ménage » a due. Non succede tanto spesso.  (Cantando)

Incominciam!   Incominciam!

Bonsoir a voi, messieurs, mesdames.

Eccovi un film che a mezzo sta

tra la finzione e la realtà.

Minorenni di qui età / dai quindici anni

in qua e in là / possono star:

ciò che qui appar / li potrà solo ammaestrar.

(Appaiono quattro tipi della malavita cantando in­sieme a Bob il ritornello).                       

Bob:

Because, because / qui si insegna che

fare il marciapié / non è poi gran che.    

Il nostro eroe si chiama Nestore,               

Irma-la-Dolce è la vedette.

Fan  due  mestier strani  davver:

lui gigolò, lei gigolette. / Ma di quest'Irma

sul candor  / metto la  firma /  di gran cuor

e pagherà / il buon Nestòr

con la prigione e col dolor.

Bob e Coro:

Because, because / quella del macrò

non è sempre, no, / una Vie en rose.

Bob:

Quindi la favola non può far mal,

né la pellicola è mai trivial.

Anzi ci predica il suo final / tal moralissima moral

che senza equivoco / si può affermar

la vita equivoca / non è un affar

e chi vivrà con onestà / meglio cavarsela potrà.

Bob e Coro:

Because, because, / peccatori o no,

sognan tutti un po' / una Vie en rose.

(Buio. Luce su Irma-la-Dolce che passeggia langui­damente sul ponte Caulaincourt, fumando una sigaretta. In sottofondo, musico di fisarmonica).

Bob — Irma-la-Dolce agiva ogni sera sul Ponte Caulaincourt.

(Si vede Irma che abborda un passante)

Irma — Vieni, amor mio?                         

Passante — Come   va,  angioletto?

Irma — Se sei bugiardo come me. andrà benissimo.

 

(Buio. Luce nella camera dì Irma al primo piano del­l'Hôtel-della-Fretta. Nestore-lo-Sgualcito entra nel bar)

Bob (al pubblico, confidenziale) - Nestore-lo-Sgualcito, diciamolo francamente, a quei tempi chi era? Un raccatta-cicche, uno sfruttatorello di periferia. Gli fa­ceva difetto la vocazione, in poche parole. Com'era finito qui, in mezzo a noi? Mistero. Era sopportato, per la verità, benché si desse da fare a destra e a sinistra mendicando considerazione. Ahimè, quattro cicche non hanno mai fatto una sigaretta! Come cam­pava? Beh, lavoretti, scassettini banali, qualche violenzuccia, alla chetichella. Tagliamo corto: « l'igno­to ». (Rumore di passi) Ohé, i clienti, ci siamo... (Si precipita dietro al bancone) Qui, il Bar-dei-Duri. Ro­ba moderna. Pianola, grammofono, filtro alla ita-liana. Le brioches le teniamo in trappola! non che manchi la fiducia, ma conosciamo le umane debolezze. Ora la pianto. I clienti sono adulti abbastanza per presentarsi da sé.

(Rivolto alla banda che è apparsa rulla soglia)

Carte scoperte: dopo le dieci di sera, voglio nome e soprannome.

(I clienti entrano dicendo nome e soprannome, uno per volta)

Jojo — Jojo-la-Congiuntivite!... Perché, a qualcuno non piace il nome?

Roberto  —   Roberto-lo-Schifo!...   Beh.   Perché  poi...?

Bebé — Bebè-le-Macrò!... Fra me e le donne è que­stione di pelle.

Maurice — Maurice-la-Voce!... (Cantando) Ecco qui dei « duri » il famoso bar... (Ma viene zittito. Ultimo ar­riva Polyte. Apparizione sensazionale. Con una schic­chera si butta il cappello all'indietro sulla, nuca. Gli altri rispettosamente lo imitano)

Polyte — Polyte-il-Mollo!... detto il Soave, detto la Pinza, detto il Pus, detto il Sussultorio, detto il Callo, detto il Gallo, detto il Crollo, detto il Pascià...

Bob:

Ecco qui dei Duri il famoso Bar:

dove vanno i Duri a bere ed a mangiar.

Coro:

E a far con / nonchalance / tutto quello che

sempre fu ed è l'orgoglio della France.

Ma fra tutti i Duri un iper-duro c'è,

ch'è dei Duri il gran re. E' Polyte-il-Mollo

anche detto il Crollo / il terror d'ogni pollo,

dall'orlo del collo / tatuato fino al callo.

Il ras dei boulevards, / la vedette del Bar,

del quartier il terror, / nostro despota e signor:

ogni viso, quando appar, / di paura si fa giallo.

Non c'è uomo qui/ -che abbia ardir di contraddir,

non c'è donna a Paris / che non dica di sì,

se il suo gran chicchiricchi

le fa udir Polyte-il-Gallo.

Polyte (urlando) Da bere! Un barile, voglio!

Bob (aprendo una bottiglia, molto calmo) — Ora ti servo, dinosauro. Conservati l'ugola. Cribbio, ogni vol­ta che apre bocca è una bordata, parola mia! (Lo ser­ve) Su, sturati il condotto, lavandino!

Irma — Un'altra volta tesoro.

Polyte (beve, poi voltandosi al pubblico) — Mi ave­vo scordato... Mi chiamano anche la-Sfumatura. Atout, atout e ratatout!                                   

Roberto — Fiori.

Polyte —- Taglio.

Maurice — Quadri.                              

Polyte —Pena.

Bebé — Passo.

Jojo — Picche.

Polyte — Ratapena. Prima io. 17, 14, 21 più 6 più 8 più 12, 94 più 15, 18, 24, 1002 più 11 di caropane, soccorso carcerati 36, più, posa l'osso, 65 e chi ci ha i peli se li strappa. (Entra Irma. Polyte fa un gesto verso di lei, Irma gli porge la borsa. Polyte l'apre, prende un fascio di biglietti di banca e li intasca tran­quillamente) Magra eh? stasera?

Irma (dondolandosi e sorridendo acida) — Magra eh? stasera? Magra eh? stasera? Fategli un po' una foto a questo amorino. E' l'ultima volta che m'asciughi la saccoccia, questa: lo sai? Ohé varecchina, se credi di continuare a farti il bagnetto nella mia tinozza è meglio che te lo levi dalla testa, capito, zoccoletta? (Polyte resta impassibile)

Bob (a Irma) — Tutte le sere lo stesso disco!

Irma — Beh, che vuoi? Mi scarico un po'.

Bebé — Io ti capisco, bimba. Si è soli, a volte, in questo schifo mondo. Ricordo una sera a Tangeri nel...

Nestore (si avvicina al bancone) — Salve, maschi! (Dietro le spalle di Polyte) C'è un errore? Scusate! (Polyte non reagisce) Paghi da bere, Bebé?

Bebé — Perché, ho il profilo di uno che paga?

Nestore — Jojo, paghi da be... (Jojo gli lancia un coltello. Nestore si rivolge a Maurice, che comincia a cantare)

Maurice (cantando) — Ecco qui il bar dei Duri.

Bebé — Zitto!

Nestore (a Polyte) — Paghi da bere, crollo? Ohé paghi da bere? (Polyte continua a non reagire. Irma gli si avvicina, lo tocca sulla spalla e accompagna il gesto con le parole)

Irma — Vuoi sbrigarti a pagargli da bere, sconcez­za? Paga! Paga!

Polyte (a Nestore, dolcemente) — Che prendi?

Nestore — Un latte!

Polyte — Freddo o caldo?

Nestore — Freddo! Freddo e macchiato.

Maurice — Vieni a fare una partita.

Roberto — Direi che esagerate.

Nestore — Chi esagera?

Roberto — Ma sì, gliene dite ogni sera di tutti i colori.

Irma — E con questo?

Roberto — Come, « con questo »?

Irma — Tanto non sente niente questo bestione!

Roberto — E’ sempre un « duro », andiamo!

Jojo — Duro d'orecchi, ci puoi scommettere.

Bebé (con. disprezzo) — Spiritoso!

Jojo   (provocatorio)   —  Perché?   Cè  qualcosa   che non va?

Bebé (alzandosi) — Perché? C'è qualcosa che va?

Bob — Calma, ragazzi!

Jojo — Perché, c'è chi perde la calma?

Roberto  (balbetta   impaurito)  —   Io   dico   solo  che avete una strana maniera di esprimervi, ecco!

Jojo — Sentilo, il dicitore! E tu — non dire di no, t'ho sentito io — quella volta che gli hai dato del bue!

Roberto — Beh. era un momento di malinconia, mi ha scaricato un po'.

Jojo — O è che lui t'aveva scaricato d'una delle tue vacche, eh, maiale? (Sputa)

Bebé (filosofale) — Che stalla, il mondo!

Jojo (sputando nel bicchiere di Roberto) — Bevi! (Roberto esegue) D'un fiato!

Roberto — Con Dudù-la-Sintassi però non fiata nes­suno.

Bebé — Altra cosa. Dudù-la-Sintassi è un dirigente. Ci insegna a scrivere i romanzi polizieschi per i Libri lividi, no? E' l'avvenire, quello.

Roberto — Ah, è per questo che ve lo coccolate.

Jojo (aggressivo) — Che faccio io, coccolo? (Nestore si mette in mezzo) Tutta invidia perché all'ultimo det­tato non ho fatto neanche un errore!

Bebé — Perché, c'è chi fa errori, qui dentro?

Jojo — Sissignore. Per esempio mettere la « c » in « squagliarsela ».

Bebé (alzandosi) — Chi è che scrive « squagliarsela » con la « c »?

Jojo — E «polizia » con due zeta...

Bebé — E « polizia » con due zeta...

Polyte — Perché la birra gonfia la pancia!

Jojo — Che c'entra? (Dando una manata a Roberto che si sta spulciando) E « pidocchio » con la maiuscola...

Bebé — Schiacciai un pidocchio a Marsiglia nel...

Jojo — E Marsiglia con la minuscola!

Bebé (fuori di sé) — Vieni fuori, vieni... Spieghiamoci! (Tutti e due hanno tirato fuori il coltello)

Jojo — Alla rusticana.

Bebé — Alla rusticana, come i nostri padri.

Jojo — Sui bastioni.

Bebé — Sui bastioni, alla rusticana. (Vanno verso l'uscita)

Bob — Non ci sono più bastioni.

Bebé e Jojo  (interdetti) — Sicuro?

Bob — Non ci sono più.

Bebé e Jojo — T'è andata  bene!

Roberto  (che è rimasto con la  mano  presa  dalla trappola delle brioches) — Ah!

Bebé e Jojo — T'è andata male! (Hanno messo via i coltelli. Jojo alza le spalle. Vanno a sederti tutti e due. Maurice ricomincia a cantare)

Maurice — Ecco qua il bar dei Duri...

Bebé e Jojo — Zitto!  (Maurice ammutolisce)

Polyte — Pigliamo lezione, oggi?

Bob   — Sì,  Dudù-la-Sintassi   sarà   qui   da   un   mo­mento all'altro.

Bebé — Quando c'è il Premio Toucourt?

Bob  — A dicembre.  Dovrete  sgobbare,   per  esser pronti.

Roberto — Maurice, tu l'hai preparato il compito?

Maurice — Sì. Non ti dico che orari sto facendo: fra le lezioni di canto e la letteratura.

Jojo  (sputando  con disprezzo nel bicchiere  di  Ro­berto) — Canto! (Entra Dudù-la-Sintassi. I duri assu­mono un atteggiamento rispettoso)

Dudù — La buona giornata a voi, figlioli!

Tutti   —  Buongiorno,  signor  Dudù-la-Sintassi!

Dudù — Intesi. Il tempo è limitrofo, quindi banda alle prelusioni. Chiaro?  Vogliamo dare principio?

Tutti — Sì, signor Dudù (Bob distribuisce i qua­derni. I  « duri »  si preparano a  scrivere)

E' una sistola, una diastola, una costola che fa cric-crac?

Una sindrome i cui prodromi mi prendono e mi danno il trac?

Senti? Tic! Senti? Tac!  I miei nervi fan crac:

Ho nelcuore uno strano bric-a-brac!

Tic e tac, è come un pizzico, uno stuzzico d'un non so che!

Tic e tac, come un solletico, un farnetico che sale in me!

Hai la febbre? Io no!  / Non ho febbre, però

Scotto tutta... Io  scotto come  te...

A proposito, lo sai?  / Soggezion non sento più.

Per la prima volta m'hai... / m'hai parlato con il tu...

Ah, lo so, sì sì lo so, è così, lo so, così si spiega, sì!

Lo intuivo, immaginavo.,  lo  sapevo,  ce l'avevo qui...

Tic e tac, mio tesor... / no, non era un malor :

Questo gran batticuor sì chiama amor!

(Rientra Polyte. Si butta indietro il cappello con la solita schicchera, ma gli altri, con ostentato disprezzo, si calcano il loro).

Polyte — Irma! Dove si ha cacciata?

Tutti — Mah!

Maurice (canta):

         Tic e tac mio tesor / non era un malor

questo gran batticuor / si chiama amor.

Jojo — Devi aggiungerti un nome: Mollo, Soave, Gallo, Sfumatura... e Becco!  (Via)

Roberto — Se mi dai un mille, te la presento io, un'altra donnina...  (Via)

Bebé — E' questione di pelle, con le bimbe. (Via)

Bob — Eh, la vita Polyte... è una morte...

Polyte (infuriato, ti precipita fuori del Bar) — Irma! Irma! Irma!

(Buio. Luce sulla soffitta di Ne­store, nascosta fino a questo momento da un pan­nello. Fra gli altri elementi d'una scena piuttosto cupa e drammatica, è una nota bucolica, piena di freschez-za e di allegria. Una piccola finestra infiorata di na­sturzi. Una scala rustica ornata di glicini. Un uccello in gabbia. Nestore è occupato a innaffiare i fiori con un minuscolo innaffiatoio. Canta. Entra Irma-la-Dolce).

Nestore — Mia Dolce!

Irma — Sgualcito mio! (Pausa) Mio amore... Quan­to tempo era che mi amavi, di'?...

Nestore  (esitante) — Cioè?...

Irma  (vivamente)  — Dimmi di sì.

Nestore — Si.                                           

Irma — Ah! Vedi? (Pausa) Mi amavi prima che io te lo dicessi, no?

Nestore — Sì. (Irma lo bacia)

Irma — Mio uomo!                            

Nestore — Mio fiore!

Irma — Quant'è bello qui. Si vede tutta Parigi. (Guardano tutti e due  in avanti, lontano)

Nestore — E Parigi  vede noi.

Irma — A me non dispiace. Vorrei che tutti vedes­sero la nostra felicità. Vorrei stare qui, alla nostra piccola finestra, e dire : « Amo Nestore-lo-Sgualcito, e Nestore-lo-Sgualcito ama me».

Nestore — Gridarlo sui tetti.

Irma — Proprio. (Pausa) Sai che mi avevi dato un dispiacere, quella sera, al Bar-dei-Duri?...

Nestore — Io? Che t'avevo fatto?

Irma — Avevi pagato tu le consumazioni.

Nestore — Non io farò più, mia Dolce.

Irma — Grazie, amor mio! (Pausa) Me n'ero ac­corta, sai, che qui dentro nascondevi qualcosa per me.

Nestore — Sì? E da che?...

Irma — Oh!... Mi avevi dato subito del lei.

Nestore — Già.

Ibma — Appunto.  (Pausa) Senti, se  lavoro forte...

Nestore (seccata) — Non mi piace sentirti parlare così.  « Se lavoro forte! »

Irma — Volevo dire un'altra cosa... Volevo dire: se tu fai qualche colpetto un giorno, ce ne andremo in campagna, al mio paese. Vedrai quant'è bello! C’è un piccolo, fiume, ci si va in barca. A un certo punto, ci si ferma sotto il ponte della ferrovia... Un ponte alto, altissimo...

Nestore — Il viadotto.

Irma  — Lo conosci?                         

Nestore — No, ma ne ho  visti altri.

Irma — Beh, si ferma la barca lì sotto. C'è l'eco, molta eco, sai? Allora uno grida: « Oh! Oh! » E l'e­co risponde: « Oh! Oh! » E' « chic »! Ci andremo, no?

Nestore — Naturalmente. (Lei si rannicchia nelle tue braccia)

Irma — Nella casa dove stavo da bambina, c'era­no anche lì dei bei fiori, come da te...

Nestore — Come da noi.

Irma — Sì, come da noi. Piccoli fiori che s'arro­tolano... Mi pare che si chiamino convólvoli. Che brutto!  «convólvoli»,  ma  a  me piace lo stesso.

Nestore — Naturale. Non bisogna avere pregiudi­zi. (Guardano il panorama di Parigi)

Irma — Quant'è bella Parigi. (Punta il dito in una direzione) Là che c'è?

Nestore — Quartiere  Latino.

Irma — E là?

Nestore — L'Arco di Trionfo... I Campi-Elisi.         

Irma — E laggiù?

Nestore — Il Pantheon...

Irma — E quella?

Nestore — La torre Eiffel.

Irma — Davvero?

Nestore — Giuro.

Irma — E laggiù,  laggiù  che  c'è?

Nestore — La  Madeleine.

Irma (ammirata) — Tu sai tutto, Sgualcito! (Ne­store fa un gesto di folta modestia). In un libro che sto leggendo, tutti i matrimoni si fanno alla Madeleine.

Nestore (perentorio) — Si, usa.

Irma — C'è il Duca di Framinteuse che sposa Eliana di Galarède. Hanno una carrozza con dei ràusi...

Nestore — Sauri...

Irma — Può essere... E' come dire cavalli.

Nestore — Sì, sauri:  i cavalli dei ricchi.

Irma — Perfettamente. Certe volte, alla Madelei­ne, quando battevo il Turno dell'aperitivo... (Nesto­re si scurisce nuovamente in volto) voglio dire, quando passeggiavo per il quartiere... verso mezzo­giorno, andavo sempre a vedere i matrimoni. Ce n'e­rano certi, bellissimi! Veli, abiti bianchi, raso! E' bello, eh, un vero abito da sposa.

Nestore — E' bello, sì,

Irma — Però si sporca presto.                        

Nestore — Non saprei  (L'uccello in gabbia canta)

Irma — Bruto canta per noi. Sa che ci amiamo, e allora, lui è contento. E siccome  è contento, canta. Sono belli gli uccellini, non ti pare?

Nestore — Sì, funzionano. Ma qui casca tutto, bi­sogna abbassare la mangiatoia... Dammi un pezzetto di carta. (Lei gli porge un foglio strappato da una rivista del tipo «Intimità». Nestore lo spiega, e gli dà un'occhiata) Sempre amore. Leggi tu que­sta roba?

Irma — Figurati! E' la donna delle pulizie. Roba da sartine... e da fessi.

Nestore — Mia Dolce!

Irma — Mio amore! Non ci lasceremo mai? Pro­metti?

Nestore — Lo giuro.

Irma — Mai. Che bel sogno! Senti, Nestore, non ti pare che stiamo così tanto bene insieme, noi due, e che non ci può succedere niente finché Parigi è là!

Nestore — Sai che è bello quello che stai dicen­do, mia Dolce. Ed è vero.

Irma e Nestore (cantando):

Parigi  su  noi   veglierà, / in  punta  di  piedi  in persona

A noi Geneviève, la Patrona, / apparirà

Ci proteggerà. / No, non parlar. / Tempo e d'amar.

Più taci e più mi baci tu. / Ogni istante che taci

E' un grappolo di baci.  /  Star qui con te

E' come se  /  si raccogliesse intorno a me

Mormorando uno stuolo / d'angeli  in volo.

Amarsi... Su,  spiegami,  vuoi?  

L'hai letto nei  libri perfino,  / amarsi è serrarsi vicino,

E poi.. Sì, poi? / Spiegar che vuoi?

Perché parlar? / Tempo è d'amar.

Più taci e più mi baci  tu.  / Hanno i baci e gli amplessi,

Bob — Signor Dudù, il libro di testo.

Dudù — Optime quindem! (Agli allievi) E di don­de   sarpa,   oggi,   la   carcavella   del   sapere?   (Nessuna risposta)   ...Insomma,   dove  eravano rimasti?

Polyte — Capitolo quarto: «Trent'anni nel muro, ossia la vita d'un mattone».

Dudù — Esatto... Ecco il perigrafo... ecco il coma... Aprite la mente e gli spalti delle «o». Chiaro? (Detta) Un canchero di calcio nel tafanario lo sderenò verso la graticcia e lo ammollicò sulla pedoniera con un fregato crocchiare d'assamenta. Sgannatosi, su, si ta­stò la cassetta e sgamò, sgamò maiuscolo, che flot­tava sanguinaccio dalla nappia, via le mani dalla nappia,  che   fiottava   sanguinaccio  dalla  nappia...

Polyte (sottovoce, al vicino) — Ha detto rabbia o sabbia?

Dudù (severo) — Chi ha proferito durante la le­zione? Se non ricevo supposta, infriggerò un castigo a tutta la classe. Torno a dire: chi ha proferito du­rante la lezione.

Maurice, Roberto e Bob — No! No! No!

Polyte — Me!

Dudù — Fuori dalla classe senza indugio! (Polyte esce infuriato) Debbo rammemorarvi che, se non sa­rete più scrupolosi, avrete ben poche probabilità al prossimo Toutcourt. Se preesistete a vergare «cazzotto » con tre zeta, non raggiungerete mai la meta. Chiaro? Mi rifinisco anche a voi, Jojo-la-Congiunti-vite. (Jojo abbassa la testa) Quanto a voi, Roberto-lo-Schifo, questa settimana siete incorso in due assenzie!

Roberto — C'era un colpetto!

Dudù (a Jojo) — Te lo dò io il colpetto!

Jojo — Non sono io.

Roberto — Un piccolo stock di foto... sapete.

Dudù — Non mi compete! Vi aggiungo che al mi­nimo sintomo di pigrizia sospenderò il corso ex-abrutto!

Bebé (alzandosi minaccioso) — Passi per il Corso, ci sono nato...  Ma « brutto » a me non l'ha mai...

Dudù - (picchiandogli sulle dita con la canna) — Ex a-brut-to! Intesi? Gli editori sono comprensivi, ve lo gratifico, ma il loro alter-ego ha un limite...

Roberto — Alter..?

Dudù — Non  hanno vacche da mungere!  Chiaro?

Roberto — Va bene. Lavoreremo, signor Dudù.

Dudù (guarda l'orologio) — Dieci minuti di pro­creazione!

(Esplosione di gioia. Due duri si mettono a giocare a rimpiattino)

Maurice — Posso farmi una cantatina, adesso?

Tutti — No!

Maurice — Ma perché?

Dudù (categorico) — Un « duro » non « canta » mal! (Via)

Bebé — Che nausea, la cultura!

Irma — Dunque, signor Nestore, va bene?

Nestore — Oh, sì, signora Irma, va bene. (Pausa. Sono tutti e due imbarazzati.)

(Roberto rimane per la seconda volta nella trappola e emette un grido)

Tutti — Cretino.

Irma (non sapendo che dire) — Tanto, se anche non va bene...

Nestore — Si fa finta che vada io stesso.

Irma — Già.

Nestore — Già, appunto.  (Silenzio)

Irma — Che cosa prende? Tocca a me.

Nestore — No... Grazie, signora Irma. Mi brucia lo stomaco, se bevo.                                                      

Irma — Una menta-limone non fa mai male, no?

Nestore — Se insiste... Bob, una menta-limone. E lei?

Irma — Una menta-limone anch'io. (Sciocca, ma gentile) Così beviamo la stessa cosa.

Roberto (chiamando) — Irma!

Irma — Che c'è ancora?

Roberto — Vieni qui un momento, senti...

Irma — Che c'è?

Roberto — Hai pensato alla mia proposta?

Irma — Ci risiamo?

Bebé — Che speri, Schifo? E' questione di pelle con le donne. Irma sceglierebbe me. Se volesse mol­lare il Mollo.

Jojo — Perché, io che porto qui, il campanone di Sant Sulpice?

Jojo e Maurice — Irma, Irma...

(I duri si contendono Irma che dopo aver schiaffeggiato Jojo, li scosta con modi  bruschi)

Irma (facendosi largo verso Nestore) Volete levarvi di mezzo?

Jojo — E lascialo perdere, quel fesso!            

Irma (con tono abbastanza energico) — Sempre meno fesso di voi! Lo so quello che vi scotta: che è andato a scuola e che è figlio di famiglia!

Roberto — Diremo al Mollo che ti comporti ma­luccio.

Irma — E io gli dirò di qualche piccola scorrettezza nella faccenda degli orologi da polso.

Tutti — No, Irma, non farai questo!

Irma (si guarda un momento in uno specchietto che porta in tasca e torna al bancone) — Siamo intesi, allora, no? (A Nestore) Scusi, signor Nestore, stavo parlando.

Nestore   —  Scusatissima, signora Irma.   (Silenzio)

Irma — Bob, segni a me le due mente-limone, eh?

Nestore — Già fatto.

Irma — Come?

Bob — Già fatto!

(Silenzio, Irma tace, come in pre­da a una grande  emozione)

Nestore — Che cos'ha la signora Irma?

Irma (con la voce che le trema) — Io? Niente, che devo avere?

Nestore — Piange? E perché, signora Irma?

Irma — Ma no... Non piango.

Nestore — Altroché se piange! Perché è andato via il Mollo?

Bebé (rivolto a una ragazza dopo averle sfilato il denaro da una giarrettiera) — Vieni bimba, ti paghe­rò da bere.

Irma — Per lei.

Nestore — Per me?

Irma — Cerca solo di mortificarmi.

Nestore — Ma io non ho detto niente.

Irma — Ha voluto pagare lei.

Nestore — Ah, questo? Ma... è normale.

Irma — Davvero?

Nestore — Su, non pensavo affatto di offenderla. Ha ragione... A volte sono uno stupido... mi riescono difficili... le donne anche le più gentili... come lei, signora Irma. Bob, segna le due mente-limone alla signora Irma.

Bob — Già fatto.

Irma — Grazie, Bob.                                                

Bob (con un piccolo gesto di modestia) — Per ca­rità! Dovere.  (Risatine in fondo)

Bob (a Roberto che sta parlando sottovoce con due ragazze) — Smettila di dire sconcezze, e piazza un disco.

Roberto (andando al grammofono) — Volevo solo un bacino.

Jojo (lanciando sopra la testa di Roberto un coltello che, regolarmente, non si conficca) — Metti un veloce, mi si è addormentato il piede sinistro.

Maurice — Posso cantare il refrain?

Tutti  (meccanicamente)  — No!

Maurice  — Posso  fischiarmelo?

Tutti — Va bene.

Bebé — A me, bimbe; ballai una notte intera a Gibilterra.

(I tre « duri » si avviano a invitare le ra­gazze, le quali voltano loro le spalle e si mettono a ballare con altri tre avventori. Una prima volta stro-fa e ritornello, per ballare. .Poi Nestore e Irma cantano)

Irma e Nestore (cantando):

Tic e tacche tic e tacche, senta un po' come mi batte il cuor!...

Tic e tacche, ho il viso invaso da un curioso tipo di calor!

Che cos'è, che sarà? / Che vuoi dir? Non si sa: Tic e tac, forse un piccolo malor.

Tic e tacche, tic e tacche, guardi un po', succede pure a me!...

Tic e tacche, il cor mi batte in tutta fretta, chi lo sa perché?

Una fitta, però / non sgradevole no:

Tic e tac, un piacevole dolor.

Questa par telepatia,  / certo una  combinazion.

Che sarà, una malattia? / No, non ho quest'impression.

Una muta sintassi. / Tacer con te

E' come se / improvvisassi a tre per tre.

Mille   splendide   fole / senza   parole.

Del nostro amor, / odi tesor.

Batte le  virgole il mio cuor. / Parli quando hai bisogno

Di dar  voce  ad  un  sogno. / Ma  il  sogno fu,

Realtà sei tu. / Vano è parlar, non odo più

Che i  silenzi  loquaci / dei  nostri  baci.

(Buio. Luce sul ponte Caulaincourt, dove si vede Irma andare su e giù con una sigaretta fra le lab­bra)

Voce di Bob (a sinistra nell'ombra) — Irma-la-Dolce amava il suo uomo, e questo per lei fu come una grande vertigine. Si prodigò con uno zelo sen­za precedenti sul Ponte Caulaincourt.

(Si vedono passare tre sosia di Irma che danno l'idea dell'affan­nosa ricerca di clienti da parte di Irma. Davanti al-l'Hôtel-della-Fretta, La musica attacca in sordina un'aria  lancinante)

I° Passante — E' qui, lrma-la-Dolce?

Bob — Da quella parte, ma ha  da fare!

II°  Passante — Irma-la-Dolce è  rientrata?

Bob — Mettetevi in coda.

(Interviene un flic)

Flic — Non intento tollerare questo assembramenta. Il libbero amore non è libero, ai cittadini se non sarebbe sotto la tutela dei regolamenti stratali, e in materia di disguito dal tesseramento rimane pu­nito ai sensi degli articoli 12... 25... 50... 100... 500... 1.000 (Uno dei Passanti gli ha fatto scivolare in ma­no fino a mille franchi) ... Con le sue dovuto ecce­zione...

I° Passante — Mi sono messo in coda. (Accodan­dosi alla fila dei « duri » che  vanno  verso il bar)

Bob — La coda sbagliata, deficiente! (I passanti sì infilano uno dopo l'altro nell'Hôtel-della-Fretta e riescono  dalla  parte  del  Bar)

I° Passante (alla guardia):

Pardon, mi sa  / dir dove sta /  ahà!  ahà!

E' là, è là / è là l'Hôtel. / Ah! Un Hôtel?

Non proprio Hôtel, / sai, quegli hôtels / dove puoi tu

trovar lassù / in « rendez-vous » / a tu per tu

donne di / facile virtù, / o maschi dai / diciotto in su.

Fra queste donne di virtù sospetta / la più perfetta, l'extra, il « boum », il « plus »

per cui ciascun pazientemente aspetta

è una fanciulla, detta Irma-la-Douce. / Oh, che beltà,

che venustà, / quant'è  gentil / che « sex-appeal »

ha un viso che... / Due gambe da... / Un seno, ohilà.

Due fianchi, ohé... / che dernier eri / al suo classi

che donna / che piattin da re / che bel viain

che bocconcin / che ciriribì, ciriribì.

Oh, che piacer  saper  che questo  ha  un  prezzo,

oh, che piacer saper che tal piacer

a suo piacer senza por tempo in mezzo.

Bob — Nestore-lo-Sgualcito e Irma-la-Dolce avreb­bero potuto essere felici. Ma ahimè! Nestore era geloso, geloso da non dirsi. Geloso al punto che una sera...

(Nella soffitta Nestore piange e si dispera)

Nestore — Un'idra, un'idra viva ho in corpo! Un inferno! (Entra Irma) Questo denaro, questo denaro che mi scotta, dimmi dove l'hai preso. Dove l'hai pre­so?

Irma — Non fare così, Sgualcito, mi metti paura!

Nestore — Lo voglio sapere, capisci? lo voglio sa­pere, o non so che succede...

Irma — Calmati amor mio, calmati; su...

(Irmaesce. Nestore guarda dalla finestra e piange, mentre i passanti cantano, per la seconda volta)

Flic e Passanti :      

Dal sud, dal nord,

dal mar, dai fiord, / dall'est, dal West, / da Budapest,

e da Torino, / da Pechino, da Istanbul,

da  Liverpool,  fin  dal  Vietnam, / da  Hongkong, dal Siam,

In treno, / in tram, / qui conveniam, / in fila stiam

Non   litighiam, / compatti andiam, / « chercher   la femme ».

Fraternamente,  dividiam  le spese,  / a questa  banca ogni moneta va

con  mille  franchi, tasse già comprese, / con  mille franchi, tasse già comprese.

(Alla fine Nestore non resiste più, scende dalla sof­fitta, disperde la folla, togliendo ai tre clienti più vi-cini i tre elementi che gli serviranno per il trucco di Oscar e lasciandoli cadere per terra)

Irma — Che hai, Nestore? Che hai?

Nestore — Quegli uomini, tutti quegli uomini... E' spaventoso!

Irma — Amor mio, ma è il pane!

Nestore — Il pane! Già, non ci penso mai: E in­vece, è vero. Il pane! La crusca, di' piuttosto!

Irma — Mah, ci si abitua, poi.

Nestore (amaro) — Ah, si vede benissimo che non ti dà fastidio!

Irma — Come, non mi dà fastidio?

Nestore — Ben poco, va'!

Irma — Guarda, ti regalo una cosa che m'hanno dato.  (Gli porge un  pacchetto  di sigarette)

Nestori — Grazie. No. Non fumo di questa roba. (Irma piange). Tu piangi, mia Dolce, ma quegli uomini... tutti quegli uomini...

Irma — Davvero... ti secca?

Nestore — Non è che mi secca... Come devo dirti, ecco, ho una punta di gelosia.

Irma — Geloso, geloso... Non è possibile. Se io ti tradissi, guarda, lo capirei. Non dirai mica che non sono una  ragazza seria, vero?

Nestore — No... Chi dice questo? Ma che vuoi, so­no fatto così. Tu non sei stata mai gelosa? Non ti sei sentita mai  come un  velo rosso davanti  agli  occhi?

Irma — Non ti capisco.

Nestore — Beh, se domattina ti venissero a dire che ho passato la notte con la Serpentina, o con Su-zy-la-Stakanovista,   quella  che   chiamano  l'Altalena...

Irma (sconvolta) — No, no!  Non è possibile...

Nestore — Lo vedi? Hai sentito il velo davanti agli occhi?

Irma — L'ho sentito, si è spaventoso! Ti capita spesso, Sgualcito?                                                

Nestore — Sempre.

Irma (tenera e disperata) — Che ti succede, amore?

Nestore — Guarda, si trattasse d'un cliente solo... forse sarei un po' meno geloso. Ti sembro stupido? Un cretino coi soldi, un pollo,  ma  un pollo solo!

Irma — Smetti, Sgualcito, stai rievocando il sogno della mia infanzia...

Nestore (colpito) — Ci avevi già pensato?

Irma — Ah! Un uomo solo, che sogno magnifico!

Nestore — Uno solo, e io allora?

Irma — Uno solo oltre te. (Dolcissima) Un cretino... un pollo...

Nestore — Magari!

Irma — Fosse vero!...

Nestore — Troppo bello!

Irma (con tenerezza) — Pupo mio!

Nestore e Irma (cantando):

Un pollo sol, / (quello ci vuol) / un pollo e poi

Soltanto noi. / Il bel sogno è codesto

D'ogni ménage onesto. / Felicità, / praticità.

Un pollo e poi: / cos'altro vuoi?

Quest'è il sogno proibito / d'ogni marito.

(Buio. Nestore commina come un'anima in pena. Ca­de a sedere su una panchina, con la testa fra le mani).

Nestore — Certo dev'essere scritto in qualche par­te, che la felicità non è di questo mondo! La felicità! Se c'è un Dio che nell'universo, lassù, decide i de­stini del cuore, perché non libera dalle infelicità ter­rene  gli  umili missionari dell'amore?

Polyte (entrando nel bar) — Eh, eh, eh.

Bob — Sì, va  bene, va bene.

Polyte — Da bere.

Nestore (apparendo nel centro della scena e comin­ciando a truccarsi con gli elementi rimasti in terra) — Un solo!... Un cliente solo, ho detto, e la felicità è fatta. Ingenuo che sono! Credevo di mettermi il cuore in pace con una semplice operazione di mate­matica! (pausa) No, no, il numero non risolve nulla in questa faccenda. Uno solo: e il problema resta, tale e quale. Povero me! (Riflette) No, neanche quel solo, quell'unico che si stava facendo raccomandare dalla mia disperazione, neanche lui metterà il naso nella casa della felicità! Indietro, signore! Avete sba­gliato porta. Noi non vogliamo il vostro denaro. (Con forza) Voi non esistete! (Pausa. Più calmo) E' deciso: il solo, il vero, l'unico, sarò io. Io che sono nato per amare.

(In questo momento si vede Irma camminare su e giù per il ponte Caulaincourt. Nestore — che ha la barba — la guarda, esita, indietreggia, e finalmente si decide a farsi abbordare da Irma. E' il primo con­tatto fra Nestore, truccato da signor Oscar, e Irma-la-Dolce)

Irma — Vieni, tesoro, sarò il tuo confine.

Bob — Una donnina « à la page », no? Poche parole, ma scelte bene.

(Buio. Luce nella camera di Irma. Irma entra e dietro di lei è Oscar)

Irma — Che guardi, lupo mio?

Oscar — Niente, davo un'occhiata, così. E' acco­gliente, qui da lei!

Irma — Per quello che mi serve... (Il signor Oscar tace) No?

Oscar — Ah, sì... sì...                      

Irma — E' di poche parole, lei...

Oscar — Può darmi del « tu »...

Irma — Do del « tu » quando voglio... Certe volte, quando posso.

Oscar — Ci sono volte in cui non può?

Irma — Capita. E non saprei neanche da che di­pende. Per esempio, avevo un cliente...

Oscar — Un che?

Irma — Un signore...  

Oscar — Ah!

Irma — Che veniva a trovarmi regolarmente.

Oscar (geloso) — Quanto tempo fa?

Irma — L'anno scorso. (Oscar respira di sollievo) Beh, non sono mai riuscita a dargli del «tu».

Oscar — E perché?

Irma — Non so. Era un intellettuale, uno di quelli che chiamano...

Oscar — Come?

Irma — Insomma, scriveva quelle cosette che... non arrivano fino in fondo.

Oscar — Cosette che non arrivano fino in tondo a che?

Irma — In fondo alla pagina.

Oscar — Ah! Versi?

Irma — Ecco, sì, versi.

Oscar — Io non ne scrivo.

Irma — Meno male! (Pausa. Si sorridono) Può mettere la sua roba là, sulla sedia. L'attaccapanni non regge. (Silenzio)

Oscar — Come si chiama, lei, scusi?

Irma — Irma. Irma-la-Dolce.

Oscar  —  Grazioso nome.

Irma — Pare.  (Gesto evasivo) Sa, i nomi...

Oscar — Comunque...

Irma — Forse.

Oscar (dopo una pausa) — Vuole che mi metta in finestra a fumare?

Irma — In finestra?

Oscar — O in corridoio...

Irma — E perché?

Oscar — Intanto che si mette in libertà.

Irma — Non mi dà mica fastidio. Pensa di darmi fastidio?

Oscar — Beh... Io... non so.

Irma — E' simpatico. Lei ama molto?

Oscar  — Uhm...

Irma — Volevo dirlo.

Oscar — Non ci sono abituato.

Irma — Ah,  si  vede!

Oscar — Le dispiace?

Irma — No, non mi dispiace affatto. Anzi, forse, preferisco che sia così. Mi dà l'idea d'esser presa più sul serio.

Bob — Sei già sbronzo.                       

Polyte — Da bere.                                                  

Bob — L'ultimo, eh, uno solo.                          

Oscar — Io la prendo sul serio.

Irma — Sarà stupido, ma mi fa piacere sentirle dire questo.

Oscar — Che fine ha fatto quel signore lì?

Irma — Quale?

Oscar — Quello dei versi.

Irma — Gli è morta la moglie, e da allora non s'è visto più.

Oscar — Veniva spesso, quando la moglie era viva?

Irma — Sì, per consolarsi... (Pausa, imbarazzata, a sua volta) Ecco fatto.

Oscar (a disagio) — Ecco fatto. (Pausa) La sedia è quella?

Irma — C'è solo quella.                                              

Oscar — No... Dicevo per i vestiti.

Irma — Sì, sì... E lei come si chiama?

Oscar — Oscar.

Irma — Bello.                                                   

Oscar — Beh... sa... i nomi...

Irma — Sì, sì... (Sempre più imbarazzata) Senta, signor Oscar, se le va di fumarsi una sigaretta, ecco, guardi, nel corridoio...

Oscar  — Sì,  sì...

Irma — Sì, sì, vada, vada, che simpatico, è proprio simpatico.

(Buio. Musica di scena. Di nuovo luce nella camera)

Oscar — Grazie, piccola. (Le pizzica l'orecchio, più o meno come Napoleone doveva pizzicarlo ai suoi ve­terani) Lei è molto attraente!

Irma (con umiltà) — Faccio del mio meglio, signore...

Oscar — Non cerchi di sapere chi sono. Per lei io sono il signor Oscar, semplicemente. Ecco diecimila franchi. Verrò ogni giorno, e ogni giorno le darò al­trettanto. A una condizione, però. Lei non riceverà altri all'infuori di me.

Irma — Glielo giuro, signor Oscar.

Oscar — Penso però che ci sarà un uomo, uno fra tutti, me escluso, che le starà particolarmente a cuore...

Irma — Beh!...

Oscar — Non è il caso d'arrossire, bambina mia, è perfettamente naturale. Quello sì, ma nessun altro!

Irma — Glielo giuro! Arrivederla, signor Oscar, a domani.

Oscar — Arrivederci, signorinella!  (Irma esce)

Nestore — Non m'ha riconosciuto, neanche nella intimità. Grazie al cielo, non è fisionomista. (Toglie dalla tasca un taccuino e scrive) Martedì, 26. Uscite: diecimila.

(Buio. Musica. Luce sul Bar-dei-Duri dove Polyte-il-Mollo gioca a carte con gli altri «duri»).

Jojo — Atout, atout e ratatout!

Polyte (più sordo che mai) — Eh?

Jojo (gridandogli all'orecchio) — Atout!

Maurice (rincarando con un acuto) — Briscola!

Polyte — E va bene! Non sono mica sordo.

Jojo — Ratatout!

Polyte — E io taglio!

Jojo — Pena!

Polyte — Che dice?

Roberto (gridando) — Pena!

Maurice — Pena!

Polyte — Perché, fiori non taglia?

Jojo (mettendo il coltello sul tavolo) — Perché, que­sto non taglia?

Roberto (scaccolandosi su Polyte) — Bada che ti fa la bua.

Maurice — E' cambiata la musica, eh?

Polyte (giocando una carta) — Quadri...

Jojo (minaccioso) — Gli occhi!

Polyte (impaurito) — Passo!

Bebé — Sul tuo cadavere.

Jojo — Pena, pena, e ratapena! (Raccoglie le carte e conta i punti con estrema rapidità) 17 e 4, 31, più 6, più 8, più 12, 94, più 11 di assegni familiari, fondo se­gue 134, 5 dell'altro ieri, 10 di ieri, 15 di oggi, più la percentuale per l'Abate Pierre, Pippo fatti le tue e chi ci ha le corna se le gratta!

Polyte — Cip.

(Buio. Luce sulla soffitta, dove Irma ritrova Nestore)

Irma — Sgualcito mio! Sono pazza di gioia! L'ho trovato!

Nestore — Chi?

Irma — Il vero, il solo, l'unico, il salvatore, un si­gnore con la barba. Un tipo distinto, intelligente, ge­neroso e tutto. Ti piacerà sicuramente.

Nestore — Scusa... Quanto?

Irma — Diecimila. (Gli dà i diecimila franchi. Ne­store si volta, estrae il taccuino, controlla i numeri dei biglietti e scrive) Che fai?

Nestore — Segno. Martedì. Entrate: diecimila.

Irma — Va bene, no?

Nestore — Non c'è male.

Irma — Guarda, sono biglietti ancora nuovi. Tutti i giorni così.

Nestore (solenne) — Irma, questo è un gentiluomo. Prometti che non lo tradirai?

Irma — Te lo giuro!

Nestore (sospettoso) — Senti... non sarà troppo gio­vane almeno?

Irma — Avrà l'età tua... Ma è più distinto.

Nestore (a parte) — Zoccoletta! (Ma poi si rende conto che si tratta d'un complimento perché in fondo Oscar è lui stesso) E' uno che sta bene, insomma?

Irma — Molto bene, molto elegante! (Nestore s'al­lontana per farsi il nodo alla cravatta, molto lusin­gato) Sono felice!

Nestore — Anch'io!

(Buio. Luce sul bar dove Bob discute  con  Bebé.   Gli altri stanno  ancora   giocando)

Jojo — Dai, profilino, la spedisci questa carta?

Polyte — Cuori!

Jojo, Maurice e Roberto — Pena!

Polito: — Picche!

Jojo, Maurice e Roberto — Picche!

Polyte (disperato) — Fiori...

Jojo (raccogliendo tutto la puglia) — Del mio giar­dino!

 

(Risata generale, mentre Polyte si mette a pian­gere)

Bebé — Un uomo è questione di budella. Questo Polyte è uno da niente, un minestrone e basta. Ab­biamo fatto bene a sganciarlo.

Bob — State in guardia. Lo sfottete troppo.

Bebé — State in guardia? Quello, Bob, è un « duro » metropolitano, un « duro » per turisti. Non come noi che ci siamo fatti la ghirba nella casbah. Tutto fumo.

Roberto (avvicinandosi) — Mi rifili la cicca?

Bebé (a Maurice) — Come mai non è qui la tua donna?

Maurice — Sta staccando un tagliando.

Bebé — Vanno poco, i tagliandi, in questo momento, eh?

Roberto — Non  circola moneta.

Polyte (debolmente) — A chi lo dite!

(Jojo lo am­mutolisce con un'occhiata e gli accende un fiammifero sulla capoccia. Roberto maramaldeggia anche lui, or­mai, buttandogli addosso la cenere della cicca. Polyte subisce)

Tutti — Zitto!

Jojo (alzando la voce) — Non circola moneta! Non circola moneta! Ma non mi fate ridere, va'! Non cir-cola moneta... Ah ah! E intanto lo Sgualcito rimedia un « verdone » al giorno!

Maurice e Roberto — Un « verdone »?

Jojo — Un « verdone », certo, sissignori. Che fanno trecento sassi al mese, quasi quattro « mattoni » al­l'anno,  con la doppia  mensilità!

Roberto — Insomma, lo Sgualcito è qualcuno! Lo Sgualcito ha classe! Si nasce, capite! E' questione di...

Tutti — ...pelle!

Bob(al pubblico, confidenziale) — Era tutta un'altra questione, invece. Certo, all'apparenza, Nestore-lo-Sgualcito non aveva motivo di lamentarsi. Diecimila franchi al giorno, uno non ci sputa sopra. Solo che quei diecimila franchi avevano un difetto, erano sem­pre gli stessi. Così ogni mattina Nestore si metteva la sua barba finta e sotto le mentite spoglie del si­gnor Oscar si dava a vergognosi lavori clandestini.

(Si vede il signor Oscar che dà la cera a un pavimento di legno muovendosi al ritmo dei pattinatori)

Bob— Sì, Nestore-lo-Sgualcito. il capo dei « duri », lucidava pavimenti per reclamizzare una nuova marca di cera.

Bougne — Mi raccomando, Oscar.

Nestore — Sì, signor Bougne.

Bougne — Che la cera sia ben tirata.

Nestore — Non dubitate, signor Bougne.

Bougne — Come uno specchio lo voglio.

Nestore — Resterete contento, signor Bougne.

Bougne — Mano leggera, Oscar.

Nestore — Sì, signor Bougne.

Bougne — Come uno specchio.

Nestore — Resterete contento, signor Bougne.

Bougne — Stretti i gomiti. Oscar.

Nestore — Agli ordini, signor Bougne.

Bebé — Nato per comandare.  Nato avventuriere.

Jojo — E pensare che lo prendevamo per un im­becille!

Roberto — Hai voglia a dire, l'istruzione serve.

Maurice — Altroché, se serve!

Bebé — Ha una classe unica, Nestore. Avete fatto caso a quell'impareggiabile movimento della gamba? Pare niente, ma è di uno chic!

Roberto — Beh, ti dirò... Quello potrei farlo anch'io, e altrettanto bene. (Accenna il movimento della gamba)

Bebé — No, vecchio mio... E' tutta un'altra cosa. E' nel sangue, innato. Come la mia camminata.

Jojo (sarcastico) — Sciatica!

Bebé — Classe!

Maurice — Classe, appunto.

Bebé — Classe... Pelle...

Jojo (estraendo il coltello) — Perché, non ho clas­se, io?

Bebé (alzandosi) — Perché, non tieni alla pelle, tu?

Jojo — Vieni fuori, spieghiamoci!

Bebé — Alla rusticana.

Jojo — Alla rusticana, come i nostri padri.

Bebé — Sui bastioni.

Jojo — Alla rusticana sui bastioni.

Bob (stancamente) — Non ci sono più bastioni.

Jojo e Bebé — Sicuro?

Tutti — Non ci sono più.

Jojo e Bebé (rinfoderando i coltelli) — Ti è andata bene.

Bebé — Vedi, tu non sei più il nostro capo.

Maurice — Il nostro capo è Nestore.

Roberto — Nestore, lo Sgualcito.

(Polyte-il-Mollo, seccato, si volta e mette il broncio)

Bebé — Nestore la sa lunga. Ne deve conoscere, lui, di  imbrogli per ingrossare il malloppo!

Tutti (estasiati) —- Il malloppo!

Bob (al pubblico) — Parlano in gergo, scusateli. Il malloppo... La grana, la sabbia, l'ossigeno, i sesterzi... Il grisbì!

Polyte — Il grisbì...

Tutti — Zitto!

Bob e Coro (cantando):

Esiste un'erba strana / che miracoli fa.

Balsamo e toccasana / d'ogni  felicità.

E tal sostanza arcana, / quest'ottima tisana.

C'è chi la chiama grana / e chi così o così...

« To be or not to be ». / Cambia il nome, sì, sì:

Ma il farmaco sta qui / e il suo nome è « grisbi ».

In nome del danar / puoi perfin... che? / Lavorar! Bob:

Dell'oro il bel « din-din » / Questo ed altro fa far. Coro:

Si vive per i dollari, / le lire, i franchi, i talleri.

Amici, amor, son lallere / Di fronte ad un tarì.

« To be or not to be ». / Parla, parla, sì, sì.

Ma siamo sempre lì: / Ciò che conta è il « grisbì ». Bob:

Ehi, bimbo, cosa adocchi?

Coro;

I baiocchi.

Bob:

Eh, « mon vieux »? / Se il gruzzolo mi tocchi

Io ti fo gli occhi bleu.           

Jojo:

Attento a come sterzi  / Io non ammetto scherzi.

Bebé:

Infatto di sesterzi / In guardia, mon ami.

Coro;

« To be or not to be ». / Patti avanti, chéri.

Scherziamo con i santi / ma non col « grisbì »   

Non t'accostare troppo / se punti sul malloppo

parola mia t'accoppo. / Ti schioppo, mon ami.

« To be or not to be ». / Via le mani di lì.

Polyte :

Calpesta il mio cadavere.

Coro:

Ma salva il « grisbì ».

(Buio. Luce sulla camera di Irma).

Oscar — Posso sbagliare, ma un momento fa... Lei vibrava.

Irma — Come?                              

Oscar — Vibrava... terza persona singolare del­l'imperfetto del verbo « vibrare »... dal latino omo­nimo...

Irma — Beh, sì, signor Oscar.

Oscar — Sì, è quello che volevo sapere. A domani. (Rimasto solo, Nestore-Oscar medita. Ha in mano un gigantesco corno da scarpe) Vibrare... vibrare... Pro­prio questo. Dunque, mi tradisce... E con chi? Con me stesso. Ma allora, se sono io stesso, non vale. Ah, ah! Riflettiamo: mi tradisce... Vibrare. Non se ne esce : vibrare. Con me, d'accordo; ma non d'accordo con me! Con me, sì, ma lei non sa che si tratta di me. Perché? Io forse lo so?... Insomma, io sono due volte tradito e due volte traditore... Farsi in quattro per essere cornuto. Che miseria!

(Durante il monologo e durante la canzone che segue. Oscar si toglie la barba e ridiventa Nestore. Poi passerà dalla camera del­l'Hôtel alla soffitta dove vive con Irma. Commento di sola musica. Tutto può svolgersi come una specie di  balletto interrotto dalla canzone)

Nestore  (canta su aria di giava):

Avevo un  «pedigree »  pieno zeppo di

Buone referenze. / Calcavo i marciapié

Fiero assai di me, / Fra  le reverenze.

Ma dal momento che / Lucido i  « parquets »,

Oh, che decadenza!

Regno più non ho, non ho più onor:

Non son più che un traditor.

Sudo il sudor / Traditor / Del lavorator.

Disonorato /  Ho il mio stato / Di malfattor.

Seguo la legge. / No, non mi regge

A quest'onta il cuor. / Son candidato

All'estremo orror:  /  La Legion d'Onor.

Son - Dio che scempio!  / Un vivente esempio

D'alacrità. / Già mi si cita, / Ai piccin m'addita

Ogni buon papà. / Ero una lenza, / Ero una potenza

Nel mio rion! /Or - sorte cruda –

Non son che un Giuda, / Un verme son!

Addio, fanciulle che / Sfruttavo come un re

Fiero e principesco...  / Addio balda stagion

Quand'ero un  mascalzon!   /  Subdolo e manesco...

Addio, fulgor d'un dì, / Dì che ormai finì

E scordar non riesco.

Ero un tempo dei gaglioffi il re:

Ora lucido i « parquets »!  / Striscio il piedino.

Strofino / Con compunzion. / Stendo la cera

Che nera! / Che delusion! / Non c'era un duro

Di sé sicuro / Al pari di me: / Classico bullo,

Ma - ahimè - fasullo / Fasullo - ahimè!

Donne e ragazze / Di me eran pazze

Ero un gran pascià:  / Picchiavo, amavo,

Ed incassavo, / Senza pietà. / Dritto, efferato,

Maleducato, / Come Landru:  / E invece, or'ecco

Non son che un becco:   / Son un « cocu ».

(Buio. Luce tu Palyte-il-Mollo).

Polyte (sospirando) — Cocu! A chi lo dici! Nestore. Nestore, slombato m'hai! Capo cervo senza corna e capo banda con le corna non valgono più un corno!... Ma te aspetto, e io ti sistemo! Mi chiamano anche Polyte-il-Vendicativo...

(Buio. Luce su Irma e Nestore in soffitta)

Irma — Sapessi come veste con gusto!

Nestore — Non esageriamo!

Irma — Non esagero affatto. Basterebbe la cravatta, guarda!

Nestore — Cosa? La cravatta?

Irma — Il nodo.

Nestore (irritato) — Beh? E' tanto difficile farsi il nodo alla cravatta? Guarda... Un giro... un altro giro... stringo... questo va più lungo... Ecco fatto! (Dietro, la

cravatta gli passa sopra al colletto. Irma scoppio a ridere) Che hai da ridere? Sta benissimo, no? Irma — Povero cocco!

Nestore   (secco) — Cocco,  un  corno!...  (si aggiusta la  cravatta)  Ecco qua.  Non occorrono poteri  occulti per farsi il nodo alla cravatta.

Irma — Ora infatti sta bene.

Nestore (trionfante, ma modesto) — L'abc dell'arte...

Irma — Sta bene, però... non è come la sua! E poi il signor Oscar...

Nestore — Il signor Oscar, il signor Oscar...

Irma — Di' quello che vuoi, è un uomo come si deve. Ha un sacco di qualità.

Nestore — Lo so perfettamente. Parli sempre di lui...

Irma — Oh! Sempre...

Nestore — Sissignora...

Irma — Ohé, che ti gira? Niente «signora », per piacere, eh? Che t'ho detto di lui?

Nestore — Per esempio, che il signor Oscar... Beh, sì ... sa l'ortografia.

Irma (con forza) — Certo, sa l'ortografia, sì...

Nestore — Ma anch'io!

Irma — Lo so, che sei istruito, che sai l'ortografia... che l'hai sempre saputa. Però... è tutt'altra ortografia! Quello che è certo è che il signor Oscar ha un carattere migliore del tuo. E' un tipo molto educato, davvero. Anzi, se vuoi te lo faccio conoscere.

Nestore — Sì, buona, questa! Io, conoscere il signor Oscar? Senti: tu mi conosci, sai che non mi do arie, che non sono presuntuoso. Ma, detto fra noi, Irma, il tuo signor Oscar, in fin dei conti, è solamente un fesso!

Irma — Può essere! Però lui...

Nestore — Sa l'ortografia!

Irma — E non solo quella! Se lo vuoi sapere, sa anche la virilità. Virilità, hai capito? Lui « può ».

Nestore (sconvolto) — Zoccoletta... Disgraziata (Le­va la mano, ma si trattiene, e si prende la testa fra le mani)

Irma (crudele) — E' vero o no, scusa? D'accordo, ci sono giorni in cui dimostri meno della tua età, ma ci sono anche notti in cui dimostri il doppio!

Nestore — Irma, ci sono momenti, nella vita, nei quali si ha bisogno di rinchiudersi in se stessi.

Irma (commossa) — Non volevo farti del male.

Nestore — Mia Dolce!

Irma — Sgualcito mio!

Nestore — Ci amiamo tanto, vero?

Irma — Come il primo giorno... Del resto che m'im­porta a me, del signor Oscar? E' solo perché parla bene...

Nestore (conciliante) — Dopo tutto, ha diritto di saper parlare...

Irma (sollevata) — Ah, per questo, accidenti, se par­la bene! L'altra sera m'ha detto una parola in « ava »...

Nestore (calmo) — Chiunque dice parole in « ava », amor mio; basta conoscere i verbi, l'imperfetto...

Irma — L'imperfetto, lui... mi ricordo, ecco. Ha detto: «Poco fa, lei vibrava».

Nestore — E a quale proposito, scusa!... Senti, io non sono uno stupido. E ne ho abbastanza di parole in cavai e di sottintesi...

Irma — Ma sta' a sentire...

Nestore (molto in collera) — Sta' a sentire tu, piut­tosto. Parole in « ava » ne ho anch'io, e quante ne vuoi... E anche in « ana », capito? Lasciatelo dire, il tuo signor Oscar, in fondo in fondo, è un bel por­caccione!

Irma — Ma intanto, il « verdone » giornaliero del signor Oscar ti fa molto comodo...

Nestore — E allora guarda: digli da parte mia che ti dia dei soldi meno schifosi! Al principio, poteva passare! Ma adesso... puah! Parola mia, in banca non glie li accetterebbero!

Irma — Non gli dirò niente di niente!

Nestore — Gli dirai che non ho paura di lui!

Irma — Non hai paura! Mi fai proprio pena, guarda. In un boccone, ti manda giù.

Nestore (al culmine dell'esasperazione) — L'ammaz­zerò... L'ammazzerò! E  te, non  ti voglio più  vedere. Vattene!  Per sempre! E se rientri  tardi sono guai! (Cade a sedere, abbattuto, mormorando ancora) « L'am­mazzo,  l'ammazzo! »

Polyte — Ti sistemo! 

(Buio. Luce su Polyte-il-Mollo, che — munito di un grande corno acustico — ha udito le ultime parole di Nestore. Polite ha — una volta tanto — un'idea, un'idea diabolica. Si frega le mani e si allontana. Buio. Luce su Irma, che attende con ansia il signor Oscar. Costui arriva poco dopo, fi­schiettando)

Irma — Signor Oscar, signor Oscar, sapesse che scenata terribile, poco fa! Lo Sgualcito non è mai contento. Sempre geloso. Che devo dirgli, signor Oscar?

Nestore — Che m'ha rotto  le scatole, digli!

Irma — E' la prima volta che lei mi da' del « tu ».

Nestore — Ma piantalo, che aspetti?

Irma — Come si vede che non lo conosce! Piantarlo. Ah! Magari!

Oscar — La maniera c'è sempre.   

Irma — E' una parola!

Oscar — Ma è tanto un bell'uomo?

Irma — Uhm! Un bell'uomo! (Oscar appare sec­cato) Sul tipo suo. (Oscar si rassegna) Ma adesso è andato così giù!

Oscar — I miei soldi però se li prende lo stesso, eh?

Irma — Non mi piace sentirle dire queste cose, signor Oscar.

Oscar — Irma, scusa, ma... Non ti pare che potrei essere  geloso anch'io?

Irma (che non ci aveva mai pensato) — Già, è vero, a pensarci bene. E credo anche che lei lo sia, in fondo in fondo.

Oscar — Geloso, sì, forse. Irma, devi scegliere. Fir­ma questa lettera.

Irma — Che cosa gli dico in questa lettera?

Nestore — Che lo pianti.

Irma — Ne morirebbe.

Oscar — Non muore nessuno per queste cose. Bi­sogna capire quando non si può più andare avanti. Bisogna agire in tempo.

Irma   (piangendo)  —  Quanto  soffro,  signor  Oscar!

Oscar — La vita è una valle di lacrime, bambina mia! Da' a me, l'imbuco io e da oggi io vengo a vivere con te.

(Buio nella camera di Irma. Oscar attraversa la scena, getta nella propria camera lo lettera firmata da Irma, quindi iniziando a struccarsi in vista del pubblico, entra in camera sua e come Nestore raccoglie la lettera)

Nestore — Toh! Una lettera e chi sarà che mi scri­ve? Certo qualche conto arretrato di Bob, (Apre la lettera e la legge) Zoccoletta!

(Buio in camera di Nestore)

Bob (entrando nel bar) — Zoccoletta, zoccoletta, si fa presto a dirlo. Sì, certo qualcuno in principio pensò che la scelta di Irma fosse dettata dall'interesse, ma ben presto ebbe modo di ricredersi. Il signor Oscar, in realtà non era affatto l'uomo facoltoso che sem­brava, ma un povero diavolo in continua lotta con il suo bilancio quotidiano. Passarono lunghi mesi di ri­strettezze per la povera Irma, finché una sera... (musica in sottofondo) era primavera ormai e Parigi è tanto piccola - durante una delle sue caste passeggiate, Irma si trovò faccia a faccia con il suo primo amore.

Irma — Sgualcito!

Nestore  — Mia  Dolce!

Irma  — Sapessi come  sono contenta di rivederti!

Nestore — E io? Sentissi come mi batte il cuore!

Irma — Sul serio?

Nestore — Sul serio.

Irma e Nestore (Cantano):

Sei tu... Son io... Sei tu...

Dov'è che vai... io qua... Io là...

Andrò... Ma tu... su di'... Si va...

No, no... Ma sì... Non so... / Tu... Te... Tu...

Eh, già... Si sa... «« ça va »...

Ma come  mai?...  Tu  qua?...  Tu  qua?...

Per te... Per me?... Ma sì... Fin qui?...

Beh, no... Però... Sei tu...  / Tu... te... tu...

E batte batte ogni cuor / Sopra il ponte dell'amor...

E scorre scorre l'amor / Lungo il fiume traditor...

Uuhm...  uuhm... uuhm...

Ricordi, amor?... Io sì... E tu? / Uuhm...

E allora perché finì? / Chi fu? Non io... E tu?

Sì?... Sì?... no!...

E batte batte ogni cuor / Sopra il ponte dell'amor­…

E scorre scorre l'amor / Lungo il nume traditor...

Nestore — Che se n'è fatto, del tuo pollo?

Irma — Non ha più soldi. Ha perso il posto.

Nestore (scettico) — Che mi dici!

Irma — E' vero, è vero. Io l'ho anche pedinato... S'è messo a lucidare pavimenti. Nestore, io non ce la fac­cio più. Mi rimetterò a lavorare. E' un punto d'onore.

Nestore (vivacemente) — No, Irma, no, non far questo, mai! Guarda, piuttosto che farti rimettere a lavorare, sarò io il tuo cliente. Ti darò un « verdone » al giorno. Ecco qui, un giorno anticipato. (Le dà un fascio di biglietti e ne segna l'uscita sul suo taccuino)

Irma — Ma come farai?

Nestore — Mi arrangerò!

Irma — Oh, Sgualcito... Grazie! Di', sono un po' schifosi questi biglietti.

Nestore — Sei diventata schizzinosa, eh? Dalli al signor Oscar. In fondo è stato sempre preciso con te. Ma sì, dagli il tuo « verdone » tutte le sere.

Irma — Non sei più geloso allora?

Nestore (disinvolto) — Geloso, io? Non mi confon­derai con qualcun altro?

Bob — E così, i dieci biglietti rifacevano la strada inversa. Il doppio gioco dell'Amore e del Caso. Ma — nella vita c'è sempre un «ma » — Nestore non era felice. Pare nulla, la gelosia, e invece può far saltare il mondo. Nestore era geloso da morire del signor Oscar, e viceversa. In poche parole come si metteva, non ce la faceva, era incapace di... sopportarsi. Avreb­be potuto uccidere il signor Oscar, o viceversa: ma in ogni caso era un omicidio troppo suicidio per ri­scrivere la cosa. Decise di avere una spiegazione con il suo rivale. In una notte tormentata, come le altre, s'alzò quatto quatto, e, con passo d'automa, si avviò come ad un misterioso appuntamento. L'avrete ca­pito, era un appuntamento col signor Oscar.

(in un occhio di luce appare Nestore che tiene un dialogo con varie immagini di Oscar proiettate di fronte a lui)

Nestore — Oh. eccoti qua! (Brusco) Devo par­larti!

Oscar  — Sono  a  sua  completa  disposizione.

Nestore — Puoi pure darmi del « tu », non ti pare?

Oscar — D'accordo. Dunque?

Nestore — Dunque, così non si va avanti. Uno di noi due è di troppo,                                                  

Oscar — Stavo per dirlo.                                        

Nestore — Barbuto!

Oscar — Cornuto!

Nestore — Non ti vergogni?

Oscar — Di che ti lagni?                 

Nestore — M'hai portato via  Irma-la-Dolce.

Oscar — Non te l'ho portata via io. E' che se ne è  andata.

Nestore — Devi scomparire!

Oscar — Se ci tieni!

Nestore — Altroché!                          

Oscar — Per me sarà un riposo.                           

Nestore — Allora.  Che  si  fa?

Oscar — Ho capito: sono di troppo.

Nestore — E quando si è di troppo.

Oscar — Non  resta che  eclissarsi.

Nestore   —  Finalmente!

Oscar — Ciao!

Voce di Strillone — Nella Senna rinvenuto un cadavere barbuto / donde  esso  sia   venuto è  un dilemma bicornuto.

Nestore — Addio, signor Oscar!

(Buio e scompare l'immagine di Oscar. Polyte parla all'orecchio del commissario. Il commissario a tua volta confabula nell'orecchio  di Polyte)

Commissario — Ho ricevuto il vostro scritto, ciò che mi riferite riveste ed investe implicazioni del massimo momento. Avete ben ponderato l'entità del­la vostra statuizione? (Polyte lo guarda senza espres­sione. Il Commissario, perdendo la pazienza e lo sti­le) Sei sicuro di  averli  visti  insieme?

Polyte — Eh... ah... eccome! E Nestore, l'ho sen­tito altre volte minacciare.

Commissario — Senza eventualità d'equivoco? Insomma,  l'hai sentito chiaramente?

Polite — Eh! Lei fidatevi del  mio  orecchio!

Commissario (solenne) — In tale concomitanza, non mi residua che rivestirmi delle facoltà esecuti­ve onde procedere alla concreta detenzione dell'« habeascorpus », oltreché diffidarvi « in toto » dalla di-serzione del perimetro urbano, pei susseguenti usi testimoniali.   Intesi?  (ai suoi due Aiuti)   Traducete.

1° Aiuto  (a Polyte) — Devi  restare in città!

2° Aiuto — A disposizione del giudice!

Commissario — Quando è prevista l'inumazione?... Il funerale!

Polyte — Ah! Domani.

Commissario (agli Aiuti) — Teniamoci pronti!

(Buio. Musica. Luce sul Bar-dei-Duri)

Bebé (che ha in mano un giornale con le foto di Oscar in prima pagina) — Che schifo, il destino! Oggi a lui, domani a lui, dopodomani a te...

Maurice  — Senza preavviso...

Bebè — Bella morte, però. I giornali ne sono pie­ni: perfino la copertina, ha avuto.

Roberto — Io non sono mai andato oltre le due ri­ghe in  cronaca.

Maurice — Quando canterò alla Scala, le avrò an­ch'io, le copertine.

Bebé — Fai prima a morire  ammazzato anche  te.

Roberto — E'  poi sicuro che l'hanno fatto fuori?

Jojo (sarcastico) — No, è morto, d'indigestione di fragole.

Bebé — Il  cinismo  umano...!

Jojo — Perché, dovrei piangere? Manco lo cono­scevo. Tu lo conoscevi, Bob?

Bob — So solo che aveva la barba. Non è mai ve­nuto nel bar. Pessimo cliente.

Bebé — Non per Nestore, ad ogni modo. Un « ver­done » al giorno, eh, e tutti i giorni che Dio ha creato.

Bob — Zitti! Arriva la Dolce. Porta il lutto, ra­gazzi mi  raccomando.

Maurice  — Ha sentimento,  però,  quest'Irma,  eh?

Jojo (cinico) — Quasi quasi mi viene da piangere.

Roberto — Le dona  il  lutto!  La  fa  anche più...

Bob — Stai zitto, maiale! E voi non state a rom­perle le scatole. E' addolorata. Perché le parole.

(I « duri » si avvicinano a Irma che, in lutto, scende le scale,  scorrendo le  pagine di  un altro giornale)

Maurice  —  Il   tempo  calma  molti  dolori...

Jojo — Scherzando, scherzando, quanto si muove, eh?

Bebé — Io ti capisco, bimba, si è soli a volte...

Roberto — Se ti serve un po' di compagnia... (Be­bé gli dà un calcio) dopo il funerale, naturalmente...

Polyte   (impacciato) — Be?...  ciao...

Irma (sempre con gli occhi sul giornale) — Gra­zie...  Grazie...

Bob — Bisogna rassegnarsi. Sai, la morte... E' la vita, che ci vuoi fare? Che cosa cerchi ancora? (Irma canta tristemente, mentre affluiscono altri avven­tori del Bar, cittadini e cittadine. Recano corone con scritte varie)

Irma

Febbre  gialla  a  Rangoon...

Guerra nel Camerùn... / Accoltella due ladri...

Vitella con tre padri... / Mancia competente...

Nato un presidente...  / Segna sette goals...

Chiedi un Aperol...  / A.A.A. Affarone...

Shakespeare era Bacone...

Piove stereo a Bordeaux... / Ma io non cerco ciò...

Io  cerco chi è, / chi mai, chi fu, / chi è stato che

ha torto il collo / o messo a mollo

il  mio chuchu, / il mio bebé / che non è più.

Di certo par, / mio buon Oscar,

che un  assassin /o ti strozzò /o t'annegò:

qual triste fin  / mi ti strappò!

Topin tapin! Chi t'accoppò?

(Ad uno ad uno, riprendendo il refrain, tutti si stringono attorno a Irma per le condoglianze)

Coro (I « duri » porgendo le condoglianze a Irma):

Era un vero signore  / Un gran  lavoratore...

Quale  calamità...  /  In sì  giovane  età...

Perdita   irreparabile...  / Vedova   inconsolabile...

Complimenti... Pardon!... / Si faccia una ragion...

Partecipo   al   dolore...  / Condoglianze  sincere...

Ottimo funeral...  / Ma piangere che vale

Buone esequie, di cuor... / Un requie, niente fior...

Era un figlio, per me...  / Lo  servono  il  buffet?...

Già preparato il loculo?...

Quel lutto è un po' ridicolo...

Semplice ostentazione.... / Pessima inumazione!

(Arriva il Becchino, con i suoi due Aiuti. Fa un breve discorsetto, sistemando il corteo come per una polca. Jojo e Bebé, sempre litigando, si dividono i cordoni, Roberto dà il braccio a Irma. Sopraggiunge Nestore)

Irma —  Nestore.

Nestore — Dolce, seguilo tu al cimitero. Sai, non mi pare delicato.

Becchino (in disparte, a Polyte, accennando verso Nestore)  — E'  lui?

Polyte — Lui.

Becchino :

Teniamoci pronti;  avanzare  col feretro

il corteo prenez place;

a suivre con i cordoni;

chanson pour la promenade.

Maurice — Cantare, io?

Tutti — Zitto!

Becchino — Chanson pour la promenade! Chiaro?

(I due Aiuti sollevano la bara, e Maurice finalmente si sfoga, intonando il canto funebre, sul solito refrain. Poi tutti  lo accompagnano  e  il corteo si avvia...)

Maurice — Mi-mi-serer / Mi-se-serer / Mi-mi-serer. / Mi-se-serer.

(il coro riprende « Mi-miserer » men­tre il becchino-commissario continua a dare ordini da quadriglia : « Soulevez la caisse en position, marchez en avant, la revérence, marchez en arrière, plus vite encore, foutez la paix. changez la dame ». Nestore se­duto in prima, ride divertito. Al terzo o quarto giro i due Aiuti d'un tratto si tolgono le divise, ritornano commissari e nel frattempo il corteo è uscito di scena)

I° Aiuto — Signor Nestore detto lo Sgualcito!

Nestore — Eccomi qua.

II° Aiuto — In nome della  legge siete in arresto!

Nestore   — Perché?

Commissario — In nome della legge, Nestore lo Sgualcito, siete in arresto per l'assassinio del signor Oscar! Chiaro?

(Cala il siparietto-schermo sul quale è proiettata la frase « L'ingiustizia è uguale per tutti»)

Nestore  (davanti al siparietto) — Irma?!

Irma (entrando da sinistra) — Nestore!

(Si buttano nelle braccia uno dell'altro. Un poliziotto li divide e fa uscire Irma. Si alza il siparietto e si illumina un ipotetico tribunale in una piazza di Parigi. Il presi­dente legge silenziosamente un rapporto della polizia. I « duri » assistono al processo)

Presidente — Chiaro? I rapporti della polizia so­no inequivocabili. Voi convivevate con una donna pubblica:  Irma-la-Dolce.

Nestore — No.

Presidente — Dite  « No, signor Presidente ».

Nestore — No, signor Presidente.

Presidente — Come no? Non convivevate con una donna pubblica? Il di voi domicilio corrisponde al di lei, Rue Colibrì, numero 23.

Nestore — Irma-la-Dolce non è una donna pub­blica.

I « Duri »— E' vero.

Pubblico Ministero — Non più, cioè.

Presidente — Non chiederei di meglio che credervi, ma tutte le testimonianze collimano nell'affermare il contrario. Pubblica vox... L'opinione...

Nestore — L'opinione, ecco, quella è pubblica.

(Ru­mori nell'aula, che parteggia per Nestore. Il Presidente picchia sul tavolo con il suo règolo)

Presidente — Non vi chiediamo di far dello spirito, particolarmente ove sia di questa lega. La signorina Irma, alias la-Dolce, si dedicava ogni sera, sul Ponte Caulaincourt, all'adescamento dei passanti.

Avvocato — Aveva smesso questo genere d'attività da oltre un anno.

Presidente — Avvocato, lei potrà fare la di lei arringa dopo. Chiaro?

Pubblico Ministero — Questo significa negare l'e­videnza!

Avvocato — Signor Procuratore, lei potrà fare la di  lei  requisitoria  dopo.   Chiaro?

Presidente — Lasci parlare  il Pubblico  Ministero!

Pubblico Ministero — A verbale.

Avvocato — Mi oppongo!

Pubblico Ministero — Opposizione accolta!

Presidente — Sono io che devo dirlo.

Nestore (alzandosi in piedi) — Sono  innocente!

Presidente — Silenzio. (Le guardie fanno risedere Nestore. Il Presidente sì volge al Pubblico Ministero) Diceva?

Pubblico Ministero — Quando una donna sche­data cessa di darsi alla prostituzione, nulla le impe­disce  di farsi cancellare dai  registri.

Presidente — E' evidente.

Avvocato — Non è  tanto facile come sembra...

Presidente — Avvocato, il suo cliente è accusato dell'eliminazione di un certo signor Oscar, dal quale, attraverso la di lui  amica, era mantenuto.

Nestore — E' falso.

Presidente — Silenzio! O dovrò usare i miei poteri discrezionali e rinviare il processo « sine die»! E' assurdo che non si possa dire una parola senza sen­tirsi interrompere da una testa di...

Avvocato (vivamente) Una testa di...? Signor Pre­sidente, prendo nota. Una testa di?...

Presidente (con prudenza) — Una testa... di ac­cusato.

Avvocato — Proprio così? Una testa di... accusato? Senza elisione, senza apostrofo, « Una testa di... ac­cusato ». Con lo iato cacofonico fra la « i » e la « a », vero?   (Risate e applausi)

Pubblico Ministero — Il contegno della difesa è inammissibile.

Avvocato — Il contegno dell'innocenza, lei voleva dire...

Presidente  —  Mi  oppongo.

Avvocato — A  verbale.                   

Presidente — Mi oppongo.

Pubblico Ministero —  Ma  toccava a me stavolta.

Presidente — Silenzio. Sarò costretto ad aggior­nare il dibattito se ci si ostina ad usare un tono che devo qualificare inqualificabile! (Risate nell'aula) Si­lenzio nell'aula! Simplicem adimus casum... Il caso di cui ci stiamo occupando è semplice. Irma-la-Dolce viveva del denaro che le dava il signor Oscar. Intesi? L'accusato, a sua volta, si faceva mantenere dalla di lui amica, la summentovata Irma-la-Dolce. Risulta inoltre, quod maius est, ch'egli ne era geloso.

Avvocato — Signor Presidente, mi vien fatto di pensare quanto vi sia d'impensabile, di straordinaria­mente impensabile in questa affermazione. Sappiamo tutti, per quanto poco informati di certe abitudini, che il carattere precipuo dell'individuo uso a farsi mantenere dalle donne è proprio quello di ignorare la gelosia. Non le pare che l'accusa scivoli a questo punto sulla buccia di un controsenso? Se si ammette che il signor Oscar forniva i mezzi di sussistenza al mio cliente, egli non avrebbe potuto che augurargli lunga vita, a questo signore. E' limpido come l'acqua sorgiva! Via, non si uccide il gallo dalle uova d'oro!

(Rumori  nell'aula)

Pubblico Ministero —  Immagine  ardita, dirsi.

Avvocato — Meno dell'accusa certamente. Insom­ma, signor Procuratore   Generale, confessi che...

Pubblico Ministero (vivacemente) — Non ho nul­la da confessare.

Avvocato (trascinato dall'abitudine) — E' quel che vedremo! 

(Risate dei « duri »)

Presidente — Silenzio! Guardie, fate rispettare il silenzio! (Agita  il campanello)

Nestore (nella confusione) — Sono innocente! So­no innocente!

Presidente  — Silenzio!

Nestore — Avrò diritto d'essere innocente, no?

Presidente — Quand'anche fosse vero, non avete il  diritto d'abusarne!

Pubblico Ministero (indicando Nestore) — Costui è un individuo tarato, frequentatore di sordide compa­gnie, un rifiuto della società. Vizioso, giocatore, bevi­tore, brutale. S'è lasciato andare a vie di fatto sui poliziotti incaricati d'interrogarlo, dopo l'arresto. Fra parentesi, io deploro che i pubblici poteri non si siano ancora decisi a reprimere questo perpetuo scandalo dei poliziotti torturati dagli imputati. Sì, signori, l'uo­mo che qui vedete è un tipico esemplare della flora suburbana, di quella fauna eternamente accovacciata a meditare il delitto, perché incapace di svolgere un lavoro checchessia. Li conosco bene, lui e i suoi com­pari, che portano a spasso i loro ozi nei caffè e sui campi di corse.

Avvocato — Aspetto che faccia il processo al to­talizzatore.

Pubblico Ministero — Mi oppongo.

Presidente — Opposizione accolta.                        

Avvocato — Mi oppongo!

Pubblico Ministero — Anche lei? Di che cosa vi­veva Nestore, detto lo Sgualcito?

Nestore — É un mio segreto!

Pubblico Ministero (sarcastico) — Il signore ha il suo segreto, la sua anima ha il suo mistero. Romantico tema di poesia, già adoperato nel 1613, se non sbaglio.

Avvocato — Sbaglia... Il sonetto al quale lei allude è stato pubblicato precisamente nel 1833. Sta in una raccolta di poesie intitolata «Mie perdute ore » di Alexis Arvers.

Pubblico Ministero — Félix Arvers, e non Alexis, caro avvocato!

Avvocato — Félix e Alexis, invece. Mi permetto di farle notare, che fra i due nomi, Alexis è citato per primo in tutti i dizionari degni d'esser tali. E' un det­taglio che ha il suo valore.

(La discussione assume il carattere discorsivo della conversazione letteraria, ed è chiaro che il caso di Nestore ne è completamente escluso)

Presidente (intervenendo) — Vi dirò che il segreto di Arvers era il segreto di Pulcinella. Lo sapevano tutti a quell'epoca e lo sanno tutti anche oggi che era innamorato della signora Monessier.

Pubblico Ministero — Mi scusi, signor Presidente, ma credo di sapere che l'ispiratrice di questo sonetto non era quella signora Monessier da lei citata, ma esattamente...

Tutti i « Duri » — Beh, che c'entra?

Pubblico Ministero — ...la figlia di Charles Nodier!

Presidente — Ma è la stessa persona, caro Procu­ratore! D'altra parte è assodato che era al corrente dell'amore di Arvers.

Pubblico Ministero — Félix.

Avvocato — Alexis.

Nestore — Sono innocente!

Presidente — Guardie! Mettete alla porta il di-stubatore! (Voci) Ah, è lui! Tenetelo lì. E rispondete solo quando siete interrogato! (Fischi) Sgombrare! Sgombrare l'aula! (Riprende la conversazione) Dicevo che la signora Monessier era al corrente della pas-sioncella...

Avvocato — Si trattava in definitiva d'un gioco sottile...

Presidente — ...sottile per necessità...

Pubblico Ministero — ...giacché non si deve di­menticare che la signora...

Presidente — ...era sposata. Ah, sì! Squisito filone secondario!

Pubblico Ministero — Tuttavia il povero Arvers morì senza giungere in porto.

Presidente — Ma bensì giungendo ai posteri grazie al famoso sonetto che lei opportunamente citava a proposito del qui presente (rivolto a Nestore) ...e lei?

Nestore — Sono innocente.

Presidente — Come?

Nestore — Sono innocente.

Pubblico Ministero (accorgendosi della divagazione) — Sì, sì, signori della Corte, la nostra opinione è già fatta, circa il credito che si può dare alle protesta d'innocenza di quest'individuo abituato a vivere nel­l'ozio e nel delitto...

Avvocato (che nel frattempo è stato avvertito da Bob che Irma è in stato interessante) — Debbo avver­tire la Corte d'un fatto nuovo, di capitale importan­za: Irma-la-Dolce è attualmente in quello stato che si suole chiamare interessante. Fra qualche mese, quin­di, metterà al mondo un bambino, e spetta a voi la responsabilità di decidere se questo bambino debba o no nascere orfano di padre.

Pubblico Ministero (spiritoso) — Di padre o di padri? (Rumori nell'aula)

Avvocato (agitando le braccia, con grande sventolio delle maniche della toga) — Qui si insulta la famiglia francese!

Nestore (scattando) — Basta! Fate Quello che vi pare, condannatemi, ma non dite che la mia Irma è una sgualdrina! Non è vero! Non è vero!

Presidente — Silenzio! Sileatus homo! Fate tacere quest'uomo! (Grida nell'aula) La Corte d'Assise non è un teatro! Chiaro?

Nestore — Se non volete che sia un teatro, comin­ciate voi a vestirvi come tutti gli altri!

Pubblico Ministero — Oltraggio alla magistratura!

Nestore — E oltraggio all'imputato, quello non c'è?

Presidente — Guardie, fate sgombrare  l'aula!

Avvocato — E' già sgombrata!

Presidente — A verbale!

Pubblico Ministero — Che cosa?

Presidente — Ah, già! Introducete il testimonio Polyte-il-Mollo.

Pubblico Ministero — Purtroppo contumace. Sop­presso probabilmente dalla banda dello Sgualcito, do­po la sua nobile delazione.

Avvocato (trionfante e immaginifico) — Confessi, caro collega, che la morte del Mollo è per lei un col­po assai duro!

Presidente — Piano, avvocato! Chi muore tace, e chi tace acconsente!... Sententia audeatur! (finalmente, ottenuto silenzio, legge in fretta e furia la sentenza, fra i denti. Della lettura si sente solo qualche parola) « Il Tribunale, avendo deliberato... considerato... da una parte... l'articolo... istruzione criminale... escussi i te­stimoni... il signor Oscar... col di lui Nestore... con Irma-la-Dolce, dal di lei donna pubblica... ».

Nestore — Non è vero!

Presidente — Per l'ultima volta, silenzio!... « Risposta affermativa alla prima domanda, intesi?... D'altra parte... visto che, chiaro?... condanna il signor Nestore-lo-Sgualcito alla pena dell'ergastolo». Irma (entrando in scena) — No!

Presidente — Imputato, avete qualche cosa da ag­giungere?

Nestore — Dico che sono innocente! Che la donna che amo mi ama. Dico che il nostro amore è troppo diverso, troppo al disopra, perché possiate sfiorarlo!

Presidente — E' tutto?

Nestore — No, non è tutto! Vi dico anche « merda »!

(Commenti di approvazione fuori scena)

Presidente (furibondo, sostenuto dal Pubblico Mi­nistero) — Guardie!

(In questo momento Irma, elu­dendo la sorveglianza del flic, abbraccia Nestore)

Irma (con un grido forte) — Nestore!

Nestore — Dolce!

Presidente — La seduta è tolta!

(A questo punto s'alza un canto, e in fondo alla scena, disegnata come nelle ombre cinesi, si vede la catena dei forzati che partono per il bagno penale. Camminano curvi, vestiti di tela, col sacco in spalla; lo strascicare degli zoccoli ritma il loro canto d'addio)

Bob:

La seduta è tolta:  / Prendi il sacco e va'

Alla giugla folta / Che ti attende là.

La tua dolce dama / S'allontana già :

Ora piange e chiama, / Poi ti scorderà.

Nestore :

Non ho ucciso nessuno!  / Non so niente!

Presidente :

Ma già:  / Qui ciascuno è innocente, si sa.

Coro:

Perché poi ti lagni / Io capir non so.

Ti portiamo ai bagni:  / Bella vita, no?

Or non hai più nome:  / Chi si volge a te

Ti dirà (sai come?):  / « Uno - sei - tre - tre ».

(Via i forzati. Appare Irma che canta, anche lei, la sua disperazione)

Irma (sul motivo di « Angeli in voto»):

Sei sola, il tuo Nestore va.

Salutalo in punta di piedi:

Lontano, laggiù, non  lo  vedi?

In  fondo,  là... / Svanito  già.

No,  non parlar, / Fammi  ascoltar;

Un  passo  ancor udir mi par;

Il suo passo pesante, / Quanto, quanto distante!

Un'eco e poi / Nulla tra noi                            

Che i miei ricordi, i sogni tuoi.                          

La mia vita s'invola:  / Ecco, son sola!


SECONDO   TEMPO

(Il bagno penale. Sono in scena alcuni forzati in evidente atteggiamento di riposo. Al principio sono in quattro: Fidaguida, Crapa di Ferro, Narice e Orno. In secondo piano ti vedono passare e ripassare le ombre dei sorveglianti).

Capo Sorvegliante (ai Secondini) — Avanti il se­condo turno, Occhi aperti, intesi. (Escono i secondini)

Narice — Quattro evasioni sono tante, oh!

Crapa  di Ferro — Capirai, evasioni  in  Francia!

Narice — Fa lo stesso. Non è che evadere in Francia sia come farsi una fumata, nonnetto. I guardiani non fanno regali, là come qua. Ci puoi scommettere. Attento!

Crapa di Ferro — Guarda questi figli di un fucile... che vengono a rompere le scatole qui, vacca boia! Gli piace  il panorama!

Fidaguida — Sono in villeggiatura, loro, non lo sai?

Narice — E tu, Orno, perché stai qui? Ehi, Omo perché ti hanno mandato al bagno.

Omo — Negro... con recidiva!

Crapa di Ferro — A me mi hanno scritto un arti­colo lungo così... cioè, sì, uno la diarrea! Dieci me ne hanno scritti!

Fidaguida — Ecco lui! Subito salta fuori lui!

Crapa di Ferro — Signorsì! Forse anche di più. E erano giornalisti di Parigi, se non vi disturba le reni,

Narice — Ma tu le hai avute le fotografie? (Tira fuori dai pantaloni un ritaglio di giornale) Guarda, qui c'è tutto il mio processo. Con le fotografìe: Le Temps: Catturato il Narice, re della coca... France-Soir: Vent'anni al famoso Narice, principe dei book-makers.

Fidaguida — Ma quanti  titoli hai?

Narice — Beh, mia madre mi diceva sempre che due lauree sono il minimo per fare strada.

Fidaguida (guardando i ritagli) — Accidenti, se ne hai fatta. Guarda qui: Perfino il Figaro.

Crapa di Ferro — Capirai! Guarda me : la strage della   Courmoule.   La  Courmoule   era   una   fattoria...

Narice (leggendo il titolo del giornale) — « Il sema­foro del deserto... ». Ma questo non è un giornale!

Crapa di Ferro — Non è un giornale? E' un grande giornale, se non ti rosica il piloro.         

Narice — Caspita!

Crapa di Ferro — E stracaspita! Stampato come gli altri, e caro fottuto come gli altri. Ti rode, eh? Guar­da:   il ripugnante Antonio  Farouille...

Narice — Non sei mica tu.                          

Crapa di Ferro — No, eh? Perché io non mi chiamo Antonio Farouille, no? Aspetta, aspetta. (Legge) « Il ripugnante Antonio Farouille detto Crapa di Ferro...» detto Crapa di Ferro. Come la mettiamo?

Narice — Parola mia, c'è scritto  davvero.

Fidaguida — Santo Dio, non mi meraviglia che ti abbiano dato il massimo. Con il ghigno che ti ritro­vavi quel giorno...

Crapa di Ferro — Quella non è la fotografia mia.

Fidaguida — Come no? Qui nel quadratino, non è la tua lurida faccia, questa?

Crapa di Ferro — Non sono io, boia tigre. Leggi: « Nel quadratino il signor Floriot, l'avvocato ».

Fidaguida — E' vero. Scusami.  Sconti  tu per lui.

Narice — E tu, Fidaguida, come mai non conservi i  ritagli?

Fidaguida — Oh, da giovane, le prime sette o otto condanne. Ormai mi basta il ricordo, e la coscienza del lavoro compiuto.

         (Entra Tenerezza. Ha un pa­niere sotto braccio)

Tenerezza — Buona sera, bellezze  mie!

Fidaguida — Oh, Tenerezza. Che c'è oggi sul menu?

Tenerezza — Ho preparato  un  filetto di bue con contorno  di  scorzonere   alla   salsa  fantasma.  E'  una leccornia.

Fidaguida (tira fuori dalla casacca due scatolette) — Tieni, falle scaldare per stasera.

Tenerezza (legge le etichette) — Choucroute? Chou­croute   d'Alsazia,   accipicchia!

Narice — Come le hai avute?

Fidaguida — Segreto professionale, mio caro. Ssss! Eccone  un'altra, questi  sono piselli.

Tenerezza — Sei straordinario, Fidaguida. Ma co­me fai?

Fidaguida — E' facile. Esperienza... memoria...

(En­tra Nestore) Ohé lo Sgualcito! Ti avevano dimentica­to al campo?

Nestore — No, ero di turno a bordo, alle Isole.

Narice  — Tu,  Nestore,   ce   l'hai   l'articolo  sul  tuo processo?

Nestore - Lasciami in pace.

Narice — Però... quando uno ti parla...

Nestore — Pace. Avrò il  diritto ad esser lasciato in pace, no?  (Si apparta)

Tenerezza — Fidaguida, hai qualcosa per tagliare? (Fidaguida guarda a destra  e sinistra, poi tira fuori dalla casacca una  limo  enorme)

Fidaguida — Sega  equatoriale.

Tenerezza — No, per tagliare lo spago.

Crapa di Ferro — Vacca schifa, un trabiccolo come questo può esserci utile, fra un po'. Eh?

Nestore — Vedremo, quando sarà il momento. (Si siede per terra, tira fuori un libro e ti mette a leggere)

Fidaguida — Il momento è favorevole, Nestore. Ho grattato una mappa dei venti e studiato il giro dei monsoni.

Narice — Dai Nestore, tu i monsoni te li sei rotti come e più di noi. E allora, che aspetti a squagliartela?

Tenerezza — Su, Nestore.

Nestore — Non adesso, vi ho detto. Sarsbbe una pazzia.

Crapa di Ferro — Non ti capisco, bestia canguro. Perché adesso no?

Nestore — Non devo spiegazioni a nessuno.

Narice — Sai che ti dico? Se ti prepari troppo sei fottuto. Hai sentito parlare di Riton  l'Acrobata? Beh, dopo quattordici giorni,  neanche uno di più, ha ta­gliato la corda.

Crapa di Ferro — Si è squagliato come un razzo!

Nestore — Forse si  è  squagliato   in   bocca  ai pescicani.

Narice — Ma va'! Venti contro uno che sta a Placepigalle adesso. Si vede che non lo conosci, Riton...

Nestore — E te si vede che non conosci i pescecani. Sono di buono appetito, lo sai? 

(Tenerezza serve da mangiare)

Tenerezza — D'accordo,  Nestore, ma non potremo restar qui tutta la vita  a fare la maglia! Nestore — Siamo circondati, lo volete capire? Fidaguida — Va bene, e allora? Un giorno che c'è mercato  alle Isole,  durante  il ritorno ci squagliamo. Una  pigra zattera  si fa  presto  a  farla. Bastano un tronco d'albero e qualche ramo. Ci penso io.

Nestore — Non è questo, il difficile. Cè il fiume. E poi, foreste e foreste, e altre foresta.

Fidaguida — E' la geografìa che ci frega. Bisogna che mi procuri  una carta   topografica.

Narice — Te la sbatti,  la carta topografica. Dopo il fiume e le foreste, ci sono poliziotti, giudici, leggi...

Crapa di Ferro — Ha  ragione Nestore,  Giove ma­stino.  Bisogna aspettare.

Tenerezza — Che leggi, bellezza?

(Nestore chiude il libro)

Fidaguida (piano) — Lasciatelo tranquillo: sta ri­muginando.

Nestore  —  Rimugino,   hai  detto,   Fidaguida?  Hai ragione,   rimugino,  non   c'è   che  questo  per salvarsi. rimuginare, quando vedo che i giorni passano e che io sto qui... (Lunga pausa)

Narice — Certo bisogna essere ben... per stare qui dentro mentre si corre il derby a Longchamp! (Lunga pausa)

Fidaguida — Io di solito questa stagione la passavo in Costa Azzurra... Conoscevo tutti i corridoi dei grandi alberghi... Clientela fidata, serrature elemen­tari... Bei tempi!...

Crapa di Ferro — Peggio per voi, squalo vigliacco! Dovevate pensarci prima di farvi trombare.

Tenerezza — Già, perché lui è volontario, povero tesorino... (Lunga pausa)

Fidaguida — Delresto, a pensarci bene, io sto qui per una cosa che non ho fatto.

Narice — Che non  hai fatto?

Tenerezza — Che cos'è che non hai fatto?

Fidaguida — Non ho rimesso i venti milioni nella cassaforte.   (Lunga pausa)

Tenerezza — A me quest'ora mi dà lo spleen. E a voi uomini? (Non risponde nessuno) A voi? Eh? Eh?

Crapa di Ferro — E non stare a rompere le scatole!

(Lungo silenzio. A un tratto Omo attacca a cantare)

Omo:

Sul litorale si disfa / Un sole putrido di bave.   

Sulla carcassa d'una nave                    

S'aggira un falco e se ne va...

Un grigio falco. E se ne va...

Brillano intorno i più bei  fiori,

Ma di odorarli non tentar:

Perché il fioraio può sparar,

Monta la guardia qui di fuori.

Coro:

Un corvo sta / Nero lassù:

Lui camperà  / Se muori tu.

Omo:

La   compagnia non mancherà                

In  mare aspettano i  delfini

Nel  bosco azzannano i mastini

Chi la sua fuga fallirà, / Chi la sua fuga fallirà...

Là, oltre il bosco ed oltre il  mare

C'è  chi  t'aspetta, è  vero o  no?

Non farti  un alibi, perciò:

Per rivederla  devi osare.                                 

Coro :

Due corvi stan  / Neri  lassù:

Loro vivran   /  Se crepi  tu.

Omo:

Te la ricordi, dimmi un po'

Te la ricordi la tua dama?

E' lei, la senti che ti chiama...

O è solo un'eco che passò?...

Soltanto  un'eco che  passò...

Stringere i  denti,  non  c'è  fretta

Devi  resistere perché

Verrà il momento anche  per te

Anche per quella che t'aspetta.

Coro:

Tre avvoltoi / Vengondal mar,

Stan sopra di noi / Ad aspettar.

Guardiano — Posta e pacchi per voi, ragazzi (Di­stribuisce la posta)

Omo (cantando):

Tutto prepara,  verrà il dì:

Oggi,  domani  o posdomani:

Dio sta con noi, non coi guardiani:

Se vuoi la prova, eccola  qui...

La gran prova, eccola qui...

Chi scelse Cristo a  compagnoni

Là sul calvario, dimmi  tu?

In  croce   accanto  al  buon Gesù

C'eran due guardie odue  ladroni?

Coro:

Corvi e avvoltoi / Non volan più :

Su noi c'è l'aquila / lassù.

(I forzati si stendono a dormire).

Voce di Bob — Lassù... I sogni dei prigionieri vanno tutti come fumo verso l'alto, verso il muro di cinta del cortile, oltre la torretta dei sorveglianti e ancora più lontano per raggiungere l'immagine della donna che conforta le giornate e agita i sonni...

(Appaiono in trasparenza, sulla scena di Parigi, Irma e le tre sua sosia che eseguono una danza evocate nel sonno dai forzati)

Nestore (agitandosi nel sonno) — lrma...

(Appare in alto Irma che fila presso una lampada)

Narice —  Michèle...

Fidaguida —  Madeleine...

Omo — Simona...

Tenerezza (rimboccando le coperte ai dormienti) — Tutte le notti, poverini. A me non capita mai, chissà perché. E tu. Crapa di Ferro, non sogni mai la tua donna?

Crapa di Ferro — Porca forfora, non ce l'ho più, come vuoi che la sogni?

Tenerezza — Ti  ha  dimenticato, Crapa  di  Ferro?

Crapa di Ferro — L'ho fatta fuori, è per questo che sono qui.

Tenerezza — Uh, che cattivone. Ma come è stato, dimmi... eh, Crapa di Ferro? Eh?  Eh?

Crapa di Ferro — E non stare a rompere le sca­tole!...

Tenerezza — Uh, a proposito di scatole! Che care! le donne del soccorso carcerati, hanno mandato regali per tutti: a te Crapa di Ferro guarda che bel paio di calzini.

Narice — E a me?

Tenerezza — A te, viziosaccio, trenta grammi di polverina; e questa collana deve essere per te Orno... E' proprio da negro... Fidaguida, su questa pagnotta c'è il tuo nome. Apri, apri, su, vediamo un po'.

Fidaguida — Accidenti! Una  lima da tre pollici.

Tenerezza — Nestore, mi spiace, per te non c'è nien­te.

(Buio sui forzati e in trasparenza appaiono Bob e Irma)

Bob — Come mai, Irma, non mandi nemmeno un maglione, a Nestore?

Irma — Non ho tempo, ora, Bob. Sto indietro col corredino...

Bob — Quanto manca al gran giorno, Irma?

Irma (consultando un calendarietto) — Se il calen­dario è giusto, dovrebbe essere questione di sei a sette settimane.

(Luce sul bagno penale. 1 forzati, a modo loro, lavorano)

Nestore — Sei o sette settimane, come ve lo devo dire? E' inutile smaniare, il colpo va preparato bene.

Fidaguida — D'accordo, Nestore. Comunque gli stru­menti sono tutti a punto: ho racimolato un arsenale.

Tenerezza — Io, bellezza, sono sempre pronto, quan­do  vorrai...

Nestore — Ecco, bravi, tenetevi calmi. (C'è un ca­lendario per terra,  Fidaguida   lo  raccoglie)

Fidaguida — Nestore, è tuo? Un calendario... A che ti serve?

Nestore (gli leva, dalle mani il calendario, seccamente) — Per mandare gli auguri.

Narice — Comunque Riton l'Acrobata se l'è filata dopo   quattordici  giorni.

Tenerezza — Beh, era un irrequieto.

Narice — L'hai detto.

Fidaguida — Lo so io quello che l'ha deciso a ta­gliare la corda. Un giorno fu messo di corvée a casa di un sorvegliante, che ha tre ragazzini. Tre ragaz­zi ni che strillano tutto il giorno, come il padre. Ca­pirai: Riton, a casa 3ua. non ha mai potuto soppor­tare un ragazzino che strillava. Per lui è come una malattia. Allora se ne è andato: giurerei che è que-sto che l'ha deciso.

Crapa di Ferro — Beh, certo i ragazzini sono dei gran rompiscatole.   

Guardiano — Forza, ragazzi,  lavorate.

Narice — Per me i veri rompiscatole sono i geni­tori dei ragazzini. A dar retta a loro sono tutti geni, tutti  bambini  prodigio.

Tenerezza — Come no! Vanno orgogliosi, i padri. d'aver messo al mondo questi mocciolosi.

Crapa di Ferro — E che succede poi dei bambini prodigio? Che fanno più tardi? Vacca schifa, in giro si vedono solo dei cretini ammuffiti.

(Nestore ascolta i  discorsi  dei compagni)

Omo — Però ce ne sono stati, di bambini prodigio. Mozart.

Narice —  Mozart.   Chi  era  costui?

Omo — Un musicista.

Crapa di Ferro — E con questo?

Omo — A cinque anni compose un oratorio.

Crapa di Ferro — E con questo? Poi, che è un oratorio?

Omo — Musica.  (Si allontana)

Crapa di Ferro — Ah! E che ci ha guadagnato, il Mozart, a fare quest'orenatorio... questa cosa che dici tu? Coccola! Io non so neanche chi è!

Narice — Beh, certo i  ragazzini...

Crapa di Ferro — Una piaga! Io, quando ne vedo uno, sputo.

Nestore — Non mi meraviglia, in te. Sei tutto un vomito!

Crapa di Ferro — Che?

Nestore — Sei un vomito, sì, un putridume, ecco che sei! (Crapa di Ferro fa un gesto. Nestore l'afferra per il collo) Non muoverti, sta' buono. Non ho mai fatto male a nessuno, ma a te sento che ti scannerei con voluttà. Sputare quando vede un bambino!

Crapa di Ferro — Ma dai, ho detto così...

Tenerezza  —  Sì,  Nestore,  scherzava...

Nestore — Non si scherza su queste cose.

Tenerezza — Non inquietarti.

Nestore — Va bene, ma che ritiri le sue parole.

Fidaguida — Le ritira, Nestore, non è il caso di inquietarsi per certe sciocchezze. Tutte chiacchiere. (Nestore si apparta)

Crapa di Ferro — Si può sapere che ha?

Tenerezza — Lascia stare. Ho l'impressione che la galera, a lui... La prende male. Volete che ve lo dica? Beh, lo inasprisce.

Narice — Giusto, lo inasprisce.

Tenerezza — Macché lo inasprisce. Ha la fissazio­ne dei bambini.

Narice — Dei  bambini?

Tenerezza — Sì, dei neonati. Vedete questo libro? « La Puericultura illustrata. Come si cura il neonato e il bambino ».

Fidaguida — Ma come mai?

Tenerezza — Perché Nestore lo Sgualcito aspetta un bambino.

Fidaguida e Narice — Un bambino?

Tenerezza — Beh, non proprio lui, la sua donna lo aspetta:  Irma-la-Dolce.

Fidaguida — Lo immaginavo che Nestore doveva avere un segreto.

Narice — Chi l'avrebbe detto!

Tenerezza — Io me n'ero accorto. Ne volete la pro­va? (Tiro fuori di sotto i vestiti un lavoro a maglia non finito)

Narice — Che è?

Tenerezza — Un vestitino che sto facendo per il figlio di Nestore.

Narice — Tu?

Tenerezza — Io, sì, di nascosto quando voi dormite.

Narice — Sai quanto sarà carino!

Tenerezza — So lavorare a maglia, che ti credi! Un dritto e un rovescio. Il più difficile sono le mani­che, al giro. Le calature... ecco la parola esatta.

Fidaguida — Ragazzi, bisogna fare qualcosa. Un bambino non può nascere con il padre in galera.

Crapa di Ferro — Beh, sì, un bambino... (I tre for­zati fanno per lanciarsi su di lui. Con voce piagnu­colosa) Un bambino è sempre un bambino, vacca schifa.

Capo Sorvegliante (entrando) — Sgualcito! Una buona notizia. Hanno fatto il tuo nome come dome­stico in casa del governatore. Ho messo una buona parola io.

Nestore — Grazie,  capo.

Capo Sorvegliante — Intesi?

Nestore — Sì capo. E ditemi: ci saranno bambini in casa del governatore?

Capo Sorvegliante — No, non ha bambini.

Nestore (terribilmente deluso) — Ma come, un governatore   senza   bambini?

Capo Sorvegliante — Non  ha bambini.

Nestore — Pazienza. Il lavoro è pesante?

Capo Sorvegliante — No, praticamente niente. Qualche commissione, qualche faccenda, cucinare... intesi?

Nestore — Tutto qui?

Capo Sorvegliante — Ah, i pavimenti! A quello ci tiene molto. Ci saranno da lucidare i pavimenti.

Nestore  (abbattuto) — I  pavimenti!

Capo Sorvegliante — Come uno specchio li vuole.

Nestore  — Resterete  contenti.

Capo Sorvegliante — D'accordo dunque. Cominci lunedì, chiaro?

Nestore (con voce spenta) — Sarà fatto, signor Bougne. Mi scusi, signor capo. Grazie, capo (Il guar­diano esce. Nestore si avvicina ai compagni) Tene­tevi pronti. Per domani, allora.

Tenerezza — Domani? Non bisogna aspettare sei o sette settimane?

Nestore — Ssst. Domani. E' una questione di di­gnità.

Voce di Bob — La dignità dei guardiani si scioglie ogni domenica nel rum e nella economica stretta del­le peccatrici indigene. Una specie di complicità a distanza lega queste a quello che attendono oltre il mare, e spiana ai loro uomini la strada dell'evasione.

 

(Coreografia. I guardiani sbronzi, le donne che li sviano, il lavoro dei forzati con funi, scale e lime. Poi la fuga viene scoperta, sirene, spari, corse, il fa­ro perlustra la rada. Dissolvenza. Oceano aperto. l forzati  arrancano su una piroga)

Coro degli Evasi  (a tempo di barcarola)

Giù  nell'onda,  gondolier,

Forte affonda il remo,hop!

All'aurora, batteilier, / Salvi già saremo, bop!

Gli squali, squa-squa, / Tu schiva, schi-schi,

Scuo-scuoti la piroga!

Squa-squarcia,  sniff-sniff, / Il  mar con lo skift,

Verso il capo  Teneriff.

(Buio. Luce sulla savana. Arrivano gli evasi. Fidaguida si siede su un sasso e accende la pipa)

Narice  —   Ma dove siamo capitati?

Tenerezza  —  Il polo non è.

Crapa di Ferro — Teneriff un pitale satanasso! Dove siamo?

Narice — Sì, che è questo?                      

Fidaguida (incerto, consultando le sue carte) —-Mah...

Narice — Dodici contro uno che ci ha riportati al­l'Isola.

Nestore — Insomma, che paese è questo!

Omo — E'  il  Perù.

Narice — Fidaguida, non ti faccio i miei compli­menti.

Fidaguida  — E che,  l'ho fatto io,  il  Perù?

Naxice — Non l'hai fatto tu, ma sei tu che ci hai portati qui.

Crapa di Ferro — Tu e le bussole delle tue mutande.

Fidaguida — Che bussola!Mi sono sbagliato, ho grattato una sveglia.

Nestore  — Bel  capo spedizione!

Fidaguida — La prossima volta rivolgetevi all'a­genzia Cook.

Tenerezza — Non prendertela, Fidaguida, lo dico­no senza cattiveria.

Fidaguida — Lo spero bene.

Nestore — Sì, però ammetterai che è da fessi, dopo cinque settimane essere andati a sbattere an­cora più lontano da Parigi. Siamo saliti di tre meri­diani, per finire  in  Perù...

Crapa di Ferro — Nell'angolo più sperduto e puz­zolente  del  Perù.

Fidaguida  —  Non è tanto sperduto.  Stamane  ho esplorato fino al  fiume:   c'è   una  specie   di   villaggio.

Nestore —  Un  villaggio?  Dillo  subito,  no?  Ci  an­diamo.

Fidaguida — C'è come un tendone da circo. An­drò io in ispezione, non ti preoccupare.

Tenerezza — Un tendone? Che bello! Il circo Medrano,   forse...

Crapa di Ferro — Sì, il circo del colera che ti schiatta!

Omo — Sta' attento, Fidaguida. Sarà un accam­pamento di indiani. Sulle rive dei fiumi ce ne sono spesso.

Tenerezza — Sono simpatici questi  indiani?

Omo — O buonissimi o cattivissimi. Se capiti coi Jivaros   ti   va   male.

Fidaguida   —  Jivaros. I riduttori di teste?

Omo — Quelli.

Narice — Come sarebbe?

Fidaguida — Non ne hai mai sentito parlare? Ti tagliano la testa e poi la fanno diventare piccola piccola. (A Crapa di Ferro) Anche una crapa come la  tua.  Come  un  pugno.

Crapa di Ferro — Ma perché, ce l'hanno con i bianchi?

Fidaguida — Non ce l'hanno con nessuno, sono artisti.

Tenerezza  —  Ma  come   fanno?

Fidaguida   —   Fanno   un   buco   nel   cranio,   poi   ci mettono  dentro  la sabbia  e  i  sassi  arroventati. Poi sbattono,  così...

Tenerezza  —  Rimescolano.

Crapa di Ferro — Morte d'un toro! Deve dare fa­stidio.

Fidaguida   —   Che   cosa?   Vederlo   fare?

Crapa  di Ferro  — No, quando   te  lo  fanno.

Fidaguida  —  Beh,  si,  la  prima  volta,   soprattutto.

Narice — Ma come fai a distinguere i Jivaros da­gli   altri   indiani?  Hanno qualche segno particolare?

Omo (fischia) — Un grido di guerra:  come il ver­so  che fanno le  civette  la  notte.

Narice — Capito.

Nestore (impaziente) — Che aspettiamo a muo­verci?   Siamo in ritardo.

Fidaguida — Riprenderemo il cammino all'alba, ora chiudete gli occhi un paio d'ore. Ma tenete gli occhi aperti.

(Gli evasi, un po' scossi, si accingono ad  accamparsi)

Narice — Ti dò i Jivaros entro la nottata a sei contro uno.

Crapa di Ferro — Cribbio! Hai sentito la civetta?

Narice — No, vado a  Auto.

Fidaguida — Narice, dammi un po' di polvere. (Narice gli tende una specie di tabacchiera) Da spa­ro, deficiente, non da naso! (Caricando il fucile) Su, dormite!

Tenerezza — Il bacino della buona notte non si usa più?

(Si ode il grido della civetta. Fuga generale degli evasi. Arrivano gli indiani. Buio. Luce a sprazzi su vari episodi della lotta. Crapa di Ferro è catturato e gli indiani tentarlo di scotennarlo)

Crapa di Ferro— E nonstate a rompere le scatole.

Indiano — Che cabessa di jeru, vamos a matar.

(Escono mentre dalla parte opposta entra Nestore che si trova di fronte a un piccolo Jivaros, breve lot­ta tra i due. Nestore atterra l'indiano e, consultando il libro di puericultura, inizia, a fasciarlo come un bambino)

Nestore (leggendo il libro) — ...Tenere a portata di mano, puntata in un...

Ir ma   (in  trasparenza)   —   ...Puntaspilli, una dozzi­na di spille di sicurezza di varie misure...

Nestore — Meno male  che me ne ero portate.

Irma   —   Piegare le fasce a triangolo e mettere all'interno il lato assorbente.  Fermare con una spil­la di sicurezza.  Fasciare.' Dalla fasciatura più o me­no ben fatta dipendono la resistenza dell'abito...

Nestore  —  ...e l'efficacia della sua protezione.

Irma   —  Aggiungere il cuffiotto.  (Buio su Irma)

Nestore — Ce l'ha già. (Indicando l'acconciatura dell'indiano) Ecco qui, ci siamo. (Termina l'opera­zione con un'enorme spilla dì sicurezza. Poi, una do­po l'altra stacca le penne dal cappello, come fanno gli innamorati coi petali delle margherite) M'ama... non m'ama...  m'ama, non m'ama...  poco...  molto...  appassionatamente...

Irma (da lontano, come un'eco)   — Alla  follia...

Nestore — Irma-la-Dolce m'ama alla follia.

(La luce si accende su Irma-la-Dolce, che sta accanto a un fanale del ponte Caulaincourt e canta)

Irma:

« Paris-la-nuit » per me  / E' una triste Parigi

Dai bei capelli grigi / Trattati con l'enné.

Demi sec con la  lacrima,

Com'è che vuoi lo spleen,

Con  soda, oppure amabile?

Che bevi, pianto o gin?

Paris,  « Paris-la-nuit » / Il vento ed il dolor

Soffiano sul mio cuor / Fanno un pot-pourri.

Ritorna, amore, da me / E bevi nel mio cuor:

C'è tanto pianto qui, / Basterà pur per te.

Un giorno se verrà...  / Ma  no,  non credo più...

E se non  torni  tu, / La  vita che mi fa?

La città tutta accesa, / La musica, che fa?

Meno ce n'è, più pesa / La speranza, si sa.

Non torna, torna, di', / L'amore mio da me?

Tu ridi, ma di chi? / Tu ridi, ma perché?

Che importa, io lo so,  / So quel  che  debbo far

Per non  sentirvi, no,/  Sì,  per  poter sognar.

Sì pensa, pensa, taci, / Se un giorno tornerà,

Chi sa che quantità, / Di lacrime e di baci;

Che  festa   mai   sarà;                                       

che « boum »,  che   guazzabuglio.

che quattordici luglio, / La mia felicità!

Montmartre e la Madeleine.           

Con me si desteran,

I boulevards su la Seine

le luci accenderan. / E in alto su l'Étoile.

Io, che non  credo più, / Vedrò che su Pigalle

c'è ancora  un  Dio, lassù.

(Buio. Luce sulla scena di prima. Nestore è turbato  dalla sua  visione)

Nestore — Dolce, mia Dolce, potrò mai rivederti?

(Nestore fugge. Arrivano  Fidaguida,  Narice  e  Omo)

Narice — Tenerezza, sei ferita?

Fidaguida — Allora,  ci siete?

Narice — Manca Nestore.

Omo — E Crapa di Ferro?         

Tenerezza — L'hanno ammazzato. Ha voluto farà di  testa sua.

Narice — Di crapa sua.

Tenerezza — Poverino,  era  tanto  buono.

Tutti — Eh?

Tenerezza — Beh sì, era simpatico. Voleva persi­ne bene ai bambini.

(Si odono lamenti del Jivaros fasciato da  Nestore)

Narice — E questo che ci fa qui?

Fidaguida  — Attenti,  è  un   Jivaros!               

Omo — E' legato.

Tenerezza — Macché legato, è fasciato. Questa è certamente  opera  di  Nestore.

Fidaguida — La solita fissazione. Il bambino sta per  nascere.  Bisogna   trovare  la  direzione  di  Parigi.

Omo — Ecco   volevo dirti che ho visto...

Fidaguida — Dopo, dopo! Narice, a me la bussola, puntiamo a Capo Nord.

Narice — Quale bussola? Con questa, tutt'al più ti dico l'ora.

Tenerezza — Ti rendi conto? Stiamo facendo i bighelloni in Perù mentre a Parsi c'è un bambino in fabbricazione. Non è perdonabile. Fidaguida, bi­sogna che ci tiri fuori di qui con un colpo di genio.

Omo — Volevo dirvi appunto che ho visto dei bianchi. E sul fiume c'è un piccolo battello che va fino a Manaos.

Fidaguida   (trionfante) — Manaos!

Tutti  (eccitatissimi abbracciandosi)  —  Manaos!

Narice —  E che  è,  Manaos?

Fidaguida — Manaos, no? E dopo Manaos, c'è Belem.

Tenerezza  — E dopo  Belem?

Fidaguida — Dopo Belem, c'è  [a Scozia.

Gli Altri — La Scozia?                                         

Fidaguida — Sì, sono gli emigrati che ritornano in  patria. Sono scozzesi.

Tenerezza  — Ma  noi  non siamo scozzesi.

Fidaguida — Ne sei sicuro? Andiamo! L'unico problema, adesso, è ritrovare Nestore.

(Luce su Bob nel Bar)

Bob — In realtà, di problemi ce n'era più d'uno; ma l'ottimismo di Fidaguida operò un benefico con­tagio. I nostri evasi si scoprirono istantaneamente una inequivocabile genealogia scozzese... Del resto, l'emigrato scozzese alligna in qualunque parte del mondo. Tranne che in Scozia, è ovvio. Comunque, dicevamo, Fidaguida condusse la marcia nella sa­vana con l'ausilio della sua infallibile sveglia. Quan­to agli indumenti... già, agli indumenti provvide il caso, diciamo: e se preferite, ancora una volta l'a­gile memoria di Fidaguida. Tagliamo corto: pochi giorni dopo erano imbarcati alla volta dell'Europa. Ma Nestore febbrilmente faceva e rifaceva i suoi calcoli: sarebbe arrivato in tempo?

(Buio. Luci su­gli evasi, vestiti da scozzesi; gonnellino, berretto, calzamaglia; non manca la tradizionale cornamusa)

Nestore — Troppo tardi, mio figlio a quest'ora deve essere già  nato. Sono 270 giorni.

Tenerezza — Li  hai contati?

Nestore — Sì.

Narice — Sei stato sempre un pignolo. Ma non disperarti, Nestore: ti dò il marmocchio ancora da nascere a dieci contro uno.

Nestore —  Mi sparerei. Arenarsi quasi in porto!

Omo — Parigi è a 300 chilometri, non di più.

Nestore — Lo so. Ma c'è una frontiera...

Narice —  Ne  avremo passate  20,  di  frontiere!

Nestore — E c'è il mare, E soprattutto c'è che è trop­po tardi e non abbiamo più un centesimo per andare avanti.

Tenerezza — Non ci saremmo dovuti fermare tan­to a Edimburgo. Guarda: prima di chiedere l'elemo­sina tra gli scozzesi, qualche centesimo ce l'avevamo, adesso niente più. Chiedere l'elemosina fra gli scoz­zesi... non si ha l'idea di quanto costa.

Nestore — Sono proprio a terra, ragazzi. A terra al punto che se trovassi  da  lucidare dei pavimenti, lo farei.

Narice — Via, Nestore, non esagerare.

Tenerezza — Non dirle nemmeno per scherzo, certe cose.

Omo — Vediamo almeno di dormire un po'. Solo il sonno, e il cielo, possono portarci consiglio.

Narice (con una valigia per Nestore) — Ah, sei qui, tu?

Fidaguida — Ecco, bravi, fatevi una bella dormita; Nestore soprattutto che ha da essere in gamba do­mattina.

Nestore — Non ho niente di particolare da fare domani mattina.

Fidaguida — Sì, invece. Domani mattina tu ritorni a Parigi.

Nestore — Come?

Fidaguida — Via aerea. La più breve, hai un pal­lone tutto per te.

Nestore — E come lo pagherò?

Fidaguida (tirando fuori dei biglietti di banca) — Con queste. Sono 30 sterline: basteranno, ho tirato sul prezzo.

Narice  (sfogliandole) — Sono tutte vere.

Nestore — Come le hai avute?

Fidaguida — Me le sono fatte prestare, da uno che non prende molto interesse. Non mi ha neanche vo­luto dire il suo nome. Credo che non mi abbia neanche visto. Sono molto soddisfatto di me. Vi dirò: credevo di aver perso la mano.

Nestore — Fidaguida!

Fidaguida — Ah, prima che mi dimentichi ti ho portato anche questo.

Nestore — Un passaporto!

Narice — Straordinario!

Fidaguida — Da stasera tu ti chiami Arlington.

Nestore — E il nome?

Fidaguida — Non ce l'ho messo ancora. Come ti vuoi chiamare?

Nestore — Un nome qualsiasi.

Tenerezza — Adalberto è grazioso, no?

Narice — Sì, Adalgiso!...

Nestore — Facciamo Oscar, va!

Tenerezza — Uh, che volgare!

Nestore — Beh, perché, non è mica un brutto nome.

Fidaguida — Vada per Oscar. (Tira fuori la stilo­grafica e scrive Oscar  sul passaporto) Fra qualche giorno, quando le cose si saranno un po' sistemate, sbarcheremo anche noi sul patrio suolo. D'accordo, amici?

Omo e Narice — Okay!

Tenerezza — Beh, io credo che resterò qui, bellez­ze. Non ho nessuno a Parigi, io.

Omo — E che farai?

Tenerezza — Oh, me la caverò, vedrete. C’è tanta bella lana, qui in Scozia. Forse metterò su una pic­cola maglieria.

Nestore — Auguri, Tenerezza.

Tenerezza — Anche a te, Nestore, il resto de! cor­redino te lo manderò per posta.  (Esce correndo)

Nestore — A presto, amici. Fidaguida, sei stato un padre per me.

Fidaguida — Meno male. Così sarò il nonno del bambino.

Nestore — Calma, eh!

Fidaguida — Ah, stavo dimenticando... se per caso avessi voglia di cambiare nome... non si sa mai, una civetteria... Prendi qui: è scolorina. Allegro, Nestore, arrivederci  a...

Tutti — Parigi.

(Dissolvenza. Appare il pallone pronto per il decollo. Nestore parte)

Bob e Coro:

D'accordo,  la Spagna... / Italia, Alemagna...

Perù, Gran Bretagna... / E' vero, lo so...

I tropici, certo...  / L'Oceano aperto­li deserto.

Io so... / Non dico di no...

Ma se sulla plancia / Lo « spleen » della Francia,

Resistere è van!  / Se volge il desio

del suolo  natio.  / Addio, mondo, addio,

« Allons, mes  enfants »!

(Esce Nestore salutato dai suoi compagni che esco­no dalla parte opposta).

Bob  (cantando):                                                                                            

A Parigi ritornar / E' la meta final d'ogni marinar.

Non c'è il mare, ma che fa?

Nella Senna ciascun ancora potrà;

E poi chiedersi perché

Tanto a lungo ha girato per mondo se

E' paese il monda, e qua

Tutto il mondo sta in una città, e « voilà »!

 

(Si alza il siparietto sulla Parigi del 1°Tempo. Al ponte Caulaincourt sono appesi due manifesti che an­nunciano l'evasione dal bagno penale di Nestore).

Coro:

Le geishe, le more, / I valzer del cuore,

Corride d'amore: / C'è tutto, quaggiù.

I gangsters coi « flics », / I negri coi «tics »

Il  ghetto e lo « chic ». / Che cerchi di più?

I gonzi, i crumiri, / I bonzi, i fachiri,

«les puces » e gli « apaches »

e un muschio di «vaches ».

« Les Halles » e Pigalle. / I fiori del mal,

E in cima l'Étoile / International! (Ritornello)

Bob — Povera Irma, è diventata l'ombra di se stessa.

Roberto — E'  sempre una bella ombra però.

Bebé — Maiale.

(Buio. Luce su Irma che canta al balcone.  Nestore scende col pallone)

Nestore (tra sé) — Eccoti, Dolce. Sguardo soave, la cui memoria fu più tenace dell'avversità. Oh, Irma, mia Irma. Fra due minuti stringerò contro il mio pet­to il tuo dolce corpo di vergine maturata : Oh supre­mo istante che il felice predestinato vede splendere nel palmo della mano come una polvere d'oro!

Bob (entrando scorge il manifesto e chiama Bebé e Roberto) — Quest'uomo è pericoloso. Nestore-lo-Sgualcito, riconosciuto colpevole dell'assassinio del signor Oscar, è evaso dal bagno penale. Lauta ricom­pensa a tutti i cittadini che forniranno indicazioni tali da condurre alla cattura dell'assassino.

Roberto — L'avevo intuito, che se l'era squagliata.

Bebé — Ci sono uomini che non è possibile tener rinchiusi.  Questione di  pelle...

Nestore (nascosto nella navicella del pallone, chia­ma gli amici) — Pssst! Bob! Bebé! Roberto!

I Tre — Nestore! Che fai qui? (Lo salutano fretto­losamente, facendolo uscire dalla navicella e lasciando andare il pallone)

Roberto — Me l'hai portato, un ricordino dal bagno?

Nestore — Come stanno gli amici? Maurice-la-Voce?

Bebé (funebre) — La scala.

Nestore — Ha avuto la scrittura?

Bebé— No, è scivolato, si è spezzato l'osso del collo.

Nestore — Ma che mi dite! E Jojo?

Bebé — Abbiamo fatto un viaggetto a Tolone. Là i bastioni ci sono ancora... Alla rusticana, come i no­stri padri. Mio padre, una volta, a Gibuti...

Bob — Sì, è proprio il momento...! Nestore, qui non puoi stare, è un'imprudenza.

Nestore — Irma. come sta la mia Irma?

Roberto — Già, chissà come sarà contenta! Irma! Irma!

Bob — Sei matto, oh? Così di colpo... la vuoi far morire?

Nestore — Devo vederla! Sono arrivato in tempo?

Bob — Più tardi, più tardi... Ora pensa a sparire, e cambiati i connotati...

Nestore — Ma come?...

Bob — Ma sì, arrangiati, spremiti il cervello, fai qualcosa!

Nestore (ricordandosi la truccatura di Oscar) — Ah, già, ci penso io. (Esce. Alla finestra appare Irma)

Irma — Chi mi ha chiamato?

Roberto — Io... non ti sei più fatta vedere. Come va?

Irma — Va... come vedi..

Roberto — Si partoricchia, eh?

Bob (prendendo a calci Roberto e Bebé) — Ciao, eh, scusa. (I vagabondi se ne vanno)

Irma —Arrivederci, Bob.

(Riappare Nestore travestito da Oscar. Irma lo vede)

Irma — Signor Oscar! signor Oscar! Ma è lei?

Oscar — Proprio io, bambina mia. Irma, sono mol­to, molto contento di rivederla!

Irma — Signor Oscar!

Oscar — Proprio io, bambina. Perché si agita tanto? Sembra una cerbiatta impaurita.

Irma — Da dove viene, signor Oscar?

Oscar — Ho fatto un viaggio. Lungo.

Irma — E non sa niente? Non le hanno detto niente?

Oscar — Di che?

Irma — La credevo morto... L'anno scorso, un gior­no, ripescarono nella Senna un tizio barbuto... Mi scusi...

Oscar — Porto la barba anch'io, bambina mia, ma non sono quello della Senna. Gliel'ho detto, ho viag­giato all'estero. Ha avuto la mia cartolina?

Irma — Non ho avuto niente. Ma il peggio, signor Oscar, è che dissero di Nestore... Forse se ne ricorda... no?

Oscar — Sì, mi pare che lei mi disse qualcosa, ef­fettivamente, di questo signor Nestore. Un tipo inte­ressante, se non sbaglio. Che ne è stato?

Irma — E' al bagno penale, per aver ammazzato il signor Oscar. Bisogna che mi aiuti a far ritornare quel poveretto dai lavori forzati.

Oscar — Non chiedo di meglio.

Irma — Grazie, signor Oscar. Lo sapevo che era una persona per bene. Ho pensato spesso a lei, signor Oscar, molto spesso.

Oscar (geloso, a parte) — Ecco che ci risiamo.

Irma  — E'  vero, sicché!  Non era lei, l'annegato?

Oscar — No, non ero io, glielo giuro. (Sputa)

Irma — Signor Oscar?!

Oscar — Vuole che facciamo l'autopsia alla vittima? Mi faccia salire, Irma..,

Irma — Oh, signor Oscar...

Oscar — E allora scenda lei, si faccia vedere più da vicino. Mi scusi, sono un bruto.

Irma — E' impossibile, signor Oscar. Il medico me lo  ha proibito.

Oscar — Perché? Sta poco bene?      

Irma — Niente di grave.

Oscar — Ma di che si tratta?

Irma — Niente. Lo saprà tra qualche giorno.

Nestore — Grazie al Cielo sono arrivato in tempo.

Irma — E' una sorpresa.

Oscar — Piccola Irma, sbarazzina!

Irma — No, no! Niente sbarazzina, signor Oscar. Sono triste, da quando Nestore è al  bagno.

Oscar — Gli vuole molto bene, a questo signor Nestore?

Irma — Oh, sì, signor Oscar! Scusi, le ho dato un dispiacere...

Oscar — No, bambina. Le dirò che in fondo voglio bene anch'io a questo signor Nestore. Dopo tutto ciò che lei me ne ha detto... Un gran bene, davvero.

Irma — Grazie. Ha le idee larghe lei, signor Oscar. (Appare un flic. Irma, lo chiama) Signora guardia! Signora guardia!

Flic — Che c'è! Non intendo tollerare questo ge­nere di schiamazzi notturni durante il giorno. Chiaro?

Irma — Guardate: questo è il signor Oscar, l'an­negato del Ponte Alexandre. Ve ne ricordate?

Flic — Come se avesse stato iera.

Irma — Beh, state a sentire. Il corpo della vittima,

il cadavere insomma, non era il suo. E' stato uno sba­glio:  il signor Oscar non è morto.

Flic — Morto è morto e ci avanza, inquandoché l'assassino è al  bagno penale.  Intese?

Irma — Se vi dico di no! Il vero signor Oscar è questo signore qui.

Flic — Diciamo come che per ipotesi voi mi rapprisenti il  cadavere.

Irma e Oscar — Appunto! Lo stiamo dicendo.

Flic — Già, già, già... Non fa materia di compito del vigile urbano, stolico ma oscura servitore della contadinanza, porgere orecchio campiacenti alle traddive alligazioni del primo venuto, il quale, rifiutandosi di riconoscendosi vittime d'un malfattore, la cui suo innocenza, laonde, a parte ogni e qualsiasi virulenza dei procedimenti del madesimo, rimane sempre punite con soggetta di cauzione... Chiaro?

Irma — No!

Flic — C'è questo che la cosa non sarebbe diciamo proprie come di mia antrìbuzione, insomma. Antiamo a conferirci con il capo, perché la materia del disguito è oscuri. Chiaro?

Irma — Chiaro è soltanto che questo è il signor Oscar.

Oscar — Non c'è dubbio. In me vedete nello stesso tempo il corpo del reato e il testimone della difesa. Signor Commissario, voglio rifarmi una vita.

Commissario — Se volete rifarvi una vita, implicitar significa che siete morto.

Oscar — Ma no!

Commissario — Delitto o suicidio?

Oscar — Errore giudiziario.

Commissario — Consultate un avvocato.

Oscar — Ma io non sono l'assassino.

Irma — E' la vittima.

Commissario — Adora esibite il permesso di sep­pellimento e producete due testimoni che non rico­noscano il di voi cadavere.

Irma — Ma il cadavere non c'è!

Oscar — Sa che questa è bella! Devo essere morto per forza, adesso!

Commissario — A fortiori!

Oscar — Ma insomma!

Commissario — Ai  sensi.

Nestore — Roba da matti.

Commissario — Amen.

Irma — Ma perché?

Commissario — Sic et simpliciter.

Irma — Ma noi...

Commissario — Prosit. Preponete di non aggravare il di voi caso. Mi sembrate un tipo un po' balordo, voi.

Oscar — Per l'ultima volta, signor commissario, non c'è nessun cadavere!

Commissario — In tale analogia, il di voi decesso sarà ufficiale fra dieci anni.

Oscar — Ma io ho fretta, signor Commissario. Il bambino è lì che aspetta.

Commissario — Il bambino? Qualis?

Oscar — Cioè. Quell'innocente che è al bagno penale.

Commissario — E voi lo denominate un bambino?

Oscar — Signor commissario, la mia situazione è tragica. Io sono vivo.

Commissario — Fornitene le prove.

Oscar — L'avete detto voi, che in assenza del ca­davere il mio decesso sarà ufficiale fra dieci anni.

Commissario — Non io, la legge.

Oscar — Benissimo. Però fino a quel momento io ufficialmente sono vivo.

Commissario — Acerrime nego. Ufficialmente voi siete scomparso.

Oscar — Ma se son qui che vi parlo!

Commissario — Lo dite voi.

Oscar — Insomma!

Commissario — Insomma o non insomma, scom­parso siete. Scomparite!

Oscar — Non ce la faccio più!

Commissario — Intesi.

Oscar — Sono innocente!

Commissario — Sgombrate l'aula!

(Buio. Luce su Bob, nel bar)

Bob — Il povero signor Oscar patì quello che può patire chi va gridando ai sordi la verità, e non solo la verità ma addirittura l'evidenza. Il progresso non si arresta, è vero, ma gli innocenti sì, e molto spesso. Il signor Oscar, straziato, crocifisso ansimante, deli­rante, febbricitante, angosciato, e diciamolo, seccato, rifiutava di ammettere che la mancanza di delitto si debba pagare. Per due giorni e due notti non fece altro che bussare agli sportelli d'una inumana ammi­nistrazione.

Oscar — Porco mondo, se vi dico che c'è un inno­cente al bagno penale, e che io, la vittima, sono vivo!

Bob — Ecco la risposta...

Voce (f.s.) — Lasciate l'indirizzo, vi faremo sapere qualcosa.

Bob — Si rivolge alla stampa, alla radio, alla com­pagnia dei telefoni, alle comari, al coro degli antichi, a un ministro...

Oscar — Signor ministro, la coscienza universale...

Voce — Non mi rompete le scatole, sto per andare a colazione

Oscar — Aiutami, popolo! Un innocente è al bagno penale, e tu solo puoi aiutarmi a farlo uscire. Puoi tu, popolo, tu che per meno di questo hai spesso tolto i selci dalle strade, puoi tu lasciar compiere questo de­litto? Il solo pensiero mi la inorridire... La coscienza universale...

Bob — Il povero signor Oscar parlò per più di due ore dando fondo a tutta la sua eloquenza e finalmente si fece largo tra la folla un coraggioso signore vestito di nero.

Esattore — Il signor Oscar, immagino?

Oscar — Sissignore.

Esattore — Spiacente di disturbarvi: sono l'esat­tore, siete soggetto all'imposta su lo stipendio, come lucidatore di pavimenti. Dovete pagare 38.263 franchi e 65 centesimi. Articolo 154, regolamento A 3.  V Se zione del settore C.6. Progressiva, familiare, propor­zionale, complementare. Chiaro?

Oscar — Non posso pagare.

Esattore — Perché?

Oscar — Sono morto.

Esattore — Chi ve l'ha detto?

Oscar — La società.

Esattore — La società sono io. Siete vivo e paghe­rete, se non vi reca disturbo.

Oscar — Come devo dirvelo, che sono morto? Ve lo confermano tutti: il commissario, il medico, il cancel­liere dello stato civile, i ministri, e perfino la Senna che ha trasportato il mio cadavere. Signore, ho l'onore di non conoscervi.

Esattore — Sono desolato per voi, ma ho un testi­mone. Signor Achille Bougne!

(Entra il signor Bougne)

Bougne — Oscar! Come sono contento di rivedervi, contento davvero! Come state?

Oscar — Non c'è male, grazie. Sono morto.

Bougne — Sempre la battuta pronta! Sono davvero felicissimo! (All'esattore) Signore, vi presento il pri­mo lucidatore di pavimenti di Parigi. Un campione! Che piede! Un piccolo movimento circolare, i gomiti ben stretti. Risultato: uno specchio! La classe, orsù.

Oscar — Oh, signor Bougne!

Bougne — Su, su, non fate il modesto. Sto per lan­ciare una nuova marca di cera in America. Volete partire con noi? Vi assumo per un anno.

Oscar — Signor Bougne, potreste anticiparmi 38.263 franchi e 65 centesimi?

Bougne — Anche 50.000 se volete. Ma lavorerete da me?

Oscar — D'accordo. (All'esattore) Pagatevi.

(L'esat­tore incassa e firma una ricevuta)

Esattore — Eccovi un po' di nero su bianco. Siamo perfettamenti intesi.

Oscar — Tutto a posto?

Esattore — Senza riscossione.                        

Oscar — Allora sono vivo?    

Esattore — Tassativamente.

Oscar — Dio vi benedica!     

Esattore — Aliquota!  (Via)

Oscar — Vivo, vivo, son vivo?

Tutti — Vivissimo. signor Oscar!

Oscar — Vivo, vivo, son vivo! Ah, mi sento molto meglio!  

(Buio.   Luce  su Bob)

Bob — Appena il signor Oscar fu riconosciuto uf­ficialmente vivo, un vento di giustizia s'impadronì del paese. Stampa, radio, opinione pubblica, si occu­parono della faccenda, una collettiva febbre fece fre­mere il vecchio mondo assopito.

Annunciatore — Il Ministro della Giustizia, resosi conto dell'ingiustizia perpetrata, ordina di riabilitare il delinquente innocente, testé uscito dal bagno - eh? Ah, sì, bagno penale, e prega costui di presentarsi alle autorità.

Popolo — Evviva, evviva, evviva!

(Buio. Luce sul signor Oscar che, in atteggiamento assai dignitoso, bacia la mano ad Irma, sulla loggetta di lei)

Oscar — Bambina mia, è un gran giorno per la giustizia e per l'amore. La gioia di rivedervi è stata breve. Mi imbarcherò domani per l'America, mi at­tendono i più spaziosi pavimenti del mondo. Vi lascio non senza una stretta al cuore. Vi ho amata molto e vi amo tuttora. Contate su di me. Presto sarete fra le braccia di Nestore-lo-Sgualcito, l'uomo che il cielo vi ha destinato.

Irma — Siete proprio un brav'uomo, signor Oscar. Volete farmi un ultimo piacere? Tornate con Nestore. Vorrei che vi stringeste la mano come due vecchi amici.

Oscar — Ma...

Irma — Oh, sì, signor Oscar!

Oscar (con dignità) — Ebbene no, bambina mia. Debbo partire. La vostra felicità è con Nestore-lo-Sgualcito... e soltanto con lui. Credetemi, piccola Irma, è meglio così. Addio!

Irma — Addio, signor Oscar.

Bougne — Oscar, dovrò sostituirvi nella sede di Parigi. Potete consigliarmi un tecnico del vostro livello?

Oscar — Vi confiderò un segreto: Nestore lucida meglio dì me. Sarà lui il mio sostituto, una volta tanto... (il signor Oscar esce)

Coro popolare:

Quant'è gentil, / Che tratto signoril.

Che uomo per ben, / Che vero gentleman.

Un tale stil / Non molti l'han.

Che gentleman, / Che gentleman!

(Appare Nestore accolto da un'ovazione. Grande gri­do di Irma che sviene)

Irma — Nestore!

Nestore — Irma! Si sente male!

Tutti — Un medico! Chiamate subito un medico!

(Buio. Nevica. Appaiono tre ombre avvolte in cappotti coperti di neve. Una porta in mano una lanterna ac­cesa. In lontananza suono di campane)

Fidaguida — Accidenti, manco la lanterna funziona! Vedi niente Narice?

Narice — Dieci contro uno che abbiamo sbagliato quartiere.

Omo — No, no. Dev'essere da queste parti, sentite le campane? (A Bob) Scusate, la signora Irma-la-Dolce, potete dirci dove ha la capanna?

Bob — Capanna?

Narice — Non ci badate. E' un selvaggio, dove at­tracca, intende dire, dove nidifica.

Fidaguida — Ignorante, potrebbe essere tanto ama­bile fornirci l'indirizzo della signora Irma? Sì, dove sgrava insomma.

Bob — Venite con me, è qui a due passi.

(I tre con­tinuano mentre giunge di corsa Nestore e dall'altra parte il medico)

Nestore — Fatemi passare!

Medico — Partus... naturalis, ortodoctus, entogicus.

Nestore — Cioè?

Medico — Siete padre, è chiaro! Puerpera e neonato godono ottima salute.                                                 

Nestore — Neonato?

Medico — Sexus Masculinus...

Nestore — Un maschio, un maschietto, mio figlio.

(Si apre il sipario su un quadro di sapore biblico. Al cen­tro Irma, giovane mamma felice. Nestore si inginoc­chia accanto a lei)

                                                      

Medico — Ehi, aspettate!

Nestore (a Irma) — Lo chiameremo Nestore.

Tutti — Lo chiameremo Nestore!

(Tutti, a turno, presentano le loro offerte e cantano)

Coro:   Irma, Nestore, Bob, Medico

Irma, è nato il tuo bebé!

OSgualcito, non hai più guai!

Se assomigli  al papà, bebé,

anche tu te la caverai, / Onoriamo il viceré,

ladri e zoccole  del quartiere.

Ora, Nestore, al tuo bebé

di' le regole del mestiere.

Figlio, impara quest'abc:

furto, scasso, rapina o ratto,

ciò che conta è mostrare di

non avere commesso il fatto.

Tieni a mente: la libertà / vai qualsiasi sacrificio.

perché un  gentleman sempre sta,

meglio in carcere che in ufficio.

(Irma interrompe il coro e batte sulla spalla di Nestore)

Medico — Nestore, partus gemellaris!

Nestore — Cioè?

Medico — Ce n'è un Altro, chiaro? Maschio anche questo.

Tutti — Evviva. 

(Irma presenta l'altro neonato)

Bob (esaminandolo) — Ohé, ha già qualche pelo di barba sotto il mento!

Medico — E' vero. Due piccoli peli di barba.

Irma (prendendolo in braccio) — Lo chiameremo Oscar.

Tutti — Lo chiameremo Oscar.

(Gesto di stizza di Nestore. Il coro si raduna intorno a Irma e tutti can-tano insieme)

Irma, nati son due bebé,

due teppisti  robusti e belli:

formeranno la banda  che

sarà detta dei due fratelli.

Figli miei, prego il cielo che                              

di  voi faccia due gran ribelli:                         

uno scasso val doppio se                     

lo commettono due gemelli.                 

Ecco, piccoli, la lezion,

la  dottrina fondamentale:

tutto è lecito a condizion

di strappare la condizionale!                           

(Fra i canti e i suoni che si alzano al cielo in un solenne crescendo, cala il sipario)

FINE

Questa commedia musicale è stata rappresentata per la prima volta in Italia il 4 novembre al Teatro Comunale di Cesena dalla compagnia diretta da Vittorio Gassman con Anna Maria Ferrero e Alberto Bonucci e con la seguente distribuzione:

Irma Ia Dolce - Anna Maria Ferrero

Nestore lo Sgualcito - Alberto Bonucci

Bob la Feccia -Carlo Hintermann

Polyte il Mollo / Fidaguida - Andrea Bosich

Jojo la Congiuntivite / Narice - Vittorio Congia

Roberto lo Schifo / Crapa di Ferro - Dino Curcio

Bebé le Macro / Tenerezza - Mario Maranzana                    

Maurice la Voce / Omo -Elio Mauro                          

Dudù la Sintassi / ll flic /

Il commissario /

L'Impresario delle Pompe Funebri /            Gianni Bonagura

Il Presidente del Tribunale /                           

II sorvegliante / L'Esattore / Il Medico                                                            

Il Pubblico Ministero / Lo speaker - Attillo Cucari

L'Avvocato / Il signor Bougne - Enzo Robutti

Donne, avventori - Granella Cerri - Delio Cioni

Guardie Indiani  - Virginia Peli - Johnny Kormendi

Guardiani popolo - Herta Eckle - WaIter Scherer

Regia di Vittorio Gassman e Luciano Lucignani

 Commenti coreografici di Gisa Gert

Scene su bozzetti di Mario Chiari

Costumi su bozzetti di Maria De Matteis