Ispezione

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ISPEZIONE

ISPEZIONE

Commedia in tre atti

Di UGO BETTI

PERSONAGGI

UN ISPETTORE

UN ALTRO ISPETTORE

LA SIGNORA EGLE

ANDREA

EMMA, SUA MOGLIE

IOLE

FERDINANDO

ANNA

UGO

ZEFFIRINO

Ai nostri giorni - L'azione, benché divisa in tre atti, si svolge senza interruzioni nello spazio di un pomeriggio. - La scena, uguale tutti gli atti, rappresenta la stanza da pranzo di una modesta pensione.

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

SCENA PRIMA

 (// pasto è appena finito. Sono intorno alla mensa: una vecchia; una donna giovane; un'altra donna, meno giovane e già sciupata; un uomo sulla qua­rantina; un giovanotto; un bambino. Tutti stanno come assorti; è l'indugio del dopo pranzo. Il primo a muoversi è il bambino che si alza dì scatto e cor­re via).

La donna sciupata,(Emma)    - (riscuotendosi, dopo che il bambino è già uscito) Giulio! Giu­lio! Dove vai? Non andare a giocare sul canale. (Pau­sa). Torna presto, (un silenzio).

(Entra un giovinetto dal viso attraente, sì dà a sparecchiare).

Emma                            - (al giovinetto) Dagli un'occhiata anche tu, Ugo, che non s'allontani troppo, (preparandosi a uscire). Oh, sei spettinato, Ugo. Aspetta, (gli ravvia i capelli con un pettine) Così stai meglio, (esce).

Ugo                               - (si rimette a sparecchiare; vi è un silenzio).

La vecchia (Egle)          - (fa cenno, col suo bastone, a qualcuno non visibile, che evidentemente s'è af­facciata allo spiraglio di un uscio) Sì, sì, vieni, Zeffirino. Ho finito.

Un uomo in grembiule( Zeffirino)     - (entra, aiu­ta la vecchia ad alzarsi, si prepara a condurla via sostenendola).

Egle                               - (dopo qualche passo, fermandosi) Non ho avuto appetito, oggi. Non ho appetito, (dopo altri passi) Quando ero piccola mi facevano cantare « O vivo pan del ciel » e a me pareva che il pane del cie­lo fosse proprio una cosa buona da mangiare, una specie di panettone... desideravo di assaggiarlo. « O vivo pan del ciel ». (fa ancora qualche passo) « O vi­vo pan del ciel ». Ricordati, Zeffirino, che dobbiamo finire la nostra partita, ho lasciato le carte com'era­no, non le ho mica guardate, sai? (ride; esce con Zeffirino).

(Comincia da fuori una musica).

Il giovanotto( Ferdinando )   - (si alza, va a guar­dare dai vetri) Pare che abbiano cambiato film. Questo ha l'aria d'essere discreto, ci sono dei buoni attori, (la sua voce è monotona, quasi senza infles­sioni).

La donna giovane( Iole)         - (si alza da tavola).

Ferdinando                   - (guardandola) Ci andiamo, vero?

Iole                                - (senza guardarlo e avviandosi) Sì.

Ferdinando                   - Andiamo all'ultimo programma, c'è meno folla.

Iole                                - Sì. (esce). Ferdinando  la segue).

L'uomo sulla quarantina( Andrea)     - (appe­santito dal pasto, centellinando un bicchiere) Eh? Che roba è? Che film è?

Ugo                               - (che ha finito di sparecchiare, avviandosi) Americano. Guerra, avventure, (esce).

Andrea                          - Ah. Guerra, avventure. Voglio andarci anche io, stasera. L'ultimo programma, c'è meno marmaglia, (è rimasto solo).

(La musica si interrompe. Ed ecco si sente il suo­no imperioso di un campanello. Altra lunga scampa­nellata. Altra ancora).

Andrea                          - (riscuotendosi, senza dare importanza) Ohe! Anna! Ugo! Non c'è nessuno che vada ad apri­re, qui? Tutti sordi?

(Ancora una scampanellata. Andrea si volta sor­preso: sono entrati - e non si capisce come, nes­suno avendo aperto - due uomini col cappello in testa. Hanno un aspetto strano, tetro, da questurini. Quasi contemporaneamente a loro, è entrata loro in­contro, dall'altra parte, la padrona della pensione: Anna).

Anna                             - Scusate, ero in cucina. Chi v'ha aperto? Come siete entrati? Venite. Ecco, di qua. (precede i nuovi venuti, uscendo con loro).

Andrea                          - (rimane voltato come se la cosa lo incu­riosisse, ma non eccessivamente).

Anna                             - (rientrando) Signor avvocato, credo che vogliano voi. Sono venuti per voialtri.

Andrea                          - Per noialtri? Che roba è?

Anna                             - Sembrano funzionari, che ne so. Polizia, giudici.

Andrea                          - (annoiato) Polizia? Ah. Polizia. Bene.

Ferdinando                   - (che, s'è affacciato da una porta) E' che vuole, da noi, la polizia?

Emma                            - (uscita fuori anche lei) Hanno detto co­s'è che vogliono?

Anna                             - Io credo che sia pel foglio di soggiorno. Hanno del tempo da perdere.

Andrea                          - (alzandosi malvolentieri) E se io per esempio ero a dormire? Oppure a spasso? Dite che vengo subito, fateli aspettare qui. (esce).

(Anna torna dai poliziotti. Emma e Ferdinando  si sono ritirati).

SCENA SECONDA

 (La stanza resta vuota qualche attimo).

Anna                             - (rientrando coi due uomini) Ecco, viene subito. Potete sedere. Voialtri siete della Polizia? Ispettori?

(/ due uomini restano un momento in silenzio).

Uno dei due                  - Sì. Ispettori.

Anna                             - Io sono la padrona della pensione. Vo avanti con mio figlio, e poi un uomo per le fatiche. Se volete vederli, eccoli. Questo è mio figlio.

(Da un uscio si sono affacciati Ugo e Zeffirino; po­ca dopo si ritirano).

Anna                             - Vi occorre di guardare i registri?

L'Ispettore                    - Dopo.

Anna                             - Li ho di là, è tutto in ordine. Giochi non ne permetto, in pensione, e neanche questioni, poli­tica. Non ho che questa gente, da un po' di tem­po. E' una famiglia.

L'Ispettore                    - Cioè?

Anna                             - Cosa volete, si sa quel che è una famiglia. (vede Andrea che entra) Allora se avete bisogno, io sono di là. (va per uscire, si ferma sull'uscio a cu­riosare).

SCENA TERZA

(Anna, Andrea, i due Ispettori)

Andrea                          - (che s'è ravviato, avanzando verso l'Ispet­tore, con una certa malagrazia) Avete chiesto di parlarmi. Io sono...

L'Ispettore                    - (col tono di chi sa già) Sì.

Andrea                          - (mettendo dei fogli sul tavolo) Queste sono le mie carte.

L'Ispettore                    - Sì, grazie,

Andrea                          - Credo che siano in regola. Ce le vista­no di mese in mese. Noi non siamo di queste parti.

L'ispettore                     - Qual'è la vostra età?

Andrea                          - Quaranta.

L'Ispettore                    - La vostra professione?

Andrea                          - Avvocato. Attualmente...

L'Ispettore                    - Attualmente?

Andrea                          - Sono qui. Aspetto. Prima aspettavo in un altro paese. Sono ormai due anni che aspettiamo.

L'Ispettore                    - Che cosa.

Andrea                          - Mah. Si aspetta che le cose vadano a posto, no? Per esempio che qualcuno si decida a rimpatriarci. Che si decidano a fare qualche cosa di noi. Noi siamo nelle vostre mani, nelle mani de­ll'autorità. Ogni tanto un'ispezione, persino delle visite mediche. Siamo qui senza occupazione, senza casa, senza nulla. E' difficile non annoiarsi un tan­tino.

L'Ispettore                    - Siete con la famiglia?

Andrea                          - Sì. Se è per il nostro rimpatrio che sie­te venuti, noi avremmo pieno diritto. Siamo in re­gola: anche per i mezzi di sussistenza, se è questo che vi interessa, (una pausa). Oppure si tratta di smistarci? Di espellerci dal territorio? Indagini politi­che? (pausa) Potrei conoscere lo scopo di questa ispezione?

L'Ispettore                    - (dopo un momento) Veramente noi siamo funzionari subordinati, esecutori di ordi­ni. Siamo qui per informazioni.

Andrea                          - (sospettoso) Informazioni?

Anna                             - (dì sulla porta) Forse voi avete mandato qualche ricorso, qualche reclamo?

Andrea                          - (all'ispettore) Cioè?

L'Ispettore                    - (ripetendo) Qualche ricorso, qual­che reclamo. Vi siete lagnato di qualche cosa? (con una specie di improvvisa confidenza) C'è qualche co­sa che non va?

Andrea                          - (sospettoso) Come sarebbe a dire?

L'Ispettore                    - Oppure avete inoltrato qualche supplica? Avete espresso qualche desiderio?

Andrea                          - Desiderio? Bè, il rimpatrio, natural­mente. Aspettate, mesi fa presi un pezzo di carta e scrissi chiedendo almeno un cambiamento di sog­giorno. Si diventa infantili. Non credo che ora si siano ricordati di quei pezzo di carta, (si interrompe vedendo Emma che sta sulla porta) Questa è mia moglie. Vieni, Emma.

(Intanto entrano in silenzio anche Iole e Ferdinando ).

SCENA QUARTA

 (/ due Ispettori, Andrea, Emma, Anna, Iole e Ferdinando ).

Emma                            - (avanza e depone le sue carte) Le mie carte.

L'Ispettore                    - (alla donna) Siete sposati da molto tempo?

Emma                            - Dodici anni.

L'Ispettore                    - Quanti anni avete?

Emma                            - Trentotto.

L'Ispettore                    - Figli?

Emma                            - Sì, uno.

L'Ispettore                    - E' qui con voi?

Emma                            - Sì. Ma ora non c'è.

L'Ispettore                    - Perché?

Emma                            - E' fuori, a giocare. Non è mai in casa.

L'Ispettore                    - Chi c'è d'altri, in famiglia?

Emma                            - Mia madre... (indicando Jole) E mia so­rella. Da che siamo qui ci siamo messi uniti, vivia­mo insieme.

L'Ispettore                    - E prima, no?

Emma                            - No.

(Nel frattempo Anna e l'altro funzionario sono usciti dalla stanza).

Andrea                          - (alla moglie, prudente) L'Ispettore ha domandato se noi abbiamo esposto qualche lagnan­za, se abbiamo chiesto l'intervento dell'amministra­zione.

Emma                            - (incerta, all'Ispettore) C'è stato qualcu­no... che ha chiesto...?

L'Ispettore                    - Voi. Avete inoltrato qualche re­clamo, voi?

Emma                            - (dopo qualche momento) Perché avrei dovuto?... No.

L'Ispettore                    - Intendete di inoltrare ora, qualche domanda?

Emma                            - (sempre guardinga) Non ho motivo. Ci sarebbe il rimpatrio. Noi abbiamo diritto, al rim­patrio.

L'Ispettore                    - (indicando Iole) Questa è vostra sorella?

Emma                            - Sì.

Iole                                - (avanza e depone le sue carte),

L'Ispettore                    - (a Iole) Voi quanti anni avete?

Iole                                - Venticinque.

L Ispettore                    - Ci sono parecchi anni fra voi e vostra sorella.

Iole                                - Sì.

L'Ispettore                    - Esistono altri fratelli?

Iole                                - No.

L'Ispettore                    - Nubile?

Iole                                - Sì.

L'Ispettore                    - Occupazione?

Iole                                - Studiavo. Ora sono in casa, (pausa) Non credo di potervi essere utile.

L'Ispettore                    - (col tono di chi esaurisce un formu­lario) Voi avete fatto qualche istanza?

Iole                                - (con una certa durezza) Quale istanza avrei dovuto fare?

L'Ispettore                    - Avete ricorso per qualche motivo all'autorità?

Jole                                - No.

L'Ispettore                    - Avete ora qualche cosa di speciale da chiedere?

Iole                                - Qualche cosa? No. (dopo un momento). Un tempo desideravo impiegarmi.

L'Ispettore                    - Lo chiedeste?

Iole                                - (alzando le spalle) No. In fondo non lo volevo neanche allora. Era soltanto che mi annoiavo.

Ferdinando                   - (con la sua voce monotona) La si­gnorina è stata poco bene, per un certo tempo. Poi è guarita.

L'ispettore                     - Ora state bene?

Iole                                - Sì.

L'Ispettore                    - (a Ferdinando ) Voi chi siete?

Ferdinando                   - (avanzando e deponendo le sue carte) Sono il fidanzato della signorina. E anche amico di casa.

L'Ispettore                    - Siete qui con loro?

Ferdinando                   - Sì, da qualche mese. Come fidan­zato. Volevo dire che noi abbiamo subito altre ispe­zioni, la nostra situazione è sempre risultata rego­lare. Il soggiorno è piuttosto pesante. Si vorrebbe es­sere a casa... ognuno a casa sua, naturalmente. Non possono tenerci qui in eterno.

L'Ispettore                    - (guarda in silenzio gli astanti schie­rati davanti a lui) Siete tutti qui? Manca qual­cuno.

Emma                            - C'è ancora nostra madre. Mia e di lei. (accenna a Iole).

L'Ispettore                    - E perché non è qui?

Ferdinando                   - Tarderà poco. Si era coricata un momento. Non sta troppo bene, la sua salute desta qualche preoccupazione.

(Un silenzio).

L'Ispettore                    - Bene. Qualcuno di voi desidera dir­mi qualche altra cosa?

Andrea                          - (col freddo tono di chi conclude) Sia­mo spiacenti di non potervi essere utili. Se ci sarà bisogno di altro non avete che da farci chiamare.

(Fa un piccolo inchino ed esce, preceduto da Em­ma e da Iole, e seguito da Ferdinando , il quale, dall'uscio, sì volta ancora un momento).

SCENA QUINTA       

 (L'Ispettore, solo per qualche attimo),

Ferdinando                   - (riapparendo) Scusate, voi vi fer­mate a lungo, qui?

L'Ispettore                    - (lo guarda) Volevate dirmi qual­che cosa?

Ferdinando                   - (sfuggendo) Semplicemente farvi notare... che forse non è stato un buon metodo, quel­lo di interrogarci tutti insieme.

L'Ispettore                    - Avevate soggezione di qualcuno?

Ferdinando                   - Io no. Io sono stato contento della vostra venuta. Forse vi hanno detto qualche cosa contro di me. Ma io sono tranquillo.

 L'Ispettore                   - C'è qualcun'altro che non lo è?

Ferdinando                   - (impenetrabile) Vedete, Ispettore, l'ipotesi più ovvia è che qualcuno vi abbia chiama­to, (scandagliando) Magari una lettera anonima, qual­che vicino? La stessa padrona? (abbassando la voce) Ma forse è stato qualcuno di noi, non è vero?

L’Ispettore                    - Vi era qualche motivo, per chia­marmi?

Ferdinando                   - Motivi ve ne sono sempre; inezie, sciocchezze. In tutte le case.

L'ispettore                     - E allora?

Ferdinando                   - E' la vostra venuta che complica un po' le cose.

L'Ispettore                    - Come mai?

Ferdinando                   - Fra l'altro viene in mente che voi possiate prendere non si sa quali provvedimenti, e allora ci si preoccupa un pochino, ci si difende. Io spero che starete ben attento. E' difficile, in una fa­miglia; sono fili confusi. Specialmente...

L'Ispettore                    - Specialmente?

Ferdinando                   - Nel caso nostro.

L'Ispettore                    - E perché?

Ferdinando                   - Condizioni anormali, sospiriamo tutti il rimpatrio, (con la sua voce monotona). Ve­dete, la gente, in genere, qual'è il suo modo di vi­vere? Di stare in una specie di guscio, di bozzolo. Quel dato cerchio di abitudini, di relazioni.... la pro­pria casa, il proprio giornale, quei dati svaghi, quel dato orario, quei certi pensieri: un vero guscio. Lì dentro si sta tranquilli, ben appoggiati. Mettiamo che uno abbia una specie di malattia. Difficile che qualcuno se ne accorga. Neanche lui, il malato. La malattia sta lì e dorme. Perché c'è il guscio, (pausa) Noialtri, invece, ci siamo trovati fuori, senza più niente. Nudi. Abbiamo dovuto essere come realmen­te siamo.

L'Ispettore                    - A chi si riferiscono i vostri di­scorsi?

Ferdinando                   - Io parlo perché non vorrei essere danneggiato... io stesso... e anche la mia fidanzata. E' una ragazza che bisogna capire, (j suoi occhi si sono fissati su qualche cosa, alle spalle dell'ispet­tore).

L'Ispettore                    - (voltandosi per vedere anche lai) Scusate, che cosa state guardando?

Ferdinando                   - Io?

L'Ispettore                    - Guardavate qualche cosa?

Ferdinando                   - Ah. Nulla. Pensavo.

L'Ispettore                    - E' la vostra fidanzata, la persona malata che vi preoccupa?

Ferdinando                   - No.

L'Ispettore                    - E chi, allora?

Ferdinando                   - La vecchia.

L'Ispettore                    - La signora che sto aspettando?

Ferdinando                   - Sì, la madre della mia fidanzata; e dell'altra signora.

L'Ispettore                    - A che cosa vi riferite precisamente?

Ferdinando                   - Temo che possa avvenire, qui, qual­che fatto sgradevole.

L'Ispettore                    - Quale fatto?

Ferdinando                   - Non so, qualche cosa.

L'Ispettore                    - Che cos'è che rimproverate alla vecchia signora?

Ferdinando                   - Per esempio... guardate: si è ap­propriata di tutte le risorse della famiglia: una som­ma ragguardevole, lasciata dal defunto marito. La vecchia signora nega di averla avuta. Sappiamo che l'ha nascosta. E così mantiene il resto della fami­glia in una situazione di bisogno e di soggezione.

L'Ispettore                    - A tutti i vecchi si rimprovera qual­che cosa di simile. Tutto qui?

Ferdinando                   - (abbassando un po' la voce) No. Si è rivelato nella vecchia signora, a poco a poco, con l'età, uno strano sentimento. Ella ha cessato dall'amare i suoi familiari. Non parlo per me, che anzi sono l'unico un po' benvoluto. Sembrerebbe sia su­bentrata in lei, per essi, una specie di segreta avversione

L'Ispettore                    - Anche ciò è meno raro di quanto si creda.

Ferdinando                   - Ma la vecchia signora si è anche affezionata a qualcuno.

L'Ispettore                    - Qualcuno...

Ferdinando                   - Sì. Qualcuno estraneo alla fami­glia. Persona non degna.

L'Ispettore                    - Cioè? (un silenzio).

Ferdinando                   - (alzandosi) Preferisco che ve lo dica qualche altro.

L'Ispettore                    - Abile e prudente.

Ferdinando                   - (abbassando la voce e indicando l'uscio) Oh, tutti sono là dietro che bruciano let­teralmente dal desiderio di venirvi a bisbigliare qualche cosa. (Sulla porta) E perché non fate due parole anche con Zeffirino? E' l'uomo di fatica, quello alto, con quell'orribile voce...

L'Ispettore                    - Va bene. Fatelo venire.

Ferdinando                   - (esce).

(L'Ispettore resta solo qualche momento, poi la porta si apre).

SCENA SESTA

(L'Ispettore e Zeffirino)

Zeffirino                       - (entra, sta un po' diffidente) Io sono Zeffirino. Mi hanno detto che volevate parlarmi? (La sua voce è roca, orribile).

L'Ispettore                    - Sì.

Zeffirino                       - A che proposito, signore?

L'Ispettore                    - Pensavo che aveste qualche cosa da dirmi.

Zeffirino                       - Il mio mestiere è di spaccare la legna; e cose simili, signore.

L'Ispettore                    - E tuttavia...

Zeffirino                       - Che cosa dovrei sapere? A me le parole mi entrano da un orecchio e dall'altro mi escono.

L'Ispettore                    - Ciò non ostante...

Zeffirino                       - (lamentoso) Io lavoro. (Toccandosi il palmo della mano) Io ho le cotiche qua.

L'Ispettore                    - E tuttavia voi desiderate dirmi qualche cosa.

Zeffirino                       - Perché, c'è stato qualcuno che ha messo in giro delle storie? Sul conto mio?

L'Ispettore                    - Non è il caso che dobbiate preoc­cuparvi.

Zeffirino                       - Oh, lo so; sono gli altri, che devono preoccuparsi. Sono gli altri che non dovrebbero stuzzicarmi; e mettermi sul punto di chiacchierare.

L'Ispettore                    - Appunto questo, desideravo, Zef­firino; che chiacchieraste un po'. Nel vostro inte­resse.

Zeffirino                       - (diffidente, minimizzando) Tutto quel che so io... è che si tratta di gente... scombi­nata. Non vanno d'accordo. Ecco. Del resto lo sa­pete anche voi.

L'Ispettore                    - Sì, lo so anch'io.

Zeffirino                       - (preoccupato) Che cosa v'hanno detto?

L'Ispettore                    - Parecchie cose.

Zeffirino                       - Ah. (Di colpo, scoprendosi, bisbi­gliando) Non ci credete. Sono bugiardi.

L'Ispettore                    - Perché?

Zeffirino                       - Bugiardi, scombinati. La vostra ve­nuta li ha spaventati; potrebbe succedere qualche cosa.

L'Ispettore                    - A che alludete, specialmente?

Zeffirino                       - Mah. E' un'idea mia.

 L'Ispettore                   - C'è qualcuno da tener d'occhio?

Zeffirino                       - (dopo un silenzio) Sì. Sì. La signora Emma. Quella un po' più sciupata.

L'Ispettore                    - E perché proprio lei?

Zeffirino                       - . Perché? (reticente). Eh, dovreste es­serci, voi, quando si mette a urlare. Sembra ogni volta che debba succedere uno sproposito. E' anche; il giovanotto, il fidanzato dell'altra, che la spinge, sotto sotto.

L'Ispettore                    - E il motivo?

Zeffirino                       - Niente. Lei dice... che l'hanno ingannata; che vuol metterci una fine. (Gli occhi gli corrono, a un certo, punto, dietro le spalle dell'Ispet­tore).

L'Ispettore                    - (voltandosi e guardando) Che cosa guardate ?

Zeffirino                       - Non guardavo mica.

L'Ispettore                    - M'era sembrato.

Zeffirino                       - Dice che vuole ammazzarsi! Ma se volesse farlo davvero, chi glielo impedisce? Sarebbe facile. No, non lo farà mai; piuttosto qualche cattiveria, contro qualcuno.

L'Ispettore                    - Contro chi?

Zeffirino                       - Non lo so.

L'Ispettore                    - Con chi ce l'ha?

Zeffirino                       - Accusa tutti.

L'Ispettore                    - E di che, li accusa?

Zeffirino                       - Di niente. (Un silenzio). A me quella che mi fa pena, è la vecchia. Non è custodita come dovrebbe una donna a quell'età e poi malata. Lai trascurano. E invece è lei, che tiene in piedi tutto; tutto si sfascerebbe, senza di lei. Io le fo un po' di compagnia, ve l'hanno detto? Giochiamo a carte insieme, senza interesse; cerco di tenerla un po' su. Eh?

L'Ispettore                    - Grazie, Zeffirino. Mandatemi la si­gnora Emma.

Zeffirino                       - (lo guarda, esce).

L'Ispettore                    - (resta solo, quasi subito la porta si apre).

SCENA SETTIMA

(L'Ispettore, Emma)

Emma                            - (entra, agitata) Sarei venuta io sponta­neamente (pausa). Sopratutto per scusarmi.

L'Ispettore                    - Di che?

Emma                            - Di non avervi riconosciuto. Io vi ho già visto, ne sono certa; un mese fa, al Palazzo di Giustizia.

L'Ispettore                    - (senza affermare né negare) Al Palazzo di Giustizia?

Emma                            - Sì. Io vi ho parlato. Non è per questo che siete venuto qui?

L'Ispettore                    - E voi perché eravate al Palazzo di Giustizia?

Emma                            - E' proprio questo che vorrei spiegarvi. Fu un momento così. Mi sentivo... tanto preoccu­pata. Fu Ferdinando , a indirizzarmi, il fidanzato di mia sorella. La mia intenzione era solo di chiedere un consiglio.

L'Ispettore                    - Su che cosa?

Emma                            - Informazioni, più che altro. Del resto non ero neanche entrata nel Palazzo che già ero pentita. Noi fra l'altro siamo forestieri, non sempre riusciamo a farci capire. C'era molta gente, mi han­no mandato qua e là... e poi...

L'Ispettore                    - E poi...

Emma                            - E poi ho incontrato voi. Voi... e il vo­stro compagno. Nel corridoio.

L'Ispettore                    - E cosi?

Emma                            - Mi domandaste che cercavo. Non vi ri­cordate?

L'Ispettore                    - E allora?

Emma                            - E allora... io cominciai a parlarvi; ma subito capii; e venni via.

L'Ispettore                    - Che cosa, capiste.

Emma                            - Che erano tutte ubbie mie, sciocchezze. Voi vi sarete fatto una brutta opinione. Qui, tranne Ferdinando , nessuno lo sa, che io sono venuta al Palazzo. Mi raccomando.

L'Ispettore                    - E adesso?

Emma                            - (ansiosa) Non vorrei che voi adesso fo­ste venuto... per fare qualche cosa, per prendere qualche provvedimento...

L'Ispettore                    - E perché non vorreste?

Emma                            - Ma perché... non occorre nulla- Io non chiedo nulla. In una famiglia, si sa, qualche que­stione c'è sempre. La colpa, in fondo...

L'Ispettore                    - Di chi è?

Emma                            - Mia. Io.

L'Ispettore                    - Perché?

Emma                            - Gli anni. Mi sono anche trascurata. In­somma, giovane non lo sono più, E io invece mi sono messa in testa un sacco d'idee.

L'Ispettore                    - Quali idee?

Emma                            - (sorride) D'essere odiata da chi mi sta vicino. E che dovrò finire all'ospizio.

L'Ispettore                    - L'ospizio è un po' troppo. Ma tutte le donne hanno di questi pensieri, quando la bella giovinezza comincia ad allontanarsi.

Emma                            - La mia s'è allontanata già.

L'Ispettore                    - Vi figurate di essere odiata. E da chi?

Emma                            - Da chi? Mio figlio ha sempre fretta di uscire a giocare coi compagni. E a me d'un tratto sembra d'essere odiata da mio figlio. Io cerco di trattenerlo, e lui mi respinge proprio con forza, con rabbia. Ci mancherebbe questa, che un bambino non avesse smania di andare a giocare…

L'Ispettore                    - Vostro figlio. E poi?

Emma                            - Certe volte mi sembra che mia madre, nel guardarmi, mi rimproveri d'essere diventata an­ziana. Non è colpa mia, vero? Mia madre ha sem­pre preferito mia sorella, benché mia sorella sia molto aspra con lei. Si preferisce sempre l'ultimo figlio.

L'Ispettore                    - E di vostra sorella, che cosa pen­sate?

Emma                            - Tra me e Iole c'è molta differenza di età. Non siamo cresciute insieme.

L'Ispettore                    - Anche lei immaginate che abbia dell'astio per voi?

Emma                            - (dopo un momento) No. Forse mi di­sprezza.

L'Ispettore                    - E perché dovrebbe disprezzarvi?

Emma                            - Perché... ho le lacrime in tasca. Sono nervosa, non mi so frenare. Grido, parlo: non ho altre soddisfazioni. Oh, debbo essere insopportabile. Per le più stupide cose... lacrime...

L'Ispettore                    - Per esempio?

Emma                            - Per esempio... (ride e subito dopo le si gonfiano gli occhi). Non che abbia sempre torto. Per esempio, è possibile che io vada in giro con questo abitino? Quando rinfrescherà ancora un po', dunque, io non potrò più uscire, dovrò rimanere a letto. Mi ci vorrebbe qualche cosa, un paltò. Op­pure devo morire di freddo, devo diventare tisica? (D'un tratto, come assorta). Vorrei almeno avere un po' di danaro.

L'Ispettore                    - (a voce bassa) E vostro marito?

Emma                            - (dopo un silenzio, con ruvidezza) Si sa bene quel che vuol dire quando un uomo e una donna sono stati a letto insieme degli anni. Se ne ha fin sopra gli occhi.

L'Ispettore                    - Siete stati innamorati, a suo tempo?

Emma                            - Mah. Non mi ricordo neanche più. (Pru­dente) Mio marito vi ha detto qualche cosa?

L'Ispettore                    - Che avrebbe dovuto dirmi?

Emma                            - Non so.

L'Ispettore                    - Pariate poco fra voi?

Emma                            - Ma sì. Parliamo.

L'Ispettore                    - C'è ancora fra voi... qualche cosa?

Emma                            - (non risponde).

L'Ispettore                    - Arriva un giorno in cui occorre chiudere gli occhi ed essere sinceri.

Emma                            - Sì. Qualche volta Andrea ancora si ri­corda che io sono una donna. (Un silenzio; gli oc­chi di Emma vanno, anche essi, a un certo punto della stanza).

L'Ispettore                    - (segue quel movimento poi torna alla donna; con voce un po' diversa, severa) Signora, che cosa volevate, quel giorno, al Palazzo di Giu­stizia? In che cosa può servirvi l'autorità? Tutto sommato m'avete detto ben poco, siete stata reti­cente. Per esempio, di che cosa avete paura?

Emma                            - (quasi distratta) Di restar sola. Ho pau­ra che mio marito se ne vada.

L'Ispettore                    - C'è qualche ragione per temerlo?

Emma                            - lo ho paura che un giorno... lo chia­miamo, lo cerchiamo per andare a tavola... e lui non c'è più. (/ suoi occhi sono tornati sullo stesso punto di prima; si riscuote, s'avvia per uscire). Se voi poteste... impedire questo, sarebbe molto belio.

L'Ispettore                    - Mandatemi vostra sorella.

Emma                            - Sì. (Sul punto di uscire) Forse è stato Ugo, a chiamarvi?

L'Ispettore                    - Chi è Ugo?

Emma                            - Il figlio della padrona, quel ragazzo. Mi è tanto devoto. Io delle volte parlo con lui... (ride). Lo pettino (sta lì un po' assorta, esce).

L'Ispettore                    - (resta qualche istante solo).

(La porta si apre, entra Iole).

SCENA OTTAVA

(L'Ispettore, loie)

Iole                                - (con durezza) Mi hanno detto che volete ancora qualche cosa da me.

L'Ispettore                    - Pensavo che anche voi desidera­ste di vedermi da sola a solo.

Iole                                - Del resto vi avranno già parlato di me. Be', volete sapere... che non vo d'accordo, con que­sta gente? No, non li amo, sono annoiata di vivere qui. Va bene? Basta? Purtroppo bisogna per forza avere dei parenti.

L'Ispettore                    - Vostra madre vi è molto affezio­nata.

Iole                                - (ha una smorfia di riso).

L'Ispettore                    - Perché ridete?

Iole                                - Siete voi che mi fate ridere. Non so chi vi ha chiamato, presso a poco lo indovino. Non mi sembrate destinato ad avere molto successo. Se pure non combinerete qualche pasticcio. Mia madre per vostra regola non è affezionata a nessuno. Oh, nem­meno a Zeffirino! L'altro giorno ho sentito Zeffirino dire a mia madre che essa aveva delle guancette come una ragazza di diciotto anni. Credo che la famiglia sia il posto dove succedono le cose più buffe e meno rispettabili del mondo. (Anche i suoi occhi si fissano sul solito punto).

L'Ispettore                    - (dopo un momento) E voi siete sicura di non dovervi rimproverare nulla?

Iole                                - Io? Ma io sono molto meno rispettabile e molto più buffa degli, altri. Mia madre, eh? Vi consiglio di osservarla. E' una donna pericolosa.

L'Ispettore                    - Perché?

Iole                                - (con sopportazione ironica) Perché è ma­lata, naturalmente. L'idea di ogni malato è di giudicarsi trascurato, non abbastanza accudito; e perciò di sentirsi autorizzato a compiere le azioni più mal­vagie. I malati e i vecchi sono tremendi. Si sen­tono fuori tiro. Figuriamoci poi una che è l'uno e l'altro insieme. (Avviandosi per uscire, tranquilla). Lo so che non dovrei parlare così. Cosa volete, non ho cuore. (Si ferma).

Ugo                               - (traversa la stanza prendendo qualche cosa da un mobile e poi uscendo).

Iole                                - (abbassando la voce) Anche lui è peri­coloso. Tenete d'occhio anche lui.

L'Ispettore                    - Perché?

Iole                                - Per la ragione opposta. Perché è un ra­gazzo, crede a quello che gli dicono. E' molto de­voto a mia sorella. (Voltandosi ancora). Tutto som­mato, sappiate che a me non importa niente di tutto ciò. (Esce).

(Quasi contemporaneamente, da un altro uscio, rientra Ugo, riattraversa).

SCENA NON

 (L'Ispettore, Ugo)

L'Ispettore                    - Ugo.

Ugo                               - Signore.

L'Ispettore                    - (indicando il mobile cui tutti hanno guardato) Sai dirmi perché tutti guardano lì? Che c'è?

Ugo                               - (con una sorta di tranquillità) La medi­cina della vecchia. Ecco, quella bottiglia. Tutti i giorni lei beve un bicchiere di latte in cui sono state versate tre gocce di quella medicina. Sarebbe facilissimo versargliene molte di più e farla mo­rire. Il bicchiere di latte glielo prepariamo sul comodino. Lei è così vecchia e malata che non di­stingue più i sapori. Siccome è una vecchia molto cattiva, perfida, vedrete che qualcuno lo farà e ac­comoderà tutto. (Esce).

SCENA DECIMA

 (L'Ispettore, Andrea)

Andrea                          - (entra subito da un altro uscio, va in si­lenzio davanti all'Ispettore).

L'Ispettore                    - Ah. Siete tornato.

Andrea                          - Attendevo che foste solo. Vedo che molta gente viene a confidarvisi.

L'Ispettore                    - Desiderate di farlo anche voi?

Andrea                          - Voi non siete qui per caso. Non so im­maginare quale sciocco pettegolezzo possa esservi arrivato. Il fatto è che noi siamo nelle vostre mani, vittime, domani, d'una deliberazione frettolosa, una svista. Perciò desidero che sappiate veramente come stanno le cose.

L'Ispettore                    - Ho visto fin dal principio, che eravate agitato.

Andrea                          - Agitato? No. Infastidito.

L'Ispettore                    - D'altronde si è sempre un po' agi­tati, di fronte a un'ispezione della polizia.

Andrea                          - E perché? (ironico) Dovunque pesanti segreti? Cattive azioni?

L'Ispettore                    - Oh no, magari niente di pesante.

Andrea                          - E allora il rimorso di aver detto una bugia alla zia? Di aver fatto l'occhietto alla came­riera?

L'Ispettore                    - No, no. Un disagio vago... La po­lizia. Come se capitasse all'improvviso di doversi spogliare di fronte a un dottore.

Andrea                          - (completando) Il sospetto d'aver addos­so una qualche strana macchiolina, l'indizio di qualche sconosciuta, ripugnante malattia. (Ride, ac­cende una sigaretta, fa qualche passo). In conclusione io non voglio negare che si sia venuta formando, qui, una situazione spiacevole. Forse è" bene che siate venuto.

L'Ispettore                    - Oh, meno male. Di che si tratta?

Andrea                          - Niente di grave. Però è sempre fasti­dioso il rancore che si accumula fra due persone costrette a vivere vicino. Vi è qui una persona la quale secondo me sarebbe contenta di nuocermi, penso che questa persona vi abbia già parlato di me. E io debbo difendermi.

L'Ispettore                    - Chi è?

Andrea                          - il fidanzato di mia cognata. Ferdinando .

L'Ispettore                    - Motivi?

Andrea                          - Non ne esistono. Quel giovanotto fu aiutato da me, accolto nel mio ufficio, fu così che incontrò mia cognata. Forse proprio questo, l'ha of­feso: il dovermi gratitudine. Del resto succede: due uomini si incontrano, si guardano; e sono nemici, così.

L'Ispettore                    - Come ve ne siete accorto?

Andrea                          - A poco a poco. Forse io devo a lui questo esilio. Lo ritengo un uomo tenace negli odi e dissimulatore.

L'Ispettore                    - Quali accuse temete da lui?

Andrea                          - (vago) Nessuna che risponda a verità. Ma è facile, oggi, nuocere; magari la politica. Basta poco per essere colpiti, internati.

L'Ispettore                    - Sentite. E' esatto che lì, nella bot­tiglia, vi è la medicina della vecchia signora, e che questa medicina è un veleno?

Andrea                          - Ah, be'. E' una piccola leggenda. Sì, varie persone ritengono probabilmente che vi sia lì quanto basta per risolvere le loro questioni.

L'Ispettore                    - Non è così?

Andrea                          - Deve esserci là un intruglio piuttosto innocuo. Per restarne avvelenati si dovrebbe dar prova di una certa buona volontà.

L'Ispettore                    - Tuttavia non trovate inopportuno che ciò sia lì, a portata di tutti?

Andrea                          - (con indifferenza) Indubbiamente. E' un preciso crudele capriccio della vecchia. E' lei che vuole. Quanto a noi, nessuno vuol far vedere di essersene accorto e di aver fatto certi pensieri.

L'Ispettore                    - Quali pensieri?

Andrea                          - Imprevedibili. Diversi da ciò che cre­dete. Del resto, anche se la bottiglia si trovasse in altro posto della casa, la situazione non sarebbe mol­to diversa.

L'Ispettore                    - Però, che sia lì...

Andrea                          - ...è impertinente, vero? Voi non co­noscete mia suocera?

L'Ispettore                    - La sto aspettando.

Andrea                          - E' una donna notevole. Capirete molte cose, parlandole.

L'Ispettore                    - (dopo un momento) E vostra mo­glie... (Un silenzio).

Andrea                          - Mia moglie? Perché me la nominate?

L'Ispettore                    - Perché è venuta a parlarmi.

Andrea                          - Ah. Ero certo. Mia moglie. Anche di questo dobbiamo discorrere?

L'Ispettore                    - Forse è bene discorrere di tutto, non è vero?

Andrea                          - Bene. Mia moglie tempo fa parlava di volersi separare da me. Tribunale, avvocato... E' per questo che siete qui? Chiamato da lei? Devo avver­tirvi che mia moglie non sta troppo bene. Cambia idee spesso. E poi...

L'Ispettore                    - E poi?

Andrea                          - E poi è vero che ci siamo allontanati. Non è la fine del mondo, vero? Questioni... com­plicate. Tutto ciò non ci impedirà di seguitare a vi­vere così, bene o male, fino alla fine. Mia moglie avrebbe dovuto tenere per sé queste sciocchezze. E' la storia di tutti i mariti e di tutte le mogli, a una certa età. E' solo la nostra situazione qui, che ha un po' inacerbito la cosa. Del resto, affari molto privati. Non vedo la necessità...

L'Ispettore                    - Eppure...

Andrea                          - Eppure?

L'Ispettore                    - (con semplicità) Eppure occorre, un certo giorno, vuotare il sacco. Noi diciamo sem­pre che non occorre. Raccontano i medici che tutti i malati di cancro allo stomaco, quasi fino all'ultimo, insistono a dire che si tratta solo di cattiva cucina, un po' di acidità. (Con una specie di minaccia) E invece un certo giorno, occorre.

Andrea                          - (guarda l'altro, accende una sigaretta) Sapete, da che sono in questo posto non ho più avuto occasione di avvicinare una persona un po' intelligente. Fa così piacere scambiare qualche pa­rola. Già. Parlavamo di macchioline, di malattie. Io credo che esistano davvero delle epidemie segrete; larghe chiazze di mondo andate a male. In fondo ciò che resiste di più, che dà l'impressione di es­sere ancora... reale, dentro di noi, è l'impulso che spinge un uomo e una donna a unirsi. Uomini e donne qualcosa debbono pur fare. Si abbracciano, si scaldano l'un l'altro. (Ride) Tutto il resto è così noioso e spento. D'altra parte è anche vero che le lunghe vicinanze... i prolungati attriti umani, un uomo e una donna che si logorano insieme, ciò spesso finisce per produrre una specie di verde­rame, di tossico. Quella conoscenza così completa, anche dei lati più nascosti... Nella mia professione ho conosciuto una donna - sana, normale - la quale si era messa in mente - lo disse a me ri­servatamente - che suo marito volesse strangolar­la. E invece il marito le voleva bene; e anche lei a lui. Pure quel pensiero doveva ben aver avuto una qualche causa, non è vero?

L'Ispettore                    - Pensate che vostra moglie vi odi?

Andrea                          - Non credo.

L'Ispettore                    - Siete voi, allora...?

Andrea                          - Neppure. E' una cosa diversa.

L'Ispettore                    - Vi siete amati un tempo?

Andrea                          - In un certo senso, sì. Un giorno... scu­sate, è un episodio molto... fisico, vi repugnerà... ma siamo tra uomini, non è vero?

L'Ispettore                    - Certo.

Andrea                          - (abbassando la voce) Un giorno... anzi una notte, per un certo motivo, mia moglie ebbe una forte... perdita di sangue. Scusate, non è certo un episodio poetico, ma purtroppo la verità... Io ero solo ad assisterla e... sangue. Quanto sangue. Da per tutto, (Si guarda le mani). E quell'odore... E mia mo­glie, lì... E io... Bene, devo confessarvi che da quella volta, nel fondo dei miei sentimenti rimase un cer­to... sgomento, ribrezzo... non tanto verso mia mo­glie... o verso me stesso; ma verso... la vita. Cu­rioso, no? Mi ha sempre colpito in mia moglie un che di molto... naturale, quasi direi animalesco... un che di pigro e passivo... Scusate, ma è stata la vo­stra venuta qui che mi costringe a pensare... Qual­che volta io allontanavo le mani dalle sue mani calde, umide. Questo è durato dodici anni. (Pausa). Questi dodici anni hanno un odore. L'odore vero delle case, caro amico. Odore di letto, di biancheria portata, di sudore... (abbassando la voce) di sesso, di mestruo, scusate. Un odore di pettini con dentro dei batuffoli di capelli... L'odore vero della vita, senza perifrasi. E poi, coi bambini, un odore di panni bagnati. (Ride) Se voi salite in certi casamenti sentite quest'odore dai pianerottoli. (Come distratto) Alla fine, poi, quando il funerale tarda un po', si sente un altro odore, appena appena, e i familiari guardano inquieti là, dove egli aspetta sul letto, su­pino, con le mani in croce sul petto... è di lì, che viene questo nuovo leggerissimo odore, e si mescola agli altri odori della casa. (Un silenzio) L'odore della vita. Marito e moglie.

L'Ispettore                    - E ora... altri affetti?

Andrea                          - Eh... voi dite... se io...

L'Ispettore                    - Domando se ora sono subentrati in voi altri affetti. (Abbassando la voce) Un'altra donna.

Andrea                          - (dopo un lungo silenzio) Be', in un certo senso... è un po' come voi dite. Un uomo, si sa.

L'Ispettore                    - Già. Appunto.

(Appare a un uscio e rimane lì inavvertita, appog­giata al suo bastone, la vecchia signora Egle).

Andrea                          - Forse il motivo è questo: che le cose, anche quando vanno bene, vanno sempre male: ba­sterebbe il fatto che si invecchia. E noi abbiamo bisogno di attribuirne la colpa a qualcuno, vicino a noi. Io avevo delle ambizioni; e invece ho fatto l'avvocato, per guadagnare. Ma poi... se anche io fossi stato, adesso, mettiamo, un uomo in vista­ne avrei avute delle altre, delle melanconie... già, delle seccature... (man mano le sue parole si sono fatte più impacciate).

L'Ispettore                    - Che c'è? (subito scopre la causa di quell'imbarazzo: la signora Egle).

SCENA UNDICESIMA

 (L'Ispettore, Andrea, Egle)

La Signora Egle            - Sono io. La vecchia. (Avanza in silenzio) Signor Ispettore, i miei familiari, vi han­no chiamato per me?

L'Ispettore                    - Come sarebbe, per voi?

Egle                               - Per me. I miei familiari sono preoccu­pati per me. Hanno paura magari che io mi lasci abbindolare, non essendo più tanto furba, causa l'età. E anche per la salute. Pensano che io sarei curata meglio, se mi facessi ricoverare in qualche bell'isti­tuto.

L'Ispettore                    - A dire la verità non mi è stato parlato di ciò.

Egle                               - (coni voluta ingenuità) No? Oh, essi sono tanto delicati, manierosi. Mio genero poi è tanto intelligente, da studente vinceva dei premi. Hanno paura di farmi dispiacere. I vecchi sono così in­trattabili. Mettiamo: vedono arrivare un ispettore? E allora si arrabbiano e che cosa fanno, i vecchi? Prendono un bel foglio di carta e fanno un bel te­stamento a modo loro. E addio. Eh eh. (Ride) Vero Andrea?

Andrea                          - (calmo) Cara suocera, ma è proprio un chiodo, per voi, questo testamento. Ci fate una gran paura, sapete? Vedrete che riuscirete a portar veli via con voi, i vostri soldi.

Egle                               - Eh eh. (All'ispettore) Si sono messi in testa che io abbia dei soldi: e me li vorrebbero le­vare. Questo sì che è un chiodo. I miei soldi.

Andrea                          - (con stanchezza) I vostri soldi. (Man mano invischiato nell'argomento) Che poi non sono vostri, cara suocera. Sono quelli del vostro defunto marito.

Egle                               - Ma caro, tutti sanno che la roba del mio povero marito è andata distrutta. (Fa un sorriso all'Ispettore).

Andrea                          - (dando un'occhiata all'Ispettore, e poi col tono di chi spiega a un bambino) Sì, le case, i muri. Ma i soldi no. Essi spettano anche alle vostre figlie.

Egle                               - Ma ciò che spettava alle mie figlie erano le case, gli immobili...

Andrea                          - Perché sono andati distrutti. E invece i soldi, perché ci sono, a voi.

Egle                               - Ma caro, chi ti dice che i soldi ci siano?

Andrea                          - E dove sono andati, allora!

Egle                               - E che ne so io. Posso sapere io dove sono andati a finire i soldi?

Andrea                          - (man mano più nervoso) Però sapete benissimo che avete una certa somma...

Egle                               - Ma caro, queda è mia! O bella. Dovrei essere spogliata?

Andrea                          - Ma nessuno vuole spogliarvi!

Egle                               - Io sono una povera vecchia e ne ho bi­sogno.

Andrea                          - (con esasperazione crescente) Ma an­che le vostre figlie, ne hanno bisogno! Nemmeno esse, devono essere spogliate!

Egle                               - Le mie figlie, va bene. Ma tu che c'entri? Tu non sei mica mio figlio.

Andrea                          - Io parlo anche per gli altri, parlo per tutti.

Egle                               - No no, tu parli per te: perché i miei soldi ti fanno gola.

Andrea                          - E va bene. Anche per me. Perché fi­nora i soldi, i soldi, i soldi, chi credete li abbia messi fuori?

Egle                               - E che ne so.

Andrea                          - Io, li ho messi fuori; io. Adesso basta, non ne ho più.

Egle                               - E così ti fanno gola i miei.

Andrea                          - Ma no! Ma no! Siete voi, che volete approfittare: per tenerci soggetti, ecco! Per impor­re la vostra volontà... così non può durare...

Egle                               - Bravo. Minacciami, anche, minacciami. Grida.

Andrea                          - Ma io non vi minaccio! Siete voi che volete tiranneggiarci. Io sono seccato, umiliato, di dover parlare di queste cose...

Egle                               - Sì, seccato, umiliato, ma i miei soldi ti fanno gola.

Andrea                          - (gridando) Sui vostri soldi io ci sputo!

(Le voci si sono alzate; prima Emma, poi Iole, fanno capolino dagli usci).

Egle                               - Ci sputi, però ti piacciono. Non erano forse i miei soldi che tu cercavi quando hai spo­sato mia figlia?

Andrea                          - Ecco, ecco, sapevo che saremmo ar­rivati a vostra figlia... (gridando) Sono stufo! Non ne posso più! E poi... e poi... (si interrompe ricor­dandosi dell'Ispettore). Caro signore, è l'esatta ve­rità: che io da studente vincevo dei premi! E ora eccomi qui a gridare per quattro soldi! Vincevo dei premi, facevo grandi progetti, ero un grand'uomo!

L'Ispettore                    - (tranquillo) Sì. Intorno al vostro tavolino, al caffè delle Logge, quando voi discute­vate, si radunava un piccolo pubblico. (Un silenzio).

Andrea                          - (stupito) E' vero. Al caffè delle Logge.

L'Ispettore                    - Avevate un vero seguito, fra gli studenti. Ricordate la vecchia università? Quel buon profumo le sere estive?

Andrea                          - Certo. Ma voi come sapete?

L'Ispettore                    - (sta qualche momento in silenzio) Perché io vi ho conosciuto, allora. C'ero anche io ad ammirarvi. Ero un vostro amico.

Andrea                          - Come vi chiamate?

L'Ispettore                    - Non vi ricordereste. Io guardavo voi, ma voi non guardavate me. Eravate un po' la gloria della città. (Si volta alla vecchia). Conoscevo anche voi, signora. Cosa volete, ci si conosce tutti, nei piccoli centri. Be', vi confesserò che uno dei motivi per cui sono venuto qui è stato proprio il fatto che io vi avevo conosciuti, un tempo; in un certo senso vi avevo invidiati; e così ho provato una certa curiosità di vedere un po'... a che punto eravate, dopo venti anni, E anche ho desiderato di aiutarvi... a sistemare, a risolvere. Sono venuto qui apposta: un amico. (Pausa). Conoscevo anche voi, signora Emma. La vostra bellezza, qualche cosa di superbo, un po' chiuso, che avevate, attirava tutti gli sguardi. Le domeniche, con la musica. Fioriste presto, un rapido imperioso fiore; il vostro precoce esser donna quasi vi imbarazzava, turbava tutti i ragazzi. Passavate con gli occhi bassi, le vostre pe­santi trecce...

Emma                            - (d'un tratto ha un singhiozzo),

Egle                               - (senza guardarla) Emma. Non essere sciocca.

Emma                            - (fugge via dalla stanza).

L'Ispettore                    - (senza mostrare di aver notato nulla, rivolgendosi a Iole) Voi invece eravate una bam­binetta. Vi ho vista andare a passeggio coi vostri genitori, tenuta per mano di qua e di là, con una vestina di tulle bianco. Camminavate a passettini, addirittura in gloria, in estasi. La figlia più piccola.

Iole                                - (si volta in silenzio, esce dalla stanza).

L'Ispettore                    - Sì, vi ho conosciuti tutti.

Andrea                          - (d'un tratto, tremante di collera) Io trovo... che tutto ciò è imbarazzante, ecco, poco de­licato! Caro signore, vi rendete conto che il vostro procedere è stato... offensivo? Noi non avremmo parlato di tante cose, riservate, con un... un cono­scente. Voi avreste dovuto dirci subito... e non sor­prendere la nostra buona fede per carpirci delle confidenze... e metterci a disagio! Voi avete voluto soddisfare una curiosità... pettegola, sì, e magari un'antica invidia. Non vi è parso vero, no?, voi, piccolo sbiadito funzionario, di poter fare una volta il superuomo con persone... che meritano tutto il vostro rispetto! Noi non permetteremo, no, non per­metteremo... che le nostre faccende siano-., il diver­timento della vostra... della vostra... (si interrompe, esce d'impeto).

L'Ispettore                    - (è rimasto del tutto impassibile).

SCENA DODICESIMA

(L'Ispettore, Egle)

Egle                               - (all'Ispettore) E dunque avete conosciuto anche me?

L'Ispettore                    - Sì. Una bella signora, rispettata, amata, felice...

Egle                               - Che bugie. Non è mica vero. I vecchi sono dei fanfaroni; non è mai vero che si sia stati felici e amati. Lo stagnaio che non veniva... e della gran biancheria da aggiustare! Eccola, la mia vita, il bilancio. La lavandaia veniva ogni sabato, e i sabati venivano così presto... « Ma come, ancora sa­bato! Ma se la lavandaia è stata qui ieri... . Ah, la vita. Caro signore, si può sapere infine che cosa volete da noi? Non sarete per caso un imbroglione, eh?, venuto qui per impaurirci e carpirci, anche voi, un po' di soldi?

L'Ispettore                    - No, signora. Sono veramente un ispettore.

Egle                               - Ah. E che cosa volete, allora? Chi è che ha bisogno di voi? Chi vi ha chiamato?

L'Ispettore                    - (alzando lentamente l'indice verso dì lei) Voi.

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

SCENA PRIMA

 (L'Ispettore e Egle. L'azione riprende all'ultima battuta dell'atto precedente)

L'Ispettore                    - (indicando) Voi.

Egle                               - Vi ho chiamato io? Siete venuto per me? Eh eh. (Ride a lungo). Ma bene. Spiegatemi, spie­gatemi un po'.

L'Ispettore                    - (con un tono del tutto nuovo, cioè insinuante, quasi affettuoso) Oh, la gente si ri­volge all'Autorità per i più diversi motivi; anche semplici momenti di malumore; poi magari se ne dimenticano. Molti ricorrono, ma non lo confessano, fanno gli orgogliosi. (Confidenziale). Del resto an­che un'altra volta... ma è già del tempo... voi ci avete scritto: sì, eravate molto in collera, non si capiva bene se contro un certo medico, oppure con­tro la morte in generale. Si trattava di un vostro figlio.

Egle                               - Mio figlio. Ho avuto un solo figlio.

L'Ispettore                    - Volevate che l'Autorità mettesse in prigione il medico, secondo voi aveva sbagliato la cura.

Egle                               - (un po' opaca) Sì. Un asino di medico. Altrimenti perché avrebbe dovuto morire, mio figlio, un ragazzo? E così, scrissi, sicuro.

L'Ispettore                    - (persuasivo, sedendole vicino) Ci sono avvenimenti che sembrano veri strafalcioni, vero? Si ha bisogno di credere che a sbagliare sia stato proprio un tizio, una persona precisa; questo ci tranquillizza. Voi vi tranquillizzaste?

Egle                               - Sì.

L'Ispettore                    - Perché ci scriveste. (Persuasivo) Mettendo le cose in mano a qualcuno, ci sentiamo scaricati, proviamo un riposo. Ecco perché io con­siglio sempre di essere sinceri, parlare, affidarsi con fiducia.

Egle                               - Dite un po': vi ricordate come si chia­mava?

L'Ispettore                    - Chi?

Egle                               - Mio figlio. Mi succede un fatto assurdo: ho dimenticato il suo nome. Era scritto sul mio cuo­re. E invece... E non posso chiederlo, altrimenti mi crederebbero svanita. Voi ve lo ricordate?

L'Ispettore                    - L'ho dimenticato anche io.

Egle                               - Ah. E' curioso come si invecchi a pez­zetti. Per tante cose io mi sento giovane. Sapete perché sto volentieri con Zeffirino? Perché, quando non c'è nessuno, siamo come bambini. Anzi, fin­giamo di essere bambini. Vi sembra una cosa ridi­cola? Non lo è mica.

L'Ispettore                    - Brava, signora; ecco, ditemi tutto. La verità. Non sempre è facile: si va giù, si va giù, e non si è mai arrivati. Finora siete stati tutti molto reticenti. Ma ormai sapete che io non sono un estraneo. E dunque coraggio. Che cos'è che vi tiene agitata?

Egle                               - Voi mi avete conosciuto venti anni fa?

L’Ispettore                    - Sì.

Egle                               - (elusiva) Bene: è un po' come allora: sono un tantino sola.

L'Ispettore                    - (incalzando leggermente) Ma forse ora avete paura di qualche cosa?

Egle                               - Si.

L’Ispettore                    - E di che cosa?

Egle                               - Di morire.

L’Ispettore                    - Ah.

Egle                               - Delle volte ho un cattivo presagio. Per esempio: e se dovessi morire quest'oggi?

L’Ispettore                    - Che brutte idee.

Egle                               - La mia vita è appesa a un filo.

L’Ispettore                    - La malattia?

Egle                               - (bisbigliando) Temo che mi vogliano uc­cidere.

L’Ispettore                    - Queste sono immaginazioni. Ho notato che molte persone, un po' avanzate, sono sog­gette a delle idee simili.

Egle                               - Ma io sono d'ostacolo.

L’Ispettore                    - A che cosa?

Egle                               - A tutti. A tutto. Ecco il guadagno che ho fatto in questi venti anni. Sono d'ostacolo.

L’Ispettore                    - Per esempio?

Egle                               - Pensano che senza di me sarebbero più felici. Perché sono stupidini. Prima sbagliano, e poi gli fa comodo pensare che sia colpa d'un altro: colpa mia.

L’Ispettore                    - E allora?

Egle                               - Vorrebbero che io non ci fossi più.

L’Ispettore                    - Chi ve lo ha detto?

Egle                               - Capisco i loro pensieri.

L’Ispettore                    - Cioè?

Egle                               - Io chiamo: « Emma »! oppure: « Ferdinando »! oppure: «Ugo»! Sicuro anche il ragaz­zo dell'albergo: una volta alzai gli occhi... e lui mi stava guardando in un certo modo... Oppure io chia­mo Iole. «Iole, puoi venire un momento»? La ri­sposta tarda un attimo. « Si, mamma, vengo ». Quel tantino di ritardo vuol dire: Oh mamma, ma perché non muori? Perché non sei sotto terra, anziché lì in poltrona col giornale? Dicono sempre: «Ma no, mamma, stai benissimo, sei tu che ti metti in mente, hai un bellissimo aspetto ». (Con altra voce) «Vai, mamma, vai, vai al cimitero». Dicono: «Ma come mangi, mamma! Per una della tua età... può farti anche male ». E invece no, che non mi fa male, mi fa bene, è salute. « Vai mamma, vai, vai al cimitero ». Io parlo con essi e la mia stessa voce chiede scusa di esserci. Oppure diventa cattiva, cat­tiva. E invece noi vecchi saremmo tanto buoni, chiacchieroni, allegri!

L’Ispettore                    - Ma come potete credere che qual­cuno addirittura pensi di sopprimervi!

Egle                               - Perché è facile. Noi vecchi siamo deboli fiammelle. Non è neanche un delitto, ma una de­cima, una ventesima parte di delitto. E poi nessuno starebbe a badare. « Era tanto vecchia, doveva suc­cedere ». (Supplichevole) E invece quella fiammella desidera di ardere ancora un po'...

L’Ispettore                    - Non dipende da me.

Egle                               - Bene, fino a oggi ho provveduto io.

L’Ispettore                    - Brava. E in che modo?

Egle                               - (in segreto) Prima di tutto non sto mica così male come dico.

L’Ispettore                    - Ah no?

Egle                               - Per carità... Mi conservo un certo margine, ma loro non lo sanno, e cosi li tengo in uno stato di rimorso. Ma non lo dite. E poi mi destreggio. A volte alzo la voce, dico che mando a chia­mare i carabinieri. A volte invece parlo del testa­mento, dò loro delle speranze...

L’Ispettore                    - E così?

Egle                               - Li ho tenuti a bada, fino a oggi.

L’Ispettore                    - E oggi invece? Cos'è che vi preoc­cupa?

Egle                               - Il fatto che voi siate qui. Capiscono che devono spicciarsi: prima che voi o io si faccia qual­che cosa. (D'un tratto, gemendo infantilmente) E io ho paura...

L'Ispettore                    - (indicando il veleno) ... di essere avvelenata quando bevete il vostro bicchiere di latte?

Egle                               - (segue il suo gesto, sta lì, d'un tratto ride) Be' be'. Sapete perché rido? Perché si crede sem­pre che in una casa, se tocca a qualcuno morire, deve per forza essere la più vecchia. Ma mica sem­pre è così, (Bisbigliando e accennando) Anche fra loro si danno molto fastidio.

L'Ispettore                    - (bonario) Ragione di più per to­gliere di lì quella cosa...

Egle                               - E non sarebbe peggio se quella cosa lì fosse nascosta? (Con. asprezza) No! Lì! Sotto gli occhi di tutti! E poi... e poi... (ride, si accosta all'Ispettore, bisbigliandogli qualche cosa all'orecchio; si staccai da lui scuotendo la testa e ridendo; a poco a poco il riso le si muta in un piagnucolio; ella si asciuga gli occhi e geme). Ho paura. Perché sono d'ostacolo...

L'Ispettore                    - (sta a guardarla un lungo momento, poi, con una certa gravità) Signora, credo di potervi annunciare qualche cosa... che vi rassicu­rerà, vi consolerà,

Egle                               - (d'un tratto attenta, ansiosa) Che volete dire. Che c'è?

L’Ispettore                    - Qualche cosa, credo, che farà fi­nire molte delle vostre preoccupazioni.

Egle                               - Mi fate quasi impaurire. Non vorrei...

L’Ispettore                    - Che è che non vorreste?

Egle                               - (ansiosa) Che voi li metteste con le spalle al muro. Per carità, è imprudente. E poi Iole biso­gna saperla prendere.

L'Ispettore                    - (la guarda, sorride) No, no; è una cosa vantaggiosa per tutti.

Egle                               - Insieme per tutti è difficile. Di che si tratta?

L'Ispettore                    - (s'accosta a un uscio, chiama) Ugo.

Ugo                               - (mette dentro la testa) Comandi.

L’Ispettore                    - Chiamatemi il signor avvocato.

Ugo                               - (si ritira).

L'Ispettore                    - (tornando a Egle) Vi dirò signo­ra, che l'idea mia, fra l'altro, venendo qui... quale poteva essere l'idea di un vecchio amico, come voi dovete considerarmi? Quella di favorirvi, di facili­tarvi in qualche vostro legittimo desiderio.

Egle                               - Qualche mio desiderio?

L’Ispettore                    - Ma certo. E' abbastanza facile, per me, aiutarvi. Che cos'è che sopratutto vi starebbe a cuore?

Egle                               - Ciò che io desidero è facile figurarselo.

L’Ispettore                    - Cioè?

Egle                               - Voi ci offrite il rimpatrio?

L'Ispettore                    - (dopo un momento) Sì. Avete in­dovinato. Credo che potrò ottenervelo. Il rimpatrio. Credo che esso risolverà, non è vero?, sistemerà un po' tutto, sarà la fine dei guai.

Egle                               - (un pò? assorta) Oh che bellezza. Che bella notizia.

L'Ispettore                    - Non dite nulla, voglio essere io a darla.

Egle                               - (quasi scherzosa) Che tremenda notizia!

L’Ispettore                    - Perché tremenda?

Egle                               - Perché ognuno di noi è stato sveglio le notti a pensarci, al rimpatrio, a figurarselo... Ognu­no a suo modo, naturalmente. Ci abbiamo pensato molto e forse troppo.

L'Ispettore                    - (voltandosi verso la porta dove è ap­parsa Andrea) Venite.

SCENA SECONDA

(L'Ispettore, Egle, Andrea)

Andrea                          - (dopo un silenzio, concitato) Desidero scusarmi del mio scatto di poco fa.

L'Ispettore                    - (cordiale) Nulla di grave. Vi sec­cava di avere trovato un conoscente.

Andrea                          - (aggressivo) E perché?

L’Ispettore                    - Perché è così. La prima tentazio­ne, incontrando dopo anni un antico amico, è sem­pre di scantonare.

Andrea                          - Ma perché!

L’Ispettore                    - Perché questi rendiconti, questi bilanci fra allora e ora, questi inventari, coi pro­fitti, le perdite... tutto questo ci secca; come se ci vergognassimo.

Andrea                          - (sempre concitato) Ecco. E io desi­dero dirvi che io invece non mi vergogno affatto. Voi avete voluto vedere a che punto eravamo; i profitti e le perdite. Ebbene, non vorrei avervi dato una falsa impressione. Io non credo che il mio bi­lancio sia in passivo.

L'Ispettore                    - (affabile) Ma naturalmente; lo so bene: avvocato; un avvenire davanti; una famiglia, un bel bambino, me lo farete conoscere; guadagna­vate del denaro... (con intenzione) e io credo che tornerete a guadagnarne...

Andrea                          - Voi mi avete conosciuto da ragazzo. Naturalmente da ogni giovane .si attendono miracoli. Ma queste,..

L’Ispettore                    - Be', queste sono poesia.

Andrea                          - Ho avuto delle buone e delle cattive giornate; ho ricevuto dei torti e li ho resi, ho ac­quistato qualche ruga. Il mio bicchiere l'ho bevuto, non ho rimpianti.

L’Ispettore                    - E' bello potere dire ciò del pro­prio passato.

Andrea                          - (sempre aggressivo) Ma perché « del proprio passato»? Io ho venti anni di più, va bene. Tuttavia... (dà un'occhiata a Egle) ritengo d'avere ancora parecchia strada davanti.

L’Ispettore                    - Ma certamente! Appunto...

Andrea                          - Vi dirò anzi che ho avuto delle offerte, pel mio ritorno...

Egle                               - (si avvia per uscire, ride leggermente) Eh, eh.

Andrea                          - (irritato) Sì, delle offerte.., nonostante lo scetticismo di mia suocera. La quale, poveretta, fa quel che può per demolirmi. Delle offerte.

Egle                               - Eh eh. (E' uscita).

Andrea                          - Delle offerte. (Guarda l'ispettore, la sua voce si fa un po' diversa). Non nego di essermi un tantino impigrito, qui; un tantino disorientato, ecco. Mesi intieri passati a rodersi su dei nonnulla,.. Ma anche questo finirà, non è vero? Finirà, Finirà.

L'Ispettore                    - (d'un tratto, con un sorriso) Fi­nirà.

Andrea                          - (sorpreso) Che cosa volete dire?

L’Ispettore                    - Caro amico, poco fa voi avete ac­cennato a certe intenzioni pel vostro ritorno?

Andrea                          - Sì.

L’Ispettore                    - Bene, sono faccende più vicine di quel che pensate.

(Un silenzio).

Andrea                          - Rimpatrio?

L’Ispettore                    - Lo desiderate veramente?

Andrea                          - Perbacco. Sarebbe di nuovo la mia vi­ta... che ricomincia. Io avevo un bel giro di clien­tela... Anche da ultimo: mi hanno fatto sapere che mi aspettavano...

L’Ispettore                    - Immagino che potreste riavere ad­dirittura la stessa stanza, lo stesso tavolo.

Andrea                          - Ma certo.

L’Ispettore                    - Scrivete.

Andrea                          - Che cosa?

L’Ispettore                    - Un'istanza chiedendo eccetera ec­cetera. Il rimpatrio.

Andrea                          - E voi credete...

L’Ispettore                    - Vi dico: scrivete.

Andrea                          - C'è possibilità... di un provvedimento rapido, immediato?

L’Ispettore                    - Penso di sì.

Andrea                          - Sarebbe splendido. E dovrei... scrivere subito?

L’Ispettore                    - Prima scrivete, prima partite. .

Andrea                          - Subito, scrivo; subito. (Cerca l'occor­rente, si ferma). L'avete già detto a mia suocera?

L’Ispettore                    - Sì.

Andrea                          - Che cosa devo mettere precisamente, nell'istanza?

L’Ispettore                    - I motivi sia di professione che di famiglia che richiedono il vostro ritorno; recapito, clientela, giro d'affari; accennate alle cariche che avevate, incombenze, tutto quello che era la vostra vita di ieri, e che sarà la vostra vita di domani. Insomma, fate capire che non si tratta del disoc­cupato, dell'ozioso...

Andrea                          - (preparandosi a scrivere) Sicuro, bene.

L’Ispettore                    - ...ma di una utile rotellina che tornerà a girare sullo stesso perno, nello stesso in­granaggio.

Andrea                          - (un po' agitato, mentre l'Ispettore l'osser­va in silenzio) Sicuro, la stessa stanza e lo stesso tavolo. Rivedo lo stuoino sull'uscio dell'ufficio, E la macchina da scrivere nell'angolo. In un certo senso qui mi ero abituato male, una lunga vacanza. Ora bisognerà rimettersi sotto. Rimpatriamo... tutti? Di­co.., tutti insieme? Oppure...

L’Ispettore                    - Questo poi non lo so.

Andrea                          - La cosa, così immediata, implica an­che... naturalmente... una certa scossa in certe si­tuazioni... provvisorie... Si tratta insomma di rico­minciare; come prima, al punto di prima. Certo, è la mia vita. Sicuro. (Cominciando a scrivere). Il sot­toscritto, avvocato, con ufficio in via... (si inter­rompe).

L’Ispettore                    - Che c'è?

Andrea                          - Niente, un pensiero.

L’Ispettore                    - Quale?

Andrea                          - Voi mi avete conosciuto venti anni fa. Da allora... ho consumato del cibo, delle scarpe, dei vestiti, respirato milioni dì volte, parlato, cammi­nato, eccetera. Risultato?

L’Ispettore                    - Avete detto che il vostro bilancio è in attivo.

Andrea                          - Sì. Cause in Tribunale, vinte o per­dute, la famiglia, un bambino, l'ufficio in via tale... Ma per me? Rispetto a me stesso?

L’Ispettore                    - Quale pensate che sia, il risultato, rispetto a voi stesso?

Andrea                          - Del ragazzo di allora, abbiamo fatto un signore... un po' avariato. Da questo lato niente guadagni. E neanche dal lato degli entusiasmi, della bontà, eccetera. Anche da questo lato si nota un certo logorio.

L’Ispettore                    - Abbiamo dato molto.

Andrea                          - In cambio di che cosa? Il contadino che va alla fiera e spende i suoi soldi, torna a casa carico. Anche noi, spendiamo i nostri anni, tutto: e che cosa portiamo via? Che cosa abbiamo com­perato?

L’Ispettore                    - E che cosa avremmo dovuto com­perare, invece, secondo voi?

Andrea                          - Ho l'impressione che mi prendiate in giro.

 

L’Ispettore                    - Per carità.

Andrea                          - E' colpa vostra. Siete stato voi a par­lare di bilanci: e adesso bisogna che ci lasciate sfo­gare.

L'Ispettore                    - (affabile) Sono venuto apposta. Il guaio è che noi, ispettori di polizia, si tenta sempre di imbrogliarci. Capisco che non sempre è facile, arrivare a essere veramente sinceri. E' come nelle case: si sente un piccolo tanfo. Ma solo dopo un pezzo, quando si sgombra, si scopre che vi è un topo morto.

Andrea                          - (ride, un po' agitato) Dicono che quan­do si sgombera, nelle case dove qualcuno deve... sgomberare, bussa una specie di contabile vestito di nero eccetera. E del resto un'aria un tantino fu­nebre l'avete anche voi.

L'Ispettore                    - (ride) Eh eh.

Andrea                          - Be', mettiamo che io oggi debba mo­rire. E ora sono qui a chiudere i conti. Sapete la conclusione? Che nella mia vita non è successo niente.

L’Ispettore                    - Niente? In tanti anni?

Andrea                          - Niente. Un andirivieni... partenze, ri­torni... episodi inconcludenti ,sopratutto passivi (ac­centuando) involontari. Io ho conosciuto un eroe. Quel che ricordava lui era questo: che aveva pas­sato mezza giornata con la testa ficcata in una buca di bomba. Ecco tutto; niente altro. Moriva mia ma­dre. Il mio pensiero principale era questo: che avrei dovuto io trattare pel funerale, architettavo di man­darci qualche altro. Eppure l'amavo. Niente. Nessun vero dolore, né gioie, niente di importante, (accen­tuando) di veramente voluto.

L’Ispettore                    - Ciò che vi dispiace è di non aver raggiunto certe mete?

Andrea                          - Vale a dire?

L’Ispettore                    - Avreste voluto impiegare questi venti anni per diventare... un artista, un legisla­tore, lasciare di voi una grande traccia?

Andrea                          - Non mi burlate. Noi ce ne ridiamo delle grandi tracce. Noi abbiamo una vita molto pre­cisa, che è la nostra vita. Non abbiamo altro. Quan­do io dico: « io », io voglio dire una cosa assolu­tamente particolare, che non si confonde con nien­te. Tutto il resto è diverso, è un'altra cosa. Io. Io non sono quella sedia là, io non sono mio figlio, io non sono... la luna, le stelle, a me non importa nulla di tutto ciò. Io non sono nemmeno questa mano, questa faccia... io sono un'altra cosa, sono io. Orbene, caro amico: a un dato momento questa cosa: io, apre gli occhi ed esiste. E prima, per tutta l'eternità che c'era? Niente; io non c'ero. E dopo, quando io avrò richiuso gli occhi e ricomincerà l'eternità? Di nuovo niente buio. (Un po' trasportato) Pensate un po' che razza di meccanismo. Buio e nulla, prima e dopo, una durata eterna. E in mez­zo, un piccolo punto illuminato, cioè io. (Pausa). Ma è evidente, ma è lampante, che ciò non avrebbe senso, sarebbe mostruoso, se in quell'unico attimo, in quell'unica giornata fra quelle due notti, non dovesse accadere... qualche cosa. Sì, qualche cosa d'importante... magari di molto brutto, pazien­za, magari un delitto...

Ispettore                        - (bisbigliando) Il veleno...

Andrea                          - ... si fa per dire... Qualche cosa che dia un senso, per cui valga la pena... Qualche cosa! «Qualche cosa!». (Si accorge della signora Egle rientrata silenziosamente, e il suo atteggiamento cer­ca di farsi disinvolto, noncurante). Volevo dire « qualche cosa » di decente, di vero, Non della pac­cottiglia. Per cui si possa dire: « sì, ecco, ci siamo. Questo franca la spesa. Di questo me ne ricorderò ».

SCENA TERZA

 (L'Ispettore, Andrea, Egle)

Egle                               - E così? (all'Ispettore) Non badate trop­po a ciò che dice mio genero. Lui trascura, dimen­tica le faccende importanti per tenere dei discorsi. Lui adopera sempre delle parole straordinarie. Poi invece si tratta di cose piccole.

Andrea                          - (dopo un silenzio) Sì, giusto, cose pic­cole. E' questo che mi fa ridere, tante volte: la­sciarmi andare ai grandi discorsi, e poi ritrovarmi con in mano... cose piccole. (Ironico) Battibecchi in famiglia, tremende ironie, lo stuoino dell'ufficio, cause in tribunale, roba mica molto divertente.

Egle                               - Lui vuol dire, signor Ispettore, che noi lo abbiamo impedito, non abbiamo saputo compren­derlo.

Andrea                          - Ma sì, che avete saputo comprendermi, state tranquilla. (All'Ispettore) Sentite, poco fa lei diceva che i suoi soldi mi facevano gola. E io di­cevo di no, vero? E invece aveva ragione lei! Mi fanno gola, i vostri soldi, cara suocera, mi fanno gola.

Egle                               - (all'Ispettore) Oh, meno male. C'è vo­luto il vostro arrivo, e poi il rimpatrio, per far­glielo confessare.

Andrea                          - Certe volte mi sorprendo a immagi­narlo, il pacchetto dei vostri soldi, nascosto lì, sul vostro corpicino,

Egle                               - Be', ora andiamo a casa e lo vedrai mol­to di rado, il mio corpicino. (All'Ispettore) Vuol far capire che lui, di queste cose, ne ha ribrezzo, lui è sempre grande, superiore. E anzi quando ci sono io si modera, perché io gli faccio un po' sogge­zione.

Andrea                          - E' vero anche questo, cara suocera, che mi fate soggezione.

Egle                               - Lo so, lo so.

Andrea                          - Avete una reale abilità nel mettere la gente di malumore. Quando vi sento penso che non avrei dovuto permettervi di arrivare a tanto, avrei dovuto fare qualche cosa.

Egle                               - Avresti potuto ammazzarmi, caro, toglier­mi di mezzo.

Andrea                          - Tutto avrebbe potuto essere diverso. Certe volte mi rifiuto di credere che la mia vita sia questo.

Egle                               - E tu ammazzami, te l'ho detto. Hai lì il veleno. Caro ispettore, chi lo sentisse dovrebbe spa­ventarsi, non è vero? Oh, avrebbe torto. Lui in realtà parla parla: ma non crede una parola di quello che dice. E' un uomo intelligente, un po' chiacchierone: non alzerebbe un dito. Questo sono stata io a scoprirlo, e glielo dico sempre, mi ci di­verto, ecco perché lui sopratutto ce l'ha con me. Perché è la verità: lui parla, parla, ma poi non fa altro.

Andrea                          - Be', cara suocera, allora vi darò una informazione. C'è qualche cosa che voi non sapete.

Egle                               - Ti sento, caro, ma fa presto, abbiamo al­tro da pensare.

Andrea                          - L'altro anno, quando sono partito da casa e ho lasciato il posto, la città, tutto, non era vero che io fossi costretto a farlo. Vi ho imbro­gliato, ho esagerato. Guerra o non guerra, in fondo, io potevo benissimo restar là, nessuno mi avrebbe seccato.

Egle                               - E allora perché sei partito?

Andrea                          - (d'un tratto gridando forte) Perché non ne potevo più! Perché non ne potevo più di te, della casa, della città, dell'ufficio e di tutto! Non ne potevo più di me stesso! Perché non potevo più respirare! Sono stato io, io a volere lasciare tutto.

Egle                               - (dopo un momento, calma, all'Ispettore)Non è mica vero, sapete. Lui dice così, per darsi delle arie. Bisogna conoscerlo. Lui fa, sempre delle grandi frasi, con la scusa che è intelligente. (Con improvvisa durezza) E sotto c'è solo qualche cosa di molto meschino e sporco. (D'un tratto, affabile) E allora, Ispettore, a che punto siamo con questo rimpatrio? Occorrono molte robe, formalità?

L’Ispettore                    - No, signora. La domanda. Vostro genero stava appunto scrivendola.

Egle                               - Ah. Ma allora ci siamo. Che bella cosa. Bravo, Andrea, bravo; in fondo sei un bravo tipo.

(Un silenzio).

Andrea                          - (all'Ispettore, pacato, col foglio della do­manda in mano) Sapete, poco fa, mentre vi par­lavo dei miei successi, la mia clientela, la stima, mi vergognavo.

L’Ispettore                    - Non era la verità?

Andrea                          - Era.

L’Ispettore                    - E dunque?

Andrea                          - Fra me e me c'è stata sempre un'idea; che la clientela e il resto fossero qualche cosa di provvisorio.

L’Ispettore                    - In attesa di che?

Andrea                          - Quando voi m'avete conosciuto mio padre, nel vedermi entrare, diceva: (con una spe­cie di rapimento) «Oh, Andrea! Andrea!». Gli si illuminava il viso. Venivano gli amici, mi veni­vano incontro: (ancora con quella espressione) «Andrea! Andrea! ».

L’Ispettore                    - Perché mi dite questo?

Andrea                          - Perché mi fa dispiacere figurarmi Andrea ora, qui, fra queste cose.

L’Ispettore                    - Ma voi rimpatrierete.

Andrea                          - E' proprio questo che mi ha messo addosso una certa uggia. Io delle volte, specchian­domi, rilascio un po' la faccia... (esegue). E' una specie di gioco...

L’Ispettore                    - E con questo?

Andrea                          - ... mi viene la faccia d'un vecchietto, un vecchietto che si specchia.

L’Ispettore                    - E allora?

Andrea                          - Allora penso che non c'è più molto tempo, io sono un uomo maturo.

L’Ispettore                    - Ve ne accorgete oggi?

Andrea                          - (guarda distrattamente il foglio che ha in mano) Sì, oggi. Figuratevi un viaggiatore. Dove­va partire, e invece s'è addormentato; sogna. Sogni tormentosi, contrattempi, ostacoli; lunghi penosi so­gni sul sedile d'una stazione. Qualcuno lo tocca...

L'Ispettore                    - (imitando) «Signore! E voi? Non ci sono più treni, sapete? Sapete che ore sono?».

Andrea                          - (come svegliandosi) « Mio Dio. Così tardi? Già notte? Ma io dovevo andare,..».

L'Ispettore                    - (faceto) Dove? Lo sapete almeno?

Andrea                          - So solo che finora m'è stato intorno un vero cerchio di cose stupide...

L'Ispettore                    - (con severità) Insomma, che cos'è che volete dire?

Andrea                          - (con semplicità) Intanto... che mi secca tornare a casa. (Lacera il foglio della domanda, lo lascia cadere).

(Un, silenzio).

Egle                               - (chiamando) Emma! Emma, vieni un po' qua.

(La porta si apre, entra Emma).

SCENA QUARTA

 (L'Ispettore, Andrea, Egle, Emma)

Emma                            - (avanza guardando interrogativamente la madre, il marito, poi voltandosi all'Ispettore) Al­lora è vero, potremo lare i nostri bauli?

L'Ispettore                    - (non le risponde).

Emma                            - Lo abbiamo desiderato tanto. Qui si di­ventava... impazienti, vi era continuamente perico­lo... Là sarà tutto diverso, ognuno sarà a casa sua... (Un silenzio) Abbiamo sofferto molto, qui. (Il si­lenzio degli altri la stupisce) Ma... c'è qualche dif­ficoltà?

Andrea                          - (dopo un momento) Sì, Emma, stavo appunto parlandone al signor Ispettore. Forse è la buona occasione per chiarire certe questioni. Le preoccupazioni, i malintesi, non si risolvono mica, col non parlarne.

Emma                            - (lo guarda; lo sguardo gli cade sul foglio lacerato; si volta all'Ispettore) Non vuole partire?

Andrea                          - Credo che a un certo punto sia meglio...

Emma                            - (calma, al marito) Non vuoi partire?

Andrea                          - Dico che sarà opportuno... riflettere...

Emma                            - Siamo a questo? Sei diventato matto del tutto?

Andrea                          - Matto, eh? Matto. Sì, Emma, sono di­ventato un po' matto. Ho lasciato passare tanto tem­po... tanto tempo ho sopportato...

Emma                            - Che cosa, hai sopportato? (Alzando im­provvisamente la voce) Che cosa hai sopportato?

L’Ispettore                    - Signora, vostro marito diceva che la vita d'ufficio, le sue consuete occupazioni, finora, l'avevano un po' annoiato. Diceva che non era quella la vita che il suo cuore aveva sperato.

Emma                            - (pacata) Bugiardo.

Andrea                          - Ti prego, Emma.

Emma                            - Bugiardo, bugiardo. Signor Ispettore, non è questione d'ufficio e di vita. L'ufficio, sì, l'ufficio! Non l'avete capito che quello lì cerca il modo di liberarsi di me, vuol buttarmi via come un cencio, ecco tutto? Io è un pezzo che lo so. E' un pezzo che lui me lo dice, me lo fa capire in tutti i modi. Perché ora non gli servo più. Perché ora diciotto anni non li ho più. Perché mi sono fatta una povera donna. Perché non l'ho più, il petto, come a diciotto anni...

Egle                               - Emma.

Emma                            - Rispondi, rispondi, ipocrita. Stai sempre zitto. Lo fa apposta per farmi impazzire.

Andrea                          - Emma, sei stata tu o no, a parlare di dividerci, separarci? Ci sono andato io, in Tribu­nale? E' troppo tempo che dura questo malinteso.

Emma                            - Bugiardo! Un malinteso, capito? Un ma­linteso!

Andrea                          - Non è colpa tua, Emma. Ti assicuro che non è per te. Per te, anzi, ho... tanta compren­sione, tanto rincrescimento. (Con improvvisa dispe­razione) Ma io non posso continuare questa vita! Io non posso ricominciare... sempre così!   - (All'Ispet­tore) Scenate, minacce di buttarsi dalla finestra... Bi­sognerà avere coraggio una volta.

Emma                            - Della comprensione, eh? Del rincresci­mento! Non parlavi mica così quando mi sei venuto intorno. (All'Ispettore) Io ero una bella ragazza... non eravamo mica sposati, sapete...

Egle                               - Emma!

Emma                            - Sì, signor Ispettore, mi montò la testa, mi istupidì... sarei andata in mezzo al fuoco, per lui...

Andrea                          - Emma, io credo che sia stato un er­rore fin dal principio. Un grande errore, la colpa non è di nessuno.

Emma                            - Fin dal principio, eh? .Fin dal princi­pio. Signor Ispettore questo non lo sapevate: (a bassa voce, sconvolta) la prima volta mi ha fatto abortire, capite?

Egle                               - Emma, smettila, sei una pazza.

Emma                            - (alla madre) Sta zitta, tu, lasciami stare, che la colpa è tua. (All'Ispettore) Sì, abortire, abor­tire, in una casa di non so chi, come una bestia! In mezzo al sangue! E poi... e poi la seconda volta m'hai sposato perché hai avuto paura, ti eri spa­ventato.

Andrea                          - (con livore) Fai male, Emma, a par­lare di certe cose. Quando io ti sono venuto in­torno, come dici tu, non ero mica il primo, che ti fosse venuto intorno, eh? Lo sai bene. Fai male a farmi parlare. Non avevi mica una bella fama, cara, tutt'altro. E neanche la tua famiglia.

Emma                            - Vigliacco! Vigliacco!

Andrea                          - Inutile gridare, è la verità. Non ti rim­provero mica. Stupido io. Che vita sciupata!

Emma                            - E la mia, allora? E la mia?

Andrea                          - Dalla mattina alla sera io ero a caccia di soldi. (Volgendosi alla moglie) Perché occorreva­no dei soldi, non è vero?

Emma                            - Per me? Ero io? Lo dici adesso! Si­gnor Ispettore, per anni e anni sono stata una ser­va, vicino a lui! Attenta a come muoveva gli occhi per essere pronta a servirlo! E lui...

L’Ispettore                    - Vi ha usato dei maltrattamenti? Vi ha fatto mancare alimenti, assistenza?

Emma                            - (dopo un silenzio) Oh, peggio, signor Ispettore. Sì tratta di altro.

L’Ispettore                    - Che cosa?

Emma                            - Mi ha avvilito.

L’Ispettore                    - In che senso?

Emma                            - Mi vergogno.

L’Ispettore                    - Parlate, qui è la giustizia.

Emma                            - (quasi singhiozzando) Sono stata per lui... una puttana in casa, ecco che cosa sono stata.

Egle                               - (falsa) Ma che vai dicendo, Emma. Ti metti in testa certe cose...

Emma                            - (senza badarle) Ho sempre provato un avvilimento, una vergogna, accanto a lui. E' stato questo che m'ha buttata giù. M'ha sporcato, signor Ispettore. Ve ne potrei raccontare.

Andrea                          - (pallido) Signor Ispettore, che roba, che feccia bisogna smuovere, eh? Ciò che succede tra un uomo e una donna... (cupo) Ma sì, ma sì, si­gnor Ispettore, tante volte si arriva a desiderare che una donna... sia un po' meno... un po' meno dì do­cilità, un po' più d'orgoglio... Io andavo in giro e mi sentivo addosso l'odore del nostro letto e dì lei! Tornavo e rieccola lì, e di nuovo...

Emma                            - Andrea, non credevo che tu fossi vi­gliacco a questo punto.

Andrea                          - (sudato) Forse lei credeva d'amarmi. Dodici anni così. Dodici anni! E sempre dei pen­sieri dentro di me che io mi vergognerei a raccontarveli!

Emma                            - E tu? E tu? Credi d'aver portato belle cose, cose pulite, tu, nella mia vita? Sei stato tu, a imbrattarmi, a sciuparmi.

Egle                               - Piano, piano. Vi sentono. (Scuotendo la testa) Sempre così, signor Ispettore, sempre così.

Andrea                          - (con una specie di improvvisa, sconso­lata calma) Emma, non ne potevo più. E' meglio finire.

Emma                            - (con la stessa improvvisa calma) Allora hai deciso?

Andrea                          - Sì, Emma. Io non posso più vivere ac­canto a te.

Emma                            - Perché, Andrea.

Andrea                          - Sono stanco. Non m'importa nulla di quel che può succedere.

Emma                            - E per tuo figlio hai pensato? Che ne facciamo di tuo figlio? Tu libero e io inchiodata a lui? Non ho neanche bisogno di soldi, mi posso mettere a fare la vita, per me e per lui.

Egle                               - Emma!

Emma                            - (con odio e minaccia) Zitta tu. Zitta, mamma. Tu devi stare zitta. Oppure è semplice, vo e mi affogo con la creatura.

Andrea                          - Sicuro, signor Ispettore. C'è anche il figlio. Ci sono i doveri, i doveri. Lo prendo io, il figlio, se vuoi. Vuole più bene a me che a te. Non ti sei fatta voler bene nemmeno da tuo figlio.

Emma                            - (all'Ispettore) Lo sentite? L'avete capi­to? Gli altri litigano per tenerseli, i figli. E noi li­tighiamo per non volerlo, per darlo via, capito? (Quasi piangendo) Se in questo momento fosse af­fogato nel canale, il figlio nostro, se ce lo portas­sero qui affogato, noi saremmo contenti, capito? (Al marito) Ma io glielo dirò, a Giulio, gli dirò tutto.

Andrea                          - (all'Ispettore, ruvido) E voi lì? Perché non dite qualche cosa, ora, perché non parlate, che siete venuto a fare! (gridando) Emma, il fatto è che così non può seguitare!

Emma                            - Non aver paura, non vorrei più re­stare con te nemmeno legata. Piuttosto la miseria, la strada, sono io che non ne posso più! (con im­provvisa, sgarbata calma) Mamma, perché non ci pensate voi?

Egle                               - (falsa) E a che cosa, figlia mia.

Emma                            - Non avete niente da dire, voi)

Egle                               - Ah, adesso me lo permetti, di parlare. Sai che cosa devo dire? Che non credevo mai più, da vecchia, di vederti così.

Emma                            - Non dite bugie, mamma. Lo so benis­simo, che a voi non importa niente di me.

Egle                               - Oh, come puoi parlare. Se tu sapessi che dispiacere mi fai.

Emma                            - Sentite, mamma. Perché non partite voi, con Iole e Ferdinando ?

Egle                               - Io? Con Iole e Ferdinando ? E voialtri restate qui?

Emma                            - Sì, mamma. Andate voi, a casa.

Egle                               - Io? E perché dovrei essere io a far que­sto? Io non c'entro nulla. Io non ti capisco.

Emma                            - Non è vero, mamma, che non mi ca­pite. Cos'è, vi dispiace di lasciare Zeffirino?

Egle                               - Come sei spiritosa. E poi non abbiamo il permesso...

Emma                            - Ma sì che il permesso ve lo danno. (All'Ispettore) Vero che glielo date, il permesso? (Sen­za attendere risposta) Ha detto di sì, che ve lo dà, mamma, ve lo dà.

Egle                               - Ma per carità, tutte quelle spese, figu­rati un po'. (All'Ispettore) Gira gira, si va sempre a finire lì, coi miei famosi soldi!

Emma                            - (quasi piangendo) Aiutatemi, mamma, aiutatemi.

Egle                               - Sopratutto è per Iole, cara, lo sai. Si an­noia, con me; non vorrebbe. (All'Ispettore) L'altra mia figlia. Se la portassi via con me, se fossi io a farle questo, mi odierebbe, capito? Dovrei passare i miei ultimi giorni sola, con una figlia che mi odia. Non voglio.

Emma                            - (quasi piangendo) Aiutatemi, mamma. Non fate così...

Egle                               - Ma sai che sei curiosa? Cos'è che non devo fare.

Emma                            - Voi lo sapete benissimo, per quale mo­tivo Andrea-.. Lo sapete meglio di me.

Andrea                          - Basta, Emma.

Egle                               - Ma io non so nulla, cara. Sei tu che ti metti in testa delle idee. Mi fai battere il cuore, a gridare così.

Emma                            - No, che non sono idee..

Andrea                          - Basta, Emma. Ti ho detto che non tol­lero...

Emma                            - (all'Ispettore) Non tollera, capite, non tollera! Vigliacco, Sporco. Ma insomma, non l'avete capito?

Andrea                          - (gridando) Basta, Emma! Smettila!

Egle                               - Mi farete morire, con queste scenate.

L'Ispettore                    - (fa un gesto; a Emma, fra un' improvviso silenzio) Un'altra donna?

 Emma                           - (con una specie di noncuranza) Sì, un'al­tra donna. Altro che storie. Un'altra donna.

Andrea                          - (gridando) Basta, Emma!

Emma                            - (c. s.) Perché io diciotto anni non li ho più. Io ero buona solo in fondo a un letto a fargli passare il tempo, ora non gli servo più.

Andrea                          - Ti ho già detto che non è vero. (Gri­dando ancora) Non voglio che tu parli di queste cose!

Emma                            - (c. s.) Ammazzami, così sto zitta.

Egle                               - Cara figlia, se tu ti calmassi un pochino. Sei sempre tanto agitata, E così ti metti in testa un sacco di cose sbagliatissime, ti assicuro, ci rendi la vita impossibile, con queste vere pazzie.

Emma                            - (d'un tratto, frenetica) E' colpa vostra, mamma, è colpa vostra!

Egle                               - (all'Ispettore) I figli, eh? La famiglia.

Emma                            - ... voi siete sempre stata d'un egoismo mostruoso...

Egle                               - Egoismo, egoismo. Come se tu qualche volta ti fossi occupata di me.

Emma                            - Io lo so il vostro pensiero. Voi chiu­dereste anche un occhio! Ma sì, voi in fondo la­scereste correre, a voi vi va bene così, sareste con­tenti tutti... Non ci si crede, eh? L'unica che grida, l'unica che disturba sono io. Uno di questi giorni mi mettete il veleno nella minestra, per farmi star zitta.

Andrea                          - Sei una malata, non ci stai con la te­sta, ti farò rinchiudere. Sei una pazza, una pazza.

Egle                               - Una pazza, una pazza.

Emma                            - Mi ci avete ridotto voialtri, pazza. Ci riuscirete davvero, a farmi impazzire. Voialtri... e quella là...

Andrea                          - Smettila, Emma! Smettila!

Emma                            - Quella là! Quella là!

(D'un tratto tutti si interrompono, guardando1 la porta. Questa si apre, entra Iole. Un silenzio).

SCENA QUINTA

 (L'Ispettore, Andrea, Egle, Emma, Iole)

L'Ispettore                    - (a Iole) Che cosa volete dirmi?

Iole                                - (sta lì in silenzio).

Egle                               - Ma che stupidaggini sono queste! Iole, vieni qui, senti...

L'Ispettore                    - (a Iole) Che cosa volete dirmi?

Iole                                - Che mia sorella muore dalla voglia di parlarvi di me.

Egle                               - Ma di che ti preoccupi, Iole?

L'Ispettore                    - (a Iole) Cioè?

Iole                                - (con una specie di disprezzo) Vuol dirvi che una sera sentì mio cognato nella mia camera...

Egle                               - O bella, e non sarà padrone un cognato d'andare a parlare? Signor Ispettore, io finora ho taciuto, ma questi pazzi mi hanno proprio stancato. Non sono persone da starle a sentire. Mio genero: non lo sa nemmeno lui quel che vuole! Lui fa l'esal­tato così, ma recita, sapete, non è sincero! Mia fi­glia Emma: parla sempre che va ad affogarsi. Sa­pete, dopo, dove va? In camera sua, a leggere un romanzo. Non sono sinceri.

L'Ispettore                    - (a bassa voce) E che faceva da voi, vostro cognato?

Iole                                - (con un riso di disprezzo) Che faceva. Ma via, finiamola, con tutte queste tragedie. Non ho mai visto una cosa più ridicola.

Egle                               - (indicando Iole) Questa figliola, fra l'al­tro, non sta neanche troppo bene...

L'Ispettore                    - (a Iole) Allora, è vero, che voi...

Iole                                - (alzando le spalle) Ma sì. Lo sanno tutti, qui.

(Un silenzio).

Emma                            - (s'i mette a singhiozzare).

Iole                                - Che cosa tremenda, vero?

L'Ispettore                    - (a Iole) Lo amate?

Iole                                - Amore! Oh, smettiamola una volta di far ridere.

L'Ispettore                    - (indicando Andrea) Fu colpa sua?

Iole                                - (come pensierosa, mentre durano i singhiozzi di Emma) No, mia. Qualche anno prima... ero una bambina, uscii nel corridoio in sottoveste, apposta. Sapevo che lui mi avrebbe guardato... che si sarebbe ricordato di me..

L’Ispettore                    - E lui effettivamente si ricordò?

Iole                                - Sì. Dopo tanto. E' stato qui. (Con voce diversa) Una sera. Lui era in casa solo. Lo sentivo canticchiare, sempre uguale, come in un sogno. (Imita quel canticchiare fra un gran silenzio, la stessa Emma ha smesso di singhiozzare).

L'Ispettore                    - (con una impassibilità triste) E poi?

Iole                                - Si capiva che non sapeva che cosa fare della sua vita.

L’Ispettore                    - E poi?

Iole                                - (come assorta) Anche io non sapevo che fare. Allora andai da lui.

Andrea                          - (all'Ispettore, con angoscia) Parlam­mo... poi, quando io fui per uscire... lei alzò una mano... (esegue, come in un sogno) e mi trattenne.

Iole                                - Una compagna mi disse che ho la pelle arida. Avrò le rughe presto.

Andrea                          - (quasi bisbigliando) Ho più di quarant'anni, signor Ispettore. Si sa che più niente ver­rà, non è vero? Si sa che non ci toccherà più nien­te. E io dovrei lasciarla, lasciarla... in mano a un altro? Perché è così, signor Ispettore, è così! Per quale compenso, dovrei farlo? Mi dispiacerebbe troppo.

Emma                            - (improvvisamente, feroce, scarmigliata) Vecchio! Sei vecchio! Credi che non t'abbia capito, quella lì, che sei vecchio, che ti risparmi? Ah ah. Le donne le capiscono, sai, le commedie schifose dei vecchi!

Iole                                - (alla sorella) Non hai vergogna?

Emma                            - T'ha capito anche lei, vecchio, ti spu­terà in faccia!

Iole                                - (con veemenza) Non hai vergogna?

Emma                            - Ah. Sono io che dovrei vergognarmi!

Iole                                - Io ero una bambina; e che facevi tu al­lora? Sentivo tutto, sai, capivo tutto.

Emma                            - (all'Ispettore) M'ha odiato sempre, mi spiava. (Con livore) Sei brutta. Tu non puoi voler bene. Non sei una donna.

Iole                                - E tu sei una malata. Gli hai sempre ri­pugnato, a tuo marito. Non ne vuole sapere, di te.

Emma                            - (gridando, isterica) Non sei una donna! Per questo, ti sei dovuta contentare di un vecchio! Sei già secca a vent'anni, io lo so. Viscere morte!

Iole                                - Quanto sei cattiva. Cattiva d'animo.

Emma                            - (fuori di se) Vìscere morte!

Andrea                          - (sconvolto, all'Ispettore) La sentite? La sentite?

Emma                            - (in preda a un vero attacco) Viscere morte!

Andrea                          - (urlando, su lei, coi pugni alzati) Ba­sta! Basta! Dodici anni, signor Ispettore. Dodici an­ni! (con disperazione) Eccolo, eccolo, il bilancio! Dodici anni.

Emma                            - (continua per un po' a singhiozzare; ed ecco vede qualche cosa, si) solleva) Ammazzalo, Ferdinando . Ammazzalo! Che uomo sei, se non fai qualche cosa! Ammazzalo!

(Tutti si sono voltati verso la porta. Da qualche momento, inavvertito, Ferdinando  è entrato e sta in ascolto).

 SCENA SESTA

 (L'Ispettore, Andrea, Egle, Emma, Iole, Ferdinando )

Ferdinando                   - (viene avanti adagio, terreo; il suo aspetto è tale che si forma un silenzio) Ammaz­zalo, eh? Avete sentito, signor Ispettore? Dovrei am­mazzarlo. (Si asciuga il sudore) Sicuro, lui ha cer­cato di levarmi tutto e ora io dovrei ammazzarlo, per far comodo a costoro, e così rimetterci anche la libertà e la vita. (Ride, livido) Ma mi avete pro­prio preso per uno stupido, eh? E invece io sono l'unico, qui, che non lo sia, uno stupido. Dovrei am­mazzarlo. Primo, ci sono tante, tante cose che lui non sa, poveretto. E' lui che non è informato. E poi... (la sua voce cambia di colpo e diventa ter­ribilmente affettuosa) e poi, vedi, Iole, tu non stai bene, è per questo che tu dai peso, ti agiti, perché non stai bene.

Iole                                - Vattene. Ti odio.

Ferdinando                   - (pacata e con strana intensità) Non è vero. Tu non conosci i tuoi veri sentimenti. Tutte le donne hanno nella loro vita momenti che non contano, che esse dimenticano...

Iole                                - (gridando) Vattene! Vattene!

Ferdinando                   - (affettuoso e implacabile) E tu lo sai perché gridi? Perché sentì che io ho ragione. Questo ti fa stizza, credi di essere irritata con me, ma non è vero.

Iole                                - Vattene!

Ferdinando                   - Tu lo capisci, che sarai contenta solo con me. Quando saremo lì, nella nostra casa, noi due. Ora sei un po' esaurita, devi fare una cura.

Andrea                          - Iole, sentimi. Se vuoi, ti porto via, con me. Andiamo via, lasciamo tutto. Iole, vuoi venire? (Un silenzio).

Iole                                - (con una specie di noncuranza) Ma si. (Pausa) Vengo via. Sono stufa.

Egle                               - Ma che sciocchezze dici, Iole? Io non posso mica lasciarti andar via.

Iole                                - (un po' ansante) E perché mamma?

Egle                               - Perché... cara, i miei occhi si sono abi­tuati a cercarti. Io ti ho voluto bene, sai?

Iole                                - (c. s.) Ma io non te ne voglio, mamma.

Egle                               - Povera Iole. E' solo questo: che sei rimasta delusa di come sono le cose.

Iole                                - (c. s.) Sei stata tu, mamma.

Egle                               - Io? E in che modo, io? Ma Iole...

Iole                                - (ansante) Lasciami stare, mamma. Sei stata tu, il tuo egoismo...

Egle                               - Il mio egoismo, eh? Sempre il mio egoi­smo. Questi vecchi avari, maniaci. Il fatto è che lui... (ride) non ha neanche i soldi per comperarti il biglietto, (con una specie di ferocia) Questi soldi. Li ho io. I soldi servono tanto, ai vecchi, perché nes­suno li aiuta gratis. No, Iole. Tu resti qui, tutto andrà bene. E poi non voglio trovarmi sola con quella là, quella pazza. (Indica Emma).

Emma                            - (con furore) E' vero, mamma, siete sta­ta voi, voi, la vera responsabile di tutto! (crescendo) Voi! Voi avete permesso tutto questo! Voi siete stata la prima a capirlo! E avete lasciato che tutto avve­nisse! Voi non m'avete mai voluto bene...

Egle                               - E tu me n'hai voluto?

Emma                            - Lo so, lo so, che cosa vorreste! Il ve­leno! Che lo bevessi io, il veleno, così tutto va a posto! (Si mette a singhiozzare).

Egle                               - (chiamando) Zeffirino! Vieni, portami via. (Alla figlia) Sei una pazza, e mi fai paura. (Agli altri, dura) Non vi darò nulla. A nessuno. Dovrete ubbidirmi, ho il modo. (A Andrea) Tu, intanto, sei soggetto a internamento, caro, ci penso io. (Lo guar­da con vero livore) Te ti odio davvero, sai? E' stata tutta colpa tua, hai guastato tutto. Almeno le volessi bene, a Iole. Ma neanche questo, sei un uomo da niente. Ma ci penso io, peri te.

Andrea                          - (cupo, adagio) Qualche volta ho pen­sato davvero di uccidervi. Questa era la cosa da fare. Vi faremo interdire, se non morite prima. Ma sarebbe meglio che moriste presto. (Si stacca da un mobile al quale era, appoggiato, si avvia per uscire).

Egle                               - Mi farete interdire? (chiamando) Zeffirino! (a Andrea con accanimento) Ha ragione Em­ma, sei vecchio, in un anno hai fatto una gran ca­duta. Che ci stai a fare, al mondo? Ucciditi, stu­pido!

Andrea                          - (esce).

Egle                               - (continuando, agli altri) Mi volete inter­dire, eh? Io prego solo Dio che mi dia ancora un po' di vita e poi... E poi ci penso io Speriamo in Dio.

Emma                            - (con ferocia) Ma tu non ci credi in Dio, mamma. Tu fai finta.

Egle                               - Stai zitta, tu. Pazza. Pazza.

Emma                            - Tu hai solo una gran paura di papà. Hai paura che torni dal cimitero e ti venga da­vanti. Devi avere qualche rimorso. (Accanita) Io lo so. La notte, in camera tua ti raccomandi, lo so.

Egle                               - Pazza. Pazza. Sei una donna finita. Zaffirino, vieni... Zeffirino!

Emma                            - (ridendo, convulsa) Zeffirino, eh? Sì, credete in Zeffirino! V'è rimasto lui. Lo sapete che Zeffirino è il primo a ridere di voi? Lo sapete che è stato lui, a raccontare delle guancette da sposa? Zeffirino! (ride) Va raccontando come fa a car­pirvi i soldi! Dice in cucina che vi sposa e poi vi dà una piccola stretta, per rompervi come un gu­scio d'uovo! Che io resti cieca, se non è vero. (Scoppia in una risala, esce, si sente la sua risata allontanarsi).

Egle                               - (sta un momento come materialmente colpita) Signor Ispettore, che parole atroci, eh, nelle case? Che ferocia. Lì per lì si resta spaventati.

Zeffirino                       - (affacciandosi dentro) Signora, mi avete chiamato?

Egle                               - (lo guarda un po') No, Zeffirino. Vado da sola.

Zeffirino                       - (si ritira).

Egle                               - (cammina in silenzio verso la porta; si volta ancora all'Ispettore) Ce l'hanno con me, tutti, Il vero motivo è che io sono la madre, la suocera, la nonna, e tutto viene da me, se io non ci fossi nem­meno loro ci sarebbero. Mi rimproverano questo. (fa ancora qualche passo, si ferma). Oh, se i vecchi potessero, si alzerebbero e griderebbero: (gridando effettivamente con voce rauca, inaspettata) « Via, via tutti! Cattivi! (con altra voce) Però mi ubbidirete, cari. Per forza. Fortuna che a un dato momento si ha sonno. Ora bevo il mio bicchiere di latte e mi addormento. Buona sera (esce).

Iole                                - (sta li un momento, poi esce anche lei, con una specie di fretta).

Ferdinando                   - (è rimasto solo con l'Ispettore, gli si accosta).

SCENA SETTIMA

 (L'Ispettore, Ferdinando ).

Ferdinando                   - (sudato, bisbigliando) Che confu­sione, eh? Che cosa ne pensa, il giudice? Se io mi trovassi al posto vostro.... Insomma, voi che prov­vedimenti darete? Dovrete pur prendere qua che de­cisione, prima di sera, non è vero? Voi pensate.... (si interrompe; i suoi occhi sono rimasti fissi su un certo punto).

L’Ispettore                    - Che c'è.

Ferdinando                   - (quasi balbettando) In questo mo­mento... una delle persone che sono in questa casa... è morta, oppure sta per morire. Qualcuno ha agito. (indicando) Il veleno, signor Ispettore. Il veleno non c'è più. (sta un momento in silenzio come paraliz­zato).

L'Ispettore                    - (si è alzato lentamente).

Ferdinando                   - (quasi afono, con un tremito) Si possono fare.... un'infinità di ipotesi... tutte atten­dibili... (d'un tratto, gridando e correndo verso la porta) Iole! Iole! Iole! (è scomparso, si sente anco­ra la sua voce) Iole. Iole.

Altre Voci                     - (poco dopo risuonano spaventate nell'interno della casa) Ugo! Ugo!

Emma!

Ferdinando !

Andrea!

Iole!

FINE DEL SECONDO ATTO

ATTO TERZO

SCENA PRIMA

 (L'Ispettore, poi Emma, poi Ugo, Iole, Anna, poi Ferdinando , Zeffirino, Andrea).

(L'Ispettore è solo, mentre nell'interno della ca­sa si sentono passi, usci sbattuti, voci angosciate chiamare, farsi lontane, ravvicinarsi: «Ugo! Ugo! Andrea! Emma! Iole! Zeffirino! Iole! Anna! Ferdinando !». Finalmente Emma entra correndo, va a fermarsi in silenzio davanti all'Ispettore. E' ormai sera, la stanza è quasi buia).

Emma                            - (atterrita) Dicono che in questo momen­to una delle persone di questa casa sia morta o stia per morire.

L'Ispettore                    - (la guarda senza rispondere).

(Altre voci spaventate e nomi chiamati nell'interno. Sconvolti, prima uno poi l'altro, entrano Ugo, Iole, Anna. E sempre grida nella casa. Finalmente vengono tutti: Ferdinando , Zeffirino, Andrea. Stan­no tutti davanti all'Ispettore, s'è fatto un silenzio).

Anna                             - (angosciata) Signor Ispettore, che cosa succede? E' vero?

Ferdinando                   - (pallido) Si. Il veleno. Qualcuno è morto o sta per morire, in questa casa.

(Gli astanti si guardano l'un l'altro quasi contan­dosi).

Zeffirino                       - (d'un tratto, gridando con la sua or­ribile lugubre voce) Ipocriti! Assassini! Lo sapete tutti di chi si tratta! Lo sapevate bene per chi do­veva servire, il vostro maledetto veleno! Era un pez­zo che volevate farlo!

Ferdinando                   - Signor Ispettore, è la vecchia si­gnora che manca.

Anna                             - Signor Ispettore, è la vecchia signora... (ha un moto per correre verso la stanza della vec­chia).

L’Ispettore                    - Nessuno si muova di qui. (volta gli occhi verso la porta della signora Egle),

(Tutti seguono il movimento. Dopo qualche istante la porta si apre).

L'altro Ispettore            - (entra lentamente, chiudendosi la porta alle spalle; si ferma e guarda il compagno).

L'Ispettore                    - (sta un momento come assorto, poi rialza il viso sugli astanti) Siete davanti alla giu­stizia. Credo sia vostro interesse parlare finalmente. E' evidente che finora mi avete mentito, non ostan­te tutto, dal primo all'ultimo. Avete creduto di in­gannarmi. Ciò non poteva durare, vi ho lasciati sbiz­zarrire anche troppo. Il colpevole o i colpevoli, di qualunque specie sia la loro colpa, saranno scoperti e colpiti con implacabile severità. E voi denuncia­teli, se li conoscete, dite quel che dovete, pensate ai casi vostri, finché siete in tempo. La verità, final­mente.

Andrea                          - (quasi balbettando) Signor Ispettore, non credo sia giusto che voi ci mettiate sotto accusa e tentiate di spaventarci. Noi siamo turbati, ciò è ben naturale.

Zeffirino                       - (gridando) Ipocriti! Assassini!

Andrea                          - (c. s.) Se di li è sparito codesto veleno, tanti possono essere i motivi! Io stesso, signor Ispet­tore: quel veleno poteva essere destinato a me! Po­trebbe esserlo ancora! Voi sapete che io sono sgra­dito a più d'uno, qui. Sono io che dovrei temere per me stesso!

Iole                                - Anche io...

Emma                            - Anche io...

Andrea                          - Signor Ispettore, la vecchia signora, non ostante certe apparenze, era veramente malatissima...

Zeffirino                       - Assassini. Assassini.

Andrea                          - ...la sua fine era attesa da un momento all'altro! Il veleno potrebbe non entrarci affatto. Perché non potrebbe trattarsi di una coincidenza? Po­tete voi escludere ciò?

L’Ispettore                    - E perché tremate, tutti? Siete pieni di rimorsi.

Andrea                          - Può darsi, signor Ispettore. Che ora la vecchia signora sia là supina e non ancora ben fred­da, ciò può aver mutato molte cose dentro di noi. Rimorsi: ma non quelli che credete!

Emma                            - (con un urlo improvviso, isterico) Non sono stata io! Non sono stata io!

L'Ispettore                    - (a Emma) E perché allora sentite il bisogno di gridarlo?

Emma                            - Non sono stata io!

L’Ispettore                    - Voi avete desiderato che la cosa avvenisse.

Emma                            - Non sono stata io!

L’Ispettore                    - Le vostre parole contenevano una minaccia. Direi che già altre volte voi avete com­messo questo delitto, nel vostro pensiero. Voi era­vate abituata ad esso.

Emma                            - (piangendo) Non sono stata io!

L’Ispettore                    - Voi credevate che la vecchia si­gnora ostacolasse la vostra riunione con vostro ma­rito. Ciò che voi sopratutto desideravate era riavere vostro marito. Niente altro contava più, per voi. (un silenzio).

Emma                            - (d'un tratto, a bassa voce) Signor Ispet­tore, per favore, ascoltatemi. Io ho pensato una co­sa e vorrei dirvela.

L’Ispettore                    - Cioè?

Emma                            - Io non ho mai veramente desiderato di riavere mio marito.

L’Ispettore                    - Voi non avete mai desiderato... E finora? I vostri pianti? Bugia, commedia?

Emma                            - No, signore. Io ero addolorata... ma non per per questo. Non per lui.

L’Ispettore                    - E perché, allora?

Emma                            - Non so. Forse un tempo, signor Ispetto­re, era veramente per lui e per il suo abbandono che io soffrivo. Ma poi...

L’Ispettore                    - Ma poi?

Emma                            - Mi sono stancata, signor Ispettore. Ho smaniato troppo; e d'un tratto mi sono sentita stanca. Questa è la verità. Non sono stata io.

L’Ispettore                    - Ho ancora nell'orecchie le vostre grida.

Emma                            - Si, gridavo, dicevo... Ma quel che dicevo non era più vero! Ora soltanto capisco tutto!

L’Ispettore                    - Tutto! Che cosa capite.

Emma                            - Che anche in principio, quando lui mi amava... e mi si avvicinava... e poi accostava le ma­ni... e poi cominciava quelle carezze... e io acconsen­tivo... ebbene capisco che fin da allora, in fondo, io ero... spaventata! Io soffrivo! Io non volevo ciò! (pau­sa) No, signor Ispettore, non vorrei più essere unita a lui. Mi sono agitata tanto: ciò che veramente vo­glio, ora, è che lui sia lontano; e che io sia sola, tranquilla, chi sa dove, (abbassando la voce) Or ora, quando s'è saputo del veleno, io ho pensato, un at­timo, che fosse stato dato a lui, a mio marito; e che lui fosse morto. E allora ho provato qualche cosa... che era come un sollievo. No, signor Ispettore; non sono stata io. (un silenzio).

L'Ispettore                    - (a Iole) E voi?

Iole                                - (torva) Accusate me, ora?

L’Ispettore                    - Non eravate voi che dovevate par­tire con lui? Non era stata la vecchia signora ad op­porsi? Non sosterrete voi pure come vostra sorella che voi non volevate....

Iole                                - Ma è proprio così, signor Ispettore. Nean­che io volevo! Partire con lui: per essere con lui due carcerati, due nemici! (con cupa monotonia) La verità, signor Ispettore, è che noi due, nemici, forse lo siamo stati fin dal principio. Voi avete par­lato d'amore. Ma fin dal principio, se l'ho cer­cato, era perché io mi sentivo... uno sdegno, un di­sprezzo per lui; per lui e per mia sorella. E volevo punirlo. Punire tutti e due: lui e lei. E punire an­che me stessa; vendicarmi. Chi sa di che. Io non sono capace di voler bene. Mia sorella lo dice per ferirmi, ma forse è vero. L'ho odiato. Non sono sta­ta io. Ciò che desideravo io era che qualche cosa avvenisse, qualche cosa per cui... tutta questa sto­ria, lui, io stessa, tutto, tutto venisse.... cancellato, sepolto, abolito. Se io avessi dovuto trafugare quel veleno, forse l'avrei adoperato per lui. O per me. Non sono stata io.

Zeffirino                       - Tutti bugiardi, signor Ispettore. Tutti d'accordo, non l'avete capito? E allora dirò io qual­che cosa. (Indicando Ugo) Domandatelo un po' a lui, al ragazzo, se sa niente.

L’Ispettore                    - Il ragazzo?

Zeffirino                       - Il ragazzo. Li ho sentiti io, una volta. (indicando Emma) Parlavano loro due soli: questa signora e lui. E la signora piano piano gli diceva: «Ti pettino, eh? Ti do il profumo? Quanto sei bello. Sembri una ragazza. Non sarai una ragazza? Che pel­le liscia!». Lo accarezzava! Ho sentito io, ho visto io! Scavate, scavate, belle cose trovate! (di nuovo, imitando) «Che pelle liscia!».

Emma                            - (smarrita) Ma io non ho detto questo!

Zeffirino                       - « Quanto mi piaci, sembri una ra­gazza! ».

Emma                            - Ma era per scherzare...

Zeffirino                       - Scherzare, sì, legarvelo, ubriacarlo, metterlo su! D'accordo con vostro marito! Perché poi fosse lui, il ragazzo, di testa sua, a far del male alla vecchia!

Emma                            - (sgomenta) Ugo! Ma tu...

Ugo                               - (selvaggiamente, muovendo verso l'uscio) Ma io non sono mica uno sciocco! Lo capivo benis­simo, che quella lì (indica Emma) faceva per im­brogliarmi, E' una donna vecchia, credete che non gliele vedessi le rughe? E io un ragazzo, ancora. Ma io capisco benissimo, meglio di tanti. Non sono sta­to io (Esce; poco dopo Anna lo segue).

Ferdinando                   - «Non sono stato io! non sono sta­to io!» E dunque dovremmo rimanere tutti sotto il sospetto? Nessuno può pretendere da noi un silen­zio che ci condannerebbe.

L’Ispettore                    - Sapete voi qualche cosa?

Ferdinando                   - Si. Il veleno, eh? Sicuro, il veleno. (Lentamente si volta verso Andrea e lo indica) E' stato lui, a prenderlo. L'ha visto Iole! E l'ho visto anche io! (un silenzio) Poco fa. La vecchia gli par lava, oh, senza molta dolcezza, e lui le rispose: « Cara suocera, ho pensato molte volte di uccidervi ». Poco dopo - nessuno lo guardava, ma io e Iole sì - prese il veleno e si allontanò. (Un silenzio. A poco a poco tutti si sono voltati ver­so Andrea).

Andrea                          - (ride piano; si volta all'Ispettore) Mi viene in mente un fatto. In una casa isolata, tra i monti, una casa di tutte donne, madre e figlie, ar­rivò un tipo e in breve le ebbe tutte, le convinse tut­te, si fece padrone. Un giorno lui era sceso dentro il pozzo della cantina a pulirlo e per combinazione gli si staccò la fune e lui rimase giù, in fondo al pozzo. Urlò e le chiamò vari giorni, una per una, le sue donne, per nome. Ma quelle zitte. Finché lui smise, (ride ancora) Mi succede lo stesso, eh? Tutti contro di me. (un silenzio) Iole, c'è molto di vero in ciò che hai detto, siamo stati due nemici fin dal principio. Ma sì. Fu una specie di antipatia, che ci avvicinò. Oh, sta tranquilla, nemmeno io volevo partire, benché lo dicessi. Perderti mi dispiaceva. Ma tenerti era peggio: mi avresti certamente umiliato e fatto soffrire. Fra me e Ferdinando , forse, l'ingan­nato ero io. (un silenzio), E tu, Emma. Anche tu hai ragione. La nostra vita insieme è stata triste. Io ho sempre desiderato questo: uscire di casa e non tor­narvi più.

L'Ispettore                    - Ma vi tornavate. Perché.

Andrea                          - (alzando le spalle) Per avvilirmi. Per avvilirla. Per rabbia che qualche cosa ancora mi chiamasse indietro, (a Emma) Per finire di consu­marti e non lasciare nulla di decente dietro di me. Qualche volta mi hai fatto compassione. Era una scusa per assolvermi e sentirmi generoso. Era com­passione di me stesso. Mi sono agitato molto e ho fat­to le rughe presto, (pausa) Si, cara; poco fa, quan­do qualcuno ha cominciato a gridare, e s'è sentito parlare di veleno... sì, anche a me, è successo un fatto curioso. Qualche cosa anche in me s'è ralle­grata! Ho sperato!

L'Ispettore                    - Che cosa.

Andrea                          - Che il veleno fosse stato per te, Iole. Qualcuno poteva benissimo averlo messo nel tuo bic­chiere. E tutto era sistemato, non è vero? Tu non eri più mia né di altri. E se al contrario era toccato a Emma, tutto sistemato lo stesso, che respiro, che quiete. E magari a tutte e due. (ride) E perché no alla vecchia? E magari anche a te, Ferdinando! E magari a tutti! Finiti i batticuori, tutto risolto. Il ve­leno; riposo. Che semplificazione. Che curioso mo­mento, è vero. Che buffa immaginazione, che irra­gionevole speranza.

L’Ispettore                    - E perché irragionevole?

Andrea                          - Perché io sapevo che niente di ciò po­teva avvenire!

L'Ispettore                    - (incalzando) E perché niente di ciò poteva avvenire?

Andrea                          - (con una specie di furore) Perché il veleno l'avevo trafugato io! L'avevo io! Nella mia tasca! Ma sì, l'avete già capito, io sanno tutti! Era tanto tempo che io pensavo alla piccola bottiglia, lì, sullo scaffale.

L'Ispettore                    - E perché pensavate ad essa.

Andrea                          - (furioso) Perché! Ma perché ci pensa­vano tutti, in questa casa, tutti, lei, lui, lui, tutti. In questa casa e in tutte le case! Voi riderete, ma io vi dico che tutti, tutti pensano a qualche cosa di si­mile!

L'Ispettore                    - (con monotona implacabilità) E perché tutti pensano a qualche cosa di simile?

Andrea                          - Perché! Perché! Ma rifletteteci un mo­mento, perdio. Potere, in qualche modo, di colpo, intervenire, mutare! Risolvere tutto! (cambiando) Questa matassa, signor Ispettore, questa matassa nel­la quale ci troviamo imbrogliati. E imbrogliati sen­za averlo voluto, anzi, volendoci districare. E più uno si dibatte per districarsi, più uno si avviluppa. « Ma no, ma no. Ma io non volevo questo: lasciatemi! Levatevi!» Niente, sempre peggio, (cambiando) Per forza, signor Ispettore, per forza viene in mente...

L’Ispettore                    - Che cosa?

Andrea                          - Qualcosa d'altro! Un taglio, un mira­colo. Agire, rompere. Diventare padroni, finalmen­te! Chi è che non perde la pazienza, alla lunga? L'ho perduta anche io: poco fa. E ho trafugato il veleno. (un silenzio). Non avevo un'idea precisa, ve lo assi­curo. Chi? La dura sprezzante ragazza, che io non volevo lasciare ad altri né potevo tenere per me?

L’Ispettore                    - Oppure...

Andrea                          - ...la donna, che aveva consumato la mia vita, mentre io consumavo la sua?

L'Ispettore                    - (con intensità crescente) Oppure?

Andrea                          - ...il futuro cognato, cosi ricco d'odio? La vecchia?

L'Ispettore                    - (quasi gridando) Oppure?

Andrea                          - (furioso) Oppure si, lui! Lui! L'antico studente che vinceva dei premi! Si!

L’Ispettore                    - Voi avete considerato anche questa soluzione?

Andrea                          - Bè, era il modo di recidere la matassa in modo totale. Prendere il veleno io.

L’Ispettore                    - E perché non lo avete fatto.

Andrea                          - (sghignazzando) Ma caro signore! Ci sarebbe mancato altro! Recitare va bene, ma fino a questo punto poi! La vecchia, un momento fa, me lo ha detto: che recitavo, (gridando) Era la verità! Recitavo!

L’Ispettore                    - E che cosa fate adesso?

Andrea                          - (asciugandosi il sudore) Che cosa fac­cio adesso? Ma certo: recito. Caro signore, scher­ziamo? Ma se io avessi veramente voluto questo e quello, io sarei forse qui, ora, a trastullarmi con tan­ti discorsi? Ma io sarei partito; avrei ucciso; oppu­re avrei preso quella bottiglia e l'avrei bevuta!

L'Ispettore                    - (implacabile) E perché non l'a­vete fatto.

Andrea                          - Ma perché facciamo finta tutti! Reci­tiamo: tutti! Anche ora, in tutti questi paroloni, men­tre li dicevo, io sentivo benissimo... (ride) un vero suono di teatro! Discretamente ripugnante; insop­portabile.

L’Ispettore                    - E voi perché avete sopportato. Per­ché non l'avete fatto.

Andrea                          - (gridando) Ma perché.,, sono tutte stupi­daggini! Tutte truffe! Non c'è niente di serio! E an­che...

L’Ispettore                    - E anche?...

Andrea                          - (improvvisamente beffardo) E anche riguardo alla vecchia, signor Ispettore, quando ave­te cominciato a interrogarci ho avuto un momento di panico. Bastava che avessi riflettuto un momento.

L’Ispettore                    - E che cosa avreste capito?

Andrea                          - Che non era successo nulla! E' sem­pre così: non succede mai nulla! Oh, siete stato un abile poliziotto; ci avete fatto raccontare i nostri pru­riti senza neppure domandarceli, (ride) Ma anche se tutti l'avevamo, una mezza voglia di aiutarla a mo­rire e di utilizzare codesto veleno... se poi era un veleno! è chiaro che nessuno sarebbe stato tanto incivile, antiquato; chiaro che adesso lei è li tran­quilla, in ottima salute, (ride) Tutto seguita, sareb­be troppo una bella cosa se dentro là potessimo tro­vare il suo piccolo cadavere. No, no. (va alla porta, l'apre ridendo) Avanti, cara suocera: venite a sen­tire le decisioni del signor Ispettore. Risuscitate.

Egle                               - (appare sulla porta).

(Tutti sì mettono a ridere, una interminabile risa­ta; si riaffacciano anche Anna e Ugo, ridono anche loro).

SCENA SECONDA

 (Detti, Egle) (La risata riprende, si allarga, ha termine).

Egle                               - (continua per un po' a ridere da sola, poi tace e sta curvaansimando).

Andrea                          - Che cosa avete, cara suocera.

Egle                               - (faticosamente) Mi hai fatto talmente ri­dere... che a momenti sto male. Brutto imbroglione, non starei peggio se avessi davvero preso il veleno, ma un vero veleno, intendiamoci, (ride, sempre più china e affranta; sta li, respirando a fatica).

Zeffirino                       - Volete riposare?

Egle                               - (guardando in terra) Sì, voglio riposare e non vedere più nessuno, (drizzandosi un po') Oh, lo immaginavo, che tutti, tutti desideravate di aiutarmi a morire; che avreste voluto trovare là dentro... il mio piccolo cadavere. Bravo Andrea, tu hai sem­pre la parola appropriata. Lo immaginavo, ma aver­lo proprio sentito, finalmente... mi ha fatto stancare.

Zeffirino                       - (sempre senza accostarsi) Devo ap­poggiarvi?

Egle                               - Che cosa vuoi anche tu, Zeffirino. Anche tu ii miei soldi? Ma se proprio li volete, i soldi... e magari l'anello del dito... e prendeteli finalmente! Dai e dai, arriva che non si ha nemmeno più voglia di difendere... Oh, è troppo faticoso, alla lunga.

Zeffirino                       - (timidamente) Volete distrarvi con una partita?

Egle                               - No. Più partite. Mi piaceva. Gli avevo vin­to due milioni di fagioli. Mi avete tolto anche questo. (pausa) Sì; a un dato momento sì è tanto affatica­ti che si desidera davvero soltanto... di stare cori­cati. (Muove faticosamente verso l'Ispettore) Signor Ispettore, ora avete sentito tutto.

L’Ispettore                    - Avete altro da dire?

Egle                               - (come se avesse dimenticato tutti) Sono stata straordinariamente felice da bambina. Mi pia­ceva pettinare mio padre. Una grande casa, un pic­colo paese; la scuola delle monache, i corridoi con le rondini... « O vivo pan del ciel ». (pausa) Mi sento poco bene, (vacilla).

(Ferdinando , poi anche Anna, la sorreggono; la vecchia s'è abbandonata di peso fra le loro braccia).

Ferdinando                   - (voltandosi agli altri) Mi pare che stia molto male, (aiutato da Anna si accinge a por­tare la vecchia nella sua stanza; dall'uscio si volta ancora all'Ispettore) Non credo che potrà dirvi altro. (Esce con Anna, portando la vecchia).

SCENA TERZA

 (/ due Ispettori, Andrea, Iole, Emma, Ugo, poi Ferdinando  e Anna),

L'Ispettore                    - (ad Andrea) Sembra che il vostro veleno non sia stato necessario.

Andrea                          - Ma certo, divertitevi, scherzate, per voi è uno spettacolo, vero? Per voi è diverso, noi ci sia­mo già fino al collo, noi non l'abbiamo, tanta voglia di ridere!

L'Ispettore                    - (continuando a guardare verso l'u­scio di Egle) Pare proprio che il vostro veleno non sia stato necessario.

 Andrea                         - (con rabbia accresciuta) E invece voi non avete alcun diritto di venire qui a umiliarci e farci vergognare e sobillarci uno contro l'altro! E adesso poi lo vedremo, che cosa dite, voi, come la risolvete! (si interrompe).

Ferdinando                   - (in. punta di piedi e seguito da Anna sta uscendo dalla stanza di Egle) Stt... Fate un po' piano

Iole                                - (a bassa voce) Ebbene?

Ferdinando                   - (dopo avere riso un po') Riposa magnificamente.

Anna                             - Il vero sonno di un bambino.

Ferdinando                   - Sono io il primo a esserne felice, intendiamoci: ma è così, con certi vecchi. Sembra­no sempre sul punto di andarsene, e poi vanno avanti degli anni. Del resto meglio così. Sarai conten­to anche tu, Zeffirino.

Zeffirino                       - (gli dà un'occhiata torva, esce).

Andrea                          - Sicché ora sta bene?

Anna                             - Si, l'abbiamo lasciata assopita.

Emma                            - (col tono di chi ripete una frase detta mil­le altre volte) Avrà bisogno di qualche cosa?

Anna                             - (uscendo!) Non credo. Ad ogni modo noi siamo qua.

Ferdinando                   - (camminando qua e là) E di che vo­lete che abbia bisogno? Per conto mio stiamo pure qui. stiamoci pure fino a domani l'altro, non costa nulla. Il mio parere è che la signora Egle sta meglio di noi. E poi, per quel che le gioviamo stando qui! (avvicinandosi alla finestra) Noi potremmo benissi­mo andare al cinema, come s'era( detto. Mah. Perché non accendete la luce? Abbiamo combinato un'infi­nità di stravaganze stupide, oggi. Nervi. Poi per for­tuna si riflette. Guai a sopravalutare. Io direi di an­darci davvero, al cinema. Giusto fra poco comincia l'ultimo programma. Sembrerebbe un discreto film. (Esce).

Andrea                          - (a Ugo) Che roba è?,

Ugo                               - Un film americano; guerra, avventure. (Un lungo silenzio, la stanza è ormai buia. L'uscio di Egle si apre)

SCENA QUARTA

 (Egle, Andrea, Iole, Emma, Ugo)

Egle                               - (è apparsa e sta li come stupita; sembra me­no vecchia e più. leggera).

(Tutti restano seduti e come pensierosi: solo Ugo, che è vicino all'uscio, sembra accorgersi della pre­senza di lei).

Ugo                               - (bisbigliando spaventato) Signora, perché non siete rimasta a letto?

Egle                               - Mi ero annoiata di starci.

Ugo                               - Non avete il vostro bastone?

Egle                               - Ero stufa di portarlo.

Ugo                               - Che cosa volete fare?

Egle                               - Andar via.

Ugo                               - Ma dove?

Egle                               - Via.

Ugo                               - (scostandosi man mano) Signora, voi state morendo?

Egle                               - Si.

Ugo                               - (arretra atterrito, esce).

Egle                               - (avanza lentamente, si ferma accanto a Iole) Iole! Iole! Come eri disperata, quando ti slattai.

Iole                                - (senza accorgersi di lei, bisbigliando fra sé) Credo che Ferdinando  seguiterà a punirmi, goccia a goccia, tutta la vita.

Egle                               - Iole! Abbiti riguardo. Tu non hai una gran salute.

Iole                                - (c. s.) Saremo vecchi, moribondi, e lui se­guiterà a farmela pagare. Ora però voglio andare al cinema.

Egle                               - (in un angoscioso tentativo di essere notata) Iole! (come rassegnandosi e andando oltre) Mi a-veva un po' stancata, anche lei. (Ora è accanto ad Emma) Oh, Emma!

Emma                            - (senza accorgersi di lei) Mi piaceva tan­to parlare con Ugo. Quella volta c'era un Gesù Bam­bino piccolo e nudo, di cera. Provai a dargli il latte. E' male, questo?

Egle                               - (con angoscia e quasi tentando di farsi no­tare) Emma! Quando portavo te mi misi in men­te che potevo morire di parto. Per questo cominciai ad amarti meno.

Emma                            - (c. s.) Forse è vero che io sono una don­naccia, un animale. Non ho nessuno cui almeno pen­sare. Non so che cosa fare.

Egle                               - Emma... (quasi rassegnandosi, va oltre; ora è vicino ad Andrea) Oh, Andrea, c'è una cosa, che tu non hai detto; sei stato li, li, ma tu non po­tevi ancora saperla. Questa: che noi facciamo finta di interessarci, di appassionarci... di volerci bene, di volerci male... ma poi... non è vero! Non è vero, non ce ne importa nulla.

Andrea                          - (senza accorgersi di lei) E' curioso, ma il reale motivo per cui mi seccava di andare con Iole, è che io ho in bocca... (ride) un piccolo apparecchio, mobile, due denti, e bisogna toglierlo, dopo mangia­to, per pulirlo, se no puzza. Mi seccava che se ne accorgesse. Tutto lì. Quanto è buffo. Voglio andar fuori anch'io.

Egle                               - (con angoscia) Si, Andrea, nessuno ci ama veramente. Nessuno, nemmeno nostra madre. Nes­suno, ci ingannano tutti! (tornando per un momen­to quasi maliziosa) Però per capirlo bene, questo, bi­sogna diventare vecchi e malati. Tutti si annoiano in­torno ai loro letti; e allora sono essi che vogliono andar via. Si vive per imparare questo, (con profon­da angoscia, oltrepassando anche Andrea, armai so­la) Nessuno sa chi. siamo... nessuno ci conosce vera­mente... nessuno pensa a noi... (si avvia verso la por­ta esterna) E noi invece vorremmo... che ci amas­sero tanto, tanto, tanto! Tanto! Un amore... strabi­liante! (usuale, pedestre) Come un briciolino di car­bone in una stufa tutta rovente. Tanto, tanto, (uscendo) « O vivo pan del del » (più forte) « O vivo pan del ciel » (più forte ancora e quasi spaventata) « O vivo pan del ciel » (sulla soglia, piano) Signore, abbiate pietà di me (è sparita).

SCENA QUINTA

 (/ due Ispettori, Andrea, Emma, Iole, Ferdinando )

Ferdinando                   - (affacciandosi dentro e accendendo la luce, con una certa durezza) Allora, Iole, se vo­gliamo andare a questo cinema, spicciamoci. La si­gnora Egle riposa tranquillamente. (Esce).

Iole                                - (con una certa sottomissione) Sì, vengo. (Si avvia anch'essa per uscire).

Emma                            - (seguendola) Aspettate, vengo anch'io. (Sono usciti tutti e tre. L'Ispettore e il suo compagno da qualche momento si sono alzati preparandosi a uscire).

Andrea                          - E .. signor Ispettore, ma voi...

L’Ispettore                    - Ce ne andiamo. Noi ormai non ab­biamo più niente da fare qui.

Andrea                          - Ve ne andate?

L’Ispettore                    - Si.

Andrea                          - Ve ne andate così?

L’Ispettore                    - Cioè?

Andrea                          - (d'un tratto, furioso) E le disposizioni? Le direttive? Si può sapere, insomma, che cosa siete venuto a fare? Ci dovrete pur dire qualche cosa!

L'Ispettore                    - (d'un tratto, con cupa veemenza) Voi stesso non sapete ciò che volete e pretendete di saperlo dagli altri? Troppo comodo. Sono affari vo­stri: e dovrete cavarvela da soli: arrivarci da soli. Ognuno da solo, (con voce tonante) Da solo! State pur certi che nessuno vi aiuterà, (va alla porta, spa­risce col suo compagno).

SCENA SESTA

 (Andreat Anna)

Andrea                          - (smontato) Bel modo, (a Anna, che è rientrata) Che ne dici, Anna? (alzando le spalle; è il solito tentativo di trangugiare e minimizzare) Bè, in fin dei conti... l'errore, forse, è stato... di dram­matizzare.

(Ed ecco comincia, da fuori, la musichetta del ci­nema).

Anna                             - (avviandosi) Signor Avvocato, comincia l'ultimo programma, se ci andate anche voi, ricor­datevi di spegnere, prima di uscire, (esce).

Andrea                          - (senza troppo badarle) Sì. (Seguitando fra sé) In fin dei conti che cosa c'è di speciale? Mo­glie e marito che non vanno d'accordo. Un'altra don­na: il solito episodio. La solita vecchia avara, egoi­sta, (intanto cerca e trova il cappello). Il torto è stato di esserci... sovraeccitati, di aver voluto sottilizzare. Tutta colpa di quell'imbroglione. Ma poi ci pensa la vita... a normalizzare. Sì, sento proprio bisogno di divagarmi un po'. (Fa per uscire, si ricorda della luce e torna indietro a spegnerla; ed ecco rimane un momento così, al buio; d'un tratto si copre il vol­to con una mano preso da una specie di disperazio­ne) Mio papà... quando entravo... «Andrea! Andrea! Andrea! ».

La voce di Emma          - (da fuori) Andrea. Vieni an­che tu?

Andrea                          - (con la voce di sempre) Sì, vengo. (Va alla porta, esce).

FINE